Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA ELEMENTI DI STATISTICA MEDICA ED EPIDEMIOLOGIA PER LE PROFESSIONI SANITARIE-TECNICHE Alessandra Marinoni Simona Villani Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali Università degli Studi di Pavia 1 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Quanto presentato è liberamente tratto dalla Dispensa n° 15 - Unità didattica STATSAN SA dei “Percorsi formativi per il personale dipendente del Ministero della Salute” Prof.ssa Alessandra Marinoni e Dr.ssa Simona Villani Finito di stampare: Pavia, aprile 2002 2 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA CAPITOLO I 1.1 Le caratteristiche dei fenomeni sanitari: variabilità e multidimensionalità Chiunque sia interessato allo studio delle problematiche legate alla salute dell’uomo si rende conto della complessità del problema e della necessità di possedere strumenti adeguati di conoscenza. Quando l’oggetto di studio è l’uomo i principali problemi metodologici sono: 1. variabilità: i fenomeni biologici sono caratterizzati da una estrema variabilità sia entro lo stesso soggetto che tra soggetti. Se replico più volte la misura della pressione arteriosa sistolica su uno stesso soggetto potrò trovare valori diversi e le motivazioni di tale variabilità sono molteplici: variabilità nelle misurazioni, ritmi circadiani, stato emozionale del soggetto, diversa posizione (coricato o seduto) farmaci assunti, e così via (variabilità entro soggetto). Le rilevazioni della pressione arteriosa sistolica in soggetti diversi possono avere valori variabili per diverse motivazioni: età, sesso, razza, stato di salute per citare solo alcuni aspetti (variabilità tra soggetti). 2. la multidimensionalità, per cui è necessario indagare su diversi aspetti del soggetto, anche se l’interesse è una specifica malattia (es. le possibilità di cura, riabilitazione o prevenzione della cardiopatia ischemica dipendono non solo della gravità della malattia, ma dalla presenza o meno di altre patologie (comorbidità) dell’età del soggetto, dal sesso, dalle attività professionali, dalle condizioni socioeconomiche, dal suo livello di educazione, dalla sua personalità, etc.). Tutto ciò implica che gli aspetti da indagare non possono limitarsi alla rilevazione della presenza-assenza della patologia in studio, ma anche di una serie di altre dimensioni ad essa associate che potrebbero condizionare la corretta conoscenza del fenomeno. 3. Il soggetto oggetto di studio è condizionato dal contesto in cui vive, per cui le manifestazioni della malattia possono dipendere dall’ambiente fisico, sociale e famigliare in cui si trova e dalle conseguenti interazioni uomo-ambiente. Tutto 3 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA ciò complica il processo di conoscenza dei fenomeni biologici e sanitari in particolare e rende indispensabile un metodo di approccio rigoroso. Da quanto detto, lo scenario in cui operiamo si presenta così: - unità statistica complessa: l’individuo che è unico, ma deve essere analizzato nelle sue varie dimensioni e quindi ricomposto - la variabilità: ogni osservazione può essere diversa da un’altra (variabilità intra individuale, tra individui, di misura, di fluttuazioni biologiche. 1.2 Il ruolo della statistica e del metodo scientifico in Sanità La statistica medica può essere considerata il momento empirico della scienza, fornendoci la metodologia per lo studio “del vivente”. La statistica medica è intesa come metodologia generale per lo studio dei fenomeni collettivi e quindi della variabilità, attraverso le seguenti modalità: a. osservazione dei fenomeni. La statistica medica insegna come occorre osservare la realtà, come raccogliere i dati, con quali strumenti, su chi, su quanti, etc. b. traduzione in simboli. La statistica medica insegna come riassumere in modo corretto i dati raccolti, cioè come esprimerli e rappresentarli in modo sintetico e appropriato in funzione del tipo di variabile e della sua distribuzione. La media e la deviazione standard, la moda, la mediana, la percentuale, i tassi, i rischi relativi, gli istogrammi, etc. rappresentano alcune delle misure di sintesi di variabili raccolte, ciascuna rispondente ad uno specifico obiettivo come vedremo più avanti. c. evidenza delle irregolarità. Una appropriata analisi statistica di variabili raccolte, consente di evidenziare quei fenomeni che si scostano dalla “normalità” cioè dai valori più frequenti in un set di dati: spesso l’approfondimento su tali irregolarità è molto informativo e può generare nuove ipotesi. d. verifica di ipotesi. È l’aspetto più interessante della metodologia statistica: la possibilità di verificare se un’ipotesi posta sia o no sia confutata dalla osservazione della realtà, come sarà sviluppato nel capitolo sulla inferenza statistica. 4 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Uno dei principali contributi della statistica medica alla conoscenza dei fenomeni biologici è quello di fornirci i metodi per analizzare la variabilità, scomponendola nelle sue componenti di tipo: - sistematico ossia quella parte di variabilità che possiamo attribuire ad una causa (età, sesso, comorbidità, etc.), detta anche variabilità spiegata o prevedibile; - casuale ossia quella parte di variabilità che non riusciamo ad attribuire ad una causa (è detta anche variabilità non spiegata, imprevedibile, e genericamente “biologica”). Il fatto che due fratelli gemelli, apparentemente uguali possano avere valori di altezza diversi, o che rilevazioni successive della pressione arteriosa sistolica sullo stesso soggetto in tempi ravvicinati diano valori diversi, etc. sembra logicamente inspiegabile. In base alle sue funzioni, la statistica si può distinguere in: a) statistica descrittiva il cui obiettivo è quello di riassumere i dati sanitari raccolti calcolando le opportune statistiche descrittive e/o indicatori che in modo sintetico descrivano il fenomeno studiato. La statistica descrittiva rappresenta sempre la prima fase di qualsiasi ricerca, o può essere lo scopo di uno studio conoscitivo esplorativo; b) statistica inferenziale il cui obiettivo è quello di ricavare dallo studio condotto leggi generali che si intendono estendere alla popolazione e/o ad altre situazioni simili. I due momenti fondamentali sono: - la stima dei parametri. Ad esempio lo studio antropometrico di un campione di bambini maschi dai 6 ai 14 anni può consentire di stimare gli intervalli di altezza entro cui dovrebbero collocarsi le altezze dei bambini della stessa fascia di età e della stessa popolazione con un certo livello di probabilità (intervallo di confidenza attorno alla media); - la verifica di ipotesi. Lo scopo della statistica inferenziale è quello di stimare la probabilità che le differenze osservate nei dati di gruppi diversi siano interamente dovute a variabilità casuale piuttosto che a differenze della sottostante popolazione di riferimento. Per capire la statistica inferenziale è necessario introdurre il concetto di popolazione e campione. 5 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA CAPITOLO II 2.1 Popolazione e campione Spesso non è possibile studiare l’intera popolazione che interessa. La statistica ci offre la possibilità di selezionare un sottoinsieme di tale popolazione (un campione), analizzando il quale si possono trarre conclusioni sull’intera popolazione. Perché ciò sia possibile è necessario che la metodologia adottata sia corretta e rigorosa. Lo schema logico di tale processo è illustrato nella seguente figura: 2.1.1 Popolazione target o popolazione obiettivo È l’insieme di tutti gli ipotetici elementi oggetto del nostro interesse. La popolazione obiettivo può essere: - finita se è possibile produrre l’elenco di tutti gli elementi oggetto di interesse. Ad esempio: desidero conoscere le anomalie di comportamento (droghe, alcool, etc.) 6 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA dei giovani adolescenti frequentanti le scuole medie superiori ed inferiori dell’area sanitaria di mia competenza (ASL) ai fini di organizzare un programma di educazione sanitaria nelle scuole. In tal caso la popolazione oggetto di studio è finita, in quanto mi interessa quella specifica popolazione di studenti residenti in quella zona specifica in cui voglio attuare gli interventi di prevenzione. - Infinita quando si tratta di una popolazione ideale, di cui non è possibile produrre un elenco, in quanto spesso deve ancora verificarsi. Se ad esempio, l’obiettivo del mio studio è quello di valutare l’efficacia di un trattamento di disintossicazione dalla tossicodipendenza in giovani adolescenti, la popolazione obiettivo è costituita da tutti quei giovani adolescenti che sono tossicodipendenti, ma anche che potranno diventarlo in futuro, che risiedono ove io conduco lo studio, ma anche in altre parti del paese e del mondo. In tal caso la popolazione di interesse e che potrà beneficiare dei risultati dello studio è infinita. 2.1.2 Popolazione campionata (o base di campionamento) Rappresenta l’aspetto operativo della popolazione obiettivo. Nel caso in cui la popolazione sia finita (utenti di un servizio, residenti di una città, di un’ASL, etc.) è possibile ottenere la lista dei soggetti della popolazione stessa. Se la popolazione obiettivo è infinita non è possibile ottenere la lista di soggetti. In tal caso si sceglie una definizione operativa della popolazione. Ad esempio per valutare l’efficacia di un intervento terapeutico per tossicodipendenti se si opera a Pavia, si potrà scegliere di effettuare la sperimentazione sugli utenti dei servizi dei SERT della provincia di Pavia, per motivi pratici e di fattibilità (si hanno buoni rapporti con i responsabili dei servizi, sono conosciuta dalla popolazione, le distanze sono limitate, etc.). L’assunto è che i tossicodipendenti frequentanti i SERT di Pavia non siano diversi da quelli che potrebbero frequentare altri SERT italiani o di altre parti del mondo, e che se dimostrerà l’efficacia di un trattamento per tale gruppo di soggetti ci si aspetta che ciò sarà valido anche per altri. Tale assunto è molto ambizioso e non sempre è verificato e la generalizzazione alla fine dello studio dovrà essere molto prudente e verificata con le opportune analisi. Tuttavia è l’unico approccio che rende fattibile lo studio! 7 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA 2.1.3 Il campione Non potendo per ragioni pratiche condurre uno studio su tutti i soggetti della base di campionamento (per ragioni di costi, di tempi ed anche etici), la statistica offre i metodi per selezionare un sottoinsieme di tale popolazione, di numerosità limitata, ma adeguata su cui si condurrà in pratica lo studio. Il processo di selezione si chiama campionamento. Selezionato il campione, ed effettuata la raccolta dei dati, prima di sottoporli alla analisi occorre controllarne la qualità con gli opportuni metodi e quindi i dati validati vengono sottoposti alle usuali elaborazioni di statistica descrittiva. La fase successiva di stima dei parametri ed inferenza sulla popolazione sono molto più ambiziose in quanto dall’analisi di un gruppo limitato di soggetti si ha la pretesa di trarre conclusioni su tutta la popolazione. Tale processo è corretto solo se vengono rispettate in modo rigoroso le regole di campionamento che la metodologia statistica indica, e che si basano sulle leggi della probabilità (teoria del campionamento), la cui trattazione esula dal livello di questo corso ma di cui è bene essere consapevoli. Il processo si conclude con la estensione dei risultati trovati alla popolazione campionata e da questa alla popolazione obiettivo. In ciascuno di questi processi inferenziali si possono condurre errori di tipo logico (bias) e pertanto occorre procedere con estrema prudenza e senso critico. Se ad esempio i SERT di Pavia non offrissero alcune prestazioni (metadone, etc.) alcuni tossicodipendenti potrebbero recarsi in altri servizi e quindi alcune tipologie di soggetti sarebbero assenti dal nostro campione (errore di selezione o bias di selezione). 2.2 Tipi di campionamento La metodologia con cui si selezionano i soggetti (o le unità statistiche) dalla popolazione si chiama campionamento. Distinguiamo diversi metodi di campionamento non alternativi, ma ciascuno indicato in specifici contesti, che solo l’esperienza di ricerca in campo clinico ed epidemiologo consente di verificare. Una prima distinzione è la seguente: 8 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA I) campionamenti probabilistici: la scelta delle unità statistiche da sottoporre allo studio è regolata dalle leggi della probabilità; II) campionamenti non probabilistici: la scelta delle unità statistiche da sottoporre allo studio non è di tipo probabilistico. 2.2.1 Campionamenti probabilistici A. Casuale semplice. Per la scelta dei soggetti (o unità statistiche) si segue un criterio che garantisca la stessa probabilità a tutti i componenti della base di campionamento di entrare a far parte del campione. Occorre quindi affidarsi ad un metodo che garantisca la casualità, così che la differenza tra popolazione e campione sia solo di tipo numerico: Sistematicità. Si introduce una regola fissa di selezione che sia indipendente dalle caratteristiche che poi si vanno a misurare (esempio: 1 soggetto ogni 10 partendo da un numero a caso; il primo nato di ogni mese; il paziente che sta nel 2° letto di ogni stanza, etc.). Randomizzazione. Si ricorre ad un criterio di generazione di numeri casuali (lancio di dadi, tabelle dei numeri casuali, programmi per PC che generino numeri casuali, etc.). Il campione sarà costituito da quegli elementi della base 9 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA di campionamento (opportunamente numerati) che corrispondono ai numeri selezionati. B. Casuale stratificato. In campo clinico ed epidemiologico è difficile che non siano disponibili informazioni su caratteristiche della popolazione, che potrebbero essere associate alle variabili in studio la cui presenza potrebbe “confondere” i risultati finali (fattori confondenti). Per tener conto di tali fattori occorre non solo che siano raccolti, ma anche eliminati. Uno dei metodi utilizzati è quello della stratificazione, cioè la suddivisione della base di campionamento in strati omogenei per quelle caratteristiche. Il campione è scelto in modo casuale da ciascuno degli strati. Campionamento stratificato a numero proporzionale. In tal caso il campione riproduce la stessa proporzione della popolazione generale di elementi nei singoli strati, cioè la distribuzione dei fattori di stratificazione nel campione è la stessa di quella della popolazione. Si ricorre a tale tipo di campionamento, quando la popolazione obiettivo coincide con la popolazione campionata e quindi si è interessati ad ottenere un campione che risponda il più fedelmente possibile alla popolazione. Se ad esempio si è interessati a studiare la prevalenza di asma nella popolazione adulta di Pavia (20-69 anni) ai fini di dimensionare i servizi per 10 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA le patologie allergiche e respiratorie, essendo il sesso e l’età due caratteristiche associate alla malattia, si eseguirà un campionamento stratificato proporzionale. Campionamento stratificato a numero fisso. In tal caso la scelta casuale dai singoli strati sarà effettuata prelevando uno stesso numero di soggetti dagli starti, così da ottenere un campione bilanciato per i fattori confondenti. Ad esempio, in uno studio europeo (ECRHS) per conoscere la prevalenza dell’asma nei vari paesi e identificare i fattori di rischio, si è deciso di scegliere per ogni area un campione di 3000 soggetti stratificando la popolazione generale adulta per età e sesso, ma a numero fisso (1500 maschi e 1500 femmine, con numerosità fissa per età) non essendo la popolazione dell’area il vero obiettivo dello studio, ma solo operazionale. C. A grappolo. In tal caso il campionamento è effettuato in due momenti successivi: − campionamento di unità aggregate; − campionamento di unità individuali. Tale tecnica di campionamento è utilizzata quando la ricerca deve essere svolta in aree ampie e dove è possibile utilizzare aggregati di soggetti. Se ad esempio l’obiettivo dello studio è di conoscere la diffusione della carie dentaria, tra i ragazzi in età scolare e identificarne i fattori di rischio l’approccio più ovvio è quello di condurre un’indagine nelle scuole. Non essendo realistico effettuare una visita odontoiatrica a tutti i ragazzi frequentanti la scuola dell’obbligo della nostra area, si può scegliere: − un campione di plessi scolastici distribuiti nelle varie zone geografiche o socioeconomiche dell’ASL e per tipo di scuola(unità aggregate); − un campione di sezioni all’interno di ogni plesso (unità aggregate); − tutti gli alunni delle sezioni così scelte. Ciò consentirebbe di concentrare le risorse salvaguardando la necessità di rappresentatività delle diverse tipologie di scuole e quindi di alunni, in modo realizzabile praticamente. D. Multistadi. 11 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Si tratta di un campionamento che si svolge a stadi successivi con numerosità decrescente e a progressivo livello di approfondimento. Se ad esempio si vuole conoscere la diffusione di asma in una popolazione generale, si può procedere a stadi successivi, come di seguito esemplificato. I° stadio: campione casuale di 3000 soggetti sottoposto a indagine postale mediante un questionario di sintomi standardizzato. Sulla base di tale indagine è possibile individuare un gruppo di soggetti con sintomi riferibili ad asma, un gruppo di soggetti senza sintomi e ad un gruppo borderline. II° stadio: da ciascuno dei gruppi precedenti vengono campionati soggetti da sottoporre a indagine più approfondita (con esame clinico, esami strumentali ed ematologici, etc.). Tale procedura, se condotta in modo corretto con la numerosità necessaria, consente di ottenere risultati di ottima qualità con bassi costi. Tutti i tipi di campionamento, ad eccezione di quello casuale semplice, richiedono particolari metodi di analisi per effettuare le stime dei parametri di interesse. 2.2.2 Campionamenti non probabilistici Quando è possibile definire la popolazione obiettivo e non si dispone di una base di campionamento, si ricorre a tecniche di campionamento non probabilistico. a) Campionamento a quote. Si decide di arruolare nel campione un certo numero di soggetti con le caratteristiche di interesse e si esaminano (esempio volendo conoscere l’opinione di alcuni utenti di un servizio sul comportamento degli operatori, si intervistano 20 maschi e 20 femmine tra gli utenti di 2 giorni diversi della settimana). b) Campionamento a valanga. Si tratta di una metodologia di campionamento che coinvolge inizialmente pochi soggetti a cui si chiede di coinvolgerne altri (amici, conoscenti con le caratteristiche di nostro interesse). Ad esempio, se si desidera conoscere quali siano i problemi di accesso ai servizi degli immigrati extracomunitari di una certa città: si inizia con l’intervistare i gruppi che stazionano agli ingressi dei supermercati, e si chiede loro di coinvolgere amici o compaesani. c) Campionamento a scelta ragionata (judgement). 12 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Per alcuni studi interessa conoscere l’opinione dei personaggi chiave, che si ritiene in grado di fornirmi informazioni interessanti sull’argomento. La scelta del campione è allora “ragionata” nel senso che è il gruppo di ricercatori che decide chi scegliere per lo studio. A tale approccio si ricorre spesso negli studi valutativi e di accreditamento dei servizi. d) Campionamento accidentale. Per studi esplorativi si ricorre a campioni occasionali su pochi casi: l’obiettivo è spesso quello di messa a punto di metodologie di indagine. Va sottolineato che i campioni non probabilistici non consentono la generalizzazione come indicato nella figura a pagina 9. 13 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA CAPITOLO III 3.1 I disegni degli studi epidemiologici Le indagini epidemiologiche, cioè gli studi sulle condizioni di salute della popolazione generale, possono essere classificati in studi osservazionali o studi sperimentali, come schematizzato in tabella 1 riporta i tipi di studio epidemiologico. Gli studi osservazionali sono quegli studi in cui il ricercatore si limita ad osservare ciò che accade, rilevando le caratteristiche di interesse (presenza di malattie, di fattori di rischio o causali, etc.) senza intervenire. Gli studi sperimentali sono quegli studi in cui il ricercatore interviene attivamente per modificare un determinante della malattia (come un’esposizione o il comportamento) o il suo progredire (come un trattamento). Gli studi sperimentali implicano quindi che il ricercatore somministri (o tolga) il fattore di cui vuole studiare l’effetto. Per ragioni etiche gli studi, sperimentali sull’uomo sono limitati a quelli di tipo terapeutico o preventivo: se l’obiettivo è quello di trovare fattori di rischio o causali di patologie, il tipo di studio non può essere sperimentale ma osservazionale! 3.2 Studi osservazionali e studi sperimentali 1. Gli studi osservazionali, in base allo scopo, si dividono in: a) studi descrittivi. L’obiettivo è quello di descrivere lo stato di salute di una popolazione, attraverso l’uso di dati routinari: rappresentano in genere il primo approccio alla conoscenza di un problema epidemiologico. Si tratta di studi semplici, il livello informativo è limitato. b) studi analitici. L’obiettivo è quello di studiare le relazioni tra malattia e altre variabili supposte fattori di rischio o causali. La maggior parte degli studi epidemiologici sono di tipo analitico. In base al disegno della ricerca gli studi analitici si distinguono in: 14 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA b1-studi ecologici; l’obiettivo è quello di esplorare la plausibilità di relazioni tra fattori di rischio (determinanti) e patologie (outcome). Le unità di analisi sono popolazioni di soggetti e non individui: inoltre il fattore e l’effetto non sono raccolti sullo stesso individuo. Ad esempio, ipotizzando che esista una relazione tra fumo di sigaretta e tumore del polmone, un primo approccio è quello di verificare se la mortalità per tumore al polmone di diversi paesi è associata alle vendite di tabacco in quei paesi. L’associazione così evidenziata (correlazione ecologica) rappresenta una evidenza a favore dell’ipotesi anche se non conclusiva, in quanto il rischio di bias in tali studi è molto elevato. b2-studi trasversali o di prevalenza; l’obiettivo di tali studi è quello di misurare la diffusione di una patologia (o stato morboso) in una popolazione generale e in gruppi di popolazione a rischio. Si effettuano su campioni casuali della popolazione obiettivo (studi campionari) o su intere popolazioni (studi esaustivi). La misura di malattia prodotta è il N° di persone con la malattia Tasso di prevalenza = in un momento specificato × 1000 N° di persone nella popolazione a rischio in un momento specificato Se i dati sono stati raccolti in un preciso momento temporale, si ottiene il tasso di prevalenza puntuale. Più frequentemente, il tasso è calcolato in un periodo (mese o anno) e si chiama tasso di prevalenza periodale, inteso come numero di persone che presentano la situazione morbosa in un definito periodo, nella popolazione a rischio nello stesso periodo. Indipendentemente dalla durata dello studio, il fatto importante è che lo stato di salute del soggetto è valutato in un definito momento contemporaneamente alla rilevazione degli eventuali fattori di rischio e confondenti. In altre parole, tutte le rilevazioni sul soggetto vengono effettuate una sola volta. 15 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Se si valuta il tasso di prevalenza in gruppi a diversa esposizione al fattore di rischio, si può calcolare una misura di associazione nota come Rischio Relativo. Ad esempio, è stato calcolato il tasso di prevalenza di asma in un’area a basso livello di inquinamento ambientale (A) e in un’area ad alto inquinamento ambientale (B): Area A: tasso di prevalenza 0,3% Area B: tasso di prevalenza 0,8% Il Rischio Relativo è: RR = 0,8 = 2,7 0,3 Ciò significa che chi risiede nell’area B ha 2,7 volte più rischio di essere malato di asma rispetto a chi vive nell’area A. b3-studi longitudinali o di incidenza o di coorte; l’obiettivo di tali studi è quello di valutare l’insorgenza della patologia di interesse nella popolazione e in gruppi a rischio. Tali studi prevedono sempre almeno due rilevazioni successive sui soggetti: nella prima fase si sceglie un campione di popolazione senza la malattia in studio (coorte) si raccolgono le variabili di interesse (fattori di rischio, protettivi, etc.) e si segue nel tempo stabilito (follow-up) tale coorte, rilevando l’insorgenza dei casi della malattia, che ovviamente saranno “nuovi casi” 16 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Le misure di malattia sono il: a) tasso di incidenza (I): N° di persone che si ammalano nel periodo scelto Somma dei tempi durante i quali Tasso di incidenza tempo - persona = × 1000 ogni soggetto della coorte è a rischio Tale tasso tiene cioè conto del periodo di osservazione specifico per ogni individuo della coorte. Va sempre specificato il periodo di follow-up (anno, mese, etc.). b) tasso di incidenza cumulato (IC): è una misura più semplice, che valuta i nuovi casi di malattia sulla popolazione a rischio all’inizio dello studio: N° di persone che si ammalano IC = nel periodo × 1000 N° di soggetti liberi dalla malattia all' inizio dello studio Anche questo tasso va riferito al periodo in studio. Esso rappresenta la probabilità che un soggetto della coorte libero da malattia ha di sviluppare la malattia nel periodo di follow-up. Le misure di associazione. Dagli studi longitudinali si ricava anche il Rischio Relativo: RR = IC negli esposti IC nei non esposti Esempio: si consideri una coorte di 1000 soggetti di cui 300 fumatori e 700 non fumatori. Alla fine del periodo di follow-up (di 25 anni) si 17 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA valutano quanti soggetti si sono ammalati di tumore al polmone nei due gruppi e si ottengono i seguenti risultati: FUMO MALATTIA Sì No Sì 15 285 300 No 4 696 700 20 980 1000 Le Incidenze Comulative (IC) sono pertanto: IC totali = IC fumatori = 20 × 1000 in 25 anni = 20% 1000 15 × 1000 in 25 anni = 50% 300 IC non fumatori = RR = 4 × 1000 in 25 anni = 5,7% 700 IC fumatori 50 = = 8,8 IC non fumatori 5,7 I fumatori hanno un rischio di 8,8 volte più elevato di ammalarsi in 25 anni di tumore al polmone rispetto ai non fumatori. Vale la pena di ricordare la diversa capacità informativa dei due tipi di studio ed i legami tra le misure fornite. Prevalenza e Incidenza La prevalenza è legata all’incidenza da P ≅ IC × d dove P = Prevalenza, IC = Incidenza, d = durata della malattia. La prevalenza comprende infatti sia i nuovi casi (IC) ma anche i vecchi casi di malattia condizionatamente alla sua durata. Nel caso di patologie acute i due tassi sono quasi coincidenti, nel caso di patologie croniche a lunga sopravvivenza i due tassi sono molto diversi. 18 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA b4-studi caso-controllo; l’obiettivo è quello di individuare i fattori di rischio o protettivi per una patologia. Si identificano due gruppi di soggetti da una stessa popolazione casi = soggetti con la patologia in esame controlli = soggetti senza la patologia in esame Si ricerca quindi la presenza attuale o passata dei supposti fattori di rischio nei due gruppi come illustrato nella seguente figura Ad esempio, è stato condotto uno studio per valutare il rischio di morire se non si indossa il casco in gravi incidenti che coinvolgono motociclisti: si sono scelti come casi 100 soggetti morti in incidenti e 100 soggetti sopravvissuti. CASCO I risultati ottenuti sono i seguenti: Casi Controlli Sì 30 80 110 No 70 20 90 100 100 200 Si nota che su 200 incidenti gravi, il 45% era senza casco, ma la distribuzione dei soggetti senza casco è diversa tra casi e controlli. Infatti, 19 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA tra i casi i soggetti senza casco sono il 70% mentre tra i sopravvissuti sono solo il 20%. La misura di associazione appropriata è l’Odds Ratio (OR) cioè il rapporto delle probabilità di esposizione tra i casi e la probabilità di esposizione tra i controlli. Nell’esempio considerato l’esposizione è il ‘non usare il casco’: OR = 70 30 70 × 80 = = 9,3 20 80 30 × 20 cioè il rischio di morire in un grave incidente è 9,3 volte più elevato in chi non ha il casco rispetto a chi lo porta. L’Odds Ratio è una buona stima del Rischio Relativo, soprattutto se la patologia è rara, perché i casi ed i controlli siano tratti dalla stessa popolazione. 2. Gli studi sperimentali. L’obiettivo di tali studi è quello di evidenziare l’associazione tra un fattore (trattamento) e un effetto (modificazione dello stato di malattia): si possono quindi considerare studi analitici, in cui il fattore è somministrato, ad un certo momento, dal ricercatore. Rispetto alla valutazione di una relazione, gli studi sperimentali consentono di conoscere la precedenza temporale del fattore rispetto all’effetto. Inoltre, essendo il fattore somministrato secondo criteri casuali ai soggetti selezionati, si garantisce un’equa distribuzione dei fattori confondenti tra i gruppi in studio. Pur rappresentando quindi un disegno di studio vantaggioso, non è sempre attuabile quando l’oggetto di studio è l’uomo. Per ovvi motivi etici possiamo, infatti, condurre studi sperimentali solo quando l’intervento previsto è “positivo” per il soggetto (trattamento terapeutico o preventivo) e non per l’identificazione di fattori casuali o supposti di rischio per lo sviluppo della malattia. Schematicamente distinguiamo diversi tipi di studi sperimentali sull’uomo: - sperimentazioni cliniche controllate randomizzate. L’obiettivo è quello di valutare l’efficacia di un intervento terapeutico o riabilitativo e quindi riguarda pazienti affetti da malattia. - sperimentazioni sul campo (field trials). 20 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA L’obiettivo è quello di valutare l’efficacia di interventi di prevenzione sui soggetti esposti a rischio, ma non ancora malati. Rientrano in questo tipo di studi le sperimentazioni di nuovi vaccini, le sperimentazioni di farmaci o diete per soggetti con ipercolesterolemia o sovrappeso, e così via; Si tratta di studi piuttosto complessi poiché implicano dapprima uno studio “sul campo” per individuarne i soggetti a rischio, da sottoporre poi ad una sperimentazione. - sperimentazioni di comunità (community trial). L’obiettivo è quello di verificare l’efficacia di interventi preventivi effettuati su comunità, anziché sui singoli individui. È utilizzato soprattutto nel caso di patologie che riconoscono fattori di rischio sociali e ambientali, per cui è possibile agire direttamente su tali fattori. 21 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Tabella 1 – Tipi di studio epidemiologico Denominazione Unità epidemiologica Misure di malattia Misure di associazione Possibili applicazioni Rischio di bias Capacità di evidenziare relazioni causali altissimo nessuna (talora generazione di ipotesi) alto generazione di ipotesi medio bassa medio-basso (rischio di perdite al follow-up) media 1) Osservazionali a) descrittivi soggetti comunità statistiche descrittive indici mortalità correlazioni morbosità etc. - studi pilota - studi esplorativi b) analitici b1) ecologici popolazioni gruppi b2) trasversali soggetti b3) coorte o longitudinali soggetti correlazione ecologica - patologie rare - rend prevalenza ~ RR - diffusione patologie - fattori di rischio incidenza RR - comparsa di nuovi casi di malattia - fattori di rischio - effetto di interventi b4) caso-controllo soggetti OR - fattori di rischio medio media 2) Sperimentali 1) RCT (sperimentazioni cliniche controllate) 2) Trial sul campo soggetti trattamento-esito - valutazione efficacia trattamenti basso buona soggetti buona comunità - valutazione efficacia interventi preventivi - valutazione efficacia interventi preventivi basso 3) Trial in comunità intervento-comparsa di malattia intervento-comparsa di malattia medio medio 22 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA CAPITOLO IV 4.1 Metodi di analisi dei dati e loro interpretazione Prima di vedere i metodi di analisi dei dati e la loro interpretazione, è opportuno introdurre alcuni termini fondamentali. Un esempio pratico consentirà di comprendere meglio i concetti che saranno esposti. Il direttore generale di una certa ASL vorrebbe sapere qual è il grado di diffusione delle patologie cronicodegenerative nella popolazione residente sul territorio dell’Azienda Sanitaria da lui diretta, al fine di meglio orientare le risorse disponibili. Pertanto è condotto uno studio su un campione di 500 persone dai 20 ai 59 anni di età estratte in modo casuale dalle liste dei medici di famiglia. Ogni individuo costituisce la minima unità da cui si raccolgono le informazioni ed è detta unità statistica. Le informazioni su ogni soggetto sono raccolte mediante un’intervista effettuata a domicilio da personale opportunamente addestrato utilizzando un questionario semistrutturato, contenente oltre che le caratteristiche anagrafiche (sesso, età, stato civile, scolarità) diverse domande indaganti lo stato di salute di ogni rispondente rispetto alla presenza e assenza di cardiopatia ischemica, vasculopatie periferiche o cerebrali, ipertensione, diabete, oltre che valori di pressione (sistolica o PAS e diastolica o PAD), la concentrazione all’eventuale ultimo prelievo effettuato negli ultimi 12 mesi di colesterolo, HDL, LDL, glicemia. Ciascuna informazione raccolta con il questionario è detta variabile. La natura delle variabili è varia entro uno studio, nel senso che alcune ‘misurano’ la presenza di determinati stati con cui la caratteristica si può presentare (basti pensare al colore dei capelli, che può essere nero, marrone, rosso, biondo), altre ‘misurano’ in termini quantitativi come una determinata caratteristica si presenta e la esprimono per mezzo di un numero (si pensi alla pressione sistolica). Formalmente le variabili si dicono: 1) qualitative e si suddividono in nominali e ordinali. Una variabile si dice nominale dicotomica o politomica quando assume rispettivamente due o più stati tra loro non ordinabili. A titolo di esempio si ricordino per le variabili nominali dicotomiche il sesso (maschio/femmina) 23 e la cardiopatia ischemica Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA (assente/presente); per quelle nominali politomiche il gruppo sanguigno (A, B, AB, 0). Quando è possibile individuare un ordine tra gli stati assumibili, la variabile si dice ordinale: e il grado di istruzione (analfabeta, licenza elementare, licenza media inferiore, diploma superiore, laurea) o la gravità di un sintomo (lieve, medio, forte) ne sono un esempio; 2) quantitative o numeriche quando specificano il valore assumibile mediante un conteggio (come può essere il numero di attacchi anginosi e di gravidanze) o una misurazione (il peso, l’altezza, il livello di colesterolo). Nel primo caso la variabile si dice discreta perché può assumere solo valori interi, nel secondo continua perché potrebbe assumere qualsiasi valore compreso in un intervallo se il grado di precisione dello strumento di misurazione impiegato fosse sufficientemente elevato. L’informazione contenuta in ogni questionario è stato utilmente informatizzata (in un foglio elettronico Excel) così da ottenere una matrice dei dati, costituita da tante righe quanti erano i soggetti intervistati (500) e da tante colonne quante erano le informazioni o variabili raccolte con il questionario. In generale, leggendo una riga della matrice si ha l’informazione di un soggetto per tutte le variabili, leggendo una colonna si ha per una stessa variabile l’informazione su tutti i soggetti. Dopo un accurato controllo di qualità è iniziata la descrizione dei dati. 4.2 La statistica descrittiva La statistica descrittiva comprende (come già detto) quelle tecniche che consentono di sintetizzare i dati o variabili raccolte in una ricerca. Secondo la natura delle variabili indagate sarà corretto l’impiego di una o diverse misure di sintesi. 4.2.1 Le frequenze e i grafici Per poter rispondere alla domanda: quanti sono gli ipertesi e quanti i normotesi, è necessario scegliere la colonna della matrice nella quale l’informazione sulla ipertensione è stata inserita, e andare a contare quante volte compare la parola ‘presente’ e quante volte quella ‘assente’. Ovviamente la somma dei due conteggi sarà uguale al totale delle osservazioni effettuate. 24 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Così facendo altro non si determina che la distribuzione di frequenza assoluta di una variabile, da cui si può ricavare quella relativa rapportando il conteggio di ogni modalità al totale delle osservazioni fatte, e moltiplicando quest’ultima per 100 si ottiene quella percentuale: IPERTENSIONE Presente Assente Totale Frequenza assoluta 201 299 500 Frequenza Relativa 201/500=0,40 299/500=0,60 500/500=1,00 Frequenza percentuale 40% 60% 100% Leggendo la colonna relativa alla distribuzione di frequenza percentuale (Frequenza percentuale) si sa che per la variabile ipertensione la frequenza percentuale della modalità ‘presente’ è del 40 % ossia che l’ipertensione è presente nel 40% dei soggetti campionati. Le distribuzioni di frequenza sono o istogramma a canne d’organo del tipo: il primo modo con cui vanno PRESSIONE SISTOLICA sintetizzate le informazioni, siano 40% esse variabili qualitative come il 30% sesso oppure quantitative come la sarebbe 20% auspicabile prima raggruppare in 10% PAS. classi In i calcolarne tal caso valori la osservati e distribuzione di 0% [110120) [120130) [130140) [140150) [150160) [170180) intervallo di classe di 10 mmHg frequenza. Poi sulla base di questa distribuzione, costruire un grafico Dalla tabella riportata a lato, si deduce Colesterolo (mg/100ml) [140-160) [160-180) [180-200) [200-220) [220-240) [240-260) [260-280) [280-300) che la frequenza percentuale per la classe [160-180) mg/100 ml è 11%, ossia si ricava che l’11% dei soggetti campionati presentano un valore di colesterolo compreso tra 160 e 180 mg/100ml. 25 Frequenza % 4 11 22 24 19 10 7 3 100 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Per le variabili quantitative è possibile determinare la distribuzione di frequenza cumulata partendo da quella assoluta, oppure relativa o percentuale, come esemplificato nella tabella sottostante per la distribuzione di frequenza percentuale del colesterolo raggruppato in classi: Colesterolo (mg/100ml) [140-160) [160-180) [180-200) [200-220) [220-240) [240-260) [260-280) [280-300) Frequenza % 4 11 22 24 19 10 7 3 100 Freq. Cumulata % 4 4+11=15 4+11+22=37 4+11+22+24=61 4+11+22+24+19=80 4+11+22+24+19+10=90 4+11+22+24+19+10+7=97 4+11+22+24+19+10+7+3=100 La frequenza cumulata percentuale alla classe [160-180) è pari al 15% e ci dice qual è la percentuale di soggetti che presentano un valore di colesterolo ematico ‘fino a 180 mg/100ml’: infatti, si determina sommando la frequenza percentuale per la classe [140-160) con la frequenza percentuale per la classe [160-180). 4.2.2 Le misure di sintesi Nel caso di variabili quantitative sono però calcolabili altre importanti misure di sintesi che vanno sotto il nome di misure o statistiche descrittive: la media, la mediana, i percentili, la moda, sono tra le misure di posizione; il range, la varianza, la deviazione standard, sono alcune misure di dispersione o variabilità. Tali misure sintetizzano in un unico valore numerico l’informazione raccolta e ciò è particolarmente vantaggioso nel caso di campioni numerosi, dove è possibile trovare differenti e svariati valori assunti dalla variabile quantitativa esaminata. La media aritmetica è la somma dei valori che una variabile assume per ogni unità statistica osservata divisa per il numero di unità statistiche e si indica con x (si legge ics sopra segnato) o M quando si tratta di un campione: n x= ∑x i =1 n 26 i Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA e con la lettera greca µ (si legge mi) quando si tratta di una popolazione e in tal caso si parla di parametro. La mediana è il valore della variabile che divide esattamente a metà la serie ordinata (in senso crescente o decrescente) delle osservazioni. I percentili dividono la serie ordinata delle osservazioni in 100 parti, contenenti ciascuna l’1% delle osservazioni. I più noti sono: il 25° percentile che lascia prima di sé il 25% delle osservazioni e il 75% dopo, il 50° percentile che lascia il 50% prima e il 50% dopo, il 75° percentile che lascia il 75% prima e il 25% dopo. Come si può facilmente dedurre da quanto sopra detto il 50° percentile coincide con la mediana. La moda è il valore che la variabile assume con maggior frequenza. Può esserci più di una moda. Il range è la differenza tra il valori massimo e il valore minimo osservati per una certa variabile. Tale misura di variabilità tende però a diventare più grande aumentando il numero di osservazioni e comunque non ci dice quanto siano ‘dispersi’ tra il massimo e il minimo i valori della variabile esaminata. Più utile sarebbe allora determinare la distanza o scarto di ogni (i-esima) osservazione dalla media e poi fare la media di queste distanze, così da determinare la distanza media: ∑ (x i − x) n Purtroppo però il numeratore di questo rapporto, cioè la somma degli scarti delle osservazioni dalla media, è 0. Per ovviare a questo problema una delle possibilità è l’elevamento a quadrato di ogni scarto, che porta sempre a valori positivi. La somma di tali scarti elevati al quadrato è detta anche devianza. A questo punto sarà possibile calcolare la media dei quadrati degli scarti intorno alla media che è la misura di sintesi nota come Varianza = ∑ (x i − x) 2 (n − 1) indicata solitamente con s2, nel caso di un campione, o con σ2 (si legge sigma), se si tratta di popolazione. Al denominatore anziché n si può mettere (n − 1) ossia i gradi libertà, ricordando così un solo modo per calcolare la varianza. I gradi di libertà è “il numero di quantità indipendenti tra tutte quelle osservate, dove per quantità si 27 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA intendono gli scarti dalla media di tutte le n osservazioni”: tenuto conto il vincolo che la somma degli scarti delle osservazioni dalla media è uguale a zero, noti (n − 1) scarti si trova per differenza l’nsimo valore. Come si deduce dalla stessa definizione, la varianza esprime i valori della dispersione elevati al quadrato. Il modo per ritornare ad esprimere la dispersione nella stessa unità di misura della media è estrarre la radice quadrata della varianza, ossia: s = 2 ∑ (x i − x) 2 (n − 1) Così facendo si determina la cosiddetta deviazione standard, indicata con s o DS per un campione, o σ se si tratta di popolazione. Per meglio capire quanto sopra spiegato, consideriamo il seguente esempio: si supponga avere un campione di 8 studenti di medicina da cui è raccolta l’informazione sull’altezza 171, 168, 174, 172, 180, 175, 176, 177 (in cm). La media dell’altezza è pari a 174,125 cm. Calcolando gli scarti di ogni osservazione dalla media e sommandoli (seconda colonna), si otterrebbe zero. xi ( xi − x ) x 168 − 174,125 = 171 − 174,125 = 172 − 174,125 = 174 − 174,125 = 175 − 174,125 = 176 − 174,125 = 177 − 174,125 = 180 − 174,125 = −6,125 −3,125 −2,125 −0,125 +0,875 +1,875 +2,875 +5,875 0,000 ( xi − x ) 2 37,516 9,766 4,516 0,016 0,766 3,516 8,266 34,516 98,878 Elevando al quadrato gli scarti tale problema si elimina (terza colonna), quindi la varianza è ∑ (x i − x) 2 n −1 = 98,878 = 14,125429 cm2 7 e la deviazione standard sarà la sua radice quadrata pari a 3,76 cm. Tornando al caso dell’esempio iniziale, nel campione esaminato di 500 individui per la variabile colesterolo si avrebbe: x = 203,56 µg/100ml; mediana=175 µg/100ml; 28 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA min=145 µg/100ml; max=390 µg/100ml; s=80,66 µg/100ml; R=245 µg/100ml Nel caso di variabili quantitative i cui valori sono osservati più di una volta, ossia con frequenza ripetuta, o riclassificati in classi, allora sarà necessario ‘pesare’ per tale frequenza tanto nella stima della media quanto in quella della varianza e della deviazione standard. Precisamente il numeratore della media, della varianza e della deviazione standard va moltiplicato per la frequenza fi (o fk) con cui il valore xi (o xk) si osserva: Media Variabile con frequenza ripetuta Variabile con dati in classi ∑x i fi Varianza ∑ [( x k ∑ [( x i n −1 n ∑x − x) 2 ⋅ fi ] i Deviazione Standard fk ∑ [( x k − x)2 ⋅ fk ] n −1 n − x)2 ⋅ fi ] n −1 ∑ [( x k − x)2 ⋅ f k ] n −1 dove xk è il valore centrale della classe, ottenuto facendo la media aritmetica dell’estremo superiore e inferiore di ogni classe ([estremo inferiore+estremo superiore]/2). Immaginiamo di aver selezionato in modo casuale dalla popolazione delle matricole della classe delle Professioni Sanitarie tecniche di una data Università Italiana un campione di 57 studenti, e di averne misurata la statura. Poiché i valori di tale variabile erano molto diversi tra loro, sono stati riclassificati in classi, ottenendo la seguente distribuzione di frequenza: Statura cm [170.5-175.5) [175.5-180.5) [180.5-185.5) [185.5-190.5) [190.5-195.5) 29 fk 10 12 19 10 6 57 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Volendo determinare la statura media e la deviazione standard, si dovrà procedere prima a calcolare il valore centrale di ciascuna classe (xk) (a titolo esemplificativo riportiamo il calcolo del valore centrale della prima classe: xk=1=(170.5+175.5)/2=173) e quindi alla stima delle misure di sintesi pesando per la frequenza: [xj − xj+1) fk xk xk fk ( xk − x ) [170.5-175.5) [175.5-180.5) [180.5-185.5) [185.5-190.5) [190.5-195.5) Σ 10 12 19 10 6 57 173 178 183 188 193 173×10 178×12 183×19 188×10 193×6 − 9.12 − 4.12 0.88 5.88 10.88 x= ( xk − x ) 2 83.1744 16.9744 0.7744 35.5744 118.3744 ( xk − x ) 2 f k 831.7440 203.6928 14.7136 345.7440 710.2464 2106.1408 173 ⋅10 + 178 ⋅12 + 183 ⋅19 + 188 ⋅10 + 193 ⋅ 6 10381 = = 182.12 cm 57 57 s2 = ∑ [( x k − x )2 ⋅ f k ] n −1 s= ∑ [( x k = 2106.1408 = 37.6097 cm 2 56 − x)2 ⋅ fk ] n −1 = 6.1327 cm Risulta quindi una statura media di 182.12 cm, con una variabilità di 6.13 cm. La distribuzione di frequenza di una variabile quantitativa è spesso una distribuzione normale, che graficamente si presenta come una curva a campana simmetrica. Tale distribuzione normale gode di alcune proprietà: la mediana e la moda coincidono con la media. Inoltre, tra il valore medio e una deviazione standard è contenuto il 68% circa delle osservazioni, tra il valore medio e due volte la deviazione standard è contenuto (circa) il 95% delle osservazioni e tra il valore medio e tre volte la deviazione standard è contenuto il 99,7% delle osservazioni: 30 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA µ ± σ = 68% µ ± 2σ = 95% µ ± 3σ = 99,7% Ciò significa che se in una ricerca si sono raccolti 100 valori di peso per un gruppo di soggetti maschi di 18 anni di età, e la media è 71 Kg con una deviazione standard di 6 Kg, ho l’informazione che circa il 68% dei soggetti del campione ha un peso compreso tra 65 e 77 chilogrammi, il 95% circa ha un peso compreso tra 59 e 83 chilogrammi, dato che la variabile peso è distribuita normalmente quando raccolta su gruppi omogenei. In Appendice A sono riportate le tavole della distribuzione o Curva Normale Standardizzata. 4.3 La statistica inferenziale La statistica inferenziale è quella parte della statistica con cui, si cerca di trarre delle conclusioni sulla popolazione basandosi sulle informazioni osservate in un campione. Precisamente, la statistica inferenziale è un insieme di tecniche con le quali si cerca: di verificare se i risultati ottenuti in una certa indagine sono conformi o meno con le congetture o le supposizioni (il quesito scientifico) che hanno motivato la ricerca stessa; 31 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA di stimare un parametro della popolazione, partendo dai dati relativi ad un campione che si suppone appartenere ad essa. 4.3.1 La verifica d’ipotesi e il test statistico La verifica dell’ipotesi è un metodo per valutare se le differenze osservate tra gruppi diversi siano dovute alla variabilità biologica e quindi al caso o a differenze delle sottostanti popolazioni di riferimento. Per verificare l’ipotesi si ricorre ad una statistica: la statistica test, che è diversa secondo il tipo di variabili e del problema in esame. Il test statistico è costruito per verificare l’ipotesi di uguaglianza (o nulla) H0 tra i gruppi, ovvero che le differenze osservate sono solo dovute al caso. Per ogni statistica test è stata formulata una distribuzione che rappresenta le probabilità di trovare i diversi valori della statistica test quando l’ipotesi zero o nulla è vera, cioè quando le differenze sono casuali, sotto H0 vera. Di seguito è riportata la distribuzione per la statistica test χ2 (caso specifico per 1 grado di libertà). 5% 95% 3,84 Dalla figura sopra riportata si evince che, sotto l’ipotesi nulla vera, la statistica χ2 può assumere tutti i valori da 0 a +∞, ma la probabilità di trovare valori elevati è più piccola che quella di trovarne di piccoli. È necessaria allora una regola di decisione, che consenta di rendere operativo l’uso del test. La comunità scientifica è d’accordo nel ritenere che valori del χ2 che hanno complessivamente una probabilità di verificarsi di almeno il 95%, sono più compatibili con H0 vera e quindi portano ad accettare H0. Valori del test che hanno 32 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA solo una probabilità di verificarsi del 5% o inferiore sono considerati troppo rari e quindi meno compatibili con H0 vera: tali valori porteranno a rifiutare H0. È chiaro che la decisione di rifiutare H0 non è scevra di rischi di errore, ma si è in grado di quantificarlo in un p-value o P<0,05: pertanto la probabilità di errore che noi commettiamo rifiutando H0 è inferiore al 5%. L’errore commesso quando si rifiuta H0 è comunemente chiamato errore α o di I tipo. Ed ora qualche esempio. 4.3.2 Esempio di applicazione del test χ2 È stato condotto un trial clinico controllato randomizzato per valutare se il nuovo farmaco potesse essere efficacemente utilizzato per ridurre il rischio di morte nei pazienti affetti da HIV. Ventidue soggetti sottoposti a terapia con il nuovo farmaco e 22 trattati con placebo furono seguiti per 15 anni. Al termine del periodo di osservazione si trovò che 11 soggetti erano morti nel gruppo trattato con il nuovo farmaco e 16 in quello trattato con placebo. Apparentemente sembrerebbe che il nuovo farmaco sia efficace, data la minor frequenza di morti nel gruppo di soggetti trattati (11/22) rispetto a quella del gruppo di coloro che ricevettero placebo (16/22): Nuovo farmaco 11 11 22 Vivo Morto Placebo 6 16 22 17 27 44 Supposto corretto il metodo di campionamento si deve oggettivamente verificare se quanto osservato su un campione di pazienti affetti da HIV sia generalizzabile a tutta la popolazione (campionata) di pazienti interessati dalla stessa patologia. Pertanto si formula l’ipotesi statistica: H0 non esiste associazione tra trattamento ed esito Quindi si individua il test statistico da utilizzare. Essendo l’outcome di interesse (morte) una variabile di tipo binario (sì/no), utilizziamo allora il test χ2 per le tavole di contingenza 2×2 χ2 = ∑ (O − E ) 2 E 33 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA dove O sono le frequenze osservate ed E quelle attese sotto H0 vera. Queste ultime si ottengono semplicemente moltiplicando il totale di riga per quello di colonna e dividendo per il totale generale. La frequenza dei pazienti vivi in trattamento sarà: E1 = 22 × 17 = 8,5 44 per differenza si possono facilmente ricavare tutte le altre frequenze attese e si costruisce la tabella degli attesi: Nuovo farmaco 8,5 13,5 22 Vivo Morto Placebo 8,5 13,5 22 17 27 44 Con i dati rilevati nel campione esaminato, risulterebbe: 2 2 2 2 ( 11 − 8,5) ( 6 − 8,5) ( 11 − 13,5) ( 16 − 13,5) χ = + + + 2 8,5 8,5 13,5 13,5 = = 0,74 + 0,74 + 0,46 + 0,46 = 2,4 Controllando sulla tavola della distribuzione χ2 (in Appendice B) in corrispondenza della riga 1 grado di libertà (essendo una tabella 2×2) il valore ‘calcolato’ non cade nella colonna 0,05, dove si trova 3,84: ciò significa che il valore ‘calcolato’ è minore di quello tabulato (ossia cade nella regione di non rifiuto dell’ipotesi nulla) quindi non si deve rifiutare l’ipotesi nulla di uguaglianza, e concludere che la differenza riscontrata tra la frequenza di morte dei pazienti trattati con il nuovo farmaco e quella dei pazienti trattati con placebo potrebbe essere casuale, e non dovuta all’efficacia del nuovo terapico. 4.3.3 Esempio di applicazione del test t di Student per confrontare due campioni (test t per dati indipendenti) Alcuni ricercatori sono interessati a conoscere se il livello medio di acido urico serico di soggetti con Sindrome di Prader-Willi (gruppo 1) sia diverso da quello di individui normali. Sono stati esaminati 12 soggetti con la sindrome e 15 senza ottenendo i seguenti dati: 34 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Gruppo 1 Gruppo 2 n x s 12 15 4,5 mg/100 ml 3,4 mg/100 ml 1 mg/100 ml 1,22 mg/100 ml I due valori medi suggerirebbero che livelli di acido urico serico sono diversi tra i soggetti con e senza Sindrome di Prader-Willi. Come visto per il caso precedente, l’interesse è rivolto non solo ai 27 soggetti con la Sindrome, ma a tutti quelli che presentano la stessa Sindrome (popolazione campionata). Di conseguenza, si deve oggettivamente verificare se quanto osservato su un campione di individui sia generalizzabile a tutta la popolazione (campionata) da cui esso è stato estratto. Pertanto si formula l’ipotesi statistica: H0 il livello medio di acido urico serico è uguale nei soggetti con e senza Sindrome di Prader-Willi e si individua il test statistico da utilizzare. Essendo l’outcome di interesse (livello di acido urico serico) una variabile di tipo quantitativo, utilizziamo il test t di Student per dati indipendenti (supponendo che le varianze siano uguali): t= (x1 − x2 ) 1 1 s 2p + n1 n 2 dove (n1 − 1) s12 + (n2 − 1) s 22 s = n1 + n 2 − 2 2 p è la varianza pooled, ossia una stima congiunta delle varianze nei due campioni. Con i dati rilevati nel campione esaminato, risulterebbe: t= (4,5 − 3,4) 1 1 1,273504 + 12 15 = 2,52 Controllando sulle tavole della distribuzione t (Appendice C) nella colonna relativa a α=0,05 per numero di gradi di libertà pari a n1+n2−2=25 si trova un valore pari a 2,06. 35 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA Ecco che il valore ‘calcolato’ è in termini assoluti maggiore di quello tabulato (ossia cade nella regione di rifiuto dell’ipotesi nulla) quindi si deve 2,5% rifiutare l’ipotesi nulla di uguaglianza, e 2,5% concludere che la differenza riscontrata 95% tra i livelli di acido urico serico dei soggetti con Sindrome di Prader-Willi sono significativamente diversi da quelli senza la Sindrome. L’errore di tale conclusione è P<0,05. 4.3.4 Errori di I e II tipo Come abbiamo visto, il test statistico non porta a conclusioni certe (vero o falso) ma ci consente di prendere decisioni in termini probabilistici: non si dimostra che una ipotesi è vera o falsa, ma che è accettabile o rifiutabile con un errore quantificabile. Gli errori che possiamo commettere prendendo tale decisione sono: 1) errore di I tipo (o errore α ) che rappresenta l’errore che noi commettiamo rifiutando l’ipotesi nulla (H0) quando in realtà questa potrebbe essere vera: è quindi legato alla funzione di distribuzione del test costruito sotto H0 vera. Rappresenta anche il livello di significatività del test (P ≤ α). 2) errore di II tipo (o errore β ): è un errore di tipo logico, che si può verificare quando accettiamo H0, cioè la non differenza tra i due gruppi, mentre in realtà è falsa. Il complemento dell’errore β si chiama potenza (1−β) del test e rappresenta la probabilità di rifiutare H0 quando è falsa. Ad esempio, in una sperimentazione clinica si vuole valutare l’efficacia del trattamento A rispetto al trattamento B: H0 A=B Il test applicato mi porta a concludere che A è diverso da B quando P< 0,05, perchè la probabilità di trovare quel valore del test come scostamento casuale da H0 è basso: 36 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA l’errore α <0,05. Se invece il test mi porta ad accettare H0 in quanto P>0,05, allora concluderò che non c’è differenza d’efficacia. In realtà ciò potrebbe essere dovuto ad una scorretta pianificazione della ricerca, con troppi pochi casi in rapporto alla variabilità della variabile in studio, al tipo di scelta dell’errore α, etc. Pertanto, quando si programma uno studio occorre tener conto di entrambi i rischi di errore, che sono raffigurabili come nella tabella di seguito riportata, nella quale l’ombreggiatura indica conclusione corretta del test. 4.4 Associazione tra variabili È possibile descrivere anziché una variabile la volta, 2 variabili, utilizzando ogni volta una misura opportuna della statistica bivariata (cosiddetta proprio perché si esaminano contemporaneamente 2 variabili). Per descrivere 2 variabili qualitative si costruisce una tabella a doppia entrata, sulle righe si pongono le modalità di una variabile e sulle colonne quelle della seconda variabile. Entro ogni cella della tabella si ha la frequenza congiunta, ossia il conteggio di quanti individui presentano contemporaneamente le 2 caratteristiche esaminate, mentre i totali di riga o di colonna coincidono con la distribuzione di frequenza della variabile che si trova rispettivamente sulle righe o sulle colonne. Per indagare la relazione tra 2 variabili qualitative, detta connessione, si fa un χ2 che può assumero un valore minimo pari a 0 ed uno massimo pari a [n×min(C-1)(R-1)] dove 37 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA n è il numero totale di osservazioni e min(C-1)(R-1) è il minore tra il numero delle righe e il numero delle colonne della tabella a doppia entrata o di contingenza. Per descrivere la relazione tra 2 variabili quantitative si calcola: A. il coefficiente di correlazione, nel caso di una relazione simmetrica ossia quando le due variabili variano congiuntamente, e la loro associazione è spiegata da qualcos’altro; B. la retta di regressione semplice, se si tratta di una relazione asimmetrica ossia quando la variazione di una delle due variabili dipende dall’altra. Quando si vuole indagare una relazione tra due variabili quantitative è sempre buona regola esaminare dapprima il diagramma di dispersione delle stesse due variabili, meglio noto con il termine inglese di scatter plot. Supponiamo di avere l’informazione sui valori di pressione sistolica (PAS) e diastolica (PAD) di 65 pazienti ambulatoriali, che sono tipiche variabili quantitative. Volendo indagare se esiste una relazione tra queste due variabili plottiamo, dapprima su un grafico i dati e otteniamo il seguente diagramma di dispersione: Sembrerebbe che non esista una buona associazione tra le due variabili dal momento che la nuvola dei punti non si dispone idealmente come lungo una retta, ma tende a disperdersi nel piano in modo disordinato. Infatti, calcolando il coefficiente di correlazione con la seguente formula: r= ∑ ( x − x )( y − y ) ∑ (x − x) ∑ ( y − y) i i 2 i 2 i si ottiene un valore pari a 0,13 che indica una debole associazione diretta, essendo di segno positivo. Il coefficiente di correlazione può assumere valore compreso tra –1 e 38 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA +1: valori negativi indicano associazione inversa o indiretta, ossia al crescere dei valori della variabile sull’asse delle ascisse diminuiscono quelli della variabile sull’asse delle ordinate. Quanto più il valore del coefficiente è prossimo allo zero, tanto più debole o inesistente (=0) è la relazione, mentre più il valore del coefficiente è vicino a 1 (in termine assoluto) maggiore sarà la relazione. Qualora si volesse indagare una dipendenza si dovrebbe calcolare la regressione semplice usando l’equazione: Y = a + bx dove a dicesi intercetta e b pendenza della retta. Quindi si costruisce la cosiddetta interpolata o linea di tendenza: 39 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA APPENDICE Le sperimentazioni cliniche L’obiettivo di questi studi epidemiologici è quello di valutare l’efficacia di un intervento terapeutico. Rappresentano il disegno di studio scientificamente più valido e potente per la verifica di ipotesi, cioè per verificare la relazione tra trattamento e modificazione dello stato di malattia. Schematizzando, si articola in 4 fasi: − I° Fase: farmacologia clinica. L’obiettivo è valutare sull’uomo un nuovo farmaco (di cui si è già provata la non tossicità e l’efficacia in sperimentazione di laboratorio e su animali). In tale fase si studia il metabolismo, la biotollerabilità, si stabilisce il dosaggio, etc. Viene condotto su pochi soggetti (20-30 volontari sani). − II° Fase: sperimentazione clinica iniziale dell’effetto del trattamento. L’obiettivo è quello di verificare l’efficacia terapeutica e la tollerabilità, nonché le modalità di somministrazione. Anche in questo caso lo studio è effettuato su pochi casi (30-100 pazienti volontari). − III° Fase: sperimentazione clinica randomizzata controllata. L’obiettivo è quello di valutare l’efficacia del nuovo trattamento in modo conclusivo, evidenziandone gli eventuali effetti collaterali. Si effettua su pazienti secondo precise regole, che vedremo nel prossimo capitolo. − IV° Fase: farmaco-vigilanza Si tratta di studi post-marketing, che si effettuano dopo che il farmaco è entrato in commercio per monitorizzare la sua efficacia a lungo termine, e la eventuale comparsa di effetti collaterali. Le sperimentazioni cliniche controllate randomizzate (Randomized Controlled Trial o RCT) Le caratteristiche fondamentali dei clinical trial si possono sintetizzare come segue: 40 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA a) sono studi sperimentali, in quanto il ricercatore somministra il trattamento di cui vuole valutare l’effetto; b) sono studi controllati, cioè richiedono un gruppo di controllo, che è costituito da un gruppo di pazienti con la patologia in studio sottoposti al trattamento tradizionale o a un placebo (farmaco in tutto simile a quello in studio, ma senza il principio attivo). L’efficacia di un trattamento non può essere, infatti, dimostrata in senso assoluto, ma relativamente ad un altro trattamento. Una serie di fattori oltre al trattamento potrebbero infatti determinare modificazioni dello stato di malattia: 1. remissioni spontanee (modifiche della storia naturale della malattia); 2. regressione verso la media (da situazioni estreme si tende a ritornare ai valori abituali); 3. effetto “alone ricerca” dovuto al fatto che chi è inserito in una ricerca è in genere trattato con più attenzione rispetto a chi non lo è; 4. effetto placebo dovuto all’effetto psicologico di aver assunto un farmaco, non sapendo che non contiene il principio attivo. Tutti questi elementi possono portare a modifiche dello stato di malattia, per cui è necessario il confronto con un gruppo di soggetti che sono sottoposti allo stesso trattamento ad eccezione del principio attivo. Schematicamente, possiamo rappresentare il fenomeno così: 41 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA c) sono studi randomizzati. Nelle sperimentazioni cliniche viene randomizzata (scelta in modo casuale) l’assegnazione del paziente (che risponde ai criteri di selezione) al trattamento nuovo o al gruppo di controllo (placebo o vecchio trattamento): ciò per evitare condizionamenti del paziente o del clinico ed evitare quindi bias di selezione; d) cecità. In alcuni casi è possibile evitare che il paziente (cecità semplice) o anche il medico (cecità doppia) sappiano quale trattamento viene somministrato: ciò per evitare bias di interpretazione. Le sperimentazioni cliniche, per la loro potenzialità, ma soprattutto per la loro importanza nel contribuire al progresso della conoscenza scientifica per la cura dei malati, richiedono una metodologia statistico-epidemiologica rigorosa sia nella pianificazione che conduzione ed analisi. Occorre definire i criteri di selezione ed esclusione, la dimensione necessaria, quale gruppo di confronto, quali variabili raccogliere e come misurarle, qual è l’end point primario e quelli secondari, quali test statistici utilizzare e che livelli di errore accettare, quali modelli di analisi per la 42 Università degli Studi di Pavia Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali SEZ. DI EPIDEMIOLOGIA E STATISTICA MEDICA valutazione dei fattori prognostici e dei confondenti, come trattare i punti di vista (approccio pragmatico o approccio esplicativo), i problemi etici e come informare in modo corretto il paziente, e così via, che sono spiegati nel protocollo della ricerca. La trattazione di tali argomenti esula dal livello di questo corso. 43