Revista Jurídica
LA PERSONALIZZAZIONE DEL POTERE
NELLE FORME DI GOVERNO EUROPEE
PERSONALIZATION POWER IN GOVERNMENT FORMS OF EUROPEAN
A PERSONALIZAÇÃO DO PODER NAS FORMAS DE GOVERNO EUROPEIAS
Michele Carducci *
Abstract in italiano: L’articolo discute il tema della cosiddetta “personalizzazione del potere”, molto
discusso in Europa come degenerazione della forma di governo parlamentare e del rapporto di fiducia tra
parlamento e governo. Attraverso il richiamo ad alcune teorie costituzionali sulla razionalizzazione del potere
e ad alcune prassi europee sviluppatesi in periodi di crisi, l’articolo osserva che la “personalizzazione”
costituisce un elemento endogeno alla forma di governo, soprattutto in situazione di crisi politica o di
ridimensionamento della forza democratica dei parlamenti. In tale prospettiva, si può leggere anche il
“deficit” democratico dell’Unione europea.
Parole Chiave:
Forma di governo. Parlamentarismo. Personalizzazione del potere. Governo europeo.
Abstract: The article discusses the call on "personalization of power", much discussed in Europe as
degeneration of the parliamentary form of government and the relationship of trust between parliament and
the government. Referring to some constitutional theories about the rationalization of power and some
European practice developed in times of crises, the article notes that "personalization" is an endogenous
element in the form of government, especially in a situation of political crisis or resizing democratic force
parliaments. In this perspective, one can also make reading the "deficit" democratic EU.
Keywords:
Government form. Parliamentarism. Personalization of power. European
government.
Resumo: O artigo discute o tema da chamada “personalização do poder”, muito discutido na Europa como
degeneração da forma de governo parlamentar e da relação de confiança entre o parlamento e o governo.
Doutor em Direito constitucional. Professor Titular de Direito Constitucional Comparado, Universidade do
Salento – UNISALENTO, Itália. Presidente do Centro Didático Euro-Americano sobre Políticas Constitucionais –
CEDEUAM, UNISALENTO, Itália. E-mail: [email protected]
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Remetendo a algumas teorias constitucionais sobre a racionalização do poder e a algumas práxis europeias
desenvolvidas em períodos de crises, o artigo observa que a “personalização” constitui um elemento
endógeno à forma de governo, sobretudo em situação de crise política ou de redimensionamento da força
democrática dos parlamentos. Em tal perspectiva, pode-se também fazer a leitura do “déficit” democrático
da União Europeia.
Palavras-chave:
Forma de governo. Parlamentarismo. Personalização do poder. Governo europeu.
1 CONCETTI
1.1 DOPPIA FUMOSITÀ DEL PROBLEMA
Il concetto di “personalizzazione del potere” è tanto diffuso quanto difficile da
inquadrare nei suoi contenuti descrittivi. Esso, infatti, presenta una doppia fumosità. Da un lato, si
tratta di comprendere che cosa significa “potere”1. Scrive in proposito Niklas Luhmann: “il potere del
potere sembra principalmente fondarsi sul fatto che nessuno sa dire esattamente di che cosa si tratti in realtà. L’evidenza
del fenomeno e l’oscurità del concetto facilitano di molto l’argomentazione sia in campo scientifico che altrove”2. In
effetti, il termine è ormai abusato al punto da riassorbirne altri, a partire dal concetto di Stato,
sostituito dai processi psicologici di influenza, in parallelo con l’espandersi di altre formule ambigue,
come quella di processo politico, con cui si perde di vista la centralità delle istituzioni nella costruzione
delle decisioni come norme generali di tutti, o quella di sistema politico, con cui si tende a racchiudere
la politica nel circuito del breve periodo. In tutti e tre i casi, l’artificio lessicale blocca quei processi di
generalizzazione definitoria e concettuale, che storicamente hanno consentito di condurre dalla
politica al diritto e dall’azione alla norma giuridica.
Da questo punto di vista, il ricorso al concetto di potere determina un impoverimento
delle categorie giuridiche di comprensione dei fenomeni politico-istituzionali.
Lo stesso destino coinvolge il concetto di “personalizzazione”. È stato Maurice
Duverger a distinguere tra “pouvoir personalisé”, in cui l’autorità del capo non deriva solamente dal ruolo
che ricopre, ma anche dalla sua popolarità individuale conquistata attraverso la competizione
elettorale, e “pouvoir personnel”, in cui è esclusivamente la personalità del capo a conferire legittimità e
fondamento al ruolo istituzionale ricoperto3. Entrambe le definizioni pongono in contrapposizione la
forma delle istituzioni e delle procedure giuridiche con la informalità del tratto (psicologico, caratteriale
ecc….) dell’individuo che utilizza quelle forme. Quindi anche il concetto di personalizzazione
destruttura la centralità dei dati giuridico-normativi.
Se colleghiamo questa constatazione al tema della forma di governo e dei sistemi
elettorali, nell’alternativa tormentosa che attraversa l’Europa di Otto e Novecento, tra investitura di
capacità e selezione di programmi, ci rendiamo conto delle opzioni implicite nell’uso della formula
“personalizzazione del potere”. Le forme di governo si riflettono nell’acquisizione storica del diritto
politico di voto4, che nasce con lo Stato e in relazione ad esso. La parlamentarizzazione ha storicamente
segnato il progressivo affermarsi, e non la semplice “pre-esistenza”, di questo diritto politico dentro il
Parlamento. La forma di governo parlamentare è “figlia” del diritto politico dei deputati di interpellare
i ministri appunto in nome del diritto di voto che li ha suffragati5.
Quindi la declinazione dei temi della “personalizzazione del potere” transita sulla
questione dei contenuti del diritto politico di voto, come designazione elettiva e come fiducia politica:
si collega inevitabilmente alla forma di governo parlamentare.
La conferma è offerta da J.A. Schumpeter, considerato il padre della deformalizzazione
della democrazia e del diritto politico di voto. Il suo attacco alle dottrine classiche del
costituzionalismo e della democrazia ruota intorno a tre argomenti: inesistenza di un bene comune;
impossibilità di identificarlo da parte di tutti; conseguente impossibilità di formalizzare la volontà
generale del popolo. Da tali argomenti, Schumpeter deduceva che la democrazia fosse soltanto uno
strumento istituzionale per promuovere competizioni tra individui, finalizzate al potere di decidere su
investitura del voto popolare. Nella sua teoria politica, questa conclusione segnava il crollo definitivo
della cultura della “vecchia Europa”, già preconizzato da Schmitt nella “ambigua” Repubblica di
Weimar6.
Con Schumpeter, diventa dunque secondaria la decisione ad opera dell’elettorato, “rispetto
alla elezione degli uomini che dovranno decidere”7. In questo modo, la linea teorica che collegava il diritto di
voto alla centralità del Parlamento e alla fiducia parlamentare, tipica delle forme di governo europee,
cede il passo all’apparente centralità della elezione, tradotta in realtà in nomina, e non più in delega, in
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designazione-investitura, anziché in mandato a governare. Si trattava di un percorso in qualche modo
già perseguito, su fronti apparentemente opposti, dal tecnicismo normativistico di Hans Kelsen e dal
decisionismo soggettivistico di Carl Schmitt. Ma si trattava anche della estrema conseguenza della
distinzione weberiana tra Wertrationalität e Zweckrationalität, che ha abilitato, al pari del concetto
kelseniano di Zurechnung, l’inversione del rapporto tra mezzi e fini nelle regole e nelle istituzioni8.
Del resto, l’autonomizzarsi delle procedure è stata una delle cause profonde di questa
fungibilità di mezzi e fini. Esso ha stimolato l’autonomizzazione dei linguaggi e quindi il
corrispondente sganciamento dei segni dai significati, con le note ricadute sulla cultura come
immagine e sulla comunicazione di massa9.
Ecco allora che l’assunto schumpeteriano della competizione politica transita nella mera
concorrenza per il potere. In verità, la scuola elitista italiana dei primi anni del Novecento (Gaetano
Mosca, Vilfredo Pareto, Roberto Michels), apprezzata tardivamente in Italia e in Europa solo dopo la
“scoperta” da parte della scienza politica statunitense, aveva già evidenziato questa “autonomia” della
competizione politica, che in quegli stessi anni stava traducendosi in Germana nella proclamazione
schmittiana della “autonomia del politico” e delle sue categorie10. Tuttavia, è dalla seconda metà del
Novecento, appunto con la teoria della “nuova democrazia” di Schumpeter e il contestuale affermarsi
della concezione dell’autoreferenzialità della politica e del diritto, ad opera soprattutto di Niklas
Luhmann, che il tema del potere e della sua “personalizzazione” entra nel vocabolario degli scienziati
sociali e del diritto costituzionale.
1.2 MICROFISICA DEL POUVOIR PERSONNEL
Ma il XX secolo europeo conosce anche la forte crescita dei tentativi di formalizzazione
politica della vita associata. Le Costituzioni “lunghe” degli anni Venti e Trenta ce lo ricordano.
L’effetto formalizzante del moltiplicarsi della regolazione della politica e del diritto gioca a favore
dell’affermarsi progressivo e interdisciplinare delle idee sui giochi strategici, ossia sulla considerazione
dei rapporti sempre più sofisticata al punto di operare una equazione fra mezzi e fini e quindi al punto
di avallare la loro stessa inversione: il mezzo può essere assunto come fine per altri scopi e il fine può
essere ridotto a mezzo per altre strategie; intreccio paradossale di Wertrationalität e Zweckrationalität.
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A questa ascesa della “autonomia” si è unita la svalutazione generale del consenso che
nella politica costituiva e costituisce il nocciolo razionale della forma11. Di fatto, il trionfo della politica
destruttura principalmente la centralità del consenso razionale e ricostruisce un sistema di forme non
regolabili in procedure: appunto, l’ “autonomia del politico”.
Questo percorso ha facilitato la tendenza a far coincidere il potere con i soggetti-individui
che lo esercitano: autonomia, infatti, è sinonimo non di discrezionalità dell’organo o dell’ufficio, bensì
di libertà – come spirito e intelletto – del suo titolare12.
Michel Foucault, ricalcando le indicazioni di Schmitt contro la nozione di sovranità, ne
offre la sintesi epistemologica più efficace . “Ciò di cui abbiamo bisogno è una filosofia politica che non sia
costruita intorno al problema della sovranità, dunque della legge…Bisogna tagliare la testa al re (e qui il re è il popolo
sovrano)”. Ecco allora che va abbandonata la nozione di Stato, “per la ricerca di un metapotere”. Ma
medesima sorte è assegnata anche la scienza, perché “il sapere non è fatto per comprendere, è fatto per prendere
posizione”. Alla fine è la stessa forma-soggetto a diventare superflua: “bisogna sbarazzarsi del soggetto
costituente, sbarazzarsi del soggetto stesso”, contro ogni istituzione formale, affinché si possa “studiare il potere
al di fuori del modello del Leviatano, al di fuori del campo delimitato dalla sovranità giuridica e dalla istituzione statale.
Si tratta di studiarlo a partire dalle tecniche e dalle tattiche della dominazione”13.
Il pouvoir personnel non è altro che “tecnica” e “tattica” di dominio.
Invero, questa idea non è nuova alla cultura europea. Non c’è da pensare solo alla
legittimazione carismatica di cui parlava Max Weber, ma anche al revisionismo liberale italiano di
Benedetto Croce, e con lui di Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Giovanni Gentile, per i quali lo Stato
non è tanto “autorevole” per le sue norme, quanto “forte” per i suoi protagonisti, nel fisiologico
“aristocratico disprezzo” verso la democrazia, a favore del mito dell’ordine, della visione della storia
come scontro di forze irrazionali, della considerazione della politica come attività inferiore a quella
intellettuale, immeritevole quindi di regolamentazione14.
Il concetto di pouvoir personnel si coniuga quindi con il rifiuto della razionalizzazione dei
rapporti politici, lasciati alla loro soggettiva contingenza, nel dominio di individui su individui. Carl
Schmitt parlerà di “sconcio” degli atti apocrifi di sovranità, per descrivere i tentativi, a suo avviso
fallimentari, di pianificazione razionale e normativa dell’azione15.
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1.3 «PERSONALIZZAZIONE» DEL POTERE E «FIDUCIA» DEL PARLAMENTO
Tuttavia, la storia del Novecento europeo è anche quella della forma di governo
parlamentare, evolutasi proprio come progressiva razionalizzazione di rapporti politici16. Il fulcro di
questa evoluzione è stato segnato dalla figura della fiducia parlamentare. Infatti, in fin dei conti, il
rapporto fiduciario altro non è stato che la formalizzazione del nesso mezzi (fiducia) – fini
(programmi politici) delle prassi del consenso elettorale e parlamentare del Novecento.
La “fiducia”, nella sua contingente manifestazione della dinamica tra rappresentanza
parlamentare e potere esecutivo, ha potuto storicamente saldare i rapporti politici al doppio binario
della
“positivizzazione
costituzionale”
testuale,
come
insieme
di
regole
formali,
e
della
“costituzionalizzazione” fattuale, come prassi informali dei soggetti titolati di funzioni.
Sembra confermarlo ancora oggi la circostanza che la comparazione richiami questa
acquisizione evolutiva del pensiero costituzionale classico, per confrontare contesti con contingenze
diverse da quelle delle parlamentarizzazioni europee novecentesche, verificando la presenza di
fenomeni di vera e propria “costituzionalizzazione simbolica” per assenza di concretizzazione concorrente
e reciproca tra interpreti e attori costituzionali17.
Il regime parlamentare ha avuto questa specificità e questo merito storico in tutta
Europa18. Chi l’ha contestato, ha seguito orditi analoghi a quelli che la fenomenologia tedesca
criticamente mosse al positivismo19, sostenendo che la soggettività costituzionale coincidesse con una
capacità di volere (Macht des subjektiven Willens), indifferente alla posizione giuridica formale
(Rechtstellung), sicché i “doveri costituzionali” della politica non erano da identificarsi
eteronomicamente, ma da scoprire in un’appartenenza presupposta e verificata (Glied-Sein). E questa
appartenenza doveva sostiture il rapporto fiduciario fra organi, a favore della immedesimazione
personale. In un quadro del genere, non ci sarebbe stato (più) spazio per dinamiche fiduciarie “tra”
membri del Glied-Sein, neppure ove si fosse trattato di organi distinti ma collegati come Parlamento e
Governo, soprattutto allorquando il Glied-Sein fosse stato consacrato dal consenso elettorale sul
Leader20.
Ecco dunque che la “personalizzazione” porta con sé il rifiuto o comunque
l’annichilimento della centralità del rapporto fiduciario21: alla “condizione” della fiducia parlamentare
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può ben subentrare un rapporto di “seguito” (Gefolgschaft) nell’appartenenza al Glied-Sein, come
elezione identitaria22.
1.4 LE LINEE ATTUALI DEL DIBATTITO EUROPEO
Oggi, in Europa, si preferisce parlare di “presidenzializzazione degli esecutivi”, ma il
quadro di riferimento non cambia, in quanto si descrive comunque la circostanza che nei regimi
parlamentari, storicamente evolutisi nella collegialità del Governo, si stia sviluppando un progressivo
spostamento del concreto funzionamento dell’organo a favore del Leader della forza politica
elettoralmente dominante, con conseguente crescita del ruolo monocratico rispetto a quello collegiale
e di coalizione23. A questo campo di osservazione si accompagna la considerazione sempre più diffusa
non dell’ “antiparlamentarismo” come critica politica, quando della “crisi” del parlamentarismo come
“precomprensione” della complessità europea contemporanea; crisi alimentata anche dai processi di
integrazione sovranazionale24.
L’intero fenomeno, nei suoi presupposti e nei suoi esiti, è interpretato in due modi.
Da una parte, lo si accoglie con favore, sulla base della constatazione che la
frammentazione sociale e la crisi dei partiti politici tradizionali di massa richiede forme semplificate di
sintesi e di inclusione. In tale ambito, per esempio, si colloca la cosiddetta “seconda legge di Vedel”25,
secondo la quale la responsabilità politica del Governo non sarebbe più meramente “istituzionale”,
ossia scandita e definita dai rapporti con il Parlamento, bensì “diffusa”, ossia determinata non dal
mero disaccordo di gruppi o coalizione, bensì dalla “sintonia” elettorale manifestata dal voto26. Tale
approccio, tuttavia, finisce con l’avallare una visione meramente “delegativa” della democrazia. Infatti,
la condizione in cui la istituzionalizzazione dei discorsi sui ruoli di potere è alimentata semplicemente
dal consenso, scadendo in un percorso di affidamento dismissivo delle autorappresentazioni di libertà
attraverso il diritto politico di voto, favorisce ciò che è stato definito democrazia “delegativa”. Al
contrario, la situazione nella quale le preferenze dei partecipanti non sono già prestabilite e il processo
deliberativo non si riduce ad una aritmetica conta dei voti, bensì risieda in una procedura che tende a
costruire le preferenze attraverso dibattiti informati e ragionati su argomenti, principi, e quindi anche
su negoziazioni, descrive una democrazia a vocazione “deliberativa”27. Prescindere da questa
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demarcazione può comportare la sottovalutazione di quella che è stata definita la congenita “ambiguità
democratica” del nesso tra costituzionalismo e populismo28.
Proprio per tale ragione, sull’altro fronte, si critica la deriva “bonapartista” del fenomeno,
che riduce la proceduralità democratica ad una semplice competizione, al cui interno è l’immagine del
Leader, prima ancora che il contenuto dei programmi, a prevalere nelle scelte elettorali. Del resto,
l’elemento plebiscitario si presenta come un paradosso: da un lato, la forza personale è esaltata dalla
debolezza dei partiti e delle regole istituzionali formali; dall’altro, proprio tale debolezza costringe
all’isolamento la personalità del capo, assumendola come peculiarità non istituzionalizzabile, quindi
alla fine anch’essa debole29.
La formula “apparentemente nuova” della “presidenzializzazione degli esecutivi” sembra
destinata a confondere i due scenari, a discapito, ancora una volta, della comprensione del rapporto
mezzi-fini.
2 LE FORME
2.1 IL “PILSUDSKISMO”
Il primo studio europeo sul tema della “personalizzazione del potere” è il libro di Boris
Mirkine-Guetzévitch Le nouvelles tendances du Droit constitutionnel, tradotto anche in portoghese e in
castigliano30.
In questo testo, il costituzionalista russo-francese qualifica la “personalizzazione” come
“trasfigurazione del regime parlamentare”. Il regime parlamentare si è fondato sulla conquista, storica, del
primato giuridico-costituzionale del Parlamento. Questo primato, a sua volta, si è trasformato, in
ragione della prevalenza ideologica dei partiti di massa, in un inedito circuito di organizzazione del
consenso, che ha fatto dell’arte del governare una “tecnica della proposizione legislativa”, con il conseguente
protagonismo del Governo come soggetto di iniziativa parlamentare. Tuttavia, questa tendenza di un
potere esecutivo che si manifesta primario rispetto al legislativo, in tutti i paesi europei compresi quelli
centrali e orientali, si è andata scontrando con una costituzionalizzazione formale che, invece, andava
affermando appunto il primato giuridico del Parlamento.
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Ecco allora che la reazione a questa contraddittorietà tra “necessario” primato “politico”
del Governo e primato “giuridico-costituzionale” del Parlamento, emersa la fine degli anni Venti del
XX secolo, si traduce nella diffusa esigenza di revisione costituzionale finalizzata a far diventare
“giuridico” il primato “politico” del Governo.
L’esempio paradigmatico di tale nuova tendenza è offerto dal progetto di revisione
costituzionale del «bloc gouvernemental» polacco, depositato il 9 febbraio 1929. La Costituzione polacca
del 1921 aveva stabilito, come altre Costituzioni europee del periodo, il primato del Parlamento. Ma
già la legge del 2 agosto del 1926, aveva rafforzato i poteri del Presidente della Repubblica e
condizionato le funzioni parlamentari, con l’attribuzione del diritto di scioglimento della Dieta,
invertendo, così, il rapporto mezzo-fine tra primato “giuridico” parlamentare (il mezzo) e primato
“politico” governativo (il fine).
Secondo Mirkine-Guetzévitch, questa inversione rappresenta una “rottura”31, in quanto
viene ad essere giuridicizzata l “invenzione” di un nuovo potere assunto come attributo specifico di
una competenza già fissata, attivando così un antagonismo fra organi inevitabilmente precario, tanto
da comportare esso stesso una consequenziale “estensione della discrezionalità politica nella gestione dei
procedimenti interorganici...”32. E tale discrezionalità è definita dall’Autore “Pilsudskismo”33, in quanto
coincidente con un progetto del rafforzamento giuridico del Governo rispetto al Parlamento,
funzionale al “pouvoir personnel du president”34.
È interessante notare che Mirkine-Guetzévitch distingue tra Pilsudskismo e Fascismo, così
come distingue tra “Governo personale” e “Governo fascista”. Una simile differenziazione presenta
interessanti spunti di attualità sul tema della “personalizzazione” del potere. La differenza era così
descritta dall’Autore. Il progetto polacco instaurava un potere personale, al cui interno il suffragio
universale del popolo finiva con assumere un ruolo del tutto passivo, incapace di giudicare ex post le
scelte del Presidente o di investire il Parlamento, e la sua maggioranza, di funzioni autonome rispetto
al Governo. Il fascismo, al contrario, si contraddistingueva come regime dittatoriale autoritario di
esplicita negazione di qualsiasi principio elettivo35.
Ecco il punto di attualità: la “personalizzazione” del potere esautora il Parlamento ma
non nega il principio procedurale delle elezioni parlamentari e del diritto politico di voto, relegandolo
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però a un semplice “caractére instrumental”, quale mezzo doppiamente legittimo: perché “votato” dal
popolo; perché “previsto” in Costituzione.
Mirkine-Guetzévitch considerava inevitabile e fisiologica l’esigenza di un primato
“politico” del Governo, in quanto prodotto dello sviluppo della tecnica legislativa e dalla complessità
sociale. Ma, contrariamente alle teorie di oggi, questo primato, a suo avviso, non doveva mai diventare
“giuridico”. In altri termini, la complessità sociale non avrebbe mai dovuto semplificare o, peggio,
annichilire la dialettica istituzionale del rapporto di fiducia tipico dei regimi parlamentari. Primato
“politico” del Governo significava “funzionalizzazione” del rapporto tra Parlamento e Governo
rispetto alla realizzazione del programma elettorale, non certo depauperamento di funzioni. Di
conseguenza, compito delle Costituzioni doveva essere quello di disciplinare i procedimenti di
direzione politica non come poteri di persone, bensì come attuazioni programmatiche nell’investitura
elettorale del Parlamento. Un Governo, che dispone di strumenti di attuazione del programma votato
con le elezioni parlamentari, non ha bisogno di vincoli normativi sulle sue persone, in quanto vive
della propria capacità “politica” di disporre degli strumenti parlamentari utilizzati dalla sua
maggioranza.
Al contrario, l’idea del primato “giuridico” del Governo, pretendendo di trasformare la
preminenza propositiva conquistata nella società attraverso il consenso elettorale in un protagonismo
costituzionale definitivo e irreversibile, avrebbe finito col congelare la vittoria elettorale per
consegnarla alla forza personale del suo Leader36.
L’equilibrio tra primato “politico” del Governo e quello “giuridico” del Parlamento si
rivela dunque una chiave di lettura importante per il problema della “personalizzazione” del potere.
Ed è anche un fatto di comprensione delle dinamiche pseudo-parlamentari di altri contesti
extraeuropei, come il Sud America37.
Non a caso, quando questo equilibrio viene infranto, si tende a parlare di
“sudamericanizzazione” parlamentare.
2.2 IL RISCHIO DELLA «SUDAMERICANIZZAZIONE» PARLAMENTARE
È quanto si è verificato in Italia, con la riforma costituzionale proposta e votata nel 2005
dal Governo Berlusconi, e bocciata dal referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006. Al di là dei
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“rischi di frode” presenti in tale riforma38, essa si caratterizzava proprio per la marcata
giuridicizzazione del primato “politico” del Governo e del suo capo.
Infatti, una delle critiche più severe rivolte a questo progetto, è stata quella dell’eccessivo
rafforzamento del potere esecutivo e della sua trasformazione monocratica nella figura del Premier.
Tuttavia, la polemica non ha investito tanto la questione in sé del ruolo monocratico, quanto la
circostanza che il rafforzamento venisse fatto passare non attraverso la istituzionalizzazione del potere
monocratico, bensì attraverso una sua vera e propria “personalizzazione legalizzata”; ossia attraverso
la imputazione alla persona in sé, più che alla funzione monocratica ricoperta dalla persona, di tutti i
meccanismi della forma di governo. Da questo punto di vista, il modello, più che contiguo ai tipi di
premierato europeo (Gran Bretagna, Germania, Svezia, Francia)39 appariva paragonabile ai sistemi a
preponderanza presidenziale personalista latino – americani (come quelli del Perù o dell’Argentina)40.
La discontinuità, rispetto al passato, di questo progetto costituzionale, risiedeva nei
seguenti profili: elezione del Primo Ministro mediante collegamento a singoli candidati o con una o
più liste elettorali (art. 92.2 del Progetto); scomparsa della fiducia iniziale e abilitazione della sola
Camera dei deputati, con esclusione quindi del Senato, all’espressione di voto sul programma, ma non
sul Governo (art. 94.1 del Progetto); riconoscimento della facoltà del Primo Ministro di porre da solo
la questione di fiducia, con la sola esclusione per le leggi costituzionali e di revisione costituzionale
(art. 94.2 del Progetto) e contestuale scomparsa dell’attuale previsione, secondo la quale il voto
contrario di una o entrambe le Camere su una proposta del Governo non comporta obbligo di
dimissioni. Questi elementi andavano poi coniugati con la nuova articolazione del sistema della
mozione di sfiducia, fondato sul quorum della necessaria maggioranza assoluta ad appello nominale
speculare alla lista o alle liste votate in collegamento con il Premier, in quanto “maggioranza espressa dalle
elezioni”. Di conseguenza, il Primo Ministro si sarebbe potuto dimettere, solo ed esclusivamente
allorquando la sfiducia fosse stata comunque approvata a maggioranza assoluta dei componenti della
Camera dei deputati (non del Senato) o respinta con il voto determinante dei deputati “non appartenenti
alla maggioranza espressa dalle elezioni”.
In questo modo, la situazione parlamentare della fiducia si posizionava su inediti binari, al
cui interno agivano due poteri personali del Primo Ministro: quello di nominare e revocare
direttamente i Ministri, senza obbligo di passaggio parlamentare (art. 95.1 del Progetto); quello di
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determinare la politica generale del Governo senza fiducia parlamentare iniziale (art. 95.2 del
Progetto).
Appare evidente che, così impostata, la riforma costituzionale italiana contrapponeva una
assoluta disponibilità monocratica del Primo Ministro ad una altrettanto assoluta indisponibilità
parlamentare delle maggioranze di fiducia e di sfiducia, rompendo definitivamente con la continuità di
prassi del parlamentarismo italiano. Inoltre, la mozione di sfiducia, nei nuovi commi dell’art. 94 del
Progetto, assumeva una triplice identità: come sfiducia sanzione (producendo lo scioglimento della
Camera); come sfiducia “ricostruttiva” della coalizione, votata nelle elezioni, intorno a un nuovo
Premier; come sfiducia senza “presunzione di fiducia”, se “respinta con il voto determinante di deputati non
appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni”.La costituzionalizzazione piena e totale, per la prima
volta nella storia italiana, della relazione fiduciaria, senza più riserve di regolamento parlamentare
(come era sempre stato storicamente a partire dal 1887), invece di tradursi in una rafforzata legittimità
del Parlamento, si traduceva nella configurazione di un Premier solo contro tutti, forte del suo
“contratto fiduciario” con gli elettori: una forza quasi disperata, ben diversa dal c.d. “parlamentarismo
dittatoriale” inglese o dal “monarca elettivo” di Maurice Duverger; piuttosto un capo con in mano
strumenti costituzionali per potersi dire da solo di avere “sempre e comunque ragione”.
Del resto:
il Premier avrebbe sempre gestito le elezioni in caso di sfiducia parlamentare (art. 94 del
Progetto);
il Premier avrebbe sempre gestito il cambio di Governo nel passaggio alla nuova
legislatura;
il Premier sarebbe stato rimovibile solo all’interno della stessa coalizione votata dagli
elettori (art. 88 ultimo comma del Progetto);
l’unica tipologia di crisi di governo “legale” (cioè proprio nel senso di crisi secundum
Constitutionis) sarebbe stata quella “personale” della sconfitta elettorale del Premier.
Tra l’altro, a riprova del discorso che si è fatto sulla inversione del rapporto mezzi-fini,
c’è da aggiungere che un simile meccanismo costituzionale avrebbe poi avuto riflessi pesantissimi sulla
comunicazione politica: da un lato, le “volontà” del Premier avrebbero finito con il coincidere con
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quelle della coalizione e di tutti gli elettori votanti; dall’altro, il Parlamento si sarebbe trasformato in
una sorta di organo esecutivo-interpretativo del Premier (art. 70 del Progetto).
Le ricadute sarebbero state duplici. Sul piano assiologico, si veniva a consumare un
impoverimento dell’agire comunicativo costituzionale, a favore del “canale diretto” –
costituzionalizzato – tra elettori e figura personale del Premier. Sul piano procedurale, si sarebbe
dissolto il principium cooperationis di leale “fiducia” tra Parlamento e Governo, con un paradossale
“ritorno” alla predominanza del potere personale forte, a danno della complessità delle relazioni
istituzionali.
2.3 LA COOPERAZIONE PARLAMENTARE
“Io non sono per nulla partigiano del governo assoluto, e considero una cooperazione parlamentare, ben
praticata, tanto necessaria ed utile, quanto è a mio giudizio pericolosa e impossibile una sovranità parlamentare”. Così
si esprimeva Ottone di Bismarck, nei suoi Discorsi politici del 1898. Non si tratta del manifesto del
parlamentarismo europeo. Ma non è neppure una dichiarazione di esplicito di antiparlamentarismo.
Al contrario, questa idea ottocentesca di “cooperazione parlamentare ben praticata” identifica un
modo particolare, presente in Europa, di inquadrare i rapporti tra Parlamento e Governo41.
Si tratta di un’idea specifica della storia tedesca, che ha segnato la demarcazione tra una
fase di parlamentarizzazione “negativa” ed una, successiva, definibile come “positiva”. Tracciata da Max
Weber42, il concetto tedesco non ha costituito un ricalco della rapporto dualismo/monismo
parlamentare, diffuso in Francia e in Italia43.
Mentre la prima fase viene individuata nella estraneità del Governo, per la sua
formazione, al Parlamento e, quindi, nella possibilità di realizzare il controllo politico per mezzo di
semplici “informazioni”, e non del “giudizio” verso soggetti non compartecipi della legittimazione
parlamentare, la seconda è considerata imperniata sull’attività di condizionamento del Governo
attraverso direttive parlamentari di legittimazione delle scelte governative. Weber non ritiene queste
due fasi discontinue e fratturate fra loro. Né le inquadra dentro la lente, pur diffusa al suo tempo, delle
degenerazioni del parlamentarismo44. “Parlamentarizzare” è pur sempre sinonimo di “cooperazione
parlamentare ben praticata” verso una Führung comunque da “rispettare” come estranea a qualsiasi
posizione di dipendenza verso il Parlamento45.
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Il percorso tedesco di parlamentarizzazione, quindi, si mostra non immediatamente
connesso ai temi della “fiducia”, dell’ “accordo”, della “responsabilità” come ragioni del rapporto tra
Governo e Parlamento46. La neutralizzazione politica della rappresentanza sopravvive sempre a
vantaggio di quel potere organizzato (la Staatsgewalt di cui parlava Paul Laband), di per sé refrattario a
riconoscersi in una rete istituzionalizzata tra organi. Il cosiddetto “realismo costituzionale” della
Herrschertheorie, elaborato da Max von Seydel, aveva già postulato esplicitamente tutto questo,
sostenendo che la sovranità spettasse sempre e comunque al principe, unico detentore della
indivisibile volontà dello Stato, la cui adesione al voto del Parlamento, anche se produttiva di
conseguenze politiche, non poteva che riflettere un semplice “personale convincimento”, dettato da motivi
e valutazioni di opportunità o necessità e giammai da obblighi direttamente o indirettamente
qualificabili come giuridici47.
Da questo punto di vista, l’evoluzione tedesca della “personalizzazione” del potere è stata
ben lontana dall’individualismo richiamato da Mirkine-Guetzévitch.
In Germania nascerà un monolitico modello teorico dell’autorità unitaria (Einheit),
personificata comunque da un potere “concreto”, sia esso il monarca, il garante della Costituzione o
persino il Führer. All’istanza di garanzia perseguita con l’equilibrio e il reciproco controllo degli organi
costituzionali48, si opporrà l’idea della volontà di un’autorità riconosciuta come diritto (Recht e non
solo Gewalt).
I brevissimi cenni alla vicenda tedesca consentono di scandire un altro nesso concettuale
storicamente intrecciato al tema della forma di governo: quello tra parlamentarizzazione e
costituzionalizzazione. Per Laband, i poteri parlamentari non potevano ascriversi al Verfassungsrecht,
ma al massimo sopravvivere come Pseudo-rechte, in quanto privi di copertura costituzionale di
conformazione obbligatoria.
Tuttavia, la mancata previsione formale di “obblighi” di conformazione non ha
identificato un problema comune alle altre esperienze europee. Il parlamentarismo europeo, infatti, si
impone innanzitutto come prassi e come formalizzazione interna all’organo rappresentativo49, e
rintraccia proprio nelle “lacune” la linfa del suo sviluppo. Da quest’angolo di visuale, il tema italiano
delle “zone grigie” del diritto costituzionale50 appare comparabile all’apprendimento britannico costante
delle condoned obscurities51 o ai “silenzi” costituzionali francesi52, mentre la dottrina tedesca, tra Otto e
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Novecento, continua ad attardarsi nella ricerca di vincoli in grado di giustificare giuridicamente la
responsabilità del Governo verso il Parlamento53. Sarà Georg Jellinek, nel 1906, a prendere atto che la
costituzionalizzazione della parlamentarizzazione transita su binari diversi da quelli stigmatizzati dall’idea
degli Pseudo-rechte: essa è Verfassungswandlung (trasformazione costituzionale), frutto di un vero e
proprio “diritto dispositivo” (Dispositives Recht) tra soggetti e attività parlamentari, comunque abilitato
dal testo costituzionale54.
La Verfassungswandlung sembra consentire agli organi di apprendere, di fatto, le ragioni di
“fiducia” reciproca tra organi, nella comune (ma non esclusiva) disponibilità del diritto costituzionale.
Con queste premesse, il metodo giuridico scoprirà, anche per la Germania, la soggettività del testo
costituzionale come condizione di effettività della parlamentarizzazione. Lo stesso tema della fiducia
parlamentare si emanciperà dalla evocazione mistificante della “cooperazione parlamentare ben praticata”,
per riconoscere dignità costituzionale ai fini politici di attuazione costituzionale, appunto come
politische Leitung, direzione politica.
In quest’ottica, le “zone grigie” della forma di governo, non più recluse negli Pseudo-rechte,
assurgono a “situazioni” di concreta e reciproca definizione delle dinamiche fra gli organi in funzione
della Costituzione. Divengono esse stesse elementi di costituzionalizzazione, ma non necessariamente nel
senso di positivizzazione testuale. Esse, cioè, consentono di comprendere che il percorso di
parlamentarizzazione europeo, anche finalmente in Germania, si identifica nella concretizzazione di
prassi, generalizzata e diffusa fra tutti i soggetti politici e quindi fra tutte le volontà che “dispongono”
del testo.
La constatazione si ricongiunge agli esiti di Mirkine-Guetzévitch. Il primato “politico” del
Governo è un processo istituzionale evolutivo. Pietrificarlo in norme giuridiche significa bloccarlo a
favore dell’abuso personale di singoli individui.
3 SGUARDO CRITICO SULL’UNIONE EUROPEA
Una simile consapevolezza, allo stato attuale, non sembra contraddistinguere il percorso
europeo di forma di governo “parlamentarizzata”. Non sembra, cioè, che il tema della “forma di
governo” della Unione Europea sia discusso con riguardo al fenomeno della “personalizzazione” del
potere, nei termini che sono stati descritti55.
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La circostanza che non esista ancora un effettivo “diritto dispositivo” tra soggetti e
attività parlamentari intorno alla designazione e alla “fiducia” del Presidente della Commissione e dei
suoi membri, sintomo di una sorta di Staatsgewalt ancora riposta nei Capi di Stato e di governo,
impermeabile a qualsiasi “zona grigia” dei testi formali europei, rende l’odierna osservazione della
forma di governo europea, al di là e nonostante la “costituzionalizzazione formale” dei Trattati –
compreso il recente Trattato di Lisbona –, più vicina all’apprendimento tedesco pre-weimariano della
cooperazione “ben praticata”, ma non “fiduciosa” nel Parlamento (se non nella mistificazione degli
Pseudo-rechte). Non a caso, una simile suggestione è stata evocata per definire il modello parlamentare
europeo come espressione di un’Auditive Democracy, incerta, se non confusa, nella scansione tra “Power
binding” e “Power establishing”, funzionale a logiche di short chain of legitimacy56.
Le “zone d’ombra” europee persistono nel circondare i poteri dell’ “esecutivo” e non
vengono significativamente evocate per delineare le potenzialità dinamiche interorganiche delle
istituzioni di parlamentarizzazione57.
L’Auditive Democracy, piuttosto che democratizzare la parlamentarizzazione, segna un
contributo solo alla migliore good governance58 nella persistente asimmetria tra regole e regolarità interne
alla dinamica delle forme di governo dei singoli Stati59, già fortemente condizionate dai processi di
integrazione sopranazionale60, e “indisponibilità” interna della dinamica parlamentare della forma di
governo europea, dipendente invece dalla Selbstbestimmung di Capi di Stato e di governo61. Il problema
non è la scissione tra Deliberation e Decision politiche62, appresa e sperimentata dai sistemi parlamentari
degli Stati in ragione delle diverse “situazioni” di potere politico storicamente succedutesi: la questione
è l’assenza di una loro reciproca materiale inclusione, tra ciò che si “decide” su contenuto e
composizione del Governo (Commissione) e ciò che il Parlamento europeo delibera (“fiducia”) 63.
L’ asimmetria interna a questa “zona grigia” ostacola infine il maturare della consuetudine
come patrimonio europeo di apprendimento istituzionale64 del rapporto fiduciario verso il
Parlamento, nei raccordi tra le diverse “situazioni” interne alla dinamica parlamentare: preludio invece
necessario, come si è accennato, per la effettiva costituzionalizzazione della parlamentarizzazione, al di là
dei testi positivi.
Non a caso, sempre Jellinek, al fine di spiegare il cambio di paradigmi di comprensione
dei fenomeni di parlamentarizzazione, aveva affiancato al concetto di Dispositives Recht quello di
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Nichtausübung65, offrendo alla forza normativa del fatto sia la volontà di disporre delle “zone grigie” del
testo sia la rinuncia (volontaria) a funzioni formalmente attribuite, nel ruolo elastico di reciproca
“fiducia” tra Parlamento e Governo.
4 CENNI CONCLUSIVI
Il regime parlamentare, da solo, non dà democrazia. A maggior ragione la
giuridicizzazione anti-parlamentare a favore del primato personale di un capo.
Nelle esperienze costituzionali europee fra Otto e Novecento, l’apprendimento di valori
democratici è stato perseguito non solo attraverso la forma (in primis la legge), ma anche, ancora una
volta, attraverso la prassi (in primis la consuetudine). Per questo, è stato acutamente osservato che lo
Stato costituzionale parlamentare si è presentato ed evoluto come inesorabilmente “informale”, in
quanto contraddistinto dalla inadeguatezza delle forme procedimentali impresse nel testo
costituzionale e per ciò stesso proteso ad alimentare integrazioni sovrastrutturali, rispetto alle
previsioni di Costituzione66 e di legislazione formale ordinaria attuativa67. Gli snodi concettuali della
razionalizzazione parlamentare tra le due Guerre68 e del cosiddetto “dirigismo costituzionale” sulla
legislazione parlamentare del secondo Novecento69, segnano tracce indelebili dei tratti europei di
evoluzione democratica del parlamentarismo.
Mirkine-Guetzevitch aveva visto lontano.
Si potrebbe concludere dicendo che la democraticità della parlamentarizzazione degli Stati
europei è emersa non tanto dalla misurazione giuridica dei rapporti interorganici, bensì, e soprattutto,
dall’intreccio di produzioni normative, formali o fattuali, supportate da quei rapporti70.
Nel 1906, Georg Jellinek rassicurava che “una progressiva svalutazione politica dei Parlamenti
non riporterebbe mai in vita gli antichi poteri assoluti del passato”71.
Oggi possiamo dire, richiamando l’idea foucaultiana della “nuova economia” del potere,
che è proprio questa l’insidia “mite” della “personalizzazione”: svalutare senza assolutizzare.
NOTE
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23
1
B. de Jouvenel, Del potere, tr. it., Milano, SugarCo, 1991.
2
N. Luhmann, Potere e codice politico, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1982, 21.
3
M. Duverger, Institutions politiques et personalisation du pouvoir, in L. Hamon, A. Mabilau (cur.), La
personalisation du pouvoir, Paris, Puf, 1964, 430 ss.
4
Specificità della identità europea del “costituzionalismo parlamentare”: così G. Ferrara, La Costituzione. Dal
pensiero politico alla norma giuridica, Milano, Feltrinelli, 2006, 170.
5
M. Carducci, Controllo parlamentare e teorie costituzionali, Padova, Cedam, 1996, passim.
6
Un classico di riferimento è E. Fraenkel, La componente rappresentativa e plebiscitaria nello Stato costituzionale
democratico, Torino, Giappichelli, 1994.
7
J.A. Schumpeter, Capitalismo, Socialismo, Democrazia (1942), tr.it., Milano, Comunità, 1964, 10 ss.
8
Cfr. U. Cerroni, Regole e valori nella democrazia, Roma, Editori Riuniti, 1989, 144.
9
Si vedano: L. Pellicani, Mercato politico e leadership democratica, in AA.VV., Leadership e democrazia, Padova,
Cedam, 1987, 43 ss., e L. Cavalli, Governo del leader e regime dei partiti, Bologna, il Mulino, 1992.
10
Per il concesto italiano, mi permetto di rinviare al mio studio La persistenza del consenso. Le coalizioni politiche
nel pensiero di Costantino Mortati, Padova, Cedam, 1996 (estr. da Studi Parmensi, vol. XLII).
11
Mi permetto di richiamare, per le implicazioni di approfondimento, il mio L’ «accordo di coalizione», Padova,
Cedam, 1989.
12
Ne sono testimonianza, in Italia, i dibattiti sulla soggettività dell’organo, ben diversi non solo da quelli
tedeschi sulla Organshaft, ma anche da quelli sulla discrezionalità costituzionale: si veda C. Esposito, Organo,
ufficio, soggettività dell’ufficio, Padova, Cedam, 1932, cap. I.
13
Le citazioni sono tratte dalla traduzione italiana di M. Foucault, Microficisa del potere, Torino, Einaudi, 1977.
14
N. Bobbio, Profilo ideologico del Novecento, in Storia della letteratura italiana, vol. IX, Milano, Garzanti, 1919,
161.
15
Si veda C. Schmitt, Il custode della Costituzione (1931), tr. it., Milano, Giuffrè, 1981, 161 ss.
16
Un “classico” italiano sul tema è Temistocle Martines, Governo parlamentare e ordinamento democratico, Milano,
Giuffrè, 1967, ora in Opere, Tomo I, Milano, Giuffrè, 2000, 256 ss.
17
In particolare si ricorda il pensiero di Marcelo Neves, di cui è in traduzione italiana Costituzionalizzazione
simbolica e decostituzionalizzazione di fatto, tr.it., Lecce, 2004
18
M. Galizia, Studi sui rapporti fra parlamento e governo, I, Milano, 1972.
19
Cfr. G. Leibholz, La formazione dei concetti nel diritto pubblico, tr.it., e R. Treves, Il metodo teleologico nella filosofia e
nella scienza del diritto, entrambi in Riv. Int. Fil. Dir., rispettivamente anni XI e XIII. Ma di Leibholz si veda
La dissoluzione della democrazia liberale in Germania e la forma di Stato autoritaria (1933), tr. it., Milano, Giuffrè,
1996
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20
Su queste declinazioni, si veda il lavoro di W. Leisner, Der Führer, Berlin Duncker & Humblot, 1983.
21
La cultura europea dell’ “antiparlamentarismo” ruota intorno a questa considerazione: M. Carducci,
Parlamentarismo e libertà, Urbino, QuattroVenti, 1995.
22
Sulle matrici di simili esiti, si veda G. Azzariti, Critica della democrazia identitaria, Roma-Bari, Laterza, 2005.
23
Per i riferimenti più generali al tema, si vedano: T. Poguntke, P. Webb (Eds.), The Presidentialization of Politics,
Oxford Univ. Press, Oxford, 2005; A. Di Giovine, A. Mastromarino (cur.), La presidenzializzazione degli
esecutivi nelle democrazie contemporanee, Torino, Giappichelli, 2007.
24
A. Deffenu, Forme di governo e crisi del parlamentarismo, Torino, Giappichelli, 2006.
25
Cfr. G. Vedel, La Révision de la Constitution, in Les Séminaires de la Fondation J. Jaurès, 1, 1994, 99 ss.
26
Sulla evoluzione storica europea della distinzione tra responsabilità politica “istituzionale” e “diffusa”, si
veda G.U. Rescigno, La responsabilità politica, Milano, Giuffrè, 1967.
27
Sul concetto di democrazia “deliberativa”, C. Nino, The Constitution of Deliberative Democracy, New Haven
Conn., Yale University Press, 1996, e J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimacy, in A. Hamlin, Ph. Pettit
(eds.), The Good Policy. Normative Analysis of the State, Oxford, Basil Blakwell, 1989. Sul concetto di
democrazia “delegativa”, il riferimento classico è a G. O’ Donnel, Democracia delegativa?, in Novos Estudos
Cebrap n. 31, São Paulo, Ed. Brasileira de Ciencias Ltda., 1991, 25 ss. Ma, proprio nella letteratura
brasiliana, si veda la Parte Temática : Democracia Deliberativa, in Rev. Brasileira de Estudos Constitucionais, 1, 2007,
17- 184.
28
Y. Meny, Y. Surel, Par le peuple, pour le peuple, Paris, Librairie Arthème Fayard, 2000.
29
In merito, L. Elia, La presidenzializzazione della politica, in Teoria politica, 1, 2006, 8 ss.
30
L’edizione francese è Paris, Marcel Girard, 1931.
31
Les nouvelles tendences, cit, 180.
32
Ibidem, 93.
33
Il termine deriva dal generale e politico Jozef Pilsudski (Zulowo, Lituania 1867 – Varsavia 1937).
34
Ibidem, 181. Infatti, Pilsudski emana la legge del 2 agosto 1926 dopo il colpo di Stato del 12 maggio 1926.
La revisione costituzionale, auspicata dalla “Commission de la Constitution de la Diéte” il 6 dicembre 1928, si
concretizzerà nel testo costituzionale del 1935, anno della morte di Pilsudski. Il centro focale di tale testo
sarà l’art. 2, in cui si proclama che il Presidente della Repubblica “risponde dinanzi a Dio e dinanzi alla storia dei
destini dello Stato” e che “l’autorità unica e indivisibile dello Stato si concentra nella sua persona”. Inoltre, il medesimo
testo formalizzerà il diritto del Presidente della Repubblica di proporre candidati alla propria successione.
35
Sulle matrici teorico-costituzionali del concetto di “regime fascista” nella dottrina italiana, si veda lo studio
di S. Bonfiglio, Forme di governo e partiti politici, Milano, Giuffrè, 1993, 49-89.
36
In Italia, la medesima consapevolezza fu espressa da Giuseppe Capograssi in La nuova democrazia diretta
(1922), ora in Opere, I, Milano, Giuffrè, 1959, 539 ss.
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37
In particolare, sono da ricordare i contributi in AA.VV., Populismo, Caudillaje y Discurso demagogico, Madrid,
Civitas, 1987. Si veda anche, con riguardo alle esperienze di “personalizzazione” in Sud America, M.
Alcántara, ¿Instituciones o máquinas ideolόgicas? Origen, programa y organizaciόn de los partidos latinoamericanos,
Barcelona, ICPS, 2004.
38
Rinvio a M. Carducci, Revisioni costituzionali e “rischi” di frode, in A. Pichierri (cur.), Quale revisione
costituzionale dopo il referendum del 25-26 giugno 2006, Taranto, Mandese, 2007, 73-116.
39
Cfr. L. Primicerio, La forma di governo semiparlamentare. Aspetti teorici e realizzazioni pratiche, Torino, Giappichelli, 2007.
40
Con l’ulteriore rischio di confondere l’idea di premiership europea con quella di caudillaje latinoamericana…
41
Tra l’altro, nel contesto tedesco si sviluppa il tema del “cesarismo” come metodo “personalizzato” di
governo: cfr. A. Momigliano, Per un riesame della storia della idea di cesarismo, in Riv. Storica Italiana, 68. 1956,
220 ss.
42
M. Weber, Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania (1918), tr. it., Bari, Laterza, 1919, 48 ss.
43
Cfr. C. Tommasi, Parlamentarismo e Governo di Gabinetto, in Società e storia, 1990, 636.
44
Cfr. W. J. Mommsen, Max Weber e la politica tedesca (1959), tr.it., Bologna, il Mulino, 1993, 583 ss.
45
Per R. Redslob, Le régime parlementaire (1918), Paris, Sueil, 1924, 3 ss., le cui tesi “esercitarono notevole influenza
sugli artefici della costituzione di Weimar” (W. J. Mommsen, Max Weber, cit., 519), l’equilibrio fra Parlamento e
Governo non poteva fondare la sua garanzia nella trama di controlli e interferenze reciproche, bensì nella
opposta esigenza di liberare ciascun organo da qualsiasi posizione di condizionamento nei confronti
dell’altro.
46
Rinvio agli studi classici sull’argomento, per ripercorrere le coordinate necessarie di inquadramento: M.
Rauh, Die Parlamentarisierung des Deutschen Reiches, Düsseldorf, Droste Verlag, 1977, 14 ss., e D. Grosser,
Vom monarchischen Konstitutionalismus zur parlamentarischen Demokratien, Den Haag, D. Verlag, 1970.
47
M. von Seydel, Über konstitutionelle und parlamentarische Regierung (1887), ora in Staatsrechtliche und politische
Abhandlungen, Freiburg i.B. u. Leipzig, Mohr, 1893, 140, e Principii di una dottrina generale dello Stato (1897), tr. it.
in Biblioteca di Scienze Politiche e Amministrative, diretta da A. Brunialti, 2^ Serie, Torino, UTET, 1902,
1153 ss.
48
Sulle diverse declinazioni del concetto di garanzia in Europa, cfr. S. Galeotti, La garanzia costituzionale
(presupposti e concetto), Milano, Giuffrè, 1950, 14 ss.
49
Basti pensare al ruolo giocato dalle norme interne alle camere: G. Floridia, Il regolamento parlamentare nel
sistema delle fonti, Milano, Giuffrè, 1985, 186 ss.
50
Riconducibile alla efficace espressione di A. Ferracciu, Il diritto costituzionale e le sue zone grigie, in Annali Fac.
Giur. Univ. Perugia. Vol. III, 1905, 218 ss., per arrivare alla definizione di Leopoldo Elia sulla forma di
governo come insieme di “norme a fattispecie aperta”: Governo (forme di), in Enc. Dir., XIX, Milano, Giuffrè,
1970, 640.
51
M. Foley, The Silence of Constitution, London, Routledge, 1990.
52
P. Avril, Les conventions de la Constitution. Normes non écrites du droit politique, Paris, Puf, 1997.
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53
Su convergenze e divergenze odierne, nelle forme di governo parlamentare dei principali Paesi europei, si
v. S. Mangiameli, La forma di governo parlamentare (evoluzione e razionalizzazione): una comparazione tra Regno Unito,
Germania e Italia, in R. Di Leo, G. Pitruzzella (cur.), Modelli istituzionali e riforma della Costituzione, il Mulino,
Bologna, 1999, 127 ss.
54
G. Jellinek, Mutamento e riforma costituzionale (1906), tr.it., Lecce, Pensa, 2004, 17 ss.
55
Nel panorama italiano, si possono ricordare C. Amirante, Dalla forma Stato alla forma mercato, Torino,
Giappichelli, 2008, in particolare 86 ss. sul tema della “governance without government” e L. Patruno, Il modello
istituzionale europeo e l’idea di Costituzione, Torino, Giappichelli, 2006. Nella letteratura brasiliana e in
prospettiva comparativa, c’è da ricordare B. Galindo, Teoria intercultural da Constituição, Porto Alegre, Livraria
do Advogado, 2006.
56
H. Brunkhorst, A Polity without a State? European Constitutionalism between Evolution and Revolution, in E.O.
Eriksen, J.E. Fossum, A.J. Menéndez (eds.), Developing a Constitution for Europe, London, Routledge, 2003.
57
A. Mattera, Les zones d’ombre du projet de Constitution dans l’architecture institutionnelle de l’Union: la
Composition de la Commission touché au coeur du “projet européen”, in Rev. droit Union eur., 2003, 5.
58
E.O. Eriksen, J.E. Fossum, Democracy through strong publics in the European Union, in Journal of Common Market
Studies, Vol. 40, 2, 2002, 420, e Europe at a Crossroads. Government or Transnational Governance?, in C. Joerges
(ed.), Constitutionalism and Transnational Governance, Oxford, Hart, 2003.
59
La cui centralità, nella evoluzione e comprensione dello stesso diritto costituzionale, è stata analiticamente
colta e studiata da M. Dogliani, Indirizzo politico. Riflessioni su regole e regolarità nel diritto costituzionale, Napoli,
Jovene, 1985.
60
C.D. Classen, Europäische Integration und demokratische Legitimation, in Archiv des öff. Rechts, 119, 1994, 239
ss.
61
C. Möllers, Globalisierte Jurisprudenz: Einflüsse relativierter Nationalstaatlichkeit auf das Konzept des Rechts
und die Funktion seiner Theorie, in Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie, Beiheft 79, 2001, 41-59.
62
Su cui, tuttavia, è bene non dimenticare la critica di J.H.H. Weiler, Epilogue: “Commitology” as Revolution.
Infranationalism, Constitutionalism and Democracy, in C. Joerges, E. Vos (eds.), EU Committees: Social Regulation,
Law and Politics, Oxford, Hart, 1999, 348.
63
K.D. Wolf, Die neue Staatsräson. Zwischenstaatliche Kooperation als Demokratieproblem der Weltgesellschaft, Baden
Baden, Nomos Verlag, 2000, 38 ss.
64
Sulla marginalità della consuetudine nell’apprendimento costituzionale europeo, cfr. H. Brunkhorst, op. cit.
65
G. Jellinek, Mutamento, cit., 43 ss.
66
È il concetto di Ungeschriebenes Verfassungsrecht di Rudolf Smend. Sulle sue differenze rispetto a quello di
Jellinek di Verfassungswandlung, si rinvia a H.A. Wolff, Ungeschriebenes Verfassungsrecht unter dem Grundgesetz,
Tübingen, Mohr Siebeck, 2000, 7 ss.
67
Su tale prospettiva, esistono tre importanti contributi dovuti all’Autore tedesco Helmuth Schulze-Fielitz, in
cui si elaborano e sviluppano queste teorie: Der informale Verfassungsstaat (Berlin, Buncker & Humblot,
1984); Theorie und Praxis der parlamentarischer Gesetzgebung (Berlin, Duncker & Humblot, 1988);
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27
Parlamentsbrauch, Gewonheitsrecht, Observanz, in H.P. Schneider, W. Zeh (Hrsg.), Parlamentsrecht und
Parlamentspraxis, Berlin-New York, De Gruyter, 1988, 392 ss.
68
Cfr. S. Ceccanti, La forma di governo parlamentare in trasformazione, Bologna, il Mulino, 1997, 19-61.
69
Sull’impatto dell’integrazione europea rispetto a tale approccio costituzionale (espresso da V. Crisafulli in
Italia, J.J. Gomes Canotilho in Portogallo, P. Lerche in Germania), si v. lo stesso Canotilho, Dalla
Costituzione dirigente al diritto comunitario dirigente (2000), tr.it., Lecce, Pensa, 2004, le cui tesi sono state poi
riprese dallo stesso A., con riguardo alla “Costituzione europea”, in A Constituição Européia entre o Pragrama e
a Norma, in AA.VV., Derecho Constitucional para el Siglo XXI, Navarra, Aranzadi, 2006, Vol. I, 2121-2126.
70
Così H. Schulze-Fielitz, Der informale Verfassungsstaat, cit., 104 ss.
71
G. Jellinek, Mutamento, cit., 67:.
Recebido: 3/4/2015
Aprovado:11/7/2015
Michele Carducci
Revista Jurídica – CCJ
ISSN 1982-4858
v. 19, nº. 39, p. 7 - 28, maio/ago. 2015
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