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3. Modelli fisico-matematici per descrivere
le dinamiche dell’infezione da virus
dell’epatite B e C nel singolo paziente
trattato con antivirali
Negli ultimi anni la standardizzazione dei test quantitativi degli acidi nucleici virali ha permesso di misurare la quantità di virus o carica virale nel sangue (viremia) e di studiarne le
fluttuazioni nei pazienti con epatite cronica virale durante il trattamento con farmaci antivirali. La viremia rappresenta l’equilibrio tra la produzione del virus da parte delle cellule
infette e la sua rimozione da parte della reazione antivirale del sistema immunitario o risposta immune antivirale dell’ospite. Le variazioni della viremia sono la conseguenza delle continue alterazioni dell’equilibrio tra virus e risposta antivirale dell’ospite, che può modificarsi durante il corso naturale dell’infezione e associarsi a fluttuazioni dell’attività della malattia epatica (1, 2). L’equilibrio tra la produzione del virus e la sua rimozione può essere modificato artificialmente aumentando la rimozione dei virus circolanti nel sangue
(ad esempio con la plasmaferesi) (3) o riducendo la produzione dei virus con la somministrazione di farmaci antivirali. Una rapida caduta della viremia è stata dimostrata nei pazienti con infezioni virali croniche, da virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV), virus
dell’epatite B (HBV) e C (HCV), sottoposti a frequente monitoraggio della carica virale
dopo poche ore dalla somministrazione di farmaci antivirali (4, 5, 6). Lo studio dei meccanismi responsabili di questo effetto può avvenire attraverso l’analisi delle cinetiche delle infezioni virali utilizzando dei modelli fisico-matematici che interpretano le variazioni
della viremia secondo ipotesi e assunzioni basate su fondamenti di conoscenza della biologia dell’infezione virale. In questi ultimi decenni, la simulazione di fenomeni biologici
complessi con l’ausilio d’equazioni matematiche definite sulla base di supposizioni, ipotesi o evidenze biologiche è diventata un approccio diffuso in molti campi della medicina.
Tali elaborazioni modellistiche forniscono una descrizione semplificata del processo biologico, ma mantengono una complessità sufficiente per scoprire i determinanti
principali del processo studiandone con diverse simulazioni gli andamenti delle variabili misurate e dei parametri predetti dal modello.
Nel contesto dell’infezione cronica virale il modello standard considera l’esistenza di
due comparti distinti, ma tra loro collegati: il primo dove i virus si replicano all’interno
delle cellule infette e il secondo dove i virus circolano liberi nel sangue (vedi fig. 1, p. 196).
Le dinamiche e le relazioni tra le cellule non infette, bersaglio dell’infezione o target
(T), le cellule infette (I) e la carica virale (V) sono definite da tre diverse equazioni
(vedi fig. 2, p. 196).
In breve, questi modelli presuppongono che le cellule epatiche bersaglio (T) si riproducono a una velocità s, muoiono a una velocità d e, quando incontrano virioni liberi che circolano nel sangue, diventano infette (I) a un certo tasso (βTV) proporzionale sia per T che per V.
Le cellule infette vengono eliminate al ritmo di δ·I e i virioni liberi che si riproducono ad un ritmo ψ·I, vengono eliminati a un ritmo λ·V. I parametri β, δ, ψ, λ sono le
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costanti specifiche dei singoli processi di formazione ed eliminazione delle cellule infette e dei virus circolanti.
I farmaci antivirali possono ridurre la sensibilità delle cellule target all’infezione o il
tasso di produzione dei virus liberati nel sangue dalle cellule già infette.
Il primo meccanismo è stato inizialmente attribuito all’interferone (IFN) in culture
cellulari (7, 8). L’impatto dei farmaci antivirali sulle dinamiche dell’infezione è considerato nel modello con i termini (1-η) e (1-ε) delle equazioni 1, 2 e 3 (vedi fig. 2, p. 196),
dove η ed ε rappresentano rispettivamente gli effetti terapeutici di riduzione sia della
sensibilità cellulare verso l’infezione virale che della produzione dei virus liberi.
L’ipotesi implicita è che il tempo richiesto perché il farmaco raggiunga la piena efficacia
antivirale dall’inizio della sua azione sia molto breve.
Secondo il modello standard lo schema della caduta della carica virale è bifasico
(vedi fig. 3, p. 197) se nel paziente trattato con farmaci antivirali che bloccano la produzione dei virus l’emivita dei virioni circolanti (t1/2= ln2/λ) e delle cellule infette
(t1/2= ln2/δ) è diversa.
La breve emivita della prima fase di caduta della carica virale suggerisce di associare questa prima fase alla rimozione dei virus circolanti piuttosto che alla rimozione delle cellule infette. Tale approccio, applicato inizialmente da Perelson et al. (5), per studiare le dinamiche dell’HIV in pazienti trattati con potenti inibitori delle proteasi
dell’HIV-1, ha rivelato la brevissima emivita dei virus nel plasma e delle cellule infette
(linfociti) in questa malattia: circa 6 ore e 1,6 giorni rispettivamente (5).
In modo analogo, nei pazienti con infezione da HCV trattati con interferone (IFN),
Neumann et al. (6), usando lo stesso modello, hanno stimato che l’emivita dei virus
dell’epatite C nel siero fosse in media di 2,7 ore.
A differenza dei pazienti con HIV, le emivite stimate delle cellule infette (epatociti)
erano più lunghe, variando tra gli 1,7 e i 70 giorni ed erano correlate direttamente con
la carica virale e inversamente con i livelli di transaminasi, alanina-aminotransferasi
(ALT) al momento d’inizio della terapia. Questo approccio analitico ha contribuito a
far luce sui meccanismi d’azione dell’IFN nei pazienti con epatite cronica C, dimostrando che il principale effetto antivirale dell’IFN è dovuto a un blocco dose-dipendente della produzione virale da parte delle cellule infette.
Il tipico schema bifasico della caduta della carica virale che è osservato nei pazienti
che rispondono alla terapia, è attribuito perciò a una rapida riduzione della produzione
di virioni liberi, a seguito da una lenta diminuzione del numero di cellule infette (vedi
fig. 3, p. 197).
Le implicazioni pratiche dell’approccio modellistico riguardano l’uso della carica
virale per monitorare l’efficacia della terapia a livello individuale e prevedere accuratamente l’esito del trattamento antivirale in modo da permettere di personalizzare la terapia (9, 10).
Tuttavia, i modelli standard, che definiscono molto bene la caduta della carica virale nelle prime 2-4 settimane di terapia, non riescono a simulare adeguatamente le di-
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namiche dell’infezione per la restante durata del trattamento. Infatti l’ipotesi di un tasso costante di eliminazione delle cellule infette porta i modelli standard a fornire una
valutazione non realistica del tempo necessario per giungere al controllo o all’eliminazione dell’infezione da HBV e HCV.
Per ovviare a tale inconveniente, abbiamo recentemente sviluppato un nuovo modello di dinamica virale multifasico dove si ipotizza una modulazione dell’attività del
sistema immunitario durante la terapia secondo un feedback negativo causato della diminuzione delle cellule infette. Inoltre abbiamo introdotto l’uso della cinetica di discesa delle transaminasi, oltre che della viremia, come indicatore surrogato della cinetica di eliminazione delle cellule infette.
Grazie a questo approccio abbiamo potuto simulare le dinamiche delle cellule infette durante l’intero corso del trattamento trovando una buona correlazione tra il numero di cellule infette stimate al termine della terapia e la risposta a lungo termine nei
pazienti con epatite cronica da HCV (11, 12).
Per quanto riguarda l’infezione da HBV, nel 1996 Nowak et al. (13) hanno applicato
un modello standard per analizzare le dinamiche della caduta della carica virale dopo
somministrazione di lamivudina (LMV), il primo farmaco che ha dimostrato una potente azione antivirale diretta nei pazienti con epatite cronica B (CHB) HBeAg positiva.
La lamivudina, inibendo l’attività dell’RT-polimerasica virale, porta ad una riduzione
significativa della produzione delle nuove particelle virali da parte delle cellule infette.
Nella prima rapida fase di discesa della carica virale fino al secondo giorno di trattamento, Nowak et al. hanno stimato che la costante del tasso di caduta viremica fosse
di 0,67 al giorno, che corrisponde a circa 1 giorno di emivita dei virioni liberi.
Inoltre, osservando le variazioni della caduta della carica virale dopo pochi giorni,
gli Autori hanno concluso che il farmaco doveva aver bloccato solo parzialmente la
produzione del virus dalle cellule infette.
Perciò, hanno introdotto un fattore che rappresentasse l’efficacia parziale del farmaco, definito ρ nel lavoro originale ed ε in lavori seguenti.
Con un altro approccio, Nowak et al. hanno stimato il tasso di eliminazione delle
cellule infette, cioè comparando il tasso di produzione virale prima e dopo la terapia e
analizzando la discesa dell’HBeAg, proteina secretoria dell’HBV che continua ad essere prodotta dalle cellule infette durante la terapia con LMV.
Le stime di emivita delle cellule infette ottenute con questi due metodi sono risultate equivalenti e hanno dimostrato un’ampia distribuzione dei valori, con variazioni da
10 a 100 giorni e una media di 16 giorni (13).
Finora i modelli standard delle dinamiche di infezione da HBV sono stati limitati alle prime 4-12 settimane di terapia e soprattutto indirizzati allo studio dell’attività antivirale diretta dei farmaci. Tuttavia, se si intende utilizzare il modello per guidare il trattamento a livello individuale, è obbligatorio simulare le dinamiche virali durante tutto il
ciclo del trattamento. Questo significa introdurre ulteriori ipotesi riguardanti la proliferazione epatocitaria e l’attività del sistema immunitario dopo il primo mese di terapia.
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Infatti, l’ipotesi che l’attività di eliminazione delle cellule infette da parte del sistema immunitario rimanga costante durante la terapia è in contrasto con alcune osservazioni comuni come quella che i livelli degli anticorpi IgM anti-HBc come indicatori
surrogato di danno epatico indotto da HBV diminuiscono progressivamente durante
il trattamento (1, 2).
È ragionevole perciò ipotizzare che la riduzione delle cellule infette durante il trattamento porti a una riduzione della stimolazione immunologica che a sua volta può determinare una riduzione dell’eliminazione delle cellule infette.
Inoltre, l’analisi della cinetica della caduta della carica virale durante il primo mese
di trattamento dimostra che non è semplicemente bifasica in una percentuale significativa di pazienti trattati sia con LMV che con PegIFNs + LMV.
Sypsa et al. (14) hanno notato che le medie delle cadute della carica virale settimanale erano simili nei giorni 14-21 e 21-28 (–0,027 e 0,033 log10 cp/ml al giorno, rispettivamente), ma più lente di quelle osservate nei giorni 7-14 (–0,067 log 10 cp/ml al
giorno). Questo dato è stato spiegato con la caduta prolungata oltre la prima fase della riduzione della produzione virale in alcuni pazienti.
Noi abbiamo evidenziato che la caduta della carica virale in tutti i pazienti trattati
con LMV o Peg-IFN2a+LMV (15) è caratterizzata da una rapidissima diminuzione
durante la prima fase della terapia (con una media di emivita di HBV-DNA di circa 10
ore durante i giorni 0-4) seguita da un altro calo rapido (con una media di emivita di
HBV-DNA di circa 2 giorni) tra il 4° e 14° giorno (soprattutto tra il 4° e il 7° giorno).
Se si dovesse attribuire questa seconda fase alla diminuzione delle cellule infette, come il modello bifasico prevederebbe, l’emivita della cellula infetta sarebbe intorno ai
due giorni. Questo significherebbe che i pazienti con circa il 50% di epatociti infetti
perderebbero ogni giorno più del 10% della loro massa epatica totale.
Questa criticità può essere superata se si ipotizza che in questi pazienti la produzione virale sia stata in realtà inibita in 2 fasi: prima un calo brusco, descritto nel modello con il termine “1-ε”, seguito da un secondo calo più lento con andamento esponenziale.
Da tutti questi studi appare chiaro che solo modelli più precisi che prendono in
considerazione la complessità della biologia di HBV e la sua interazione con il sistema
immunitario dell’ospite potranno servire allo studio delle dinamiche a lungo termine
dell’infezione da HBV durante l’intero ciclo di terapia antivirale.
Nel tentativo di affrontare alcune delle limitazioni descritte in precedenza, abbiamo
sviluppato un nuovo modello con alcune semplici ipotesi biologiche sulle dinamiche
delle cellule epatiche bersaglio e dell’epatocita infetto che permette di simulare gli effetti antivirali durante l’intero ciclo dei vari trattamenti antivirali. Una descrizione dettagliata del modello è stata recentemente pubblicata su Antiviral Therapy (15), e qui di
seguito riportiamo un breve sunto delle ipotesi principali su cui si basa il modello.
Le popolazioni di epatociti e le loro dinamiche sono quelle già descritte nel modello di base dell’epatite C con le seguenti nuove ipotesi:
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dove 1/ϕ rappresenta la costante tempo del calo di seconda fase della produzione virale e (1-ε) · γ · ψ0 è il valore asintotico (Yasym) del tasso di produzione dei virioni liberi.
Abbiamo quindi applicato questo modello multifasico a 72 pazienti HBeAg negativi sottoposti ad un trattamento monoterapico con LMV e Peg-IFN2a o con la combinazione di entrambi i farmaci (20).
Con il nostro modello siamo riusciti ad ottenere un fitting ottimale del calo multifasico di HBV-DNA sierico in quasi tutti i pazienti (95%) (vedi fig. 4, p. 197). Effettivamente, con questo approccio modellistico una ulteriore fase di caduta della produzione virale nei giorni 4-14 è stata osservata in tutti i pazienti trattati con LMV. Pertanto,
si può ragionevolmente sostenere che in questo periodo si sommano almeno due meccanismi biologici principali: una ulteriore diminuzione del tasso di produzione del virus associata ad una diminuzione iniziale del numero di cellule infette.
Molte ipotesi possono spiegare l’effetto antivirale supplementare della LMV che
inibisce la replicazione dell’HBV durante la seconda fase.
Ciò potrebbe essere stato causato dalla caduta del cccDNA o minicromosoma virale, posto che la LMV possa bloccare la sua continua produzione come ipotizzato da alcuni Autori nel modello animale dell’infezione da virus Hepadna (21).
La vita media del cccDNA riportata per DHBV (21), WHV (16) e per HBV-DNA nell’infezione sperimentale degli scimpanzè è significativamente più lunga di quella calcolata
in questi pazienti. Tuttavia, durante la risoluzione spontanea dell’epatite acuta B nell’uomo, Whalley et al. (23) hanno segnalato una vita media di HBV-DNA di 3,7 ± 1,2 giorni
comparabile ai 2 giorni trovati nella 2a fase del calo di HBV-DNA di questi pazienti.
In alternativa, si potrebbe ipotizzare che il blocco della produzione del virus causata dalla LMV ristabilisca alcune risposte immuni CTL-mediate (24) e possa attivare anche effetti antivirali via citochine, come IFNγ e TNFα che o riducono la trascrizione o
aumentano la degradazione del cccDNA.
È stato dimostrato che meccanismi di questo tipo inibiscono la replicazione
dell’HBV prima del danno epatocellulare nei modelli di epatite acuta dei topi transgenici e degli scimpanzè (17). Ulteriori studi però sono necessari per identificare le ragioni biologiche di un tale calo della carica virale.
È interessante notare come i pazienti trattati con Peg-IFN2a abbiano mostrato profili di calo del HBV-DNA sierico molto diversi da quelli osservati nei pazienti trattati
con LMV (15), dato che il classico andamento bifasico era presente nella maggioranza
dei pazienti durante il 1° mese di monoterapia con Peg-IFN2a.
Tuttavia, nel gruppo sottoposto a terapia con Peg-IFN2a, la prima discesa della carica virale è stata decisamente più lenta che nei pazienti trattati con LMV con una vita
media di HBV-DNA di 1,6 ± 1,1 giorni e 9,5 ± 3,0 ore, rispettivamente.
Il lento calo della prima fase di HBV-DNA nei pazienti trattati con una monoterapia di Peg-IFN2a potrebbe essere dovuto alla diminuzione di produzione virale, come
quello causato dalla LMV ma con cinetiche diverse, oppure all’accelerazione della
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clearance del virus libero. La simulazione della caduta della carica virale in base all’ultima ipotesi non coincide tuttavia con l’andamento dei dati sperimentali, perciò sembra più ragionevole accettare che il Peg-IFN2a inibisca la replicazione dell’HBV all’interno delle cellule infette con meccanismi più lenti rispetto a quelli di LMV.
Nell’insieme, l’entità di inibizione della produzione virale provocata dal Peg-IFN2a
è stata leggermente più alta (88%), ma paragonabile rispetto a quella riportata da
Sypsa et al. (14) provocata dal Peg-IFN2b (82,6%).
Questa differenza, più che dalla differenza delle molecole di Peg-IFN impiegate nei
due studi può essere spiegata dal fatto che il nostro modello permette di calcolare l’effetto antivirale del Peg-IFN durante tutto il periodo in cui il farmaco agisce e non soltanto per i primi 4 giorni come indicato nel modello di Sypsa et al. (14).
Inoltre, potemmo dimostrare che, nei pazienti trattati con la combinazione LMV e PegIFN2a, l’entità di inibizione della replicazione/produzione virale era comparabile alla monoterapia con LMV, ma la caduta della carica virale era più veloce sia durante la 1ª fase (inverso
della costante di caduta dell’HBV-DNA: 2,79 · giorni-1 vs 1,91 · giorni-1 in LMV p<0,005) che
durante la 2ª fase (inverso della costante di caduta dell’HBV-DNA: 0,44 vs 0,34, p = 0,023).
Questi risultati suggeriscono che il meccanismo usato dall’IFN per inibire la replicazione dell’HBV può essere complementare e additivo a quelle della LMV, in accordo con il fatto che i loro obiettivi molecolari sono diversi.
Nel nostro studio (15), i dati sperimentali dimostrarono inoltre che il calo dei livelli di HBV-DNA sierico dopo 4-5 settimane di terapia antivirale tende a stabilizzarsi in
una porzione significativa di pazienti indipendentemente dal tipo di trattamento.
Secondo l’ipotesi che il calo della carica virale osservato dal 14° giorno in poi dipenda
esclusivamente dalla clearance delle cellule infette, ne consegue che il rallentamento
del calo dei livelli di HBV-DNA osservato dopo il 1° mese di terapia si può spiegare
soltanto con la diminuzione del tasso di clearance iniziale delle cellule infette.
Nel passato sono stati fatti alcuni tentativi con l’intento di modellare le variazioni
della risposta immune in corso di infezioni virali (25), ma essi hanno portato ad un sistema molto complesso di equazioni differenziali che non ha aggiunto informazioni di
rilievo biologico. Nel nostro modello abbiamo pertanto semplicemente ipotizzato un
feedback negativo sull’attività immune di clearance causato dalla diminuzione delle
cellule infette, che sono il maggior fattore inducente la risposta immune citotossica.
La forza del feedback negativo descritta dal parametro k è stata calcolata con il fitting
della caduta dell’HBV-DNA sierico misurabile usualmente fino al 3° mese di terapia.
Quest’approccio permette una simulazione più realistica dei cali di HBV-DNA e
delle cellule infette durante il restante periodo della terapia.
È interessante notare che, alla fine della terapia, la diminuzione logaritmica media
della frazione epatocitaria infettata da HBV calcolata dal modello era comparabile tra i
pazienti trattati con monoterapia Peg-IFN2a e LMV (–3,30 Log10 vs –3,31 Log10, p = ns)
e sensibilmente più alta per i pazienti trattati con la combinazione di Peg-IFN2a+LMV
paragonati alla monoterapia LMV (–5,02 Log10 vs –3,31 Log10, p = 0,028).
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Questi risultati ci suggeriscono che il Peg-IFN2a, nonostante una bassa inibizione
della replicazione dell’HBV, abbia un impatto equivalente se non più elevato degli inibitori della polimerasi virale sulla clearance delle cellule infette.
Questa è probabilmente una conseguenza dell’attività immuno-modulatoria del
Peg-IFN2a che manca agli inibitori della polimerasi.
Usando il nostro nuovo modello multifasico (vedi fig. 4, p. 197) abbiamo potuto descrivere per la prima volta la seconda fase di caduta della produzione virale che avviene
principalmente tra il 4° e il 14° giorno nei pazienti trattati con LMV sia in monoterapia
che in combinazione con altri farmaci. Nonostante ciò il modello funziona come il modello bifasico convenzionale in quei pazienti che non hanno due fasi di diminuzione della produzione virale. Usando questo approccio è stato dimostrato che sia l’IFN che la
LMV hanno attività inibitoria sulla replicazione dell’HBV, ma le loro cinetiche sono diverse, probabilmente a causa dei diversi meccanismi di azione che appaiono parzialmente sinergici causando un calo più rapido della produzione virale durante le prime
due settimane di terapia in combinazione. Poiché il nuovo modello ha potuto descrivere le dinamiche dell’infezione da HBV ben oltre il 3° mese di terapia antivirale, le ipotesi che nei pazienti con epatite cronica B HBeAg-negativa la somma delle cellule infette e non infette rimane più o meno costante durante la terapia e che sia le cellule bersaglio che quelle infette contribuiscono al turnover degli epatociti, appaiono sostenibili.
Così, questo modello ci suggerisce che la continua produzione di nuove cellule HBV infette dalla divisione di quelle già infettate tramite la trasmissione del mini-cromosomalike cccDNA associata ad una riduzione della loro clearance immunomediata durante
una terapia a lungo termine, potrebbe spiegare il perché della persistenza dei livelli
cccDNA elevati anche dopo un anno di trattamento con adefovir (26). Per il futuro sarà
importante un ulteriore sviluppo dei modelli attuali per simulare meglio le dinamiche
dell’HBV durante i diversi trattamenti antivirali e finalizzarli a prevedere nel singolo paziente l’andamento dell’infezione dopo la sospensione del trattamento. Infine, l’introduzione di parametri supplementari che descrivono lo stato intraepatico dell’HBV, in
termini di epatociti infetti e di copie di cccDNA, insieme ai marcatori della risposta immune, in termini di immuno-attivazione e immuno-competenza, potranno migliorare
sensibilmente la comprensione dei diversi profili di risposta durante e dopo il trattamento antivirale. Questi nuovi modelli potranno permettere anche per l’epatite cronica
B la disponibilità di simulatori della risposta terapeutica da utilizzare come “autopilota”
nella pratica clinica alla stregua di qello che già succede per l’epatite cronica C.
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