Le Cellule Staminali del Figlio in grembo possono curare la Madre STRAORDINARIA SCOPERTA NEGLI USA: LE CELLULE STAMINALI DEL FIGLIO IN GREMBO POSSONO CURARE MALATTIE MATERNE. IL PROFESSOR NOIA: BAMBINO E GESTANTE SI SCAMBIANO “MESSAGGI” GIA’ POCHE ORE DOPO IL CONCEPIMENTO. Un dialogo e uno scambio che si instaurano fin dai primi istanti di vita, da cui scaturiscono effetti positivi non soltanto per il nascituro, ma anche per la madre: il “traffico cellulare” tra gestante ed embrione può riservare aspetti sorprendenti. Negli Stati Uniti la ricercatrice Diana Bianchi ha documentato un’esperienza molto particolare, notando che le cellule staminali del figlio ancora nel grembo avevano circondato un follicolo tiroideo della madre che aveva avuto una tendenza neoplastica”, trasformandolo in cellule tiroidee. Individuando il tumore, dunque, “le cellule staminali si sono differenziate in cellule tiroidee per curare e circoscrivere una lesione materna: hanno quindi la potenzialità di riparare danni ad organi della gestante, trasmettendo benefici alla sua salute”. Il caso, ancora da approfondire e da studiare in Italia, viene riferito da Giuseppe Noia, docente in Medicina dell’età prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il ginecologo ci riceve nel suo studio romano, dove ha raccolto le testimonianze, i messaggi e le foto delle coppie e dei bambini che ha aiutato a nascere. “Un saluto affettuoso al caro dottore che mi ha aiutato a venire al mondo e a riempire di gioia mamma e papà”: è uno dei tanti biglietti che riempiono le fitte pagine dei volumi, sul tavolino della sala d’aspetto. Il professore riceve e visita le sue pazienti cercando di spiegare alle coppie l’importanza del rapporto con il proprio figlio nel tempo dell’attesa. “La conoscenza delle relazioni tra il feto e la madre ha registrato un’impennata soprattutto negli 1/3 Le Cellule Staminali del Figlio in grembo possono curare la Madre ultimi 15 anni”, riferisce il ginecologo, entrando nel merito del “traffico cellulare: embrione e madre si scambiano cellule, messaggi ormonali, fattori di crescita. Quindi possiamo parlare di protagonismo biologico dell’embrione nel suo rapporto con la madre”. Gli studiosi definiscono questo fenomeno “cross talk”, ovvero “linguaggio incrociato” non verbale, ovviamente, ma fatto di reciprocità, di stimoli e risposte che viaggiano incessantemente da una parte all’altra del corpo della donna e del figlio in grembo. Le comunicazioni presentano diverse variabili, spiega Noia: “Dalla percezione di una presenza alla conoscenza del sesso del proprio bambino, fino al blocco dei canali di “dialogo” nell’attesa della diagnosi prenatale”. Così si possono rintracciare cellule fetali nel sangue periferico, nella cute e nel fegato della madre “anche 35 anni dopo la nascita”, riferisce il ginecologo. In seguito all’impianto dell’embrione, dal 12° giorno in poi, globuli bianchi del figlio (cellule linfociti) si ritrovano nel midollo osseo e nel circolo sanguigno della donna, così gli eritroblasti (precursori dei globuli rossi); si nota anche la presenza di cellule staminali”. In alcuni casi questo “traffico cellulare”, segno di relazione tra madre e figlio, può essere rilevatore di problemi fetali, come la gestosi o il ritardo di crescita, oppure di malattie autoimmuni (in questo caso la madre produce anticorpi contro se stessa). Ma addentrarsi nel mondo della medicina prenatale riserva molte altre sorprese: prima dell’impianto nell’utero materno – riferisce il professore – l’embrione vive per circa 8 o 9 giorni in “sospensione nella tuba, mancando dell’ossigenazione del sangue: tuttavia la sua capacità di autonomia biologica consente che l’itinerario verso l’utero avvenga in maniera coordinata, graduale e continua”. E grazie al costante colloquio incrociato con la madre, l’embrione va a impiantarsi nella zona migliore, allo stesso tempo il “fattore di gravidanza iniziale” (early pregnancy factor), lo aiuta a moltiplicarsi attraverso la circolazione vascolare. E’ sorprendente anche osservare l’adattarsi della donna al proprio bambino, visto che “il loro patrimonio genetico è diverso al 50%”. “Senza figli non c’è futuro: il bambino si prende cura di sua madre fin dal momento della gestazione”, afferma Giuseppe Noia. “Uno scambio reciproco”, ribadisce, “che non riguarda soltanto la madre nei confronti del figlio, ma anche il nascituro nei confronti della gestante. Innanzitutto, non c’è il rigetto dell’altro, che si verifica quando è presente in un organismo un diverso patrimonio genetico: pensiamo, ad esempio, ai trapianti d’organo. Nel caso della gravidanza, invece, l’embrione dialoga con la madre per gestire la sua collocazione: possiamo affermare che assume il ruolo di attivo orchestratore del suo destino futuro; scava nella nicchia dell’utero il luogo dell’impianto, preparato da lui stesso nel tessuto endometriale. Sintetizzando, si tratta della “tolleranza immunitaria”, spiega Noia: “avviene una sorta di “mascheramento” delle parti paterne dell’embrione che avrebbero indotto la madre a rigettarlo. Abbiamo tante informazioni ma poca conoscenza della vita prenatale e neonatale”, fa notare il ginecologo, sottolineando quanto sia urgente favorire una maggiore ricerca e informazione su questi temi. 2/3 Le Cellule Staminali del Figlio in grembo possono curare la Madre Un esempio? “Sta galoppando la conoscenza del protagonismo biologico dell’embrione fin dalle prime ore della sua vita: ben 46 geni sono attivati dopo poche ore dalla singamia, cioè dalla fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo”. Ciò significa che dai primi istanti del concepimento l’embrione ha in sé “la direzione del proprio progetto di vita, la sua individualità”. Negli ultimi vent’anni, Noia ha sviluppato una serie di studi clinici e di esperimenti per valicare la diagnostica prenatale, nel rispetto “della salute della madre e della vita del feto, anche se malformato”. Di recente il professore ha ideato – si tratta del primo esperimento del genere in tutto il mondo – un modello di trapianto di cellule staminali umane prelevate dal cordone ombelicale, immettendole nella cavità celomatica (una parte della cavità uterina) dell’ovino, dimostrando che prima del 50° giorno di gestazione si sono impiantate nel midollo osseo, nella milza, nel fegato e nel timo. Le cellule staminali del cordone ombelicale “possono curare la talassemia major, ad esempio, e diverse malattie genetiche del feto, mediante trapianti prenatali”, rileva Noia, evidenziando che le cure prenatali “enfatizzano la dignità del feto come paziente, a tutti gli effetti, anche in condizioni patologiche ritenute fino a pochi anni fa incurabili”. Una posizione contrapposta a “una visione eugenistica della medicina fetale, che vorrebbe la diagnosi prenatale finalizzata solamente all’eliminazione dei feti con anomalie congenite, senza alcuno sforzo nel ricercare vie possibili di terapie, come avviene per la medicina dell’adulto: prima la diagnosi, poi la cura”. Nonostante le ricerche, comunque, l’embrione resta ancora un “grande misconosciuto ed emblema della fragilità più estrema”, secondo il ginecologo, che si interroga “sui 50 milioni di aborti nel mondo ogni anno”. Nell’odierno panorama culturale si nota “una manipolazione delle coscienze sulla vita prenatale”, osserva Noia, opponendosi al teorema secondo il quale “l’embrione umano sarebbe un grumo di cellule, senza vita relazionale biologica e psicodinamica: quasi un parassita della madre, la cui perdita precoce non lascia tracce nel vissuto personale. 3/3