UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FA C O L T À D I S C I E N Z E P O L I T I C H E CORSO DI LAUREA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI POLITICHE DI COOPERAZIONE E SVILUPPO NEL COMMONWEALTH DURANTE I NEGOZIATI INGLESI PER ADERIRE ALLA CEE RELATORE: Prof.ssa Liliana SAIU TESI DI LAUREA DI: Filippo MASSA INDICE INTRODUZIONE pag. 3 I CAPITOLO DALL’IMPERO AL COMMONWEALTH “ 7 1.1 Dall’Impero al Commonwealth “ 7 1.2 Dal Commonwealth all’adesione alla CEE “ 9 1.3 Il Commercio con il Commonwealth “ 11 1.4 Ulteriori Ostacoli La creazione dell’EFTA Il problema dell’agricoltura “ “ “ 14 14 16 1.5 Il Commonwealth e Regno Unito “ 17 1.6 Il Commonwealth Moderno La dichiarazione di Singapore “ “ 18 18 1.7 Old e White Commonwealth “ 20 II CAPITOLO I NEGOZIATI PER L’ADESIONE “ 23 2.1 La volontà inglese “ 23 2.2 Il tentativo fallito “ 27 2.3 Sovranità nazionale e conflitto tra potenze “ 35 2.4 Il secondo tentativo “ 40 2.5 L’adesione “ 42 2.6 Il Commonwealth come ostacolo all’adesione “ 46 2.7 EEC and Commonwealth Agreements Fine degli Accordi Bilaterali tra Inghilterra e Commonwealth “ “ 48 48 III CAPITOLO I RAPPORTI TRA COMMONWEALTH E CEE “ 53 3.1 L’inizio della cooperazione CEE e Asean “ “ 53 55 3.2 La politica commerciale comune “ 57 3.3 La politica di Associazionismo CEE e ACP CEE e AASM “ “ “ 59 62 63 2 3.4 La Convenzione di Yaoundé Il Sistema di Preferenze Generalizzato Il Principio di Nazione più Favorita Trade Liberalization and Promotion Trade Results Manteinance of Free Trade Systems Tariff System Implications Stabilization Financial and Technical Cooperation Cooperation Adjustments Small Developement Effetti del sistema di preferenze per AASM e CEE Export Network of The Associated Countries European Community and Association pag. “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ 66 70 71 72 72 72 73 74 75 76 76 77 78 78 79 3.5 L’inizio dei negoziati tra CEE e COMMONWEALTH “ 79 3.6 Sugar Agreements e Sugar Protocol “ 87 CONCLUSIONI “ 93 BIBLIOGRAFIA “ 95 3 INTRODUZIONE Il primo tentativo inglese di aderire alla Comunità Economica Europea ebbe inizio il 31 luglio 1961 con un discorso del Primo Ministro britannico Mac Millan alla Camera dei Comuni. “All of us here have come a long way in the brief span of time since the end of the Second World War. The application which we have made for membership of the Community, if it raises the difficulties which I have dealt with at some length, presents us all with a great opportunity for a new advances together. We in the United Kingdom will regard the successful conclusion of these negotiations as a point of departure, not as the end of the road.”1 Il discorso aiuta a capire quali furono sin dall’inizio le difficoltà che il Regno Unito era chiamato ad affrontare e che il cammino sarebbe stato lungo e con molti impedimenti. La decisione rientra nelle riflessioni politiche che consideravano il classico isolazionismo dell’Inghilterra come un ostacolo al suo sviluppo, che doveva essere raggiunto attraverso una nuova integrazione in un contesto internazionale sconvolto dagli accadimenti storici del periodo. Le trattative erano destinate ad essere particolarmente complicate anche perché la giovanissima Comunità Europea si trovava per la prima volta di fronte alla problematica dell’allargamento. Non era più possibile pensare di rimandare l’allargamento comunitario ad una fase successiva al definitivo raggiungimento dei propositi del Trattato di Roma tra i sei paesi firmatari. Infatti, non solo la Gran Bretagna, ma anche la Danimarca, l’Irlanda e, subito dopo, la Norvegia avevano avanzato la richiesta di poter aderire alla Comunità. I paesi che avevano dato vita, pochi anni prima, alla realtà comunitaria, si trovarono così a dover tenere in considerazione la possibilità di passare da sei a dieci componenti. Inoltre, molti altri paesi stavano cercando di associarsi in qualche modo alla Comunità. Il tentativo di adesione britannica sarà il primo ad essere preso ufficialmente in considerazione dai Sei. Il fatto che il paese europeo che più di ogni altro aveva mostrato la sua volontà di restare estraneo ai “movimenti continentali” avesse cambiato radicalmente atteggiamento li lusingava e forniva un’ulteriore conferma del successo che la Comunità stava perseguendo. Nell’evoluzione delle vicende legate al nuovo assetto internazionale si era presto capito che la famosa teoria di Churchill era anacronistica. Essa sosteneva che l’Inghilterra fosse al centro di tre cerchi intersecati, rappresentanti gli USA, il Commonwealth e l’Europa, e che avesse il compito di equilibrare e di ispirare queste entità. Londra aveva amaramente constatato di non avere più la forza per svolgere una mansione così impegnativa. Essa dovette perciò trovarsi un nuovo ruolo, anche se non era disposta a mettere in discussione le proprie prerogative nazionali. Il buon esito dei negoziati per l’adesione, mantenuti per oltre un decennio, dipese dalla complicata rete di relazioni che l’Inghilterra intratteneva in campo internazionale, soprattutto l’ambiguo rapporto con la Francia e un malcelato conflitto tra le due potenze 1 4 PRO/CAB 134/1511; CMN (61) 12; 10-10-1961. che comprometterà le prime due richieste inglesi e avrà l’amaro sapore della sconfitta per la potenza d’oltremanica. Ma era soprattutto il rapporto privilegiato con il Commonwealth che in sede negoziale comporterà i maggiori problemi, il dover abiurare alla propria politica di potenza imperiale, il venir meno di relazioni politiche, culturali e sociali, oltre che economiche e commerciali, portò la società inglese a schierarsi contro i negoziati e l’ingresso nella CEE. Il lento cammino, che dopo un periodo di transizione e molti interventi nel sistema produttivo, economico e finanziario del paese, porteranno l’Inghilterra a far parte a pieno titolo della Comunità Economica Europea e dimostrerà la lungimiranza di alcune figure politiche rilevanti in questo decennio, da Mac Millan a Heath, e il successo delle politiche comunitarie in un ottica di sviluppo e integrazione del continente. La fine del rapporto privilegiato con il Commonwealth e del regime di preferenza commerciale, porteranno nel lungo termine ad una maggiore integrazione e condivisione di politiche di vasta portata, non solo per i paesi aderenti ma anche per numerosi partner comunitari. Infatti, i paesi del Commonwealth, dalla fine dei loro rapporti commerciali con l’Inghilterra potranno accedere con facilità e con molti incentivi ad un mercato più vasto, che sacrifica alcuni principi del liberismo in favore di una politica più attenta ai bisogni di sviluppo e ai dettami della cooperazione internazionale che dal 1963 in poi caratterizzeranno la maggior parte degli accordi bilaterali tra Comunità Economica Europea e paesi in via di sviluppo. In questo breve elaborato vengono analizzati i negoziati tra Inghilterra e i paesi membri della CEE, con particolare riguardo alla risoluzione della questione Commonwealth, per mezzo di fonti bibliografiche e documenti del Cabinet Office, del Commomnwealth Secretariat e del Foreign Office inglese, provenienti dall’Archivio nazionale inglese. L’analisi ha tenuto conto di quali furono le principali problematiche che portarono per due volte ad un rifiuto dell’adesione, attraverso un’analisi politica ed economica che arriverà sino all’integrazione e agli inizi della politica di cooperazione con i territori extracomunitari, con i quali, attraverso la Convenzione di Yaoundè, la Comunità Economica Europea cercherà di conciliare il passato coloniale di alcuni paesi aderenti con l’ambizione di un mercato libero nell’ottica di un commercio sostenibile per i paesi meno avanzati. Il primo capitolo analizza il lungo e difficile cammino delle colonie britanniche verso l’indipendenza e il cambiamento del loro status da semplici fornitori di materie prime subordinati alla madrepatria a veri e propri partner commerciali con l’ambizione di un più concreto ruolo nell’economia internazionale. Per la stesura di questo capitolo è stata utile l’analisi dei documenti dell’“Imperial Conference” del 1906 e del “Foreign and Commonwealth Office”, dei rapporti e resoconti della IV e V sessione ministeriale della Conferenza tra gli stati membri della CEE e il Regno Unito e successive classificazioni dei paesi del Commonwealth ad opera del “Foreign and Commonwealth Office”. Il secondo capitolo verte esclusivamente sui negoziati comunitari, approfondendo le difficoltà incontrate e i compromessi che il governo britannico fu costretto ad accettare nella scena internazionale come nel contesto nazionale nel quale sarà l’opinione pubblica la principale avversaria del processo di adesione, visto come una sicura limitazione della sovranità e dell’indipendenza della nazione. In questo capitolo prende forma il rapporto conflittuale tra Francia e Regno Unito, che condizionerà l’andamento dei negoziati per oltre un decennio, mettendo in luce le fondamentali contraddizioni francesi e in particolare del Generale de Gaulle e il pragmatismo dei decision maker britannici. 5 Due testi sono stati particolarmente utili nella stesura di questo capitolo: Documents on European Union a cura di A.G.Harryvan, contenente i testi integrali degli incontri ministeriali dal 1961 al 1967, e Britain in the EEC a cura di Sir Con O’Neill, che copre i negoziati dal 1967 all’adesione avvenuta nel 1973, inoltre è stato utile rifarsi a documenti provenienti dalla Segreteria del Primo ministro per il periodo 1961-1967. Il terzo capitolo è occupato dalle dinamiche che vedranno protagonista la CEE, nella sua azione di integrazione dei territori del Commonwealth nel commercio all’interno del Mercato comune, con l’introduzione del sistema di preferenze generalizzato e l’estensione della tariffa comune negli scambi commerciali; un’intensa opera di negoziazione che coinvolgerà più parti e vedrà i paesi del Commonwealth costituirsi in associazioni regionali per facilitare la cooperazione con la Comunità Economica Europea. Il materiale utilizzato per questo capitolo è stato reperito da siti internet, tra cui quelli delle associazioni regionali come la CARIFTA, l’ASEAN organizzazioni come l’International Sugar Organization, l’International Coffee Organization, la World Trade Organization, etc, oltre allo studio di documenti provenienti dal Commonwealth Secretariat, dal Commonwealth Relations Office e dal Commonwealth Office; Western e Middle East Department riguardanti i meetings dei Capi di governo del Commonwealth e i negoziati per porre fine agli accordi tra paesi del Commonwealth e il Regno Unito. Il lavoro nell’insieme è volto a dare un quadro generale di come i negoziati per l’adesione alla CEE abbiano tenuto conto per tutta la loro durata della questione Commonwealth e come questa sia stata risolta in una prospettiva di lungo termine che permettesse un’integrazione e uno sviluppo, propositi che non sempre hanno visto nell’azione comunitaria il loro successo. 6 7 CAPITOLO I DALL’IMPERO AL COMMONWEALTH 1.1 DALL’IMPERO AL COMMONWEALTH Quello che nel 1970 si configurava con un insieme eterogeneo di nazioni di nuova indipendenza è stato per molto tempo un impero tra i più grandi e meglio organizzati della storia, da cui provenivano immense ricchezze e che conferiva alla madrepatria un forte prestigio internazionale. La fase di transizione dall’antico impero alla nuova formula associativa fu lunga e complessa, ma necessaria per intraprendere una crescita e uno sviluppo che i singoli stati non potevano più rimandare. Durante la guerra del Sud Africa, le truppe del Commonwealth, in particolare canadesi e australiani manifestarono un sentimento avverso nei confronti della Corona, stava diventando evidente che la definizione di “Dominions” necessitava di chiarificazioni, nel 1902 dopo la guerra il Segretario Coloniale, Joseph Chamberlain, per evitare questa situazione di tensione, fece pressione perché si ritornasse ad un consolidamento dell’Impero, contro le proposte della Colonial Conference che proponeva un consiglio federale. Nel 1911 la Colonial Conference si trasformò in Imperial Conference2, il termine “Dominion” continuava ad avere un significato ambiguo , infatti non rappresentava una forma statuale, non aveva autonomia in politica interna e esterna e non rispondeva al presupposto di self determination. L’avvicinarsi della prima guerra mondiale poneva il governo inglese in condizione di dare una nuova spinta consolidatrice all’impero, per evitare che tendenze autonomiste o indipendentiste avessero la meglio, un occasione per ricompattare il fronte interno fu data dall’entrata dell’impero britannico in guerra nel 1914, decisione presa dal governo inglese, senza nessuna consultazione con i rappresentanti dei Dominions, una mossa tesa a ribadire il comando e la gerarchia del governo inglese sui territori d’oltremare, incontrando decise opposizioni nel Canada francofono, in Australia e nell’Africa centrale, che rappresentati dal nuovo primo ministro australiano, William Morris Hughes, pretesero delle consultazioni con il governo nella madrepatria nel 1916, questo incontro aprì la strada alle consultazioni annuali del 1917 e 1918, le questioni riguardanti la eventuale ridefinizione dello status politico ed economico del Commonwealth vennero rimandate alla fine della guerra. Le pretese di uguaglianza dell’impero si ripercossero anche nell’ambito delle Nazioni Unite dove i Dominions reclamarono la rappresentanza singola piuttosto che essere genericamente rappresentati dal seggio unico dell’Impero britannico3. Le conferenze imperiali ebbero luogo nel 1921, 1923 e 1926; nella prima si avanzarono le proposte per la costituzione di un British Commonwealth, ma l’opinione comune sostenne che “una famiglia non necessita un libro di regole per esistere”4, quindi la questione fu dimenticata sino al 1926, anno in cui si arrivò ad un importante dichiarazione che recitava: 2 Keith Robbins, The eclipse of a great power,1870-1975; Longman, 1990, London, pp.108-109 Termination of Commonwealth Agreements MC 1/502/1 FCO, National Archive, London 4 Keith Robbins, The Eclipse of a great power, Modern Britain, 1870-1975, op.cit., pag.110 3 8 “Great Britain and the Dominions are autonomous communities within the British Empire, equal in status, in no way subordinate one to another in any aspect of their external and domestic affairs, though united by a common allegiance to the crown” 5 Questi punti furono successivamente ribaditi nello Statuto di Westminster del 19316. Un ulteriore processo che rese ancora più spiccati i rapporti tra Inghilterra e Dominions fu la grande ondata migratoria che, tra il 1922 e il 1931 fece approdare più di un milione di persone nelle ex colonie, soprattutto Canada, Australia e Nuova Zelanda, quasi 20.000 in Rhodesia, Kenya e Sud Africa, movimento migratorio che subì in futuro una forte inversione, tanto che l’Inghilterra dovette emanare nel 1971 l’ Immigration Act7, per contenere l’enorme flusso di forza lavoro che arriva dalle ex colonie. In quegli anni l’impero avviò una intesa campagna di marketing e promozione delle relazioni che, attraverso l’istituzione dell’ Empire Marketing Board e del Empire Free Trade e l’allestimento della Great British Empire Exhibition a Wembley nel 19258, era volta a convincere la popolazione dell’utilità di acquistare prodotti provenienti dal Commonwealth, si gettavano così le basi per la costruzione di un regime di preferenza commerciale che sarebbe durato sino agli anni 70. Alla fine degli anni ‘20 si iniziò a parlare di trusteeship, la prima proposta fu avanzata da una delegazione dell’intellighenzia della British West Africa, la quale, per rassicurare il governo inglese affermò che la sovranità della Corona sarebbe rimasta inviolata ma che la formazione di queste nuove forme istituzionali di governo avrebbero permesso più flessibilità e capacità di auto governo9. Le spinte indipendentiste volte all’autodeterminazione e all’autogoverno dei vecchi Dominions si facevano sempre più incalzanti. Nel 1922 l’Egitto divenne indipendente, anche se sotto la costante sorveglianza delle truppe inglesi, nel 1930 fu il turno dell’Iraq. L’opinione pubblica inglese vedeva nella progressiva emancipazione dei territori d’oltremare una debolezza molto difficile da accettare, soprattutto all’alba di una nuova guerra mondiale, nella quale potenze nemiche guardavano con insidioso interesse ai paesi del Commonwealth, bisognosi di aiuti economici per la costruzione della loro neonata economia interna. La salita al potere in Sud Africa di un partito apertamente ostile all’Inghilterra, la stipula di trattati bilaterali tra Canada e USA senza il coinvolgimento dell’Inghilterra, l’appoggio degli Stati Uniti ad Australia e Nuova Zelanda in materia di difesa nazionale, oltre all’indipendenza ottenuta da India, Pakistan e Sri Lanka tra il 1947 e il 1948 erano segnali per la madrepatria da tenere nella dovuta considerazione. La proclamazione della Repubblica in India fu il precedente che aprì la strada alla trasformazione da British Commonwealth a semplice Commonwealth, nel quale uno stato membro poteva decidere di diventare repubblica riconoscendo la regina come Head of the Commonwealth10. 5 Dichiarazione di lord Balfour durante l’Imperial Conference del 1926 da Keith Robins, op.cit. pag.111 Lo Statuto di Westminster riconosce l’indipendenza del Canada francofono e al Sud Africa. 7 NATIONAL AND IMMIGRATION ACT L’Inghilterra non poteva rifiutare l’ingresso di persone definite come UNITED KINGDOM NATIONALS, quindi decise di ritirare a queste persone la cittadinanza, mantenendo invariata la quota di accessi, rilasciando semplicemente dei vouchers in situazioni straordinarie di lavoro o ricongiungimento familiare, nell’attesa di una riforma della NATIONAL LAW. Policy concerning control of Immigration From Commonwealth into UK under COMMONWEALTH IMMIGRATION ACT OF 1971 GVM 17/2 PART A FCO 50/430, National Archive, London 8 www.commonwealth.org 9 Keith Robins, The Eclipse of a great power, Modern Britain, 1870-1975, op.cit. pag. 114 10 Keith Robins, The Eclipse of a great power, Modern Britain, 1870-1975, op.cit. pag. 191 6 9 Questa nuova formazione istituzionale che non aveva eguali nella storia, venne definito nel manifesto del partito Conservatore inglese nel 1955: “The greatest force for peace and progress in the world today”11 Questa suggestiva definizione era destinata a subire una smentita dal comportamento tenuto dai Paesi del Commonwealth durante la guerra fredda, cioè scarsa unità e lontananza di vedute, infatti paesi come l’India adottarono una politica di non allineamento, mentre durante la guerra di Corea negarono i loro contingenti alle truppe inglesi, canadesi, australiane e neozelandesi. 1.2 DAL COMMONWEALTH ALL’ADESIONE ALLA CEE Le difficoltà politiche erano numerose, sentimenti autonomisti e nazionalisti incontravano la rigida determinazione inglese ad aumentare la coesione interna in anni in cui il dinamismo di altri paesi forniva un esempio di lotta. Ma oltre a politiche di potenza, era sul piano commerciale che il Commonwealth trovava la sua piena legittimazione, infatti le relazioni economiche e finanziarie rivelavano la natura più tangibile e concreta dell’associazione, soprattutto nella determinazione di politiche preferenziali e la formazione della cosiddetta “Sterling Area”12. La sterling area nel 1960 Sino al 1972, anno della sua fine, la sterling area rappresentava la zona geografica nella quale si effettuavano scambi commerciali con la sterlina, che era la valuta della maggioranza delle transazioni commerciali, la maggior parte dei paesi del Commonwealth, per facilitare le relazioni con la madrepatria adottarono la sterlina come loro valuta nazionale per convenienza economica e facilità nelle transazioni. L’effetto devastante che ebbero le due guerre mondiali ridimensionò drasticamente il potere d’acquisto della sterlina e la sua forza nei mercati mondiali e il sistema monetario 11 www.psr.keele.ac.uk/area/uk/man/con55.htm 12 J. Pinder, Britain and the Common Market, London, The Cresset Press, 1961, pp.87-88 10 stabilito con gli accordi di Bretton Woods fecero il resto, portando alla ribalta il dollaro come nuova valuta internazionale. Molti paesi della sterling area decisero, in questo periodo di ritirarsi volontariamente dalla stessa e aderire al nuovo sistema monetario, a parte la Rhodesia che fu espulsa per avere dichiarato unilateralmente la sua indipendenza nel 1965. Una condizione fondamentale per l’adesione dell’Inghilterra nell’EEC era la cessazione della sterling area come area commerciale esclusiva di transazioni commerciali. Un dibattito acceso riguardò l’esistenza del CFA Franc13, della Francia con i territori d’oltremare, simile nel suo operato alla sterling area, ma di importanza economica e estensione più ridotte. La rinuncia ad un sistema monetario uniforme oltre i confini nazionali, che contribuisse alla facilità degli scambi commerciali tra Inghilterra e territori del Commonwealth, era per il governo inglese molto dura da accettare e avrebbe creato, oltre a problemi di cambio e bilancio interno, una vera e propria rivoluzione nel mercato valutario e di cambio mondiale. Nel periodo tra il 1945 al 1950 il governo Attlee lavorò per una stabilizzazione dell’economia mondiale nella quale il pieno impiego potesse essere riconciliato con il commercio multilaterale. La prima crisi valutaria del 1947 manifestò la stretta connessione esistente tra il benessere dell’economia inglese e la diffusione della sterling area, già drasticamente ridotta con l’avvio del Piano Marshall da parte degli Stati Uniti. Fu proprio il piano Marshall, secondo molti, ad avviare un concreto progetto di integrazione europea e porre fine al ruolo dell’Inghilterra come potenza mondiale. La crisi della sterling area rientra in una fase storica di grandi cambiamenti, tra l’irreversibile progetto di un Europa unita, le numerosi crisi valutarie, una nuova economia nella quale le zone di interesse strategico e relative relazioni cambiavano molto velocemente e un sistema valutario internazionale che veniva rivoluzionato dagli accordi di Bretton Woods. Durante i negoziati del 1969 fu deciso da entrambe la parti di escludere per il momento il problema che rappresentava la sterling area, sino al Marzo 1971, cioè in una fase relativamente avanzata, nella quale molte delle divergenze in materia economica erano state appianate e la situazione in materia economica, di bilancia dei pagamenti, riserve valutarie e obblighi assunti con i paesi della sterling era più chiara. La risoluzione della sterling area svelava quanto fosse stretta la correlazione tra lo sviluppo inglese e il suo indebitamento negli anni 60 e la volontà da parte dei Sei di creare un unione monetaria oltre che economica e politica. Durante il meeting ministeriale del 27 ottobre 1970 la sterling area tornò all’attenzione generale, soprattutto per la forte determinazione francese a discuterne il futuro, affermano che il problema “ lay at the very heart of the negotiations”14 L’Inghilterra intendeva rimandare il più possibile la trattazione del argomento, per alcune ragioni, in primo luogo portare avanti i negoziati per assumere un margine di 13 Il franco CFA è la moneta utilizzata da 14 paesi africani, che sono stati colonie francesi (con le eccezioni rappresentate dalla Guinea Equatoriale, ex-colonia spagnola e la Guinea-Bissau, ex-colonia portoghese).Il Franco CFA fu creato come il Franco CFP il 26 dicembre del 1945, al momento della ratifica da parte della Francia degli accordi di Bretton Woods. A quei tempi la sigla indicava il franco delle Colonie Francesi Africane. www.wikipedia.it 14 E. Benoit, Europe at Sixes and Sevens: the Common Market, the Free Trade Association, and the United States, New York-London, CUP, 1963, p.239 11 contrattazione più ampio, inoltre il nuovo governo precedentemente insediato non aveva ancora avuto modo di applicare e rendere effettiva la nuova politica di pianificazione economica, quindi sarebbe stato prematuro comprendere nei negoziati argomenti di politica economica e finanziaria, per ultimo l’Inghilterra ancora aspettava il perfezionamento di alcuni accordi commerciali coinvolgenti paesi dell’ area e avrebbe preferito aspettare la definizione degli ultimi per procedere ad una revisione del sistema. Finalmente, il 7 Marzo 197115 il Governatore della Banca Inglese propose il rinnovo della “Basle Facility”16, segno tangibile della volontà inglese di rivedere la politica della sterling area, ma allo stesso tempo di tutelare i paesi membri dallo shock valutario che una svalutazione della sterlina, conseguente alla decisione, avrebbe comportato. 1.3 IL COMMERCIO CON IL COMMONWEALTH Le politiche commerciali inglesi riacquistarono il loro fulgore intorno al 1930, in un periodo caratterizzato da depressione economica ed incertezza dei mercati, l’Inghilterra si ritagliò una favorevole nicchia nella quale intratteneva rapporti commerciali vantaggiosi per sé e per i propri partners. Con gli accordi firmati ad Ottawa nel 193117 l’associazione del Commonwealth si attribuì negli scambi commerciali futuri la garanzia di tariffe commerciali decisamente più basse della media mondiale, questa opzione assicurò lo sviluppo e la concentrazione del commercio nell’area del Commonwealth; nel periodo 1931-1950 le importazioni inglesi provenienti dal resto del Commonwealth, sul totale delle importazioni interne aumentarono dal 24,5% al 41,1%, mentre le esportazioni salirono da 32,6% al 47,7%18. L’area della sterlina copriva, oltre l’area del nuovo e vecchio Commonwealth, ad eccezione del Canada, anche parte del Medio Oriente, questa operava come un sistema monetario unificato nel quale la sterlina era la maggiore riserva di valuta e l’Inghilterra si impose come maggiore operatore bancario, supervisore di ogni dell’intera area. La sterlina rappresentava in quegli anni l’unica valuta forte in grado di contrastare la sempre più concreta forza del dollaro statunitense, l’ennesima ragione per conservare lo status quo e difendere l’equilibrio raggiunto da assalti esterni. Si arrivò anche per questa ragione a elaborare nel 1948 il Bevin’s Western Union Plan19, per l’ennesima volta l’Inghilterra rivolgeva l’attenzione a partner lontani dall’Europa continentale dei Sei e dagli Stati Uniti, alla ricerca di una struttura di alleanze che ne tutelasse l’indipendenza politica ed economica, la ragione per la quale negli stessi anni diede vita all’European Free Trade Association. Lo Western Union Plan aveva come prerogativa quella di dare un impulso forte e determinato all’Africa, sviluppandone potenzialità e risorse, in modo da ridurre gradualmente il ricorso all’aiuto statunitense, credendo che se solo l’Inghilterra avesse creduto in questa operazione in poco tempo avrebbe raggiunto la piena indipendenza economica, vincolando persino una potenza come gli Stati Uniti: “If Britain only pushed on and developed Africa, we could have the US dependent on as and eating out of our hand in four or five years”20 15 Meetings of the Bank For International Settlement. O’Neill Con, Britain Entry into the European Community, Whitehall History Publishing, London, 2000, P.131 16 La “Basle Facility” stanziava un fondo di 2 milioni di sterline per prevenire gli scompensi indotti dalle fluttuazioni periodiche della sterlina all’interno della Sterling Area. http://www.bopcris.ac.uk/bopall 17 EEC Commonwealth or Trade Agreements under Protocol 22, MTG 1/598/2 PART C-222 18 K. Robins, op.cit, p.31 19 D.Gowland , Britain and European Integration, 1945-1998, Routledge, London 2000, pp. 97-98 20 K.Steinnes, The European challenge: Britain's EEC application in 1961, «Contemporary European History», vol. 7, 1998, p.9 12 In una visione attuale il piano ebbe scarso successo, soprattutto per il fatto che il sistema della sterling area, della politica imperialistica e del sistema delle preferenze si stava lentamente erodendo. Nel periodo 1956-1961 la politica commerciale britannica fu soggetta a numerosi cambiamenti e revisioni, dovuti soprattutto all’emergere della nuova realtà comunitaria europea e all’importanza che andava acquistando il mercato comune europeo, alla luce della nuova situazione l’Inghilterra si rese conto che non poteva assorbire il surplus produttivo dell’area del Commonwealth e che lo stesso mercato non era più sufficiente per il volume delle sue esportazioni, queste due constatazioni la spinsero a bussare alla porta della CEE e ad incentivare politiche che distogliessero il Commonwealth dalla visione dell’Inghilterra come centro di una galassia commerciale intorno alla quale ruotavano le loro importazioni, la necessità era di creare una multilateralità che ampliasse gli orizzonti economici dei vecchi Dominions e che permettesse di aprirne i mercati, per abbattere il regime di preferenza e adottare un regime produttivo e tariffario sostenibile nella competitività mondiale. Si iniziò a guardare con interesse al mercato continentale, ma ancora l’Inghilterra non sembrava propensa ai compromessi che la Comunità Europea le prospettava come necessari ai fini dell’ annessione. Harold Mac Millan e Peter Thorneycroft21proposero e furono i maggiori sostenitori del cosiddetto “Piano G”, progetto per la costruzione di un’area europea di libero mercato, conosciuta poi come EFTA, che avrebbe permesso all’Inghilterra di emanciparsi dal legame con il Commonwealth e intraprendere un proficuo e libero rapporto commerciale con i paesi aderenti all’associazione, una ragione della convenienza era anche quella di un significativo abbattimento dei costi di trasporto. Nel biennio 1956-1957 l’Inghilterra iniziò i primi negoziati per l’adesione alla CEE, negoziati che portarono ad un cocente rifiuto dovuto al veto francese, in questo periodo il dilemma delle relazioni con il Commonwealth si fece più acuto, infatti il sistema delle preferenze di stampo imperiale non si sarebbe mai conciliato con le politiche comunitarie in tema di adesione. Un’Inghilterra membro della Comunità Economica Europea avrebbe dovuto sacrificare i suoi rapporti commerciali con il Commonwealth per essere equiparata agli altri membri, come ribadì con decisione la Francia sin dall’inizio dei negoziati. La difficoltà da accettare per la politica inglese era quella di prendere atto della fine di una “world power politics” per diventare un “power with worldwide interests”22. In una assemblea nella Camera dei Comuni il 20 novembre 1956, Mac Millan dichiarò che non sarebbe mai stato favorevole all’entrata in una comunità che favoriva le importazioni dall’Europa a discapito di quelle provenienti dai paesi del Commonwealth. Durante il 1957-1958 l’Inghilterra guardava con crescente preoccupazione alla Comunità, che rappresentava una minaccia sempre più reale alla sua economia e alla sua stabilità, per questo propose l’estensione dei negoziati per la Free Trade Association anche all’Europa dei Sei, un unione che si presentava come un vincolo doganale e tariffario che permettesse elasticità e flessibilità negli scambi commerciali, non pregiudicava scelte politiche o revisioni nel sistema agricolo inglese e lasciava inalterate le relazioni con il Commonwealth. Anche se l’Inghilterra durante i negoziati ebbe il sostegno della Germania dell’Ovest, del Belgio e dell’Olanda, si scontrò con la Francia, decisa a portare i negoziati sulla 21 22 Rispettivamente Chancellor of the Exchequer e President of the Board of Trade N.P.Ludlow, , Dealing with Britain: The Six and the First UK Application to the Six, op.cit.,p.67 13 produzione agricola, tasto dolente per i politici inglesi.; De Gaulle si dimostrava propenso a bloccare per l’ennesima volta i negoziati. La determinazione del presidente francese era dovuta anche alla recente delusione riguardo la sua proposta di portare la NATO sotto il controllo di un triplo direttorio composto da Inghilterra, Francia e USA, ma il memorandum inviato da De Gaulle nel Settembre 1958 a Eisenhower e MacMillan23 ricevette un’accoglienza gelida e i due si dimostrarono poco propensi a iniziare un dibattito sulla proposta francese. Il blocco dei negoziati portò l’Inghilterra a spingere sull’altro fronte, quello che avrebbe costituito l’EFTA. Con l’andare avanti dei negoziati divenne chiaro il fatto che accettando la Single External Tariff l’Inghilterra avrebbe assunto l’obbligo di modificare radicalmente il suo sistema tariffario, oltre a, come sopraccitato, rivedere molte delle sue partnership commerciali. Questo regime tariffario imposto dall’ esterno e la determinazione di quote di produzione misero in crisi l’Inghilterra e soprattutto i rappresentanti del Commonwealth; anche se il commercio con i territori coloniali era salvaguardato da apposite condizioni e garanzie e disciplinato da un regime commerciale interno alla Comunità esposte nel trattato di Roma, per ragioni da nessuno elencate approfonditamente molti dei paesi decisero di declinare l’invito a godere dei privilegi offerti, bisognerà quindi aspettare la seconda Convenzione di Yaoundè24 perché una forma associativa articolata prenda forma istituzionale. Nell’ estate del 1962, dopo lunghi negoziati, si raggiunse un accordo riguardante il commercio dei prodotti agricoli con i territori del Commonwealth25, a cui seguì la proposta francese di introdurre una tariffa comune, volta a colpire proprio questo tipo di importazioni che avrebbero danneggiato la sua produzione nello stesso settore. La tariffa avrebbe maggiorato i prezzi con i quali i prodotti agricoli erano esportati dal Commonwealth e aveva come intento, abbastanza manifesto, quello di colpire i produttori e, indirettamente, l’Inghilterra26. Questa formula sembrava contraddire apertamente ciò che era stato concordato l’estate precedente. Durante l’intervallo dei negoziati, lo stesso anno, si tenne a Londra il Meeting dei Primi Ministri del Commonwealth27, reputato dagli osservatori britannici il banco di prova delle politiche inglesi nei negoziati d’adesione, come prevedibile lo scontento era generale, e molti dei rappresentati dell’Old Commonwealth e del Commonwealth bianco espressero la loro preoccupazione per le decisioni future dell’Inghilterra soprattutto in materia commerciale, il Primo Ministro indiano fece pressioni perché Londra salvaguardasse l’importazione del the e ottenesse un trattamento preferenziale, ispirandosi all’International Sugar Agreement mentre il Primo Ministro australiano sostenne la necessità di esenzioni tariffarie nelle esportazioni di frutta del suo paese. Mac Millan evidenziò il fatto che nei negoziati non ci sarebbe stato spazio per ulteriori concessioni e che sarebbe stato impossibile mantenere il regime di preferenza commerciale, ma il peso che avrebbe acquistato l’ Inghilterra sia sul piano politico sia su quello economico, al momento del suo ingresso nella CEE, sarebbe stato un vantaggio significativo per tutti i paesi del Commonwealth. 23 J.W.Young, Britain and European Unity, 1945-1999, St. Martin’s Press, New York, 2000, p.94 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference,MT 8/1 PART B, FCO 69/385 25 Ministerial Talk,Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B FCO 69/385 26 J.Pinder, Britain and the Common Market, London, The Cresset Press, 1961, pp.134 ss. 27 Political consultation between UK and EEC countries about attitude toward South Asian countries, FS 2/S 24 14 Nonostante il complicarsi delle trattative, il governo inglese sperava di poter portare la discussione ad una distensione quando i negoziati vennero interrotti da un improvviso quanto brutale veto francese, che non sorprese né i membri della CEE né gli Stati Uniti28 Con l’arrivo al governo di Harold Wilson nel 1964 e di George Brown al Ministero degli Esteri, si tentò di riaprire la strada ai negoziati. Una nuova spinta forte dell’appoggio parlamentare e dell’opinione pubblica portò Wilson e Brown in un tour europeo che coinvolse i Sei nei primi mesi del 1967, dopo aver sondato le opinioni e i propositi comunitari Wilson sottopose una seconda richiesta di adesione all’attenzione dei Sei che tuttavia ebbe la funesta sorte della prima, infatti, incontrò inesorabilmente il secondo veto francese. L’arrivo alla presidenza francese di George Pompidou nel 1969 sembrò offrire la possibilità di negoziati più distesi e proficui per l’Inghilterra e offrì a Edward Heath, che divenne primo ministro nel 1970, l’opportunità di realizzare l’ambizione più grande del decennio e portare l’Inghilterra nella CEE. 1.4 ULTERIORI PROBLEMI LA CREAZIONE DELL’EFTA L’European Free Trade Association venne costituita con la Convenzione di Stoccolma, nel luglio del 1959, rappresentava una zona di libero scambio e comprendeva la Gran Bretagna, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, il Portogallo, la Svizzera e l’Austria, a cui si aggiunsero successivamente Finlandia e Islanda. La creazione di questa associazione aveva come proposito quello dare vita ad un precedente per la formazione di un più vasto mercato comune europeo, e si configurava come una zona che non possedeva nessuna regolamentazione riguardo la libertà di movimento di manodopera, la politica monetaria e finanziaria o l’armonizzazione delle politiche sociali, inoltre non prevedeva l’adozione di una politica commerciale comune né tantomeno di una tariffa esterna comune. Il motivo della creazione dell’EFTA era quello di arrivare progressivamente all’abolizione di tariffe doganali imposte sull’esportazione dei beni prodotti dai paesi membri. Il sistema era pensato su un modello liberale che permettesse di evitare una normativa troppo coercitiva e asfissiante che impedisse la formazione di un commercio flessibile in regime concorrenziale. Il principale scopo dell’EFTA era la costituzione di un’area all’interno del quale vi fosse una progressiva abolizione delle tariffe doganali dei beni prodotti nell’area stessa, la Conferenza di Stoccolma era quindi pensata come una regolamentazione pratica con il compito di eliminare le barriere commerciali. Nell’opinione inglese la costituzione dell’EFTA era fondamentalmente una mossa di ripiego, che consentisse di avere una posizione di vantaggio nei negoziati comunitari. Con la costituzione di questa nuova associazione l’Europa si ritrovava divisa in due gruppi economici in competizione tra loro, i sei erano riusciti a costruire una realtà che acquistava sempre più forza e rispettabilità, mentre le difficoltà che incontrò l’EFTA dall’inizio furono chiare a tutti. La scelta del governo inglese di riaprire i negoziati con la CEE fu influenzata dalle politiche economiche comunitarie, che prevedevano una 28 O. Bange, The EEC crisis of 1993, Kennedy, Mac Millan and Adenauer in conflict, Saint Martin Press, New York, 2000, pp.109 ss. 15 significativa riduzione delle tariffe, estromettendo l’Inghilterra da una consistente fetta di mercato. I sei, ribadirono durante i negoziati la necessità dell’Inghilterra di abbandonare l’EFTA, ipotesi già considerata dai partners inglesi che ebbero l’impressione che: “ the United Kingdom had decided to go for an arrangement with the six without regard their EFTA partners’ interests”29. L’Inghilterra, da parte sua, cercava di maneggiare la questione con estrema cautela e cercava di dimostrare con il suo atteggiamento che non avrebbe gestito la sua eventuale partecipazione ad entrambi i gruppi economici in modo separato, le intenzioni del governo britannico erano quelle di giungere ad un compromesso che tenesse conto della situazione particolare di ogni paese aderente all’EFTA, in modo tale da poter aderire alla CEE senza causare traumi alle loro economie. Il governo inglese, come nei primi incontri, cercò di arrivare attraverso i negoziati ad una intesa che non danneggiasse i suoi partners commerciali e che ne salvaguardasse gli interessi. Il blocco commerciale che era stato creato per competere con il mercato comunitario risultò essere ancora una volta un ostacolo ai negoziati. La CEE e l’EFTA hanno instaurato, tuttavia, relazioni economiche preferenziali dall’inizio degli anni 70, in considerazione degli stretti vincoli geografici, commerciali e culturali. E’ stata infatti realizzata, in tal modo, la più vasta zona di libero scambio del mondo industrializzato: un mercato di circa 380 milioni di persone esteso su quasi tutta l’Europa occidentale. Questa integrazione economica fra la Comunità e i paesi dell'EFTA, inizialmente limitata allo scambio di prodotti industriali, si è inoltre progressivamente rafforzata nel corso degli anni, assumendo diverse forme (investimenti diretti, società a capitale misto, cooperazione tecnica) ed estendendosi, in considerazione della prossimità geografica, a numerosi campi di interesse comune (trasporti, ambiente, ecc.). L'obiettivo comunitario del completamento del mercato interno entro il 1992 ha rafforzato l'interesse dei paesi EFTA verso una maggiore integrazione con i paesi dell'area CEE. Con la Dichiarazione di Lussemburgo del 1984, le due parti contraenti si sono pertanto impegnate ad intensificare la cooperazione economica, sia all'interno che all'esterno degli accordi di libero scambio, nell'intento di creare in futuro un unico “Spazio economico europeo”. L’accordo per la creazione dello Spazio economico europeo (See) è stato quindi siglato nel maggio 1992, anche se è entrato in vigore solo a partire dal 1° gennaio 1994, con un anno di ritardo rispetto al previsto, a causa dell’opposizione della Svizzera che non lo ha firmato e che ha deciso di non partecipare allo See30. L'accordo See estende ai paesi “partner” le quattro libertà fondamentali del mercato unico (libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone) e prevede l’adozione, da parte di tali paesi, della maggior parte delle politiche comunitarie, in materia di concorrenza, tutela dei consumatori, mercati del lavoro ed ambiente. A tal fine, i paesi EFTA hanno dovuto far proprie circa 1400 leggi e direttive comunitarie. I guadagni che scaturiranno dall'applicazione concreta dell'accordo sono, per ciò che riguarda i paesi EFTA, il poter beneficiare di più ampie economie di scala, in considerazione della maggior dimensione e del minor grado di concentrazione dei 29 M. Shanks e J. Lambert, Britain and the New Europe. The Future of the Common Market, London, Chatto & Windus, 1962, pp. 150. 30 Brivati, B., e Jones, H., From Reconstruction to Integration. Britain and Europe since 1945, London, Leicester University Press, 1993.p.176 16 mercati CEE, il non restare esclusi da investimenti dall'estero (in particolare da Usa e Giappone) e la possibilità di competere sulle commesse pubbliche nella CEE (telecomunicazioni, elettronica, ecc.); per la Comunità invece, si offre la possibilità di mitigare alcuni aspetti protezionistici del mercato unico, a causa delle posizioni commerciali più liberali dei paesi EFTA, e di garantire un maggior peso dell’economia europea sulla scena internazionale. IL PROBLEMA DELL’AGRICOLTURA Mentre si pensava a come risolvere la questione e presentarsi con le carte in regola per l’annessione, si sottolineò l’esistenza di un'altra questione che poteva compromettere per l’ennesima volta il corretto svolgimento dei negoziati. Il problema era rappresentato dall’agricoltura, infatti il sistema agricolo inglese aveva un organizzazione radicalmente diversa da quella dei Sei, e nel momento di dover unificare le politiche agricole per ricondurle sotto un’organizzazione comune questo sarebbe stato un problema di non facile soluzione, infatti la politica agricola inglese mal si sarebbe conciliata con un orientamento comunitario. Già negli anni ‘50 gli inglesi avevano partecipato alle discussioni che concernevano la formazione di un “green pool” europeo, ma espressero la loro decisa contrarietà alla prospettiva, sempre nello stesso decennio il governo inglese cercò in tutti i modi di trascurare la questione agricola e escluderla dai negoziati sull’OECE31. Nel 1961 riguardo il conflitto tra EFTA e mercato comunitario in tema di adesione, i diplomatici avevano il preciso ordine da parte del Ministero degli Esteri inglese di tralasciare ogni riferimento al settore agricolo32. Innanzi tutto a rendere difficilmente compatibile il sistema agricolo inglese con quello comunitario, vi era il fatto che i principali fornitori erano i vecchi Dominion facenti parte del Commonwealth, che provvedevano al fabbisogno interno in maniera non trascurabile, e che l’Inghilterra non si rivolgeva al mercato comunitario continentale per sopperire alle proprie mancanze, le importazioni inglesi, oltre che dal Commonwealth, arrivavano da paesi come USA e Argentina ed erano soggette ad un numero molto limitato di misure protezionistiche, che caratterizzavano invece il mercato europeo, e i generi alimentari potevano raggiungere i consumatori britannici ad un prezzo di molto inferiore alla media comunitaria. Gli agricoltori inglesi, come del resto quelli europei, non erano in grado di misurarsi con il livello mondiale dei prezzi ed erano protetti da una vasta gamma di contributi statali che sopperivano alla differenza tra prezzo interno e media mondiale. Il governo inglese aiutava gli agricoltori sovvenzionandoli direttamente mentre i paesi CEE incentivavano gli agricoltori con una politica che agiva direttamente sui prezzi. Sia il settore dei produttori agricoli che i consumatori inglesi davano per scontato un tale trattamento che consentiva la sussistenza di un economia non competitiva a livello mondiale e che teneva artificialmente basso il prezzo dei prodotti nel mercato interno. Un cambiamento improvviso del sistema volto all’uniformazione delle politiche agricole avrebbe creato un serio problema sia a livello economico che di opinione pubblica. 31 (Organizzazione europea per la cooperazione economica, 1948-1960). Organizzazione internazionale creata dopo la seconda guerra mondiale da sedici stati europei con l'aggiunta di Stati uniti e Canada e avente l'obiettivo di coordinare gli aiuti economici previsti nel piano Marshall.. Esaurito il compito di quest'ultimo, fu sostituita dall'' Ocde. 32 B. Porter, Britain, Europe and the World 1850-1986: Delusion of Grandeur, London, Allen & Unwin, 1987.pp. 22-23 17 Era perciò necessario che si intervenisse con molta cautela attuando delle politiche graduali che non andassero ad incidere in maniera brusca nei consumi e nella produzione di beni agricoli. Durante i negoziati i paesi della CEE puntavano a stabilire un livello dei prezzi remunerativo per i produttori tramite un sistema dei prelievi sugli scambi intercomunitari che potesse consentire la compensazione della differenza tra un prezzo base comunitario e il prezzo relativo presente sui mercati esteri. In sostanza si voleva creare un mercato protetto ed unificato per ogni prodotto, con i prezzi mantenuti artificialmente alti grazie al sostegno della tassazione imposta sui generi alimentari e con l’aiuto di interventi mirati delle istituzioni comunitarie in caso si verificassero particolari difficoltà. In base a questo sistema il gettito dei prelievi si sarebbe sommato ai contributi diretti dei bilanci nazionali concorrendo a finanziare il Fondo di orientamento e garanzia, che era stato a sua volta istituito per dare stabilità e facilitare lo sviluppo dei mercati nazionali. In questo modo dopo il 1970 gli agricoltori avrebbero potuto commerciare tra di loro senza l’impedimento di barriere tariffarie. Per tutelare i membri CEE nel periodo di transizione dalle esportazioni a prezzi competitivi da parte di paesi terzi fu istituito un sistema di “abbattimento forfetario” che ogni anno aumentava il margine tra la tassazione imposta alle esportazioni extracomunitarie e quella imposta sulle importazioni provenienti da uno dei paesi comunitari. Con questo meccanismo si dava la possibilità agli agricoltori europei di adattarsi al nuovo sistema e si creavano le basi per permettere la costruzione di un mercato comunitario. Il sistema elaborato dai paesi CEE non era comunque compatibile con l’economia britannica, inoltre erano numerose le incertezze legate al fatto che numerose questioni rimanevano nell’ambiguità, come il finanziamento alla politica agricola comune, per esempio dal 1970, secondo il regolamento N.25 sui cereali, tutti i profitti ricavati dalla tassazione imposta sulle importazioni agricole non comunitarie dovessero andare nelle casse della comunità, ma non fu chiarito se queste risoluzioni richiedessero l’approvazione unanime del consiglio per diventare effettive33. Questa situazione rendeva il governo inglese dubbioso perché non poteva sperare di aderire alla PAC senza indebolire fortemente la sua economia, l’Inghilterra aveva ben poco da sperare riguardo concessioni ulteriori alla sua impostazione di politica agricola e d’altra parte non si potevano rassicurare gli agricoltori inglesi che l’adesione alla PAC non avrebbe diminuito i loro redditi o vincolato la loro produttività ad un regime di prezzi imposti dalla CEE. 1.5 COMMONWEALTH E REGNO UNITO In questi anni il governo inglese vede l’esistenza del Commonwealth come una importante salvaguardia delle relazioni bilaterali tra Inghilterra e i paesi membri e come un forum privilegiato di confronto e di mutuo appoggio. Molti funzionari e governatori vennero formati dall’Inghilterra ed era importante che un ricambio generazionale e la nascita di una democrazia indipendente non compromettessero i rapporti e che l’Inghilterra rimanesse un esempio nell’educazione, nella cultura e nella politica. 33 H.H. Liesner, Britain and the Common market, Cambridge university press, Cambridge, 1971, pp.238 ss. 18 Un particolare riguardo venne rivolto a quello che era considerato l’old Commonwealth, che comprendeva Australia, Nuova Zelanda e Canada considerati economicamente e politicamente indipendenti. Le relazioni tra questi paesi e l’Inghilterra erano basate su solide e antiche alleanze, questo dovuto al fatto che una disomogeneità all’interno del Commonwealth sarebbe stato un elemento preoccupante e il ruolo che soprattutto Australia e Nuova Zelanda erano tenute a rispettare era quello di elementi di unione, contatto e coesione tra i vari membri. Gli strumenti con i quali l’Inghilterra manteneva le relazioni multilaterali erano i meetings periodici delle “Commonwealth Heads of Goverments” e l’incontro annuale dei ministri delle finanze del Commonwealth. Tra il 1970 e il 1973 gli incontri a livello ufficiale furono 3234. Oltre gli incontri ufficiali molte erano le occasioni di incontro a livello più formale, una di queste era l’incontro semestrale della Commonwealth Foundation, che dal 1965, anno della sua nascita, promuoveva legami commerciali e professionali all’interno dell’unione; questa, come molte altre istituzioni era sostenuta con forza dal governo inglese, essendo un mezzo incisivo per il mantenimento di un controllo per il governo inglese praticamente gratuito. Oltre al lato economico, difficilmente trascurabile, l’Inghilterra conservava gelosamente le relazioni con i paesi dell’Unione, perché nonostante non avesse il prestigio e la visibilità del vecchio impero, a livello diplomatico era un forte deterrente e le conferiva la statura internazionale di cui in questi anni necessitava. Il Commonwealth significava 28 voti all’interno delle Nazioni Unite e i suoi membri avrebbero rappresentato un blocco omogeneo influente, se non fondamentale nelle politiche comunitarie e internazionali, nonostante i funzionari inglesi difendessero con forza l’indipendenza delle opinioni politiche espresse dall’Unione all’interno del forum internazionale, era chiaro verso quale direzione queste tendessero e che pressioni subissero. Nonostante l’importanza e l’assiduità di rapporti e relazioni, il Commonwealth durante i negoziati era diventato fonte di aperte critiche e tensioni sia interne che internazionali per l’Inghilterra, dalla questione dell’immigrazione alle politiche di preferenza commerciale, molti attori della scena internazionale ravvisavano nel comportamento inglese una sorta di neo colonialismo35. Riconciliare le aspettative dei paesi del Commonwealth con gli interessi comunitari si prospettava con un compito molto difficile per i decision maker britannici. 1.6 IL COMMONWEALTH MODERNO LA DICHIARAZIONE DI SINGAPORE Il 22 gennaio 1971 i capi di governo dei paesi aderenti al Commonwealth si riunirono a Singapore per la redazione di una dichiarazione manifesto della natura del Commonwealth e la definizione dei rapporti che questo avrebbe intrattenuto con i partners politici e commerciali. Inoltre la dichiarazione spiega quali siano gli ideali che accomunavano tutti i membri dell’associazione e propositi per la convivenza pacifica e una stretta collaborazione tra le nazioni, senza distinzione di razza, colore, convinzioni politiche e religiose. La dichiarazione serviva a ribadire, alla luce degli importanti cambiamenti in atto, il diritto ad una democratica autodeterminazione e all’impegno per sconfiggere razzismo, 34 35 EEC Commonwealth or Trade Agreements under Protocol 22, MTG 1/598/2 PART C-222 Shonfield, A., The Commonwealth and the Common Market, «World Today», 17:12, 1961.p.23 19 sfruttamento e la grossa disparità di opportunità e risorse, proponendo una cooperazione multilaterale per realizzare questi propositi. E’ proprio la cooperazione internazionale il mezzo più decisivo prospettato dalla Dichiarazione, per evitare le guerre e i conflitti, promuovere la tolleranza e sconfiggere l’ingiustizia, costruire un sistema di commercio mondiale più equo e sostenibile avendo nella giusta considerazione i bisogni e le necessità delle economie in via di sviluppo e in questo il Commonwealth sarebbe stato d’esempio a tutto il mondo nella sua azione. L’art. 1 della Dichiarazione di Singapore recita: “Il Commonwealth delle nazioni è un’ associazione volontaria di Stati indipendenti e sovrani, ognuno responsabile delle proprie politiche , che si consulta e coopera nell’interesse comune e nella promozione della concordia internazionale e della pace mondiale.”36 La Dichiarazione continua: “I membri del Commonwealth provengono da territori dei sei continenti e dei 5 oceani, includono persone di razze, culture e lingue differenti e comprendono realtà che vanno dalla povertà allo sviluppo più avanzato, raggruppano una ricca varietà di culture, tradizioni e istituzioni. Fare parte del Commonwealth consente la libertà nelle proprie decisioni politiche e la possibilità fare parte di qualsiasi associazione e alleanza”37 L’art. 8 della Dichiarazione ribadisce che: “I membri del Commonwealth si oppongono ad ogni forma di dominio coloniale e repressione razziale, sostenendo i principi di dignità umana e uguaglianza. Noi membri useremo tutti i nostri mezzi per sostenere la dignità umana, l’uguaglianza e l’autodeterminazione in tutto il mondo”38 I membri del Commonwealth sono 32, di questi 10 riconoscono la Regina come autorità sovrana, mentre le rimanenti 17 repubbliche e 5 monarchie vedono nella Regina “il simbolo della libera associazione di membri indipendenti e Capo del Commonwealth”39 In molte sedi si è ribadito che la Dichiarazione di Singapore tende ad essere un atto di emancipazione da parte dei paesi del Commonwealth nei confronti della madrepatria, alla luce dell’ingresso dell’Inghilterra nella CEE e l’interruzione delle relazioni commerciali preferenziali tra Commonwealth e madrepatria, la dichiarazione sembra tesa a ribadire un principio di cui molti paesi del Commonwealth dall’inizio degli anni 60 si fecero portatori, quello di paesi liberi e indipendenti, consapevoli delle loro potenzialità, per i quali i legami sia politici che economici con l’Inghilterra stavano quasi diventando un ostacolo al pieno e libero sviluppo e all’intrattenimento di proficui scambi con altri paesi. La natura del Commonwealth sembra ormai non trovare più la sua legittimazione esclusiva nei rapporti commerciali, ma bensì in nuovi principi, di libertà, di eguaglianza, di sostegno reciproco e cooperazione, anticipando in questo modo le nuove 36 Restricted Multilateral Groupings, Bilateral Relations between EEC and the Commonwealth E 6/502/1 PART K,FCO 30/1398 37 Art, 2, Dichiarazione di Singapore, Commonwealth secretariat, www.thecommonwealth.org 38 Art.8, Dichiarazione di Singapore, Commonwealth secretariat, www.commonwealth.org 39 Restricted Multilateral Groupings, Bilateral Relations between EEC and the Commonwealth E 6/502/1 PART K,FCO 30/1398 20 basi attraverso le quali si costruiranno politiche di cooperazione e sviluppo in ambito comunitario e che coinvolgeranno gli stessi paesi del Commonwealth nella loro azione. 1.7 OLD E WHITE COMMONWEALTH Con l’espansione dell’associazione volontaria si ritennero necessarie delle distinzioni, sia territoriali, sia dettate da diversi presupposti sociali, politici ed economici. Solitamente i paesi identificati come Old Commonwealth sono Australia, Canada e Nuova Zelanda, che già dagli anni 50 intrapresero con la madre patria un rapporto più paritario rispetto agli altri, godendo di maggiore autonomia. Con White Commonwealth si tende a raggruppare i paesi in seguito noti come ACP, African and Pacific Countries, a questi paesi sono stati spesso rivolti da parte dell’Old Commonwealth accuse di ancorare lo sviluppo dell’associazione ai loro bisogni, oltre alla questione del razzismo emersa in particolare nel decennio 1960-1970 con la questione della Rhodesia, che destò vivaci dibattiti anche in seno alle Nazioni Unite, e l’imposizione al Sud Africa di sanzioni contro l’apartheid. L’old Commonwealth era composto da Australia, Nuova Zelanda e Canada, paesi che storicamente avevano rapporti più stretti con la madrepatria, rapporti legati da affinità linguistiche, culturali, storiche e sino ad un certo periodo anche commerciali. Un grado di intimità caratterizzava le loro relazioni con l’Inghilterra e li distingueva dal resto del Commonwealth di relativamente nuova formazione. In termini di relazioni, scambi di informazioni, attitudini comuni, obiettivi politici e cooperazione su molteplici campi, questi tre paesi erano associati ad un partner storico come gli Stati Uniti40. Nonostante questo l’Old Commonwealth non presentava caratteri di unità e coesione che permettessero all’Inghilterra come una unione sicura, per quanto riguarda il Canada queste perplessità erano dettate dalla minoranza francese presente nel territorio e ostile all’Inghilterra e dai legami sempre più forti in campo commerciale e militare con i vicini Stati Uniti. 40 Policy towards the Commonwealth after accession to the EEC, Britain And the EEC ER 134/1967,EW 5/28, National archive, London 21 Australia e Nuova Zelanda, nel secondo dopoguerra, avevano accentuato le relazioni bilaterali, trascurando di conseguenza quelle con l’Inghilterra, che comunque comprendeva quanto l’importanza di politiche di raggio regionale stessero scalzando il suo protagonismo in campo internazionale. 22 23 CAPITOLO II I NEGOZIATI PER L’ADESIONE 2.1 LA VOLONTA’ INGLESE Molte opinioni vedevano nella volontà inglese di entrare nella CEE il desiderio di far superare al Regno Unito la fase di semi-ristagno economico che attraversava durante gli anni 60. In un certo senso è corretto asserire che il tentativo d’adesione inglese sia stato un’inevitabile reazione del sistema politico che provava ad adattarsi ad una realtà economica in cambiamento. Da un certo numero di anni si registrava proprio nel Regno Unito un ritmo di sviluppo più basso di tutte le altre principali nazioni. Inoltre la bilancia dei pagamenti inglese era peggiorata notevolmente nel periodo tra il 1960 e il 1961. Nel 1960 il deficit della bilancia dei pagamenti raggiunse il livello più alto dell’intero decennio, che ammontava a circa 450 milioni di sterline41. L’aspetto poco favorevole della bilancia fu mascherato, nel ’61 da un grande afflusso di capitale a breve scadenza che fece risalire le riserve di oro e di valuta estera. Nonostante ciò, il governo inglese continuava ad essere in estrema difficoltà e, durante il 1961, la situazione peggiorò ulteriormente. A poco servì l’aiuto offerto dagli altri stati europei che avevano accumulato sostanziose riserve di sterline attenendosi agli accordi di Basilea. La Gran Bretagna dovette alla fine rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale42. Gli inglesi avevano dunque ben chiaro che la situazione economica del proprio paese necessitava degli interventi decisi. Già nel novembre del ’60, molti mesi prima dell’inizio del negoziato, la Federation of British Industry si schierò decisamente a favore dell’adesione britannica alla CEE perché si era reso molto probabile un consistente declino del commercio con il Commonwealth43. Anche la vicenda dell’EFTA evidenzia quanto la questione economica fosse tenuta in considerazione dal governo inglese. Il timore di restare esclusi da un blocco commerciale europeo, che aveva le carte in regola per svilupparsi rapidamente, spinse l’Inghilterra a mobilitarsi per dar vita ad una nuova area di libero scambio con paesi che non facevano parte della CEE, che prese il nome appunto di “European Free Trade Area”. Prestissimo però tale organizzazione si dimostrò inadeguata e il governo inglese, che non aveva elaborato nessuna valida strategia alternativa, si trovò impreparato; cominciò allora a programmare dei contatti con i Sei per valutare l’eventuale possibilità inglese di aderire alla Comunità. La consapevolezza britannica che il proprio destino economico dipendesse dall’evoluzione del rapporto con i Sei diventava sempre più limpida man mano che venivano constatati i buoni risultati ottenuti dai paesi della CEE. Infatti l’economia comunitaria faceva passi da gigante. All’inizio del 1961 le tariffe interne della CEE erano state tagliate del 40% e la politica di armonizzazione delle tariffe esterne era a metà strada dalla conclusione44. 41 M.Pearce. e G.Stewart,., British Political History 1867-2001. Democracy and Decline, London-New York, Routledge, 2002, p.177 42 M. Pearce e G.Stewart, British Political History 1867-2000, op.cit. pp.220 ss. 43 R.Jenkins, Britain and the EEC, MacMillan Press, South Hampton, 1986, p.56 44 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 24 In questo contesto è naturale che una buona parte delle più grosse compagnie manifatturiere e industriali britanniche guardasse con favore ad una futura adesione inglese alla CEE e cominciasse a fare pressioni sul governo conservatore. E’ significativo che anche l’industria tessile inglese, che vantava una tradizione di protezionismo, si dimostrò desiderosa di stringere nuovi rapporti con i Sei. Essa sperava che una volta entrati nella Comunità, grazie alle alte barriere tariffarie sulle importazioni tessili lì presenti, sarebbe stata ben protetta dal flusso di prodotti a buon mercato provenienti dalle altre parti del globo. Le questioni economico-commerciali, così come erano state determinanti per far cambiare senso di marcia al governo inglese, rappresenteranno degli ostacoli non facilmente superabili durante tutto il negoziato. Una delle più grosse difficoltà di intesa durante gli incontri ministeriali era legata alla questione agricola, che a sua volta era strettamente intrecciata con quella del Commonwealth. La Politica Agricola Comune, che aveva preso forma più precisa durante i primi mesi del negoziato, era stata decisamente influenzata dalle pressioni di de Gaulle. Il nuovo sistema agricolo europeo avrebbe preso piede con gradualità ma non dava al governo inglese le assicurazioni necessarie a tranquillizzare il proprio paese. Anzi la PAC avrebbe rivoluzionato il sistema di supporto agricolo inglese, basato su contributi versati direttamente agli agricoltori, e avrebbe con tutta probabilità ridotto le importazioni agricole dal Commonwealth verso l’Europa. Infine la PAC avrebbe avuto un costo di finanziamento molto consistente che non poteva essere ben accettato da un paese come l’Inghilterra, che non ne avrebbe tratto grossi benefici avendo un settore agricolo molto ristretto. Ancora mentre si apprestava a mettere fine alle ultime speranze britanniche, durante la conferenza stampa tenutasi all’Eliseo il 14 gennaio ’63, il presidente francese puntò ad evidenziare i caratteri non sufficientemente europei dell’Inghilterra, ma non poté fare a meno di fare un deciso richiamo alle problematiche commerciali, in particolar modo a quelle agricole. Tuttavia appare evidente che il peso delle questioni commerciali era assai consistente, tanto che si può supporre che anche senza il veto del presidente francese, l’Inghilterra avrebbe avuto serie difficoltà ad accettare le condizioni dei Sei, e un suo ingresso senza il raggiungimento di un compromesso sull’agricoltura avrebbe potuto bloccare lo sviluppo della PAC45. L’assunto che la mancata risoluzione della trattativa inerente all’agricoltura sarebbe bastata da sola ad impedire l’ingresso della nuova candidata è avvalorato dal fatto che tra i Sei, e soprattutto in Francia, stava crescendo il timore che l’adesione britannica potesse portare ad un’alleanza anglo-tedesca che bloccasse la creazione di una Politica Agricola Comune forte e spostasse il baricentro comunitario verso una politica prettamente industriale. Nell’estate del ’62, dopo che gli incontri di Champs46 avevano fatto sperare una rapida conclusione dei negoziati favorevole all’adesione britannica, il presidente francese tornò a stuzzicare l’Inghilterra chiedendo ai politici britannici di accettare di versare nelle casse comunitarie i guadagni provenienti dalla tassazione sugli scambi commerciali. Questa richiesta risultò particolarmente amara per il governo inglese, dato che gli stessi paesi della Comunità non avevano ancora preso accordi su tale questione. Si creò una situazione di tensione e si temette che de Gaulle fosse pronto a far saltare il negoziato proprio su questo punto. 45 46 M. Camps, Britain and the European Community 1955-1963, op. cit., pp. 434 ss. Relations between The EEC and Commonwealth, MWE 3/502/1 PART A1-25 FCO 30/C 25 La svolta impressa da Londra alla sua tradizionale politica europea con il tentativo di aderire alla CEE può essere considerata come una tarda presa di coscienza dell’establishment britannico della necessità di mobilitarsi per difendere il prestigio inglese e mantenere il paese nel novero delle grandi potenze. Dopo aver per lungo tempo evitato di avere rapporti ‘alla pari’ con il continente europeo, la Gran Bretagna si trovò a dover gestire una situazione estremamente delicata a causa di una serie di fattori come gli avvenimenti di Suez, lo scontro con Washington sulla cooperazione nucleare, l’allontanamento del Sud Africa dal Commonwealth, e la crisi dei missili U- 228047. Il governo inglese dovette suo malgrado rendersi conto che la sua ottica di grandezza andava ridimensionata e che la sua politica tesa ad ergere l’Inghilterra ad arbitro mediatore tra le superpotenze non era più proponibile. In questo contesto: “Macmillan personified a generation of Conservatives who accepted the inevitability of the end of Empire and realised that Britain could no longer afford an imperial role”48 L’Inghilterra cominciò allora a credere che mettendosi alla guida del progetto di integrazione europea avrebbe potuto riacquisire importanza a livello globale. Cercando di centrare questo obiettivo, Londra prese contatti con i Sei e mise da subito in chiaro, come apparirà ancora più evidente dal discorso di Macmillan alla Camera dei Comuni, che la Gran Bretagna era disposta a fare delle concessioni ma non intendeva transigere su alcuni punti fondamentali, tra i quali vi era il mantenimento del rapporto preferenziale con i paesi del Commonwealth. Questa tematica era direttamente collegata al desiderio britannico di mantenere un ruolo consono alla sua passata grandezza. Vi era una forte componente psicologica e affettiva che rendeva impensabile per gli inglesi l’abbandono degli antichi legami per unirsi ad un’Europa che era ancora vista come qualcosa di estremamente distante. Per i politici britannici era evidente che il loro avvicinamento alla Comunità avrebbe anche avuto delle implicazioni di carattere politico. Durante i primi contatti con i Sei, però, era probabilmente la questione economica ad essere maggiormente tenuta in considerazione. Essa costituiva un problema più controverso di quello che si potrebbe pensare. E’ vero che la speranza del governo inglese di ridare respiro all’economia interna aggrappandosi a quella promettente della CEE influì sulla decisione di avvicinarsi alla Comunità, ma c’era anche un’altra faccia della medaglia. L’incognita economica avrebbe infatti potuto rendere poco appetibile l’adesione britannica agli occhi della popolazione inglese. Era abbastanza evidente infatti che la creazione di un nuovo rapporto stabile con il continente europeo avrebbe potuto compromettere le vantaggiose relazioni, soprattutto commerciali, intrattenute con i paesi del Commonwealth, la cui economia e commercio britannico dipendevano in modo assai rilevante dagli scambi con quegli stati. Pare dunque plausibile sostenere che il forte legame di Londra con la sua passata grandezza pesò non poco sull’atteggiamento del governo britannico, non solo nel periodo tra la fine della guerra e il 1960, quando ancora non si voleva considerare l’idea di una possibile adesione alla CEE, ma anche dopo lo storico discorso di MacMillan alla Camera dei Comuni. Il premier inglese non poteva non sentire tutto il peso della scelta operata dal suo governo e sapeva di non poter muoversi in assoluta libertà ma di dover invece preoccuparsi della reazione di tutto lo schieramento politico oltre che di quella dell’opinione pubblica. 47 Steinnes, K., The European challenge: Britain's EEC application in 1961, «Contemporary European History», vol. 7, 1998. pp.16-17 48 J.W.Young, Britain and European Unity, 1945-1999, op.cit., p.69 26 Il governo londinese non poteva eliminare in un solo colpo tutti i desideri di grandezza legati al passato glorioso del Regno Unito. Esso infatti cominciò il negoziato con i Sei con estrema cautela cercando di scoprire fino a che punto i paesi della Comunità sarebbero stati disposti a fare concessioni. Londra aveva ridimensionato la propria politica nei confronti del continente europeo ma era decisamente intenzionata a porre estrema attenzione in quello che faceva, per non perdere quei vantaggi che ancora rendevano l’Inghilterra un paese privilegiato. Non sarebbe comunque corretto considerare le mosse degli statisti inglesi come dei gesti dettati soltanto dall’istinto di conservazione della propria potenza in campo internazionale. Nemmeno pare però legittimo negare che, nel dopoguerra, l’atteggiamento proteso verso miraggi di potenza degli inglesi costituisse una delle cause principali del mancato contatto tra Londra e la Comunità, e incolpare piuttosto l’ignoranza e la pressione dei partiti politici. Le speranze inglesi di poter mantenere un ruolo di primo piano nel contesto internazionale erano grandi e vennero continuamente confermate durante il periodo delle trattative, anche quando i diretti intermediari non erano i paesi europei. Infatti nella conferenza con i primi ministri del Commonwealth del 10 settembre 196249 MacMillan focalizzò le sue parole sulla rilevanza della nuova posizione che l’Inghilterra avrebbe assunto a livello globale grazie all’ingresso nella CEE. E’ vero che questa argomentazione era stata sollevata anche perché in sede negoziale non erano ancora state raggiunte le sperate garanzie per il Commowealth, e dunque MacMillan cercava di spostare la discussione su altri fronti, ma appunto per questo è probabile che il premier britannico avesse scelto di esporre una tematica legata alle reali aspettative della nazione. Anche attraverso i ripetuti contatti con Washington l’establishment inglese cercava un appoggio che permettesse all’Inghilterra di restare tra le maggiori potenze a livello globale. L’energia messa da MacMillan nell’inverno del ’62 durante l’incontro di Nassau50, per fare solo un esempio, nel tentativo di trovare un accordo sui missili Polaris con Kennedy, può essere vista come un ulteriore tentativo di mantenere vivo, attraverso una, se pur modesta, corsa agli armamenti nucleari, il prestigio internazionale britannico. E’ anche a causa di questo atteggiamento politico inglese incapace di accettare di porre la propria nazione sullo stesso piano di quelle continentali che il negoziato di Bruxelles si svolse con estrema difficoltà e, alla fine, fallì. 49 B.Porter, Britain, Europe and the World 1850-1986: Delusion of Grandeur, London, Allen & Unwin, 1987, p.168 50 L' Accordo di Nassau è un trattato negoziato tra il presidente John F. Kennedy per gli Stati Uniti d'America ed il primo ministro Harold Macmillan per il Regno Unito. Fu discusso dai due leaders nel corso di un vertice, durato tre giorni, alle Bahamas e firmato il 18 dicembre 1962.L'accordo prevedeva la fornitura da parte degli Stati Uniti al Regno Unito di missili a testata nucleare del tipo UGM-27 Polaris, in cambio dei quali il Governo britannico avrebbe fittato agli americani una base per sottomarini nucleari nell'Holy Loch, nei pressi di Glasgow. Anche se questi missili sarebbero stati parte di una "forza multilaterale" inserita in ambito NATO, essi avrebbero potuto essere usati in caso di "supremo interesse nazionale".Il presidente francese Charles de Gaulle giudicò quest'accordo un chiaro segnale dell'intenzione della Gran Bretagna di rafforzare la sua partnership speciale con gli Stati Uniti in un momento in cui Londra stava negoziando il suo ingresso nella Comunità Europea. Di conseguenza ciò contribuì alla decisione dell'Eliseo di porre il veto, il 14 gennaio 1963 sull'ingresso del Regno Unito nell'integrazione comunitaria. news.bbc.co.uk/onthisday/hi/dates/stories/december/2 27 2.2 IL TENTATIVO FALLITO Il 31 giugno 1961 MacMillan annunciò alla Camera dei Comuni che erano iniziati i lavori preparatori per i nuovi negoziati comunitari, l’annuncio ebbe toni cauti e non particolarmente entusiastici, il governo voleva evitare che l’opinione pubblica, tradizionalmente ostile all’ingresso inglese nell’EEC, si allarmasse e formasse un fronte compatto per boicottare l’iniziativa del governo. Nella visione inglese era comunque necessario superare questa situazione che vedeva due blocchi contrapposti, EFTA e CEE, contendersi fette di mercato; eliminare le barriere e confrontarsi con un mercato più esteso era per l’Inghilterra una questione vitale, anche perché l’EFTA si dimostrava nel tempo meno dinamica e competitiva della CEE. Inoltre la decisione presa nel Luglio dello stesso anno da parte della CEE di abbassare ulteriormente le tariffe nel mercato comune avrebbe portato l’Inghilterra per l’ennesima volta in difficoltà51. I negoziati tra l’Inghilterra e il blocco dei Sei si svolsero a Bruxelles e furono particolarmente travagliati e complessi per le ragioni sopra elencate, inoltre sul fronte interno i laburisti, che alla camera dei comuni avevano dichiarato una sorta di “non belligeranza”, necessaria per la riuscita dei negoziati, durante gli stessi non nascosero la loro perplessità su numerosi punti, accusando chiaramente il governo di “svendere” gradualmente la sovranità del loro paese per dei magri riconoscimenti. “All of us here have come a long way in the brief span of time since the end of the Second World War. The application which we have made for membership of the Community, if it raises the difficulties which I have dealt with at some length, presents us all with a great opportunity for a new advances together. We in the United Kingdom will regard the successful conclusion of these negotiations as a point of departure, not as the end of the road.”52 Il punto di partenza citato da Heath nel discorso d’apertura all’incontro di Parigi, che dava il via ad una lunga serie di trattative ministeriali per l’adesione britannica alla CEE, dovette però essere posticipato. Infatti il negoziato non si concluse in modo positivo. Le parole del leader della delegazione inglese evidenziano tuttavia l’inedito atteggiamento di Londra nei confronti dell’integrazione europea. Dopo aver mantenuto fin dagli inizi dell’avventura comunitaria un comportamento che lasciava trasparire un marcato scetticismo, l’Inghilterra si era convinta a chiedere ai Sei una negoziazione sui termini della propria adesione. La decisione di aderire alla Comunità Europea era stata raggiunta in seguito a lunghi mesi di discussioni tra i politici britannici e non fu priva di aspetti controversi. I protagonisti di questa svolta dovettero misurarsi con molti ostacoli. Varie questioni dovevano essere affrontate, politiche, commerciali, economiche, militari, e tutte rivestivano una grande importanza. Le trattative erano destinate ad essere particolarmente complicate anche perché la giovanissima Comunità europea si trovava per la prima volta di fronte alla questione dell’allargamento. Non era più possibile pensare di rimandare l’allargamento 51 52 ASCE/EC/COM/EC/COM/BAC 11/1972/3-1. ASCE/EC/COM/EC/COM/BAC 11/1972/6-4. 28 comunitario ad una fase successiva al definitivo raggiungimento dei propositi del Trattato di Roma tra i Sei. Infatti, non solo la Gran Bretagna, ma anche la Danimarca, l’Irlanda e, subito dopo, la Norvegia avevano avanzato la richiesta di poter aderire alla Comunità. I paesi che avevano dato vita, pochi anni prima, alla realtà comunitaria, si trovarono così a dover tenere in considerazione la possibilità di passare da sei a dieci componenti. Inoltre, molti altri paesi stavano cercando di associarsi in qualche modo alla Comunità53. Il tentativo di adesione britannica, sarà il primo ad essere preso ufficialmente in considerazione dai Sei. Il fatto che il paese europeo che più di ogni altro aveva mostrato la sua volontà di restare estraneo ai “movimenti continentali” avesse cambiato radicalmente atteggiamento li lusingava e forniva un’ulteriore conferma del successo che la Comunità stava perseguendo. Per comprendere fino in fondo l’importanza della nuova posizione britannica é necessario avere ben presente l’atteggiamento tenuto dal governo inglese dalla fine della seconda guerra mondiale fino all’inizio degli anni ’60. L’Inghilterra, durante questi anni, dimostrò una mancanza di lucidità perdendo più di una volta l’occasione di mettersi alla guida del processo di integrazione europeo. Quando il governo di Londra rese pubbliche le sue nuove intenzioni di avvicinarsi alla Comunità, nell’Europa continentale si poteva dunque respirare un atmosfera di forte compiacimento. Questa soddisfazione derivava anche dal fatto che, pochi mesi prima, il Regno Unito aveva dato vita all’EFTA, un’area di libero scambio che avrebbe dovuto costituire un’alternativa alla CEE, e che si era invece subito dimostrata assai limitata. La richiesta di adesione inglese, e le successive richieste di adesione, o di associazione, provenienti dalla maggior parte dei paesi dell’EFTA, non facevano che evidenziare i risultati positivi raggiunti dalla cooperazione tra i Sei. Affrontando la questione dell’allargamento, i paesi membri della CEE si trovarono tuttavia a dover gestire una tematica particolarmente delicata. Il movimento dell’integrazione europea aveva raggiunto una tappa importante con la stesura del Trattato di Roma, ma era ancora molto giovane e al suo interno vi era una certa indeterminatezza. Anche se i progressi dei Sei facevano ben sperare, la Comunità non aveva ancora trovato un suo equilibrio e si apprestava proprio allora a mettere in atto le prime significative scelte che avrebbero deciso il suo avvenire. I governi dei Sei vedevano nell’allargamento della Comunità vari vantaggi economici e politici. La prospettiva di poter accedere liberamente al mercato inglese, e a quello degli altri paesi dell’EFTA, per esempio, appariva molto allettante. Inoltre, si pensava che l’allargamento della Comunità avrebbe facilitato l’unione politica, dando alla nuova Europa una maggiore capacità decisionale a livello internazionale. D’altra parte i membri della Comunità sapevano che il dibattito sull’allargamento avrebbe sollevato molte questioni spinose, complicando ulteriormente la gestione del giovane organismo. L’adesione di nuovi paesi avrebbe potuto mettere in discussione tutti i risultati che fino a quel momento erano stati conseguiti. Il negoziato con il Regno Unito dovette dare subito l’idea delle notevoli difficoltà che avrebbero dovuto essere affrontate per permettere l’inserimento di nuovi membri nella Comunità. L’Inghilterra era infatti un paese particolarmente complicato, che avrebbe sollevato delle richieste molto particolari, a causa soprattutto del suo legame con il Commonwealth, delle relazioni intrattenute con gli stati dell’EFTA, e del suo particolare sistema agricolo54. 53 N.P.Ludlow., Dealing with Britain: The Six and the First UK Application to the Six, Cambridge, CUP, 1997. p.348 54 PRO/FO 371/164791; M641/322. 29 Nonostante le grosse difficoltà di partenza i Sei accolsero la richiesta del governo britannico e aprirono un negoziato con l’Inghilterra atto a stabilire se ci fosse l’effettiva possibilità di accogliere tale paese in seno alla Comunità. Le trattative ufficiali si svolsero dall’ottobre 1961 al gennaio 1963, per poi riprendere nel 1967. In questi mesi il panorama internazionale, e soprattutto quello europeo, era sottoposto a tensioni di varia natura. Quella più pesante concerneva naturalmente i rapporti tra l’Est e l’Ovest. Ma c’erano anche problemi legati alla necessità di mettere in atto una politica di decolonizzazione, alle reazioni dell’opinione pubblica, e alle pressioni difficilmente controllabili delle numerose lobby, sia industriali che agricole. L’Europa aveva trovato un nuovo vigore, ma, mentre questa guadagnava sempre più influenza sullo scenario globale, i politici delle maggiori potenze occidentali cercavano di utilizzare la Comunità europea come una fonte di potere aggiuntiva per portare a termine i propri progetti nazionali. Inoltre c’erano anche attori esterni, gli Stati Uniti sopra tutti, che cercavano di influenzare la costruzione europea. Tutto ciò contribuì a rendere particolarmente macchinose le trattative per l’adesione inglese, visto che molti erano gli interessi in gioco. La Gran Bretagna aveva dunque dovuto ridimensionare le sue “manie di grandezza”. Nell’evoluzione delle vicende legate al nuovo assetto internazionale si era presto capito che la famosa teoria di Churchill era anacronistica. Essa sosteneva che l’Inghilterra fosse al centro di tre cerchi intersecati, rappresentanti gli USA, il Commonwealth e l’Europa, e che avesse il compito di equilibrare e di ispirare queste entità. Londra aveva amaramente constatato di non avere più la forza per svolgere una mansione così impegnativa55. Essa dovette perciò trovarsi un nuovo ruolo, anche se non era disposta a mettere in discussione le proprie prerogative nazionali. La richiesta di adesione del primo ministro inglese viene frequentemente interpretata come la diretta conseguenza del calo di prestigio britannico del secondo dopoguerra. L’Inghilterra avrebbe voluto cioè entrare nella CEE per conquistarsi qui un ruolo di primo piano e per poter così fare da interlocutore anche tra le superpotenze. In questo modo però si tende ad adombrare il fatto che la Gran Bretagna si era resa conto che la mancata partecipazione alla costruzione della Comunità europea la escludeva da una cooperazione economica che si stava dimostrando più che valida, e che tale esclusione avrebbe provocato dei notevoli svantaggi all’economia inglese. Anche l’influenza statunitense su Londra viene considerata decisiva per gli sviluppi delle trattative. Per non parlare poi dell’importanza delle mosse francesi. La Gran Bretagna, infatti, temeva che il potere di Parigi sul continente europeo diventasse troppo vasto. Durante il negoziato per la sua adesione il Regno Unito ha dovuto affrontare la coalizione europea idealmente guidata dalla Francia di de Gaulle che, mentre tentava di fare dell’Europa integrata un “blocco politicamente neutrale”, era mosso principalmente dal desiderio di assicurare delle condizioni commerciali vantaggiose per l’agricoltura e l’industria francese. Dopo aver tentato con scarsi risultati di riformare la politica agricola interna, il presidente francese stava infatti cercando di promuovere l’esportazione proprio attraverso l’integrazione europea. L’atteggiamento di de Gaulle condizionò pesantemente anche la conclusione del negoziato. Il fallimento delle trattative non può tuttavia essere ricondotto alla sola opera di ostruzionismo del presidente francese; fu provocato da una serie di cause, come la scarsa volontà e l’impreparazione dei governi impegnati e le incomprensioni dei protagonisti. Naturalmente anche la stessa svolta inglese, e il comportamento dei vari attori durante i mesi di trattativa, furono influenzati da diversi fattori. 55 D.Gowland, Britain and European Integration, 1945-1998, op.cit. p.342 30 Il 9 agosto 1961 il primo ministro britannico scrisse una lettera a Ludwing Erhard, Presidente del Consiglio della CEE nella quale comunicava l’intenzione di aprire i negoziati ai fini dell’adesione al Trattato di Roma, ribadendo che: “il governo di sua Maestà deve tenere conto dei suoi particolari legami con il Commonwealth nonché degli interessi essenziali dell’agricoltura britannica e degli altri membri dell’Associazione Europea di Libero Scambio. Il governo di sua maestà è convinto che i governi membri della CEE vorranno considerare con benevolenza questi problemi e, pertanto, esso ha fiducia nell’esito favorevole dei negoziati. Questo passo costituisce un avvenimento storico sulla via di un’unione più stretta tra i popoli europei, obiettivo comune del Regno Unito e degli Stati membri della Comunità.”56 La richiesta venne esaminata durante una riunione del Consiglio del 25 settembre e venne accolta, accordando il favore all’inizio di consultazioni, che arriveranno al numero di 17 e si sarebbero tenute in non sempre favorevoli atmosfere politiche e avrebbero risentito delle tensioni crescenti sia all’interno che all’esterno dell’Inghilterra. Le remore espresse dai sei riguardavano il ritardo che l’adesione dell’Inghilterra avrebbe potuto comportare nel processo di integrazione europea e quanto questa fosse capace e determinata a inserirsi in una nuova mentalità europea. Durante i negoziati Heath, Lord del sigillo privato, dipinse la Gran Bretagna come un paese disposto ad aderire senza condizioni agli obiettivi economici e alle istituzioni comunitarie, escludendo la possibilità che il governo inglese potesse chiedere emendamenti al trattato di Roma57. L’8 novembre 1961, data del secondo incontro ministeriale furono affrontate questioni più importanti e di rilievo, i portavoce dei Sei prendevano atto della determinazione inglese ad accettare, dopo un periodo transitorio, la tariffa comune della CEE e a rendere la propria politica compatibile con quella comunitaria, si prese inoltre la decisione di rinviare all’anno successivo la discussione più approfondita sulle questioni agricole. Gli incontri ministeriali erano iniziati nel modo migliore, entrambe le parti erano soddisfatte delle reazioni riscontrate nei primi importanti confronti e contavano di arrivare presto ad un accordo preliminare, dopo il secondo incontro preliminare , tenutosi l’8 novembre 1961, la commissione che da esso prese vita, elaborò un compromesso riguardo la situazione del Commonwealth. Grazie a questo passo fu possibile conciliare le posizioni inglesi, che erano tese a raggiungere soluzioni regionali con i singoli paesi, con quelle dei Sei, che volevano invece esaminare la questione prodotto per prodotto, era necessario trovare urgentemente un accordo, perché, come previsto dall’art.8 del trattato prevedeva che senza il consenso unanime riguardo gli obiettivi raggiunti nella prima tappa dei negoziati, non si sarebbe potuti passare alla seconda tappa. Per raggiungere tale unanimità era però necessario trovare un accordo sui vari regolamenti e disposizioni in materia agricola secondo cui avrebbero dovuto trovare applicazione gli articoli dal 38 al 47 del Trattato, tutti relativi al problema agricolo58. Furono convocate tre riunioni per arrivare ad un accordo, ma queste non ebbero esiti favorevoli, la decisione successiva fu quella di “bloccare il calendario”, per rinviare la 56 ASCE/EC7/COM/EC/COM/BAC 26/1969/258-1, NATIONAL ARCHIVE, LONDON AA. VV., Problems of British Entry into the EEC: Reports to the Action Committee for the United States of Europe., London, PEP, 1969. 58 ASCE/EC/COM/EC/COM/BAC 11/1972/5-1. 57 31 decisione all’anno nuovo, in modo da poter discutere il passaggio alla seconda tappa del Mercato Comune Europeo59. Tale accordo, che stabiliva il termine del periodo transitorio per l’agricoltura per la fine del 1969, rappresentava un notevole successo tecnico della politica comunitaria che contribuì a rafforzare la posizione dei Sei in seno ai negoziati. La richiesta di adesione britannica aveva contribuito a velocizzare l’intesa comunitaria per elaborare regole di riferimento che permettessero di dettare le condizioni per l’ingresso di un nuovo partner commerciale. L’11 maggio, quando prese il via il sesto incontro ministeriale, a Bruxelles si poteva respirare un’atmosfera assai cupa. Fu il ministro italiano Colombo a presiedere l’incontro durante il quale venne preso in esame un rapporto del delegato permanente italiano incentrato sullo stato delle trattative e su alcune possibili soluzioni alle problematiche ancora rimaste irrisolte. Il governo britannico espose varie richieste: un adattamento graduale alla tariffa esterna comune per i manufatti del Commonwealth; l’esenzione dai dazi di 27 prodotti industriali e 11 prodotti alimentari sempre provenienti dal Commonwealth; speciali accordi per alcune esportazioni dei paesi asiatici del Commonwealth. Furono inoltre discusse le questioni relative alla possibilità di associazione dei paesi africani della Comunità Britannica. I lavori si svolsero senza particolari attriti nonostante in un primo momento si fosse temuto un comportamento aggressivo da parte della delegazione francese sulla scia dell’atteggiamento tenuto nell’incontro dei Sei a Parigi, quando era stata esaminata la questione della costruzione di un’unione politica europea. Anzi, tutti si trovarono d’accordo sulla necessità di dare nuovo impulso al negoziato per raggiungere un accordo entro luglio, così che tale accordo potesse essere analizzato in settembre dai primi ministri del Commonwealth attesi per allora a Londra. Notevoli risultati furono ottenuti durante il settimo incontro a livello ministeriale che si svolse dal 29 al 30 maggio. Fu infatti raggiunto un accordo su uno degli aspetti centrali del commercio tra l’Inghilterra e il Commonwealth. In base a questo accordo Londra avrebbe applicato la tariffa esterna comune rinunciando, entro il 1970, al rapporto preferenziale intrattenuto con il Commonwealth, seguendo un adeguamento regolare distribuito in tre tappe60. Inoltre i rappresentanti inglesi si dichiararono disponibili ad accettare le regole di concorrenza decise dai Sei nel settore industriale e le norme, già vigenti nella CEE, sulla parità salariale, sulla libera circolazione dei lavoratori e dei capitali e sulla sicurezza sociale. Venne anche trattata la questione dei prodotti alimentari del Commonwealth temperato e del loro possibile sbocco all’interno della CEE. Sir Roll poteva così comunicare in un telegramma al Foreign Office che la delegazione britannica “reached agreement on one of the seven main fields so far covered in the negotiations (industrial manufactures from the developed Commonwealth) and we secured the tacit agreement of the Six to our view that in another field (economic union) the informal exchanges we have been having with the Commission for some months had shown that no real problems were likely to arise.”61 In questo momento delle trattative l’Inghilterra era dunque soddisfatta dei risultati conseguiti, e sembrava anche particolarmente bendisposta a venire incontro alle 59 M.Camps., Britain and the European Community, 1955-1963, pp.390 ss. J. Pinder, The Building of the European Union, Oxford, OUP, 1998, pp. 98 ss. 61 PRO/FO 371/164775, M 641/6. 60 32 esigenze dei Sei. Quando, nella seduta organizzata l’1 e il 2 giugno a Chateau de Champs, MacMillan incontrò de Gaulle, si arrivò a pensare che il primo ministro britannico riuscisse ad accordarsi col presidente francese su una collaborazione militare in campo atomico. L’obiettivo del leader francese era quello di tastare il terreno per valutare se l’Inghilterra fosse politicamente pronta ad aderire alla Comunità. MacMillan ripose tutto il suo impegno nel tentativo di dimostrare al presidente francese che il suo paese era deciso a dare il suo contributo per rendere l’Europa più forte, dandole così la possibilità di poter trattare in modo paritario con gli Stati Uniti. De Gaulle non poté fare a meno di notare l’aumentata buona volontà del governo inglese. Egli era però convinto che non ci fossero ancora le assicurazioni necessarie a garantire un’adesione britannica che non risultasse in contrasto con le tendenze europee. Di fatto il tentativo di MacMillan di usare la collaborazione anglo-francese in campo nucleare come “carota” da sventolare davanti alla testa di de Gaulle non ottenne i risultati sperati62. Non si può dire infatti che dopo l’incontro di Champs l’atteggiamento francese si fosse sensibilmente modificato, e le speranze inglesi furono di nuovo riversate sugli incontri ministeriali. L’ottavo, che si svolse durante gli ultimi tre giorni dello stesso mese, fu di notevole importanza. Oltre al trattamento da accordare ad alcuni paesi dell’Africa e delle Antille in seguito alla loro associazione alla Comunità venne infatti discussa una soluzione per rendere compatibili con la politica agricola comune le esportazioni agricole del Commonwealth in Gran Bretagna. Colombo propose alcune idee per dei più ampi accordi mondiali, attendendo i quali si sarebbero dovute concordare delle misure temporanee nei confronti di prodotti valutati singolarmente. Secondo il rapporto di Hallstein il punto sul quale la delegazione britannica ebbe più da ridire fu quello relativo alla decisione della Comunità di applicare una certa degressivité sul sistema accordato per i paesi del Commonwealth, per eliminare le preferenze a partire dal 1970. Intanto tra la fine di luglio e l’inizio di agosto si profilava un periodo particolarmente intenso sia per i delegati britannici sia per quelli dei Sei. Durante gli incontri che si tennero in questo arco di tempo cominciava a delinearsi sempre più chiaramente una netta spaccatura tra l’indisponibilità francese a concedere spazi di manovra al governo di Londra e la ferma intenzione degli altri cinque paesi di trovare un compromesso. Inoltre tra i Sei stavano circolando voci sulla effettiva buona volontà di Londra nella conduzione dei negoziati. Il ministro lussemburghese Schaus, durante un incontro con Heath, in visita a Lussemburgo il 16 e 17 luglio, riferiva al suo ospite che alcuni suoi collaboratori credevano che gli inglesi : “did not really want to reach a vue d’ensemble for presentation to the Commonwealth Prime Ministers’ Meeting on September 10 but would prefer to postpone the crucial negotiations untill after that date”. 63, Il Lord Privy Seal replicò negando tale versione e confermando che per il governo inglese era ‘essenziale’ poter arrivare all’incontro con i primi ministri del Commonwealth con una vue d’ensemble. Il 20 e il 21 luglio si svolse la nona riunione ministeriale che fu incentrata ancora una volta sulle difficoltà dell’adesione inglese relativamente alla politica agricola comune. Venne raggiunto un accordo secondo il quale la Commissione esecutiva della CEE avrebbe esaminato annualmente tutti i parametri relativi alla situazione agricola, come i 62 63 Ludlow, N. P., Dealing with Britain: The Six and the First UK Application to the Six, op.cit. p.122 ASCE/EC7/COM/EC/COM/BAC 26/1969/258-1 33 dati sui prezzi, sulla produzione e sugli scambi, lasciando poi al Consigli dei Ministri il compito di proporre delle soluzioni agli squilibri eventualmente riscontrati. Nel giugno dello stesso anno, dopo che la Gran Bretagna aveva tenuto le consultazioni con i paesi del Commonwealth64, appariva sempre più agli osservatori stranieri che, in caso di confluenza inglese nella Comunità, la politica agricola perseguita da Londra non avrebbe permesso la continuazione degli scambi commerciali tra Inghilterra, Commonwealth e paesi aderenti all’EFTA. La posizione inglese, che rimarrà la stessa anche nei negoziati del 1970, in materia di politica agricola, era diametralmente opposta alla visione europea, infatti l’Inghilterra importava la quasi totalità dei prodotti agricoli, mentre l’Europa si trovava spesso ad avere dei surplus. Aderire alla CEE significava per Londra caricarsi di spese poco sostenibili ed allontanarsi dalle sue tradizionali fonti di approvvigionamento d’oltremare e alterare i rapporti privilegiati intrattenuti con altri paesi. I negoziati ripresero con una particolare premura, provata anche dalla scaletta degli argomenti da trattare che su spinta degli inglesi riguardavano, oltre a problemi relativi agli agricoltori britannici, anche la questione dei rapporti intrattenuti con i paesi del Commonwealth africani, dell’India occidentale e dell’India subcontinentale. A tali punti si aggiungeva l’intenzione di trovare finalmente una soluzione sulle tariffe esterne comuni di quei materiali, come l’alluminio e lo zinco, per i quali si era creata una situazione di immobilità. Tutti questi obiettivi rischiavano però di far disperdere in un campo troppo ampio gli sforzi delle delegazioni impegnate nell’incontro, e di fare arrivare i ministri britannici all’appuntamento con le su citate riunioni senza nemmeno un abbozzo di accordo. La prima fase di questo incontro era comunque stata avviata con buona energia e si erano raggiunti alcuni parziali successi che facevano pensare a dei promettenti sviluppi. Era stato concluso, per esempio, un accordo sulle misure protettive per le esportazioni dal Pakistan, dall’India e da Ceylon. Gli esperti avevano già ipotizzato che l’area dell’India subcontinentale non avrebbe causato troppe difficoltà. Infatti già a metà luglio del ’62 i politici britannici credevano che tale questione fosse facilmente risolvibile65. Alla base di tale accordo vi era da una parte la promessa fatta dai rappresentanti dei Sei che, quando la Comunità si fosse allargata, si sarebbero cercati degli accordi commerciali più favorevoli per i tre paesi asiatici, e dall’altra la progressiva introduzione della tariffa esterna comune sulle importazioni inglesi nel subcontinente66. Le contrattazioni sul sistema agricolo inglese non fecero invece progressi. Ma la cosa ben più grave era che non fu raggiunto nemmeno l’obiettivo centrale del decimo incontro ministeriale, ovvero un accordo sulle importazioni alimentari inglesi dal Commonwealth temperato. Heath operò un cambiò di tattica sostenendo che il testo esposto dai Sei, rielaborato dal ministro Colombo in giugno, doveva essere modificato per garantire agli esportatori del Commonwealth un accesso ai futuri mercati comunitari. In particolare al numero 10 di Downing Street si voleva che i benefici offerti a tempo limitato dalla Comunità ai fornitori del Commonwealth potessero continuare fino al 1970, data prevista per la conclusione del periodo transitorio della PAC67. I Sei furono stranamente uniti nel rigettare questa richiesta. Subito si misero al lavoro per elaborare un compromesso che però fu reso assai difficoltoso a causa delle ripetute opposizioni dei delegati francesi. Quando, durante la notte del 27 luglio, il rappresentante di Parigi Oliver Wormser si trovò finalmente d’accordo con i suoi 64 N. P. Ludlow, Dealing with Britain: The Six and the First UK Application to the Six, op. cit., pp. 33 ss. ASCE/EC/COM/EC/COM/BAC 11/1972/3-1. 66 A.Shonfield, The Commonwealth and the Common Market, «World Today», op.cit., p.21 67 Termination of Commonwealth Agreements MC 1/502/1 FCO 67/644 65 34 colleghi sulla stesura di un testo definitivo, Heath dovette constatare che la nuova offerta della Comunità non poteva essere considerata soddisfacente. Le trattative furono rimandate al primo di agosto, anche se i contatti tra le nazioni della Comunità continuarono. Furono in particolar modo i paesi del Benelux, uniti all’Italia e alla Germania, a confrontarsi intensamente per elaborare dei cambiamenti al testo comunitario sui generi alimentari del Commonwealth. Quando i delegati dei Sei si incontrarono nuovamente a Bruxelles venne presentato il nuovo testo. Le reazioni della delegazione francese e della Commissione, che non erano state invitate alle discussioni per apportare gli emendamenti al testo, non furono di approvazione. Anzi dopo alcuni scontri tutti i delegati furono costretti a ritornare alla posizione di partenza. In questa situazione caotica fu Londra a prendere l’iniziativa. Essa lo fece però probabilmente con troppa ambizione, presentando, il 3 agosto, una proposta di ben ventuno emendamenti, alcuni puramente formali, altri di contenuto. Questa presa di posizione inglese fece irritare il governo francese. Il suo rappresentante Couve de Murville respinse le proposte di Londra asserendo che non c’era nessuna fretta, dato che gli incontri avrebbero raggiunto una soluzione soltanto quando le condizioni lo avessero permesso, proponendo quindi di aggiornare il negoziato al successivo autunno. I suoi colleghi riuscirono però alla fine a convincerlo a continuare le trattative e, per il 4 agosto, i Sei avevano ritrovato una posizione comune. Entrambe le parti sembrarono allora maggiormente disposte a fare concessioni. Le delegazioni dei Sei presero l’impegno di consultarsi con I paesi del Commonwealth sui cerali e promisero di concentrarsi in modo particolare per trovare una soluzione meno rigida alla questione riguardante il rapporto tra Gran Bretagna e Nuova Zelanda68. Per l’economia del secondo paese vi era infatti la necessità di mantenere alta l’esportazione agricola verso il primo. Heath da parte sua accettò che le disposizioni transitorie compissero il loro corso rimandando all’autunno seguente le discussioni per rivedere tali disposizioni. I risultati conseguiti non riuscirono comunque a far fare un salto di qualità al negoziato e, dopo due settimane di incontri, ci si dovette arrendere per l’ennesima volta e aggiornare il successivo incontro ministeriale all’autunno. Ancora una volta la Francia aveva contribuito in modo decisivo a fare perdere le speranze sulla possibilità di raggiungere un accordo risolutivo. Il ministro Couve de Murville mise allora in atto quella che fu definita “un’insolita procedura”. Egli cioè presentò un documento col quale garantiva la ratifica da parte di Parigi degli accordi raggiunti fino ad allora con l’Inghilterra se questa avesse dichiarato di accettare il regolamento finanziario previsto dalla PAC. Ciò mise alle strette il governo inglese che non poté tuttavia accettare visto che tale regolamento sarebbe stato troppo sconveniente per l’economia britannica69. Il problema continuava dunque a rimanere strettamente legato alla questione agricola e in particolare al sistema di tassazione dei prodotti agricoli da imporre ai paesi terzi. Inoltre l’atteggiamento della Germania rendeva la situazione maggiormente tesa. Essendo questa nazione una grande importatrice, essa temeva di dover versare troppe tasse nel fondo comune e non voleva perciò lasciare mano libera al generale francese. Quando MacMillan si trovò ad affrontare la riunione del 10 agosto con il Comitato per il Negoziato del Mercato Comune, si giunse però alla conclusione che lo stato delle trattative non era per niente sfavorevole a Londra, soprattutto per quanto riguardava le risoluzioni sulle zone temperate del Commonwealth. Si credeva inoltre che l’ingresso britannico nella Comunità potesse avvenire in tempi brevi. 68 69 Termination of Commonwealth Agreements MC 1/502/1 FCO 67/644 ASCE/EC/COM/EC/COM/BAC 11/1972/6-1. 35 La conferenza dei primi ministri del Commonwealth che si svolse dal 10 al 19 settembre a Londra fu invece caratterizzata da un’atmosfera decisamente più nera. I politici britannici, dopo aver dato sfogo a discorsi più calorosi che mai sui vantaggi della scelta inglese di unirsi alla Comunità, furono sorpresi dall’atteggiamento critico della controparte. Durante una riunione di gabinetto, il 13 settembre, veniva preso atto che: “on many of the commodities which were of special concern to the older Commonwealth countries and to United Kingdom agriculture, no conclusion had yet been reached in the Brussels negotiations. Untill it was known what arrangements could be made for these commodities, it would in any event be possible for the Government to decide finally whether the terms were such as to warrant a decision to join the Community.”70 Dopo aver sfogato le loro tensioni i ministri del Commonwealth si dimostrarono più affabili riconoscendo che solo il Regno Unito aveva il diritto di decidere se entrare o meno nel Mercato Comune. A Bruxelles gli incontri preliminari ripresero il 27 settembre. Si ripartì da un attento esame dello stato delle trattative71. Vennero elaborati tre ordini di problemi: quelli per i quali era già stato possibile raggiungere un accordo; quelli per cui si stava ancora discutendo; quelli sollevati alla conferenza del Commonwealth. Era importante risolvere la questione del rapporto con i paesi dell’EFTA e cercare sistemare i problemi legati all’agricoltura britannica e ai prodotti per i quali Londra chiedeva l’ingresso in esenzione doganale. La preoccupazione maggiore era però rappresentata dal dubbio atteggiamento francese che proprio mentre le trattative riprendevano stava tessendo un progetto di cooperazione col governo di Bonn. Parigi si dimostrò inoltre non favorevole al raggiungimento di un accordo Non si riusciva a trovare un compromesso su alcune questioni, come la durata del periodo di transizione durante il quale Londra avrebbe dovuto assegnare agli agricoltori inglesi un sussidio governativo, necessario a rendere competitivi gli stessi agricoltori. Era anche in discussione la natura di tutte le concessioni transitorie che la Comunità avrebbe permesso, il pacchetto di modifiche della PAC proposto dagli inglesi e i livelli dei prezzi dei cereali. 2.3 SOVRANITA’ NAZIONALE E CONFLITTO TRA POTENZE L’Inghilterra durante la sua secolare storia ha sempre guardato con particolare attenzione alle mosse della Francia, considerata come la potenza continentale che, grazie alle sue caratteristiche, poteva entrare più facilmente in diretta competizione con le ambizioni britanniche. Con il drastico ridimensionamento del ruolo internazionale della Gran Bretagna avvenuto nel secondo dopoguerra l’attrito tra Francia e Inghilterra poteva facilmente acutizzarsi. Il processo di integrazione europea stava continuando con un passo più spedito di quanto gli inglesi avessero immaginato, e la Francia svolgeva in esso un ruolo decisivo e di guida72. Dopo la firma dei Trattati di Roma il governo britannico cominciò a temere seriamente che la nuova Comunità capeggiata da Parigi potesse divenire dannosa per le aspirazioni inglesi. Il Regno Unito avrebbe infatti potuto essere escluso sempre di più dagli scambi economici e politici comunitari che si 70 Termination of Commonwealth Agreements MC 1/502/1, FCO 67/644 Pearce, M. e Stewart, G., British Political History 1867-2001. Democracy and Decline, p.76 72 N. P. Ludlow, Dealing with Britain: The Six and the First UK Application to the Six, op.cit., p. 34. 71 36 prospettavano, dopo un ottimo inizio, sempre più intensi. Il governo di Londra aveva anche cercato di dar vita ad una nuova realtà economica patrocinata dall’Inghilterra, come è già stato ampiamente fatto notare, per creare un’alternativa alla CEE, ma i politici britannici capirono che per risolvere i propri problemi, e per dare una maggiore stabilità alla propria nazione, sarebbe stato necessario un rapido avvicinamento alla Comunità. Gli esperti inglesi furono perciò ben presto consapevoli che la strada che portava alla CEE doveva passare attraverso un compromesso con il presidente francese. Selwyn Lloyd nel novembre del ’59 condivideva le preoccupazioni di MacMillan nei confronti dell’idea sollevata da de Gaulle di attuare una rinegoziazione della NATO e pensava che vi fosse la necessità di dare vita ad un dialogo con la Francia che portasse ad una possibile collaborazione nucleare gestita però dal governo inglese. Il politico britannico sosteneva che il fulcro dei problemi inglesi risiedeva “on the danger of a standing three-power group with meetings three times a year, as we would almost certainly lose our present exclusive position vis-à-vis the United State”73. Al numero 10 di Downing Street si temeva dunque che la Francia potesse mettere in discussione il ruolo politico internazionale inglese e non si era disposti a dare un margine di manovra troppo ampio al presidente francese. La decisione di avvicinarsi alla Comunità era d’altra parte vista anche da Parigi con estrema apprensione. Il governo francese infatti: “saw Britain’s different preoccupations and traditions as a threat to assertion of French leadership”74. Durante un incontro preliminare tra de Gaulle e MacMillan avvenuto in Francia nel gennaio del ’61, il generale giunse alla conclusione che l’apertura di discussioni bilaterali tra tecnici inglesi e francesi sarebbe stata utile, ma, l’esperto politico francese non nutriva false speranze nei confronti di futuri avvicinamenti politici tra i due paesi, ed anzi: “de Gaulle was sceptical about Britain’s ability to enter into any agreement with the Six without fatally undermining both its traditional links with the Commonwealth and its special relationship with the United States”75. Intanto in Inghilterra si stavano svolgendo lunghe discussioni sulla potenziale perdita di sovranità britannica e sia chi era favorevole all’adesione inglese, sia chi non lo era, “went out their way to oppose a federal form of unity in Europe and to endorse, instead, the general approach of General de Gaulle”. Paradossalmente dunque la decisione del governo inglese fu influenzata non solo dal timore nei confronti di un futuro strapotere in Europa del presidente francese, ma anche da una comunanza di vedute con lo stesso per quanto riguardava il concetto di sovranità. Infatti : 73 A. S. Milward, The Rise and Fall of a National Strategy, 1945-63, op. cit., p.319 H. Mikkeli, Europa. Storia di un’idea e di un’identità, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 111 ss. 75 N. P. Ludlow, Dealing with Britain: The Six and the First UK Application to the Six, op.cit., p. 34. 74 37 « l’évolution de la position britannique allait être facilitée par le général de Gaulle luimême qui développait sa conception de l’Europe des États, répudiant la supranationalité, préconisant la coopération sur le plan politique, économique et de la défense »76. Questa posizione comune avrebbe potuto essere meglio sfruttata dalla Gran Bretagna, dimostrando, per esempio, una maggiore disponibilità ad eventuali concessioni. In questo modo Londra avrebbe forse tolto a de Gaulle alcuni di quei dubbi sulla condotta britannica che invece manterrà fino alla fine delle trattative. Il primo ministro inglese non fu in grado di mettere in pratica una politica che conciliasse gli interessi britannici con quelli francesi, sia a causa della divisione all’interno del partito conservatore sulla politica da tenere nei confronti dei Sei, sia per la preponderante tendenza inglese di mettere prima gli interessi relativi al rapporto con il Commonwealth. Londra avrebbe potuto osare qualcosa di più anche perché era cosciente che gli Stati uniti d’America non avrebbero appoggiato i pretenziosi progetti di de Gaulle. Infatti Norman Brook, ancora nel gennaio del 1961, notava che: “there is no hope of persuading the Americans to accept tripartitism in its full form, as originally proposed by de Gaulle. For the essence of this was that France and the United Kingdom should have an equal share, with the United States, in determining the strategy of western opposition to communism throughout the world, both within the Atlantic Alliance and outside it. This would give France the equivalent of a veto on Unite States strategy, and the Foreign Office are right in saying that the Americans would never concede that to France”77. La crescita del potere francese in Europa era temuta ancora di più dagli statisti inglesi in considerazione della possibilità di un’intesa franco-tedesca. Già nell’agosto del ’60 MacMillan incontrò a Bonn Adenauer per trovare un accordo che permettesse la messa in comune delle conoscenze dei propri paesi per elaborare nuovi progetti sui futuri sviluppi dell’Europa. Insomma il premier inglese temeva fortemente che l’Europa potesse diventare un nuovo “Empire of Charlemagne” sotto il controllo francese prima, ma poi, forse, sotto quello tedesco. L’atteggiamento del presidente francese contribuì non poco a far aumentare tale timore. Quando, per esempio, egli incontrò l’ambasciatore britannico a Parigi Sir Pierson Dixon nell’ottobre del 1960, gli disse che “the Community of Six had a certain usefulness in Europe from the point of view mainly of Franco-German relations [and that] it was obvious that Great Britain, which was an island with connexion through the Commonwealth over the world, could not came into Europe”78. E’ dunque inevitabile che queste paure avessero influito sulla scelta del governo inglese di aprire degli incontri formali con i Sei, per preparare l’adesione britannica alla Comunità, com’è altrettanto chiaro che esse rimasero presenti per tutta la durata del negoziato. 76 M. Camps, Britain and the European Community 1955-1963, op. cit., p. 364. Gowland David, Britain and European Integration, 1945-1998, op. cit.p.67 78 N. P. Ludlow, Dealing with Britain: The Six and the First UK Application to the Six, op. cit., pp. 176-177. 77 38 L’incontro organizzato a Parigi tra de Gaulle e Adenauer, nel luglio del 1962, è particolarmente adatto a dimostrare che i timori inglesi non erano davvero fuori luogo. In questa occasione il cancelliere tedesco si avvicinò in modo preoccupante alla posizione del presidente francese. L’organizzazione di questo evento mise in evidenza che de Gaulle era seriamente intenzionato a far cessare le tensioni tra Francia e Germania per creare invece una nuova unità d’azione che potesse contribuire a rendere maggiormente coeso il nucleo centrale della Comunità. Le mire egemoniche del generale de Gaulle, e i contatti franco-tedeschi ad esse collegate, contribuirono pertanto a creare nuove tensioni sui meeting di Bruxelles, rendendo più complesse le trattative e dando spesso ai negoziatori inglesi la sensazione che una sorta di complotto fosse stato tessuto nei loro confronti. La tendenza inglese a mantenere le distanze dal resto dei paesi europei che aveva caratterizzato il primo quindicennio postbellico può essere meglio compresa se viene tenuto in considerazione lo stato d’animo della società britannica. Il Regno Unito non era stato né battuto né occupato durante la seconda guerra mondiale. Gli stati europei sì, ed erano perciò visti dagli inglesi come degli sconfitti. L’idea di sovranità nazionale delle nazioni continentali era stata minata e messa in discussione. Oltremanica invece la vittoria finale aveva provocato un rinvigorimento del sentimento nazionale che traeva alimento anche dall’alleanza con gli USA. Naturalmente questa sensazione di sicurezza era un elemento intrinseco all’Inghilterra: pensiamo alla sua configurazione geografica. Il fatto che fosse un’isola faceva sì che i suoi abitanti non avessero la sensazione d’insicurezza da frontiera, tipica del continente. Per questo anche l’ombra della guerra fredda non spinse gli inglesi a ricercare sicurezza tramite un avvicinamento agli altri stati europei. Nel processo di convergenza verso l’Europa l’“orgoglio nazionale” britannico fu altrettanto percepibile. Londra non avrebbe mai accettato di entrare in un Europa in cui le istituzioni dei singoli paesi avrebbero dovuto lasciare il posto a nuovi organismi sovranazionali79. Infatti: “the chief objection to membership of the European Community has been that it mean the inevitable dissolution of the separate sovereignty of the state by merging it into a wider non-national form of governance”. Si potrebbe dunque scorgere nell’atteggiamento di scetticismo britannico nei confronti delle istituzioni europee uno dei motivi più rilevanti per i quali il governo londinese non avrebbe messo il dovuto impegno durante il primo negoziato per l’adesione alla CEE. Già il 30 novembre 1960, riflettendo sulla possibilità di aderire alla Comunità europea, il primo ministro britannico scriveva al Foreign Office che “one of the aspects of our relations with Europe which continues to trouble all of us a good deal is that of sovereignty and the extent to which our ability to act independently would be compromised by our entry into some new organisation”80. Queste considerazioni non avevano evidentemente scoraggiato l’establishment inglese che decise alla fine di aprire i negoziati per l’adesione. Certo, la questione della sovranità nazionale continuava ad essere vista come un tassello importante per la riuscita degli stessi. 79 M. Shanks e J. Lambert, Britain and the New Europe. The Future of the Common Market, London, Chatto & Windus, 1962, pp. 150 ss. 80 PRO/FO 371/150369, 30-11-1960. 39 Tutto ciò è meglio comprensibile se si considera il fatto che “for many British Conservatives the defence of sovereignty emphasizes the importance of sovereignty since it is considered as part of the essence and fabric of British national identity”81. Dopo aver preso la storica decisione, Mcmillan aveva cercato di tranquillizzare gli animi affermando davanti agli esponenti del suo stesso partito che l’adesione al Trattato di Roma non avrebbe comportato per il Regno Unito l’abbandono unilaterale della sovranità nazionale ma soltanto la messa in comune di una parte di essa, soprattutto nel campo economico e sociale. Rinunciando ad una parte della propria sovranità, egli continuava, la Gran Bretagna avrebbe ricevuto in cambio una parte della sovranità degli altri stati membri. Il leader inglese, dopo aver tentato di rasserenare ulteriormente il suo uditorio, cercava di spiegare che nel nuovo contesto internazionale l’adesione inglese era da vedere come una necessità storica82. Ma è davvero plausibile sostenere che l’Inghilterra durante il negoziato con i Sei perse l’occasione di anticipare il proprio ingresso nella CEE proprio perché troppo protesa verso la difesa dei propri interessi nazionali? In effetti, osservando il malcontento che la nuova politica europea attuata dal governo di Londra aveva fatto nascere in patria, verrebbe la tentazione di concludere che la delegazione inglese a Bruxelles abbia dovuto alla fine restringere la sua capacità di concessione in sede negoziale per mettere il meno possibile in discussione le proprie prerogative nazionali. Prima di presentare la domanda di adesione alla Comunità i politici britannici avevano analizzato la situazione con grande attenzione e avevano accettato il fatto che, dopo un periodo di transizione, la Comunità sarebbe diventata un’unica realtà commerciale ovvero un complesso economico con dei forti punti di unione. Questa constatazione diventa ancora più rilevante se si considera il fatto che il gran numero di esperti mobilitati per analizzare le prospettive della nuova iniziativa britannica, aveva sicuramente compreso sovranità nazionale rimase sempre al centro dell’attenzione dei politici inglesi, anche a negoziati avviati, quando le questioni più importanti sul tavolo delle trattative erano ben altre. Lord Dilhorne, il 2 agosto 1962 fece un discorso alla House of Lords durante il quale voleva rassicurare il suo uditorio dicendo che “there was nothing in the Rome Treaty or in the objectives for which it at been set up which would in any way weaken the position of the Sovereign. If proof were needed it could be found in the fact that two of the Six were constitutional monarchies and a third a Grand Duchy”83. Se, cercando di proteggere le istituzioni del proprio paese, il governo britannico riusciva ad ottenere, da una parte, di dare una certa sicurezza a chi in patria non voleva accettare alcuna perdita di sovranità e, dall’altra, di accattivarsi le simpatie, comunque sempre parziali e momentanee, del presidente francese, è altrettanto vero che con il suo modo di fare l’Inghilterra rischiava di «alienate the very members of the Six who did want British entry»84. I paesi del Benelux, l’Italia e la Germania avevano infatti accettato l’idea di uno sviluppo sopranazionale della Comunità. L’unione politica intergovernativa prospettata da de Gaulle era poco apprezzata in particolar modo dai 81 A. S. Milward, , The Rise and Fall of a National Strategy, 1945-63, op. cit., pp.442 Discorso di Macmillan al Congresso del Partito conservatore, in ASCE/EM 158, 12-10-1962. 83 J. W. Young, Britain and European Unity 1945-1992, op. cit., pp.78-79. 84 Robbins Keith, The Eclipse of a great power, Modern Britain, 1870-1975, Longman, London, 1990, p.58 82 40 paesi del Benelux e dall’Italia perché erano convinti che tale linea avrebbe portato ad un’Europa dominata dalla potenza francese che, viste le tattiche di de Gaulle, avrebbe potuto ricevere presto l’appoggio della Germania. Anche per questo motivo l’Italia e il Benelux speravano che l’Inghilterra aderisse alla Comunità ridistribuendo gli equilibri di forza. Alla fine, dunque, la propensione britannica per un’Europa basata su una stretta collaborazione tra stati nazionali non compromise l’appoggio di questi paesi all’ingresso britannico nella Comunità. Essi erano disposti ad accettare la considerazione che l’adesione inglese avrebbe reso ancora meno realizzabile il progetto di una comunità politica sopranazionale perché “this postponement of long-term ambitions was accepted as a necessary price for medium-term stability”85. Il fallimento della politica del governo conservatore inglese durante il primo tentativo britannico di aderire alla Comunità sembra ancora una volta legato ad una serie composita di fattori non riducibili alla diversità di concezione politica dell’Europa. Non si può negare tuttavia che le forze politiche britanniche non seppero capire il valore rivoluzionario del nuovo concetto di sopranazionalità legato all’integrazione europea che poteva far crollare definitivamente la vecchia logica della politica di potenza portando in Europa una strategia economica più razionale e ponendo finalmente le basi per lo sviluppo di una democrazia liberale. 2.4 IL SECONDO TENTATIVO L’iniziativa britannica di tentare per la seconda volta di riaprire i negoziati venne accolta dagli stati europei con reazioni diverse, tra l’entusiasmo e lo scetticismo, soprattutto da parte francese. Il secondo tentativo fu portato avanti dal governo laburista, presieduto da Harold Wilson, in carica dall’ottobre 1964, in un clima politico che non sembrava favorevole ad una nuova prova, visto soprattutto l’esito fallimentare della prima, il governo poteva contare su una maggioranza ridotta e lo scetticismo era crescente dopo la prova di forza dei francesi. Molti politici inglesi si trovavano d’accordo con il Foreign Secretary Patrick Golden Walker che pensava che il miglior atteggiamento da adottare con la CEE fosse quello di semplice buon vicinato: “ We must base our policy on the alliance with the US and wanted to treat EEC simply as a neighbour with whom we need good relations”86 La Francia del gen. de Gaulle esprimeva la sua perplessità riguardo alla crescente inflazione e una relativa debolezza dell’economia inglese, questi i motivi secondo i quali la delegazione francese opponeva resistenza all’apertura dei negoziati, soprattutto durante il Consiglio dei Ministri della Comunità tenutosi il 18 e 19 Novembre 1967. In questo periodo i problemi economici inglesi suscitavano l’attenzione dei Sei e i tassi di crescita inglesi erano al di sotto di quelli registrati dai membri EEC, inoltre il fallimento delle politiche di avvicinamento tra CEE e EFTA rendeva l’Inghilterra ancora più lontana dal raggiungere la minima possibilità di successo, le due 85 86 N. P. Ludlow, Dealing with Britain: The Six and the First UK Application to the Six, op.cit., p. 109. Young J., Britain and European Unity, 1945-1999, op. cit.,p.82 41 organizzazioni si configuravano nel mercato europeo ancora una volta come blocchi contrapposti. Numerose divisioni esistevano anche all’interno dell’Inghilterra, addirittura nello stesso partito laburista, spaccatura che favorirà la proposta di Heath nel 1972, le principali tendenze erano pro e contro il mercato, secondo molti, tra cui George Brown, leader dei laburisti, l’Inghilterra doveva contribuire attivamente alla costruzione di un blocco capace di fronteggiare gli Stati Uniti e la Russia, e data la sua posizione geografica la CEE non si sarebbe potuta esimere dal ruolo di concorrente ma anche di fondamentale ago della bilancia nell’equilibrio mondiale, inoltre il Commonwealth non sarebbe stato decisivo, perché un Inghilterra economicamente e politicamente forte, integrata nel mercato comunitario, avrebbe potuto ottenere più vantaggi e non essere condizionata dai bisogni di territori che molti consideravano ormai come un ostacolo. La fazione cosiddetta “anti-market” , che annoverava anche il Ministro dell’Agricoltura Fred Peart, d’altra parte sosteneva che l’ingresso nella CEE avrebbe aumentato il prezzo dei prodotti, sia agricoli che industriali, e danneggiato la bilancia commerciale, e che un periodo di transizione non avrebbe migliorato la situazione ma semplicemente portato il paese al collasso economico. Wilson, in mezzo a queste due divergenti scuole di pensiero, manteneva un atteggiamento ambiguo, attendendo la soluzione del conflitto in Rhodesia, ulteriori sviluppi nei meetings con i rappresentanti del Commonwealth e segnali da parte degli Stati Uniti, che nella sua opinione, non avevano l’Inghilterra come priorità nei loro piani87. Nel frattempo la Francia aveva inaugurato una politica nazionalista, volta a ridurre l’influenza della Comunità negli affari interni, una scelta animata dal voler accrescere il peso della Francia che portò nel gennaio 1966 al “Compromesso di Lussemburgo”, che stabiliva il potere di veto ai membri nella votazione di argomenti molto importanti. Wilson, studiando attentamente le scelte operate oltremanica, pensava di poter trovare un intesa con De Gaulle per ridimensionare le aspettative comunitarie, ottenere più vantaggi e lavorare alla costruzione di un’ Europa degli Stati88, schierandosi in aperto contrasto con il Foreign Office che vedeva nella Francia una minaccia alla stabilità continentale, che con la sua smania di potere avrebbe inficiato il processo di integrazione europea, dichiarando che: “The Foreign Office wants to support the five against France, not to take sides particularly as the French are intent on maintening separate foreign and defence policy, which fits in best with british ideas”89 Wilson in generale pensava che l’ingresso dell’Inghilterra nella Comunità avrebbe aumentato le importazioni dall’Europa, abbassato gli standard di vita, comportato una rottura insanabile con il Commonwealth e affidato la sovranità nazionale alle decisioni di Bruxelles. Nonostante questo un’apertura da parte francese riguardo l’appoggio nei negoziati fece tornare il Primo ministro sui suoi passi, per non compromettere la credibilità in campo internazionale, e affrontare l’incontro con il presidente francese a Londra in Luglio. L’incontro non iniziò nel migliore dei modi perché Pompidou trovò ad accoglierlo una dichiarazione del Ministro della Difesa inglese Denis Healey che definiva la Francia un cattivo e inaffidabile alleato a causa del suo ritiro dalla NATO, il parlamento costrinse Healey a scusarsi pubblicamente per non compromettere i rapporti in una fase così 87 EEC Commonwealth or Trade Agreements under Protocol 22, MTG 1/598/2 PART C-222 O’Neill C. Britain Entry in the EEC,p.76 89 Bilateral Relations between EEC and the Commonwealth E 6/502/1 PART K ,FCO 30/1398, National Archive, London 88 42 delicata delle relazioni franco-inglesi, ciò non servì migliorare la situazione, infatti la Francia dichiarò che per il buon esito dei negoziati l’Inghilterra doveva indurre una svalutazione della sterlina per adattarsi al regime valutario comunitario e ridimensionare la Sterling Area, due azioni che avrebbero frenato drasticamente la crescita inglese e le avrebbero impedito di avere la stabilità, nonché la liquidità, necessarie per far fronte all’ingresso nella Comunità. La Francia impose queste misure perché voleva innanzitutto ridurre l’interdipendenza tra sterlina e dollaro, indebolire la sterlina e ritornare al sistema di cambio pre Bretton Woods, basato sull’oro. In successivi incontri il Generale de Gaulle ribadì il suo scetticismo, dovuto ai rapporti troppo stretti tra Inghilterra e Stati Uniti, i differenti modelli economici e commerciali che difficilmente si sarebbero conciliati con le direttive comunitarie e avrebbero rallentato se non addirittura pregiudicato lo sviluppo della CEE. Con gli accordi prospettati dalla Comunità e la volontà di intraprendere rapporti commerciali e di cooperazione con il Commonwealth e aprire il mercato comunitario ai paesi dell’EFTA, sembrava che due importanti problemi fossero stati risolti. Alla fine dell’aprile 1967 durante una conferenza ministeriale fu deciso di presentare una candidatura formale all’ingresso dell’Inghilterra nella CEE, il governo confermò la decisione il 2 maggio90. La decisione passò alla Camera dei Comuni e , nonostante il voto contrario di 50 laburisti, Wilson fu sostenuto da 400 membri conservatori e laburisti. La risposta francese alla candidatura a quel punto non si fece attendere, infatti il 16 maggio il presidente de Gaulle dichiarò che l’ingresso dell’Inghilterra avrebbe sconvolto gli equilibri comunitari e che una forma di associazione era preferibile, a molti osservatori questa dichiarazione dai toni cauti suonava comunque come l’ennesimo rifiuto, e nonostante la Francia non avesse ancora opposto un veto al secondo tentativo britannico, i presupposti non lasciavano ben sperare91. Al meeting comunitario di metà giugno del 1967 tutti i membri della CEE, tranne la Francia, appoggiarono la candidatura inglese, questa decisione era dovuta in particolar modo dal tour europeo svolto da Wilson e il suo Ministro degli Esteri durante tutto il 1966 che aveva come proposito quello di conquistare le simpatie dei 5 e sperare nel loro appoggio92. Fu durante una conferenza stampa del 22 novembre 1967 che le aspettative britanniche furono irrimediabilmente spezzate, il Presidente de Gaulle pose fine ai negoziati imponendo il secondo veto francese. 2.5 L’ADESIONE Gli osservatori internazionali non nutrivano dubbi riguardo il fatto che il primo ministro Heath avrebbe perseguito l’obiettivo comunitario con maggiore caparbietà rispetto ai predecessori, infatti Health sosteneva che l’entrata dell’Inghilterra nella CEE avrebbe contribuito allo sviluppo economico del suo paese e permesso al comparto industriale britannico maggiore competitività e forza nel sostenere le sfide che un mercato comune prospettava, il primo ministro: 90 AA. VV., Problems of British Entry into the EEC: Reports to the Action Committee for the United States of Europe., London, PEP, 1969, p.238 ss. 91 O. Bange, The EEC Crisis, op.cit.,126 92 A. S. Milward, The Rise and Fall of a National Strategy, 1945-63, op.cit., p.176 43 “saw Britain in Europe as being the way back to being a Great Power”93 Oltre alla volontà del primo ministro, la situazione politica in generale era cambiata, i negoziati nella loro nuova fase potevano contare anche su un Consiglio dei Ministri favorevole all’entrata dell’Inghilterra nella CEE. Nel contesto internazionale Health prende le distanze dagli Stati Uniti e sconfessa apertamente la “special relationship”, o meglio ne evita puntualmente ogni possibile riferimento, che aveva da sempre contraddistinto i rapporti tra Inghilterra e USA, una mossa volta ad impressionare favorevolmente la Francia e a dimostrare la determinazione inglese a portare a termine i negoziati libera da ogni condizionamento esterno. Queste e altre considerazioni di carattere generale portavano l’Inghilterra ad essere più ottimista riguardo l’esito dei negoziati, la sua posizione nel 1969 era sicuramente più forte rispetto al 1961, infatti la sterlina aveva riguadagnato valore rispetto alla crisi valutaria dell’anno precedente e l’annoso problema costituito dalle relazioni con il Commonwealth sembrava destinato a risolversi almeno parzialmente con gli accordi di partnerariato commerciale proposti dalla Comunità e gli accordi stipulati con la National Farmers Union sembravano aver riconciliato gli interessi delle lobbies inglesi con la regolamentazione imposta dalla Politica Agricola Comune94. Nel 1969 la Francia si dimostrò più disponibile ad accordare alcune concessioni all’Inghilterra, fondamentalmente per due fatti, da una parte i costi che l’attuazione della Politica Agricola Comune comportava si stavano rivelando ingenti e l’apertura ad un nuovo membro avrebbe permesso di dividere le spese e evitare tagli alla politica comunitaria, in secondo luogo la Francia dimostrava una sempre più crescente preoccupazione nei riguardi della Germania e le sue politiche, l’ingresso dell’Inghilterra avrebbe permesso di equilibrare i rapporti all’interno della Comunità e di rimando tra le due potenze, inoltre la scomparsa di un acerrimo nemico dell’ Inghilterra nella CEE come de Gaulle, avvenuta nel 1970 e la salita all’Eliseo di George Pompidou rendeva le cose ancora più semplici. Il 30 giugno del 1970 in Lussemburgo cominciarono gli incontri ministeriali tra i Sei e i tre paesi aderenti all’EFTA (Irlanda, Danimarca e Norvegia), meetings già precedentemente pianificati sotto il governo Wilson, nei quali Anthony Barber, delegato del governo inglese ribadì la necessità del proprio paese di introdurre un periodo di transizione attraverso il quale implementare le politiche comunitarie e dare il tempo necessario agli accordi internazionali, soprattutto riguardanti il Commonwealth, di arrivare al termine di cessazione precedentemente stabilito. I negoziati iniziarono il penultimo giorno di presidenza belga alla commissione, durante i sei mesi successivi l’Inghilterra si sarebbe dovuta misurare con la presidenza tedesca, nulla di grave per i delegati inglesi che godevano del favore di entrambi i paesi, il problema era rappresentato dalla presidenza francese prevista alla fine dell’anno. In materia di costi l’Inghilterra doveva far fronte ad ingenti spese, in un periodo di congiuntura economica non favorevole, nonostante la ripresa della sterlina, il finanziamento delle politiche comunitarie e le somme da versare per entrare a pieno titolo nella CEE rappresentavano un problema che necessitava di tempo per reperire le risorse necessarie, soprattutto dopo un innalzamento dei contributi comunitari deciso nel 196995. I finanziamenti richiesti ai membri della Comunità arrivavano dall’imposizione 93 W.Young, Britain and European Unity, 1945-1999, op.cit., p.100 La National Farmers Union era una lobby conservatrice che nel decennio 1960-1970 combatté aspramente l’adesione inglese all’EEC, perchè contraria ai propri interessi in material di produzione agricola. The Commonwealth/EEC Relations HC 2/7FCO 68/639, National archive, London 95 W.Young, Britain and European Unity, 1945-1999, op,cit.,p.113 94 44 di un 1% della VAT96 e da tutte le tariffe imposte al commercio esterno, nel caso dell’Inghilterra, una delle maggiori potenze commerciali, somme particolarmente elevate. Inoltre essendo l’Inghilterra un paese industrializzato avrebbe avuto accesso n maniera irrisoria ai finanziamenti previsti dalla PAC i prezzi dei prodotti agricoli sarebbero saliti significativamente, quindi un periodo di transizione e aggiustamento sarebbero stati necessari, ma come comunicato dai Sei in Lussemburgo, commisurati ai costi e all’impegno del paese e limitati nella durata. La discussione in sede negoziale nel 1970 comprese altri argomenti che non erano stati inclusi nell’agenda precedente come l’intento di creare una Common Fisheries Policy e una Economic and Monetary Union97, che avrebbero reso l’azione comunitaria ancora più incisiva in ambito di politiche interne. Il 27 ottobre 1970, Geoffrey Rippon, nuovo delegato inglese nei negoziati , portò a casa un importante successo, l’accordo di associazione dei British Territories Overseas e per il commercio di uova, latte e formaggio, ma è in marzo, durante l’incontro tra il primo ministro inglese e il presidente Pompidou che si arriva ad un punto di svolta, infatti l’agenda, preparata dallo staff francese, prevedeva la trattazione di temi spinosi, come la fine delle Sterling Area, il ridimensionamento del mercato inglese, le relazioni con gli Stati Uniti e l’adesione alla Politica Agricola Comune, oltre vari riferimenti alle quote associativa, che gli inglesi si dimostrarono riluttanti ad accettare. Nel meeting ministeriale di maggio la CEE dimostrò la volontà di salvaguardare le importazioni di zucchero dall’area Caraibico-Pacifica e di arrivare al più presto ad un protocollo di intesa per il commercio, mentre l’Inghilterra si dichiarò favorevole ad accettare le preferenze commerciali comunitarie sui prodotti agricoli98. Durante l’incontro di giugno, Ribbon perfezionò gli accordi raggiunti nei mesi precedenti che comprendevano un regime protezionistico per alcuni prodotti della Nuova Zelanda e la possibilità di dilazionare progressivamente i pagamenti delle quote sino al 1977, a seguito di questo una nota di Heath ribadiva l’importanza di aderire alla Comunità, la nota aveva un sapore difensivo, infatti molti membri del partito laburista accusarono il governo di aver svenduto l’Inghilterra a condizioni sfavorevoli. Heath ammetteva nella sua nota che l’ingresso dell’Inghilterra nella CEE avrebbe senza dubbio comportato un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e notevoli svantaggi per i paesi del Commonwealth, ma in un analisi costi- benefici, i sacrifici sarebbero stati ripagati dalla crescita industriale, da una rinnovata credibilità a livello internazionale e dagli accordi multilaterali che l’adesione avrebbe portato99. Intanto l’opinione pubblica manifestava il suo disappunto, nei sondaggi del periodo solo un quarto degli inglesi si dichiarava favorevole all’entrata nell’EEC, anni di propaganda avevano dipinto la Comunità Economica Europea come un inefficiente apparato burocratico al servizio delle elites e i tradizionali obiettivi che Heath prospettava, sicurezza, crescita, integrazione e libero mercato, erano offuscati dalla paura di un aumento dei prezzi, dei tassi di disoccupazione, dalla perdita della sovranità nazionale e soprattutto dell’influenza nel Commonwealth. Il 1971 si dimostrò un anno di relativa stagnazione, nonostante un susseguirsi di meetings ministeriali poche novità si aggiungessero a ciò che era stato precedentemente statuito, queste furono nel quarto meeting del 2 Febbraio 1971 i nuovi accordi raggiunti per i territori del Commonwealth Asiatico, Honk Kong, Rhodesia, Lesotho e Swatziland; mentre il 2 Marzo si discussero aspetti finanziari riguardo l’adattamento dell’Inghilterra alla Community’s Generalized Preference Scheme, nel mentre una 96 Value Added Tax C. O’Neill , Britain Entry into the EEC,op.cit. pp.188-190 98 EEC: UK membership and Commonwealth Countries, FCO 20/19 99 EEC Commonwealth or Trade Agreements under Protocol 22, MTG 1/598/2 PART C-222 97 45 delegazione inglese discuteva con i rappresentanti della European Investiment Bank riguardo gli aiuti da accordare alla Nuova Zelanda100. Durante il meeting del 26 marzo si decise la partecipazione inglese e il successivo apporto di capitali alla European Investiment Bank e i cosiddetti Third World Agreements che rendevano continuativo l’impegno comunitario nei territori del Commonwealth, stabilito con la seconda Convenzione di Yaoundè; inoltre fu formalizzato l’impegno inglese a mettere in atto una politica di armonizzazione fiscale di 5 anni dopo i quali introdurre la Value Added Tax, successivamente, l’11 Maggio si discussero i termini della transizione riguardo la produzione agricola e l’Inghilterra accettò di introdurre da subito il sistema della Community Preference. E’ in questi giorni, tra maggio e giugno che diventano effettivi gli accordi per la tutela della produzione dei territori del Commonwealth e l’estensione dello Sugar Protocol agli ACP e ai paesi dell’Oceano Indiano101. Oltre questi accordi molti meetings furono dedicati alla definizione del periodo di transizione e le relative misure. Il periodo di transizione era stato richiesto dall’Inghilterra accettato dall’EEC, per consentire all’economia inglese di assorbire i costi che avrebbe comportato l’ingresso del paese nella Comunità e armonizzare le direttive comunitarie con il processo produttivo interno. Nonostante l’Inghilterra avesse deciso di adottare da subito la Value Added Tax, un periodo di transizione era necessario per evitare che l’aumento dei prezzi, soprattutto dei prodotti agricoli, e la conseguente svalutazione della sterlina portassero l’Inghilterra al collasso, entrambe le parti stimarono un periodo di 5 anni per riportare la situazione alla normalità. La comunità prevedeva, dal Trattato di Roma, che ogni paese avesse diritto a delle misure che tutelassero il regime interno e salvaguardassero la produzione da eventuali shock comportati dall’ingresso nella Comunità, questo tutelava i membri e permetteva alla EEC di non fare concessioni di favore nei singoli negoziati. La parte IV del trattato intitolato “ Act concerning the conditions of accession and the adjustments to the treaties” è dedicate alle misure di transizione e stabilisce che periodo esse necessitino: “Subject to the dates, time limits and special provisions for this act, the application of the transitional measures shall determinate at the end of 1977”102 Oltre a stabilire la durata del periodo, l’Atto enumera anche i diversi tipi di misure da adottare, distinguendo tra “temporal adaption” e “transition by stages”. Se il periodo di transizione per le misure tradizionali era stato fissato in 5 anni, quello relativo al comparto industriale e l’eliminazione delle tariffe interne per favorire l’ingresso della Common External Tariff fu stabilito in 3 anni, quindi sino al 1973, mentre riguardo i prodotti agricoli si rendeva necessario un periodo di almeno 5 anni, l’accordo relativo all’adeguamento delle politiche comunitarie alla produzione agricola si rivelò più complesso del previsto, soprattutto per colpa delle pressioni francesi ad accettare la tariffa comune il prima possibile. Durante il meeting del maggio 1971 la Commissione accettò l’adozione da parte dell’Inghilterra della Common External Tariff a partire dal I gennaio 1974, mentre nell’incontro del 17 Gennaio si raggiunsero intese riguardo il termine del Common 100 C. O’Neill, Britain Entry into the European Community, op.cit., p. 198 Commonwealth Sugar Agreement Act, Common Market, FCO 20/26 102 C.O’Neill , Britain Entry into the EEC, op.cit, p.213 101 46 Sugar Agreement e le compensazioni per il importazioni di mele, pere e le quote i importazione di latte e derivati103. Nonostante le difficoltà non ancora appianate Heath decise di ricorrere al dibattito parlamentare, sfidando apertamente la minoranza, una scelta azzardata che gli valse un ampio consenso, infatti con 356 voti contro 224, superata l’ennesima difficoltà con il consenso parlamentare l’Inghilterra si preparava a fare il suo ingresso nell’EEC. I negoziati portarono alla firma dell’Accession Treaty, firmato a Bruxellex nel 22 gennaio 1972.104 2.6 IL COMMONWEALTH COME OSTACOLO ALL’ADESIONE Uno degli ostacoli che già durante i primi negoziati aveva impedito all’Inghilterra di entrare a far parte della CEE era l’esistenza del Commonwealth e il regime di interdipendenza che esisteva tra il paese e le sue vecchie colonie, uno stretto legame politico ma soprattutto economico che andava affrontato, nella prospettiva di entrare a far parte del mercato comune europeo, accettandone le rigide condizioni e liberandosi da antichi vincoli. Il governo di Londra si era deciso in questo modo ad elaborare una politica che riscontrasse il consenso della Comunità, scontrandosi con il tradizionale isolazionismo conservatore e le paure dei paesi del Commonwealth. I legami storici e quelli da poco creati e il particolare sistema agricolo britannico rendevano il Regno unito poco compatibile con la nuova realtà economica rappresentata dalla CEE. In particolare la questione riguardava i territori del Commonwealth, che rappresentava un chiaro richiamo alla potenza inglese nella sfera internazionale, rappresentava l’area della sterlina, i paesi che ne facevano parte, eccetto il Canada, partecipavano in comune all’utilizzo delle risorse e dell’oro della Banca d’Inghilterra. L’economia dei paesi del Commonwealth era stata creata per sopperire alle mancanze del mercato inglese, notoriamente povero di materie prime e di forza lavoro, il rapporto commerciale creato consisteva all’Inghilterra un vantaggioso sbocco nell’esportazione dei suoi prodotti industriali, mantenendo una peculiare indipendenza, sottraendosi a limiti di produzione e tassazione. Sino al 1970 il flusso commerciale tra i paesi del Commonwealth e l’Inghilterra superava quello tra quest’ultima e l’intera Europa Occidentale105. La Comunità aveva dall’inizio capito che questa sarebbe stata una questione di non facile soluzione, anche perché legata a problemi di carattere politico, nonché sociale, che la coinvolgevano in prima persona, vista e considerata l’esperienza post-coloniale dei Sei paesi fondatori dell’EEC, che avevano riunito le ex colonie in un’associazione, Community’s Associated Overseas Territories, ma mentre questi producevano esclusivamente prodotti tropicali e materie prime, i paesi del Commonwealth avevano anche una produzione di prodotti tipici delle zone temperate e manufatti finiti106, prodotti che sarebbero entrati in diretto conflitto con quelli del mercato comune europeo. 103 EEC/ Commonwealth Association and Trade Agreements T9 1/598/2, FCO 69/649 Command Paper, membership of the European Communities, No.3269, Bilateral Relations between EEC and the Commonwealth E 6/502/1 PART K, FCO 30/1398 National Archives, London 105 Britain, Europe and the World, 1850-1982, Delusions of grandeur, London, Allen & Unwin, 1983, pp.128-129 106 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B,FCO 69/385, National archive, London 104 47 L’Inghilterra si serviva delle esportazioni dal Commonwealth soprattutto per l’approvvigionamento di burro, carne, olii vegetali e grano necessari al suo fabbisogno nazionale, l’adesione ad un nuovo sistema agricolo avrebbe comportato l’impossibilità di perpetuare questo commercio e avrebbe leso le economie dei paesi del Commonwealth oltre che gli interessi dei consumatori inglesi che avrebbero visto i prezzi di molti generi di prima necessità aumentare considerevolmente dato l’adattamento alla media degli altri paesi europei con l’imposizione della tariffa esterna comune, I paesi del Commonwealth sarebbero stati penalizzati perdendo i vantaggi preferenziali nell’importazione e l’acquisto dei loro beni sarebbe stato meno vantaggioso perché sarebbero stati sottoposti al regime di tassazione comunitario, arrivando in Europa con un maggiorazione dei prezzi, viceversa molti paesi europei sarebbero diventati partners dell’Inghilterra, competendo nel suo mercato a prezzi più vantaggiosi. Tra le numerose concessioni fatte dai Sei per agevolare l’ingresso dell’Inghilterra nella CEE questa si prefigurava come la più sofferta, anche perché la Comunità era conscia del fatto che la tassazione di queste esportazioni avrebbe significato un duro colpo per le economie dei paesi del Commonwealth, d’altra parte una deroga così significativa avrebbe vanificato gli sforzi della recente Politica Agricola Comunitaria107. La proposta inglese, se accettata, sarebbe stata un’aperta contraddizione ad uno dei principi fondamentali della costruzione agricola europea, inoltre molti altri stati comunitari avrebbero potuto fare propria questa eccezione riprendendo i rapporti commerciali preferenziali con i territori d’oltremare. La questione che si poneva per paesi come Canada, Nuova Zelanda e Australia era legata perlopiù a sentimenti nazionalisti e di appartenenza storica rafforzati dopo la seconda guerra mondiale, in questo il governo inglese doveva affrontare le reticenze dell’opinione pubblica ad accettare un manifesto distacco da questi paesi che ospitavano comunità inglesi di considerevoli dimensioni. La questione economica riguardo l’interdipendenza tra Inghilterra e questi tre paesi giocava un ruolo importante ma non fondamentale, infatti nonostante le importazioni nel mercato inglese in regime di preferenza le economie di Australia, Canada e Nuova Zelanda godevano di un benessere e di una solidità diversa dai paesi africani, Caraibi e della zona pacifica, per i quali le esportazioni nel mercato britannico rappresentavano la fonte di sussistenza più importante al periodo108. Da questa considerazione è necessario quindi effettuare una distinzione tra Commonwealth sviluppato, rappresentato da Australia, Canada e Nuova Zelanda e Commonwealth in via di sviluppo al quale appartenevano gli altri paesi, per i quali sia l’Inghilterra che l’EEC studiavano misure di supporto e cooperazione per renderne le economie interne autosufficienti e adatti ad una competizione in regime di libero mercato. Rimaneva a riguardo cruciale la questione export, infatti la Comunità vedeva nel Commonwealth sviluppato un diretto concorrente nella produzione di una vasta gamma di prodotti industriali lavorati e semi lavorati, di varie materie prime e di alcuni generi alimentari, ogni concessione ai vecchi dominions avrebbe rappresentato una sfida troppo grande per il neonato mercato comune europeo, questo favoritismo avrebbe permesso a partners commerciali come gli USA e il Giappone di accampare pretese per ottenere lo stesso trattamento.109 107 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B,FCO 69/385, National archive, London 108 J. Pinder, Britain and the Common Market, London, The Cresset Press, 1961, pp.78-79 109 P.L.Robertson, Britain, the Dominions and the EEC, pp.107 ss. 48 Secondo la CEE il vecchio Commonwealth non avrebbe dovuto avere nessun trattamento di favore anche perché in una valutazione del volume degli scambi commerciali tra Inghilterra e questi paesi non era molto elevato. Un'altra questione che non destava preoccupazione nell’ambito dei negoziati era, per l’Inghilterra , l’area del Commonwealth rappresentata da Sud Africa, Singapore, Borneo del Nord, Brunei, Sarawak, Aden, Trinidad, Malta e Gibilterra; infatti questi paesi presi singolarmente non rappresentavano per la madre patria zone di interesse strategico e già da tempo le loro economie erano state rafforzate da regimi di forte autarchia o da legami commerciali regionali110. Il gruppo che rappresentava un insidia maggiore era quello dell’Africa, per le quali si prospettava un adesione alla Comunità, essendo le loro caratteristiche economiche e politiche simili a quelle di molti paesi già entrati a far parte della Comunità tramite alla parte IV del Trattato di Roma. Questa soluzione avrebbe consentito di arginare le perdite dovute all’ingresso dell’Inghilterra nella CEE e avrebbe garantito di allargare il loro mercato agli ambiti comunitari. Questo avrebbe consentito maggiore libertà di movimento commerciale ma anche maggiore concorrenza e quindi competizione, che avrebbe, secondo molti, controbilanciato i vantaggi determinati dall’allargamento. L’aumento degli stati associati avrebbe potuto compromettere la funzionalità del sistema associativo, creando disparità significative dovute a sostanziali differenze nei sistemi produttivi, contesti sociali e situazioni economiche interne, un eterogeneità dei competitors avrebbe rappresentato molti svantaggi per i paesi commercialmente più forti, e quindi i Sei. Inoltre paesi storicamente legati alla CEE in ambito commerciale, come l’America Latina o i già citati USA e Giappone, non avrebbero accettato passivamente un ampliamento dell’area preferenziale comunitaria per permettere l’adesione dei paesi del Commonwealth. In particolare gli Stati Uniti manifestavano da tempo perplessità sulla natura palesemente discriminatoria del sistema associativo e cercavano di sfruttare la rinegoziazione degli accordi di associazione per fare pressioni, ed era probabile che se i negoziati avessero portato ad un annessione del Commonwealth africano e dell’India Occidentale la politica statunitense sarebbe stata di aperto ostruzionismo. 2.7 EEC AND COMMONWEALTH AGREEMENTS FINE DEGLI ACCORDI BILATERALI TRA INGHILTERRA E COMMONWEALTH Durante i negoziati tra Inghilterra e CEE numerosi documenti mostrano la volontà inglese di apportare sostanziali modifiche ai rapporti politici e commerciali che la legavano ai paesi del Commonwealth. Questi ultimi esprimevano in numerose sedi le perplessità e le preoccupazioni che questo comportava, sentimenti dovuti al fatto che numerosi paesi del Commonwealth vedevano nei paesi industrializzati della CEE e nelle loro economie degli avversari temibili e difficilmente avrebbero retto il confronto in un mercato completamente liberalizzato nel quale non esistessero più rapporti privilegiati con l’Inghilterra e nel 110 Political consultation between UK and EEC countries about attitude toward South Asian countriesFS 2/S, FCO 37/1186 49 quale il blocco europeo, nella loro opinione, avrebbe assunto una posizione predominante e un atteggiamento “neo-colonialista”111. Le posizioni dei paesi asiatici del Commonwealth erano di relativa apertura, nonostante questo mantenevano l’opinione che l’ingresso dell’Inghilterra nella CEE, e il conseguente allargamento di questa, avrebbe rappresentato la nascita di nuove barriere per il loro commercio, soprattutto nei settori agricolo e tessile e un loro indebolimento dovuto alla “perdita di interesse112” da parte dell’UK nei confronti dei loro prodotti e una conseguente mancanza degli aiuti britannici indispensabili per lo sviluppo dell’aerea. Un banco di prova per l’Inghilterra sarebbe stato l’European Summit che si sarebbe tenuto nell’ottobre 1972, nel quale i funzionari inglesi avevano il dovere di ridiscutere gli accordi formalizzati con la Conferenza di Yaoundè e proporre una ripartizione degli aiuti allo sviluppo destinati ai paesi del Commonwealth con Francia e Germania, se questi intenti fossero stati perseguiti l’Inghilterra avrebbe fugato i dubbi dei paesi dell’Unione e acquistato maggiore credibilità agli occhi dei partner europei nei negoziati. Questo presupponeva l’inizio di una campagna che nel triennio avrebbe coinvolto la nomenclatura politica in una azione di convincimento che avrebbe portato rappresentanze in tutti i paesi dell’Unione. Una minuta del 9 luglio 1972 del Commonwealth Co-operation Department 113elenca quali dovessero essere le modalità ufficiali e non, attraverso le quali i funzionari avrebbero pubblicizzato l’iniziativa. Tra queste rientravano visite di protocollo, un programma di scambi giovanili114, il potenziamento di istituzioni come il Commonwealth Secretariat, il Commonweath Institute, la Commonwealth Foundation e la Agricoltural Bureau e organizzazioni non governative come la Royal Commonwealth Society, la English Speaking Union e altre che promuovessero visite, studi, seminari e scambi culturali. Un documento emanato dal Trade Policy Department115 spiega come dal 31 gennaio 1973 l’Inghilterra debba porre fine agli accordi bilaterali per il commercio stipulati con l’Australia , la Nuova Zelanda, il Pakistan, il Canada, l’India e il Sud Africa. Questa decisione tendeva a evitare una situazione di potenziale conflitto con le condizioni della CEE, di cui il l’Inghilterra si preparava a far parte. Con una operazione portata avanti l’estate precedente era stato raggiunto un accordo con i governatori delle colonie interessate e il termine degli accordi sarebbe stato comunicato non più tardi del 31 dicembre dagli ambasciatori presenti nelle province interessate. Nel caso dell’India una speciale lettera ministeriale testimonia il fatto che nonostante la fine degli accordi commerciali la partnership non sarebbe venuta meno. L’entrata nella CEE segnava una svolta decisiva nella politica diplomatica inglese e una decisa reinterpretazione del suo ruolo e della sua politica di potenza, soprattutto riguardo il concetto di Commonwealth. 111 Department of Trade and Industry, commercial division and external relations, Bilateral Relations between EEC and the Commonwealth E 6/502/1 PART K, FCO 30/1399 112 Department of Trade and Industry, commercial division and external relations, Bilateral Relations between EEC and the Commonwealth E 6/502/1 PART K, FCO 30/1399 113 Commonwealth fears about Britain entry in the EEC, Commonwealth Co-operation Department, Termination of Commonwealth Agreements MC 1/502/1, FCO 67/644 114 Commonwealth youth exchange, promosso dal British Council. 115 Trade policy Department, 21 december 1972, Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B FCO 69/385 50 “L’analisi presentata dal documento è deliberatamente radicale ma rende l’idea. L’Australia, La Nuova Zelanda e il Canada sono membri della Famiglia e importanti centri dei nostri interessi nazionali e tali devono rimanere, ma la verità è che noi esercitiamo un influenza molto piccola in questi territori e questa verrà ancora meno con il passare degli anni, è praticamente impossibile riconciliare la nostra politica con gli stati dittatoriali africani, per quanto riguardo gli Stati asiatici, permangono le loro radici democratiche, ma l’assenza del nostro personale favorisce la tendenza a ritornare ad una forma di democrazia corrotta. Sono d’accordo con chi sostiene che dobbiamo mantenere le nostre relazioni bilaterali con il vecchio Commonwealth, ma sostengo che i nostri sforzi debbano essere portati a salvaguardare gli interessi economici più importanti, rappresentati al momento nel nuovo Commonwealth”116 Risulta chiara l’intenzione di non introdurre drammatici cambi nelle politiche sinora attuate. Riguardo i territori dipendenti, ad eccezione di Gibilterra e Honk Kong, per i quali ancora si studiavano soluzioni, le proposte vertevano sulla possibilità di istituire un’area di duty free mantenendo i privilegi di un regime di preferenza commerciale . Venti paesi indipendenti117 offrirono tre alternative di associazione e cooperazione con la Comunità Economica Europea, proposte contenute nel protocollo 22 del Treaty of Accession118 . Queste erano: • • • Associazione i cui presupposti sarebbero stati discussi e fissati da una nuova convenzione di Yaoundé. Accordi commerciale sulla base dell’Arusha Agreement. Qualunque accordo che non vincolasse gli Stati in una qualsiasi forma di associazione, ma che semplicemente incrementasse gli scambi commerciale. Da questa serie di opportunità erano esclusi gli Stati asiatici del Commonwealth per problemi di natura commerciale ed economica. Per quanto riguardava l’Old Commonwealth i delegati britannici facevano notare che da molti anni il commercio, per esempio del Australia era maggiore con gli Stati Uniti e il Giappone che con l’Inghilterra, d’altro canto questa aveva aumentato i rapporti economici con l’Europa. La delegazione inglese sin dall’inizio vedeva nella prima possibilità la scelta migliore, mentre la maggior parte dei paesi interessati nei negoziati lamentavano la decisa influenza francese e l’obbligo di preferire i paesi europei nei loro commerci. Qualunque scelta fosse stata effettuata non sarebbe stata, come assicurato in molte sedi, un danno per i paesi del Commonwealth, nei negoziati a Bruxelles l’Inghilterra aveva come direttiva quella di difendere gli interessi della sua economia e quindi quella dei paesi a lei legati, per quanto riguardava i paesi del Commonwealth asiatico era già in vigore una “Common Declaration of Intents” che vincolava la CEE a trovare soluzioni vantaggiose se l’apertura dell’Inghilterra al mercato comunitario avesse comportato problemi o svantaggi, così come Malta e Cipro avevano siglato un patto commerciale con la CEE per mantenere inalterata la loro situazione dopo il 1973. 116 Memorandum del segretario di Stato, Foreign and Commonwealth Office Document, Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B FCO 69/385 5 December 1972 117 EEC Commonwealth or Trade Agreements under Protocol 22, MTG 1/598/2 PART C-222 118 Il protocollo 22 del Trattato di Roma regolava le relazioni tre EEC e i PVS 51 Per quanto riguardava l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda, nonostante la le loro economie fossero decisamente più sviluppate e il loro volume di scambi con l’Inghilterra abbastanza esiguo, ricevettero assicurazioni riguardo il fatto che oltre il periodo di transizione, gli unici beni ai quali sarebbe stata applicata la Tariffa Esterna Comune sarebbero stati i manufatti industriali119, senza nessuna ripercussione nella produzione agricola e con la possibilità di avere un lungo periodo di tempo per adattarsi ai cambiamenti nella scena internazionale e adottare le relative contromisure. Riguardo le esportazioni di burro e formaggio dalla Nuova Zelanda, si raggiunse un compromesso che il Primo Ministro neozelandese Sir Keith Holyoake definì “easily the best possible deal that we can get”120. Questo spiegava come l’Inghilterra stesse svolgendo i negoziati, quali fossero le sue priorità e quanto, seppure lentamente, stesse raggiungendo compromessi che potessero soddisfare tutte le parti in gioco. “Our entry in the EEC does not means our turning our backs on this countries, the intensification of our relationship with our european partners cannot take place of the ties of history, family, culture and language which we share with the Commonwealth”121 Molte correnti di pensiero reputavano che un’associazione come il Commonwealth sarebbe stata comunque soggetta a dinamiche geografiche e storiche che ne avrebbero modificato, se non irrimediabilmente compromesso la natura e i rapporti tra i componenti. Se l’Inghilterra dal 1961 aveva avviato negoziati con la Comunità Economica Europea, gli altri membri avevano comunque volto la loro attenzione a partner estranei all’associazione, con la stipula di trattati bilaterali o multilaterali o l’ingresso di altri paesi nell’associazione. 119 COMMONWEALTH PARLAMENTARY ASSOCIATION, THE COMMONWEALTH AND EEC ENLARGEMENT, 1972, Relations between The EEC and Commonwealth, MWE 3/502/1 PART A1-25 FCO 30/C 120 COMMONWEALTH PARLAMENTARY ASSOCIATION, THE COMMONWEALTH AND EEC ENLARGEMENT, 1972, Relations between The EEC and Commonwealth, MWE 3/502/1 PART A1-25 FCO 30/C 121 Speaking notes, THE COMMONWEALTH AND THE EEC, Relations between The EEC and Commonwealth, MWE 3/502/1 PART A1-25. FCO 30/1815 52 53 CAPITOLO III I RAPPORTI TRA COMMONWEALTH E CEE 3.1 L’INIZIO DELLA COOPERAZIONE Durante i negoziati molte delle opinioni che vertevano contro l’entrata dell’Inghilterra nella CEE avevano come argomenti il radicale cambiamento che questo avrebbe comportato nelle politiche inglesi nei confronti di quelle che venivano viste come economie in via di sviluppo, il cui apporto inglese in termini commerciali ed economici era fondamentale. La cancellazione del Commonwealth Preference System avrebbe drammaticamente aumentato il divario tra la CEE e i paesi in via di sviluppo, e se non fosse stato rimpiazzato da politiche di sostegno e cooperazione, avrebbe colpito le economie già deboli e instabili. L’adozione da parte dell’Inghilterra della Common Agricoltural Policy avrebbe comportato l’adattamento al regime liberista proposto dalla comunità , condizionando le importazioni soprattutto di zucchero dai PVS verso l’Inghilterra, di conseguenza il flusso di aiuti sarebbe stato ridimensionato e in gran parte indirizzato verso l’European Development Found che in quegli anni iniziava a dare forma ai progetti di cooperazione finanziaria e sviluppo delle infrastrutture promossi dalla CEE, che avrebbero messo i paesi del Commonwealth nello stesso piano degli altri PVS, con meno possibilità di ottenere preferenze commerciali e aiuti finanziari122. In questi termini il concetto di liberismo e il modo in cui questo incide nelle economie in un periodo di lungo raggio vengono lungamente discussi, da una parte le lobby conservatrici e liberali tendono a promuovere un commercio egualitario senza regimi preferenziali, che ovviamente porta le economie industrializzate ad essere sempre più competitive mentre le altre a soccombere sotto dazi e tariffe insostenibili per i loro flussi di esportazione, dall’altra parte inizia a prendere piede la politica orientata a scelte più sostenibili, introducendo e implementando aiuti allo sviluppo e scelte volte a sostenere economie in crisi incapaci di reggere il confronto in un regime pienamente concorrenziale e paritario. La combinazione di fattori come mancanza di crescita di alcune economie, la domanda di materie prime sempre più crescente da parte di un mercato in espansione, i dubbi riguardo un sistema liberale, portano alla crisi della concezione del mercato comune europeo nel suo aspetto dualista di mercato liberale e concorrenziale con attenzione alla necessità di sviluppo di alcuni paesi, infatti, con i negoziati dell’Inghilterra, ci si rende conto che i due elementi sarebbero stati in aperto conflitto in un mercato allargato anche ai paesi del Commonwealth inglese123. Si rende quindi auspicabile un progetto che coinvolga scelte politiche, economiche e sociali, per rispondere al bisogno di collaborazione prospettato da un allargamento del regime associativo tra EEC e PVS. L’adesione alla CEE avrebbe significato per l’Inghilterra conformarsi all’insieme dei complessi rapporti che regolavano le relazioni della comunità con i Paesi in via di 122 Provision Relating to EEC Nationals, Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 123 B.Brivati, e H.Jones, From Reconstruction to Integration. Britain and Europe since 1945, London, Leicester University Press, 1993. P.328 54 sviluppo e non solo, come era avvenuto in passato attenersi ad un regime di non discriminazione sancito dal GATT e regolato da istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, ma entrare in uno schema più organico di aiuti e cooperazione. Innanzitutto ciò richiedeva l’abolizione del Commonwealth Trade Preference System, attraverso i quali materie prime e prodotti non lavorati entravano in un regime di duty free e senza restrizioni quantitative in Inghilterra e inoltre aderire al Generalised System Of Preference attraverso il quale intrattenere relazioni commerciali con i PVS senza alcuna distinzione e discriminazione124. La CEE prevedeva un insieme di accordi bilaterali, siglati dai singoli stati aderenti alla Comunità oltre che un articolato piano di promozione dello sviluppo in seno alla Comunità nei confronti dei PVS, in modo da conciliare il passato coloniale, comune a molti paesi comunitari, con il mantenenimento di relazioni con le vecchie colonie e territori d’oltremare, istituzionalizzate attraverso l’azione di uno strumento comunitario come l’European Development Found. Questo programma prese forma con la prima convenzione di Yaoundè, tra la EEC e i Paesi AASM nel 1961, per la promozione di un area di libero scambio attraverso il quale le esportazioni dei paesi AASM, escludendo i prodotti coperti dalla Common Agricoltural Policy, sarebbero entrati nel mercato comunitario liberi da imposizioni tariffarie. Tali accordi oltre a limitare le importazioni ai beni non competitivi con la produzione comunitaria, imponevano anche che il commercio tra EEC e PVS non danneggiasse la produzione dei paesi aderenti all’EFTA, in sostanza solo alcune materie prime e prodotti industriali semilavorati potevano godere di un regime di preferenza commerciale, se a questo si sommano le rimostranze di Stati Uniti, America latina e altri paesi produttori riguardo presunte violazioni del GATT. La convenzione di Yaoundè rappresenta una misura abbastanza deludente come incentivo allo sviluppo, infatti durante i lavori preparatori della convenzione, gruppi di pressione, lobbies e comparti produttivi si mobilitarono perché la Convenzione non apportasse decisioni in qualche modo lesive dei loro interessi, sarà solo con la seconda Convenzione e successivi accordi multilaterali che si compieranno passi concreti di aiuto, sostegno e cooperazione125. Durante i negoziati la Comunità prospetto all’Inghilterra alcune possibilità per eludere i vincoli che la legavano ai paesi del Commonwealth e di conseguenza impedivano il suo ingresso nella CEE, l’offerta originale fu quella di estendere a specifici territori, l’Africa Centrale, Honk Kong e Gibilterra, la Convenzione di Yaoundè. Nessun altro specifico accordo era stato prospettato per i restanti paesi facenti parte del Commonwealth. Da questo primo accordo l’Inghilterra propose di estendere i benefici accordati anche alle Mauritius e agli stati ACP. Le colonie facenti parte del Commonwealth asiatico, le cosiddette Seven Outside, non ottennero niente, se non la possibilità di cercare successivamente di stabilire relazioni commerciali non vincolanti, in base a trattati bilaterali di cooperazione commerciale126. In effetti, pochi anni dopo la seconda convenzione di Yaoundè, furono firmati accordi bilaterali con India, nel 1974, Pakistan e Sri Lanka nel 1975 e Bangladesh, nel 1976127. 124 EEC Accession, Termination of CPA and others bilateral Agreements, EEC: UK membership and Commonwealth Countries FCO 20/19 125 M.Lister, The European Union and the South, Routledge, London pp. 108-109 126 Political consultation between UK and EEC countries about attitude toward South Asian countries FS 2/S, FCO 37/1186 127 A.Shonfield, The Commonwealth and the Common Market, op. cit., p.32 55 Naturalmente dall’entrata in atto dello Generalised System of Preferences i rapporti tra Inghilterra e quell’area conosciuta come terzo mondo subirono importanti modifiche, infatti si rese necessario armonizzare i rapporti tradizionali con quello proposto e implementato dalla CEE, l’Inghilterra era favorevole, anche successivamente al suo ingresso nella CEE, a mantenere un regime di duty free senza restrizioni quantitative per tutti i prodotti agricoli e industriali, con una specifica clausola che se nel caso le importazioni avessero pregiudicato la produzione nazionale queste sarebbero state sospese o ridimensionate, mentre il piano della CEE prevedeva un rigido schema di restrizioni, tutele al mercato comune e misure per salvaguardare la Politica Agricola Comune, oltre all’astensione di tariffe sull’importazione di quasi tutti i prodotti industriali, ma non da una vasta gamma di prodotti agricoli, che rappresentavano la maggior quota di produzione e quindi esportazione da parte di questi paesi. Le pressioni britanniche si concentravano soprattutto nelle contrattazione delle quote di produzione di prodotti agricoli e relative tassazioni, la liberalizzazione del comparto agricolo risultante dall’apertura del mercato comune era meno completa e comprensiva dei beni prodotti dai paesi del Commonwealth di quanto l’Inghilterra si aspettasse, nonostante alla lista dei prodotti ammessi nella lista del GPS di the, caffè istantaneo, ananas, burro di cacao e olio di cocco. Nel caso dei tessuto filati di cotone, esclusi dalla lista GPS, nel commercio rimanevano sino alla seconda Convenzione di Yaoundè, inclusi nello schema di tassazione del Commonwealth Preference System e sarebbero stati inclusi negli accordi multilaterali di cooperazione commerciale con i Long-Term Arrangement on Cotton Textiles (LTA) rientranti nell’ambito del GATT, gli altri prodotti tessili vennero inclusi sia negli schemi di preferenza del Commonwealth sia in quelli della CEE sino ad arrivare alla sostituzione dei LTA con i Multifibre Textile Agreement (MFA) che adeguarono il commercio dei tessili a quello del cotone128. L’ingresso dell’Inghilterra nella CEE permise quindi di ampliare il mercato ed estendere le relazioni commerciali a quasi tutti i paesi del terzo mondo, eliminando le barriere che impedivano un’integrazione economica più completa. Nonostante questa constatazione, durante il processo di integrazione dell’Inghilterra nella Comunità Economica Europea e dei paesi del Commonwealth nel mercato comune, molti osservatori rilevavano l’impossibilità tuttavia presente dei paesi del Commonwealth asiatico di accedere al mercato comune europeo in una condizione paritaria rispetto agli altri paesi in via di sviluppo. Le concessioni ad hoc negoziate con questi paesi permettevano solo parzialmente di godere del sostegno comunitario vitale per queste economie129. Nonostante i sei paesi del Commonwealth asiatico non partecipassero alla creazione del ASEAN nel 1967, la presenza di una nuova realtà associativa commerciale costituita dall’Association of South East Asian Nations, permise a tutta l’area di godere delle relazioni commerciali e politiche più solide tra l’area e la Comunità Economica Europea. CEE E ASEAN Membri fondatori dell’Asean furono: l'Indonesia, la Malaysia, le Filippine, Singapore e la Thailandia, seguiti nel 1984 dal Brunei, nel 1995 dal Vietnam, nel 1997 dal Laos e dal Myanmar (ex-Birmania) e, nel 1999, dalla Cambogia. 128 M. Shanks e J. Lambert, Britain and the New Europe. The Future of the Common Market, Op.Cit, p.176 129 Political consultation between UK and EEC countries about attitude toward South Asian countries FS 2/S, FCO 37/1186 56 Il fine primario di tale Associazione era originariamente di natura essenzialmente politica. Essa fu costituita negli anni della "guerra fredda", nel periodo più acuto e drammatico della guerra in Vietnam, proprio in funzione anti-Vietnamita, contro la minaccia del regime comunista di Hanoi e dei suoi protettori esterni (Urss e Cina). Nata come strumento per arginare l'espansione comunista, l'Associazione ha mantenuto anche dopo la fase di "disgelo" la sua impronta politica, prestando sempre particolare attenzione alle questioni geopolitiche e di sicurezza130. Durante tutti questi anni l’Asean ha tuttavia contribuito alla stabilità ed all’affermazione di un clima pacifico in tutta la regione, svolgendo inoltre un ruolo importante nella risoluzione dei conflitti alle sue frontiere. Questo è in pratica il risultato più tangibile dell’Asean, senza il quale il Sud-est asiatico probabilmente non avrebbe potuto conoscere una crescita economica così rapida. Sintomatico del radicale cambiamento del clima politico e dell’evoluzione della stessa organizzazione verso gli aspetti di carattere maggiormente economico è stato l’ingresso nell’Asean dello stesso Vietnam riunificato, sancito nel luglio del 1995. Vari furono i tentativi effettuati per realizzare all’interno dell’Asean una maggiore cooperazione di natura economica. Si possono, in particolare, individuare tre fasi distinte: • la prima fase comprende gli anni che vanno dal 1967, anno di nascita dell'Associazione, al 1976, anno del Summit di Bali, durante il quale sono state gettate le fondamenta politiche della cooperazione economica, rimuovendo le tensioni esistenti tra gli Stati, risolvendo i conflitti e costruendo gradualmente un clima di fiducia e consenso; • la seconda fase va dal 1976, anno del Summit di Singapore, al 1992, e si caratterizza per la formazione di numerosi comitati economici con specifiche competenze relative a: commercio, turismo, industria, settore minerario ed energia, alimentazione, agricoltura e foreste, trasporto e comunicazione, banche; • la terza fase, infine, ha visto il lancio, nel gennaio 1993, dell'Afta (Asean Free Trade Area), nata con l’obiettivo fondamentale di realizzare tra i paesi aderenti all'Asean, entro il 2008 (obiettivo successivamente anticipato al 2003), un'area di libero scambio131. Per mezzo dell'Afta, finalizzata alla promozione dell'abolizione delle barriere tariffarie e non tariffarie all'interno degli Stati membri, per poi fissare successivamente una tariffa esterna comune, i Paesi dell'Asean intendono consolidare il loro legame interno ed affermarsi sui mercati mondiali, al fine di creare le condizioni favorevoli per la realizzazione di un ambiente ottimale per attrarre capitali esteri nella regione. Negli ultimi anni si è inoltre affermata la volontà comune di creare una più ampia cooperazione economica tra le regioni dell'Asia e del Pacifico. Tale spinta comune ha condotto nel 1989 alla costituzione dell'Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation forum), che riunisce attualmente 21 membri: l’Indonesia, la Malaysia, le Filippine, Singapore, la Thailandia, il Vietnam, il Brunei, il Giappone, la Cina, la Corea del Sud, Taipei, Hong Kong, l'Australia, la Nuova Zelanda, la Papua Nuova Guinea, gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, il Cile, il Perù e la Russia. La Comunità europea è stata il primo interlocutore internazionale dell’Asean. Tra le due aree sono state avviate relazioni informali sin dal 1972. Non sono stati, tuttavia, registrati progressi di rilievo nelle relazioni bilaterali fra i due blocchi fino alla fine della “guerra fredda”. Nonostante, infatti, la prima riunione del Ministri degli Affari economici dell’Asean e della CEE si sia svolta nell’ottobre del 1985, è solo dal 1991 che la Comunità ha 130 131 www.aseansec.org www.aseansec.org 57 adottato nuove linee di azione nei confronti dell’Asia puntando su una maggiore cooperazione in tema di formazione, scienza, tecnologia e capitale di rischio. Dal punto di vista istituzionale, il più alto livello di dialogo è rappresentato attualmente dagli incontri biennali ministeriali Ue- Asean (Aemm) a cui partecipano i Ministri degli esteri delle due aree geografiche. La Commissione ha definito nei confronti dell’Asean una nuova strategia volta a rafforzare i legami tra i due processi di integrazione regionale, in particolare sviluppando il dialogo politico, favorendo l’integrazione dell’associazione al sistema multilaterale ed agevolando gli scambi commerciali e gli investimenti fra le due regioni. Nel marzo 1994, nell’ambito di tale nuova strategia dell’Ue nei confronti delle economie asiatiche, si è svolto a Bangkok il primo Vertice Ue-Asia (Asem)132. Esso ha gettato le basi per l’intensificazione del dialogo politico fra le due aree e per la promozione di nuove prospettive di cooperazione in vari settori. Nell’aprile del 1998 ha avuto luogo il secondo Vertice Asem, in occasione del quale sono state intraprese diverse azioni specifiche destinate a rafforzare le relazioni economiche e commerciali bilaterali. Nel 1996 è, inoltre, entrato in vigore un accordo di cooperazione tra la Ce ed il Vietnam che concerne la cooperazione economica e commerciale fra le due aree, la cooperazione nei settori dell’istruzione e della cultura, la promozione degli investimenti e la salvaguardia dell’ambiente. La presenza dell’Unione nell’area asiatica rappresenta, tuttavia, un traguardo ambizioso. L’Europa non è in condizione di competere con il Giappone e gli Usa nell’area AsiaPacifico per evidenti ragioni geografiche, economiche, ma anche politiche. Essa, inoltre, non è in grado di farsi promotrice di un organismo intercontinentale analogo e concorrenziale all’Apec. Tuttavia, la sua presenza nell’area rimane fondamentale all’approfondimento del processo di integrazione regionale in atto, soprattutto per quanto concerne la creazione della zona di libero scambio dell’Afta, e per la promozione di programmi di investimento, di collaborazione economica e di assistenza tecnica fra le imprese locali e le imprese europee. 3.2 LA POLITICA COMMERCIALE COMUNE L’approccio liberista nei confronti degli scambi commerciali internazionali rappresenta per la CEE un obiettivo di importanza vitale. Dalla firma dei Trattati di Roma e dalla sua costituzione la CEE si è imposto come un attore di primo piano nella scena commerciale e politica internazionale e intrattiene relazioni di natura economica e politica con pressoché tutte le aree mondiali. Al fine di contribuire ad uno sviluppo armonioso del commercio mondiale ed alla progressiva rimozione delle barriere doganali, il Trattato di Roma prevede l’adozione e lo sviluppo da parte della Comunità di una politica commerciale comune, come disciplinato dagli artt.110 e 116133. 132 www. europa.eu/constitution/futurum/documents/speech/sp201002 Art. 110: Con l'instaurare un'unione doganale fra loro, gli Stati membri intendono contribuire, secondo l'interesse comune, allo sviluppo armonico del commercio mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali ed alla riduzione delle barriere doganali. La politica commerciale comune tiene conto dell'incidenza favorevole che la soppressione dei dazi fra gli Stati membri può esercitare sullo sviluppo delle capacità di concorrenza delle imprese di tali Stati. Art.116: Nel quadro del campo di applicazione del presente trattato, il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251, adotta misure per rafforzare la cooperazione doganale tra gli Stati 133 58 Gli elementi costitutivi di tale politica commerciale comune possono essere così sinteticamente riassunti: • l’adozione di una tariffa esterna comune (Tec), corollario indispensabile alla creazione dell’unione doganale. La tariffa esterna comune è stata inizialmente calcolata sulla base della media aritmetica dei dazi nazionali all’importazione, ma è stata progressivamente ridotta nell’ambito dei negoziati tariffari internazionali in seno al Gatt. Le modifiche e le variazioni della tariffa esterna comune rimangono di competenza esclusiva della Comunità, essendo esclusa la possibilità per gli Stati membri di modificare unilateralmente tale tariffa. In pratica in ogni negoziato Gatt nel quale è stato discusso il livello della tariffa esterna comune, è stato compito del Consiglio fissare i criteri da seguire nelle negoziazioni e compito della Commissione, con l’ausilio di un Comitato speciale istituito dal Consiglio stesso, condurre materialmente le trattative. Sempre al Consiglio spetta, inoltre, la ratifica dell’accordo finale che diventa vincolante per tutti gli Stati membri; • l’allineamento delle restrizioni quantitative. Trattasi essenzialmente della fissazione di quote comuni all’importazione di taluni prodotti. • la fissazione di principi comuni in materia di sussidi all’esportazione e protezione dalla concorrenza sleale delle importazioni (dumping)11. In questo campo gli Stati membri hanno delegato al Consiglio (che opera su proposta della Commissione) la facoltà di adottare azioni protettive nei confronti degli Stati terzi che pratichino forme di concorrenza sleale. Agli Stati membri è comunque concessa la possibilità di applicare, in situazioni di emergenza, quote sulle importazioni provenienti da paesi terzi, quando l'incremento di queste ultime costituisce una accertata minaccia per l’industria nazionale, ferma restando la facoltà della Commissione di revocarle. • la negoziazione e la firma di accordi doganali e commerciali. Tali accordi, in alcuni casi, non si limitano ad instaurare mere relazioni commerciali, ma vengono finalizzati alla promozione di una vera e propria cooperazione economica. La Comunità partecipa, inoltre, in modo autonomo e con propri rappresentanti alle trattative multilaterali per lo sviluppo del commercio mondiale, sia in ambito Wto che presso l’Unctad. La politica commerciale della CEE è in passato entrata in conflitto con le politiche commerciali realizzate dagli altri principali protagonisti del commercio internazionale. I principali focolai di tensione commerciale si sono tradizionalmente sviluppati in seno al GATT in relazione alle tariffe ed alle barriere non tariffarie. E’ in questo contesto che sono state negoziate progressive riduzioni della tariffa esterna comune nonché concordate regole comuni in materia di standard tecnici, commesse e sussidi pubblici (Dillon Round nel 1961-62, Kennedy Round nel 1964-67, Tokyo Round nel 197379)134. Tuttavia, a fronte delle riduzioni sulle barriere tariffarie, nuove forme di protezione sono state introdotte dagli Stati membri (accordo multifibre, restrizioni volontarie alle esportazioni ecc.) sicché il decennio intercorso fra il 1970 e il 1980, ben lungi dal rappresentare un periodo di liberalizzazione commerciale, è in realtà passato alla storia come periodo di “nuovo protezionismo”. Il settore tradizionalmente caratterizzato dalle maggiori “frizioni” a livello internazionale è rappresentato dal commercio agricolo. membri e tra questi ultimi e la Commissione. Tali misure non riguardano l'applicazione del diritto penale nazionale o l'amministrazione della giustizia negli Stati membri. www.europa.eu.int 134 M. Shanks e J. Lambert, Britain and the New Europe. The Future of the Common Market, London, op.cit., p.187-188 59 Per quanto concerne il settore agricolo, l’aumento del grado di autosufficienza alimentare all’interno della Comunità, amplificato dagli effetti della vendita sussidiata delle eccedenze della EEC sui mercati mondiali, ha determinato inevitabili contraccolpi sull’export agricolo degli altri principali produttori internazionali (Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda)135. Dopo un lungo periodo di conflittualità più o meno latente, ove il principio della “preferenza comunitaria” è stato più volte denunciato come fattore di distorsione del commercio internazionale e strumento di tutela protezionistica delle produzioni europee, le tensioni sono esplose nel corso degli anni ‘70, soprattutto a seguito della decisa presa di posizione degli Usa. Divenuta questione non più rinviabile, la liberalizzazione degli scambi nel settore agricolo è stata quindi portata concretamente all’attenzione di tutti i paesi aderenti al GATT nel corso dei negoziati dell’”Uruguay Round” del 1986. Essa si è confermata la questione più complessa anche in occasione della IV Conferenza ministeriale del WTO, tenutasi a Doha dal 9 al 14 novembre 2001. Di fronte alla pressione degli USA, del gruppo di Cairns (che comprende 18 paesi tra i maggiori esportatori di prodotti agricoli) e dei PVS, la Ue ha accettato che la Dichiarazione ministeriale, contenente le linee guida per l’impostazione dei negoziati, individuasse ambiziosi obiettivi per i negoziati in corso in tema di prodotti agricoli. In particolare, essa individua la necessità di sostanziali miglioramenti all’accesso ai mercati; di una forte riduzione delle forme di sostegno ai mercati interni che provocano distorsioni negli scambi; della riduzione, in vista della futura completa eliminazione, di ogni forma di sussidio alle esportazioni 3.3 LA POLITICA DI ASSOCIAZIONISMO La Comunità europea era, dalla firma dei Trattati attivamente impegnata nella promozione della cooperazione allo sviluppo, che rappresentò uno dei principali campi di realizzazione delle proprie relazioni esterne. Il coinvolgimento attivo della CEE nella cooperazione allo sviluppo dei Pvs derivò da un complesso di elementi storici, politici ed economici. Dal punto di vista storico, riveste sicuramente un ruolo fondamentale il passato coloniale di molti paesi membri ed i loro consolidati legami con numerosi paesi e territori d’oltremare. Dal punto di vista politico, pesa invece il riconoscimento internazionale dell’esistenza di diritti fondamentali della persona all’alimentazione, alla salute, all’istruzione ed alla partecipazione paritaria alla vita sociale, il crescente consenso internazionale sui grandi temi dei diritti umani e dello sviluppo sociale e la maggiore attenzione, a tutti i livelli della società civile, al tema della povertà136. Dal punto di vista economico, infine esiste una stretta interdipendenza commerciale fra l’Europa e le aree in via di sviluppo, sia in relazione alle citate vicende storiche, sia in considerazione della tradizionale necessità dei paesi europei di approvvigionarsi delle materie prime necessarie al processo di industrializzazione. La politica di cooperazione allo sviluppo della CEE si pose i seguenti obiettivi di portata generale: • promuovere nei Pvs un progresso economico e sociale sostenibile, equilibrato e durevole; • agire per la risoluzione dei problemi globali (ambiente, demografia, criminalità) e per il miglioramento della capacità dei Pvs di partecipare alla loro gestione; • valorizzare l’identità europea nel mondo; 135 136 60 www.europa.eu/ pol/agr M.Lister, The European Union and the South, op.cit.,pp. 108-109 • promuovere, nello scenario geopolitico mondiale, un maggior grado di sicurezza comune, attraverso la prevenzione dei conflitti armati, della minaccia nucleare, del terrorismo e dei fenomeni di immigrazione clandestina. La CEE concentrò gli sforzi in direzione di una maggiore promozione della propria cooperazione allo sviluppo. Significativa, a tal proposito, l’introduzione da parte del Trattato di Maastricht di un apposito capitolo ad essa dedicato: “La povertà deve essere intesa nella doppia accezione di povertà di reddito e di povertà umana, caratterizzata dalla negazione delle scelte e delle opportunità basilari per lo sviluppo umano che si riflette in privazioni in termini di speranza di vita, accesso all’istruzione e servizi di prima necessità”137 La cooperazione allo sviluppo della CEE viene ad essere in tal modo, per la prima volta, istituzionalizzata ed espressamente compresa fra le competenze della CEE previste dai Trattati. Si può tuttavia affermare che la politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo nasca, in realtà, già nel 1958 con la firma dei Trattati di Roma. Ci si riferisce a quell’insieme di disposizioni concernenti l’assistenza finanziaria e tecnica alle colonie o ai territori e paesi d’oltremare (Ptom), caratterizzati da un legame storico e commerciale con uno dei Sei paesi fondatori della Comunità. Tale prima forma di associazione dei territori d’oltremare alla CEE era infatti fondata su un’ottica globale, in quanto comprendeva, sia disposizioni afferenti specificamente le relazioni commerciali fra le parti contraenti, sia disposizioni concernenti l’aiuto allo sviluppo. (non si parlava ancora di cooperazione). L’intensificarsi, nel corso degli anni ‘60, del processo di “decolonizzazione” fece tuttavia evolvere il complesso delle relazioni fra i paesi europei e le ex-colonie. A metà degli anni '70, l’operare congiunto di una serie di fattori, quali il mutato contesto internazionale, il desiderio di vari Stati membri di sviluppare una politica mondiale di cooperazione e, soprattutto, l'adesione della Gran Bretagna alla Comunità, paese che manteneva relazioni commerciali privilegiate con numerosi paesi in via di sviluppo (riuniti nel Commonwealth), determinò un nuovo radicale cambiamento della politica di cooperazione138. Le preoccupazioni europee causate dalla prima crisi petrolifera,unite agli interessi geostrategici globali ed al senso di responsabilità derivante dal proprio passato coloniale, resero quindi possibile la realizzazione, al termine di due anni di negoziati, del primo vero Accordo di Partenariato tra la Comunità e numerosi paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp). Il problema del rapporto della CEE con i Paesi Terzi Mediterranei (Ptm) e con gli altri Paesi e Territori d’Oltremare (Ptom) si pose già al momento della firma dei Trattati di Roma nel 1957139. Si scelse, su proposta della Francia, di favorire l’apertura graduale di questi territori all’espansione commerciale degli altri paesi europei, allegando al Trattato CEE un Protocollo relativo alle merci “originarie e provenienti da taluni paesi che beneficiavano di un regime particolare all’importazione in uno degli Stati membri della CEE”. Tale protocollo provvedeva a mantenere temporaneamente invariato il regime doganale preferenziale del quale fruivano le importazioni provenienti dai paesi tradizionalmente legati all’uno o all’altro Stato membro della CEE. Successivamente, l’attenzione comunitaria per i Ptm si manifestò nella realizzazione di “Accordi di Associazione” con la Grecia (1961), la Turchia (1963), Malta (1970) e Cipro (1972), e nella conclusione, durante il periodo 1965-72, di “Accordi associativi per il mantenimento di particolar vincoli” con Tunisia e Marocco (1969) e di “Accordi 137 www.europa.eu H.H. Liesner, Britain and the Common market, Cambridge university press, Cambridge, 1971, p.87 139 M.Lister, The European Union and the South, op.cit.,p.34 138 61 commerciali” con Libano (1965) Spagna ed Israele (1970), Portogallo, Egitto (1972) e Jugoslavia (1973). Tale insieme di accordi, tuttavia, non sta a significare l’esistenza, già in quegli anni, di una vera e propria politica mediterranea della CEE.140. Gli accordi di associazione con la Grecia e la Turchia rispondono all’esigenza di ancorare maggiormente all’Europa due paesi già membri dell’alleanza atlantica, mentre il resto degli accordi mirano esclusivamente a preservare i legami economici bilaterali già esistenti fra i paesi membri della Comunità e le economie del Mediterraneo; ivi compresi gli accordi di associazione con Malta e Cipro, finalizzati non all’adesione, ma alla creazione di un’unione doganale. L’instaurazione di relazioni privilegiate bilaterali fra i Sei paesi della CEE ed alcuni Ptm non determinò in quegli anni benefici evidenti in termini di interscambio commerciale fra le due aree, che rimase in quegli anni improntato al tipico modello coloniale, basato sullo scambio di materie prime con prodotti manufatti. Con la Conferenza di Parigi del 19 ottobre 1972 fu avviata la fase della Politica globale mediterranea. Come reso evidente dall’appellativo “globale”, è solo a partire da questo momento che la CEE inizia a considerare il raggruppamento dei Ptm, costituito dai paesi dei due bacini del Mediterraneo, l’Occidentale “Maghreb” e l’Orientale “Machrek”, più la Turchia, Cipro e Malta come un unico interlocutore privilegiato, in considerazione dei profondi legami di natura storica, della prossimità culturale e dei mutui interessi che intercorrono fra tale area ed i paesi del “vecchio continente”. La “Politica globale mediterranea” si concretizzò nella realizzazione, durante la seconda metà degli anni Settanta, fra la Comunità e 15 Ptm (Algeria, Cipro, Egitto, Giordania, Grecia, Israele, Jugoslavia, Libano, Malta, Marocco, Portogallo, Siria, Spagna, Tunisia e Turchia) di una serie di “Accordi di Cooperazione”, in luogo dei precedenti accordi di natura commerciale, e di “Protocolli complementari” agli accordi di associazione precedentemente stipulati. Dal novero dei Ptm rimasero tuttavia esclusi, tra i paesi bagnati dal Mediterraneo, la Libia e l’Albania, mentre fu ricompresa la Giordania, considerata un prolungamento “naturale” della regione Mediterranea in considerazione della situazione geo-politica del Medio Oriente. I nuovi accordi di cooperazione stipulati nel quadro della politica globale mediterranea hanno dato vita ad una categoria di accordi diversa rispetto agli accordi associativi e a quelli commerciali, negoziati fino a quel momento con i paesi dell’area mediterranea. Essi trovavano il loro fondamento giuridico nell’art. 228 del Trattato di Roma ed adottavano uno schema comune, basato sull’instaurazione di relazioni commerciali privilegiate, sulla promozione di una cooperazione economica, tecnica e finanziaria e sulla creazione di nuove istituzioni comuni (un Consiglio ed un Comitato di cooperazione). La caratteristica principale di questi accordi consisteva nella quasi totale unilateralità dei vantaggi commerciali accordati ai Ptm. La Conferenza al vertice di Parigi del 1972, fu un momento fondamentale della vita della CEE. Con essa i nuovi Stati aderenti (Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca) accettarono, di fatto, il modello comunitario sancito dal Trattato di Roma141. Tale fase della politica euromediterranea fu tuttavia deludente, soprattutto in relazione agli ambiziosi obiettivi annunciati. In primo luogo, l’auspicato riequilibrio dell’interscambio commerciale CEE-Ptm non si realizzò ed il ritmo di crescita dei paesi terzi decelerò, fino alla stagnazione, proprio nella prima metà degli anni Ottanta, periodo di piena applicazione dei nuovi accordi. In secondo luogo, l’obiettivo di sviluppare le esportazioni dei Ptm si scontrò contro il tradizionale protezionismo della 140 www.europarl.europa.eu E.Benoit, Europe at Sixes and Sevens: the Common Market, the Free Trade Association, and the United States, op.cit. p.224 141 62 Comunità nei settori agroalimentare e tessile-abbigliamento, mentre le risorse previste nei protocolli finanziari non erano adeguate alla portata degli obiettivi dichiarati (tra il 1979 ed il 1987 gli aiuti finanziari della CEE rappresentarono solo il 3% del totale degli apporti pubblici netti ai Ptm). Infine, il capitolo sociale, contenuto negli accordi stipulati con i paesi del Maghreb e con la Turchia, rimase praticamente inattuato e la stessa “globalità” della politica euromediterranea, nella sua duplice finalità di “cooperazione allargata” (non solo commerciale, ma economica, tecnica, finanziaria e sociale) e di visione globale del rapporto CEE-bacino mediterraneo (in alternativa alla logica bilaterale prevalente) fu una promessa non mantenuta. La stessa scelta di procedere nella gestione della politica globale per mezzo di una serie di accordi di cooperazione bilaterali, in luogo di un’unica Convenzione CEE-Ptm, ha contribuito a far perdere alla “svolta di Parigi” gran parte del suo significato iniziale. CEE E ACP A metà degli anni '70, l’operare congiunto di una serie di fattori, quali il mutato contesto internazionale, il desiderio di vari Stati membri di sviluppare una politica mondiale di cooperazione e, soprattutto, l'adesione della Gran Bretagna alla Comunità, paese che manteneva relazioni commerciali privilegiate con numerosi paesi in via di sviluppo (riuniti nel Commonwealth), determinò un nuovo radicale cambiamento della politica di cooperazione. Le preoccupazioni europee causate dalla prima crisi petrolifera,unite agli interessi geostrategici globali ed al senso di responsabilità derivante dal proprio passato coloniale, resero quindi possibile la realizzazione, al termine di due anni di negoziati, del primo vero Accordo di Partenariato tra la Comunità e numerosi paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp)142. Per ACP si intendono i paesi Africani, dell’area caraibica e pacifica che dopo la convenzione di Yaoundè hanno intrattenuto rapporti commerciali finalizzati alla cooperazione regionale con la Comunità economica europea. Le politiche tra ACP e CEE sono da ricondursi essenzialmente al commercio e relativa regolamentazione di zucchero, delle banane e in seguito del rum. Gli ACP erano composti dagli Stati continentali come Belize e Guyana e le isole, Bahamas, Trinidad e Tobago, Jamaica, Antigua e Barbuda, St. Kitts e Nevis, St. Lucia e St. Vincent. I negoziati furono influenzati dalle pressioni degli Stati Uniti, volte a salvaguardare le loro sfere commerciali e l’ambito operativo delle grandi multinazionali presenti nella regione e determinate a conservare i loro privilegi soprattutto nella produzione e esportazione di frutta. Il Commonwealth britannico comprendeva nella regione del Pacifico cinque territori, dei quali le isole Cayman erano le più popolate, con oltre 26.000 abitanti143. I paesi del Commonwealth avevano strutture economiche molto simili, e a parte il settore agricolo, il turismo iniziava a configurarsi come un settore in espansione che in pochi anni sarebbe diventato traino dell’economia locale. 142 S. Ward, Anglo-Commonwealth relations and EEC membership: the problem of the old Dominions, op.cit. 322-323 143 www.commonwealth.org 63 CEE E AASM Dalla firma del trattato di Roma, la Comunità Economica Europea ha svolto un ruolo di protagonista nella promozione della cooperazione allo sviluppo, che rappresenta un settore decisivo nella realizzazione delle proprie politiche estere. Il coinvolgimento della CEE nella cooperazione, prima economica, in seguito tecnica e finanziaria con i Paesi in via di sviluppo è dovuto ad un complesso di elementi storici, culturali e politici, non trascurabile è infatti il ruolo di potenze coloniali che rivestirono i Sei nel passato e i legami che ancora legano i territori d’oltremare a questi, dal punto di vista politico, pesa il riconoscimento internazionale di diritti fondamentali della persona all’alimentazione, alla salute, all’istruzione e alla partecipazione paritaria alla vita comune, il crescente consenso internazionale sui grandi temi dei diritti umani e dello sviluppo sociale e la maggiore attenzione, a tutti i livelli della società civile, al tema della povertà144. La politica di cooperazione allo sviluppo della CEE si pone i seguenti obiettivi di portata generale da perseguire: • • • • Promuovere nei PVS un progresso economico, sociale e politico sostenibile, equilibrato e durevole. Agire per la risoluzione dei problemi globali, ambiente, demografia, criminalità e per il miglioramento della capacità dei PVS di partecipare alla loro gestione. Valorizzare la cultura europea nel mondo. Promuovere, nello scenario geopolitica mondiale, un maggior grado di sicurezza comune, attraverso la prevenzione dei conflitti armati, della minaccia nucleare, del terrorismo e dei fenomeni di immigrazione clandestina. La politica alla cooperazione nasce già con la trattato di Roma, che disponeva un insieme di disposizioni concernenti l’assistenza finanziaria e tecnica alle colonie o ai territori d’oltremare, caratterizzati con un legame storico con uno dei Sei. L’intensificarsi nel corso degli anni 60 del processo di decolonizzazione, fece evolvere il complesso di relazioni tra i paesi europei e le ex colonie. Come previsto dal trattato la CEE avrebbe dovuto adottare una politica commerciale comune145 al fine di “contribuire allo sviluppo armonico del commercio mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi commerciali ed alla riduzione di barriere doganali”, di rimando il trattato specificava il pieno esercizio della sovranità nazionale in materia di politica estera. Inoltre il trattato conteneva all’Art.131146 e nell’allegato IV un insieme di disposizioni riguardo l’assistenza tecnica e finanziaria alle ex colonie e ai territori d’oltremare. Più specificatamente gli accordi la cui stipula è disciplinata dal trattato di Roma sono: • Accordi Commerciali, previsti dall’Art.113 del trattato, sono tesi a costruire una piena ed evidente politica commerciale comune, contengono disposizioni in materia doganale e commerciale e possono essere di natura preferenziale e sono soggetti alla disciplina internazionale stabilita in materia di accordi commerciali multilaterali • Accordi di Associazione, cioè forme di accordo, appositamente previste dall’ art.238, che non si limitano alla disciplina degli scambi commerciali con i partner 144 R.Fennell, The Common Agricultural Policy of the European Community,op.cit. p.97 www.europa.eu 146 art.131 (ex 110): Con l'instaurare un'unione doganale fra loro, gli Stati membri intendono contribuire, secondo l'interesse comune, allo sviluppo armonico del commercio mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali ed alla riduzione delle barriere doganali. La politica commerciale comune tiene conto dell'incidenza favorevole che la soppressione dei dazi fra gli Stati membri può esercitare sullo sviluppo delle capacità di concorrenza delle imprese di tali Stati. 145 64 • • • esterni, ma prevedono l’instaurazione di diritti e doveri reciproci, azioni comuni e procedure particolari, a loro volta si dividono in due tipologie: Accordi per il mantenimento di particolari vincoli di taluni stati membri con determinati paesi terzi, nati per consentire agli Stati membri di conservare relazioni privilegiate con i territori d’oltremare, il principio di libera circolazione delle merci, prevedendo la graduale riduzione dei dazi sulle loro esportazione e garantendo ai paesi EEC la medesima contropartita, tali accordi prevedevano la concessione di aiuti finanziari e tecnici attraverso l’azione del Fondo Europeo di Sviluppo. Accordi in preparazione di una possibile adesione o dell’instaurazione di un unione doganale, l’altra forma i associazione assunta dagli accordi di associazione è uno strumento finalizzato all’adesione alla Comunità, attraverso l’adozione da parte di uno stato terzo contraente di misure di adattamento all’acquis comunitario. Accordi di Cooperazione, rientrano in questa tipologia gli accordi di natura meno ampia rispetto ai precedenti, i quali si propongono esclusivamente di realizzare una collaborazione economica tra i paesi contraenti, spesso le tematiche di questi accordi esulano dal mero commercio sino a toccare questioni più profonde, come la cooperazione allo sviluppo. Nel corso delle Convenzioni promosse dalla CEE e tenutesi a Yaoundè, capitale del Camerun, la comunità decise di avviare negoziati che portassero alla definizione e alla promozione di politiche mirate allo sviluppo tramite politiche commerciali, intrattenendo relazioni di favore con i paesi in via di sviluppo, e aiuti tecnici e finanziari. La prima Convenzione di Yaoundè del 1963, stipulata dalla CEE e 18 stati appartenenti all’associazione AASM rappresenta il primo passo in tale senso, riguardando congiuntamente disposizioni commerciali e di carattere finanziario e prevedeva per il FES (Fondo Europeo di Sviluppo) una dotazione complessiva di 730 milioni di unità di conto, tale Convenzione fu rinnovata cinque anni dopo per il periodo 1969-74, con una nuova dotazione del FES pari a circa 800 milioni di unità di conto. La prospettiva di un’associazione tra AASM e CEE è stato, sin dalla firma del trattato di Roma, un argomento controverso e spinoso sotto molti punti di vista in seno alla Comunità Europea. La prima proposta fu fatta dalla Francia, il cui Primo Ministro Guy Mollet domandò l’istituzione di negoziati per trovare la giusta forma associativa tra i Sei e i territori dipendenti d’oltremare che avesse come scopo di coltivare relazioni tra questi e il mercato comune europeo. La Repubblica Federale Tedesca e l’Olanda si mostrarono riluttanti dall’inizio, la prima infatti già da anni aveva eliminato le responsabilità dirette nell’amministrazione dei territori dipendenti, mentre la seconda credeva che l’associazione avrebbe comportato ingerenze nel gestire le relazioni post coloniali. Il Belgio, all’epoca ancora responsabile del Congo, e l’Italia, con il protettorato della Somalia valutavano la proposta francese con interesse. La Francia stava da tempo affrontando la questione, concedendo sempre maggiore indipendenza ai territori d’oltremare, per conciliare le relazioni post coloniali con l’appartenenza alla Comunità. Le importazioni di prodotti tropicali in Francia avvenivano da tempo in un regime di prezzi strettamente controllato e tenuto artificialmente basso se confrontato con il livello di prezzi mondiale, ovviamente, come nel caso dell’Inghilterra questo sistema mal si conciliava con le direttive comunitarie, eliminare drasticamente questo sistema avrebbe significato però un enorme shock per le loro economie che non avrebbero potuto far fronte ad un aumento del regime tariffario sulle loro esportazioni. 65 La Comunità pensò quindi di prevedere un associazione che istituisse un regime di preferenza commerciale verso questi paesi nel mercato comune, che avesse come motivazione ultima quello di incentivare lo sviluppo infrastrutturale ed economico dei paesi associati, con le garanzie di esportazioni a condizioni favorevoli, e in seguito vera e propria cooperazione tecnica e finanziaria. Una volta che la Tariffa Esterna Comune fosse stata stabilita i paesi associati avrebbero potuto accedere con i loro prodotti al mercato comune, mentre i paesi che non avessero fatto parte dell’associazione avrebbero avuto uno sbarramento tariffario determinato dalla stessa Tariffa Esterna. Il trattato di Roma prevedeva la formazione di un Fondo di Investimenti di 581 milioni di dollari147per un periodo iniziale di cinque anni, dal 1 Gennaio 1958 al 31 Dicembre 1962; un terzo elemento che venne citato dal trattato era la non discriminazione dei paesi aderenti all’associazione, si ponevano le basi, in un breve riferimento, per norme consuetudinarie in materia di diritto degli investimento e protezione dello straniero. Una clausola importante permetteva la non reciprocità del trattamento preferenziale, i paesi AAMC, potevano non ritenere come primi partners commerciali da tenere in considerazione i Sei della CEE. Il proposito principale dell’associazione si evince da un passo fondamentale del Trattato: “levy such customs duties as are necessitated by their need of development and industrialization or are of a special nature and are intended to contribute to their budgets”148 Con questa intenzione i Sei della CEE si accordarono sull’ammettere all’associazione il Congo belga, la Nuova Guinea e la Somalia, oltre ai territori francesi. Le disposizioni del Trattato stabilivano che l’associazione poteva essere in seguito estesa ad altri paesi, con i quali la Comunità intratteneva relazioni commerciali, cosa che successe con il Suriname e Antille. Bisognerà aspettare il 1963 e la Convenzione di Yaoundè per l’inizio dei negoziati con i paesi che ancora vedevano l’associazione come una minaccia alla loro indipendenza e autodeterminazione, attraverso la Convenzione di Yaoundé questi dubbi furono fugati e si diede inizio ad una proficua collaborazione comprendente quasi tutto il continente africano. Con la raggiunta indipendenza africana nel 1960 si pose il problema di come risolvere il rapporto, che non era più intrattenuto con territori dipendenti ma con veri propri stati sovrani, un accordo tra tutte le parti contraenti decise di continuare nell’assetto precedentemente stabilito sino al termine dei 5 anni preliminari del piano di investimenti, termine, ricordiamo, fissato al 31 dicembre 1962. Questo regime di preferenza commerciale suscitava le critiche di molti altri paesi che ne venivano indirettamente estromessi, come per esempio il Sud America, il Commonwealth britannico e gli stessi Stati Uniti, che in molte sedi espressero le loro perplessità riguardo l’associazione come un regime commerciale discriminatorio i cui principi configgevano con il Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio. Nonostante questo l’associazione sembrava funzionare soprattutto sotto il punto di vista della cooperazione e degli investimenti sul territorio, ogni paese sottoponeva alla commissione europea dei progetti e questa predisponeva le forme di finanziamento, non avendo il diritto di iniziativa ma solo quello di sovrintendere alla attuazione del progetto approvato. 147 148 66 M.Lister, The European Union and the South, op.cit, p.67 www.europa.eu La rappresentanza degli AASM a Bruxelles garantiva uno stretto rapporto di cooperazione tra i membri dell’associazione, anche se il trattato non prevedeva l’istituzione di rappresentanze nel territorio dei paesi associati. Nell’autunno del 1961 iniziarono i negoziati inglesi per l’adesione alla CEE, e come si è visto lo scoglio da superare erano i territori del Commonwealth dell’Africa e dei Carabi. Per i Sei il problema consisteva nel regime di preferenza commerciale di cui godevano questi paesi nei rapporti con l’Inghilterra e paesi come Germania e Olanda proponevano la risoluzione della questione aprendo l’associazione anche ai territori del Commonwealth, in modo da eliminare le discriminazioni di trattamento e permettere ai territori inglesi di godere dei privilegi accordati ai paesi associati, mentre la Francia si opponeva apertamente a questa opzione, Italia e Belgio mantenevano una linea neutrale. 3.4 LA CONVENZIONE DI YAOUNDE’ La Convenzione di Yaoundè era prevista dal trattato di Roma, organizzò le relazioni nei campi del commercio e della cooperazione per più di 12 anni. Venne firmata il 20 luglio 1963. Nel 1972 le Mauritius si aggiunsero a questi Stati. Fu completata nel 1969 dal trattato di Arusha149, che creò una differente associazione, per assistenza economica e tecnica, con Kenya, Tanzania e Uganda. La Convenzione aveva come compito quello di rinnovare la forma di associazione destinata alla cooperazione tra la Comunità e quegli Stati con cui i membri della CEE, in particolare Belgio, Francia, Italia e Olanda, avevano rapporti politici ed economici. Per un periodo iniziale di 5 anni la cosiddetta Implementing Convention, annessa al Trattato di Roma, aveva il compito di determinare le procedure in base alle quali regolare tali rapporti150. Questi due accordi costituiscono una forma di cooperazione regionale basata su legami tradizionali e su un alto grado di interdipendenza nel commercio tra i partners. La rottura dei negoziati con l’Inghilterra mise in condizione l’ CEE di rivedere la Convenzione che nel primo periodo sembrava essere seriamente in pericolo, nella tensione del periodo che seguì l’interruzione dei negoziati l’Olanda minacciò di togliere il suo appoggio all’accordo e l’Italia invocò difficoltà nell’iter di approvazione parlamentare della convenzione. La commissione sostenne comunque che, nonostante le difficoltà interne alla Comunità, non si poteva rinunciare ad un accordo così importante e fece pressioni sul Consiglio che adottò una dichiarazione di intenti che divenne operativa nella data della firma della Convenzione, ed era in sostanza un compromesso tra la Francia da una parte e la Germania, l’Italia e l’Olanda dall’altra La Convenzione divenne finalmente effettiva il primo Luglio 1964. L’intento della Comunità Economica Europea era che tutti gli Stati del continente africano prendessero parte alla Convenzione, per questo rappresentanti comunitari sul mandato del consiglio si recarono anche in Nigeria e nell’Ovest dell’Africa per sondare le intenzioni di queste paese e l’eventuale propensione a negoziare un accordo. 149 L’Arusha Agreement era un accordo simile alla Convenzione di Yaoundè, siglato tra la CEE e l’East African Community composta da Kenya, Uganda e Tanzania. Entrò in vigore all’inizio del 1971. Prevedeva l’associazione di questi tre paesi all’epoca ufficialmente membri del Commonwealth. L’accordo terminò simultaneamente alla Convenzione 150 Relations between The EEC and Commonwealth, MWE 3/502/1 PART A1-25 FCO 30/C 67 Nei meetings esplorativi151 che si tennero tra la Comunità e la Nigeria divenne subito chiaro la reticenza dell’Africa ovest nel prendere parte ad un partnership di privilegio nei rapporti con la Comunità, emergeva la preoccupazione che questo potesse semplicemente tradursi da parte dell’Europa in un atteggiamento neo coloniale piuttosto che in un vero rapporto di cooperazione, quello che questi paesi cercavano nella Comunità non era l’appoggio finanziario nella realizzazione di progetti interni, bensì l’esclusivo commercio dei loro prodotti con le agevolazioni tariffarie previste dal Cap. I della Convenzione di Yaoundè. Per i rappresentanti di questi paesi ricevere finanziamenti da questi paesi significava avere un impegno impari che avrebbe facilmente permesso ai partners comunitari di effettuare speculazioni nel loro territorio, compromettendo sostanzialmente l’indipendenza nazionale appena conquistata. Nonostante queste perplessità l’accordo tra CEE e Nigeria venne firmato a Lagos nel Luglio del 1966 e garantiva alla Nigeria lo stesso trattamento commerciale riservato agli altri paesi aderenti, un eccezione fu fatta per alcuni prodotti come olio di palma, cacao e olio di semi, nel caso dell’esportazione di questi prodotti sarebbe stata applicata la tariffa standard , ma con un calcolo delle quote non convenzionale, che avrebbe permesso alla Nigeria di trarne comunque beneficio, come controparte ottenne inoltre una lista di 26 prodotti che avrebbero la preferenza del mercato comunitario, l’accordo, come previsto, non menzionava l’apporto di aiuto finanziario attraverso l’European Development Found e sarebbe scaduto insieme alla Convenzione di Yaoundè152. Anche molti paesi del Commonwealth guardavano alla Convenzione di Yaoundè con sospetto, non capendo la natura delle istituzioni che essa prevedeva. Ma l’azione prevista dalla Convenzione era di natura non politica, e non avrebbe comportato secondo i creatori, alcuna ingerenza di natura istituzionale nei paesi nei quali operava, nonostante questo misure commerciali, economiche e di cooperazione allo sviluppo avrebbero potuto facilmente comportare un ambiguità nei settori che condizionavano, anche se l’associazione prevedeva un regime di reciproci diritti e doveri e la specifica previsione di non allineamento alle politiche comunitarie per i paesi associati. La CEE doveva rispondere in modo più diretto alle aspettative dei paesi in via di sviluppo, questa azione rispecchiava il bisogno di salvaguardare e accrescere una politica di associazionismo vitale per gli interessi della comunità, la quale combinava azioni di alta cooperazione a livello regionale con una meno intensa politica di cooperazione su scala mondiale. In base al protocollo 22, annesso al trattato di accessione, la comunità offre a 20 paesi indipendenti del Commonwealth la possibilità di negoziare con la CEE la pianificazione del loro futuro con associazione o trattati commerciali. Questo punto richiama fortemente il “Joint Declaration of Intent” riguardante i paesi in via di sviluppo asiatici153. Con questa politica la Comunità precisava importanti obiettivi che avrebbero segnato una decisiva svolta nella cooperazione, garantendo vecchi privilegi e comportando un necessario rinnovamento grazie all’allargamento. La convenzione e l’accordo di Arusha avevano come scadenza il 31 gennaio 1975, data nella quale sarebbe cessato lo Status quo inglese riguardante le importazioni dai paesi 151 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 152 EEC Commonwealth or Trade Agreements under Protocol 22, MTG 1/598/2 PART C-222, FCO 69/470-471 153 Political consultation between UK and EEC countries about attitude toward South Asian countries FS 2/S FCO 37/1186 68 elencati nel Prot.22154. La visione suggeriva che la scadenza del 1975 sarebbe stata determinante per permettere ai paesi rimasti fuori dai lavori preparatori della Convenzione di Yaoundè di collaborare in nuova struttura associativa. Infatti dopo i 5 anni stabiliti una nuova Convenzione venne modellata sulla base di quella precedente con nuovi contenuti tra cui opzioni per il commercio preferenziale, prevedendo meno restrizioni per le importazioni e scambi liberi da dazi doganali. Questo status copriva l’esportazione di: • • Tutti i prodotti non agricoli, industriali lavorati e semi lavorati Tutti i prodotti non agricoli In particolare i Caraibi e le isole del Pacifico per la loro posizione e caratteristiche economiche avrebbero preferito formare un gruppo regionale distinto da quello africano. Altri tre paesi, Botswana, Lesotho e Swaziland, i cui livelli di sviluppo giustificavano l’offerta di cooperazione da parte della CEE manifestarono la volontà di costituirsi in un’associazione distinta155. La conclusione di un trattato e di accordi non avrebbe comportato limitazioni nella loro libertà di scelte e decisioni riguardo le politiche di sviluppo. La forma associativa consentiva a questi paesi di acquistare uno status diverso da quello di membro che gli avrebbe permesso di trattare in un piano privilegiato con le Commissioni per lo sviluppo economico e sociale per gli Stati associati. Rispetto a problemi di natura commerciale l’Inghilterra proponeva i principi dell’area di libero mercato tra i membri, che avrebbero fissato autonomamente le tariffe verso terzi e avrebbero avuto completa autonomia di contrattazione. I paesi interessati al piano esposto avrebbero dovuto prendere parte ai negoziati previsti dal Prot.22156 per il primo agosto 1973. I negoziati nei principali settori, come commercio, cooperazione finanziaria e tecnologica, avrebbero naturalmente risentito della debolezza strutturale dei PVS, per questo la commissione proponeva un periodo preliminare di 5 anni nei quali l’esperienza di Yaoundè e Arusha avrebbe aiutato a superare le difficoltà. In particolare i risultati perseguiti dalla conferenza di Yaoundè avevano permesso un incremento del commercio, in particolare di caffè e frutta e un aumento da parte della CEE della preferenza accordata ai Paesi africani facenti parte dell’AASM. Il trattato di Roma prevedeva nel 1957 la possibilità per la CEE di effettuare precise politiche di sviluppo per i territori oltremare in modo da istituire zone di libero scambio o con regimi tariffari particolari e rafforzare il commercio. La convenzione di Yaoundè nel 1963 articola le disposizioni presenti nel trattato, predisponendo aiuti allo sviluppo per 18 paesi in via di sviluppo, con l’entrata dell’Inghilterra nella Comunità Economica Europea l’esistente Convenzione fu estesa ai paesi del Commonwealth, escludendo il Commonwealth asiatico ( India, Pakistan, Bangladesh). 154 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B FCO 69/385 155 I tre paesi costituirono una Customs Union con il Sud Africa, Preliminary paper on relations between the developing Commonwealth countries and EEC, in Bilateral relations between EEC and Commonwealth, “FCO 30/1398” 156 EEC Commonwealth or Trade Agreements under Protocol 22, MTG 1/598/2 PART B-112-221 FCO 69/470-471 69 Le due convenzioni di Yaoundè portarono ai negoziati per l’accordo di Lomè, che fu concluso nel 1975 e fu apripista per altri 4 accordi siglati sempre in questa città. Questi negoziati prevedevano l’istituzione di un fondo associativo comunitario, denominato European Development Found, che avesse la funzione di elargire gli aiuti comunitari ai paesi in via di sviluppo aderenti alla convenzione di Yaoundè prima e all’accordo di Lomè poi. I fondi da destinarsi ai PVS erano determinati da negoziati intergovernamentali, che individuavano necessità e allocazioni, la base delle critiche volte a questo sistema erano rivolte a Francia e Germania, i maggiori contribuenti del fondo ( quasi metà dell’intero budget), che in quanto tali, indirizzavano le loro scelte a precise aree geografiche. I paesi del Commonwealth, per portare avanti le loro politiche di sviluppo avevano a disposizione anche un altro strumento, la European Development Bank, che programmava gli investimenti per i progetti convenzionali finalizzati allo sviluppo, per gli aiuti umanitari e per lo Structural Adjustment Support (SAS), istituendo gli indici Stabex e Sysmin157.I programmi d’aiuto avevano solitamente portata regionale, ma non era insolito che questi venissero negoziati con un singolo paese appartenente all’ACP, il quale proponeva e negoziava il suo National Indicative Program (NIP)158. Le concessioni istituite con le convenzioni di Yaoundè e con gli accordi di Lomè permisero a molti paesi del Commonwealth facenti parte di associazioni regionali come ACP o AASM di esportare nel mercato comunitario prodotti liberi da imposte, escludendo dal commercio i beni che entrassero in diretta competizione con i beni CAP, cioè prodotti agricoli dei paesi aderenti alla Politica Agricola Comune. Dal 1970 ad oggi circa il 97% dei beni esportati da questi paesi gode di un regime di non tassazione nel mercato comunitario. Nel 1970 la EEC iniziò a definire in maniera completa quale fosse la gamma dei prodotti ammessi in un regime di duty free nel mercato comunitario. Per questo si rifece alla nozione di “Most Favoured Nation” (MFN), stabilita anni prima dal GATT per favorire l’accesso dei suoi prodotti nell’European Economic Area, grazie al sistema delle preferenze159. Grazie a questo sistema 54 paesi in via di sviluppo intrattennero dal 1970 proficue e stabili relazioni commerciali con la CEE. 157 L’indice Stabex valutava il danno subito e l’eventuale compenso da corrispondere per instabilità delle esportazioni in una gamma di 48 prodotti agricoli, il Sysmin valutava l’incidenza dell’instabilità delle esportazioni per i minerali 158 EEC Commonwealth or Trade Agreements under Protocol 22, MTG 1/598/2 PART C-222, FCO 69/470-471 159 General System of preferences (GSP), introdotto nel 1971 70 ORIGINE DELLE IMPORTAZIONI EXTRACOMUNITARIE NEL 1973 PAESI 1973 ACP ASEAN EUROPA CENTRALE CINA EFTA USA GIAPPONE AMERICA LATINA MAGREB MASHREQ NIC 1 NIC 2 OCDE (NON EEC) OPED 6,34 2,13 7,85 0,76 14,10 15,98 4,05 5,25 2,12 0,87 2,76 1,40 44,32 26,45 NOTE: 1 Corea del Sur, Hong Kong, Singapore Taiwan. 2 Filippine, Malasia e Tailandia. FONTE: Eurostat, . IL SISTEMA DI PREFERENZE GENERALIZZATO Il sistema di preferenze generalizzato (SPG) è lo strumento adottato dalla EEC dopo la conferenza tenuta dall’UNCTAD nel 1968, permette ai prodotti manufatti ed alcuni prodotti agricoli esportati dai PVS di accedere al mercato comunitario in esenzione totale o parziale di dazi doganali. Questo sistema è pertanto sia uno strumento di politica commerciale sia un mezzo per favorire lo sviluppo all’interno dell’associazione, il regime preferenziale sancito da questo sistema confligge con la Clausola della Nazione più Favorita (NPF), pertanto gli schemi SPG hanno richiesto dapprima delle deroghe e successivamente delle specifiche clausole che sono diventate una caratteristica permanente del sistema commerciale multilaterale. Il sistema ha subito negli anni numerose variazioni, dalla distinzione in prodotti sensibili e non sensibili per le esportazioni, in base alla quale si applica una diversa imposizione di tariffe doganali, inoltre prevede la revoca del beneficio, se la situazione economica raggiunta dal paese non richiede più alcun trattamento preferenziale, permette di orientare l’individuazione di partners commerciali più bisognosi di godere di un attenzione particolare, arrivando al meccanismo di graduazione, in base al quale, alcuni prodotti che si rivelano altamente competitivi vengono esclusi progressivamente dal sistema preferenziale. 71 Nel 1964 la prima Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), propose il sistema di preferenze generalizzato come una maniera concreta per aiutare alcuni paesi e incentivarne lo sviluppo interno attraverso il commercio. Nel 1968, sempre l’UNCTAD raccomandò la creazione del cosiddetto “Generalized Sistem Tariff of Preferences”, attraverso il quale i paesi industrializzati avrebbero dovuto intrattenere rapporti commerciali con i paesi in via di sviluppo in un regime preferenziali, attribuendo alcuni vantaggi in materia di esportazioni a questi paesi. Per permettere al sistema di funzionare correttamente ed evitare che configgesse con il regime liberista e concorrenziale stabilito dal GATT, fu necessario introdurre una clausola di deroga all’accordo generale che proibiva un trattamento discriminatorio nei riguardi di altre economie. La clausola fu introdotta per un periodo di iniziale di dieci anni e successivamente rinnovata alla sua scadenza, nel 1979, per un periodo di tempo indefinito. La clausola stabiliva che il trattamento commerciale sarebbe dovuto comunque essere non-discriminatorio, non reciproco e autonomo, infatti un relativo carattere di discriminazione era ammesso nel commercio con i paesi in via di sviluppo, ma nella scelta nessuno di questi doveva risultare più favorito rispetto ad altri, le obiezioni riguardo i paesi del Commonwealth vertevano sul fatto che, all’ingresso dell’Inghilterra nella CEE questi avrebbero goduto dei vantaggi del sistema, ma eventualmente avrebbero ricevuto particolare attenzioni ed un ulteriore preferenza da parte del governo britannico nello stabilire con chi intrattenere politiche commerciali, la clausola risulta quindi utile, per scongiurare questa evenienza e per permettere a tutti i paesi in via di sviluppo aderenti al sistema di essere nello stesso piano di preferenza e relativa concorrenza. Inoltre le preferenze non potevano essere negoziate bilateralmente e soprattutto non potevano essere garantite unilateralmente da parte di un paese. La Comunità Economica Europea fu il primo soggetto di diritto internazionale a implementare uno schema GSP, nel 1971, da allora il sistema, aperto ad eventuali variazioni e adeguamenti ha subito numerosi cambiamenti, come per esempio l’abbattimento delle restrizioni tariffarie delle esportazioni provenienti dai PVS, ad eccezione di armi e munizioni, nel Febbraio 2001, con l’adozione della cosiddetta “EBA26 Regulation”. IL PRINCIPIO DI NAZIONE PIU’ FAVORITA La definizione di nazione più favorita richiede nella sua applicazione che le parti contraenti accordino la tariffa più favorevole alle esportazioni e importazioni del paese individuato come MFN (Most Favored Nation Treatment). Questa definizione viene introdotta per la prima volta dal GATT ed è un principio di base del WTO contribuisce in maniera significativa alla liberalizzazione del commercio, evitando situazioni che possano compromettere la concorrenza, e stabilisce che un paese che accordi un regime tariffario più favorevole all’importazione di un determinato prodotto ad un paese debba estenderlo a tutti i paesi con il quale stabilisce relazioni commerciali. La creazione della tariffa Esterna Comune rientra nel progetto attuato dalla CEE per la definizione di una politica commerciale comune , è stata inizialmente calcolata sulla base della media aritmetica dei dazi doganali all’importazione, ma è stata progressivamente ridotta nell’ambito dei negoziati tariffari nell’ambito del GATT, le modifiche e variazioni rimangono di esclusiva competenza della Comunità, essendo esclusa la possibilità da parte degli stati membri di modificarne unilateralmente il gettito. 72 L’allineamento delle restrizioni quantitative consisteva nella fissazione di quote comune all’importazione di alcuni prodotti. Sia la tariffa esterna comune che l’allineamento delle restrizioni quantitative diverranno due argomenti di discussione molto importanti durante i negoziati dei paesi appartenenti al Commonwealth e la CEE per l’individuazione della forma associativa più conveniente per entrambi. TRADE LIBERALIZATION AND PROMOTION La liberalizzazione del commercio tra la CEE e gli AASM fu formalmente completata il 1 Luglio 1968 con la creazione della Custom Union, la seconda conferenza di Yaoundè servì solo a rafforzare e ribadire i principi già enunciati. La mutua preferenza venne meno con l’attenuarsi delle esportazioni dei Paesi AASM nel mercato europeo. Questo era dovuto principalmente ad un abbassamento della Common Union Tariff (CCT) riguardo alcuni prodotti tropicali con l’entrata in vigore della seconda conferenza di Yaoundè nel 1971.160 Il libero mercato implicava che i prodotti degli Stati associati erano importati nel mercato comunitario liberi dall’imposizione di dazi e tasse, a meno che questi non fossero in competizione con i prodotti CEE, come stabiliva la politica agricola comune; questi prodotti erano olii vegetali, cereali, alcuni frutti e vegetali, prodotti a base di frutta, cereali, riso, cacao e manioca.161 TRADE RESULTS I risultati implementati, sia come volumi che come destinazioni geografiche mostrano il successo delle politiche di preferenza commerciale; nel periodo 1968-73 le esportazioni aumentarono da 869 milioni a 1.638 milioni di dollari.162 Nel periodo preso in considerazione il tasso di crescita è di 6,2% annuo, mentre quello della CEE rivela un incremento del 7,7%, le esportazioni della comunità aumentarono dai 668 milioni di dollari del 1968 a 1.265 nel 1970 arrivando a 1.401 nel 1973163. I paesi AASM ritenevano che l’aiuto fornito dai fondi comunitari pubblici dedicati allo sviluppo, indispensabili per alcuni paesi, fossero per loro svantaggiosi, in quanto freno alla crescita economica, auspicavano quindi misure più concrete in materia di commercio e esportazioni, anche perché i vantaggi portati dall’associazione in forma di abbattimento delle tariffe e regime di preferenza avevano subito negli anni un significativo indebolimento. MANTEINANCE OF FREE TRADE SYSTEM La creazione del mercato libero tra i paesi associati era dovuta ad una serie di ragioni: 160 La Common Union Tariff prevedevano che nessuna tassa fosse imposta nell’esportazione di fosfato di calcio, gomma arabica, olii vegetali, lana, cotone, rame, cobalto, semi e frutta. Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 161 Trade liberalization and promotion, Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 162 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B.FCO 69/385 163 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B FCO 69/385 73 • Salvaguardare la natura contrattuale dell’associazione; ogni soluzione diversa avrebbe accentuato la precarietà e disparità dell’associazione e sarebbe stata contraria ai propositi di cooperazione e sviluppo. Infatti l’EEC era il cliente principale degli AASM e dei paesi che chiedevano l’associazione. Nel 1970 il 70% delle esportazioni AASM ai paesi industrializzati era destinata ai sei paesi della Comunità Economica Europea, ne risulta che questa acquistava i due terzi delle esportazioni AASM. • Incrementare lo sviluppo industriale; nel periodo i paesi AASM erano esportatori di beni lavorati o semilavorati in minor misura rispetto alle materie grezze, un mercato libero avrebbe permesso l’incremento della costruzione di infrastrutture per la lavorazione, conferendo un valore aggiunto alle esportazioni. • Smentire gli Stati Uniti riguardo l’accusa di violazione del GATT, questa ragione di carattere legale era dovuta al fatto che la forma associativa avrebbe rappresentato l’unica possibilità di deroga agli artt. I e XXIV del GATT164nei quali vengono enunciati i principi generali del trattato e configuravano deroghe nel caso di aree di libero mercato e custom unions. Questo dimostrava la primaria importanza dei legami commerciali con la CEE, a cui si sommavano le richieste di allargare il mercato e diversificare l’offerta eliminando le barriere commerciali applicando i principi di liberalizzazione auspicati dalla politica commerciale dell’associazione. TARIFF SYSTEM IMPLICATIONS Tutti gli Stati che avessero accettato il regime di associazionismo avrebbero dovuto adeguarsi al sistema tariffario della CEE. Il libero mercato che formava la base dell’associazione era strumentale alla promozione di un sistema esteso che permettesse lo sviluppo delle economie dei paesi membri. Nonostante questo rimanevano numerose riserve riguardo le preferenze commerciali, innanzitutto le politiche commerciali e di regolamentazione degli scambi erano sostanzialmente diversi da paese a paese. Questo comportava divergenza di opinioni riguardo la strutturazione di una direttiva unitaria, un sistema di aggiustamenti flessibili e particolari non si sarebbe potuto 164 Articolo I, Trattamento generale della nazione più favorita.Tutti i vantaggi, favori, privilegi o immunità, concessi da una Parte contraente a un prodotto originario da ogni altro Paese, o a esso destinato, saranno estesi, immediatamente e senza condizioni, a tutti i prodotti congeneri, originari del territorio di ogni altra Parte contraente, o a esso destinati. Questa disposizione si riferisce ai dazi doganali e alle imposizioni di qualsiasi sorta che gravano sulle importazioni o sulle esportazioni, oppure sono riscossi in occasione di importazioni o di esportazioni, come anche alle imposizioni che gravano sui trasferimenti internazionali di fondi intesi a disciplinare le importazioni o le esportazioni, alla maniera di riscuotere tali dazi o imposizioni, all’insieme degli ordinamenti e delle forme attenenti alle importazioni o alle esportazioni, come anche a tutte le altre questioni considerate nei numeri 2 e 4 dell’articolo III.ss.Articolo XXIV, Applicazione territoriale – Traffico di confine – Unioni doganali e aree di libero scambioLe disposizioni del presente accordo saranno applicate sul territorio doganale metropolitano delle Parti contraenti, come anche su qualsiasi altro territorio doganale, rispetto al quale il presente accordo sia stato accettato secondo l’articolo XXVI, oppure sia applicato in virtù dell’articolo XXXIII o in conformità del protocollo concernente l’applicazione provvisoria. Ognuno dei detti territori doganali sarà considerato, esclusivamente per quanto s’attiene all’applicazione territoriale del presente accordo, come Parte contraente del medesimo, sempreché le disposizioni del presente numero non abbiano a essere interpretate come intese a stabilire dei diritti o delle obbligazioni tra due, o parecchi territori doganali, rispetto ai quali il presente accordo sia stato accettato secondo l’articolo XXVI, oppure sia applicato in virtù dell’articolo XXXIII, o in conformità del protocollo concernente l’applicazione provvisoria, da una sola Parte contraente.http://www.takuzinis.lv/xhtml1.1/20041128.html 74 applicare ad un’associazione così vasta e articolata con un così consistente volume di scambi. La CEE per evitare le questioni sopraccitate proponeva i seguenti punti: • • • Per ragioni dovute alla compatibilità dell’azione dell’associazione con il GATT ci si sarebbe orientati verso un sistema di libero commercio organizzato sulla base di aree di libero mercato. La comunità non puntava a raggiungere trattamenti preferenziali con i propri partners ma applicare accordi basati sull’abbattimento delle tariffe come principio primo delle liberalizzazione. Questo sistema si sarebbe basato su una serie di deroghe improntate sull’esempio del Prot. 2 della Convenzione di Yaoundé165, per permettere lo sviluppo degli Stati associati. Il fatto che i paesi aderenti esercitassero piena autonomia nelle questioni di politica commerciale avrebbe permesso l’ingresso di paesi terzi nel regime di duty free raggiunto dalla Comunità, sia grazie a negoziati che unilateralmente . Questo avrebbe comportato la fine delle preferenze accordate ad alcuni paesi. • La cooperazione tecnica e finanziaria non sarebbe stata in alcun modo condizionata dalla stipula di trattati, convenzioni o accordi di preferenza in favore della comunità, ma sarebbe stata un capitolo a parte nelle relazioni tra EEC e AASM. Le politiche comunitarie in materia di cooperazione e sviluppo dovevano prestare particolare attenzione alle restrizioni quantitative e agli abbattimenti delle tariffe nello sviluppo del commercio, soprattutto perché queste potevano configgere con gli accordi precedentemente presi nell’ambito del GATT. Il sistema della quasi totale liberalizzazione previsto dalla convenzione di Yaoundè doveva essere quindi rivisto. L’azione di rinnovo avrebbe compreso: • L’attenzione alle esigenze di sviluppo dei paesi aderenti all’associazione. • La rimozione di tariffe nell’esportazione di prodotti tropicali • La specificazione della provenienza d’origine dei prodotti alimentari. STABILIZATION Gli aiuti economici non erano sufficienti per stimolare la crescita dei paesi in via di sviluppo appartenenti al Commonwealth.Questi aiuti potevano giovare ad economie con un minimo di stabilità e solo in prospettive di medio e lungo termine, l’instabilità delle esportazioni era dovuta alla fluttuazione di prezzi e quantità, per questo la Comunità doveva implementare politiche che assicurassero il mantenimento nel lungo termine di un incremento delle esportazioni di manufatti dai paesi in via di sviluppo e la stabilizzazione nel breve periodo delle esportazioni di beni primari come caffè e zucchero. La comunità intendeva definire una politica decisa, riguardo prodotti di vitale importanza per i paesi in via di sviluppo. L’allargamento avrebbe comportato svantaggi ai paesi AASM, che avrebbero dovuto competere con altri paesi in un regime di libero 165 O’Neill Con, Britain Entry into the European Community,op.cit., p.256 75 mercato. Le misure prese dalla Comunità Economica Europea per stabilizzare le esportazioni erano le seguenti: • • • Non interferire con le forze regolatrici del mercato Non creare ostacoli al libero mercato Non impedire nuovi accordi o penalizzare gli accordi mondiali riguardo prodotti uguali A queste condizioni contrattuali, di chiara ispirazione liberale, la Comunità intendeva raggiungere l’obiettivo e fissare un prezzo per specifiche quantità esportate da un paese, garantendo a i paesi beneficiari il conferimento di risorse finanziarie corrispondenti alla differenza tra il prezzo di mercato e quello corrisposto166e l’apertura di una linea di credito con i paesi AASM. I prodotti o beni primari a cui si fa riferimento sono lo zucchero, il cotone, il cacao, il caffè, le banane e l’olio. Per ogni prodotto il prezzo di riferimento sarebbe stato stabilito e rivisto ogni anno, espresso in unità di conto e calcolato in base ai tassi medi variabili, tenendo in considerazione la situazione dei paesi beneficiari, il loro sviluppo, eventuali handicap geografici, ripercussioni nell’occupazione. Le quantità di riferimento per l’esportazione sarebbero state fissate in modo permanente per tutta la durata dell’accordo. I benefici economici sarebbero stati discussi con i singoli governi e avrebbero portato ad accordi specifici ispirandosi alle politiche di sviluppo che ogni paese intendeva adottare. Secondo il Fondo Monetario Internazionale167queste somme si sarebbero dovute ripartire nell’ordine di garantire all’autorità pubblica di garantire i beni di prima necessità ad un prezzo minimo, nel caso questo fosse salito, e nell’ottica della diversificazione dell’economia e dello stimolo all’efficienza e alla competitività. L’esistenza del Common Sugar Agreement e dell’International Sugar Agreement avrebbero imposto speciali misure nel commercio dello zucchero168. FINANCIAL AND TECHNICAL COOPERATION Gli aiuti destinati alla cooperazione e allo sviluppo previsti durante la seconda Convenzione di Yaoundé coronavano i dieci anni di associazionismo tra CEE e AASM. Durante la prima convenzione gli aiuti si concentrarono essenzialmente sull’agricoltura, nella seconda si confermò questa tendenza e allo stesso tempo si enfatizzò il bisogno di promuovere lo sviluppo economico, commerciale e turistico. Negli anni tra le due Convenzioni gli investimenti aumentarono e allargarono la loro sfera in questi paesi, sino a coprire interamente il consolidamento e l’ulteriore sviluppo delle infrastrutture ( trasporti, educazione, comunicazioni e salute), modernizzazione e diversificazione delle attività produttive. Con l’aumento degli investimenti cambiarono anche gli strumenti finanziari utilizzati, mentre con l’European Development Found si conferivano esclusivamente capitali, durante le due convenzioni si effettuarono studi specifici e venne incoraggiata la completa collaborazione tra le parti, con la promozione di assistenza tecnica e programmi di training. 166 REFERRED PRICE PER CONTROLLED MAXIMUM QUANTITIES, Bilateral Relations between EEC and the Commonwealth E 6/502/1 PART K, FCO 30/1398 167 EEC/ Commonwealth Association and Trade Agreements T9 1/598/2, FCO 69/649 168 Dearden Stephen J.H., The European Union and the Commonwealth Caribbean Ashgate, London, 2002, p.39 76 Mentre l’azione dell’EDF era caratterizzata dal conferimento di sussidi, dalla prima Convenzione si inizia a concedere prestiti con bassi interessi e agevolazioni particolari nella restituzione, questa pratica diede inizio all’incredibile indebitamento che oggi questi paesi si trovano a fronteggiare. Nel 1970 la comunità orientò la sua politica con basilari linee d’azione: • Mantenimento degli investimenti nei settori prioritari già individuati nel passato, sviluppo delle infrastrutture, sviluppo rurale, formazione della forza lavoro, industrializzazione, marketing, incremento della produzione. • Incentivi per una cooperazione più diretta ed efficace, proporre un’assistenza appropriata ai bisogni, non sussistenza ma collaborazione • Pianificazione di una cooperazione finanziaria e tecnica più a lungo termine. COOPERATION La cooperazione nel 1970 si configurava come un settore ancora debole, ma necessario e strategico per lo sviluppo economico. Particolare attenzione veniva rivolta allo sviluppo rurale, soprattutto in un periodo di esodo verso le città e la ricerca di impiego nel settore terziario, si presupponeva l’esistenza di infrastrutture in zone rurali, programmi di educazione rivolti alla popolazione, aiuti alla produzione agricola e sviluppo di settori sociali come salute e educazione, l’accrescimento della produttività curando l’approvvigionamento d’acqua e l’implementazione di programmi volti alla preparazione di personale professionale qualificato. In queste politiche per lo sviluppo rientrava l’industrializzazione con progetti mirati e studi specifici con il sostegno di realtà industriali di piccole e medie dimensioni, con la promozione e l’informazione mirate, soprattutto nel mercato europeo, alla competizione nel mercato, in vista della fine del regime di preferenza. ADJUSTMENTS L’intento della comunità era che l’assistenza soprattutto tecnica, fosse il più breve possibile, in vista di una sostanziale autonomia degli Stati Associati che permettesse di compiere I progetti con efficacia ed efficienza. A tal fine era necessario prendere in considerazione tre punti: • Auspicare una collaborazione, oltre che regionale, multilaterale, in modo da armonizzare I progetti tra gli stati associati, in particolare in campi come il trasporto e la comunicazione, l’energia, la promozione del commercio e la formazione del personale. • Promuovere, con eventuali compensazioni, un apertura del mercato interno dei paesi associati, creando un interdipendenza commerciale su scala regionale, che incentivasse una diversificazione dell’economia. • Creare progetti di interesse nazionale, che a lungo termine avrebbero trovato nella loro realizzazione una fonte di auto finanziamento.169 169 EEC/ Commonwealth Association and Trade Agreements T9 1/598/2, FCO 69/649 77 SMALL DEVELOPMENT Una nuova linea d’azione era quella di finanziare piccole realtà produttive, progetti di più veloce realizzazione e facilmente ammortizzabili, in aggiunta ai vecchi programmi di sviluppo nazionale. Con l’allargamento dell’associazione i volumi dell’apporto finanziario avrebbero subito sostanziali variazioni, non quantificabili prima dell’inizio della seconda convenzione. Le misure finanziarie di cui la Comunità disponeva nella sua azione di finanziamento dei progetti proposti dai paesi associati erano sussidi o prestiti a tasso di mercato, e ad ogni specifica azione sarebbe corrisposta un’analisi dei bisogni nazionali comparati con l’effettivo sviluppo nazionale, che nella maggior parte dei casi era piuttosto basso e l’associazione nella sua opera aveva innanzitutto il compito di evitare questa situazione offrendo ogni mezzo necessario al raggiungimento dello scopo,170valutando soprattutto quando fosse pressante la richiesta di infrastrutture e servizi, che incidevano soprattutto nell’attività rurale e di produzione agricola, molto spesso uniche realtà produttive di questi territori. Il meeting dei ministri tenuto il 14 maggio 1970171 ribadisce quanto detto sopra. Pedini dell’Italia riteneva importante soffermarsi su un modello organico e flessibile, trovando soluzioni specifiche a singoli casi, molti degli Stati africani desideravano usufruire dei programmi attuati dalla comunità, la commissione si sarebbe incaricata dei contatti e dei negoziati tenendo conto dei trattati commerciali multilaterali e non discriminando parti terze. La delegata del Belgio, Mad.Petry, richiamava l’importanza della dichiarazione d’intenti del 1963 e i vincoli legati al GATT, vedendo come elemento chiave per i negoziati una stabilizzazione delle esportazioni, come auspicava il delegato della Danimarca, Norgaard. Il cancelliere del Duca di Lancaster sosteneva che la nuova convenzione avrebbe dovuto, per raggiungere i suoi intenti, essere estesa al più grande numero di stati possibile, in modo da assicurare l’accesso al mercato comunitario senza creare discriminazioni, arrivando alla creazione di un area di libero mercato. Per Fitzgerald, delegato irlandese, le tre opzioni offerte dalla comunità nel Prot.22 non dovevano essere parametri rigidi ma offrire e contemplare soluzioni relative al contesto di ogni paese, le modifiche degli accordi si sarebbero dovute effettuare tenendo nel dovuto conto gli art. XXIV e XXV del GATT172. Per il delegato francese Joubert bisognava considerare le aspettative degli stati africani per un contributo concreto al loro sviluppo e la migliore forma di affrontare la questione era rimanere fedeli al Trattato di Accesso, mantenendo la struttura contrattuale dell’associazione aumentando I contributi al Fondo Europeo di Sviluppo. Tutti i delegati, alla fine dell’incontro si proclamarono d’accordo nel fissare la data dei negoziati il primo Agosto. 170 EEC/ Commonwealth Association and Trade Agreements T9 1/598/2, FCO 69/649 EEC/ Commonwealth Association and Trade Agreements T9 1/598/2, FCO 69/649 172 Articolo XXV,Azione collettiva delle Parti contraentiI rappresentanti delle Parti contraenti si aduneranno periodicamente, per assicurare l’applicazione delle disposizioni del presente accordo che richiedano un’azione collettiva, e, in generale, per rendere agevole l’esecuzione dell’accordo medesimo e secondarne gli scopi. Le Parti contraenti, quando nel presente accordo sono considerate come operanti collettivamente, sono contrassegnate: Parti contraenti 171 78 Tutti gli obiettivi che la Comunità Europea intendeva perseguire sarebbero rientrati in una sfera d’azione prettamente liberista come ribadito nella Summer Conference del 1972 e come figura dalle direttive UNCTAD e OECD Developement Committee173. Le direttive predisponevano inoltre una forma di finanziamento che prevedeva la restituzione in pochi anni, il che significava perseguire obbiettivi effettivamente remunerativi nel breve periodo, che avrebbero garantito risorse necessarie per far fronte agli impegni vincolanti del finanziamento, provare la reale effettività del progetto e il successo dell’implementazione di tali politiche. I finanziamenti, le scadenze previste per il rimborso e i tassi d’interesse avrebbero tenuto in considerazione le reali condizioni del paese nel quale operavano, dando priorità a questo criterio l’allocazione delle risorse sarebbe stata più efficiente e i risultati visibili. I termini per la concessione dei prestiti speciali sarebbero stati standardizzati con la seconda Convenzione di Yaoundè, per i paesi più sviluppati delibere temporanee stabilivano un tasso d’interesse del 1% e un periodo di restituzione di 40 anni, per le economie più svantaggiati il tasso d’interesse era pari a zero e i tempi di restituzione variabili. EFFETTI DEL SISTEMA DI PREFERENZE PER AASM E CEE174 Gli Stati Africani erano 18 membri della convenzione di Yaoundé e 3 membri dell’Arusha Agreement, le tariffe vantaggiose alle quali esportavano le merci nel mercato comunitario gli conferivano lo status di Most Favoured Nation (MFN).175 Come dimostrato da uno studio dell’UNCTAD questo sistema creato dalla Convenzione e chiamato GSP176 poteva avere un effetto negativo e uno positivo nello sviluppo degli Stati Africani. Il positivo sarebbe stato un espansione delle opzioni di mercato in cui esportare, quello negativo invece sarebbe stato rappresentato da una diminuzione dei vantaggi e un aumento delle tariffe secondo lo schema previsto dalla CEE in regime di libero mercato. Lo studio intendeva quantificare l’impatto della riduzione del margine di preferenza dei paesi associati come conseguenza dell’implementazione dello schema CEE e determinare quali prodotti sarebbero stati colpiti in particolare dall’aumento delle tariffe, grazie ad un meccanismo conosciuto come Brussels Tariff Nomenclature (BTN)177. Praticamente tutte le importazioni provenienti dai paesi membri dell’Arusha Agreement e della Convenzione di Yaoundè entravano nel mercato comunitario liberi da imposte, per la loro natura di alimenti o prodotti agricoli in generale. EXPORT NETWORK OF THE ASSOCIATED COUNTRIES Nel 1969 il valore delle esportazioni dei paesi AASM era pari a 2,14 miliardi di dollari, una cifra particolarmente bassa dovuta al fatto che la maggior parte delle esportazioni di molti paesi AASM era indirizzata esclusivamente all’Inghilterra, vista che all’epoca questi erano ancora membri del Commonwealth. 173 EEC/ Commonwealth Association and Trade Agreements T9 1/598/2, FCO 69/649 EEC/ Commonwealth Association and Trade Agreements T9 1/598/2, FCO 69/649 175 Fennell, R., The Common Agricultural Policy of the European Community, op.cit, p.54 176 Generalized system of preferences 177 Relations between The EEC and Commonwealth, MWE 3/502/1 PART A1-25 FCO 30/C 174 79 All’interno dell’AASM i volumi delle esportazioni variavano considerevolmente, dai 764 milioni dello Zaire ai 9 dell’Alto Volta e del Mali. In quell’anno molti dei prodotti esportati non godevano dei benefici tariffari contratti con la Seconda Conferenza di Yaoundé, del valore totale solo una parte, stimata tra il 4 e il 5% godeva di tali vantaggi178. EUROPEAN COMMUNITY AND ASSOCIATION L’Inghilterra auspicava che i paesi facenti parte del Commonwealth compresi nel Prot.22 potessero godere dei benefici e dei vantaggi che avrebbe comportato l’adesione di questa nella CEE e la comprensione del Commonwealth in una nuova forma associativa prevista dalla seconda Convenzione di Yaoundé. Per questo l’Inghilterra si batteva affinché i negoziati comprendessero il maggior numero di stati appartenenti al Commonwealth, questo avrebbe evitato il rischio di avere associati di prima e seconda classe dopo il 1975 e avrebbe permesso di formulare politiche unitarie. La comunità fece presente dall’inizio dei negoziati che il suo modus operandi non vincolava gli stati membri ad accettare ogni forma di cooperazione economica e politica e non era subordinato alle politiche comunitarie; ogni stato poteva decidere se prendere o meno parte a questa collaborazione. Con questo la Comunità intendeva tutelare la salvaguardia delle economie dei singoli paesi, il cui equilibrio dipendeva in maniera considerevole dall’esportazione di beni primari e in particolare lo zucchero. La nuova associazione si sarebbe dovuta dotare, nella visione comunitaria, di organi appositamente preposti alla creazione e alla concertazione delle politiche di sviluppo, questi ricalcavano gli apparati burocratici CEE ed erano: Un Consiglio assistito da un Comitato Un Parlamento rappresentante gli Stati Una Corte di arbitrato 3.5 L’INIZIO DEI NEGOZIATI TRA CEE E COMMONWEALTH Al Meeting annuale dei Ministri delle Finanze del Commonwealth, tenutosi a Nassau nel Settembre 1971179 i ministri invitarono il Commonwealth Office a studiare e preparare tutte le carte necessarie sulla questione riguardante l’associazione dei paesi del Commonwealth con la CEE, come previsto dal prot.22 del Trattato di Roma. Il trattato specificava: “Partecipation in the Convention of Association which upon the expiry of the Convention of association signed on 29 July 1969, will govern relations between the Community and the Associated and Malagasy States which signed the latter Convention” Inoltre prevedeva: 178 EEC/ Commonwealth Association and Trade Agreements T9 1/598/2, FCO 69/649 Global context of possible arrangements for co-operation with EEC, in “Bilateral relations between EEC and Commonwealth”, FCO 30/1398, National Archive, London 179 80 “the conclusion of one or more special conventions of association on the basis of Article 238 of the EEC. Treaty comprising reciprocal rights and obligations, particularly in the field of trade”180 I paesi interessati a quanto prospettava il trattato dovevano manifestare la propria volontà entro il I Gennaio 1973, in modo da facilitare l’inizio dei negoziati previsti per il I Agosto dello stesso anno, le proposte avanzate dalla CEE erano ispirate a quelle della prima Convenzione di Yaoundè e intendevano creare specifiche situazioni per tutelare le intese presenti nel territorio come per esempio la creazione di una Customs Union tra Botswana, Lesotho, Swaziland e Sud Africa. Il timore per gli Stati del Commonwealth che si preparavano all’adesione alla seconda Convenzione di Yaoundè era quello di ricevere un trattamento diverso dagli altri stati, perché come stabilito dalla prima Convenzione l’eventuale ingresso di altri partners commerciali non avrebbe invariato il rapporto preesistente tra CEE e AASM181, come fu ribadito in occasione dei negoziati per l’ammissione delle Mauritius. Per l’Inghilterra naturalmente l’opzione migliore era che il maggior numero possibile dei paesi del Commonwealth si associasse alla seconda Convenzione di Yaoundè, anche perché dal 1975 le sarebbe stato imposto di contribuire finanziariamente e politicamente con i paesi aderenti alla Convenzione, e di questi, pochi potevano vantare una collaborazione economica, commerciale e politica con l’Inghilterra. La presenza degli stati del Commonwealth le avrebbe permesso di mantenere le sue relazioni commerciali senza l’impedimento della Common External Tariff, e inoltre le avrebbe fatto acquistare prestigio e un notevole peso decisionale tra le istituzioni della Convenzione e rendere più rilevanti le sue politiche con i paesi in via di sviluppo. Un’altra perplessità era data dal fatto che la Comunità allargata avrebbe reso necessari alcuni cambi nelle politiche di finanziamento allo sviluppo e cooperazione tecnica e finanziaria, alterando la natura stessa della Convenzione e i suoi propositi. Le ipotesi proposte per l’associazione dei paesi facenti parte del Commonwealth erano cinque: • • • • • Prendere parte alla Convenzione di Yaoundè. Strutturarsi in un associazione regionale avente come ispirazione l’Arusha Agreement. Un nuovo tipo di associazione che eliminasse la Reverse Preference ma prevedesse aiuti finanziari e cooperazione allo sviluppo. Un accordo di natura esclusivamente commerciale Nessuna associazione, mantenendo i rapporti commerciali di natura preferenziale con l’Inghilterra. Naturalmente la quinta opzione fu scartata a priori perché avrebbe significato per l’Inghilterra andare incontro ad un terzo veto nei negoziati di adesione appena iniziati. Inoltre i paesi che avessero scelto l’ accordo prospettato dalla quarta opzione non avrebbero avuto accesso ai fondi previsti dall’ European Development Found per la cooperazione allo sviluppo in quanto avrebbero intrattenuto con l’EEC rapporti di natura puramente commerciale. L’accesso al mercato comunitario non dipendeva esclusivamente dalla scelta che i paesi del Commonwealth avessero fatto tra le 5 opzioni prospettate, ma da numerosi fattori tra cui la determinazione della Tariffa esterna Comune, le restrizioni alle importazioni, 180 Preliminary paper on relations between the developing Commonwealth countries and EEC, in Bilateral relations between EEc and Commonwealth, “FCO 30/1398” 181 “The accession of any new state shall not adversely affect the advantages accruing to the associated States signatories of this convention from the provision relating to financial and technical co-operation” 81 riguardo i prodotti che sarebbero stati in competizione diretta con quelli comunitari; le politiche agricole comune e l’organizzazione interna al mercato per i prodotti che non avessero subito la competizione interna al mercato comunitario. Il I Protocollo della convenzione di Yaoundè prevedeva che i prodotti che non entravano in competizione con quelli dei paesi CEE godevano di un regime di duty free e speciali deroghe erano state applicate al commercio, di manioca, grassi animali e vegetali, tabacco e olii, i prodotti come riso, vegetali, frutta, cereali e carne erano soggetti alle regole dell’organizzazione del mercato comune e della PAC, mentre prodotti come caffè e ananas erano soggetti a restrizioni quantitative182. I ministri dei paesi del Commonwealth fecero presente che nei negoziati si sarebbe dovuto far presente la manifesta contrarietà alla cosiddetta “Reverse Preference”, che impegnava gli stati contraenti a rivolgere una reciprocità di trattamento alla CEE nei loro territori, il che significava acquistare il surplus di produzione di beni non concorrenti della Comunità Economica Europea come partner commerciale privilegiato. Lo status di paesi in via di sviluppo, che caratterizzava i paesi del Commonwealth, d’altronde permetteva di perseguire obbiettivi che mirassero più alla convenienza che alla cooperazione. Il principio della non reciprocità non avrebbe incontrato particolari ostacoli, in quanto espressamente previsto dall’UNCTAD e dal GATT, infatti anche gli Stati Uniti nei loro rapporti commerciali con paesi in via di sviluppo avevano statuito che: “developing countries which grant reverse preference to developed countries would be excluded from preferences. However, if such developing countries provide adequate assurances that the reverse preference would be phased out within a reasonable period of time, they could be granted preferences from the outset”183 La stessa seconda Convenzione di Yaoundè e l’Arusha Agreement ammettevano il principio di non reciprocità, e l’UNCTAD stabilì che se un conflitto esisteva questo doveva essere segnalato dall’EEC, che non fece niente in proposito e la questione si risolse accettando il principio di abbattimento della Reverse Preference. Diverso dalla questione sulla non reciprocità era il regime protezionistico, soprattutto nel comparto industriale al quale i Paesi del Commonwealth volevano che fosse subordinata ogni forma di associazione, misura dovuta alla salvaguardia degli equilibri produttivi interni e che viene espressa nel capitolo “Policies for national import substitution”, che prevedeva l’introduzione di tariffe sulle importazioni ai paesi del Commonwealth o restrizioni quantitative, dovute a politiche di sviluppo del mercato interno. I paesi interessati a questo tipo di azioni avrebbero dovuto notificare le decisioni al Consiglio, in tempo utile per prendere le necessarie contromisure, solo in casi di effettiva emergenza gli Stati potevano introdurre queste misure restrittive senza le dovute consultazioni con il Consiglio. I paesi del Commonwealth nel richiedere questa clausola si rifecero ai rapporti commerciali con l’Inghilterra, nei quali nessun obbligo contrattuale stabiliva di discutere l’eventuale introduzione di tariffe o restrizioni nelle importazioni dalla madrepatria. Molti paesi durante la prima Convenzione di Yaoundè fecero ricorso al principio della National Import Substitution, anche se per quantità di importazioni esigue, intorno al 4% del totale, relative soprattutto a prodotti industriali, la completa proibizione di 182 Preliminary paper on relations between the developing Commonwealth countries and EEC, in Bilateral relations between EEc and Commonwealth, “FCO 30/1398” 183 R.Robinson, Developing third world, The experience of the Nineteen-Sixties, Cambridge University Press, 1971, p.34 82 importazioni da parte della Comunità era d’altra parte in manifesto conflitto con i principi dell’associazione. Un altro argomento importante toccato nei negoziati della seconda Convenzione di Yaoundè era quello relativo alla cooperazione economica regionale, infatti le decisioni in materia risultavano meno restrittive e più generali della prima Convenzione, infatti l’art. 8 della seconda Convenzione recitava: “ This Convention shall not preclude the maintenance or establishment of customs union or free trade areas among Associated States” e l’Art. 9 della Convenzione continuava: “ This Convention shall not preclude the maintenance or establishment of customs union or free trade areas between one or more Associated States and one or more third countries insofar as they neither are nor prove to be incompatible with the principles and provisions of the said Convention”184 Con questi articoli la CEE intendeva statuire che i paesi avevano la libertà di intrattenere relazioni economiche tra loro e anche con paesi terzi, ma che in questi accordi non avrebbero mai dovuto adottare politiche che in qualche modo discriminassero la Comunità, infatti nell’elaborazione dello Schema delle preferenze che portò alle due Convenzioni la CEE sostiene che i paesi in via di sviluppo non avrebbero mai potuto, se non dovuto, competere in un regime concorrenziali a pari condizioni, con il mercato comunitario. La CEE invitava i paesi del Commonwealth, alla luce di tutte queste considerazioni, ad accettare la prima opzione citata, cioè una forma associativa istituita con la Seconda Convenzione di Yaoundè, che avrebbe permesso da entrambe le parti maggiore facilità nella cooperazione e vantaggi reciproci dal punto di vista economico. “The Community invites the independent Commonwealth countries which choose to negoziate within the framework of the first formula to partecipate side with the Associated African and Malagasy States in negotiating the new convention to follow the Convention signed on 29 July 1969”185 184 www.commonwealth.org Procedure for Negotiations, Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 185 83 UNITED KINGDOM TRADE IN 1970 WITH INDIPENDENT COMMONWEALTH “ASSOCIABLE” COUNTRIES186 PAESI Barbados Botswana Fiji Gambia Ghana Guyana Jamaica Kenya Lesotho Malati Mauritius Nigeria Sierra Leone Swaziland Tanzania Trinidad e Tobago Tonga Uganda Western Samoa Zambia TOTALE 186 POPOLAZIONE IMPORTAZIONI ESPORTAZIONI (mil) (£) (£) 0.26 0.65 0.52 0.36 9.03 0.76 2.00 11.25 1.04 4.53 0.81 55.07 2.53 0.41 13.49 1.07 6,809 3,153 10,200 4,139 38,795 12,441 27,402 26,990 1 12,134 22,344 124,013 31,448 9,341 23,958 19,398 0.09 9.81 0.15 431 17,541 90 4.30 101,248 11,961 426 6,079 2,106 38,284 14,887 38,142 52,708 67 7,938 5,891 114,31 5 12,509 357 19,540 28,116 1,307 9,908 323 37,777 118,13 491,876 392,63 HOUSE OF COMMON SPECIAL REPORT, ANNEX II, Preliminary paper on relations between the developing Commonwealth countries and EEC, in Bilateral relations between EEC and Commonwealth, “FCO 30/1398”, National Archive, London 84 VOLUME DEL COMMERCIO EEC NEL 1973 ESPORTAZIONI DEI PAESI ACP NELL’EEC, 1973 PRODOTTI 1973 PESCE, CROSTACEI E MOLLUSCHI CAFFE’, THE E SPEZIE ZUCCHERO CACAO E DERIVATI PIETRE, FOSFATI E CEMENTO ALTRI MINERALI COMBUSTIBILE FOSSILE CHIMICI INORGANICI CHIMICI ORGANICI CUOIO ARTICOLI IN CUOIO LEGNO DERIVATI DEL LEGNO TESSILI FERRO E ACCIAIO NICHEL ALLUMINIO STAGNO 0,36 11,72 3,91 7,16 1,06 6,73 33,65 0,51 0,38 0,97 MACCHINE E VEICOLI ALTRI PRODOTTI INDUSTRIALI 0,01 2,75 0,04 8,74 0,00 0,33 0,21 0,27 0,42 0,91 85 DIPENDENZA COMMERCIALE RELATIVA DELL’EEC PER PRODOTTI ACP PESCE, CROSTACEI E MOLLUSCHI CAFFE’, THE E SPEZIE ZUCCHERO PIETRE E CEMENTO MINERALI NON METALLICI COMBUSTIBILI FOSSILI CHIMICA INORGANICA CHIMICA ORGANICA CUOIO ARTICOLI DI CUOIO LEGNO ARTICOLI IN LEGNO TESSILI CERAMICA CRISTALLO FERRO E ACCIAIO RAME E DERIVATI NICHEL E DERIVATI ALLUMINIO ZINCO STAGNO MACCHINE E VEICOLI ALTRI PRODOTTI INDUSTRIALI 86 85,25 1.106,71 825,94 141,26 465,50 173,44 59,53 16,42 161,25 3,49 313,71 20,04 33,70 0,17 0,11 0,71 653,48 0,04 34,63 133,65 224,31 2,05 16,87 IMPORTAZIONI EEC VERSO I PAESI ACP PRINCIPALI PRODOTTI ESPORTATI DAI PAESI ACP VERSO L’EEC PAESI 1973 CAMERUN COSTA DI MARFIL MAURITANIA NIGERIA SOMALIA TOGO ZAIRE ZAMBIA ZIMBABWE 3,67 10,06 1,34 32,28 0,18 1,16 8,64 4,04 0,83 TOTALE AFRICA 94,39 BAHAMAS GUYANA JAMAICA REP.DOMENICANA SURINAME TRINIDAD E TOBAGO 1,40 1,00 1,13 ----1,36 TOTALE CARIBE 5,14 FIJI ISOLE MARSHALL ISOLE SALOMON PAPUA NUOVA GUINEA 0,41 ------- TOTALE PACIFICO 0,47 FONTE: EUROSTAT 87 3.6 SUGAR AGREEMENTS E SUGAR PROTOCOL Gli accordi sulla produzione e il commercio dello zucchero rappresentarono uno dei problemi più gravosi e fonte di inesauribili dibattiti in seno alla CEE. Lo Sugar Protocol è una estensione del vecchio Commonwealth Sugar Agreement stipulato da Inghilterra e Paesi del Commonwealth britannico, attraverso il quale l’Inghilterra faceva fronte alla domanda di zucchero interna importando una significativa quantità di zucchero proveniente dal Commonwealth. Lo Sugar Protocol riguardava i paesi ACP e per molti di questi aveva una importanza fondamentale, basandosi le loro economie in gran parte sull’esportazione di zucchero e rappresenta un eccezione nella Common Agricoltural Policy, in quanto i negoziati che precedettero la stipula e attribuirono un regime di scambi preferenziali per i paesi ACP furono osteggiati e criticati aspramente dalle lobby di produttori della CEE187. Era essenziale per questi paesi ottenere un trattamento di favore da parte delle economie dei paesi industrializzati, come osservò il parlamento europeo: “the question of sugar carries considerable importance in the eyes of the producer countries, since the solution reached will provide an example for other primari products which are crucial in the economy of the associated countries”188 Lo sugar protocol è un accordo commerciale di durata indefinita, come stabilito dal Art.I dell’accordo: "The Community undertakes for an indefinite period to purchase and import, at guaranteed prices, specific quantities of cane sugar, raw or white, which originate in the ACP states and which these States undertake to deliver to it."189 Queste condizioni privilegiate offerte dalla CEE sono frutto di lunghi negoziati con l’Inghilterra, che pose come condizione irrinunciabile nel suo ingresso nella Comunità quella di mantenere in forza gli Sugar Agreements stipulati con i paesi del Commonwealth. Il termine degli Sugar Agreement era previsto per il 1974, se l’Inghilterra non avesse assunto l’impegno comunitario, questi sarebbero stati rinnovati senza problemi a tempo indeterminato, ma questi accordi di preferenza commerciale erano uno dei problemi che impedivano all’Inghilterra l’ingresso nella Comunità. La fine prevista per il 1974 sarebbe coincisa con la fine della regolamentazione del commercio dello zucchero prevista dalla Common Agricoltural Policy in vigore dal 1968, da quella data le parti, se l’Inghilterra fosse entrata a far parte della CEE avrebbero potuto trovare un intesa comune, inoltre il 31 gennaio 1975 sarebbe scaduto il periodo di applicazione della seconda Convenzione di Yaoundè, questo avrebbe permesso agli stati membri di essere liberi da ogni impegno e condizionamento esterno nel discutere una nuova politica che regolasse il commercio dello zucchero. Per il periodo di transizione stabilito l’Inghilterra avrebbe continuato ad acquistare le quote stabilite con i membri del Commonwealth Sugar Agreement, che erano quelle riprodotte nella successiva tabella190: 187 Commonwealth Sugar Agreement Act, Common Market, FCO 20/26 Commonwealth Sugar Agreement Act, Common Market, FCO 20/26 189 Dearden Stephen J.H., The European Union and the Commonwealth Caribbean, op.cit., p.84 190 Commonwealth Sugar Agreement Act, Common Market, FCO 20/26 188 88 . Developing Countries Thousand Metric Tons Raw Value West Indies & Guyana Mauritius Fiji Swaziland India Honduras East Africa 769 403 148 90 27 22 7 Tot. Developed Countries 1.466 Australia 355 A queste quote andavano sommate le 27 ton.della Rhodesia, temporaneamente sospese per la dichiarazione unilaterale di indipendenza del paese. La maggior parte delle economie dei paesi elencati dipendeva dall’esportazione di zucchero per il proprio sostentamento e il venir meno dell’impegno inglese, senza che alcun partner lo sostituisse avrebbe significato per questi paesi il collasso economico e di conseguenza sociale. D’altra parte i paesi membri dell’International Sugar Organization effettuavano pressioni perché nessuna concessione fatta ai paesi del Commonwealth fosse in qualche modo discriminatoria nei loro confronti. Durante i negoziati due decisioni cruciali prese rispettivamente nel 1967 e nel 1968 giocarono un ruolo fondamentale, queste erano relative al Commonwealth Sugar Agreement del 1951. Questo aveva la durata di 8 anni e veniva rinnovato automaticamente con cadenza annuale, ma nel 1967, anno della prima richiesta di far parte della CEE il rinnovo venne sospeso e la data del termine fu fissata nel 1974191. Questa data coincise con altre determinate dalla Comunità come ad esempio le regole per l’esportazione di zucchero fissate dalla Common Agricultural Policy, che sarebbero terminate nel giugno 1975. L’Inghilterra auspicava che la contemporanea fine di entrambe avrebbe portato all’unificazione delle politiche in materia, un altro termine importante era la scadenza della Convenzione di Yaoundè, stipulata nel 1969 con termine il 31 gennaio 1975. Anche l’International Sugar Agreement sarebbe scaduto alla fine del 1973. Alla luce di queste date la riuscita dei negoziati avrebbe permesso all’Inghilterra di rendere parte ad importanti trattative per il rinnovo o la stipula di nuovi trattati come membro della comunità. La Comunità aveva già accordato all’Inghilterra cinque anni di transizione, a partire dall’entrata nella stessa, per regolare politiche e accordi internazionali che potessero in qualche modo configgere con la linea d’azione comunitaria. La questione dell’importazione di zucchero dai paesi facenti parte del CSI rimaneva di importanza cruciale per l’Inghilterra, il problema stava nel continuare a far fronte agli 191 O’Neill Con, Britain Entry into the European Community,p.231 89 impegni, acquistando lo zucchero a prezzi di gran lunga maggiori rispetto la media anche durante l’ingresso nella CEE, le parti coinvolte in questo erano molte e tutte portatrici di interessi, a volte diametralmente opposti. L’importanza della questione zucchero è da ritrovarsi nel fatto che le economie di molti paesi in via di sviluppo dipendevano dai volumi di scambio prodotti con l’Inghilterra, nello specifico derivanti dal CSI, che copriva più del 50% di questi scambi, questo comprendeva non solo questioni di ordine economico, ma significava impiego per le fasce più povere della società di questi paesi e di conseguenza ordine sociale. Ogni modifica a questi rapporti economici era vista con trepidazione dai soggetti interessati e la cessazione della produzione di zucchero per mancanza di richiesta estera avrebbe rappresentato un grave dissesto per queste economie e di conseguenza per la loro precaria stabilità. La situazione in Australia rappresentava per il governo inglese una questione a sé stante, infatti era l’unico paese valutato non in via di sviluppo a partecipare al Common Sugar Agreement; per questo numerosi rapporti del Commonwealth Secretary non ritenevano fondamentale difendere gli interessi di questo paese in merito all’esportazione di zucchero, che per altro rappresentava un’esigua quantità comparata con gli altri paesi. Inoltre durante l’incontro dell’International Sugar Organization il 26 marzo 1971, vari membri espressero perplessità riguardo la linea d’azione inglese, aperte critiche pervennero in particolare dai delegati cubano, messicano, australiano,sudafricano e sovietico. Il 18 maggio una delegazione dell’Iso si recò a Bruxelles per manifestare il loro malumore, ma i negoziati non subirono interruzioni. La confusione ebbe ripercussioni anche in ambito interno, infatti le raffinerie dello zucchero che arrivava grezzo, al prospettarsi di una riduzione della quota di lavorazione interpellarono il governo riguardo le future decisioni e le conseguenze che queste avrebbero avuto nel loro operato192. D’altra parte i produttori di zucchero inglesi videro con favore una futura limitazione delle esportazione e un successivo termine del CSI, infatti questo avrebbe rappresentato un incremento delle quote di produzione interne e la possibilità di ottenere sussidi da parte del governo, potendo superare le restrizioni che esistevano sulla produzione di zucchero. Per il governo poter contare su un incremento della produzione interna significava un risparmio nella bilancia dei pagamenti di almeno 55£ per tonnellata. Oltre questioni di carattere economico e forti pressioni politiche il governo inglese doveva misurarsi con i propositi comunitari, di cui la più grande sostenitrice era la Francia, che consistevano nel mantenere invariata, o al massimo aumentare, la quota di produzione di zucchero interna e vendere il surplus di questa nel mercato britannico al prezzo stabilito dalla Common Agricultural Policy. Nel biennio 1969-70 la Comunità Economica Europea ebbe un surplus stimato in 1,5 milioni di tonnellate. Il governo inglese sperava che il consumo di zucchero in Europa, che le statistiche davano in significativo aumento, avrebbe potuto assorbire questo surplus togliendo l’Inghilterra da questo dilemma, senza compromettere i negoziati e senza che questi facessero apparire i problemi dei paesi in via di sviluppo secondari rispetto ad altre questioni. Tra il 14 e il 22 novembre ebbero luogo gli incontri dei ministri di agricoltura e pesca che avevano come oggetto la ridiscussione dello Sugar Agreement193. Le alternative prese in considerazione erano: 192 Tate & Lile and co, una delle più importanti raffinerie inglesi, in particolare effettuarono pressioni sul Foreign Secretary e condusser una decisa campagna stampa per difendere la loro posizione nel mercato. Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 193 Commonwealth Sugar Agreement Act, Common Market, FCO 20/26 90 • • • Estensione per un anno, con termine definitivo il 31 Dicembre 1975 Nessuna proroga oltre il 31 Dicembre 1974 Estensione per sei mesi, con termine fissato nel 30 Giugno 1975. L’opzione da scegliere, secondo l’Inghilterra era quest’ultima, perchè non avrebbe compromesso i negoziati CEE e rimandava nuovi accordi a tempi di distensione. Il Commonwealth Office espresse il suo favore a questa opzione, perché i paesi CEE avrebbero accolto il riordino, da parte inglese, della politica economica entro i parametri europei e il termine fissato per attuare questo riordino erano sei mesi, come annunciato dal Report della Commissione europea194. La preoccupazione principale era quella di evitare problemi nel periodo dei negoziati, dando una immagine di stabilità e sicurezza nelle trattative. Anche se i negoziati con la Comunità Economica Europea fossero falliti, l’Inghilterra sosteneva che sostanziali modifiche erano da apportare all’accordo, soprattutto per quanto riguardava il prezzo da pagare per lo zucchero importato. L’accordo prevedeva che il prezzo venisse rinegoziato ogni tre anni e l’ultimo termine era stato nel novembre 1968. In un discorso tenuto al Council of Western European Union il 4 luglio 1967 il Foreign Secretary precisò: “Per lo zucchero l’UK ha un accordo con i paesi del Commonwealth che durerà sino alla fine del 1974; il nostro dovere è quello di rispettare questo accordo sino al suo termine. Dobbiamo inoltre tenere conto degli interessi a lungo termine dei paesi in via di sviluppo, le quali economie sono strettamente dipendenti dalle esportazione di zucchero”195 Sul totale consumo inglese di zucchero( 2,9 milioni di tonnellate) due terzi erano coperti dalle esportazioni previste dal CSA. Il prezzo era determinato dalla Annual Review of farm prices. Nel 1970 era di 6,11 sterline, mentre quello previsto dalla CEE era di 6,01, differenza dovuta ai costi di trasporto. La politica da attuare prese forma nella primavera del 1970 e venne approvata dal Comitato dei Ministri l’8 Luglio, le direttive intendevano risolvere come prima istanza il periodo dopo il termine del CSA alla fine del 1974, in modo da salvaguardare le quote di produzione interne e mantenere le esportazioni da parte dei mercati del Commonwealth allo stesso prezzo o almeno ridurle al massimo del 30%. Il 6 novembre 1970 l’Inghilterra presentò una proposta formale per la soluzione del problema, che prospettava a partire dal 1 gennaio 1975 una specifica direttiva che permettesse l’importazione all’interno della Comunità delle quantità di zucchero che il paese necessitava, al prezzo negoziato, da parte dei paesi facenti parte dell’ormai cessato Commonwealth Sugar Agreement, approssimativamente stimate in 1.373 tonnellate. A seguito di questa proposta si susseguirono visiti ufficiali da parte di Fiji, Mauritius, Swaziland e India e vennero esercitate significative pressioni perché si tenesse un incontro tra le rappresentanze dei paesi produttori di zucchero del Commonwealth e il governo inglese. 194 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 195 Termination of Bilateral trade Agreements on Commonwealth preference MT 8/1 PART B, FCO 69/385 91 CSA NEGOTIATED PRICE WORLD FREE MARKET PRICE YEAR £ PER LONG TON £ PER LONG TON 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 44,44 45,10 45,76 46,04 42,00 43,50 43,50 43,50 43,50 43,50 43,50 43,50 50,00 61,00 28,48 25,68 25,59 71,70 51,13 21,51 17,87 19,36 21,83 33,83 40,06 46,18 72,63 99,46 La stipula dello Sugar Protocol il I febbraio 1975, riafferma l’importanza del commercio dello zucchero nella scena internazionale. Il raggiungimento di quest’intesa segna la fine di un lungo dibattito sulla formulazione della maniera nella quale i territori del Commonwealth dovessero essere ricompresi in un accordo di portata generale che ne aiutasse le economie all’indomani dell’entrata dell’Inghilterra nella CEE, permettendo ai paesi ACP di esportare il loro zucchero nel più importante mercato in termine di quote di produzione e relative tariffe. Il Protocollo è l’ esempio di una politica di cooperazione mai applicata in passato tra PVS ed economie industrializzate, nel 1974 il Parlamento Europeo si espresse in questo modo al riguardo: “The question of sugar carries considerable importance in the eyes of the producer countries, since the solution reached will provide an example for other primary product which are crucial in the economy of the associate countries.”196 196 92 Commonwealth Sugar Agreement Act, Common Market, FCO 20/26 93 CONCLUSIONI L’analisi del primo tentativo britannico di aderire alla Comunità europea può essere molto utile per comprendere le intricate dinamiche che sottostavano al processo di integrazione europea nei primi anni del cammino comunitario. L’Inghilterra rappresenta un caso interessante perché ha una tradizione di cultura politica di grande pragmatismo e ha rivestito, fino a quel momento, un ruolo politico ed economico decisivo per vaste aree del globo, e che si ritrova a dover cambiare atteggiamento nei confronti dell’Europa dopo aver rifiutato, per tutto il dopoguerra, di legarsi in alcun modo agli stati del continente. Inoltre, come é stato detto, la richiesta di adesione inglese rappresenta il primo caso in cui i Sei componenti originari della Comunità si ritrovarono impegnati nella questione dell’allargamento. Oltre al problema dell’allargamento la Comunità Economica si trova in questo decennio ad affrontare un'altra importante sfida. Il contesto internazionale del decennio 1960-1970 ha cambiato radicalmente l’approccio dei paesi aderenti alla Comunità Economica Europea in materia di politiche comunitarie e cooperazione allo sviluppo, infatti l’arco di tempo tra le due Convenzioni di Yaoundè ha permesso di articolare e implementare politiche che permettessero ai Paesi in via di sviluppo di ottenere risposte chiare. L’adesione alla Comunità dell’Inghilterra ha comportato una complessa riorganizzazione della politica di sviluppo comunitaria e ha reso necessaria la concezione di un quadro più adeguata e con un numero di partecipanti elevato e con richieste diverse. Questa presa di coscienza ha portato alla concezione di strumenti sempre più numerosi e complessi, come la firma della prima Convenzione di Lomè, nel 1975 e il consolidamento del rapporto di cooperazione con i Paesi del Maghreb, del Mashrek, dell’Asia e dell’America Latina. E’ solo dopo l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione Europea nel 1993 che la cooperazione comunitaria allo sviluppo trova un suo fondamento giuridico nel titolo XX, Cooperazione allo Sviluppo, che definisce una vasta gamma di strumenti giuridici e finanziari e rispecchia la complessità dei rapporti intrattenuti tra EU e PVS, definendo politiche a carattere universale o a carattere regionale, con la creazione e la diffusione su scala mondiale di organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative, attraverso il cofinanziamento dei progetti. Nel tempo, dalla cooperazione commerciale e finanziaria, la CEE, nella sua evoluzione ha provveduto ad ampliare lo spettro operativo, occupandosi sempre più spesso di progetti tematici, che prendono in considerazione la complessità del contesto sociale in cui opera e dei nuovi problemi che compromettono lo sviluppo di determinate aree, spesso di dimensioni universali, come l’ambiente, la lotta alla droga, l’AIDS. A partire dal 1975, le relazioni tra i paesi ACP e l'UE sono state regolate dalle convenzioni di Lomé, che hanno stabilito un partenariato stretto, profondo e complesso. Un aspetto fondamentale della cooperazione economica e commerciale istituito dalla Prima Convenzione di Lomé è il regime di preferenze commerciali. Viene inoltre sancita la clausola di non reciprocità, che rappresenta una delle innovazioni più importanti della Convenzione, giustificata dal diverso livello di sviluppo dei paesi ACP, i quali non sono tenuti a sottoscrivere, per quanto riguarda le importazioni provenienti dalla CEE, obblighi analoghi a quelli concessi dalla Comunità, ma unicamente ad applicare alle importazioni comunitarie la clausola della nazione più favorita e a non praticare discriminazioni tra i paesi della Comunità. 94 L’inizio di una politica di cooperazione vede la nascita dei principali strumenti finanziari e tecnici il Fondo Europeo di Sviluppo (FES), e le risorse della Banca europea per gli investimenti (BEI). Il FES è un fondo specifico di durata quinquennale assegnato a ciascuna convenzione. Da Lomé IV in poi, i finanziamenti a favore dei Paesi ACP sono quasi esclusivamente a fondo perduto. La BEI concede prestiti sono assegnati sotto varie forme, compresi gli aiuti non rimborsabili e i prestiti con capitali di rischio. Gli interventi di tali strumenti sono rivolti al finanziamento di progetti e programmi d’investimento pubblici (strade, ospedali, ecc.) e di azioni di cooperazione tecnica (assistenza tecnica, studi) legati a tali investimenti o a vocazione più generale. Da una convenzione all’altra si sono aggiunti alla cooperazione settori nuovi: la cultura, la tutela dei diritti umani, l’ambiente la promozione della donna. L'ultima convenzione di Lomé, è stata firmata nel 1989 per una durata di 10 anni ed ha introdotto numerose innovazioni importanti. Lomé IV è stato il primo accordo di sviluppo ad integrare una clausola importante sui diritti dell’uomo. La promozione dei diritti umani e il rispetto della democrazia sono diventati elementi chiave della cooperazione, come un’ importante innovazione, che è stata la cooperazione decentrata, vale a dire la partecipazione di altri attori al processo di sviluppo, come ad esempio la società civile. 95 BIBLIOGRAFIA AA. VV., Problems of British Entry into the EEC: Reports to the Action Committee for the United States of Europe., Londra, PEP, 1969. Aldcroft, D. H., The European Economy 1914-2000, Londra-New York, Routledge, 2002. A.N. Porter, Money, finance and the Empire, 1790-1960, Frank Cass, Bristol, 1985 Bange O., The EEC Crisis, Kennedy, MacMillan, de Gaulle and Adenauer in conflict, MacMillan, New York, 2000 Bell P.M.H., France and Britain, the long separation, Longman,New York, 1997 Benoit, E., Europe at Sixes and Sevens: the Common Market, the Free Trade Association, and the United States, New York-Londra, CUP, 1963. Brivati, B., e Jones, H., From Reconstruction to Integration. 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Contiene documentazione relativa ai negoziati per l’adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea (1961-1973): FO 371/16476 FO 371/164791 FO 371/164795 FO 371/164803 FO 371/171442 FO 371/164791 FO 371/ 182293 Documenti provenienti dalla Commissione della Comunità Economica Europea: BAC 11/1972/3 documentazione riguardante il negoziato per l’adesione del Regno Unito: documenti di lavoro sui problemi del Commonwealth e l’associazione della EEC a vari paesi; rapporti sulle sessioni ministeriali. Copre gli anni dal 1961 al 1962. BAC 11/1972/4 documentazione riguardante il negoziato per l’adesione del Regno Unito: rapporto della Commissione della CEE al Parlamento europeo sullo stato dei negoziati. BAC 11/1972/6 documentazione riguardante il negoziato per l’adesione del Regno Unito: rapporti e resoconti della IV e della V sessione ministeriale della conferenza tra gli stati membri della CEE e il Regno Unito; classificazione dei paesi del Commonwealth. Documenti provenienti dal Prime Minister’s Office: PREM 11/4523 documentazione relativa ai negoziati per l’adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea: accordi finanziari ed altre implicazioni per il Regno Unito. PREM 11/4524 documentazione relativa ai negoziati per l’adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea: accordi finanziari ed altre implicazioni per il Regno Unito. PREM 11/2879, Contiene documentazione relativa alla corrispondenza del Prime Minister’sOffice. Copre dal 1953 al 1959. PREM 11/3131, Contiene documentazione relativa alle negoziazioni sul commercio europeo seguite alle discussioni tra il primo ministro Macmillan e Adenauer nell’agosto del 1960. PREM 11/3311, Contiene documentazione relativa alla posizione francese nell’alleanza occidentale. Il “Grand Design”: discussioni e corrispondenza tra il primo ministro Macmillan e il presidente Kennedy. Copre il 1961. 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PREM 11/4522, Contiene documentazione relativa ai negoziati per l’adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea: accordi finanziari ed altre implicazioni per il Regno Unito. Copre il 1962 e il 1963. Documenti provenienti dal Cabinet Office: Contiene 6078 fascicoli e copre dal 1916 al 1973. CAB 21/4411, Relazioni anglo-americane CAB 21/4412, Relazioni anglo-americane CAB 21/4414, Mercato Comune Europeo e Associazione Europea di Libero Scambio CAB 134/1511 CAB 134/1512 CAB 134/1513 CAB 134/1514 CAB 134/1515 CAB 134/1516 CAB 134/1517 101 SITI INTERNET ASEAN Secretariat www.aseansec.org Australia Free trade Agreements www.fta.gov.au Australian Government Department of Foreign Affairs and Trade www.dfat.gov.au Caribbean Free Trade Association www.caricom.org Commonwealth Secretariat www.thecommonwealth.org European Central Bank www.ecb.int European Free Trade Association www.efta.int Home Foreign and Commonwealth Office www.fco.gov.uk International Coffee Organization www.ico.org International Sugar Organization www.sugaronline.com Organization for Security and Co-operation in Europe www.osce.org Organisation for Economic Co-operation and Development www.oecd.org Parlamento Europeo www.europarl.europa.eu Unione Europea www. europa.eu United States Department of State www.usinfo.state.gov Uk Goverment website www.direct.gov.uk World Trade Organization www.gatt.org 102