La comunicazione sociale - Panathlon International

PARTE PRIMA
Capitolo 1. La comunicazione sociale
1.1. Premessa
La comunicazione sociale proviene da istituzioni pubbliche, private o
semipubbliche e promuove servizi, valori ed argomenti di interesse generale
relativamente controverso. E’ l’ambito più eterogeneo della comunicazione
pubblica in quanto vede coinvolte sia le istituzioni pubbliche che quelle private,
e può riguardare i temi e le immagini più diverse, i servizi più disparati.
Mentre per la prima accezione – istituzione pubblica – ci si riferisce a tutte
quelle istituzioni che, più o meno direttamente, dipendono dallo stato, la
seconda e la terza sono più complesse. Per istituzioni semipubbliche si
intendono quelle che, come i partiti, sono soggetti di diritto privato, ma
intervengono stabilmente e continuativamente su argomenti di interesse
pubblico. Sono quelle istituzioni che si pongono tra lo stato e i cittadini, che
organizzano la loro partecipazione nello stato e nei confronti dello stato. In
alcuni casi, come in quello dei partiti, esse sono finanziate anche con denaro
pubblico, in altri, come nel caso delle organizzazioni sindacali, pur basandosi
esclusivamente su finanziamenti privati, hanno un compito prioritario di
rappresentanza e contrattazione di interessi nei confronti dello stato. Ci sono
infine altre istituzioni di più stretta natura privata (che saranno le protagoniste di
questa mia trattazione): sono quelle organizzazioni frutto della libera volontà dei
cittadini ad organizzarsi per intervenire anche, ma non esclusivamente, su
argomenti di interesse pubblico, non necessariamente legati al campo
dell’intervento dello stato. Ciò che determina l’inserimento della comunicazione
di queste istituzioni nell’ambito di quella pubblica, e per inclusione in quella
7
sociale, è la finalità: la loro comunicazione non deve essere orientata al
raggiungimento di un utile economico immediato (la vendita di un prodotto, uno
scambio, ecc.). E’ questa la dimensione definitoria che più delle altre delimita il
campo della comunicazione sociale distinguendo tra comunicazione profit e
comunicazione non profit. Ciò non toglie peraltro che alcune organizzazioni
orientate al profitto possano investire in comunicazione non profit: è il caso delle
organizzazioni
economiche
che
si
fanno
promotrici
di
valori
sociali
generalmente accettati o di servizi di interesse sociale.
1.2. Quadro storico e definitorio
In Italia lo stato ha mantenuto e mantiene ancora un ruolo di primo piano in
questo tipo di comunicazione, in gran parte delle altre democrazie occidentali la
comunicazione sociale proviene soprattutto da una molteplicità di istituzioni private o semipubbliche – nate a seguito dello sviluppo e quindi del successivo
restringimento dello stato sociale o di iniziative di associazionismo civile. E’
indubbio però che anche in Italia, a seguito delle trasformazioni avvenute grazie
all’ampliamento dei compiti dello stato, all’aumento della consapevolezza da
parte dei cittadini dei propri diritti e alla nuova struttura dell’arena dei servizi di
interesse generale1, sta aumentando il numero delle istituzioni che svolgono
comunicazione sociale.
La definizione di comunicazione sociale con cui si inizia questa trattazione è
piuttosto generale ed è necessario includere al suo interno diverse sottospecie:

comunicazione di pubblico servizio: promuove essenzialmente servizi di
interesse generale. Può discendere da istituzioni pubbliche e private;
1
Analizzando brevemente questi tre punti, si ha che l’evoluzione della società implica un
sempre più accentuato processo di specializzazione delle istituzioni e quindi lo sviluppo dello
stato è interpretato come nascita e settorializzazione funzionale dei compiti di istituzioni sia
pubbliche che private; si evidenzia così l’avvio di iniziative volontarie, private o semiprivate, di
assistenza e solidarietà finalizzate al raggiungimento di obiettivi specifici e determinati. Il
secondo aspetto rileva che l’odierna società civile è sempre più composta da un aggregato di
soggetti consapevoli dei propri autonomi diritti - al benessere, alla sicurezza economica, al
partecipare pienamente al retaggio sociale, all’essere informati -. Il terzo concerne la
progressiva trasformazione nel tempo dei mezzi di comunicazione di massa da canali a
comunicatori, a soggetti attivi di mutamento capaci di influenzare altri soggetti sociali.
8

comunicazione sociale propriamente intesa: sostiene e promuove argomenti
e valori relativamente controversi;

comunicazione delle responsabilità sociali: identifica alcune istituzioni,
prevalentemente private, con la difesa di interessi generali generalmente
controversi;

la comunicazione delle altre istituzioni quasi pubbliche: quella proveniente
da organizzazioni semipubbliche o private, diverse dai partiti ed incentrate
su argomenti di carattere controverso.2
Per capirne meglio i confini e le caratteristiche appaiono necessarie due
precisazioni: una relativa alle fonti, cioè quali sono le istituzioni che producono e
possono produrre questo tipo di comunicazione, ed un’altra relativa al suo
oggetto specifico. Messo per inciso che la comunicazione sociale può
innanzitutto provenire da istituzioni pubbliche, settore a cui concretamente non
verrà dato spazio in queste pagine, ci si concentrerà su di un’altra provenienza:
quella delle istituzioni semipubbliche ed in particolare quelle private non
finalizzate al profitto. Come si sa, da alcuni studiosi e professionisti di marketing
è stata coniata l’espressione marketing for non profit organizations, che in Italia
oggi si è soliti indicare con il nome di onlus. Kotler3 definisce che esse alcune
hanno
alcune
caratteristiche
peculiari
che
le
distinguono
dalle
altre
organizzazioni commerciali. Innanzitutto esse hanno più pubblici: i propri clienti
e quelli che oggi definiremo sponsor o finanziatori. Esse devono rispondere con
il proprio prodotto e la propria attività a ciascuno di questi pubblici.
Anche gli obiettivi di una non profit organization sono molteplici, non si
identificano solo nella produzione di utili, come nel caso dell’impresa industriale
o commerciale. Anzi, nella maggior parte dei casi questo non è il loro obiettivo
anche se le non profit organizations devono avere bilanci in grado di assicurare
il loro mantenimento e quindi non essere in perdita. Ciò rende molto complessa
e difficile la loro gestione dal momento che una gran varietà di fattori può
indirizzare le scelte della dirigenza: aumentare il numero dei propri
“consumatori“ oppure esaudire le richieste dei finanziatori oppure ancora
2
3
Cfr. Mancini P., Manuale di comunicazione pubblica, Laterza, Roma-Bari, 2002.
Cfr. Kotler P., Marketing for Nonprofit Organizations, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1975.
9
rispondere alle esigenze della comunità di riferimento, ecc. Ma soprattutto una
non profit organization produce servizi piuttosto che beni di consumo. I servizi,
nella maggior parte dei casi, sono intangibili; la loro qualità dipende più dalla
capacità e professionalità di chi li fornisce che da loro contenuti e caratteristiche
intrinseche.
Infine, molto più delle imprese commerciali, le organizzazioni non profit sono
sottoposte al giudizio e al vaglio del pubblico. Avendo destinatari, potenziali ed
attuali, molteplici, i loro servizi interessano e coinvolgono il giudizio di
moltissime persone, spesso anche di coloro che non ne usufruiscono
direttamente. Non a caso si è soliti indicare con la dizione di “servizio pubblico“
ciò che queste organizzazioni dispensano ed è evidente che essendo di
interesse pubblico il loro prodotto sia sottoposto al giudizio di persone ed
interlocutori molteplici e differenti.
Per definire le non profit organizations, Seymoure Fine ricorre ad un metodo
molto più empirico, stilando, con riferimento soprattutto al contesto statunitense,
una lista di sei diverse tipologie di istituzioni alle quali si può applicare tale
definizione: le istituzioni che dispensano servizi medico/sanitari, quelle che
forniscono servizi scolastici ed educativi, le istituzioni religiose, quelle che
forniscono servizi sociali, quelle che dispensano altri servizi di solidarietà ed
infine una più ampia categoria di istituzioni che forniscono prodotti artistici, di
comunicazione, ecc.4
Accanto alle definizioni di autori come Kotler e Fine, di provenienza dal modo
dell’impresa, ci sono quelle di altri autori influenzate da approcci politologici,
sociologici o storici. Alan Ware, politologo britannico, propone una definizione
più complessa ed articolata di quelle proposte finora che indubbiamente
risentono dell’ambito di provenienza adattandosi soprattutto alle imprese che
offrono servizi pubblici. Ware parla di intermediate organizations, organizzazioni
che non sono parte dello stato e che però non sono neanche finalizzate alla
produzione di profitto. Sono organizzazioni che “legalmente hanno la natura di
4
Cfr. Fine S., Social Marketing, Allyn and Bacon, Boston-London-Sydney-Toronto, 1990.
10
istituzioni private ma nello stesso tempo non possono, sempre per legge,
produrre profitto. Esse si situano tra lo stato ed il settore profit“.5
La prima critica che Ware rivolge alla definizione non profit organizations è
terminologica: benché i sostenitori di questa definizione affermino che le
istituzioni alla quale essa si applica legalmente non possono distribuire profitti,
molte di esse mirano però ugualmente a produrne. In un certo senso anche i
casi in precedenza illustrati mostrano come il raggiungimento di utili, seppure
non da distribuire, sia però essenziale per il reinvestimento in altre attività. Ware
evidenzia inoltre come la stessa definizione giuridica di non profit organizations
vari in relazione ai diversi contesti legislativi. Un’istituzione non profit negli Stati
Uniti può non essere giudicata tale in Italia. Insomma, sembra di capire che per
Ware la definizione non profit risente troppo del contesto professionale, quello
dell’impresa, e del contesto nazionale, gli Stati Uniti, in cui essa è nata. Ma
evidentemente l’ambiguità giuridica è destinata a rimanere anche nella
definizione di intermediate organizations proposta dallo stesso Ware:
un’istituzione catalogata come tale in un contesto legislativo può non esserlo in
un contesto differente.
La lunga ed argomentata discussione di Ware attorno alla natura e allo sviluppo
delle intermadiate organizations può essere di grande per descrivere ed
interpretare la tipologia di comunicazione di queste istituzioni che non sono
pubbliche ma si prefiggono obiettivi di interesse pubblico. Ware fa innanzitutto
risalire le prime intermediate organizations alle originarie forme di cooperazione
sociale che si sviluppano nelle società precapitalistiche. Il modello che Ware ha
in mente è ovviamente soprattutto quello britannico, è il modello delle charities,
le associazioni filantropiche e di solidarietà sociale che si sviluppano nel
periodo della riforma protestante e che tendono a costituire delle strutture di
reciproco aiuto a cui ricorrere nei momenti di bisogno. Nel 1601, sotto la spinta
dei Tudor, viene approvato lo Statute of Charitable Uses che costituisce
un’ulteriore spinta all’impegno dei più ricchi nei confronti degli indigenti e che
rappresenta ancor’ oggi il modello di riferimento delle charities così come esse
si sviluppano in Gran Bretagna, prima, e poi negli Stati Uniti. Ma è soprattutto
5
Cfr. Ware A., Between Profit and State, Polity Press, Cambridge, 1989.
11
con la rivoluzione industriale che si sviluppano enormemente le associazioni tra
lavoratori per scopi di reciproca solidarietà: le friendly societies in Gran
Bretagna, le società di mutuo soccorso in Italia, ecc.
Tali associazioni si sviluppano in modo significativo anche in Italia ad opera del
movimento socialista e dello spirito di solidarietà proprio dell’associazionismo
cattolico. La prima esperienza cooperativa italiana nasce a Torino nel 1854 ad
opera di un gruppo di operai che si riuniscono in società per aprire un
“magazzino di previdenza“ per far fronte ai problemi posti da una grande
carestia agricola e di un conseguente rincaro dei prezzi. E’ la prima di una serie
di esperienze che ben presto si diffonderanno soprattutto al Nord sotto la forma
di società di mutuo soccorso e che poi si trasformeranno in cooperative di
consumo e produzione. Più che in altri paesi il movimento cooperativo nasce e
si sviluppa in collegamento con i partiti politici.
Successivamente nel ventesimo secolo nascono, soprattutto per ispirazione del
movimento operaio, nuove forme di associazioni: le cooperative di consumo, le
cooperative per la costruzione di abitazioni, ecc. Un ulteriore sviluppo delle
intermediate organizations si ha con l’avvento dello stato sociale e quindi con la
nascita di una miriade di altre organizzazioni che sono di supporto allo stato
stesso per la fornitura di servizi che esso non può offrire direttamente.
L’attenzione di Ware non è posta sulle istituzioni che emanano dallo stato e
dalle sue articolazioni, bensì su quelle che traggono la loro natura dall’originaria
forma delle charities. Egli si sofferma in particolare ad analizzare le associazioni
che nascono dalla spontanea volontà dei cittadini di riunirsi per scopi di
reciproca solidarietà, per disporre di servizi, prodotti o attività che le
organizzazioni propriamente pubbliche non possono o non sono in grado di
fornire. Non è difficile intravedere in queste forme spontanee di collaborazione
tra cittadini l’articolazione della società civile così come era stata prevista da
Tocqueville.6
Ware propone uno schema tipologico delle intermediate organizations che può
essere utilizzato per contribuire ulteriormente a capire che cosa è e come si
6
Tocqueville infatti ammirava l’associazionismo civile osservato nella nascente democrazia
statunitense; notava come gli americani di ogni età, condizione, spirito si unissero
continuamente in associazioni commerciali, industriali ma anche religiose e morali.
12
articola la comunicazione sociale. Egli riporta in un sistema di assi cartesiano le
varie forme di proprietà (da quella esclusivamente pubblica a quella
esclusivamente privata) - collocate lungo gli assi orizzontali - e le forme di
finanziamento – poste lungo l’asse verticale – che oscillano tra la vendita di
beni e servizi e l’esclusivo finanziamento pubblico. Nella dizione di “proprietà
dello stato“ rientrano anche tutte quelle organizzazioni che pur non essendo
sua diretta emanazione, lo vedono, direttamente o indirettamente, tra i suoi
principali proprietari magari assieme a privati (es. il servizio pubblico
radiotelevisivo). La definizione di “organizzazioni private unowned“ si riferisce a
quelle istituzioni, come i partiti, che non hanno in effetti proprietari e che pure
sono soggetti di diritto privato. Nello schema viene evidenziata l’area delle
istituzioni da cui, secondo la definizione già proposta, può emanare la
comunicazione sociale, ivi includendo anche la comunicazione delle istituzioni
pubbliche.
Si nota innanzitutto che si esclude che messaggi di comunicazione sociale
possano provenire da organizzazioni private finalizzate alla produzione di
profitto. Tuttavia sono possibili delle eccezioni a questa indicazione; ci sono
infatti istituzioni private che emettono messaggi non finalizzati a scopo di lucro e
che possono rispettare contemporaneamente i canoni della comunicazione
pubblica, anche se si può sempre sospettare che siano in ogni caso motivati
dalla promozione e dalla difesa di interessi privati. Un’altra area che può
destare qualche ambiguità è quella che si riscontra nei quadranti che
caratterizzano quelle organizzazioni private non finalizzate alla produzione di
profitto che vivono grazie ai finanziamenti provenienti dalla vendita di beni e
servizi. E’ il caso che rimanda alle non profit organizations nella definizione di
Kotler e Fine, la loro comunicazione è effettuata in funzione dell’incremento
della vendita dei propri prodotti e però si deve supporre che tale incremento non
vada a favore di interessi privati, bensì generali (es. le università, gli ospedali,
ecc.).
13
TIPOLOGIE DELLE INTERMEDIATE ORGANIZATIONS
PROPRIETA’
Pubblica
FORME DI FINANZIAMENTO
Privata
Pubblica
Proprietà dello
stato e della
pubblica
amministrazione
Privata
Organizzazioni
private
( Unowned )
Organizzazioni
private non
finalizzate alla
produzione di
profitto
Organizzazioni
private finalizzate
alla produzione di
profitto
Tasse o
trasferimento di
denaro dallo stato
Donazioni,
partecipazioni e
altre forme di
finanziamento
non provenienti
dallo stato né
dalla vendita di
prodotti
Vendita di beni e
servizi
Non esistono problemi e dubbi in relazioni ad altri quadranti: la struttura della
proprietà e la fonte di finanziamento delle organizzazioni che promuovono
comunicazione sociale è tale da assicurare che essa sia svolta in vista
dell’interesse generale. Lo schema proposto dovrebbe rendere chiaro quanto
sia vasto e complesso il campo delle istituzioni interessate all’attività di
comunicazione sociale e quanto, diversi e complessi possano essere i loro
messaggi.
Ware infine individua alcune principali funzioni svolte dalle intermediate
organizations che appaiono perfettamente congruenti con le interpretazioni
appena date. Innanzitutto, afferma Ware, queste organizzazioni intervengono
per procurare quei servizi che lo stato non fornisce. Egli argomenta a lungo
circa il fatto se ciò sia dovuto ad una mancanza dello stato o piuttosto non
avvenga in maggior modo in quelle aree in cui proprio lo stato interviene con
maggior energia creando continuamente il bisogno e la possibilità di nuovi
servizi che vengono affidati poi ad altri soggetti anche privati. In secondo luogo
le intermediate organizations eleggono come proprio terreno caratterizzante
14
quello dei non market goods, cioè di attività e prodotti connessi al campo della
religione, dell’arte, della ricerca che non hanno mercato, che esulano anche dai
compiti dello stato sociale e che possono circolare soltanto se ci sono istituzioni
che intervengono in loro supporto. Per questo si danno tutte le diverse forme di
proprietà non esclusivamente pubbliche appena illustrate.
Nella definizione di Ware, le intermediate organizations hanno compiti
fondamentali di integrazione sociale e politica. Soprattutto questo è evidente in
quelle istituzioni derivate dall’originaria forma delle charities il cui obiettivo
specifico è quello della solidarietà sociale e quindi dell’integrazione e
convivenza di differenti livelli di ricchezza, di differenti provenienze geografiche,
di recupero di fasce ed esperienze devianti, di emarginazione, ecc. Infine,
argomenta Ware, l’accresciuto livello della complessità sociale ha reso
impossibile per le forme maggiormente istituzionalizzate di associazioni tra i
cittadini, come i partiti, rappresentare tutta la varietà e multiformità di interessi
sociali, delle opinioni, delle domande, dei bisogni che emergono dalla società.
In maggior modo negli ultimi anni sono così sorte per rappresentare questi
interessi una miriade di organizzazioni promosse volontaristicamente da gruppi
di cittadini o, magari in forma più interessata, sospinte dall’intervento di
preesistenti istituzioni di carattere pubblico.
Le tipologie funzionali proposte da Ware presentano alcuni aspetti comuni che
sono di particolare interesse: in primo luogo è evidente come tutte le funzioni
che egli assegna alle intermediate organizazions travalicano l’interesse
immediato di privati per rappresentare, promuovere e difendere l’interesse, se
non di tutta la società, almeno di gruppi consistenti che la costituiscono. Per far
ciò essi devono costruire reti di contatto e comunicazione tra questi gruppi e tra
di essi ed il resto della comunità. L’attività comunicativa è in sostanza una
costituente essenziale del loro essere e del loro agire, è lo strumento principale
attraverso il quale esse possono raggiungere i propri obiettivi.
La discussione intorno alle ipotesi di Ware mette in evidenza come lo sviluppo
dello stato sociale comporta non solo l’allargamento dei compiti dello stato
stesso, e quindi la nascita di sue organizzazioni che se ne facciano carico, ma
determina anche la crescita di molteplici organizzazioni più o meno collegate
15
con esso e in ogni caso responsabili di servizi di pubblica utilità. Lo stato sociale
è connaturato ad organizzazioni non profit che finiscono con il costituire un
tessuto di attività, relazioni negli ultimi anni in espansione e motivo
dell’esplosione del fenomeno della comunicazione pubblica e sociale.
Abbandonando per un attimo il contesto “internazionale“ ci si avvicinerà di qui a
seguire al panorama italiano prendendo in esame più da vicino le riflessioni dei
più importanti studiosi del settore.
Giovanna Gadotti, nel suo volume Pubblicità sociale: lineamenti, esperienze e
nuovi sviluppi, mette in luce come, a partire dagli anni settanta e con sempre
più frequenza negli ultimi anni, la pubblicità viene impiegata in contesti diversi
da quelli della promozione commerciale. I metodi e le tecniche pubblicitari sono
utilizzati per realizzare campagne promosse da soggetti diversi da quelli usuali:
campagne che hanno per tema la tutela dell’ambiente e l’abuso di alcol, la
prevenzione di malattie a forte incidenza sociale e la sicurezza stradale, la lotta
alla violenza sui minori e la tutela del patrimonio artistico, la corretta
alimentazione ed il rispetto di norme di cortesia nella convivenza. Ciò che
accomuna questi messaggi è il richiamo ad una costellazione di valori
solidaristici, umanitari, civili ovvero la consapevolezza di un’utilità collettiva nella
pratica di quei valori e perciò la convinzione di una loro potenziale universalità:
tale fenomeno frutto di spinte e generatore di interrogativi che si situano nel
confine spesso incerto di benessere collettivo ed individuale, interesse e
morale, agire acquisitivo ed agire oblativo viene definito da Gadotti pubblicità
sociale7. Resta esclusa da questa accezione di pubblicità quella orientata a
scopi puramente commerciali, destinata cioè alla promozione di aziende o di
prodotti, siano essi considerati di grande utilità sociale o invece superflui; si
7
Secondo alcuni autori una distinzione va subito sottolineata a proposito dei due termini
“pubblicità sociale” e “comunicazione sociale”. La pubblicità sociale basandosi unicamente sulle
campagne informative di massa per modificare atteggiamenti e comportamenti del pubblico
risulta spesso poco efficace e inadeguata rispetto gli scopi. La comunicazione sociale invece
sarebbe un approccio alla persuasione più generale e più ampio. Esso utilizza, in sostegno alla
pubblicità di massa, altri metodi per inviare messaggi persuasivi al pubblico; ad esempio può far
ricorso all’ausilio di esperti che vengano in diretto contatto con i potenziali destinatari del
messaggio, oppure può fare ricorso a manifestazioni, incontri che sollecitano l’attenzione del
pubblico sul tema oggetto della campagna pubblicitaria. Infine il concetto di comunicazione
sociale viene spesso preferito a quello di pubblicità sociale non solamente per la gamma più
ampia di strumenti e di interventi che sembra includere ma soprattutto per la valenza fortemente
positiva – cioè di messaggio utile alla collettività – che esso comunemente evoca.
16
pensi alle campagne nelle quali aziende commerciali associano il proprio
marchio a tematiche di grande rilevanza sociale, dalla tutela dell’ambiente alla
lotta contro le discriminazioni sociali. A questo fine esse producono annunci in
cui l’immagine dell’azienda si coniuga alla proposta di atteggiamenti od
orientamenti culturali, che fanno riferimento al bene collettivo, a valori
universali, piuttosto che all’interesse immediato dell’impresa; la quale talvolta
appare soltanto come firmataria del messaggio. Si tratta di messaggi che solo si
avvicinano ma non rientrano nella categoria degli annunci che riguardano
tematiche pubbliche, realizzati nell’interesse pubblico; infatti è innegabile che
essi abbiano una notevole ricaduta in termini di immagine e servano, in ultima
analisi, anche scopi puramente commerciali.
Tuttavia, Gadotti non esclude a priori dalla categoria della pubblicità sociale gli
annunci a favore di prodotti, i messaggi a carattere esplicitamente commerciale.
Si pensi ai prodotti le cui caratteristiche vengono esaltate attraverso la
sottolineatura della loro aderenza ai criteri e valori sopra accennati. Gadotti ci
propone l’esempio di quando nella pubblicità di un prodotto cosmetico si insiste
sulla sua conformità ai dettami di salvaguardia dell’ambiente, l’enfasi sul plus
del prodotto si traduce immediatamente in una pubblicità a favore di
atteggiamenti e scelte di interesse collettivo. Effettivamente proprio uno di quei
prodotti aziendali che prima veniva escluso dalla definizione di pubblicità
sociale, diviene occasione per proporre tematiche di interesse pubblico sia pure
non esclusivamente né prevalentemente nell’interesse pubblico.
Nella scelta di utilizzare un aggettivo come “sociale“ per qualificare il tipo di
pubblicità trattato, Gadotti afferma la necessità nel ricorrere ad un termine così
versatile ed efficace, seppur insidioso. In precedenza già si parlava di
comunicazione avente fini sociali o di comunicazione sociale e di campagne
sociali; a differenza della locuzione pubblicità, che usata senza ulteriori
predicati, richiama la matrice e l’origine mercantile, economica, profit oriented
,le locuzioni che si servono del predicato “sociale“ alludono immediatamente al
fine che la comunicazione in questione persegue che è quello di educare e
formare una opinione pubblica e una coscienza civile su tematiche di interesse
generale. “La funzione retorica svolta, in queste espressioni, dall’aggettivo
17
sociale non è naturalmente quella di attribuire al tipo di pubblicità di cui parliamo
un rapporto esclusivo con la dimensione sociale, né quella di negare la radice, il
ruolo, le responsabilità sociali di tutta la comunicazione pubblicitaria in
generale. Ma è evidente che quell’aggettivo serve comunque a connotare la
categoria dei messaggi in questione, ancorandola in qualche modo ad un polo
ideale e materiale, attorno a cui si costellano gli interessi, gli orientamenti, i
costumi della collettività.“8
In realtà, come osserva l’autrice, non mancano tentativi di definizione di questo
tipo di pubblicità che utilizzano formule meno evocative.
Si è parlato ad esempio di “comunicazione persuasoria non avente finalità
commerciali“, di pubblicità “non a scopo di profitto“ o ancora di pubblicità che
“non ha per oggetto prodotti”. Si tratta di definizioni costituite essenzialmente da
negazioni capaci di dire ciò che escludono non ciò che comprendono. Esse
rendono conto e recano il segno della estraneazione che le tecniche
pubblicitarie sembrano subire quando applicate ad un campo diverso da quello
per le quali esse sono state originariamente concepite: il campo del mercato,
del commercio, dei prodotti di consumo. Fuori da quel campo si riesce a dire ciò
che la pubblicità non è o non è più, non ciò che diventa. In secondo luogo, le
formule suddette ricalcano locuzioni di uso corrente nella letteratura
anglosassone (rispettivamente “non commercial“, “non profit“, “non product
advertising“). Questa circostanza, sottolinea Gadotti, rinvia all’esiguità della
riflessione italiana su questi temi, che è a sua volta specchio del carattere
particolarmente acuto con cui si è verificata nel nostro Paese la difficoltà sopra
richiamata, la traduzione cioè delle tecniche pubblicitarie in un contesto diverso
dal mercato economico9. Se si osservano le caratteristiche dei messaggi già
elencati, si vede che essi costituiscono un universo, che può essere scomposto
e suddiviso in categorie immediatamente riconoscibili. La più importante di
8
Cfr. Gadotti G., Pubblicità sociale: lineamenti, esperienze e nuovi sviluppi, Franco Angeli,
Milano, 2001.
9
La differenza tra la cultura pubblicitaria anglosassone e quella italiana su questo punto
sarebbe resa esplicita già dal solo fatto che, mentre il termine inglese advertising includerebbe
per sé le attività di pubblicità, di propaganda e di pubbliche relazioni, il suo corrispondente
italiano pubblicità indica soltanto la pubblicità commerciale e può estendersi alla classe di
messaggi che ci interessa solo grazie a specificazioni quali appunto pubblicità sociale,
pubblicità di pubblico interesse, ecc.
18
queste categorie è quella che viene definita public service advertising ovvero la
pubblicità di pubblica utilità o di servizio pubblico e che coincide essenzialmente
con la pubblicità sociale. Si tratta infatti di una comunicazione persuasoria che
presenta come caratteristica saliente quella di fornire, nell’interesse collettivo,
un’informazione imparziale su tematiche di interesse collettivo. In questa
definizione è enunciato un primo, decisivo criterio di distinzione di questa
categoria di messaggi: il loro carattere non partigiano. I messaggi di public
service non diffondono infatti parole d’ordine od opzioni di raggruppamenti
partitici o analoghi a partiti. Si potrebbe dire che i contenuti tipici della pubblicità
di servizio pubblico appaiono sostanzialmente non controversi; non soltanto
perché non appartengono ai programmi di associazioni partitiche, ma perché
riguardano valori sui quali l’opinione pubblica non è divisa. Non è pertanto
difficile menzionare esempi di annunci che rientrano in questa classe di
advertising: la prevenzione degli incendi nei boschi, il risparmio energetico,
l’uso moderato di bevande alcoliche, l’educazione alla sicurezza stradale, la
lotta alla criminalità, ecc.
Considerando questi esempi, risulterà chiara la differenza tra questo genere di
messaggi e quelli che si possono comprendere in un’altra categoria di pubblicità
non commerciale: quella che la letteratura anglosassone definisce come
advocacy.
Rientrano
in
questa
categoria
i
comunicati
che
vertono
essenzialmente su temi controversi, proponendo e sottolineando un punto di
vista sull’argomento. Tale punto di vista non si preoccupa affatto di essere
neutrale, ma si presenta invece come essenzialmente polemico, nel senso che
il più delle volte gli annunci in questione indicano esplicitamente le tesi o i
gruppi cui intendono opporsi. E’ il caso ad esempio di una campagna che si
opponga alla vivisezione, considerandola una tortura, contro l’opinione di quanti
la ritengono un ausilio indispensabile nella ricerca scientifica.
Come si vede la distinzione presentata tra public service advertising ed
advocacy si fonda essenzialmente sul carattere imparziale e non controverso
delle posizioni presentate dal primo e sul carattere opinabile e partigiano delle
opinioni mosse dal secondo. Ma è chiaro che un tale criterio distintivo è di
necessità flessibile, perché in fondo esso rinvia al grado in cui le opinioni
19
presentate sono condivise nelle collettività cui il messaggio è destinato. Così,
per riprendere l’esempio prima riportato, con il progressivo indebolirsi,
all’interno
dell’opinione
pubblica,
della
posizione
di
quanti
ritengono
imprescindibile ricorrere ad esperimenti su animali vivi, l’opposizione alle
pratiche di vivisezione perde tendenzialmente il suo carattere controverso e si
configura sempre più come corollario di un valore civile generalmente accettato,
vale a dire il rispetto degli animali.
Un tipo particolare di pubblicità non commerciale, assai vicina per alcuni profili
all’advocacy, ma così diffusa e culturalmente rilevante da dover esser
menzionata come tipo a sé, è la pubblicità politica o di partito. Qui la parzialità
dell’opinione veicolata assume carattere estremo: la parzialità costituisce
l’essenza stessa del messaggio. Oggetto della comunicazione non è una
singola questione come nell’advocacy, ma un programma e/o un’ideologia
opposti ad altri. In realtà, attraverso la promozione di un simbolo elettorale o di
un candidato si richiamano una molteplicità ed un complesso di argomenti, così
generali e di largo orizzonte da risultare difficilmente argomentabili. Per
conseguenza questa pubblicità non commerciale tende allora a presentarsi con
moduli simili a quelli della pubblicità commerciale, centrata su un marchio ed
uno slogan. A quest’ultimo fenomeno è stata dedicata attenzione vastissima, in
tutta quella letteratura che lo ha identificato col termine propaganda.
La pubblicità sociale, per la estraneità alla vocazione mercantile propria della
pubblicità economica, potrebbe, secondo Gadotti, essere adeguatamente
denominata con il termine propaganda. In tal modo il comune carattere non
profit della comunicazione politica e della comunicazione sociale verrebbe
sottolineato dall’uso di un’unica espressione definitoria seppure, a causa della
compromissione con i modelli comunicativi
tipici dei regimi, il termine non
risulterebbe adeguato ai fini sociali preposti.
Un’ultima specificazione che Gadotti dà alla comunicazione sociale riguarda la
natura del messaggio inviato. Esistono infatti tre categorie di messaggi sociali:

gli appelli al pubblico;

la comunicazione di sensibilizzazione;

la comunicazione di educazione.
20
Gli appelli al pubblico sono quei messaggi che fanno riferimento ad una
comunicazione attuata da un soggetto per ottenere dei contributi dal
destinatario della comunicazione. Il primo beneficiario è lo stesso comunicatore
e solo in un secondo momento saranno terzi. Si tratta tipicamente delle
campagne di raccolta fondi (Fund Raising), promosse soprattutto da
organizzazioni non profit.
La comunicazione di sensibilizzazione è invece diretta a sensibilizzare il
destinatario su tematiche di solidarietà e difesa delle categorie più svantaggiate
e più deboli. Il messaggio in questo caso è diretto a sollecitare o rafforzare un
comportamento positivo, o a modificarne uno negativo, nei confronti di altri. Il
promotore della comunicazione si rivolge al target di riferimento per stimolare
un comportamento che è rivolto direttamente al beneficiario ultimo dell’azione
comunicativa.
La
comunicazione
di
educazione,
infine,
è
finalizzata
esplicitamente
all’educazione delle persone. Essa sviluppa messaggi diretti ai singoli con
l’obiettivo di dissuadere da comportamenti dannosi messi in atto dall’individuo o
per suggerire comportamenti positivi.
Tale
classificazione
ha
il
vantaggio
di
evocare
immediatamente
le
caratteristiche dei messaggi sociali e le specificità dei soggetti che li
promuovono. Solitamente infatti i promotori di appelli al pubblico, come sopra
detto, sono le organizzazioni non profit e le aziende private quando collegano la
pubblicità sociale ad azione di promozione commerciale. Al contrario, le
comunicazioni di sensibilizzazione e di educazione possono essere promosse
da tutti i soggetti della comunicazione (la cui descrizione approfondita avverrà
nelle prossime pagine). Ciò che distinguerà la comunicazione delle istituzioni
pubbliche rispetto a quella realizzata dalle organizzazioni non profit o dalle
aziende private saranno i temi ed i toni o i linguaggi utilizzati dai diversi
promotori: la comunicazione dell’ente pubblico dovrà affrontare temi e questioni
in larga parte percepiti da tutta la popolazione di interesse collettivo e
relativamente controversi, con un linguaggio adeguato all’autorevolezza e
all’identità dell’ente che lo promuove; le organizzazioni non profit e le aziende
21
private potranno avventurarsi con maggiore libertà a promuovere temi e
questioni utilizzando un tono ed un linguaggio più aggressivo e/o provocatorio.
Un ulteriore contributo ci viene da Vignudelli10 il quale individua con il termine
comunicazione sociale quella attinente ai grandi temi quali la vita, la salute, la
fame,
la
sicurezza,
l’ambiente,
ecc.;
comunicazione
che
interessa
prevalentemente una certa gamma di diritti umani e che rappresenta il versante
più universale su cui storicamente si impegnano i grandi sistemi politici nonché
le grandi istituzioni: Fao, Unicef, Croce Rossa internazionale, Amnesty
International, Caritas internazionale, ecc. Una comunicazione quindi riferibile ai
temi di grandissimo respiro e dimensione: nazionale e sovranazionale. Si tratta
di
una
comunicazione
preordinata
ad
incentivare
e/o
disincentivare
comportamenti socialmente rilevanti e a promuovere valori socialmente
apprezzabili; è una comunicazione che si differenzia rispetto all’advertising
perché propone cambiamenti comportamentali, mettendo in discussione tratti
delle scale valoriali dei destinatari, laddove la pubblicità si limita a chiedere ai
consumatori di far cadere la loro scelta su un prodotto piuttosto che su un altro,
nel quadro di comportamenti che sono consolidati, routinari. Inoltre le tematiche
della comunicazione sociale devono essere necessariamente uniformate ai
criteri di attualità e rilevanza; si tratta di un aspetto che involve il problema
dell’individuazione dei soggetti chiamati a decidere e dei criteri di forza dai quali
viene decisa la centralità e l’attualità di una tematica sociale.
Al pari di Vignudelli, anche Rolando ci propone un interessante approccio
teorico all’argomento; egli innanzitutto premette che la nozione di pubblica utilità
si possa attribuire a tutto il sistema dell’informazione, che di per sé può essere
considerato pubblico, nel senso che i prodotti sono offerti all’opinione pubblica,
sia pure in cambio di un valore economico che il mercato giudica equo; e altresì
nel senso che i contenuti di tali prodotti si riferiscono a materia di pubblica
utilità. Egli individua due grandi aree: l’area di mercato e l’area pubblica. Nella
prima, dove agiscono legittimi interessi economici, colloca: le forme di
comunicazione legate a interessi socio-economici: il sistema dei media; la
comunicazione d’impresa. Nella seconda, in cui prevalgono principi di interesse
10
Cfr. Vignudelli A., La comunicazione pubblica, Maggioli Editore, Rimini, 1992.
22
generale, posiziona: la comunicazione politica; la comunicazione istituzionale;
la comunicazione sociale. Con riferimento proprio a quest’ultima egli ricorda che
tale comunicazione è parte della comunicazione pubblica sia che risulti
originata da pubbliche amministrazioni o forze politiche, sia anche da soggetti
privati costituiti come centri di difesa e di promozione di valori e diritti. Le forze
politiche, secondo Rolando, costituiscono l’anello essenziale del sistema della
comunicazione sociale. Su di esse spinge l’associazionismo e attraverso di
esse si formano canali di relazione con l’opinione pubblica “che possono avere
carattere mediatico (quando il contenuto di tale relazione è notiziabile) o
carattere provvedimentale (quando le istituzioni si trovano a dare attuazione a
normative contrastate o a promuovere innovazione normativa).”11 In più, una
parte significativa dei contenuti della “battaglia politica” verte sul sociale. Sono
le forze politiche a intervenire con una certa efficacia sulla formazione delle
priorità di un tema e sulla sua posizione nell’agenda pubblica.
Tuttavia l’iniziativa di associazioni e fondazioni, in materia di comunicazione
sociale, non si limita a funzioni di presidio valoriale. Il privato organizzato
costituisce il sale della comunicazione sul sistema dei bisogni e dei diritti. Esso
per primo traduce gli stimoli, annuncia prima degli altri le soglie di intollerabilità,
denuncia gli episodi che stressano le condizioni di invisibilità di un tema
(contribuendo così alla visibilità).
Soggetti comunicatori
Oggetto prevalente
Finalità
Associazioni, fondazioni, Onp
Valori
Diritti
Solidarietà
Prestazioni
Partecipazione
Identità sociale
Negoziato normativo
Raccolta fondi
Accesso
Socializzazione/occupazione
11
Cfr. Rolando S., Teoria e tecniche della comunicazione pubblica, Etas Libri, Milano, 2001.
23
Rolando, attraverso questo schema, ci ricorda che, accanto alle finalità di
rafforzamento dell’identità sociale (valori) e del negoziato sulle normative
(diritti), la comunicazione associativa promuove anche condizioni concrete di
solidarietà (raccolta fondi e avanzamento della ricerca) e diffonde informazione
specifica per l’accesso a prestazioni che lo stesso mondo associativo
garantisce.
1.3. I soggetti della comunicazione sociale
Sembra ovvio, giacché si parla di un universo comunicativo che non è legato
alle dinamiche di mercato, ricercare i protagonisti nel polo tradizionalmente
opposto
al
mercato
stesso:
il
polo
dello
stato,
della
politica,
dell’associazionismo, dei movimenti d’opinione e delle istituzioni benefiche e
religiose. Per raccogliere sotto un’unica denominazione questo assieme di
soggetti, per semplicità, si userà nel corso della trattazione il termine
organizzazioni non profit.
1.3.1. I pubblici poteri
In primo luogo tra questi, si fa menzione agli apparati pubblici di governo, sia
centrale che locale. Da emittenti di questo tipo (ministeri, regioni, province,
comuni, ecc.) non ci si può attendere un’attività di advocacy: il carattere di
rappresentanza degli enti in questione esclude, almeno in linea di principio, che
una simile attività, la proposta cioè di opzioni pratiche o ideali controverse,
possa essere da loro intrapresa. A maggior ragione non può rientrare tra i
generi comunicativo-pubblicitari praticati dai ministeri e governi la pubblicità di
partito. Questi enti sono invece senz’altro un’importante fonte di quel tipo di
messaggi che si è definito nel paragrafo precedente come pubblicità sociale o
di public service, di messaggi cioè che riguardano problemi di interesse
pubblico nell’interesse pubblico. D’altra parte non tutta la pubblicità promossa
dalle pubbliche amministrazioni si esaurisce nel campo dei messaggi sinora
24
definiti sociali; nel corso di questo secolo lo stato e gli altri enti pubblici hanno
assunto le vesti di produttore di beni e servizi, pertanto si intenderà facilmente
come essi si siano poi risolti ad utilizzare la comunicazione pubblicitaria per
promuovere i propri prodotti. In questo caso ci si trova davanti a messaggi che
in via di principio non si differenziano da quelli utilizzati da aziende private. Si
pensi alla pubblicità delle ferrovie dello stato o di aziende municipali, che
propongono i servizi relativi, talvolta in concorrenza con aziende operanti nello
stesso settore (il trasporto collettivo contro il trasporto privato).
Questo peraltro è un terreno difficile su cui indagare tracciando demarcazioni
rigorose. In primo luogo, non tutti i servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche
hanno lo stesso carattere: all’esempio sopra menzionato per il quale i pubblici
poteri più facilmente si assimilano a produttori privati, si affiancano altri servizi
che non mostrano un profilo economico evidente. Quando un’amministrazione
provinciale pubblicizza le strutture di assistenza sanitaria si muove in un ambito
nel quale anche i privati fanno sentire la loro presenza e nel quale quindi il
prodotto pubblico incontra la competizione dei prodotti privati. E’ d’altra parte
considerazione di senso comune che il servizio offerto dalla pubblica
amministrazione sia circondato da alcune garanzie (il costo per esempio) le
quali danno al messaggio che promuove quel prodotto/servizio le caratteristiche
di un messaggio di pubblico interesse fatto nel pubblico interesse.
Così pure un’altra famiglia facilmente identificabile di messaggi pubblici è quella
costituita dalle comunicazioni con le quali i pubblici poteri informano i cittadini
sull’esistenza di provvedimenti legislativi ed amministrativi in talune materie
oppure sostengono l’applicazione di una normativa adottata dallo stato. Si
tratta, in questo caso, di una modalità di informazione statale già molto usata in
passato e che si può far rientrare nella categoria di messaggi di interesse
pubblico proprio perché lo stato si è storicamente accreditato come interprete
autentico dell’interesse collettivo e referente essenziale, se non unico, di tutto
ciò che ambisca a definirsi pubblico. Ma si capisce che questa categoria ha
obiettivi diversi da quelli più tipici della pubblicità sociale; rientrano invece nella
categoria della pubblicità sociale le comunicazioni attivate dallo stato quando
lancia campagne dirette a stimolare comportamenti collettivi funzionali ad
25
obiettivi di crescita civile della società e si fa pertanto interprete di un genere di
comunicazione persuasoria con funzione educativa.
Gli esempi a questo proposito non mancano: dalle campagne patrocinate dal
ministero dell’ecologia di sensibilizzazione sul problema dell’inquinamento
causato dall’abbandono dei sacchetti di plastica; alle recenti campagne di
prevenzione contro l’AIDS promosse dal ministero della sanità.
In effetti, il comparire ed il diffondersi, ad opera dei pubblici poteri, di un’attività
di advertising come quella rappresenta negli esempi sopra citati, è circostanza
estremamente significativa. Da una parte, infatti, appare del tutto scontato che
lo stato e gli altri enti pubblici si facciano emittenti di una comunicazione sociale
che ha per oggetto e scopo l’interesse collettivo o valori attorno a cui possa
farsi ruotare il bene comune. Nel far ciò queste agenzie raccolgono una
tradizione che è coerente con la propria essenza, con i propri compiti, con i
meccanismi di legittimazione che dei poteri pubblici hanno costruito il
fondamento, a partire dalla fase dello stato liberale e nella fase della
democrazia di massa. Ma non può sfuggire che utilizzando lo strumento
pubblicitario, uno strumento nato nell’area delle transazioni commerciali e non
politiche, lo stato sveli un’importante novità nel modo in cui esso interpreta il
proprio ruolo: esso abbandona infatti la modalità dei rapporti tra l’autorità ed il
cittadino, che dà via ai rapporti di natura autoritativa, e sceglie una modalità a
carattere persuasorio.
Non è detto che simile scelta ponga del tutto a riparo dalla riaffermazione di una
condizione di sudditanza del cittadino all’autorità pubblica. Si sa infatti che
proprio la comunicazione persuasoria statale, in quella formulazione storica
individuata nel termine propaganda, ha costruito un forte strumento di conferma
e radicamento della supremazia dello stato sul cittadino, chiamando
quest’ultimo al sacrificio della sua individualità, sia che si trattasse di
riconoscersi in un leader, di rinunciare ai propri diritti economici, o di sottoporsi
a particolari forme di disciplina sociale. Ma occorrerà tenere ben distinti, a
questo proposito, lo strumento ed il suo uso; la modalità persuasoria rimane
comunque diversa dall’ingiunzione autoritativa, anche laddove serva a
rafforzare rapporti d’autorità. Del resto, è vero pure che la propaganda almeno
26
sotto un profilo si differenzia con evidenza dalla pubblicità sociale di cui si parla
in queste pagine. Mentre nella prima campeggia e s’impone l’interesse dello
stato, nella seconda la ragion di stato non si propone ed il messaggio si fa
piuttosto percepire come amplificatore di un interesse della collettività, espresso
liberamente e da tutti ragionevolmente avvertito.
1.3.2. Le organizzazioni non profit
Oltre la pubblica amministrazione, altri soggetti si fanno protagonisti della
comunicazione sociale. Si tratta di fondazioni, associazioni, movimenti di
cittadini, di gruppi sociali che si identificano con alcune issues specifiche (quelli
che la letteratura anglosassone definisce public interest groups), di una serie di
momenti insomma nei quali la società civile si autorganizza, esprimendo il suo
pluralismo di interessi ed opinioni. Il comune denominatore di queste agenzie è
il loro carattere non profit, il fatto cioè di non avere uno scopo essenzialmente
commerciale, anche se la raccolta di fondi può costituire per esse un’importante
e talvolta indispensabile attività sussidiaria.
Attraverso il messaggio pubblicitario questi soggetti amplificano le proprie
istanze e sensibilizzano l’opinione pubblica ai valori di cui sono portatori.
Proprio sotto questo profilo la funzione svolta dalle organizzazioni di cui si parla
è particolarmente importante: esse sono infatti espressione di bisogni ed
atteggiamenti sociali emergenti – o magari già diffusi, che tuttavia non
dimostrano una sufficiente affinità con l’universo valoriale del mercato e,
sull’altro versante, non hanno ancora – o comunque non sono destinati a
trovare rappresentanza e soluzione attraverso i canali della politica e quindi
della pubblica amministrazione. Si intende perciò l’estrema rilevanza della
comunicazione pubblicitaria promossa da queste associazioni e da analoghe
espressioni di socialità. Tale comunicazione svolge infatti un insostituibile ruolo
nel condensare e quindi diffondere processi e tendenze culturali, nel rendere
visibili istanze ed opinioni, nell’accelerare la presa di coscienza di queste da
parte
della
collettività,
nello
stimolare
l’assunzione
da
parte
delle
rappresentanze politiche istituzionali. Si tratta insomma di una comunicazione
27
capace di determinare l’adesione di segmenti della popolazione alle proposte
connesse a quelle istanze ed opinioni, conseguendo un effetto più o meno largo
ed incisivo di disciplinamento sociale.
Il fatto che un simile effetto venga raggiunto non modifica del resto il carattere
dell’advertising promosso da queste organizzazioni: il disciplinamento è una
cosa diversa dalla coazione, si rimane pur sempre nell’ambito della
comunicazione persuasoria. Forse ancor più che nella comunicazione di
pubblica utilità dello stato, che può giovarsi di una posizione stabilita e
riconosciuta di autorità e di rappresentanza nell’interesse collettivo, il
messaggio pubblicitario delle organizzazioni non profit deve essere infatti in
grado di persuadere il cittadino cui è destinato, di indicare cioè credibilmente il
punto di incontro tra l’istanza proposta e l’orientamento o il tornaconto del
cittadino stesso.
Si capisce allora come possa essere congeniale all’esigenza di comunicazione
di questi soggetti il genere di pubblicità definito come advocacy. In effetti,
proprio perché queste organizzazioni si strutturano attorno a valori e tematiche
emergenti è assai probabile che i loro messaggi assumano quel carattere di
parte, controverso e magari polemico che contraddistingue questo genere di
comunicazione.
La gran parte dell’advertising prodotto dai soggetti di quest’area rientra però
interamente nella categoria della pubblicità sociale. In effetti, nonostante tali
soggetti siano prevalentemente organizzazioni single issue, i valori che
vengono proposti o richiamati nella loro pubblicità, sono valori non solo
potenzialmente, ma attualmente universali, valori in altri termini generalmente
riconosciuti e condivisi, per quanto non adeguatamente praticati. La questione
pratica o ideale su cui l’organizzazione si è costituita, anche se individuata ed
isolata, si presenta dunque come di interesse generale. Ciò anche nel senso
che l’intera collettività è chiamata a farsi carico di problematiche che a volte
coinvolgono un gruppo esiguo o una ristretta minoranza di cittadini.
Le tematiche di questo tipo di campagne si distribuiscono così su un ampio
ventaglio di problemi sociali. Si va da questioni specifiche, ma di amplissima
portata,
come
quelle
affrontate
da
28
organizzazioni
ambientaliste,
che
sottolineano la dilapidazione del patrimonio naturale, a questioni senz’altro più
limitate, ma che pure potenzialmente toccano ciascuno di noi. Numerose sono
le campagne che richiamano l’importanza per la collettività di un atteggiamento
di attenzione rispetto a fasce di popolazione o a gruppi che richiedono una
speciale tutela.
In Italia le organizzazioni non profit sono in continuo aumento, così come è
crescente il loro volume di comunicazione. Il fiorire di tali organizzazioni è stato
da più parti connesso a vari fenomeni e cambiamenti che si sono verificati negli
ultimi decenni nel nostro Paese: dal declino delle forme tradizionali di
rappresentanza politica, all’emergere di nuovi bisogni e valori che richiedevano
spazi sociali nuovi per attori capaci di interpretare le sensibilità emergenti.
Parallelamente la crisi dello Stato sociale ha posto le basi per un impegno
diretto e attivo nelle soluzioni di problematiche relative al benessere individuale
e collettivo. Si è sviluppato così un associazionismo che ha dato spazio e
concretezza a sensibilità maturate ed ampiamente diffuse nella collettività 12. La
partecipazione e l’impegno sociale hanno consentito di rispondere al bisogno di
autorealizzazione e di attribuzione di senso degli individui; la partecipazione ad
un’organizzazione non profit soddisfa il bisogno di essere gratificato, consente
di poter instaurare una rete di relazioni amicali e rispondere ad un’autentica
spinta solidaristica.
12
La definizione di non profit nella letteratura specialista mette in luce una grande varietà di
accezioni terminologiche: si parla infatti di terzo settore, terzo sistema, di terza dimensione o
privato sociale per focalizzare un ambito dove agiscono diversi soggetti caratterizzati da tratti
comuni: il carattere privatistico, l’assenza di scopo di lucro, l’erogazione a favore della
collettività delle loro attività o servizi. In particolare poi si attribuiscono alle organizzazioni di
terzo settore attributi che fanno riferimento alla costituzione formale, all’autogoverno, al
carattere volontario delle proprie attività (si deve infatti impiegare il lavoro volontario dei propri
aderenti per il perseguimento delle attività ed inoltre una certa quota non residuale delle entrate
deve derivare da donazioni volontarie). In sociologia si parla di terza dimensione, privato sociale
e azione volontaria per sottolineare il tipo di relazione sociale tipico di questo ambito, ossia la
reciprocità, la solidarietà, la condivisione, la collaborazione. L’accezione terzo sistema e terzo
settore privilegia un’ottica di tipo economico ed indica soggetti organizzativi di natura privata
volti alla produzione ed allocazione di beni e servizi a valenza pubblica e collettiva. Resta infine
la denominazione ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) riferita quelle
organizzazioni private (associazioni, cooperative sociali, organizzazioni di volontariato,
associazioni di mutuo aiuto, organizzazioni non governative) che ottemperano ad alcuni obblighi
aggiuntivi, tra i quali per esempio la redazione di un bilancio, e come tali fruitrici di agevolazioni
fiscali.
29
L’attività di comunicazione delle organizzazioni non profit è strettamente legata
allo sviluppo, alle dimensioni, alle risorse economiche e professionali disponibili
ma soprattutto alla cultura dell’organizzazione stessa. Molte organizzazioni in
Italia sono restie ad avvalersi degli strumenti della comunicazione nella
convinzione di sottrarre risorse preziose alle attività istituzionali; oppure non
vedendo risultati immediati dopo la prima campagna promozionale rinunciano a
fare comunicazione in modo sistematico. Come osserva Fiorentini tale
atteggiamento è imputabile “a mancanza di fondi ma ancor più alla tentazione di
fare informazione, promozione, pubblicità in economia e in modo domestico
senza sfruttare tutte le professionalità esterne che si offrono.”13
Le organizzazioni più evolute sono tuttavia consapevoli che attirare flussi di
comunicazione costanti, coerenti ed attendibili diventa fondamentale per la
sopravvivenza e lo sviluppo dell’associazione stessa. I destinatari potenziali
della comunicazione delle organizzazioni non profit sono molteplici: dall’intera
collettività, agli utenti dei servizi e le loro famiglie, ai donatori e ai soci effettivi,
alle aziende private, ai volontari. La varietà degli interlocutori e degli obiettivi da
raggiungere implica necessariamente una capacità professionale nella scelta e
nell’utilizzo dei molteplici strumenti di comunicazione disponibili.
Gli strumenti della comunicazione sociale
Veicolo
Modalità
Media
Notizia
Approfondimento
Pubblicità
Identità
Raccolta fondi
Segnalazione evento/prestazione
Cultura/Spettacolo
Problematizzazione
Emblematizzazione
Con riferimento alla tabella, la pubblicità è lo strumento certamente più visibile
al grande pubblico; la pubblicità è una leva di comunicazione potente, ma
13
Cfr. Fiorentini G., Organizzazioni non profit e di volontariato. Direzione, marketing e raccolta
fondi, Etas Libri, Milano, 1997.
30
proprio per questo può presentare alcune difficoltà e limiti. Secondo Gadotti 14
infatti, il suo utilizzo promosso in modo casuale o improvvisato, slegato da
politiche comunicative ben definite, può tradursi per l’organizzazione in un
boomerang
negativo.
Molte
volte
la
scarsità
delle
risorse
costringe
l’organizzazione a fare affidamento al contributo gratuito delle agenzie
pubblicitarie e dei media, sia per la produzione che per la diffusione delle
campagne, con conseguenze talora negative per l’efficacia della campagna
stessa. Così pure la limitatezza delle risorse economiche rende quasi sempre
impossibile per un’organizzazione avviare delle ricerche mirate ad una
maggiore conoscenza del target cui rivolgere la comunicazione stessa.
Naturalmente
non
è
possibile
generalizzare
tali
riflessioni; il
mondo
dell’associazionismo e delle organizzazioni non profit vede la compresenza di
organizzazioni tradizionali di piccole e medie dimensioni dove l’attività di
comunicazione è lasciata alla buone volontà degli aderenti, come di
organizzazioni più evolute dove al contrario essa è affidata a strutture e
competenze che si avvicinano a quelle delle imprese operanti sul mercato.
La pubblicità delle organizzazioni non profit svolge comunque un ruolo cruciale
che è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica ai valori o alla causa di cui
esse sono sostenitrici. Grazie alla loro comunicazione temi o questioni
precedentemente ignorati o trascurati dall’opinione pubblica si sono trasformati
nel tempo in issues rilevanti e visibili nella conversazione e nell’agenda
pubblica. Un merito indiscusso delle campagne sociali è infatti quello di
contribuire a rendere attuale una questione, un tema, un valore integrandoli in
un sistema di sensibilità e creando consenso attorno ad essi.
1.3.3. I privati
Va menzionata poi un’altra importante categoria di protagonisti della pubblicità
sociale: le imprese private. Questo è un fenomeno complesso da analizzare
nella cui lettura intervengono la tradizionale divisione tra pubblico e privato, tra
sociale ed individuale o il discrimine tra ragioni commerciali e ragioni ideali. Il
14
Cfr. Gadotti G., Pubblicità Sociale: Lineamenti, esperienze e nuovi sviluppi, op. cit.
31
fenomeno deve essere considerato come una manifestazione della cosiddetta
responsabilità
sociale
dell’impresa
ovvero
della
pratica
comune
dell’imprenditoria privata di intervenire oltre i confini dell’azienda e sul contesto
sociale su cui opera, sulla base sia di motivazioni puramente altruistiche, sia di
preoccupazioni di ordine funzionale, sia infine di promozione dell’immagine
stessa dell’azienda e di legittimazione della preminenza sociale da essa goduta.
Sono proprio queste motivazioni a fornire la spinta per un advertising nel quale
il richiamo a tematiche di pubblico interesse si sposa ad un interesse più o
meno velato dell’azienda. Così, nel realizzare una campagna di promozione
istituzionale (cioè creare benevolenza verso l’azienda e promuovere la sua
immagine) una società può sottolineare con un messaggio il ruolo da essa
svolto ed i meriti da essa acquisiti nei confronti della collettività o può invece
legare il proprio marchio alla proposta di una causa sociale. Si tratta in questi
casi di una forma di advertising che non può certo considerarsi tipica della
pubblicità sociale poiché in essa ha troppa parte la promozione degli interessi
economici del soggetto che la realizza.
Se infatti, in tempi non lontani, la responsabilità d’impresa era legata
principalmente ai metodi produttivi, alla qualità dei prodotti, ai rapporti con i
dipendenti, ora la sua area di responsabilità coinvolge sempre più chiaramente
e massicciamente le relazioni con la collettività. Da qui la necessità di una
societal strategy che concretizzi l’orientamento recente di introdurre tra gli
obiettivi
aziendali
economici
anche
quelli
di
posizionamento
sociale
dell’impresa.
È bene riflettere, seppur brevemente, su questo fenomeno nell’area della
comunicazione sociale, che vede sempre più l’impresa profit oriented
intervenire come fonte legittima di messaggi sociali e promotrice in prima
persone di cause sociali.
I fattori che hanno contribuito a creare o elevare le aspettative da parte della
collettività nei confronti dell’impresa e che inducono quest’ultima a partecipare
attivamente ad iniziative di carattere sociale sono numerosi; la questione della
responsabilità sociale dell’impresa attraversa infatti una vasta serie di ambiti e
l’opportunità di comunicare tale responsabilità e renderla visibile anche
32
attraverso iniziative dirette di coinvolgimento sociale nasce dal confluire di
numerosi cambiamenti che hanno investito soprattutto la sfera del consumo,
dove il consumatore di oggi assume un profilo sempre più attento e
consapevole delle implicazioni ecologiche e sociali delle proprie scelte, un
individuo che indirizza le proprie scelte di acquisto in coerenza anche con
determinati valori. Alcuni studiosi parlano anche di una nuova etica del
consumo per definire un progressivo coinvolgimento dell’individuo consumatore
nei problemi ambientali e sociali.
Sarebbero dunque in atto tendenze che conducono ad una progressiva
responsabilizzazione del consumatore, che lo spingono a prendere coscienza
del suo ruolo di interlocutore consapevole delle imprese e giudice del loro
operato. D’altro canto le sollecitazioni che provengono dai mass media, dal
terzo settore, dai gruppi di pressione, dalle associazioni dei consumatori e dai
gruppi ambientalisti hanno fortemente contribuito a richiamare l’attenzione del
consumatore su eventi e situazioni legati all’intera catena produttiva e a
coinvolgerlo nella valutazione complessiva del processo.
La questione della responsabilità sociale nasce anche dall’emergere di un
nuovo modo di intendere la filantropia da parte delle aziende e dalla necessità
conseguente di dotare le marche e i prodotti di nuove valenze capaci di
fronteggiare una crescente domanda di “ senso “ da parte del consumatore. Le
aziende dunque sempre più frequentemente, a fronte delle spinte che
provengono dal mercato e dal contesto sociale, comunicano non solamente sul
proprio ruolo economico ma sulla propria visione del mondo, sui propri valori ed
obiettivi. Per fare questo si servono di tutte le leve della comunicazione dal
packaging, alla pubblicità, alle relazioni pubbliche.
Quanto tali cambiamenti siano frutto di una evoluzione della cultura etica
dell’impresa e quanto invece siano frutto di una operazione di make up è una
domanda che ovviamente si pone inevitabile e tuttavia vale la pena sottolineare
come le iniziative di marketing filantropico15 siano ben accolte da parte dei
consumatori.
15
Il marketing filantropico secondo la letteratura viene definito come un’attività in cui le
imprese, le organizzazioni non profit e cause di utilità sociale formano una partnership al fine di
promuovere un’immagine, un prodotto o un servizio traendone reciprocamente beneficio. Per
33
Ma vi è una forma di comunicazione sociale promossa da soggetti privati, che
non può ricondursi solamente ad una loro autopromozione ed i cui connotati
mostrano invece di coincidere in larga misura con le definizioni di
comunicazione sociale già elencate. Si tratta di un’esperienza di comunicazione
sociale che nel suo prodursi mostra di superare i confini tradizionali tra ragioni
commerciali e ragioni sociali, giacché essa nasce da intenzioni e sollecitazioni
maturate principalmente nel mondo delle professioni pubblicitarie, ma si traduce
poi in momenti organizzativi che perdono il contatto con l’area del profitto e del
mercato in genere, in momenti cioè nei quali è difficile ravvisare i volti e le
motivazioni degli originari protagonisti. Si parla dell’esperienza di Pubblicità
Progresso.
1.3.3.1 Il caso di Pubblicità Progresso
Pubblicità Progresso nasce nel 1970 dalla convergente spinta di quattro
organismi:
l’associazione
Otipi,
che
riunisce
le
agenzie
pubblicitarie,
l’associazione Upa che raggruppa gli utenti pubblicitari, la Federazione Editori
Giornali attraverso il Cps (Comitato Pubblicità Stampa) e la Sipra (società
concessionaria della Rai per la pubblicità). Si propone come scopo principale
quello di favorire un apporto concreto ai problemi della collettività. Più in
particolare gli obiettivi prefissati sono: porre la comunicazione pubblicitaria al
sevizio della collettività attraverso l’ideazione e l’effettuazione di campagne di
pubblico
interesse;
dimostrare
l’utilità
delle
tecniche
pubblicitarie
per
promuovere una corretta comunicazione sociale e per stimolare la coscienza
civile ad agire per il bene comune. Inoltre tali forze sono spinte a dare vita a
questa iniziativa da un complesso di motivazioni. Si tratta in primo luogo di
motivazioni ruotanti attorno al senso di responsabilità sociale del mondo
dell’impresa e del management pubblicitario.
l’impresa, ad esempio, intraprendere un’iniziativa di marketing filantropico o cause related
marketing significa fidelizzare i consumatori, aumentare la capacità di attirare l’attenzione dei
media, aumentare le vendite,..; per un’organizzazione non profit significa avere accesso a
nuove fonti di finanziamento, aumentare l’attenzione del pubblico verso la causa trattata,
accrescere la notorietà e la visibilità dell’organizzazione non profit, ecc.
34
Un secondo ordine di motivazioni è inerente al bisogno di legittimazione sociale
di quel mondo. Tale legittimazione è perseguita tanto nei confronti dell’opinione
pubblica quanto nei confronti di ambiti più limitati: un pubblico ristretto di opinion
makers, capaci di ripetere un’immagine positiva del mondo pubblicitario
impegnato nell’iniziativa.
Una terza motivazione consiste nell’esigenza di riqualificare il mezzo
pubblicitario, quale strumento cruciale non solamente al servizio dell’attività
economica delle aziende e come anello indispensabile di congiunzione fra
produttore e pubblico, ma anche quale strumento a servizio di cause di pubblica
utilità.
Nel corso degli anni ma soprattutto negli anni ’90 Pubblicità Progresso ha visto
aumentare notevolmente il numero di associati. Nuovi soci si sono aggiunti ai
precedenti, mettendo a disposizione la professionalità, le competenze e i servizi
dei propri aderenti, contribuendo in tal modo a rendere più efficace ed incisiva
la comunicazione. L’adesione di ASSIRM, ad esempio, ha consentito la
realizzazione di ricerche sull’efficacia delle campagne al fine di testare il loro
impatto sul pubblico. Così pure l’adesione di ASSOREL ha significato poter
contare, nella realizzazione di un progetto comunicativo, sull’utilizzo di tutte le
leve necessarie alla promozione della campagna e del tema affrontato. Ma
l’adesione di tanti nuovi soci ha significato per Pubblicità Progresso soprattutto
rafforzare, in un momento di grande cambiamento della comunicazione sociale
in Italia, la propria leadership in quest’area.
La scelta dei temi sui quali intervenire non è mai stata facile per diversi motivi e,
in primo luogo, per la difficile composizione dei diversi interessi delle istituzioni
che compongono Pubblicità Progresso.16Nel corso degli anni si è resa
16
Attualmente Pubblicità Progresso è composta dalle seguenti associazioni:
AAPI (Associazioni Aziende Pubblicitarie Italiane) socio dal 1991
ADCI (Art Directors Club Italiano) socio dal 1999
APP (Associazione Produttori Pubblicitari) socio dal 1999
ASSIRM (Associazione tra Istituti di Ricerche di mercato, sondaggi di opinione, ricerca sociale)
socio dal 1995
ASSOCOMUNICAZIONE (Associazione delle imprese di comunicazione) socio fondatore
ASSODIRECT (Associazione delle agenzie di direct marketing) socio dal 1995
ASSOMEDIA (Associazione delle Centrali Media e delle Agenzie Media) socio dal 1995
ASSOREL (Associazione delle agenzie di Relazioni Pubbliche a servizio completo) socio dal
1990
FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) socio dal 1995
35
necessaria la creazione di un comitato di consulenza per definire i criteri guida
di scelta poi pubblicati in un apposito manuale dove si legge che i temi da
affrontare nelle campagne di Pubblicità Progresso: devono essere di vasto
richiamo; non devono avere carattere commerciale né essere ideologicamente
e politicamente troppo di parte; devono essere tali da giustificare il ricorso alle
tecniche pubblicitarie e da motivare l’interesse dei pubblicitari. Un tema
particolarmente significativo, stabilisce infine Pubblicità Progresso, può essere
anche ripreso in successive campagne. A questi criteri si può inoltre aggiungere
la possibilità di proposta da parte del pubblico esterno.
Cinque sono le aree tematiche affrontate dalle campagne promosse da
Pubblicità Progresso: ambiente (campagne sulla difesa del verde, la pulizia dei
centri urbani, la tutela del patrimonio artistico, ecc.), salute (campagne contro il
fumo, sulla salute dei bambini, sull’AIDS, ecc.), virtù civili (campagne sul
volontariato, sulla donazione del sangue, ecc.), deboli emarginati (campagne
sui diritti degli handicappati, contro i maltrattamenti ai minori, ecc.),
informazione (campagne sull’informazione come bene sociale, sui contratti di
formazione lavoro, ecc.). Altre campagne più recenti hanno affrontato il tema
della necessità della conoscenza dell’inglese e dell’informatica, il bisogno di
gesti di civiltà e cortesia, ecc.
Si tratta, a ben vedere, di temi tradizionali per Pubblicità Progresso che ha per
lungo tempo investito nell’area della solidarietà sociale e del sostegno ai più
deboli, avviando campagne che si potrebbe definire di educazione civica;
campagne cioè atte a promuovere nozioni positive della cittadinanza
contemporanea.
L’autorevolezza, acquisita nel corso del tempo, consente a Pubblicità Progresso
di farsi specchio credibile per la collettività che in esso si riconosce. In
quest’ottica la funzione delle campagne è quella di dare visibilità ad un
FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) socio fondatore
IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) socio dal 1998
PUBLITALIA 80 (Concessionaria di pubblicità reti Mediaset) socio fondatore
RAI (Radiotelevisione Italiana) socio fondatore
TP (Associazione italiana tecnici pubblicitari) socio fondatore
UNICOM (Unione Nazionale Imprese di Comunicazione) socio fondatore
UPA (Utenti Pubblicità Associati) socio fondatore.
36
patrimonio valoriale percepito di appartenenza collettiva. Insomma Pubblicità
Progresso si pone al fianco del cittadino e ne sollecita il miglioramento sia
attraverso un percorso di crescita individuale sia attraverso l’assunzione di
comportamenti responsabili e civili verso gli altri.
1.4. La comunicazione sociale e i media
Il settore della comunicazione sociale stenta ad incontrare il mondo dei media,
ad adottarne modalità e strumenti comunicativi: la diffidenza verso un soggetto
che facilmente si presta ad accuse di superficialità e spettacolarizzazione è
ancora, come afferma Pira17, molto forte e, reciprocamente, accade la stessa
cosa nei media: i temi della comunicazione sociale, volontariato in testa, sono
scarsamente rappresentati nel panorama dei media italiani.
Il mondo della comunicazione sociale e quello dei media faticano ad incontrarsi:
è sufficiente un rapido sguardo ai quotidiani nazionali, o anche ai palinsesti
delle principali emittenti tv, per rendersi conto che il tema del non profit è
scarsamente rappresentato nel panorama dei media italiano. Anche nelle rare
occasioni in cui esso è presente, difficilmente viene trattato come l’oggetto
diretto di uno specifico interesse; più spesso al centro della trattazione ci sono
temi quali il disagio e l’emarginazione, e la sua visibilità è secondaria.
Anche le associazioni hanno dimostrato scarso interesse nei confronti dei
media; probabilmente la diffidenza verso un soggetto che si presta facilmente
ad accuse di superficialità e spettacolarizzazione ha impedito loro di scorgere le
motivazioni per la costruzione di un rapporto diverso.
I media, continua Pira, mostrano una certa curiosità nel settore del non profit, si
moltiplicano iniziative dedicate alla comunicazione sociale. Affinché questo
clima di nascente interesse non si dissolva in una tendenza passeggera, ma si
concretizzi in una qualche forma di collaborazione, è necessario che si abbiano
chiari i vantaggi che potrebbero derivare da tale intensificazione di rapporti.
17
Cfr. Pira F., Interventi formativi a sostegno della realizzazione di progetti di comunicazione
istituzionale integrata, Realizzato per Formez Centro di Formazione Studi, 2004.
37
In una realtà varia ed articolata come quella d’oggi, i media ed il settore del non
profit si presentano come soggetti estremamente complessi per la vastità ed
eterogeneità delle persone e delle strutture coinvolte, tali da poter essere
indicati ciascuno come un vero e proprio mondo sociale.
I problemi di rapporto tra questi due mondi nascono dall’incontro fra due culture
diverse, quella appunto dei media e quella del sociale. I rapporti tra non profit e
media giornalistici sembrano essere caratterizzati da un conflitto insanabile che
pone i primi sul versante della rivendicazione e i secondi su posizioni di
deprezzamento e scarsa attenzione per questioni che non vengono reputate
importanti. I media pongono grande attenzione a una grande varietà di mondi
sociali: la politica, l’economia, la vita quotidiana genericamente intesa, ecc. La
copertura di questi mondi sociali non è avvenuta contemporaneamente, ma ha
seguito la crescita del mondo sociale in questione, e, quindi, la sua aumentata
autorevolezza all’interno della società. Il non profit ha avuto una crescita e uno
sviluppo di autorevolezza che lo ha, in parte, incluso nei mondi sociali coperti
dai media.
Per questo motivo, secondo Rolando18, è possibile ipotizzare tre strade. La
prima è quella della cooperazione limitata, ovverosia il non profit utilizza tutte le
strade di accesso al momento disponibili per il mondo dell’informazione e, in
particolare, diventa credibile fonte di notizie, interlocutore privilegiato sui
problemi che tratta. Per fare questo devono essere accantonate
le
rivendicazioni di spazio e di contenuto in modo da effettuare l’incontro su basi
molto pragmatiche. La seconda è quella della cooperazione simbiotica, con il
riconoscimento forte e reciproco dei due soggetti (il non profit che riconosce i
media e i media che riconoscono il non profit al pari degli altri soggetti). E’
sicuramente la prospettiva più lontana nel tempo, perché prevede una serie di
condizioni che si realizzino in precedenza: in primo luogo la rinnovata centralità
dell’ascolto dell’altro da sé che, seppur presente in qualità e quantità diverse nei
due mondi, non è valorizzata abbastanza; in secondo luogo il totale
sganciamento di entrambi i mondi dalle appartenenze ideologiche e culturali
precedenti; infine la formazione che rimane carente carenti sia tra i giornalisti
18
Cfr. Rolando S., Teoria e tecniche della comunicazione pubblica, op. cit.
38
sia tra gli operatori del non profit. La terza prospettiva è quella dell’alternativa,
cioè la creazione di un sistema informativo alternativo riguardo a quello dei
media giornalistici. E’ la strada che molte organizzazioni hanno intrapreso e può
rispondere efficacemente ad alcune esigenze comunicative e può fungere da
presa di confidenza anticipata delle competenze per operare al meglio nel
campo dell’informazione.
Gli scenari sopra esposti nella realtà non si presentano così chiaramente, ma si
intrecciano tra loro, dando vita a una varietà di posizioni spesso contraddittorie,
dimostrando ancora una volta che il non profit non è un corpo unico e compatto,
fatto che incide notevolmente nella determinazione del rapporto con i media.
Se le relazioni con i media possono essere così riassunte, è anche vero che,
secondo Rolando, il riconoscimento reciproco non può essere lasciato alla
buona volontà di singoli professionisti ed organizzazioni. L’acquisizione di
capacità comunicative strutturate, la definizione degli obiettivi e il superamento
dell’auto-referenzialità dal lato del non profit, l’allargamento dei mondi sociali e
simbolici con i quali interloquire dal lato dei media, sono solo alcuni dei percorsi
possibili per individuare punti di contatto fra i due mondi.
1.5. I problemi della comunicazione sociale
L’utilizzo sempre più crescente della comunicazione sociale da parte di
numerosi soggetti pone una serie di problemi.
Il primo di questi si riferisce alle difficoltà connesse con l’affollamento di
messaggi a scopo sociale che si cominciano a registrare nei media.
Quest’affollamento determina due momenti di crisi: uno a monte e l’altro a valle
dell’evento comunicativo. A monte si profila la questione della competizione per
l’accesso ai media; competizione basata su risorse economiche quando si tratta
di campagne interamente pagate dalle associazioni ed organizzazioni non
profit. Quando invece si tratta di ottenere gratuitamente lo spazio sui media o la
collaborazione delle agenzie pubblicitarie, la competizione si gioca, oltre che
sulla capacità di lobbying da parte delle organizzazioni che sostengono le
cause sociali, anche sulla loro capacità di sviluppare il massimo di attenzione
39
sociale attorno a quelle cause. A valle il momento critico riguarda la
competizione tra i messaggi per guadagnare l’attenzione cooperativa
dell’audience; un’attenzione e una cooperazione che sono evidentemente
limitate se soltanto si pensa alle campagne di fund raising di molte
organizzazioni
non
profit.
Questa
competizione
rischia
di
influenzare
negativamente il linguaggio e l’efficacia stessa della comunicazione di questo
tipo; in particolare, i comunicatori possono essere indotti ad un climax nei toni
del messaggio, pigiando per esempio sui tasti del vittimismo e del moralismo,
per creare attorno al tema il massimo dell’attenzione.
Un secondo ordine di problemi che si presenta nel comunicare socialmente nel
settore del non profit è che spesso l’attività di comunicazione viene considerata
come gerarchicamente secondaria in una scala dove si prevede che la maggior
importanza e centralità venga data all’offerta di servizi ed attività. Un
paradosso, se si considera che il settore di cui si parla è composto da una
molteplicità di operatori e di temi con un numero elevato di relazioni fra
persone, soggetti organizzati pubblici e privati.
Un terzo problema è legato ai temi dei quali si occupa il no profit: cultura,
ambiente, disagio sociale, ricerca, istruzione, diffusione della cultura sono temi
e problemi che all’interno del nostro Paese non godono della centralità
dell’economia e della politica.
Un quarto problema è infine rappresentato dalla frammentazione del mondo del
non profit; se da un lato la pluralità di idee, forme organizzative, attività e servizi
offerti è una ricchezza sia per la democrazia sia per la capacità di aumentare la
partecipazione, dall’altro mostra una debolezza nel costruire ed esprimere
posizioni, punti di vista, progettualità comuni.
Per superare tali difficoltà, Rolando19 propone per il mondo del non profit alcune
azioni mirate alla crescita della consapevolezza del ruolo e delle potenzialità
della comunicazione. La prima è quella dell’apprendimento e della formazione
all’uso dei mezzi di comunicazione vecchi e nuovi; la seconda è la crescita
innanzitutto all’interno del non profit di una cultura della comunicazione accanto
alle culture del fare e del sociale; la terza azione è legata allo sviluppo di una
19
Ibidem.
40
capacità di leggere e analizzare la realtà sociale da punti di vista diversi. Il
superamento della sindrome da isolamento che rischia di colpire tutto il non
profit è l’altro passo da compiere. Costruire nuove relazioni non solo con altri
soggetti del non profit e della pubblica amministrazione, ma anche con quelli
apparentemente più lontani. Se l’obiettivo è quello di costruire reti paritarie a
livello di comunità locali, regionali, nazionali intorno ai temi del non profit, ma
anche per lo sviluppo economico e sociale del territorio, allora anche il non
profit potrà comprendere meglio il ruolo della comunicazione; la quarta azione
riguarda il lavoro da compiere sull’identità delle associazioni non profit. E’ un
lavoro da effettuare prima all’interno che all’esterno e che si concretizza nella
definizione condivisa di obiettivi, strumenti, risorse e ruoli da svolgere. Infine
accettare che la maggioranza dei soggetti individuali e collettivi della società
contemporanea sono estranei ai temi e all’agire di solidarietà. La conseguenza
di ciò non è la passività, ma è, innanzitutto, l’attivazione di processi conoscitivi
della realtà per comprendere bisogni, interessi, aspirazioni, desideri che non
coincidono con quelli degli operatori del non profit.
Evitando recriminazioni, costruendo una soggettività forte il non profit potrà
contribuire al rinnovamento culturale, sociale ed economico del nostro Paese
attraverso anche la costruzione di nuove modalità e nuove concezioni della
comunicazione e dei suoi strumenti.
41
42
Capitolo 2. Il marketing sociale e sportivo
2.1. Premessa
La scelta di inserire nella trattazione un capitolo destinato al marketing sociale e
sportivo nasce dal desiderio di individuare in queste pagine l’approccio naturale
che i gruppi organizzativi, tanto pubblici come privati, dovrebbero seguire per
aumentare l’efficacia e l’impatto delle loro campagne. Un approccio di
marketing consente infatti di inserire le attività di comunicazione all’interno di un
processo di pianificazione sistematico che inoltre prevede la considerazione di
altri strumenti che possono favorire il cambiamento desiderato. Si pensi, ad
esempio, alle ricerche di marketing che consentono sia un’analisi del mercato
che facilita la scelta e la selezione delle modalità, dei tempi e dei luoghi più
idonei per la diffusione delle informazioni, sia un’attività di verifica e di controllo
sul piano di marketing a partire dalla sua impostazione fino alla sua
conclusione, rendendo possibili tempestive azioni correttive.
L’esperienza di marketing mutuata dall’impresa privata alle organizzazioni non
profit, che si occupano di comunicazione sociale, lascerà spazio alla parte
dedicata al marketing sportivo: un passaggio graduale che consentirà di
introdurre al meglio il capitolo successivo che si occuperà del caso di
un’organizzazione non profit che tratta tematiche sportive.
2.2. Il marketing sociale
Sviluppatosi negli Stati Uniti nel corso degli anni Settanta, il marketing sociale
introduce un profondo cambiamento nel modo di concepire le organizzazioni e
le loro funzioni, soprattutto per quanto concerne la pianificazione degli obiettivi
ed il grado di estensione delle attività rispetto all’ambiente esterno. Esso è
43
basato su una concezione estensiva di una delle idee base della dottrina del
marketing, ovvero quella di scambio.
Secondo questo nuovo approccio, infatti, i valori che vengono trasferiti da un
soggetto
ad
un
altro
nel
sistema
di
mercato
non
devono
essere
necessariamente di natura economica, ma possono appartenere anche ad
ambiti, per così dire, simbolici, ad esempio di tipo religioso, politico, civile,
morale, ecc.
In questo senso, ogni organismo che cerchi di conseguire una risposta nei
confronti di una qualche offerta può considerarsi operante all’interno di una
logica di mercato, dal momento che mette in atto un sistema di azioni che ha
come fine quello di indurre in un determinato pubblico una reazione precisa, da
cui trarre il proprio vantaggio.
Imprese, associazioni, istituzioni operano tutte in un ambiente competitivo,
dispongono di risorse limitate, devono conformarsi a standard di efficienza ed
efficacia ed infine devono cercare di raggiungere gli obiettivi per cui sono state
costituite.
Da questa prospettiva ampliata, discende la concezione di marketing sociale,
definibile come la progettazione, la realizzazione ed il controllo dei programmi
finalizzati ad aumentare presso uno o più target definiti l’accettabilità di una
causa o di un valore sociale, utilizzando a questo scopo gli strumenti dell’analisi
ambientale, della segmentazione, della promozione, della pianificazione
strategica.
Questa dimensione teorica generale, tuttavia, si è articolata in una molteplicità
di tendenze, che l’hanno interpretata in modo eterogeneo, sia per quanto
riguarda gli attori coinvolti, sia in relazione al tipo di attività nelle quali il nuovo
approccio doveva esplicitarsi.
Nel 1975 Kotler1 già offre una definizione precisa, operando una netta divisione
tra i due concetti di social marketing e societal marketing.
Il primo si riferisce all’insieme di attività, poste in essere da organizzazioni
pubbliche o private, che hanno come obiettivo quello di produrre dei
cambiamenti d’interesse collettivo nell’ambito dei valori e dei comportamenti;
1
Cfr. Kotler P., Marketing for Nonprofit Organizatios, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1975.
44
perciò l’oggetto dello scambio con l’ambiente non è rappresentato da prodotti
concreti, quanto soprattutto da atteggiamenti, nuovi punti di vista, idee che
rappresentano l’offerta principale, mentre prestazioni e beni tangibili divengono
mezzi da utilizzare per accrescerne l’adozione del pubblico.
Il secondo esprime l’interesse manifestato dall’impresa privata ad estendere la
propria responsabilità anche al di là del momento della vendita o del controllo
degli effetti in termini di profitti acquisiti, spingendosi a considerare altri tipi di
aspetti del ciclo produttivo e del comportamento del consumatore, come la
qualità, l’affidabilità e la sicurezza dei beni, la salvaguardia della salute, il
risparmio energetico, la correttezza della pubblicità, ecc. Anticipando le
eventuali pressioni e vincoli esterni di tipo sociale o legislativo, l’azienda fa
dell’attenzione a questa serie di variabili un vantaggio competitivo, per garantirsi
non solo una sopravvivenza a lungo termine ma anche un più immediato
aumento delle vendite.
Questa articolazione concettuale ha inciso profondamente sulla produzione
dottrinale successiva, la quale ha saputo conferire un contesto teorico preciso
alle nuove esigenze emerse nel settore degli enti non profit pubblici e privati.
I testi fondamentali del marketing sociale appartenenti ai primi anni Ottanta
illustrano quattro diversi metodi solitamente usati per ottenere un cambiamento
comportamentale o ideologico nella collettività:

approccio di tipo legale, che prevede interventi a livello politico-legislativo;

approccio di tipo tecnologico, che presuppone lo sviluppo di innovazioni
tecnologiche che aiutino i soggetti interessati a cambiare le proprie credenze
o abitudini;

approccio di tipo economico, caratterizzato da un’azione sui costi legati
all’assunzione
di
un
determinato
comportamento
e
dall’eventuale
introduzione di ricompense per coloro che, di fronte a una determinata
questione, abbiano uniformato il proprio atteggiamento a quello del soggetto
promotore dell’intervento;

approccio di tipo informativo-educativo, consistente nella diffusione di
messaggi che illustrino al pubblico di riferimento i pro e i contro di una
determinata consuetudine o di un particolare modo di pensare, al fine di
45
indurre
una
comprensione
che
conduca
ad
un
cambiamento
comportamentale.
Il marketing sociale, chiaramente, s’iscrive all’interno di quest’ultimo approccio.
In Italia si è parlato, per la prima volta, di marketing sociale nel 1973, all’epoca
della crisi energetica; venne presentato come il marketing dei consumi collettivi
rispetto al marketing tradizionale, orientato ai consumi individuali.
Esso diventò rapidamente un contraltare del consumismo poiché, partendo da
una gestione più razionale delle risorse si proponeva di privilegiare una serie di
aree, dai trasporti al riscaldamento, dalla casa ai servizi sociali, i consumi
collettivi.
Parallelamente, con il diffondersi di una cultura dei consumi collettivi, anche le
imprese avvertivano l’esigenza di guardare con maggiore attenzione ai problemi
più generali della comunità in cui erano insidiate e del loro pubblico di
consumatori, promuovendo iniziative aventi carattere di socialità, al fine di
difendersi dagli attacchi della cultura antindustriale e di favorire il formarsi di un
atteggiamento positivo del pubblico nei confronti dell’impresa e delle sue
attività.
Il marketing dei sevizi erogati agli enti pubblici, il marketing di enti e
associazioni senza fini di lucro, fino al marketing delle imprese, quando si
occupava dei problemi della società, tutto diventava marketing sociale: si
creava così una grande confusione intorno al concetto di marketing sociale, che
finiva per essere identificato con l’intera area del marketing non profit, quasi in
contrapposizione con il marketing tradizionale.
Ora verrà data una specifica alla definizione di marketing sociale delle
organizzazioni senza fini di lucro per proseguire sul binario della trattazione
che, sin dalle prime pagine, si è voluto dare a questa discussione.
2.2.1. Il marketing nelle organizzazioni senza fini di lucro
A differenza delle imprese, che mirano principalmente al profitto, le
organizzazioni senza fini di lucro svolgono un’attività che si preoccupa di
soddisfare degli interessi sociali, che possono riguardare la società nel suo
46
complesso o gruppi sociali più limitati (associazioni di vario tipo, organizzazioni
religiose, cooperative di consumatori, ecc.).
La pluralità di questi diversi interessi sociali rende necessaria una prima grande
distinzione tra le organizzazioni senza fini di lucro, in relazione al loro carattere
pubblico o privato. Kotler2suggerisce un’ulteriore classificazione all’interno sia
del settore pubblico sia del settore privato, distinguendo quattro tipi di
organizzazioni pubbliche e otto tipi di organizzazioni private.
Organizzazioni di carattere pubblico:

organizzazioni statali che producono beni e servizi finalizzati alla vendita;

organizzazioni che producono beni e servizi che non vengono pagati
direttamente;

organizzazioni che incassano direttamente soldi dai cittadini;

organizzazioni create per regolare la libertà di alcuni gruppi di persone a
tutela del pubblico interesse.
Organizzazioni di carattere privato:

organizzazioni religiose (ad esempio movimenti evangelici, associazioni
ecclesiastiche);

organizzazioni sociali (ad esempio club, confraternite);

organizzazioni culturali (ad esempio musei, compagnie teatrali);

organizzazioni scolastiche (ad esempio università, centri di ricerca);

organizzazioni corporative (ad esempio sindacati);

organizzazioni politiche (ad esempio partiti, gruppi di interesse);

organizzazioni filantropiche (ad esempio fondazioni);

organizzazioni per le cause sociali (ad esempio gruppi ambientalisti).
L’elenco di questi tipi di organizzazioni lascia intuire la necessità di un
approccio di marketing che tenga conto delle differenti situazioni che ogni
organizzazione deve affrontare nel perseguire i propri obiettivi.
In riferimento all’applicazione dei concetti e degli strumenti di marketing propri
delle imprese private, bisogna considerare che sia le imprese che le
organizzazioni senza fini di lucro dispongono di risorse limitate e la loro
2
Ibidem.
47
gestione deve rispondere a determinati requisiti di efficienza ed efficacia,
operando in un ambiente di tipo competitivo.
Tuttavia, esistono delle differenze e le organizzazioni si distinguono dalle
imprese orientate al profitto per le seguenti caratteristiche:

Molteplici pubblici: le organizzazioni senza fini d lucro devono affrontare in
una prospettiva di marketing almeno due principali tipi di pubblico che non
sempre coincidono, cioè coloro che forniscono i finanziamenti e coloro che
usufruiscono direttamente dei servizi offerti. A questi si aggiungono quei
pubblici che esercitano un’influenza sulle attività dell’organizzazione;

Molteplicità di obiettivi: a differenza delle imprese che sono essenzialmente
dallo scopo primario del profitto, le organizzazioni senza fini di lucro hanno
diversi obiettivi da soddisfare che rendono più complessa la formulazione
delle strategie e dei piani di marketing (ad esempio soddisfare bisogni
sociali e rispettare criteri finanziari);

Servizi piuttosto che beni tangibili: le organizzazioni senza fini di lucro hanno
a che fare solitamente con l’erogazione di servizi piuttosto che con la
produzione o il commercio di beni tangibili.
Le principali caratteristiche elencate impongono la necessità di un adattamento
e di uno specifico sviluppo delle tecniche di marketing. In particolare è utile
distinguere il diverso genere delle attività di marketing svolte, classificabili in
funzione del tipo di domanda che l’organizzazione deve soddisfare e della
natura del processo di scambio.
Si possono distinguere vari tipi di domanda, ognuno dei quali comporta diverse
opportunità di marketing:

domanda negativa (quando la maggior parte del mercato rifiuta il prodotto).
In questa situazione il compito del marketing è quello di analizzare e
comprendere i motivi del rifiuto e valutare se un piano di marketing potrebbe
cambiare gli atteggiamenti e i pregiudizi dei consumatori;

domanda assente (quando i consumatori potenziali sono disinteressati o
indifferenti al prodotto). Il compito del marketing diventa quello di trovare il
modo per unire i benefici del prodotto ai bisogni ed interessi dei
consumatori;
48

domanda latente (quando un forte desiderio del consumatore non è
soddisfatto da nessun prodotto/servizio esistente). Compito del marketing
sarà quello di misurare le dimensioni del mercato potenziale e sviluppare i
beni e i sevizi necessari a soddisfare la domanda;

domanda eccessiva (quando il livello della domanda supera le possibilità
che l’organizzazione ha di soddisfarla). Il compito del marketing è quello di
trovare il modo per ridurre la domanda;

domanda irregolare (quando la domanda si presenta irregolare in relazione
a diverse fasi temporali, implicando un sottoutilizzo alternato a un
sovrautilizzo del prodotto/servizio). Il compito del marketing è quello di
trovare il modo per influenzare i tempi di consumo della domanda;

domanda nociva. Il compito del marketing in questo caso diventa quello di
ridurre la domanda per prodotti nocivi.
Per quanto riguarda la natura del processo di scambio, s’individuano dei costi o
sacrifici in cambio di benefici offerti. Costi e sacrifici rappresentano tutto ciò che
è percepibile come di valore da parte del pubblico obiettivo e che deve essere
pagato per ottenere il beneficio offerto.
Si distinguono principalmente i seguenti quattro tipi di costi:

costi economici;

sacrifici di vecchie idee, valori, opinioni o atteggiamenti;

sacrifici di vecchi modelli di comportamento;

sacrifici di tempo ed energia.
In cambio i pubblici di organizzazione non profit possono ricevere tre tipi
fondamentali di benefici:

economici (prodotti o sevizi);

sociali (stima, riconoscenza, ecc.);

psicologici (gratificazione, autostima, sicurezza, ecc.).
49
2.2.1.1.
Il processo di pianificazione
Le fasi di pianificazione di una campagna di marketing sociale ricalcano il
processo di marketing attuato dalle imprese per la commercializzazione di
prodotti e servizi.
La
gestione
del
processo
di
pianificazione
di
marketing
prevede
essenzialmente: a) un’analisi del macro e del micro ambiente (variabili socioculturali, politiche, economiche, ecc.; domanda, concorrenza, ecc.); b) lo
sviluppo del piano di marketing (obiettivi, segmentazione, strategie e programmi
d’azione); c) l’organizzazione e l’attuazione del piano; d) il controllo e la
valutazione dell’efficacia dell’azione di marketing. All’interno di questo processo
un ruolo importante assumono le ricerche, che rappresentano uno degli
strumenti principali che contraddistinguono l’approccio di marketing rispetto ad
altri metodi di solito utilizzati per provocare dei cambiamenti sociali.
Le ricerche di marketing intervengono in ogni fase del processo di
pianificazione, attuazione e controllo, fornendo una serie di dati che
costituiscono il punto di riferimento primario di ogni decisione e riducono
l’incertezza sui risultati delle scelte effettuate.3Tali ricerche rappresentano un
processo sistematico di raccolta, analisi e interpretazione delle informazioni più
rilevanti e devono essere effettuate prima dell’inizio del programma di marketing
– per la definizione del problema, la selezione degli obiettivi – durante
l’attuazione del piano – verifiche sull’impatto e sul corretto svolgimento dei
programmi d’azione – alla fine dell’azione di marketing – per determinare i
risultati e valutare l’efficacia del piano -.
2.2.1.1.1. L’analisi del macro e del micro ambiente
Affinché l’azione di marketing sia efficace è necessario che il processo di
pianificazione parta da un esame della situazione esistente e dei fattori più
rilevanti in relazione al problema che si vuole risolvere.
3
Cfr. Tamborini S., Marketing e comunicazione sociale, Lupetti & Co., Milano, 1992.
50
Principalmente le ricerche devono fornire informazioni sia sugli individui e i
gruppi sociali sui quali si intende agire, sia sul contesto ambientale all’interno
del quale agiscono le forze che sostengono l’idea o il comportamento
indesiderati. Vengono distinti almeno sei tipi di forze: demografiche,
economiche, fisiche, tecnologiche, politico-legali e socio-culturali.
Vi sono essenzialmente quattro metodi utilizzabili per raccogliere dati
sull’ambiente:

indagini tra i leader d’opinione, utili per la raccolta d’opinioni, aspettative e
previsioni sui cambiamenti ambientali e sulla loro controllabilità e probabilità;

analisi del contenuto sui messaggi veicolati dai media, cioè degli argomenti
di crescente attenzione che rilevano i temi d’interesse pubblico emergenti;

indagini sull’opinione pubblica, sui cambiamenti e le tendenze emergenti

analisi degli orientamenti e delle tendenze legislative
Oltre all’indagine ambientale è necessario approfondire l’esame dei gruppi e
degli individui verso i quali è specificamente indirizzata l’iniziativa di marketing.
Più dati si hanno sulle persone che si desidera che attuino un cambiamento, più
facile sarà segmentare e selezionare, raggiungere e motivare i gruppi obiettivo.
Sostanzialmente, il successo del programma dipende dalla capacità di predire i
comportamenti dei gruppi obiettivo che a sua volta dipende dal livello di
comprensione dei processi che guidano e determinano il comportamento
stesso.
Oltre ai gruppi obiettivo, è importante identificare anche i gruppi di influenza che
possono incidere sul successo della campagna, in modo da neutralizzare le
forze d’opposizione ed ottenere il sostegno delle forze più influenti.
2.2.1.1.2. Lo sviluppo del piano di marketing
Una volta definito il problema e prima di impostare strategie e piani d’azione, è
necessario considerare le risorse disponibili e fissare gli obiettivi della
campagna di marketing.
51
Gli obiettivi del piano di marketing si possono stabilire sulla base dell’analisi dei
dati forniti dalle
ricerche
e
devono
essere
coerenti con le
finalità
dell’organizzazione.
Gli obiettivi vengono solitamente espressi in forma generica (stimolare un
determinato comportamento, migliorare una determinata condizione) ma
dovrebbero in seguito venire tradotti in termini operativi ed essere misurabili,
elencati
secondo
un
ordine
di
priorità.
Inoltre
tali
obiettivi
devono
necessariamente confrontarsi con le risorse disponibili, che possono essere di
tipo finanziario, umano, organizzativo, ecc.
I fini che l’organizzazione si propone di conseguire vengono tradotti in obiettivi
più dettagliati ed operativi in relazione ai gruppi che si intendono raggiungere e
alle opportunità di mercato che si presentano.
La definizione delle strategie e dei programmi d’azione, che prevedono l’uso di
strumenti di marketing, presuppone la descrizione e la selezione dei gruppi
obiettivo, cioè la segmentazione, e il posizionamento del prodotto nel mercato
prescelto in modo che si differenzi ed acquisti un vantaggio competitivo nei
confronti di altri tipi di offerta concorrenziali.
La segmentazione implica la suddivisione dell’intero mercato di riferimento in
gruppi di consumatori omogenei per alcune caratteristiche, in modo tale da
soddisfare efficacemente i bisogni attraverso la definizione di programmi
d’azione specifici per ogni segmento.
I diversi gruppi di consumatori si possono differenziare secondo vari criteri,
talvolta per le operazioni di segmentazione si utilizzano più variabili combinate
che consentono una descrizione più approfondita dei gruppi obiettivo. Ad
esempio si possono individuare variabili di tipo geografico (luogo di residenza
dei consumatori, ecc.), variabili demografiche (età, sesso, reddito, livello
d’istruzione, ecc.), variabili psicografiche (classe sociale, stili di vita, ecc.),
variabili comportamentali (benefici utilizzati, grado di utilizzo del prodotto, ecc.).
Dopo la segmentazione del mercato, che definisce appunto i potenziali gruppi
obiettivo dell’azione di marketing, è necessario procedere alla selezione dei
segmenti che si intendono raggiungere (target marketing).
52
Dopo aver selezionato i gruppi obiettivo che si vogliono raggiungere è
necessario posizionare il prodotto offerto all’interno di ogni segmento, cioè
identificare e selezionare i vantaggi competitivi e rendere percepibile al
consumatore
il valore
dell’offerta
in
rapporto
ai prodotti concorrenti.
L’individuazione di un vantaggio competitivo può coinvolgere qualsiasi variabile
del marketing mix (prezzo, prodotto, promozione, distribuzione) e, in particolare,
impone di far leva sulla comunicazione per evidenziare e far conoscere al
consumatore il valore dell’offerta. I principali punti di riferimento da considerare
per definire la posizione di mercato che si vuole assumere sono da un lato il
prodotto, i suoi attributi concreti e le percezioni soggettive che ne hanno i
consumatori, e dall’altro la concorrenza.
Nel marketing sociale il prodotto è rappresentato principalmente da idee e
comportamenti che spesso sono correlati ad un prodotto tangibile o ad un
servizio. Per posizionare i prodotti tangibili e i servizi si può ricorrere ad un
approccio analogo a quello adottato nel settore dei beni economici e anche per
le idee si possono individuare degli attributi distintivi specifici dunque prevedere
delle iniziative concrete a livello di ideazione o modificazione del prodotto.
Come nel marketing tradizionale anche nel marketing sociale è inoltre possibile
identificare la concorrenza, anche se ciò in effetti richiede l’adozione di una
prospettiva parzialmente diversa; la principale forma di concorrenze nel
marketing sociale è rappresentata dall’idea o dal comportamento che si vuole
modificare offrendo idee e comportamenti alternativi. Proprio in conseguenza di
questo tipo di concorrenza, meno appariscente e più complessa di quella
identificabile nel settore economico, nel marketing sociale diventa cruciale e
d’importanza strategica l’analisi dei bisogni dei gruppi obiettivo.
In conclusione, la segmentazione e il posizionamento offrono due vantaggi
principali: la scelta dei gruppi obiettivo appropriati, in relazione ai bisogni
espressi e alla situazione di mercato, e una definizione del prodotto e delle
politiche di prezzo, distribuzione e promozione adattate e differenziate in
relazione ai segmenti che si vogliono raggiungere.
53
2.2.1.1.3. La definizione dei programmi d’azione
Gli elementi del marketing mix (prezzo, prodotto, promozione, distribuzione)
rappresentano gli strumenti che consentono di tradurre gli obiettivi e le
decisione strategiche in specifici programmi d’azione in funzione dei segmenti
obiettivo prescelti.
Nel marketing sociale il prodotto è rappresentato principalmente da un’idea,
offerta al fine di provocare un cambiamento comportamentale e talvolta insieme
a un prodotto tangibile o a un servizio. Legare un’idea a prodotti concreti e
servizi consente di rendere l’offerta più tangibile e attraente agli occhi del target
group che si vuole raggiungere, rendendo più facile ed efficace l’azione di
marketing. Nella gestione di prodotti tangibili e servizi si devono applicare i
concetti e le tecniche elaborati per il mercato dei beni economici: definizione del
nome di marca, packaging, posizionamento, considerazione del ciclo di vita del
prodotto, ecc. Anche per le idee e i comportamenti offerti è tuttavia possibile
applicare gli stessi principi, che richiedono comunque uno specifico
adattamento e la capacità di guardare al prodotto secondo una diversa
prospettiva.
Dal punto di vista del consumatore il prezzo è rappresentato sia da costi
monetari sia da costi non economici (psichici, fisici); nel marketing sociale i costi
non monetari hanno un’influenza predominante in quanto per l’adozione di
un’idea o di un comportamento non viene richiesto un pagamento in denaro.
Per assicurare un maggior numero di scambi non è dunque sufficiente eliminare
i costi economici e offrire dei benefici ma spesso è più importante riuscire a
minimizzare i costi percepiti, che costituiscono delle barriere all’azione. Nel
marketing sociale si tende a diminuire il più possibile il costo dell’offerta in modo
da facilitare l’acquisizione del “prodotto“.
Nella gestione dei canali di distribuzione l’obiettivo principale è quello di creare
un contatto tra produttore e consumatore e rendere accessibile il prodotto nei
tempi e nei luoghi più appropriati e convenienti per entrambe le parti. La
gestione del sistema di distribuzione implica: l’individuazione e la selezione dei
canali e la coordinazione e il controllo dell’intera rete distributiva costituita. Le
54
decisioni in merito alla quantità e al tipo di canali da utilizzare dipendono dalle
risorse disponibili, dal tipo di offerta (prodotti, servizi, idee), dalle caratteristiche
dei gruppi obiettivo e dalla struttura degli intermediari. Anche nel marketing
sociale si utilizzano istituzioni che assumono il ruolo di distributori, grossisti,
dettaglianti come nel marketing tradizionale. Se l’offerta comprende prodotti
tangibili e servizi sarà necessario definire una rete di canali che li renda
fisicamente disponibili al consumatore, mentre per idee e comportamenti, che
rappresentano dei prodotti intangibili, la rete distributiva avrà un carattere più
astratto essendo costituita principalmente da mezzi di comunicazione,
interpersonale e di massa. Nella distribuzione di idee la maggior parte degli
elementi di intermediazione è infatti rappresentata dai media che convogliano
l’informazione.
Nel marketing sociale le attività di comunicazione svolgono un ruolo
predominante in quanto di solito l’obiettivo delle campagne consiste
inizialmente nel diffondere informazione e sensibilizzare gli individui su di un
problema sociale specifico, in modo da creare presupposti necessari per la
modifica di idee e comportamenti. La formulazione della strategia di
comunicazione deve basarsi sui risultati delle ricerche precedentemente
effettuate ed è la conseguente traduzione operativa delle scelte strategiche
stabilite per l’intero piano. Scopo della strategia di comunicazione è quello di
consentire la continuità e la coerenza a lungo termine delle varie iniziative di
comunicazione, fornendo le idee guida per lo sviluppo di messaggi e la loro
diffusione. Il messaggio è il cuore del rapporto che si intende stabilire tra
l’organizzazione ed il pubblico di riferimento ed è necessario che questo rispetti
alcune regole fondamentali: chiarezza ed efficacia del contenuto (il messaggio
deve essere facilmente compreso da chi lo riceve colpendone l’attenzione),
coerenza (deve sussistere una coerenza tra il messaggio e il comportamento
reale dell’organizzazione), bidimensionalità (deve trasmettere valori e aspetti
positivi senza negare l’esistenza di quelli negativi), razionalità (il messaggio
deve avere una prevalenza di contenuti razionali ed oggettivi anche se non si
esclude l’uso delle leve emozionali)4. Per la diffusione del messaggio si
4
Cfr. Rolando S., La comunicazione pubblica in Italia, Editrice Bibliografica, Milano, 1995.
55
possono utilizzare tutti i mezzi e i materiali previsti dalla comunicazione di
marketing (pubblicità, relazioni pubbliche, promozione, vendita personale). La
scelta dei media e dei tempi da utilizzare per la diffusione del messaggio deve
essere effettuata in funzione delle caratteristiche e delle abitudini dei target
group, del tipo di prodotto offerto, del messaggio e ovviamente dei costi previsti,
considerando i vantaggi e i limiti di ogni mezzo.
2.2.1.1.4. La valutazione e il controllo
Le fasi di controllo e valutazione del piano di marketing comprendono vari tipi di
intervento che si differenziano tra loro per le metodologie di ricerca e di analisi
impiegate, i tempi di attuazione, i livelli e le parti di programma presi in esame.
Le attività di controllo e valutazione vanno comunque concepite come un
processo continuativo nel quale si possono distinguere due momenti principali,
che riguardano da un lato le fasi di definizione e di implementazione del piano,
dall’altro la fase di misurazione dei risultati conseguiti al termine della
campagna. Purtroppo queste fasi di valutazione e controllo vengono di solito
trascurate nelle campagne di comunicazione e di marketing sociale, ponendo in
questo modo dei limiti evidenti alla possibilità non solo di valutare correttamente
l’azione esercitata dalle varie campagne ma soprattutto di raccogliere
dall’esperienza quel patrimonio conoscitivo necessario per progettare interventi
potenzialmente più efficaci.
In conclusione, si può affermare che il successo di ogni campagna è
ovviamente legato alla qualità del processo di pianificazione attuato ma dipende
in gran parte dal tipo stesso di causa sociale che si intende promuovere; in
particolare, il preesistente grado di sensibilizzazione e di attenzione
dell’opinione pubblica rispetto a un tema influisce direttamente sull’impatto di
una campagna e sui suoi risultati finali.
56
2.3. Il marketing sportivo
Come già sottolineato, lo scopo della presenza di queste pagine sul marketing
va legato alla crescita della singola organizzazione nei momenti di
individuazione, programmazione, attuazione e valutazione dei suoi obiettivi;
nello specifico, ora si indicherà come trarre beneficio dall’esperienza del
soggetto privato nella pratica di casi inerenti la tematica dello sport.
L’attenzione per il marketing nel mondo dello sport è un fenomeno recente
anche se è presente in modo chiaro ed importante. Nel contesto sportivo è
ancora visto, da taluni, con sospetto e come un possibile elemento inquinante
degli ideali sportivi ma si deve ritenere che l’ampio patrimonio di esperienze di
cui ormai dispone il marketing possa essere trasferito utilmente nel contesto
delle società sportive. Si deve perciò superare l’opinione che vede il marketing
nello sport come una minaccia; in realtà è un’attività che, con intelligenza e
professionalità, può portare cospicui vantaggi a tutti coloro che si muovono
intorno al fenomeno sportivo. Cherubini, nel suo libro Il marketing sportivo,
individua i seguenti vantaggi:

aumento dei praticanti;

aumento dell’intensità di pratica sportiva;

aumento degli spettatori presenti;

aumento degli spettatori a distanza;

aumento dei servizi vendibili agli appassionati;

aumento della domanda di abbigliamento, attrezzature, oggettistica;

aumento dell’audience dei programmi radio-tv;

aumento della lettura di pubblicazioni sportive;

aumento dei ricavi;

miglioramento delle prestazioni agonistiche;

aumento della sicurezza;

aumento della comodità;

aumento e miglioramento dei servizi accessori;

aumento della remunerazione degli atleti;

aumento dell’immagine;
57

diminuzione dei costi unitari;

aumento dei clienti aziendali;

aumento dell’efficacia comunicativa;

miglioramento della salute pubblica;

aumento degli introiti per scommesse e lotterie;

aumento degli introiti fiscali;

aumento delle spese per viaggi, soggiorni ed acquisti turistici;

miglioramento nella conoscenza dei popoli.
Come già osservato nella sezione relativa al marketing sociale, anche per il
marketing sportivo dopo aver studiato opportunamente il mercato, nella forma
sia della domanda che della concorrenza, si tratta di formulare una efficace
strategia di marketing attraverso l’identificazione dei principali segmenti di
domanda da servire e la messa a punto di una coerente offerta integrata
relativa all’insieme dei fattori di marketing da portare al potenziale cliente. La
lista di tali fattori può essere classificata rispetto alle quattro classiche tipologie:
quelli legati al prodotto/servizio, quelli relativi al prezzo, quelli relativi alla
comunicazione, quelli propri della distribuzione.
Nelle pagine successive si analizzerà solo il fattore comunicazione essendo il
più mutuabile dei quattro al caso che verrà esposto nel capitolo seguente ed
avendo già dato spazio altri tre nel paragrafo precedente.
Tutte le organizzazioni moderne hanno la necessità di indirizzare comunicazioni
e promozioni ai loro mercati e pubblici. L’obiettivo è raggiungere uno stretto
collegamento tra l’azienda erogatrice di servizi ed il parco reale di utenti.
Per far ciò è necessaria una efficace azione comunicativa che permetta una
corretta comprensione da parte del mercato di ciò che l’azienda può dare e di
ciò che vuole ricevere.
Anche nello sport la comunicazione è sicuramente la variabile di marketing che
più si è fatta largo. A differenza delle altre leve non è soggetta a vincoli
particolari e consente ai responsabili del marketing una grande libertà di
manovra.
Da un punto di vista concettuale comunicare lo sport non è molto diverso da
comunicare un altro servizio. La società sportiva può sfruttare una serie di
58
canali di comunicazione gestiti da altri operatori (aziende, sponsor, media) per
promozionare il proprio prodotto. La comunicazione, per ricoprire veramente
una funzione strategica, deve definire con precisione le tipologie dei suoi
interlocutori, gli obiettivi che vuole raggiungere, gli strumenti che intende
utilizzare, l’ammontare di spesa sostenibile e i tempi degli interventi.
In realtà una società sportiva ha una molteplicità di persone con le quali
dialogare con tempi, modi, finalità spesso diverse. Ai tradizionali target dei tifosi
e degli sportivi si possono aggiungere tanti altri interlocutori come i mass media,
il mondo istituzionale, il mondo finanziario, il pubblico esterno, ecc.
Il primo punto quindi per effettuare un’efficace comunicazione è un’attenta
definizione delle finalità ovvero degli obiettivi da raggiungere. In effetti nelle
varie circostanze tali obiettivi possono essere molto diversi. Ad esempio:

aumentare la conoscenza della società;

interessare potenziali clienti aggiuntivi;

sviluppare gli abbonamenti;

stimolare le vendite di biglietti o oggetti o servizi;

informare su particolari condizioni di offerta;

migliorare l’immagine della società o di un atleta;

esaltare la fede e passione per una squadra od atleta;

informare su particolari risultati conseguiti;

educare alla corretta partecipazione e presenza;

facilitare l’uso di servizi complementari ed ausiliari;

indicare nuove forme di collegamento;

correggere opinioni erronee od esprimere la propria opinione su fatti
rilevanti.
Per raggiungere l’obiettivo di una valida comunicazione è infine indispensabile
prevedere l’uso di una molteplicità di strumenti comunicativi:

publicity/mass media. I mass media, come la stampa e la televisione,
forniscono alle società sportive una grande opportunità di comunicazione
con il mondo esterno senza sostenere specifiche spese attraverso quella
che viene chiamata publicity. Rientrano in questo tipo di attività
comunicativa gli articoli sulla stampa oltre alla miriade di trasmissioni a
59
livello
nazionale,
ma
soprattutto
locale,
che
vengono
trasmesse
quotidianamente su radio e televisioni e che garantiscono una notevole
amplificazione delle notizie;

personale a contatto con il pubblico. Ovvero il personale che rappresenta la
società e che viene a contatto con il pubblico nelle varie circostanze. Tutte
queste persone possono costituire delle fonti comunicative che possono
risultare molto efficaci e di particolare presa in quanto a contatto diretto con
gli interessati;

relazioni pubbliche. In un contesto ad alta visibilità qual è ormai quello dello
sport è essenziale saper attivare positivamente un sistema di relazioni
pubbliche che aiuti la società ad avere la massima sintonia con l’ambiente
esterno (lo sport è un protagonista sociale con moltissimi interlocutori sia per
quantità che per varietà). È dunque particolarmente utile poter sviluppare
delle iniziative che facilitino queste relazioni. Oltre ad un’accurata gestione
dei rapporti con la stampa, si possono considerare anche aspetti quali
l’organizzazione di visite alle scuole, la partecipazione a manifestazioni
sociali nella comunità di riferimento, la presenza in associazioni qualificate,
l’organizzazione di visite da parte di personalità significative, ecc.;

pubblicità. Per pubblicità si intende ogni forma non personale di
comunicazione di massa, a pagamento e con esplicita indicazione
dell’inserzionista, volta ad indurre, direttamente od indirettamente, ad azioni
vantaggiose per l’inserzionista stesso. Il taglio della pubblicità sportiva è
prevalentemente di tipo emotivo, come chiave d’accesso alla sensibilità del
proprio consumatore;

promozione. Tra gli strumenti di comunicazione è quello che si è affacciato
per primo al mondo sportivo. Infatti la promozione sviluppa interventi volti a
sollecitare il cliente attraverso stimoli speciali, che possono generare una
reazione a breve termine (concorsi a premi, diritto di prelazione, oggetti in
regalo, depliant, ecc.);

telemarketing. Questo strumento può essere definito come un sistema di
comunicazione di marketing che utilizza la tecnologia della telematica e si
avvale di personale specializzato per svolgere attività di marketing,
60
programmate e misurabili, dirette a gruppi di consumatori chiaramente
identificati. È uno strumento interattivo che consente di stabilire un contatto
diretto e personale con il cliente;

mailing. È uno strumento che permette di valutare con accuratezza i risultati;
questo rende possibile un attento monitoraggio delle varie iniziative che le
società
sportive
possono
sviluppare
(campagna
abbonamento,
merchandising, ecc.);

Internet. Ottimo strumento comunicativo con il pubblico interno ed esterno
(si va dalla vendita dei prodotti collegati alle società alla fornitura costante
ed aggiornata di notizie e di informazioni);

incontri con i club/convention;

rivista ufficiale. La rivista ufficiale è uno strumento che deve essere pensato
e costruito per soddisfare i bisogni di informazione di un pubblico di lettori
definito e circoscritto, quello dei sostenitori. Deve essere tagliato in modo
tale da coinvolgere e stimolare la partecipazione degli acquirenti del
prodotto. La rivista inoltre permette di raggiungere diversi obiettivi: rafforzare
l’immagine aziendale, generare utili, presentarsi ad un pubblico molto più
ampio, offrire un ulteriore spazio di comunicazione agli sponsor.
La prova dell’importanza del fattore comunicativo è data inoltre dalla comparsa
di figure ad hoc, i responsabili delle relazioni esterne o comunicazione, che
gestiscono i rapporti con gli sponsor, con le strutture pubbliche e tutti gli altri
interlocutori, e che coordinano tutta l’attività comunicativa. Tradizionale compito
è quello di costruire un ponte collaborativo con i mass media, favorendo
l’accesso alle informazioni.
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