Gli Arabi Gli Arabi hanno guadagnato a partire dal VII secolo il centro della scena storica nel quadrante mediterraneo meridionale, nelle aree del Vicino e Medio Oriente, e in quelle dell'Africa settentrionale, proseguendo fino ad includere nell'VIII secolo e nel IX secolo rispettivamente, parte della Penisola iberica e la Sicilia. Fu grazie alla fede islamica che gli Arabi, uscendo dalla relativamente limitata area peninsulare araba (oggi ospitante l'Arabia Saudita, lo Yemen, l'Oman, il Qatar, il Bahrain, il territorio degli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait) si coalizzarono ed andarono a diffondersi nei continenti asiatico, africano ed europeo, lasciando un segno indelebile nella storia e nella cultura dell'umanità. La religione dell'Islam, che come ogni altra religione è anche filosofia di vita, ha sottomesso ad un'unica civiltà popolazioni di nazioni, origine, lingua e cultura diverse, fino a renderle omogenee per cui è legittimo trattarne la storia in modo unitario ed organico. La storia dei popoli arabi può essere divisa in quattro grandi periodi: l'età preislamica l'Islam e il califfato "ortodosso" Il califfato omayyade Il califfato abbaside L'imamato fatimide Le dinastie locali sorte dopo la caduta del Califfato abbaside L'epoca contemporanea e gli stati moderni Nel VI secolo, la Penisola arabica era abitata, nelle sue aree centrali e settentrionali, da tribù nomadi indipendenti mentre in quelle meridionali erano attive, sotto il nome di Himyariti (i latini Homerites), gli eredi dei grandi regni sabei, del Hadramawt, del Qataban, di Awsan e dei Minei, tutte culture sedentarie estremamente progredite nelle conoscenze idrauliche e assai attive fin dal secondo millennio a.C. nel commercio dei cosiddetti "aromata", fra cui il famoso incenso, assai richiesti in area mediterranea, mesopotamica e iranica. I beduini, abitanti della steppe arabe, erano invece dediti al piccolo e grande nomadismo a causa del loro speciale modo di produzione che si legava strettamente all'allevamento di ovini e del dromedario e assaltando altri gruppi nomadi o le carovane dei mercanti. Erano politeisti e il santuario della Mecca era forse il più importante centro di incontro sia religioso sia commerciale, quanto meno nella regione del Hijāz. All'inizio del VII secolo, Maometto riuscì a fare degli Arabi una Nazione, fondando uno Stato teocratico. Nel 570 circa a Mecca nacque Maometto, profeta dell'Islam e fondatore della terza religione monoteistica in ordine di tempo. Nel 620 Maometto cominciò ad avere delle visioni e a predicare il proprio credo. Ma i politeisti della sua stessa città credevano che ciò sarebbe stato pericoloso per gli assetti sociali ed economici e quindi cercano d'isolarlo e di contrastarlo sempre più fino alla minaccia per la stessa incolumità fisica. Maometto dapprima mandò i più indifesi dei suoi pochi seguaci in Etiopia (Piccola Egira), poi decise di trasferirsi a Yathrib 1 (poi Medina) nel 622. Il suo allontanamento (egira) segnò l'inizio dell'era islamica e nei paesi islamici è ancora usato questo conteggio di anni. Con una serie di battaglie e di conversioni felicemente attuate, Maometto conquistò dapprima ampie parti del Hijàz e quindi, nel 630 Mecca. Morì nel 632. Gli Arabi elaborano l'istituto califfale e si scelgono come primo Califfo Abū Bakr, che rinsalderà la struttura politica e sociale del nuovo stato e poi col secondo califfo ʿUmar ibn al-Khattāb comincia l'età delle conquiste (Siria, Palestina, Egitto, Mesopotamia e Persia occidentale). Già per disposizione del primo califfo, Abū Bakr, ma assai più per volontà del terzo califfo Uthmān b. Affān, furono raccolte le tradizioni orali e i pochissimi appunti scritti relativi al Corano, il libro sacro dell'Islam, ma anche la sua legge, perché nello Stato islamico la sovranità appartiene a Dio. Il Corano, tra i tanti altri precetti etici, autorizzava, e in certi casi ordinava, la "guerra santa" (il jihād) per difendersi dai propri nemici ma anche per diffondere la religione di Allāh. I successori politici di Maometto, i califfi, avviarono una fortunata e rapida espansione territoriale, occupando Gerusalemme e Damasco e annientando l'Impero persiano sasanide. Al 717 risale l'assedio di Costantinopoli, nel corso del quale fu però distrutta la flotta araba, impedendo temporaneamente l'espansione verso la penisola balcanica. Nel 711, gli Arabi conquistarono la Penisola iberica, ponendo fine al regno visigoto, e passarono i Pirenei, ma nel 732 furono fermati nella battaglia di Poitiers dai Franchi di Carlo Martello. Nel Mediterraneo gli Arabi (detti talora Saraceni) conquistarono la Sicilia, toccarono la Sardegna e la Corsica, oltre che un tratto della costa provenzale e parte della Calabria, della Puglia e della Campania. 2 Diffusione dell’Islam La diffusione del dominio arabo-musulmano non fu solo dovuta ai successi militari ma fu favorita dal fatto che molte popolazioni, soggette ai Bizantini o ai Persiani sasanidi, preferirono sottomettersi agli Arabi, piuttosto che pagare le fortissime tasse richieste dai persiani. Secondo la legge coranica, inoltre, i convertiti ottenevano i pieni diritti civili ed erano tenuti solo al versamento dell'elemosina legale (zakāt), mentre coloro che, come gli Ebrei, preferivano restare fedeli alla propria religione erano tenuti a pagare tasse non esorbitanti mantenendo libertà assoluta di culto e, con qualche limitazione, di commercio, seguitando autonomamente a gestire il proprio statuto personale (matrimonio, divorzio, eredità). Un importante tramite fra mondo islamico e cristiano latino furono gli ebrei. Se non si è ancora ben certi di chi fossero in realtà i Radaniti che operarono fra al-Andalus e le regioni franche al di là dei Pirenei, siamo però ben documentati circa l'azione intermediatrice svolta da un po’ tutti gli ebrei spagnoli che, sfruttando la benevolenza dei governi islamici, si avvalsero della loro possibilità di aggirare la norma coranica che vieta il cosiddetto “commercio di denaro” ai musulmani e, in definitiva di lucrare sulle plusvalenze. In al-Andalus gli Ebrei sefarditi costituirono una fondamentale classe mercantile che godeva in qualche misura del vantaggio di un analogo statuto giuridico concesso loro dal mondo cristiano che conosceva un identico divieto di conseguire interessi economici su un capitale, importando ed esportando le preziose merci prodotte nell'area islamica e trafficando sui beni che riusciva a produrre il mondo cristiano latino (un esempio è rappresentato dal panno di lana), oltre a tutte le materie prime (specialmente ferro e legname) che difettavano in al-Andalus. 3 L'apporto ebraico non fu tuttavia solo di tipo economico-finanziario bensì, in misura tutt’altro che trascurabile, anche scientifico e artistico. Grazie ai divieti islamici che impedivano agli ebrei determinate professioni (soldato, giudice e proprietario terriero), gli israeliti furono indirettamente costretti ad occuparsi oltre che di commercio anche di tutte le cosiddette professioni “liberali” (nel senso di libere), tra cui quelle del medico, del farmacista, dello studioso e del traduttore, trovando benevola e conveniente accoglienza nella società islamica andalusa, giungendo ad occupare non di rado importanti funzioni burocratico-amministrative (anche ai massimi livelli vizirali) nella macchina governativa islamica. L'elemento arabo-berbero (ma non dimentichiamo anche la presenza persiana) portò all'Occidente cristiano nuove conoscenze tecnologico-scientifiche, specie nell'agricoltura, con l'introduzione di non poche piante del tutto sconosciute (canna da zucchero, carciofo, riso, spinaci, banane, zibibbo, cedri, limone, arancia dolce e cotone, come pure spezie di vario tipo, quali la cannella, i chiodi di garofano, la noce moscata , il cardamomo, lo zenzero o lo zafferano) ovvero reintroducendo colture abbandonate dala fine del cosiddetto periodo classico "antico" (innanzi tutto l'ulivo e l'albicocco). Furono introdotte le tecniche costruttive dei mulini ad acqua e a vento, la carta (di provenienza cinese), e tecniche bancarie quali l'assegno e la lettera di cambio, senza dimenticare il formidabile apporto nella scienza della matematica, quali l'algebra e la trigonometria, il sistema decimale (elaborato in ambito indiano) e il concetto di zero. Un'altra innovazione tecnologica attribuita agli Arabi è l'introduzione in Occidente della bussola, già in uso in Cina. I musulmani svilupparono grandemente la medicina, l'alchimia (genitrice della moderna chimica) e l'astrologia, con gli annessi studi astronomici (da ricordare l'introduzione dell'astrolabio). Anche nella filosofia il loro apporto contributivo per l'Europa continentale fu formidabile e, grazie alle traduzioni da essi approntate o da essi commissionate, si tornò a conoscere non pochi testi di filosofia e di pensiero scientifico prodotto in età ellenistica. Grazie a tali traduzioni l'Europa occidentale e centrale (che aveva quasi del tutto cancellato il ricordo del retaggio culturale espresso nell'antichità classica in lingua greca) tornò in possesso di opere da tempo trascurate e a rischio di totale oblio. I musulmani sotto dominazione abbaside, fatimide e andalusi crearono biblioteche e strutture d'insegnamento pubbliche che - come nel caso di Cordova - costituirono di fatto le prime università del Vecchio Continente, alimentate dal sapere della cultura persiana antica, da quella indiana e da quella greca ed ebraica. In Occidente la fama di medici quali Avicenna e Razī divenne duratura, tanto che i loro lavori divennero libri di testo fino al XVIII secolo, mentre di notorietà non minore fruirono gli studi di filosofi quali Averroè e Geber, considerato per secoli anche in ambito cristiano il più grande alchimista. Nelle zone conquistate dagli Arabi il potere politico era in toto riservato all'elemento islamico conquistatore. I convertiti all'Islam (mawali) avevano teoricamente gli stessi diritti dei musulmani di prima generazione ma per tutto il I secolo islamico (VII-VIII d.C.), sia in Asia e in Africa, sia in al-Andalus, i diritti politici pieni furono loro negati dai conquistatori che li forzarono talora a pagare tributi cui i convertiti dovevano in teoria essere del tutto esentati, assoggettati come sarebbero dovuti essere alla sola zakat. I non-musulmani godevano di diritti civili alquanto ridotti e pagavano tributi non eccessivi, ma in ogni caso più gravosi di quelli dovuti dai musulmani. Gli schiavi - pur trattati con relativa umanità - non avevano diritti politici ed economici, anche se, a partire dal IX secolo d.C., fu loro aperta la carriera militare. Massimamente preferiti erano per il "mestiere delle armi" i Saqaliba (all'incirca traducibile con “Schiavoni”), provenienti dalle aree balcaniche ma anche dalle regioni francogermaniche e dalla stessa Italia. Dalla morte di Maometto, nel 632, fino al 661 si succedettero alla guida dei musulmani quattro califfi elettivi che mantennero la capitale a Medina e che i musulmani definiscono "ortodossi" (al-rāshidūn). Intorno al 661 i musulmani cominciarono a differenziarsi. Dapprima con il kharigiti, con l'alidismo (poi evoluto nello sciiti, con il mutaziliti e, infine col sunniti. Punto di grande divergenza fu a chi competesse guidare la Umma islamica, coi kharigiti che indicavano il migliore dei musulmani, a prescindere dalla sua razza e dalla sua condizione sociale, con gli alidi (poi sciiti) che limitavano alla sola famiglia stretta del profeta Maometto (la Ahl al-Bayt) tale diritto e con i sunniti che, pur preferendo che il califfo fosse arabo e della stessa tribù del Profeta, non indicavano tutto questo come condizione dirimente e assoluta (tant'è vero che nel XIII secolo Ibn Taymiyya, un noto pensatore 4 hanbalita, pensava possibile un califfato mamelucco (e quindi turco) per il fatto che proprio i Mamelucchi erano stati in grado di evitare la catastrofica avanzata mongola con la vittoria inattesa di Baybars ad Ayn Jālūt in territorio palestinese. Nel 661 fu fondata la dinastia degli Omayyadi, il califfato divenne ereditario e la capitale fu spostata a Damasco: nel 750 prese il potere la dinastia degli Abbasidi e la capitale fu portata a Baghdad, anche se per qualche decennio fu edificata una nuova capitale a Sāmarrā, nell'attuale Iraq. Nel 622, alla morte di Maometto nella Penisola Arabica le opposizioni interne erano state sconfitte ed era stata raggiunta l'unità religiosa degli Arabi. I territori circostanti erano controllati in gran parte dall'impero bizantino e dalla dinastia persiano-sasanide. Vari furono i motivi che spinsero gli arabi alla successiva campagna di conquiste, da un lato scontri passati con le forze persiane avevano dimostrato la superiorità della cavalleria leggera araba sui catafratti e si era quindi diffusa la convinzione di poter battere l'impero persiano; dall'altro lato una serie di rivolte interne affrontate dal primo successore di Maometto, Abū Bakr (suo cognato)(632-634), che ebbe il titolo di califfo, cioè di vicario del profeta, spinsero a dirigere la combattività verso obiettivi esterni. Tutto il governo del primo califfo fu infatti impegnato nella cosiddetta "guerra della ridda", per domare le tribù beduine che pensavano di poter recuperare la loro libertà d'azione precedente alla loro conversione o alla loro sottoscrizione di un accordo con la Umma islamica di Medina. Le truppe arabe, comandate dal successivo califfo Umar b. al-Khattāb (634-644) riuscirono con una serie di vittorie sui pur agguerriti eserciti bizantini guidati dall'imperatore Eraclio a occupare Damasco, fatale ai bizantini fu la battaglia del Yarmuk in cui una serie di errori da parte dei comandanti dell'esercito provocarono la disfatta e il ritiro delle truppe bizantine. Nel 638 gli arabi conquistarono anche Gerusalemme e, nel 642, conquistarono l'impero persiano. Dopo la morte di Omar, sotto la guida del terzo califfo elettivo Othmān ibn Affān (644-656) l'espansione continuò verso l'Armenia, e lungo la costa africana del Mediterraneo fino alla Tunisia. Tramite contatti con le popolazioni semitiche siriane e con quelle cristiane copte d'Egitto, gli arabi avevano ulteriormente migliorato le loro già buone tradizioni marinare, iniziarono quindi ad inoltrarsi nel Mediterraneo dove, battuta la flotta bizantina, occuparono Cipro dando inizio alla talassocrazia araba, almeno nel quadrante centrale e occidentale del Mediterraneo, in quello orientale il controllo dei mari fu sempre aspramente conteso ai Bizantini che coi loro dromoi (flotte) conservarono un'eccellente capacità dissuasiva. Il califfo Omar si dedicò al rafforzamento delle strutture amministrative, stabilì con l'istituto del dīwān (amministrazione scritta) che gli infedeli "protetti" versassero un'imposta personale (jizya) e una tassa fondiaria (kharāj), mentre i musulmani e i convertiti all'Islam pagavano una sola tassa, l'elemosina obbligatoria (zakāt). Lo stato requisì le terre abbandonate dal proprietari di fronte all'avanzata delle truppe mentre per i proprietari rimasti furono istituite delle tasse fondiarie; venne creato un efficiente organo amministrativo, che aveva il compito specifico di pagare il soldo ai combattenti e le pensioni alle vedove dei caduti e ai loro figli rimasti orfani. Al tempo di Othmān cominciarono a delinearsi contrasti e conflitti nel mondo arabo. Il califfo fu accusato di favorire i propri potenti famigliari, gli Omayyadi. Contemporaneamente, poiché Othman aveva provveduto a una definitiva redazione scritta del testo coranico, si ribellarono i Qurrà, o "recitatori" del Libro sacro, che contribuirono (con le insoddisfatte popolazioni egiziane e di Kufa) a provocare nel 656 un complotto che finì con l'assassinio dello stesso califfo. Per alcuni anni il califfato fu retto da Alī b. Abī Ṭālib, cugino e genero di Maometto, che dovette lottare contro gli Omayyadi e affrontare la rivolta scismatica del kharigiti, culminata nel 661 nell'assassinio dello stesso Alī, ucciso da un kharigita avverso tanto a lui quanto al suo antagonista Muāwiya b. Abī Sufyān, che chiedeva si punissero i responsabili dell'omicidio del suo parente Othmān e che sarà il fondatore della dinastia omayyade. L'uccisione di Alī causò la nascita di un forte sentimento alide che più tardi evolverà nello Sciismo, che sosteneva per Alī e i suoi diretti discendenti il legittimo potere califfale. 5 Dal 661, fino al 750, il califfato diventò dinastico e fu retto da una serie di califfi appartenenti tutti alla famiglia omayyade, del ramo sufyanide dapprima e di quello marwanide poi. A causa della sua vastità l'impero, verso la metà dell'VIII secolo, entrò in crisi. La dinastia omayyade dovette affrontare l'opposizione alide e il crescente malumore dei convertiti non arabi (mawālī), insofferenti del sistema burocratico e fiscale con il quale gli Omayyadi controllavano l'impero. Entrambi contribuirono al successo della rivolta guidata dalla famiglia meccana degli Abbasidi che nel 750, dopo una serie di vittorie militari, presero il potere e sterminarono gran parte della famiglia degli Omayyadi. L'unico superstite si rifugiò in al-Andalus dove fu acclamato come emiro dopo aver sconfitto il vecchio governatore che s'era reso in quei frangenti autonomo. I suoi discendenti, nel X secolo, ripresero il titolo di califfo con Abd al-Rahmān III. Da al-Mansūr ad al-Mutawakkil il califfato conobbe la sue epoca d'oro, con un impero vastissimo che toccava da una parte l'Atlantico e dall'altra penetrava nel sub-continente indiano. L'eccessiva ampiezza fece lentamente collassare il sistema, con un'amministrazione fiscale sempre più preoccupata a drenare risorse per forze armate inutili e relativamente efficienti e disciplinate. Questo aveva perso le sue caratteristiche nazionali e, se già con la caduta degli Omayyadi s'era persa la caratterizzazione araba a vantaggio di quella iranica, con il califfato di al-Mutaṣim aveva fatto il suo prepotente ingresso sulla scena l'elemento turco. Inizialmente schiavo, l'elemento turco prese via via consapevolezza della sua forza e della sua centralità nella risoluzione delle continue tensioni che muovevano la periferia contro il centro. L'enorme dilatazione del califfato e la sempre minor efficienza dell'amministrazione favorirono rivendicazionismi nazionali e, dopo l'autonomia di governo riconosciuta dagli Abbasidi ad Aghlabidi e Tahiridi, si ebbero le prime esperienze indipendentistiche, prima delle quali fu quella dei Tulunidi in Egitto e Siria. Si formarono così, con l'andare del tempo, emirati e sultanati indipendenti, non di rado in lotta fra loro. Tutto ciò moltiplicò le corti dando nuovo respiro all'economia (in grado ora d'investire sul posto e di non essere costretta ad arricchire il solo centro dell'impero), oltre che alla scienza e alle attività culturali in genere grazie a una vivace committenza da parte dei vari sovrani. La grande offensiva araba che investì il Mezzogiorno d'Italia nel corso dell'VIII e IX secolo ebbe come protagonisti gli emiri aghlabidi, che, a partire dall'800, aveva consolidato la propria posizione in quella regione che gli Arabi chiamavano Ifrīqiya, corrispondente sostanzialmente alla Tunisia, a parte dell'Algeria occidentale e a piccole porzioni della Cirenaica. La penetrazione araba in Sicilia ebbe inizio nell'827, sostenuta, in chiave anti-bizantina, dal nobile locale Eufemio di Messina. Nonostante questo l'esercito arabo-berbero, guidato inizialmente dall'anziano giureconsulto Asad ibn al-Furāt, impiegò numerosi decenni prima di vincere la forte resistenza locale e quella dei Bizantini che detenevano il controllo dell'isola. Dopo la caduta di Palermo, avvenuta nell'anno 831, sorse un emirato siciliano, divenuto di fatto autonomo (dall'899 e per quasi un secolo) dal potere dei Fatimidi, succeduti nel frattempo in Ifrīqiya agli Aghlabidi. Mediante una lenta penetrazione prolungatasi per tutto il secolo e completata nel 902 con la caduta di Taormina, gli Arabo-Berberi d'Ifrīqiya si insediarono stabilmente sull'isola, sostenuti da una consistente immigrazione dal Nord Africa e da una riuscita opera di islamizzazione delle popolazioni isolane, soprattutto nella zona occidentale dell'isola. Il processo di islamizzazione non cancellò comunque l'elemento greco-latino che rimase maggioritario e il rilevante ruolo delle comunità ebraiche, che abbandonarono l'isola solo molti secoli dopo, per disposizione spagnola. Nel resto del Meridione, ad eccezione dell'emirato di Bari, che peraltro non si orientò mai verso la costruzione di un dominio regionale, e di quello di Taranto, la presenza araba in Puglia e in Campania ebbe fondamentalmente vocazione predatoria. Per questo i musulmani talora dettero vita a insediamenti stabili che potessero fungere da basi per sostenere le loro azioni militari nell'entroterra e sui mari Non migliore fortuna ebbero i tentativi di espansione islamica verso la Calabria sul finire dell'VIII secolo. La conquista araba della Sicilia ebbe come conseguenza globale il blocco dei commerci via mare col mediterraneo occidentale, facendo della rotta Bisanzio-Venezia l' unica praticabile alle navi europee da oriente a occidente, favorendo lo sviluppo di Venezia come porto di tutta l' Europa occidentale. 6 La dominazione araba sulla Sicilia ebbe termine tra il 1061 e il 1091, nei trent'anni che i Normanni impiegarono a riconquistare l'isola (Palermo fu conquistata nell'agosto del 1071). Essa ebbe comunque influssi positivi sull'isola sia in campo economico (l'introduzione di più avanzate tecniche di coltivazione e l'eliminazione del latifondo, portarono ad una maggiore produttività e contribuirono a dare un forte impulso ai già attivi commerci), sia in quello culturale. Palermo, ad esempio, conobbe una splendida fioritura artistica e fu ricordata come la principale città islamica del Maghreb, dopo Cordova, per l'alto numero di moschee, bagni pubblici (hammām) e istituzioni scolastiche. L'Islam si allargò in oriente fino al sub-continente indiano dove, dopo l'esperienza dei Ghaznavidi, costruiranno il sultanato Mughal che fu attivo fino al XIX secolo e ai Moti indiani del 1857 (altrimenti detti dai britannici Mutiny ). Anche l'Insulindia fu in grandissima parte islamizzata e l'Indonesia è lo Stato islamico più popoloso. La conquista ottomana dei Balcani e dell'Ungheria finì invece con la reazione degli Europei nel XVII e nel XVIII secolo, anche se Bosnia e Albania mantengono viva la tradizione islamica in una parte cospicua della loro popolazione. 7