Economia Politica e
Istituzioni Economiche
Barbara Pancino
Lezione 17
Regimi di cambio
Breve periodo
Nel breve periodo esiste un forte contrasto tra il comportamento
dell’economia in un sistema di cambi fissi rispetto ad un sistema di
cambi flessibili.
Con tassi di cambio flessibili, un paese che ha bisogno di un
deprezzamento reale – per esempio per ridurre il disavanzo
commerciale o per uscire da una recessione – può farlo usando la
politica monetaria per ridurre il tasso di interesse e quello di
cambio.
Con tassi di cambio fissi, lo stesso paese invece non ha più a
disposizione nessuno di questi due strumenti: per definizione il
tasso di cambio è fisso e pertanto non può essere aggiustato. Ciò
implica che il tasso di interesse interno deve rimanere uguale al
tasso di interesse estero.
Il medio periodo
Nel medio periodo la differenza tra i due regimi di cambio svanisce.
In particolare, nel medio periodo l’economia raggiunge lo stesso
livello di tasso di cambio reale e lo stesso livello di produzione, sia
che operi in un sistema di cambi flessibili, sia che operi in un sistema
di cambi fissi.
Dato:
EP
ε=
P*
il tasso di cambio reale si può aggiustare sia attraverso una
variazione del tasso di cambio nominale, sia attraverso una
variazione dei prezzi nazionali, P, e dei prezzi esteri, P*.
Nel medio periodo, in regime di tassi di cambio fissi, l’aggiustamento
avviene attraverso il livello dei prezzi invece che attraverso il tasso
di cambio nominale.
Il medio periodo: esempio
Vi sono tre modi in cui un’auto britannica può diventare più
conveniente di una tedesca:
•  attraverso una diminuzione del prezzo in sterline di un’auto
britannica;
•  attraverso un aumento del prezzo in euro di un’auto tedesca;
•  attraverso una diminuzione del tasso di cambio nominale – una
diminuzione del valore della sterlina in termini di euro.
Il medio periodo
In economia aperta con tassi di cambio fissi, la curva di domanda
aggregata può essere scritta come segue:
⎛ EP
⎞
Y = Y ⎜ , G,T ⎟
⎝ P *
⎠
(−
, + , −)
La produzione, Y, dipende dal tasso di cambio reale, dalla spesa
pubblica e dalle imposte.
Lo stock reale di moneta, M/P, presente in economia chiusa, non è
più presente perchè:
•  in economia chiusa, controllando l’offerta di moneta, la banca
centrale poteva cambiare il tasso di interesse e influire sul
livello di produzione;
•  in economia aperta, e con tassi di cambio fissi e perfetta
mobilità dei capitali, la banca centrale non può più variare il
tasso di interesse, quindi rinuncia alla politica monetaria.
Il medio periodo
Allo stesso tempo, l’apertura dell’economia significa che dobbiamo
includere una variabile che non includevamo in economia chiusa: il
tasso di cambio reale.
La relazione negativa tra livello dei prezzi e produzione utilizza
canali diversi in economia chiusa o aperta.
In economia chiusa:
P ↑→ M / P ↑→ i ↑→ Y ↓
In economia aperta con tassi di cambio fissi:
P ↑→ EP / P* ↑→ NX ↓→ Y ↓
Equilibrio di breve e di medio periodo (AS-AD)
Per l’offerta aggregata:
⎛ Y ⎞
P = P (1 + µ ) F ⎜1 − , z ⎟
⎝ L ⎠
e
Il livello atteso dei prezzi conta perché influenza i salari nominali,
che a loro volta influenzano il livello dei prezzi.
Una maggior produzione genera maggior occupazione, che a sua
volta fa aumentare i salari, che a loro volta fanno aumentare il
livello dei prezzi.
Equilibrio di breve e di medio periodo
Punto di equilibrio
di breve periodo
Y non deve
necessariamente
coincidere con Yn
Domanda aggregata e offerta aggregata in un’economia aperta con tassi di cambio
fissi.
Un aumento dei prezzi porta a un apprezzamento reale e a una riduzione della
produzione: la curva di domanda è inclinata negativamente. Un aumento della
produzione porta a un aumento dei prezzi: la curva di offerta è inclinata
positivamente.
Equilibrio di breve e di medio periodo
Che cosa succede nel tempo?
Fino a quando la produzione è inferiore al suo livello naturale,
l’offerta aggregata si sposta verso il basso, il livello dei prezzi
diminuisce.
Nel corso del tempo, la riduzione del livello dei prezzi genera un
costante deprezzamento reale.
Questo deprezzamento reale fa aumentare la produzione fino al
suo livello naturale.
Nel medio periodo, nonostante il cambio nominale sia fisso,
l’economia raggiunge il deprezzamento reale che serve per
riportare la produzione al suo livello naturale.
Equilibrio di breve e di medio periodo
Aggiustamento con tassi di cambio fissi.
Nel tempo, l’offerta aggregata si sposta verso il basso, portando a una riduzione del
livello dei prezzi, a un deprezzamento reale e a un aumento della produzione. Il
processo finisce quando la produzione è tornata al suo livello naturale.
Equilibrio di breve e di medio periodo
Conclusioni:
— 
nel breve periodo, un tasso di cambio nominale fisso comporta
un tasso di cambio reale fisso.
— 
nel medio periodo, un tasso di cambio nominale fisso è
compatibile con un aggiustamento del tasso di cambio reale.
L’aggiustamento è raggiunto attraverso variazioni del livello dei
prezzi.
Vantaggi e svantaggi di una svalutazione
Ci sono metodi più rapidi e efficaci per far tornare la produzione
al livello naturale?
à  Svalutazione
Per un dato livello dei prezzi, una svalutazione (cioè una riduzione
del tasso di cambio nominale) porta a un deprezzamento reale
(cioè una riduzione del tasso di cambio reale) e quindi fa
aumentare la produzione.
In altre parole, una svalutazione sposta la curva di domanda
aggregata verso destra: a un dato livello dei prezzi, la produzione è
maggiore.
Ciò ha un’implicazione immediata: una svalutazione della giusta
misura può portare l’economia direttamente da Y a Yn.
Vantaggi e svantaggi di una svalutazione
Aggiustamento con svalutazione.
Una svalutazione appropriata può spostare la domanda aggregata verso destra,
portando l’economia nel punto C. Nel punto C, la produzione è di nuovo al suo
livello naturale.
Vantaggi e svantaggi di una svalutazione
— 
— 
Contrariamente alla relazione della domanda aggregata, gli effetti
del deprezzamento sulla produzione non avvengono
immediatamente (curva J).
Inoltre, contrariamente alla nostra semplice relazione di offerta
aggregata, la svalutazione avrà un effetto diretto sul livello dei
prezzi.
Permettere al tasso di cambio nominale di aggiustarsi può aiutare la
produzione a tornare al suo livello naturale, se non immediatamente
almeno più velocemente rispetto al caso di assenza di svalutazione.
Quando un paese in un sistema di cambi fissi si trova di fronte a un
forte disavanzo commerciale o a una grave recessione, aumentano le
pressioni politiche per abbandonare l’accordo di cambio o almeno
introdurre una svalutazione una tantum.
Crisi del tasso di cambio in regime di cambi fissi
Supponiamo che un paese operi in un sistema di cambi fissi e che i
mercati finanziari inizino ad aspettare un aggiustamento del tasso di
cambio, in termini di svalutazione o passaggio a sistema di cambi
flessibili.
In presenza di aspettative di inflazione, mantenere il tasso di cambio
richiede un aumento notevole del tasso di interesse domestico.
Le aspettative di una svalutazione possono innescare una crisi del
tasso di cambio.
Di fronte a tali aspettative, il governo ha due opzioni:
—  arrendersi e svalutare;
—  difendere la parità, al costo di un tasso di interesse molto
elevato e di una potenziale recessione. Infine, la recessione
potrebbe costringere il governo a cambiare politica.
La scelta tra cambi fissi e cambi flessibili
E’ meglio scegliere un sistema di cambi fissi o flessibili?
— 
Il regime di cambio nel medio periodo non importa, ma così non
è nel breve periodo.
— 
L’anticipazione che un paese con cambi fissi possa dover
svalutare porta gli investitori a chiedere tassi di interesse molto
alti, peggiorando in tal modo la situazione economica (contro i
cambi fissi).
— 
In un sistema di cambi flessibili il tasso di cambio può fluttuare
fortemente e può essere fuori del controllo della politica
monetaria (contro i cambi flessibili).
Crisi del tasso di cambio in regime di cambi fissi
In generale, i tassi di cambio flessibili sono preferibili, con due
eccezioni:
1. 
quando un gruppo di paesi è già fortemente integrato dal
punto di vista economico. In questo caso la soluzione potrebbe
essere una forma estrema di tassi di cambio fissi (currency
board o dollarizzazione).
2. 
quando la banca centrale non segue una politica monetaria
responsabile in un sistema di tassi di cambio fissi. La soluzione
giusta potrebbe essere una moneta unica.
“Currency Board” e dollarizzazione
Il Currency Board è un regime di cambio fisso in cui i vincoli alla politica
monetaria della banca centrale sono sottoposti ad un processo di
irrigidimento, normalmente con una cosiddetta istituzionalizzazione. Si
stabiliscono cioè delle regole fisse per l’emissione di moneta da parte
della banca centrale.
L’autorità monetaria può emettere valuta solamente se essa è coperta da
un corrispondente ammontare di valuta estera. In questo modo, la politica
monetaria della banca centrale che governa la valuta sottoposta a currency
board si trova di fatto a dipendere strettamente dalla politica monetaria
della banca centrale verso cui il tasso di cambio è stato fissato.
L’istituzionalizzazione di tale regola monetaria può giungere anche ad una
costituzionalizzazione. Questo rende particolarmente difficile e laborioso
abbandonare un currency board, e obbliga chi lo sceglie a seguire la
condotta di paesi le cui politiche monetarie sono normalmente più
accorte e virtuose. Non sempre però un paese che sceglie un currency
board è in grado di rispettarlo fino in fondo, col rischio di venir sottoposto
ad attacchi speculativi.
Dollarizzazione
Questo regime valutario si caratterizza per l’adozione diretta di una
valuta estera (di solito, per ragioni evidenti, il Dollaro statunitense)
come valuta ufficiale in sostituzione della valuta domestica.
È come se si trattasse di un tasso di cambio fisso, ma portato alle
estreme conseguenze, con una totale cessione di sovranità
monetaria alle autorità estere.
I casi di dollarizzazione completa sono piuttosto rari.
Aree valutarie comuni
Quando un gruppo di paesi è fortemente integrato può formare
un’area valutaria ottima: una moneta unica per un gruppo di paesi è
una forma estrema di tassi di cambio fissi.
Affinché i paesi formino un’area valutaria ottima, devono essere
soggetti a shock simili, oppure ci deve essere una forte mobilità del
lavoro tra un paese e l’altro.
Approfondimenti
Breve storia dell'euro
Quando l’Unione Europea festeggiò il suo trentesimo compleanno nel
1988, alcuni governi decisero che fosse arrivato il momento di prendere
l’iniziativa per creare una moneta comune. Chiesero a Jacques Delors, il
Presidente dell’Unione Europea, di stilare una relazione che fu
successivamente presentata nel giugno del 1989.
Il rapporto Delors suggeriva di convergere verso una Unione Monetaria
Europea (EMU) in tre fasi: la prima fase consisteva nell’abolizione dei
controlli ai capitali. La seconda fase consisteva nella scelta delle parità
fisse da mantenere ad eccezione di “circostanze eccezionali”. La terza
fase consisteva nell’adozione di una moneta comune.
La prima fase fu implementata nel luglio del 1990.
La seconda fase iniziò nel 1994, dopo le crisi valutarie del 1992-1993.
Una decisione minore ma simbolica riguardò la scelta del nome della
nuova moneta comune. Ai francesi piaceva l’”Ecu” (European currency
unit), che era anche il nome di un’antica moneta francese. Gli altri paesi
preferirono però l’euro e il nome fu adottato nel 1995.
Breve storia dell'euro
Contemporaneamente, i paesi dell’EU indissero un referendum
sull’adozione del Trattato di Maastricht. Il Trattato, negoziato nel 1991,
stabiliva le tre condizioni principali per entrare nell’Unione Monetaria
Europea: una inflazione poco elevata, un deficit di bilancio inferiore al 3%
del Pil ed un debito pubblico inferiore al 60%. Il Trattato non fu molto
popolare ed in molti paesi l’esito del voto fu al limite. In Francia il
Trattato passò con solo il 51% dei voti. In Danimarca il Trattato non
passò.
Nel 1996-1997 pochi paesi europei sembravano poter soddisfare le
condizioni di Maastricht. Alcuni paesi presero però delle misure
drastiche per ridurre il loro deficit di bilancio. Quando arrivò il
momento di decidere, nel maggio 1998, quali paesi sarebbero stati
membri dell’EMU, undici paesi raggiunsero il traguardo: Austria, Belgio,
Finlandia, Francia, Germania, Italia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda,
Portogallo e Spagna. Il Regno Unito , la Danimarca e la Svezia decisero di
rimanere fuori, almeno per il primo periodo. Nel 2001, la Grecia si
qualificò ed entrò nell’Unione Monetaria Europea.
Breve storia dell'euro
La terza fase iniziò nel gennaio del 1999. Le parità tra le 11 valute e
l’euro vennero fissate in modo irrevocabile. La nuova Banca Centrale
Europea (BCE) con sede a Francoforte divenne responsabile della
politica monetaria per l’area euro.
Dal 1999 al 2002, l’euro esistette come unità di conto, sebbene le
banconote e le monete non esistessero ancora. In effetti, l’area euro
funzionava come un’area con tassi di cambio fissi. Il passo successivo fu
l’introduzione delle monete e delle banconote in euro nel gennaio del
2002. Per i primi mesi del 2002, le valute nazionali e l’euro circolarono
contemporaneamente, fino a quando le monete nazionali vennero
ritirate dalla circolazione successivamente durante l’anno.
Oggi l’euro è l’unica valuta usata nell’area Euro. L’area Euro, come il
gruppo di paesi membri viene chiamato, è diventato un’area con valuta
comune.
Il «currency board» argentino
Quando nel 1989 Carlos Menem divenne presidente dell’Argentina,
ricevette in eredità un vero e proprio disastro economico. L’inflazione
correva a più del 30% al mese. La crescita della produzione era negativa.
Menem e il suo ministro dell’economia, Domingo Cavallo, giunsero presto
alla conclusione che, in quelle circostanze, l’unico modo per tenere sotto
controllo la crescita della moneta – e quindi l’inflazione – era di ancorare
il peso (la moneta argentina) al dollaro, con una parità molto stretta. Così,
nel 1991, Cavallo annunciò che l’Argentina avrebbe adottato un currency
board. La banca centrale sarebbe stata disposta a cambiare pesos per
dollari. Inoltre, l’avrebbe fatto al tasso di cambio fortemente simbolico di
un dollaro per un peso.
La creazione di un currency board e la scelta di un tasso di cambio
simbolico avevano lo stesso scopo: convincere i mercati finanziari che il
governo stava prendendo seriamente l’ancoraggio del cambio e rendere
più difficile ai governi futuri scegliere di abbandonare la parità e di
svalutare. In questo modo, rendendo più credibile il tasso di cambio fisso,
si riduceva il rischio di una crisi del tasso di cambio.
Per un certo periodo di tempo, il currency board sembrò
funzionare perfettamente. L’inflazione, che nel 1990 aveva superato
il 2.300%, nel 1994 era scesa al 4%!
Questo era chiaramente il risultato dei vincoli stringenti che il
currency board stava imponendo alla crescita monetaria. Ancor più
sorprendentemente, questa riduzione dell’inflazione fu
accompagnata da un forte aumento della produzione. La crescita
media della produzione fu del 5% all’anno dal 1991 al 1999.
A partire dal 1999, però, la crescita tornò a essere negativa, e
l’Argentina entrò in una nuova e profonda recessione. Era forse
causa del currency board?
Solo in parte:
•  In tutta la seconda metà degli anni Novanta, il dollaro si è apprezzato
costantemente rispetto alle altre principali valute. Poiché il peso era
ancorato al dollaro, anch’esso si apprezzò. Alla fine degli anni Novanta,
era chiaro che la sopravvalutazione del peso era all’origine della
riduzione della domanda di beni argentini e dell’aumento del
disavanzo commerciale.
•  Il currency board non fu totalmente responsabile della recessione.
C’erano altre cause. Però è vero che il currency board rese più difficile
combattere la recessione: minori tassi di interesse e un
deprezzamento del peso avrebbero aiutato l’economia a riprendersi,
ma con il currency board questa opzione era esclusa a priori.
Nel 2001, la crisi economica divenne una crisi finanziaria e valutaria.
A causa della recessione, il disavanzo di bilancio aumentò, facendo
aumentare il debito pubblico. Preoccupati che il governo potesse fare
default sul debito, gli investitori finanziari iniziarono a chiedere tassi di
interesse sempre più alti sul debito pubblico, facendo aumentare ancor di
più il disavanzo di bilancio e di conseguenza anche il rischio di default.
Preoccupati che il governo potesse far saltare il currency board e svalutare
per combattere la recessione, gli investitori finanziari iniziarono a chiedere
alti tassi di interesse in pesos, rendendo ancor più costoso per il governo
mantenere la parità con il dollaro, e di conseguenza rendendo più
probabile l’abbandono del currency board.
Nel dicembre 2001, il governo fece default su parte del suo debito.
All’inizio del 2002, abbandonò il currency board e lasciò fluttuare il peso.
Il peso si è notevolmente deprezzato e nel giugno del 2002 il cambio era a
3,75 pesos per 1 dollaro! Gli individui e le imprese che, riponendo fiducia
nel currency board, avevano acceso prestiti in dollari si ritrovarono con un
notevole aumento del valore in peso dei propri debiti. Molti dichiararono
fallimento e il sistema bancario crollò.
Nonostante l'elevato deprezzamento reale, che avrebbe dovuto favorire le
esportazioni, il Pil diminuì dell'11% nel 2002 e il tasso di disoccupazione
arrivò al 20%. La crescita della produzione è tornata positiva nel 2003, ma
bisogna aspettare fino al 2005 perché il Pil ritorni ai livelli del 1998.
Il currency board è stato una cattiva idea?
A questo proposito tra gli economisti non c’è ancora un accordo:
•  Alcuni sostengono che è stata una buona idea, ma non è stata applicata
fino in fondo. L’Argentina avrebbe dovuto dollarizzare, cioè adottare il
dollaro come valuta nazionale, ed eliminare completamente il peso.
Eliminando la valuta nazionale, si sarebbe eliminato anche il rischio di
una crisi valutaria. La lezione è che un currency board non fornisce
un’ancora sufficientemente forte per il tasso di cambio. Solo la
dollarizzazione riesce in questo intento.
•  Altri sostengono invece che il currency board è stata inizialmente una
buona idea, ma non sarebbe dovuto durare tanto a lungo. Una volta
controllata l’inflazione, l’Argentina avrebbe dovuto abbandonare il
currency board e tornare a un sistema di cambi flessibili. Il problema è
che l’Argentina ha fissato il cambio con il dollaro per un periodo
troppo lungo, fino al punto in cui il peso si è sopravvalutato, e la crisi
valutaria è diventata inevitabile.
Il dibattito continuerà. Nel frattempo, l’Argentina deve ricostruire la sua
economia.