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Luciano Bongiorni
Le orchidee
spontanee
del Piacentino
INDICE
LA PROVINCIA DI PIACENZA
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INQUADRAMENTO GEOLOGICO
8
IL CLIMA DELLA PROVINCIA DI PIACENZA 10
FLORA E VEGETAZIONE DEL PIACENTINO 12
Ringrazio il prof. Paolo Grünanger per i preziosi consigli e il
determinante supporto bibliografico. Ringrazio Romina Bongiorni
e Sandra Pareti per la battitura del testo.
Ringrazio infine Adalgisa Torselli, Elena Schiavi e Fausta Casadei
della Provincia di Piacenza per il sostegno nella pubblicazione
dell’opera.
Luciano B.
Testo e fotografie di Luciano Bongiorni
Disegni di Loredana Bongiorni
Grafica e impaginazione: Luca Gilli
Coordinamento redazionale: Lisa Berté
Planorbis editore
ISBN 88-901385-2-1
Studio
PREMESSA
LE ORCHIDEE
L’apparto radicale
Il fusto
Le foglie e le brattee
Il fiore
La resupinazione
Le variazioni di colore
Le anomalie di forma
Gli organi riproduttivi
L’impollinazione
L’autoimpollinazione
La germinazione
Il ciclo vitale
PROTEZIONE E CAUSE DI RAREFAZIONE
Situazione nel piacentino
ed eventuali forme di prevenzione
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I GENERI PRESENTI NELLA
PROVINCIA DI PIACENZA
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SISTEMA PER DETERMINARE I GENERI
PRESENTI NEL PIACENTINO
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LE SCHEDE DELLE SPECIE
Epipactis atrorubens
E. distans
E. gracilis
E. helleborine
E. leptochila
E. microphylla
E. muelleri
E. palustris
E. placentina
E. viridiflora
Cephalanthera damasonium
C. longifolia
C. rubra
Limodorum abortivum
Neottia nidus-avis
Epipogium aphyllum
Corallorhiza trifida
Listeria cordata
L. ovata
Spiranthes spiralis
Goodyera repens
Platanthera bifolia
P. chlorantha
Gymnadenia conopsea
G. odoratissima
Pseudorchis albida
Nigritella rhellicani
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Coeloglossum viride
Dactylorhiza incarnata
D. lapponica
D. maculata
D. majalis
D. sambucina
Traunsteinera globosa
Orchis anthropophora
O. coriophora subsp. fragrans
O. laxiflora
O. mascula
O. militaris
O. morio
O. pallens
O. papilionacea
O. provincialis
O. purpurea
O. simia
O. tridentata
O. ustulata
Himantoglossum adriaticum
H. hircinum
Anacamptis pyramidalis
Serapias neglecta
S. vomeracea
Ophrys apifera
O. benacensis
O. fuciflora
O. fuciflora subsp. elatior
O. fusca
O. insectifera
O. sphegodes
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IBRIDAZIONE
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GLOSSARIO
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BIBLIOGRAFIA
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Ad un anno dall’uscita del volume “Le orchidee spontanee del Piacentino” di Luciano Bongiorni, che tanto interesse ha suscitato tra botanici, appassionati e semplici
cittadini, è con soddisfazione che mi accingo a presentare questa nuova edizione
del volume, stampata in un nuovo formato, più pratico, maggiormente adatto ad un
uso di campagna. D’altronde, ritengo che la funzione che più si addica ad un libro di
botanica sia quella di accompagnare e guidare l’appassionato o il ricercatore nelle
sue escursioni nell’ambiente naturale.
Per quanto riguarda i contenuti, questa nuova edizione riporta fedelmente i testi e
le immagini della precedente che, mi preme ricordarlo, vide la stampa per iniziativa
di colei che mi ha preceduto all’Assessorato Ambiente della Provincia di Piacenza: la
professoressa Adriana Bertoni. E proprio dalla presentazione che scrisse allora Adriana,
ho tratto alcune considerazioni che non posso non fare mie:
“… Fiori dalle forme molteplici e dai colori sgargianti, che ci affascinano per la bellezza
e la rarità, suscitano grande interesse per il valore scientifico e naturalistico.
Tutelati dalla legislazione comunitaria e regionale, sono minacciati dalle trasformazioni ambientali in atto (su tutto, la distruzione delle aree umide); dall’abbandono
delle pratiche agricole e pastorali tradizionali (ad esempio il mancato sfalcio delle
praterie montane); dall’incursione di alcuni animali selvatici (i cinghiali ne mangiano
i tuberi).
… Le orchidee selvatiche costituiscono una parte di questo patrimonio naturale di
cui la provincia di Piacenza è ancora ricca. Agli amministratori in primis il compito e la
responsabilità di salvaguardarlo e valorizzarlo con la collaborazione e la cura di quanti
ancora abitano, frequentano e amano questi ambienti così delicati e così importanti
per il mantenimento della biodiversità. Che, non scordiamolo, è l’assicurazione che
abbiamo sulla vita e sul futuro.”
Un sentito ringraziamento va naturalmente all’autore del libro, il signor Luciano
Bongiorni, esperto “orchidofilo”, che tanta passione e tanto tempo della sua vita
dedica allo studio ed alla protezione della flora piacentina. Un ringraziamento anche
ai dipendenti del Servizio Ambiente della Provincia di Piacenza che hanno collaborato
a questa nuova edizione.
L’ASSESSORE ALL’AMBIENTE
DELLA PROVINCIA DI PIACENZA
Gianluigi Ziliani
4
5
di Lisa Berté, naturalista
LA PROVINCIA DI PIACENZA
La provincia di Piacenza è collocata nel
settore più occidentale della regione
Emilia-Romagna con la quale ha in
comune anche i confini ad eccezione di
quello orientale. Il confine settentrionale
è delimitato dalle anse del Fiume Po che
la separano dalla Lombardia e quindi
dalle province di Pavia, Lodi, Cremona
(procedendo da ovest verso est). La
provincia di Pavia delimita poi tutto il
confine occidentale fino a raggiungere
il settore montano ove solo un piccolo
lembo confina con il Piemonte (provincia
di Alessandria). A sud troviamo la Liguria
con la provincia di Genova che le contrappone la dorsale appenninica che si
affaccia sul mare Tirreno; ad est, invece,
troviamo la provincia di Parma.
Il territorio provinciale si estende su
circa 2.590 Kmq di superficie suddivisi
in tre settori: pianura (27,3%), collina
(36,7%), montagna (36%). Il settore
pianeggiante è il meno rappresentato
e termina approssimativamente sui 100
metri di quota, mentre i rilievi interessano la maggior parte del territorio (73%).
Nella zona di transizione tra l’alta e la
bassa pianura sono presenti fenomeni di
risorgenza che in provincia interessano
soprattutto i comuni di Fiorenzuola
d’Arda, Pontenure e Castelsangiovanni.
Evidenti terrazzi fluviali, lembi dell’antica pianura, emergono dall’attuale area
pianeggiante costituendo una fascia
altocollinare-pedemontana. La collina
inizia intorno ai 100 metri sul livello del
mare e si spinge fino a circa 600-800
metri, dove inizia il settore montano. Le
vette più alte si trovano nell’alta Val Nure
(M. Ragola 1.771 m, M. Nero 1.753 m,
M. Bue 1.777 m) e nell’alta Val Trebbia
(M. Alfeo 1.650 m, M. Lesima 1.724 m,
M. Carmo 1.640 m). Le quote più alte
della Val Nure sono state interessate da
imponenti fenomeni glaciali che hanno
caratterizzato gran parte di questi territori con la presenza di circhi glaciali,
laghetti e morene. La presenza di laghi
naturali infatti è concentrata principalmente in questa valle: Lago Nero, Lago
Bino, Lago Moo.
La provincia presenta quattro corsi d’ac6
qua principali che procedendo da ovest
verso est sono: il Torrente Tidone, il Fiume Trebbia, il Torrente Nure e il Torrente
Arda. Il Tidone nasce lungo le pendici del
Monte Penice (1.460 m) e sfocia nel Po
presso Rottofreno. Lungo il suo corso
riceve le acque dei torrenti Tidoncello
e Luretta. Il Fiume Trebbia nasce dal M.
Prelà, in provincia di Genova e dopo
circa 114 km sfocia nel Po vicino alla città
di Piacenza. Suoi principali affluenti sono
i torrenti Brugneto, Pesca e Cassingheno
in provincia di Genova; l’Avagnone in
territorio pavese; l’Aveto e il Boreca in
territorio piacentino. Il Torrente Nure
nasce alle pendici del M. Ragola (1.771
m) e del M. Nero (1.753 m) e dopo
circa 60 km sfocia nel Po nei pressi di
Roncaglia. Riceve le acque dei torrenti
Lavaiana, Lardana e Grondana. L’Arda
invece nasce di Monti Lama (1.335 m) e
Menegosa (1.356 m) e prima di gettarsi
nel Po nei pressi di Villanova si unisce al
torrente Ongina.
Il Tidone e l’Arda sono caratterizzati
dalla presenza di due invasi artificiali:
rispettivamente il lago di Trebecco e il
lago di Mignano.
7
di Gianluca Raineri, Riserva Naturale Geologica del Piacenziano
INQUADRAMENTO GEOLOGICO
Le rocce del piacentino possono essere
suddivise, in base alla loro area di origine, in tre grandi “insiemi” geologici:
il “Substrato Alloctono”, i “Depositi
Neoautoctoni” e la “Copertura Autoctona”.
Il SUBSTRATO ALLOCTONO, che comprende le “Unità Liguri” e le “Successioni
Epiliguri”, è prevalentemente formato:
- da rocce magmatiche, più o meno
alterate da processi chimico-fisici
e qui riferibili a serpentiniti (brandelli del “mantello” semifuso su cui
galleggia la crosta terrestre), gabbri
(derivanti dalla lenta solidificazione
di lave all’interno della crosta terrestre) e basalti (prodotti dalla rapida
solidificazione di lave in ambienti
subacquei);
- da rocce sedimentarie,e per lo più costituite da estese formazioni argillose e da “flysch” (ritmiche alternanze
di arenarie, calcari e marne derivanti
dall’accumulo di materiali mobilitati
da eventi franosi sottomarini).
Nell’arco degli ultimi 140 milioni di
anni queste rocce, che si formarono
nell’antico oceano Tetide ubicato in corrispondenza dell’attuale
area Tirrenica, sono state traslate
e sollevate sino alla posizione attuale (da cui il termine “alloctone”)
dalle forze compressive che hanno
portato alla formazione (orogenesi)
dell’appennino.
Mentre nelle aree di crinale ai
confini con il Parmense e la Liguria
predominano le rocce magmatiche (note come ofioliti, dal greco
ofio=serpente e litos=pietra, per il
loro colore verde-scuro screziato di
chiaro che ricorda la pelle di alcuni
serpenti), nelle zone comprese tra
il crinale ed il margine appenninico abbondano i flysch ed i grandi
complessi argillosi alloctoni, da cui
emergono per maggior resistenza
all’erosione le ofioliti di Monte Tre
Abati, M. S.Agostino, M. Capra, M.
Pradegna, Pietra Parcellara, Pietra
Perduca, Castello di Gropparello
8
ed altre ancora; queste ultime, a
differenza dei complessi di crinale,
sono “sradicate” dal loro substrato
originario ed inglobate nei complessi
argillosi alloctoni.
I DEPOSITI NEOAUTOCTONI sono in
genere costituiti da potenti successioni
di argille, limi e sabbie accumulatisi sui
fondali dell’ampio golfo marino che,
tra circa 5,3 e 1,2 milioni di anni fa,
dall’Adriatico si estendeva verso Ovest
occupando l’attuale pianura padana.
La scarsa traslazione subita da questi
sedimenti rispetto al luogo d’origine
è sintetizzata nell’appellativo “neoautoctoni”; fanno parte di essi i depositi
fossiliferi affioranti sul margine appenninico compreso tra la valle del Vezzeno
e la valle dell’Ongina, le cui peculiarità
geo-paleontologiche ben documentano
l’evoluzione ambientale di questo settore del territorio piacentino tra 5,3 e 1,4
milioni di anni fa (Pliocene – Pleistocene
inferiore).
La zona compresa tra Castell’Arquato
e Lugagnano V. Arda in particolare è
sede dello stratotipo storico del Piacenziano, quel periodo di storia della
Terra compreso tra 3,6 e 2,6 milioni di
anni fa, e costituisce da oltre due secoli
un punto di riferimento fondamentale
per coloro che studiano il Pliocene del
Mediterraneo e le variazioni climatiche
che hanno accompagnato il progressivo
raffreddamento del nostro emisfero;
non a caso quindi questa porzione del
territorio piacentino, definibile a pieno
titolo come “culla del Pliocene”, è oggi
sede della Riserva Naturale Geologica
del Piacenziano.
fasi di avanzamento (trasgressione) o
arretramento (regressione) del mare
rispetto alle terre emerse, riconducibili
a sollevamenti della catena appenninica e/o ad approfondimenti del bacino
padano e/o alle marcate variazioni
del livello di base del mare che hanno
accompagnato le fasi glaciali (aumento dei ghiacci sulle terre emerse
abbassamento del livello del mare
incremento delle terre emerse) ed
interglaciali (scioglimento dei ghiacci
innalzamento del livello del mare
riduzione delle terre emerse) del
Pleistocene medio-superiore (tra circa
800.000 e 10.000 anni fa).
L’accumulo di questi depositi, i più
recenti in ordine di tempo, ha contribuito in modo determinante al definitivo
colmamento del golfo marino padano
ed alla formazione dell’attuale Pianura
Padana.
Le rocce di questi tre grandi raggruppamenti possono a loro volta essere
suddivise in unità di rango inferiore in
funzione della loro genesi, composizione
mineralogica, età, ecc. Assegnando ad
ogni insieme roccioso un colore e riportando su base topografica la relativa
estensione territoriale si ottiene uno
strumento di fondamentale importanza
per la gestione e la programmazione
territoriale: la “Carta Geologica”.
La Carta Geologica qui proposta ben evidenzia la distribuzione provinciale dei tre
grandi insiemi rocciosi menzionati: il substrato alloctono si estende dalle cime più
alte dell’appennino sino ai contrafforti collinari dove affiorano i soprastanti depositi
neoautoctoni che a loro volta sono ricoperti, da qui sino al fiume Po, dai sedimenti
della copertura autoctona.
La COPERTURA AUTOCTONA, è principalmente costituita da ghiaie, sabbie
e fanghi di origine alluvionale, fluviale o
lacustre, accumulatisi nello stesso luogo
(“autoctoni”) in cui oggi si rinvengono ed
organizzati in successioni sedimentarie,
o meglio in Sequenze Deposizionali, note
come Sintemi.
Questi ultimi sono tra loro suddivisi da
evidenti discordanze riferibili a cicliche
9
di Paolo Lega, Servizio Programmazione Territoriale e Urbanistica
Amministrazione Provinciale di Piacenza
IL CLIMA DELLA PROVINCIA DI PIACENZA
Il clima del territorio piacentino può essere descritto come un clima temperato o di
tipo “C” secondo Köppen (temperatura
media del mese più freddo compresa
tra -3°C e +18°C); più in particolare
il territorio di pianura e collina risulta
caratterizzato da un clima temperato subcontinentale (temperatura media annua
compresa tra 10°C e 14,4°C, temperatura
media del mese più freddo compresa tra
-1°C e +3,9°C, da uno a tre mesi con
temperatura media >20°C, escursione
annua superiore a 19°C), mentre il territorio di montagna è caratterizzato da
un clima temperato fresco (temperatura
media annua compresa tra 6°C e 10°C,
temperatura media del mese più freddo
compresa tra 0°C e +3°C, media mese
più caldo tra 15 e 20°C, escursione annua tra 18 e 20°C). Con riferimento alla
serie di osservazioni dal 1958 al 1983
pubblicata da Istat, la temperatura media
annuale è di 12.2°C a Piacenza, scende
a 11.5-12°C nelle località di media collina e di fondovalle (Bettola, Bobbio) e
scende a 8.5°C nelle stazioni più elevate
di fondovalle (Losso, comune di Ottone,
416 m). Il mese più freddo è Gennaio, che
fa registrare una media mensile di 0.8°C
a Piacenza e di –1.1°C a Losso; il mese
più caldo è Luglio, con una temperatura
media di 22.9°C a Piacenza e di 18.1°C
a Losso.
I fattori geografici che contribuiscono
maggiormente a determinare le caratteristiche termiche del clima del territorio
piacentino sono essenzialmente due:
la sua collocazione nel cuore della Val
Padana occidentale (lontano dalle masse
d’acqua mediterranee) che determina
soprattutto il carattere di continentalità
(elevate escursioni termiche giornaliere e
annuali); e la presenza del rilievo appenninico il quale, come confine meridionale
della Val Padana, contribuisce a fornire
alla collina le caratteristiche climatiche di
“versante”, mentre come spartiacque con
il versante ligure fa giungere alla fascia più
alta della montagna piacentina l’influenza
del clima sublitoraneo e temperato caldo
della Liguria.
Le conseguenze climatiche di questi
10
fattori geografici, assieme alla configurazione orografica più generale della Valle
Padana, sono estremamente rilevanti
per il territorio piacentino: il carattere di
continentalità è infatti accentuato nella
fascia di pianura (a Piacenza si registra
un’escursione annua media di 22.1°C e
un’escursione giornaliera media in Luglio
di 13.0°C), ma si riduce con la diminuzione della latitudine e con l’avvicinamento
al crinale ligure (a Losso escursione annua
media di 19.2°C e giornaliera in Luglio di
11.6°C); le valli piacentine più prossime
alla regione ligure godono pertanto di
un clima decisamente più temperato e
meno continentale. Si può inoltre ben
osservare che la fascia di media collina,
indicativamente compresa tra i 150 e i
400 m di altitudine, collocata al di sopra della sommità media delle inversioni
termiche della Valle Padana, gode di un
regime termico più temperato e mite sia
di quello della pianura che di quello della
montagna. In questa fascia infatti si hanno
escursioni termiche annuali più ridotte
(19.3°C a Castellana di Gropparello, con
temperature invernali più elevate rispetto
alla pianura, e temperature estive più
basse) e più basse escursioni giornaliere
medie (9.4°C in Luglio).
Sotto il profilo pluviometrico, il clima del
territorio piacentino è caratterizzato dal
tipico regime sublitoraneo appenninico o
padano, che presenta due valori massimi
delle precipitazioni mensili in primavera
e in autunno, e due minimi in inverno e
in estate: di questi, il massimo autunnale
e il minimo estivo sono più accentuati
degli altri due. L’altezza totale annua delle
precipitazioni è pari a circa 850-900
mm nella fascia della pianura piacentina
distribuiti su 80-85 giorni piovosi, mentre
sale a 1000-1500 mm nella fascia della
media collina su circa 100 giorni piovosi,
subendo un incremento mediamente
proporzionale all’aumento di altitudine;
a partire da questa fascia (intorno ai
400-600 m di quota), l’altezza delle
precipitazioni subisce, a parità di quota,
un incremento inverso alla latitudine,
in quanto fortemente influenzata dai
sistemi frontali che traggono origine
dalle depressioni che si vanno formando
con elevata frequenza sul Mar Ligure e
sull’alto Tirreno. Con riferimento al periodo 1958-1983, Luglio è il mese meno
piovoso dell’anno, con 45 mm a Piacenza
distribuiti su 4.5 giorni piovosi, e 67 mm
a Losso su 6.3 giorni piovosi; per contro,
Ottobre risulta il mese più piovoso con
107 mm su 7.8 giorni piovosi a Piacenza,
e 187 mm su 9 giorni piovosi a Losso, seguito però a brevissima distanza dal mese
di Novembre. Negli ultimi due decenni
tuttavia il regime pluviometrico sembra
essersi progressivamente modificato, a
favore di una riduzione delle precipitazioni
invernali (in particolare Febbraio) e di un
aumento di quelle autunnali (in particolare Ottobre).
Le intensità giornaliere medie di precipitazione vanno da valori minimi di 8-15
mm/g in pianura, fino a 25 mm/g e oltre
nelle zone più interne della fascia di montagna; i valori massimi assoluti di pioggia
giornaliera vanno invece dai 100-120
mm/g registrati in pianura tra Agosto e
Settembre, ai 100-170 mm/g della media
collina registrati in Agosto (temporali
convettivi estivi), fino ai 150-220 mm/g
registrati in montagna tra Settembre e
Novembre (prodotti dai fronti freddi
autunnali in transito da Ovest).
Il bilancio idrico teorico annuale (precipitazioni meno evapotraspirazione
potenziale) si chiude con un debole surplus nella fascia di pianura (30-60 mm),
mentre raggiunge un saldo positivo di
700-1000 mm nella fascia di montagna
(Losso); in pianura il primo mese in cui il
saldo del bilancio teorico risulta negativo
è Aprile, mentre in montagna è Maggio;
viceversa, dopo i mesi estivi in cui il
bilancio mensile risulta costantemente
deficitario, il primo mese in cui ritorna
eccedentario è Settembre in montagna
e Ottobre in pianura.
11
di Enrico Romani, Museo Civico di Storia Naturale di Piacenza
FLORA E VEGETAZIONE DEL PIACENTINO
Il patrimonio floristico della provincia
di Piacenza conta circa 1600 specie
censite, comprese felci ed equiseti, con
una spiccata diversificazione nelle diverse
fasce altitudinali, da ricondurre sia alle
variazioni dei parametri climatici, sia alla
diversa incidenza dell’azione dell’uomo sul
paesaggio e sugli ecosistemi naturali.
L’attuale assetto vegetazionale e floristico
del nostro territorio va fatto risalire alla
fine dell’ultimo periodo glaciale, circa
10.000 anni fa. Gli sconvolgimenti
climatici del Quaternario, noti come glaciazioni, hanno letteralmente spazzato
via dal continente europeo la flora del
Terziario, lasciando solo poche ma significative testimonianze: fra queste specie
relitte ricordiamo, per il nostro territorio,
l’Agrifoglio (Ilex aquifolium), la Felcetta
lanosa (Notholaena marantae), esclusiva
delle ofioliti, e il raro Astragalus sirinicus,
piccolo arbusto spinoso presente, con
un piccolo popolamento, sulla cima di
Monte Lesima.
Con l’aumento della temperatura ed il ritiro dei ghiacciai, presenti anche sul nostro
Appennino, diverse piante dei climi freddi
(alpine ed artico-alpine) hanno trovato
degli ambienti rifugio in poche stazioni
in prossimità dei crinali più alti: è il caso
ad esempio del Pino uncinato di Monte
Nero, stretto parente del Pino mugo delle
Alpi, che è riuscito a sopravvivere sino ai
nostri giorni colonizzando i ghiaioni più
scoscesi ed esposti.
Durante il postglaciale, l’alternarsi di
periodi più freddi e più caldi ha portato
alla graduale sostituzione della vegetazione microterma con quella attuale; in
particolare un numeroso contingente di
specie mediterranee è penetrato in diverse ondate, corrispondenti alle fasi più calde, nel nostro territorio e ne caratterizza
tuttora la flora (circa il 14% delle specie),
soprattutto nella fascia collinare. Fra le
più tipiche specie stenomediterranee
ricordiamo il Timo (Thymus vulgaris) e la
Valeriana rossa (Centranthus ruber), diffusi
sui versanti rocciosi della Val Trebbia.
Sull’Appennino uno degli aspetti più significativi è dato dalla relativamente recente
(circa 400 anni fa) espansione del Faggio,
12
che oggi domina il paesaggio forestale fra
i 1000 ed i 1700 m.
Ma è stata soprattutto l’azione dell’uomo
a caratterizzare il nostro attuale paesaggio vegetale, sia direttamente, con la
messa a coltura dei suoli e le bonifiche,
sia indirettamente, con l’introduzione,
spesso involontaria, di specie esotiche.
L’impronta dell’attività umana è massima nella pianura: già a partire dalla
colonizzazione romana ha preso avvio la
lenta ma inesorabile opera di distruzione
della foresta primigenia, dominata dalla
Farnia (Quercus robur), che ricopriva l’intera pianura dal Piemonte all’Adriatico. Ad
epoche ancor più remote va fatta risalire
l’introduzione, dalle steppe del vicino
oriente, delle colture di cereali (grano,
orzo, segale): ad esse si accompagnava
una ricca flora commensale (archeofite),
in cui spiccavano Papaveri e Fiordalisi,
oggi in buona parte relegata alla fascia
collinare e della bassa montagna a causa
del massiccio uso di diserbanti.
Attualmente sono pochi gli ambienti di
pianura caratterizzati da un buon grado
di naturalità, per lo più circoscritti agli
alvei dei torrenti e alle poche aree golenali
del Po non ancora alterate da opere di
bonifica e regimazione. Fra i più interessanti ricordiamo gli ambienti dei conoidi
dei nostri corsi d’acqua appenninici, e
in particolare le ampie fasce di greto
stabilizzato, su cui si insediano popolamenti xerici di erbe e piccoli arbusti,
spesso provenienti dai versanti collinari e
montani: riescono così a penetrare nella
pianura piante diffuse a quote maggiori,
come la Santoreggia (Satureja montana),
l’Issopo (Hyssopus officinalis), l’Eliantemo
(Helianthemum nummularium), il Salice
ripaiolo (Salix eleagnos) e alcune orchidee
selvatiche.
Le incisioni dei conoidi separano le propaggini collinari, i pianalti terrazzati,
che si protendono sulla pianura e che
in alcuni casi (La Bastardina, Bosco di
Croara, Bosco Verani) ospitano estese
coperture forestali, costituite da querceti
più o meno termofili provvisti di un ricco
ed interessante corteggio floristico.
Il paesaggio collinare, ancora pesante-
mente segnato dall’impronta antropica, si
presenta come un complesso mosaico di
ambienti artificiali (diffusi sono i vigneti,
ma anche colture di cereali e foraggere) e
naturali (boschetti, siepi, praterie postcolturali, alvei di torrenti, pendii scoscesi,
zone franose); la diversificazione ambientale viene ulteriormente accentuata dalla
presenza diffusa di incolti, aree marginali
e fasce di transizione (ecotoni). La flora
ne risulta arricchita rispetto alla pianura, e
più termofila, almeno alle basse quote, soprattutto per l’incidenza di un significativo
contingente di specie mediterranee.
In alcune vallate (Val d’Arda, Valle Ongina)
i versanti sono spesso contraddistinti da
estese formazioni calanchive: qui l’instabilità e l’ostilità del substrato hanno
impedito non solo la sua messa a coltura,
ma anche l’affermarsi della copertura
vegetale naturale. L’ambiente presenta
però aspetti di estremo interesse, sia per
la presenza di specie caratteristiche, come
la Scorzonera delle argille (Podospermum
canum), sia per la diffusione, sui suoli
un po’ più stabilizzati e meno acclivi, di
lembi più o meno estesi di pratelli xerici
ricchi di specie termofile e in cui crescono
numerose orchidee. Le creste calanchive
e le testate dei canaloni sono colonizzati
dalla Ginestra (Spartium junceum), che
con le sue vistose fioriture caratterizza il
paesaggio primaverile di queste vallate.
Salendo di quota i coltivi si fanno sempre
più radi, lasciando sempre più spazio
alla copertura forestale, qui rappresentata dal bosco misto caducifoglio, in
cui predominano diversi tipi di Querce
(Quercus pubescens e Q. cerris), il Carpino nero (Ostrya carpinifolia), l’Orniello
(Fraxinus ornus), il Ciavardello (Sorbus
torminalis) e l’Acero opalo (Acer opulifolium). Il querceto misto si presenta con
diverse varianti, che dipendono dalla
tipologia del substrato e dalle condizioni
climatiche stazionali, ma tutte hanno in
comune la modalità di sfruttamento da
parte dell’uomo: la ceduazione. Questa
forma di governo consente un utilizzo
più intensivo del bosco, soprattutto per
la produzione di legna da ardere, ma se i
tagli sono troppo ravvicinati può portare
ad un loro degrado, e comunque tende
a favorire l’espansione di quelle essenze
forestali, come il Carpino nero, in grado di
ricacciare più vigorosamente, a discapito
delle Querce e di altri alberi.
Nel querceto troviamo un ricco corteggio
floristico, con numerosi arbusti e piante
erbacee; fra queste ultime ricordiamo
le geofite, provviste di organi di riserva
sotterranei e in grado di fiorire molto
precocemente, prima che la volta delle
chiome si chiuda; fra le più significative ricordiamo: le Anemoni (Anemone
nemorosa e A. trifolia), il Dente di cane
(Erythronium dens-canis), il Bucaneve
(Galanthus nivalis), la Scilla (Scilla bifolia)
e l’Erba trinità (Hepatica nobilis). Alcune
specie consentono poi di caratterizzare
meglio la tipologia del querceto: così la
Felce aquilina (Pteridium aquilinum) e il
Brugo (Calluna vulgaris) indicano un substrato acido, mentre il Pungitopo (Ruscus
aculeatus), specie termofila, è limitato ai
boschi collinari.
Già dalla bassa collina e fino alla fascia
montana sono molto diffusi i castagneti.
Nonostante il Castagno (Castanea sativa)
accompagni da sempre la storia delle
nostre popolazioni montane, e per diversi
secoli abbia costituito una risorsa preziosa per il loro sostentamento, occorre
ricordare come la diffusione di questa
pianta sia avvenuta ad opera dell’uomo,
che già al tempo dei Romani la reintrodusse un po’ ovunque lungo tutta la penisola.
Il Castagno è infatti una di quelle specie
che vennero spazzate via dall’Europa nel
corso dell’ultima glaciazione, e sopravvisse solo in alcune stazioni rifugio nei
Balcani e forse nell’Italia meridionale. La
coltura del Castagno ha subito da noi un
drastico regresso, sia per lo spopolamento delle zone montane, sia per l’attacco
di parassiti fungini. I castagneti da frutto
sono divenuti piuttosto rari (ricordiamo
quello di Castagnola, in Val d’Aveto) e
sono stati sostituiti anch’essi dal ceduo.
Dal punto di vista floristico e vegetazionale, il Castagno si sovrappone alla fascia
dei querceti, fino a penetrare in quella
delle faggete, prediligendo suoli profondi
e sciolti, e mal tollerando quelli calcarei,
argillosi e troppo umidi.
Fra le zone di particolare interesse naturalistico spicca, nella fascia dei querceti,
l’area di Rocca d’Olgisio, in Val Tidone:
si tratta di una vera e propria “isola termofila”, caratterizzata da una orografia
tormentata, in cui i boschi termofili di
Roverella, Cerro e Castagno si alternano
a dirupi rocciosi, forre, cespuglieti e coltivi, e in cui l’insediamento umano, molto
antico, ha lasciato traccia anche nella
flora, per la presenza di specie sfuggite
13
alla coltivazione e completamente naturalizzate: fra queste ricordiamo il Fico
d’India nano (Opuntia compressa), diversi
Narcisi e lo Zafferanastro giallo (Sterbergia
lutea); significativa è anche la presenza di
specie molto rare come l’Asplenio maggiore (Asplenium onopteris), la Speronella
lacerata (Delphinium fissum) e la Ballerina
(Aceras antropophorum), orchidacea a
distribuzione stenomediterranea.
Uno degli elementi caratterizzanti il paesaggio collinare e montano della nostra
provincia è dato dalla diffusione degli
affioramenti ofiolitici; queste rocce costituiscono un substrato particolarmente
selettivo per le piante, sia per la composizione chimica che per le condizioni fisiche
che vi si riscontrano (forte irraggiamento
solare, accentuate escursioni termiche,
carenza d’acqua, ecc.). La loro superficie
è colonizzata da estesi popolamenti di
licheni epilitici; essi contribuiscono alla
formazione di quel minimo di terra fine
che consente la crescita di poche piante
specializzate; alcune sono esclusive di
questo substrato, come la Felcetta lanosa
(Notholaena marantae), l’Asplenio del serpentino (Asplenium cuneifolium) e l’Alisso
di Bertoloni (Alyssum bertolonii); altre, pur
non essendo esclusive, si presentano da
noi solo su queste rocce: il Lino a campanelle (Linum campanulatum, in regione
presente solo nella nostra provincia),
l’Euforbia spinosa (Euphorbia spinosa
ssp. ligustica), la Costolina appenninica
(Robertia taraxacoides), la Linajola dei
serpentini (Linaria supina) e, in alta Val
Nure (uniche stazioni regionali) la Reseda
pigmea (Sesamoides pygmaea).
Dall’alta collina e fino a ridosso del crinale
appenninico sono abbastanza frequenti i
boschi di conifere, aghifoglie sempreverdi che spiccano con il loro verde cupo
nel brullo paesaggio invernale; sono tutti
impianti artificiali che hanno sostituito
la copertura forestale naturale. Le principali specie utilizzate sono il Pino nero
(Pinus nigra), soprattutto sui substrati
rocciosi, l’Abete bianco (Abies alba) e
l’Abete rosso (Picea excelsa), tutte specie
estranee alla nostra flora, ad eccezione
dell’Abete bianco, presente con una piccola popolazione autoctona sul Monte
Nero; l’utilizzo di queste piante fuori dal
loro areale è ormai stato abbandonato
grazie ai nuovi indirizzi della selvicoltura.
La massiccia intrusione delle conifere nei
nostri ambienti forestali ha comportato
14
diversi effetti negativi (sostituzione della
vegetazione autoctona, maggior suscettibilità agli incendi, diffusione di parassiti
come la Processionaria, alterazione delle
caratteristiche dell’humus forestale), ma
anche l’introduzione di alcune specie
nuove, strettamente legate ai boschi di
conifere e probabilmente giunte da noi
con il materiale vivaistico; fra queste
ricordiamo due rare orchidee: la Godiera
(Goodiera repens) e la Listera minore (Listera cordata), quest’ultima recentemente
scoperta in Val Nure.
Sopra i 900-1000 m d’altitudine e fino
alle quote maggiori, la copertura forestale
è dominata dal Faggio. Questa pianta ha
esigenze particolari in fatto di clima (predilige un ambiente fresco e con precipitazioni ben distribuite nell’arco dell’anno, ed è
molto sensibile alle gelate primaverili), ma
si adatta bene ai diversi substrati; si presenta con diverse varianti, che si differenziano
soprattutto per il corteggio floristico. Alle
quote inferiori abbondanti sono le specie
provenienti dalla fascia dei querceti, sia
legnose (Carpino nero, Acero campestre,
Orniello, Corniolo) che erbacee (Primula,
Erba trinità, Anemoni, Ellebori); nel suo
aspetto più tipico, sopra i 1200-1300 m
(fascia subatlantica) troviamo specie più
spiccatamente montane, come il Sorbo
degli uccellatori (Sorbus aucuparia) e
l’Acero montano (Acer pseudoplatanus),
ed una flora ebacea caratteristica; fra le
specie più significative ricordiamo il Sigillo
di Salomone (Polygonatum verticillatum), la
piccola Moscatella (Adoxa moschatellina),
la Dentaria (Cardamine heptaphylla), la
Mercorella (Mercurialis perennis), l’Orchide macchiata (Dactylorhiza maculata), la
Veronica (Veronica urticifolia), la Lattuga
montana (Prenanthes purpurea), la Coralloriza (Corallorhiza trifida), la Felce maschio
(Dryopteris filix-mas) e la Felce femmina
(Athyrium filix-foemina); solo in un paio di
stazioni è presente il rarissimo Epipogium
aphyllum, orchidea saprofita dalla fioritura
incostante. Sui suoli acidificati ed impoveriti è spesso molto abbondante il Mirtillo
(Vaccinium myrtillus).
Nelle radure e nelle superfici di recente
ceduazione si sviluppa una rigogliosa
vegetazione, ad indicare la presenza di un
terreno ricco di nutrienti: qui spiccano le
fioriture estive del Garofanino maggiore
(Epilobium angustifolium), del Botton d’oro
(Trollius europaeus), del Giglio martagone
(Lilium martagon), le rosse bacche del Lam-
pone (Rubus idaeus) ed isolati alberelli di
Sambuco rosso (Sambucus racemosa).
Lungo le forre dei versanti più acclivi
della Val Boreca, la vegetazione dei boschi
mesofili arriva fino a lambire il greto del
torrente; questi ambienti freschi e umidi,
quasi perennemente in ombra, sono il
luogo elettivo per alcune rare felci, come
il Capelvenere (Adiantum capillus-veneris),
la Lingua cervina (Phyllitis scolopendrium)
e l’Asplenio delle fonti (Asplenium fontanum).
Nella fascia montana vasti settori di
territorio, per lo più lungo i crinali, nelle
aree meno acclivi e meglio esposte, sono
stati disboscati fin da tempi remoti per
fare spazio a praterie da destinare al
pascolo. Questi prati, tutti originatisi
grazie all’azione dell’uomo e per questo
chiamate “praterie secondarie”, sono
caratterizzati da un cotico erboso dominato da graminacee perenni (Festuca,
Poa, Brachypodium, Phleum, Anthoxanthum,
Dactylis, Cynosurus, ecc.) ed ospitano una
flora molto ricca e dalle vistose fioriture;
esse iniziano quando il manto nevoso
non è ancora del tutto scomparso, con
lo schiudersi delle corolle dei Crochi
(Crocus spp.) e delle Genziane (Gentiana
kochiana), per raggiungere il loro culmine
con l’estate: fra le specie più significative
e vistose ricordiamo numerose orchidee
(soprattutto Dactylorhiza sambucina, Orchis mascula, Traunsteinera globosa), diversi
Trifogli, Garofani selvatici, Ranuncoli e
Potentille, le Poligale (Polygala nicaeensis
e P. vulgaris), l’Eliantemo (Helianthemo
nummularium), alcune Viole (Viola tricolor
e V. calcarata), la Vulneraria (Anthyllis vulneraria), la Pelosella (Hieracium pilosella),
il Tulipano montano (Tulipa australis) e,
circoscritta alla Val Trebbia, la Primula
odorosa (Primula veris).
Nei pascoli alle quote maggiori troviamo
una flora particolarmente interessante, soprattutto dal punto di vista fitogeografico:
sui crinali della Val Boreca fioriscono la
Nigritella (Nigritella rhellicani) e l’Orchide
candida (Pseudorchis albida), la Genziana
maggiore (Gentiana lutea), l’Arnica (Arnica
montana); in alta Val Nure è possibile osservare il Garofano a pennacchio (Dianthus
superbus), il Lino celeste (Linum alpinum),
la Pulsatilla alpina e la rarissima Crotonella
alpina (Lychnis alpina).
Abbastanza diffusi sul nostro Appennino
sono anche gli ambienti umidi; la loro tipologia è molto varia: si va dai veri e propri
laghetti, come Lago Bino (ove è presente
una abbondante popolazione di Nannufaro – Nuphar lutea) o Lago Nero, fino ad
arrivare, passando attraverso i vari stati di
interrimento (Lago Moo, Lago di Averaldi),
ai prati umidi e più o meno torbosi (come
Pramollo, in alta Val Nure). Flora e vegetazione si diversificano in relazione ai diversi
stadi evolutivi di questi ecosistemi; poco
comuni e frammentarie sono le torbiere
vere e proprie, che ospitano specie molto
rare, come la Drosera rotundifolia e la Viola
palustris; più comuni sono i prati umidi
e gli stagni con acque basse, con i loro
densi popolamenti di Ciperacee (Carex,
Eleocharis, Scirpus, Eriophorum, ecc.) che
possono sfumare da una parte in canneti
a Phragmites, dall’altra in specchi d’acqua
con densi popolamenti a Trifoglio fibrino
(Menyanthes trifoliata). Fra le specie più
tipiche di questi ambienti ricordiamo
alcune Orchidacee, come Dactylorhiza
incarnata ed Epipactis palustris, la Genziana
mettimborsa (Gentiana pneumonanthe),
l’Angelica (Angelica sylvestris), la Salvastrella (Sanguisorba officinalis), la Saxifragacea Parnassia palustris, il Giuncastrello
(Triglochin palustre) ed il rarissimo Salix
rosmarinifolia, presente al Lago di Averaldi
con l’unica stazione regionale.
Le quote maggiori dei nostri monti superano raramente la quota di 1700 m
(M. Lesima, M. Nero, M. Bue, M. Ragola),
corrispondente al limite superiore di
diffusione della faggeta: la fascia culminale, quella oltre il “limite degli alberi”,
viene così ad essere nella nostra provincia
estremamente ridotta (pochi ettari) e
frammentata. Il suo aspetto vegetazionale
più tipico, quello dei Vaccinieti a Vaccinium
gaultherioides e Hypericum richeri, è però
relativamente diffuso e si spinge anche
a quote più basse, presentandosi come
fase evolutiva delle praterie secondarie.
Due delle nostre cime più alte, M. Nero e
M. Ragola, consistono in imponenti massicci ofiolitici, dove hanno trovato rifugio
diversi relitti graciali, oltre alla flora tipica
degli ambienti rocciosi e delle praterie
d’altitudine, come il Pino uncinato, il
Ginepro nano, il Bupleuro ranuncoloide
(Bupleurum ranunculoides) e la Ginestra
stellata (Genista radiata). Questi lembi
di vegetazione culminale sono talmente
circoscritti e così interessanti dal punto di vista fitogeografico, da meritare
senz’altro il massimo dell’attenzione e
della salvaguardia.
15
PREMESSA
Questa seconda edizione del mio libro (la
prima edizione uscì nel 1989) è il frutto
di una ricerca (inizialmente inserita nel
censimento della flora spontanea protetta
dell’Emilia Romagna) da me intrapresa
circa 20 anni fa e si propone gli stessi
scopi della prima, cioè fornire un contributo alla conoscenza delle orchidee
spontanee del Piacentino, ma soprattutto
far conoscere il grave stato di degrado
degli ambienti in cui queste piante vivono.
Essa, inoltre, deriva dalla consultazione
delle maggiori pubblicazioni specifiche
italiane ed europee, da cui ho appreso
numerosissime informazioni sulla vita
misteriosa di queste piante. Una sintesi
sull’ecologia delle orchidee viene fornita
nella parte iniziale. Tuttavia si rimanda
alla bibliografia finale chi intendesse
approfondire tale argomento.
Nel corso di questi ultimi anni ho raccolto
numerosi dati. Al fine di avere il quadro
della situazione provinciale e per dare
a questi dati una sistemazione di facile
consultazione, essi sono stati inseriti nel
reticolo della cartografia floristica dell’Europa Centrale. Tale sistema è stato tratto
da “Materiali per una cartografia floristica
dell’Emilia Romagna” di A. Alessandrini e
C. Ferrari. L’intervallo della reticolazione
è di 6’ di latitudine e di 10’ di longitudine. Questo modulo cartografico viene
denominato area di base ed è identificato
da due numeri relativi alla riga e da due
numeri relativi alla colonna.
Ogni area di base è suddivisa a sua volta
in quattro quadranti (1.2.3.4) di 3’ di
latitudine per 5’ di longitudine. I dati
sono stati inseriti nel reticolo, usando
tre simboli:
un bollino nero per evidenziare le
situazioni normali;
un cerchietto rosso per evidenziare
le situazioni dove
la rarefazione ha assunto dimensioni
preoccupanti;
una croce rossa per evidenziare
quelle specie che
non vengono più ritrovate da diversi
anni.
16
LE ORCHIDEE
Per la rappresentazione del territorio
provinciale, è stata utilizzata l’ombreggiatura orografica elaborata dal Servizio
Programmazione territoriale – urbanistica dell’Amministrazione provinciale
di Piacenza.
Per poter ottenere questo quadro ho
eseguito numerosissimi controlli in vari
periodi delle stagioni. È bene comunque
precisare che questi dati non possono
considerarsi definitivi, ma saranno sicuramente soggetti ad integrazioni nei
prossimi anni.
D’altronde, in una situazione complessa
e variabile come l’ambiente di collina
e di montagna, sarebbe pura utopia
pensare di aver visto e controllato tutto.
La nomenclatura si rifà a: “Orchidacee
d’Italia” (Grünanger, 2001), salvo alcune
varianti di cui mi sono servito per cercare di identificare meglio la situazione
provinciale: di ciò ho dato spiegazioni
all’interno delle Note relative alle varie
specie. La descrizione di queste ultime è
stata corredata il più possibile da misure,
le quali non devono essere ritenute assolute, ma possono variare sensibilmente da
un autore all’altro. A volte sono il frutto
di medie, su cui può influire il luogo o
l’andamento stagionale. La scheda è stata
quasi sempre completata da una Nota
e da uno Status; nella prima fornisco
notizie tecnico-scientifiche di carattere
generale o miei punti di vista sulla pianta
descritta; nel secondo fornisco notizie
sulla salute della specie, inerenti al territorio provinciale.
E stato escluso l’uso dei nomi volgari per
diverse ragioni. Quasi sempre questi nomi
non trovano riscontro nei dialetti locali e
il più delle volte sono traduzioni fantasiose dal latino all’italiano. Altro motivo di
questa scelta è stato quello di non creare
confusione in coloro che si avvicinano per
la prima volta al mondo della botanica.
Ho invece riportato, quando esistente,
almeno un sinonimo.
Per quanto riguarda le notizie riportate
nelle schede (escluse quelle di carattere
generale), esse sono tutte dedotte da osservazioni fatte sul territorio piacentino.
Parlando di orchidee, subito balza alla
mente l’immagine di grandi e vistosi fiori
che con le loro molteplici forme e con i
loro vividi colori sono sempre presenti
nelle grandi occasioni. Queste specie
vengono attualmente coltivate industrialmente nelle serre. Allo stato spontaneo
vivono nelle foreste tropicali. Essendo il
suolo di tali foreste immerso nelle tenebre
eterne a causa della vegetazione molto
fitta, queste orchidee (epifite) si sono
adattate a vivere sulle chiome degli alberi
o nelle forcelle dei rami.
Più modeste nella forma, ma non meno
belle ed interessanti sono le orchidee
nostrane. Si tratta di piante terricole
(geofite), che solo in alcuni casi superano
i 50 cm di altezza. Nella maggioranza dei
casi i loro fiori sono piccoli e bisogna
osservarli da vicino per apprezzare tutta
la loro bellezza.
Si possono trovare un po’ dappertutto,
purché non siano troppo pressanti le
attività umane. I loro ambienti di elezione
restano comunque i luoghi aridi e soleggiati, poveri di sostanza organica, su
terreno prevalentemente calcareo.
Fin dai tempi antichi queste piante hanno
affascinato l’uomo, tanto da attribuirgli
poteri magici e medicinali.
Le orchidee sembra siano apparse sulla
terra verso la fine dell’era terziaria, nel
Pliocene Superiore. In quei tempi anche
l’uomo muoveva i suoi primi passi verso
l’evoluzione.
Sono quindi piante molto giovani; l’enorme variabilità presente nella famiglia andrebbe pertanto messa in relazione ad un
fenomeno evolutivo ancora in atto.
La famiglia delle orchidee annovera approssimativamente 25.000 specie, divise
in circa 700 generi. Si parla inoltre di
moltissime specie ancora da classificare.
Fra le piante con fiori (fanerogame spermatofite) è la seconda famiglia in ordine
di grandezza dopo le composite.
A seguito di forti cambiamenti di clima,
all’inizio dell’era glaciale, furono costrette ad arretrare verso zone più calde. Le
condizioni climatiche diverse, ristabilitesi
nei periodi successivi alle glaciazioni,
permisero soltanto a poche specie di
riconquistare il terreno perduto. Pertanto
la grande maggioranza di queste piante
vive nelle zone caldo-umide della terra,
pur essendo presenti in tutte le parti del
globo, escluse le zone più fredde.
Morfologia
L’apparato radicale
Tutte le orchidee europee sono terrestri,
vengono perciò comunemente chiamate
“terricole” o “geofite”, al contrario delle
specie esotiche che sono “epifite” vivono
cioè nelle biforcazione degli alberi (le
radici di queste piante hanno la primaria
capacità di captare l’umidità dell’aria oltre
che di assorbire le sostanze nutritizie accumulate in queste biforcazioni). Tuttavia
non mancano le eccezioni: una di queste
è rappresentata dai generi che appartengono alla tribù delle Lipariane (Liparis,
Malaxis, Hammarbya), le quali vivono in
luoghi solitamente umidi, fra cuscini di
muschi, sfagni o aghi di abete; il loro apparato radicale è formato da pseudobulbi.
Queste piante possono essere considerate
epifite. Altra eccezione è rappresentata
da Goodyera repens, specie considerata
emicriptofita: infatti le sue gemme foliari,
che si diramano dagli stoloni radicali, sono
visibili tutto l’anno.
Le radici delle specie terrestri svolgono
principalmente due azioni fondamentali
al fine di assicurare la sopravvivenza per
via vegetativa delle specie. La prima è
quella di ancorare saldamente la pianta al
terreno opponendosi all’azione meccanica
degli agenti atmosferici. La seconda ha
certamente più importanza nell’ecologia
di queste piante: è quella di permettere
l’accumulo di notevoli quantità di sostanze
di riserva.
Le orchidee, per loro natura, sono da
considerare piante pioniere perchè vivono
per lo più in terreni dove le condizioni di
vita ideali sono ristrette a brevi periodi
dell’anno. L’apparato radicale, pertanto, è
strutturato in modo da poter accumulare
nel più breve tempo possibile sostanze
provenienti dalla costante elaborazione,
17
Le foglie e le brattee
Nelle orchidee, come in tutte le piante
verdi, le foglie adempiono alla fondamentale funzione della sintesi clorofilliana che
consente, mediante l’energia della luce
solare, la trasformazione di sostanze semplici, quali l’acqua e l’anidride carbonica,
in sostanze organiche complesse utili allo
Particolare della radice di Neottia nidus-avis
Particolare della radice di Corallorhiza trifida
nelle foglie, di materiali organici, durante
il periodo vegetativo.
Se prendiamo, ad esempio, l’apparato
radicale di una Orchis o di una Ophrys a
fine fioritura, si noterà che è formato da
due tuberi. Uno scuro e raggrinzito, che
ha dato origine alla pianta dell’annata.
L’altro, chiaro e turgido, darà vita ad una
nuova pianta, l’anno successivo. All’inizio
dell’autunno, epoca in cui molte orchidee
emettono i primi abbozzi, con un attento
esame si potrà notare in questi la struttura
delle foglie, del fusto e dei fiori già formati. A questo punto si può certamente
affermare che gran parte della vita delle
orchidee avviene sottoterra. Le capacità
delle radici non finiscono qui. Quando
le condizioni ambientali sono sfavorevoli,
possono sopravvivere per anni e anni senza o quasi tradire la loro presenza. Quando
le condizioni di normalità vengono ristabilite (es. il bosco viene tagliato e i raggi
del sole tornano a risplendervi), ecco che
il ciclo normale riprende e si hanno abbondanti fioriture. Questi fenomeni sono
dovuti alla scarsa quantità di sostanze di
riserva accumulate. Si manifestano tutte le
volte che qualche agente esterno agisce
negativamente sul loro ciclo vitale.
Le forme sono più o meno rotondeggianti
nei generi Orchis, Ophrys, Himantoglossum, Serapias, Anacamptis, Platanthera e
Traunsteinera; digitati o suddivisi in due
o quattro parti nei generi Dactylorhiza,
Gymnadenia, Nigritella e Coeloglossum.
Sono fusiformi nei generi Spiranthes e
Pseudorchis. Nei generi Epipactis, Listera,
Cephalanthera e Limodorum, le radici sono
dei rizomi disposti orizzontalmente nel
terreno con numerose radici carnose. Il
rizoma in Corallorhiza e Epipogium è a
forma di corallo.
La forma certamente più curiosa è data
dall’apparato radicale del genere Neottia.
Esso infatti è costituito da numerose radici
carnose fittamente intrecciate.
Nell’antichità i tuberi di queste piante venivano mangiati e gli si attribuivano poteri
magici. La presenza dei tuberi ovaliformi
delle specie del genere Orchis ha suggerito
originariamente il nome Orchis (dal greco
= testicolo), da cui deriva anche il nome
dell’intera famiglia.
Particolare della radice di Dactylorhiza maculata
18
a
c
b
d
e
Il fusto
Le orchidee sono piante erbacee perenni,
pertanto il loro fusto alla fine di ogni ciclo
vegetativo si dissecca e muore.
In alcuni casi bastano meno di due mesi
perché tale ciclo inizi, si sviluppi, si completi e sparisca senza lasciare tracce in superficie. Non è comunque raro osservare fusti
rinsecchiti di annate precedenti accanto a
nuovi individui in piena fioritura.
Il fusto non è ramificato e si presenta
costantemente eretto, cilindrico o angoloso. L’altezza è molto variabile, va dai 5
ai 20 cm nelle specie alpine, dai 30-40
ai 60-70 nelle altre specie. In alcuni casi,
abbastanza rari, può superare il metro.
Questo è il caso di Epipactis helleborine
e di Gymnadenia conopsea var. densi flora.
Il colore è generalmente verde o leggermente arrossato tranne che nelle specie
mico-saprofite; in questo caso il colore è
giallastro o bruno-violaceo. A volte è cavo,
come ad esempio in Dactylorhiza majalis.
f
sviluppo del ciclo vitale. Pur mantenendosi
nelle caratteristiche generali delle monocotiledoni a cui appartengono, le foglie
delle orchidacee hanno una morfologia
piuttosto variabile. La forma è sottile ed allungata nelle specie alpine, ovale e lanceolata nelle altre specie. Sono sempre intere
e glabre e, a seconda della posizione che
occupano sul fusto, si distinguono in basali
o caulinari. Le prime sono generalmente
più grandi, le seconde sono più piccole e
decrescono in grandezza dal basso verso
l’alto. Il colore varia, dal verde più o meno
scuro, al verde glauco delle Ophrys, al verde con macchie nerastre o bruno-violacee
(es. Dactylorhiza maculata, Dactylorhiza
majalis e Orchis provincialis).
Fanno eccezione le foglie delle specie
micotrofiche le quali sono ridotte a scaglie
o guaine di colore violaceo o giallicce o
grigiastre. Se si osserva con una certa
attenzione una pianta di orchidea in fiore,
si può notare che, in corrispondenza dell’ascella del peduncolo fiorale, vi è sempre
una specie di fogliolina, a volte più lunga
dello stesso fiore, a volte ridotta a piccola
scaglia: si chiama brattea. Questo organo,
apparentemente insignificante, ha una
funzione esclusivamente protettiva nei
confronti del fiore, soprattutto quando
questi è in boccio.
La sua forma rapportata a quella dei fiori
e degli ovari costitui-sce un importante
elemento diagnostico al fine di determinare la specie.
Il fiore
g
h
Apparato radicale di: a-Epipogium aphyllum,
b-Orchis ustulata, c-Dactyloriza maculata,
d-Goodyera repens, e-Oprhys fuciflora,
f-Corallorhiza trifida, g-Epipactis helleborine,
h-Spirantes spiralis.
I fiori delle orchidee sono ermafroditi, cioè
sono formati da organi che producono
polline e organi che producono cellule uovo.
La struttura è di forma esclusiva, non ha
riscontri infatti in altre famiglie del Regno
Vegetale. L’involucro florale o perigonio
è costituito da sei pezzi disposti su due
piani di inserzione, in gruppi di tre. Tali
elementi vengono chiamati tepali; esterni
o interni a seconda della posizione che
occupano. Per semplicità alcuni autori usano chiamare sepali i tepali esterni e petali
quelli interni. Il tepalo mediano interno è
sempre diverso e rappresenta la parte più
vistosa e più grande dell’intero fiore. Esso
si chiama labello e può essere intero o più
o meno lobato, come ad esempio nei generi Dactylorhiza, Orchis, Anacamptis, ecc.
Può avere delle gibbosità e raffigurare le
19
sembianze di un insetto (es. nelle Ophrys)
oppure ricordare la forma di un corpo
umano (Aceras anthropophorum) o avere
una forma allungata anche di diversi cm
(Himantoglossum).
La colorazione è quasi sempre diversa dagli
altri tepali e può portare delle macchie o
disegni più o meno complicati. Tali disegni
concorrono ad accrescere la vistosità del
fiore ed una conseguente più facile individuazione da parte degli insetti impollinatori. Il labello infine è di primaria importanza
per la identificazione della specie.
1
3
1
5
4
3
9
2
4
3
5
6
2
7
8
2
2
8
7
11
8
Epipactis
1-Sepalo mediano; 2-Sepalo laterale;
3-Petalo; 4-Antera; 5-Rostello; 6-Stimma;
7-Ipochilo; 8-Epichilo; 9-Pollinio.
5
6
10
7
6
2
4
10
1
2
3
b
9
Ophrys
1-Sepalo mediano; 2-Sepalo laterale;
3-Petalo; 4-Connettivo; 5-Becco; 6-Base
del labello; 7-Disegno; 8-Lobo laterale del
labello; 9-Lobo centrale del labello;
10-Appendice; 11-Stimma
5
8
a
diversa concentrazione di pigmenti (antociani) e possono variare a causa di fattori
esterni, quali l’intensità di luce o il tipo
di substrato o anche per cause interne,
di origine genetica; possono interessare
solo parte del fiore (es. il labello) oppure
tutto il perianzio.
Si possono trovare esemplari completamente decolorati, bianchi o con qualche
venatura giallastra o verdastra, dovuta alla
presenza della clorofilla. Anche le logge
polliniche sono depigmentate e lasciano
trasparire il colore dei pollinii.
Questo caso di albinismo prende il nome
di Apocromia e può interessare anche
le foglie: ad esempio possono sparire le
macule fogliari in Dactylorhiza fuchsii.
Si possono trovare inoltre esemplari con
colorazioni più intense di quella tipica
della specie: in questo caso il fenomeno
è chiamato ipercromia. Un tempo queste
forme, soprattutto quelle apocrome,
venivano descritte come vere e proprie
sottospecie o varietà e ricevevano nomi
latini quali: alba, albiflora, nivea, viridis o
virescens. Attualmente i ricercatori tendono
ad attribuire scarsa importanza sistematica
a tali fenomeni.
4
3
9
1
Orchis
1-Brattea; 2-Ovario; 3-Sperone; 4-Fauce
dello sperone; 5-Sepalo mediano; 6-Sepalo
laterale; 7-Petalo; 8-Lobo laterale del labello;
9-Lobo centrale del labello; 10-Ginostemio.
c
e
d
La resupinazione
f
Forme delle foglie: a-lineare, b-oblunga, c-lanceolata, d-ellittica, e-ovata,
f-obovata.
20
Quando il fiore è in boccio, esso è parallelo
al fusto e orientato verso l’alto, ma appena
l’infiorescenza comincia ad allungarsi, il peduncolo o l’ovario si orientano in modo più
o meno obliquo e nel contempo subiscono
una torsione di 180° da sinistra verso
destra, portando il fiore nella posizione
che ci è più familiare, ossia con il labello
girato verso il basso.
Tale fenomeno si chiama resupinazione;
tuttavia non avviene in tutte le specie. In
Nigritella nigra e in Epipogium aphyllum,
per esempio, il labello rimane girato verso
l’alto. In Malaxis monophyllos, orchidea
presente sulle Alpi, la rotazione è di 360°.
Dei meccanismi che fanno scattare questa
torsione non si sa ancora niente di preci-
Le anomalie di forma
6
Serapias
1-Casco perigoniale; 2-Ipochilo; 3-Epichilo;
4-Pelosità del labello; 5-Brattea; 6-Ovario
so, tuttavia è abbastanza evidente che la
posizione assunta dal labello è certamente
più comoda per gli insetti impollinatori e
facilita le operazioni di tale funzione.
Si può dire che funziona come sorta di
pista d’atterraggio. Va comunque ricordato
che anche nelle specie in cui non avviene la
torsione (es. Nigritella) le visite degli insetti
sono altrettanto abbondanti.
Altri fenomeni più rari, ma molto interessanti, sono le anomalie di forma: si trovano
infatti individui in possesso di anomalie
genetiche in grado di originare individui
mostruosi detti lusus. Tali alterazioni si
possono manifestare su alcune o su tutte
le parti del fiore. Ad esempio, ogni parte
del fiore può essere mancante o moltiVariazioni di colore: a-Epipactis muelleri depigmentata, b-Dactylorhiza maculata con colorazione più intensa rispetto alla forma tipica.
Le variazioni di colore
Se si osserva, ad esempio, una popolazione di Orchis morio o di Orchis purpurea, si
potrà notare una sensibile variazione di
colore tra i vari esemplari. Queste diverse
intensità cromatiche sono dovute alla
a
b
21
a
plicata, saldata con altre o deformata. Le
cause di tali fenomeni sono da ricercarsi
in fattori genetici interni, oppure sono
originati da elementi esterni, quali una
gelata tardiva, una malattia o danni provocati dall’inquinamento. Attualmente questi
fenomeni vengono studiati attentamente
dagli esperti perchè possono fornire importanti dati sulle tappe evolutive delle
specie.
e
Gli organi riproduttivi
b
c
d
22
Come tutti i fiori delle angiosperme, anche quelli delle orchidee contengono gli
organi riproduttivi maschili (androceo) e
femminili (gineceo).
Tali organi sono fusi assieme (caratteristica
unica delle orchidee), assumono una posizione colonnare centrale rispetto all’asse
fiorale e sono collocati sopra il labello. Tale
insieme è chiamato ginostemio (o ginostegio o ginandro). Quasi tutte le orchidee
italiane appartengono alla sottofamiglia
delle Monandre, quelle specie cioè che a
seguito dell’evoluzione si sono ridotte ad
avere un solo stame fertile. L’unica orchidea italiana ad avere due stami fertili è la
ben nota Cypripedium calceolus o Scarpetta
di Venere e appartiene alla sottofamiglia
delle Diandre.
I grani di polline anziché pulverulenti sono
agglutinati (salvo alcuni casi) e formano
due piccole masse dette pollinii. Tali organi
sono posti nelle logge dell’antera e sono
collegati ad una ghiandola vischiosa detta
viscidio o retinacolo, tramite due piccoli
filamenti chiamati caudicole.
Il viscidio ha lo scopo di fare aderire i
pollinii al capo degli insetti, quando questi
si posano sul fiore per succhiare il nettare.
Il rostello, presente in quasi tutte le orchidee, ha il compito di impedire che i pollinii
vengano a contatto con lo stimma evitando in questo modo l’autoimpollinazione.
In certe specie autogame, il rostello è assente o rudimentale (es. in alcune specie
di Epipactis). Lo stimma è una specie di
fossetta posta alla base del ginostemio.
L’ovario è intero, posto cioè alla base degli
organi fiorali e può essere scambiato per
un peduncolo; è monoculare, gli ovuli
sono numerosissimi e sono fissi su tre
placente; reca all’esterno da 3 a 6 costole
longitudinali e per mezzo della spaccatura
di queste costole si ha la fuoriuscita dei
semi maturi.
Anomalie di forma in: a-Serapias vomeracea, bOphrys benacensis, c-Nigritella rhellicani, d-Himantoglossum adriaticum, e-Oprhys fuciflora.
L’impollinazione
Come si è già accennato, l’impollinazione
avviene nella stragrande maggioranza dei
casi per via entomofila. Gli insetti interessati a questo sono lepidotteri, imenotteri
e ditteri. Per attirare tali insetti le orchidee,
nel corso dei millenni, evolvendosi, hanno
messo a punto dei meccanismi altamente
specializzati; infatti questo compito viene
demandato, a seconda dei generi o delle
specie, a uniche o a poche specie di in1
2
3
4
7
8
5
6
9
10
11
Ginostemio di Orchis
1-Connettivo; 2-Antera; 3-Loggia dell’antera;
4-Pollinio; 5-Piega del rostello; 6-Caudicola;
7-Retinacolo; 8-Bursicula; 9-Rostello;
10-Stimma; 11-Fauce dello sperone.
setti. Ad esempio nei generi Anacamptis,
Gymnadenia, Platanthera, certe farfalle
in possesso di una lunga proboscide
(spiritromba) nel tentativo di succhiare il
nettare che si trova in fondo al lungo sperone, fanno pressione con il capo contro i
retinacoli; questi faranno aderire i pollinii
al capo dell’insetto.
Dopo aver terminato la sua azione predatrice, l’insetto volerà via con i pollinii
attaccati rivolti verso l’alto. Pochi secondi
dopo le caudicole perdono di rigidità e
si piegano in avanti portando i pollinii in
posizione orizzontale; in questo modo
entreranno facilmente in contatto con lo
stimma di un altro fiore della stessa specie, quando l’insetto tenterà di succhiare
il nettare. Il metodo di attirare gli insetti
con la produzione di sostanze zuccherine
(nettare) o con la colorazione più o meno
vistosa o con lo stesso profumo del fiore
è un fenomeno assai diffuso anche in altre
specie del Regno Vegetale.
Un metodo invece estremamente interessante è quello messo a punto dalle specie
del genere Ophrys. Tali specie, non avendo
nettare, attuano un vero e proprio inganno
ai danni di certi insetti.
Il labello assomiglia nella forma, nella colorazione ed anche nell’odore emesso dal
fiore, all’addome della femmina di certe
specie di imenotteri.
I maschi, attirati da questa falsa femmina,
ma soprattutto dall’odore emesso, tentano di accoppiarsi. Durante questo falso
accoppiamento (pseudo-copulazione),
il capo dell’insetto viene a contatto con
i pollinii e avrà così inizio il meccanismo
del trasporto dei pollinii che permetterà
l’impollinazione di un nuovo fiore.
Il merito di aver chiarito il fenomeno dell’impollinazione incrociata delle orchidee,
va al grande naturalista inglese C. Darwin
(1800-1882) padre dell’evoluzionismo.
L’autoimpollinazione
In certe specie di Epipactis (es. E. muelleri), l’impollinazione avviene con il polline
prodotto dallo stesso fiore (autoimpollinazione). Queste specie sono caratterizzate dalla mancanza o dalla riduzione del
rostello; i pollinii inoltre, anzichè essere
compatti, sono pulverulenti: in tal modo
possono cadere sullo stimma.
Altra specie dove può avvenire l’autoimpollinazione è Ophrys apifera; quando i
23
a
b
Impollinazione: a-Insetto impollinatore su Orchis coriophora fragrans, b-Farfalla su Nigritella
rhellicani.
fiori sono aperti, se non vengono visitati
dagli insetti in un tempo piuttosto breve,
le caudicole, essendo molto sottili, si
seccano e si ripiegano, facendo uscire i
pollinii dalle loro logge; a seguito di questo
ripiegamento i pollinii andranno a toccare
lo stimma.
Osservare questo fenomeno da noi non
è molto comune: infatti questa specie
viene spesso visitata dagli insetti. Sembra
tuttavia che tale fenomeno sia l’unico a
garantire l’impollinazione degli individui
presenti a nord delle Alpi, dove mancano
gli insetti pronubi.
In Neottia nidus-avis l’impollinzione entomofila può avvenire soltanto nei primi
giorni dell’apertura del fiore, dopo di che
la ghiandola vischiosa perde la sua capacità adesiva. A questo punto i pollinii si
ripiegano fino a toccare lo stimma.
Sempre in Neottia nidus-avis e in Epipogium
aphyllum, specie micotrofiche, l’autoimpollinazione può avvenire in condizioni
estreme. Queste orchidee, in presenza di
condizioni avverse, possono svolgere il
loro ciclo vitale completamente sotto terra
e conseguentemente fiorire, autoimpollinarsi e fruttificare.
Infine, in certe specie di Epipactis, Cephalanthera, Limodorum, la fecondazione può
avvenire quando i fiori sono ancora chiusi;
in questo caso si ha il fenomeno della
cleistogamia. Una volta avvenuta la fecona-Fiore di Gymnadenia conopsea con insetto
impollinatore, b-fiore di Ophrys insectifera
con insetto impollinatore, c-fiore di Orchis
coriophora con insetto impollinatore, d-fiore
di Epipactis con insetto impollinatore.
24
dazione, i tepali possono seccare senza
essersi aperti. Trovare infatti esemplari di
queste specie con i fiori completamente
aperti è un evento assai raro.
a
b
c
d
La germinazione
A seguito della fecondazione si ha una
notevole produzione di semi. Darwin in
un ovario maturo di Dactylorhiza maculata
contò 6.200 semi. Se germinassero tutti i
semi di una D. maculata (sempre secondo
Darwin), basterebbero solo quattro generazioni per coprire tutte le terre emerse.
Ma un così alto numero di semi compensa,
in parte, le difficoltà di germinazione. Essi
infatti sono piccolissimi e leggerissimi:
facilmente trasportati dal vento, non
contengono o quasi sostanze di riserva.
Pertanto, per poter germinare, hanno bisogno di un apporto di sostanze nutritizie
che provenga dall’esterno: questo apporto
avviene grazie alla simbiosi con minuscoli
funghi endoparassiti, appartenenti per lo
più al genere Rhizoctonia.
Dall’incontro tra seme e fungo si apre una
fase nella quale i due contendenti cercano
di avere il sopravvento. Se il seme riesce
a fagocitare completamente il fungo,
morirà per mancanza di nutrimento; vi
sarà comunque la morte del seme, anche
se è il fungo ad avere il sopravvento. Un
certo equilibrio si ha soltanto se il seme,
per mezzo del fungicida che contiene,
riesce a limitare la presenza del fungo a
sue certe parti. In questa fase ha inizio
la germinazione e si origina un rapporto
che avvantaggia entrambi i contendenti.
Inizia così per questa compagnia un lungo
e difficile periodo verso la formazione di
una nuova pianta: per certe specie infatti
occorrono 6-7 o persino 15 anni prima
che la nuova pianta sia in grado di portare
a fioritura i primi fiori. Rimangono a tutt’oggi numerosi lati oscuri sul fenomeno
della simbiosi, tuttavia sembra che per le
orchidee a foglie verdi tale simbiosi duri
per il periodo necessario alla formazione
di un piccolo tubercolo e alla conseguente
formazione di foglie. Una volta in grado
di fotosintetizzare, la pianta è in grado di
svilupparsi da sola.
Nelle specie micotrofiche (Limodorum
abortivum, Neottia nidus-avis, Epipogium
aphyllum, Corallorhiza trifida) non avviene
la fotosintesi, pertanto si serviranno per
tutta la loro vita dell’apporto nutritizio
dato da questi funghi.
La scoperta di questo particolare sistema di germinazione si è avuta soltanto
all’inizio di questo secolo, per merito del
botanico francese Noël Bernard, il quale,
osservando al microscopio dei semi di
Neottia in fase di germinazione raccolti
accanto alla pianta madre, scoprì che
questi erano inframmezzati da minuscoli
filamenti fungini.
A seguito di questa scoperta, la scienza
moderna ha messo a punto dei sistemi di
germinazione artificiale che trovano largo
impiego industriale nella produzione di
piante ornamentali. Tali tecniche vengono
per lo più applicate alle specie esotiche,
le quali, essendo più vistose, sono più
appetite dal mercato.
Oltre alla propagazione per mezzo dei
semi esse hanno messo a punto sistemi
vegetativi per consentire la propagazione
della specie (fenomeno comune anche a
molte altre specie del Regno Vegetale).
Alcune producono due tuberi anzichè uno,
come per esempio nel genere Serapias. In
Goodyera repens si ha l’emissione di stoloni
radicanti. Altre specie (es. Epipactis) si
moltiplicano producendo germogli per
mezzo dei rizoma.
Il ciclo vitale
1) Apertura delle capsule a maturazione;
2) Dispersione dei minutissimi semi; 3)
Semi fortemente ingranditi; 4) I semi
giunti nel terreno ricevono l’apporto nutrizionale dal fungo micorizzico, fino alla
formazione delle prime foglie verdi; 5-6)
Prima che abbia luogo la fioritura la nuova
pianta si rafforza per alcuni anni, secondo
il ciclo annuale; 7) Fioritura; 8) Insetto
impollinatore.
1
3
4
8
7
2
Ciclo vitale
6
5
25
PROTEZIONE E CAUSE DI RAREFAZIONE
Con l’avvento dell’era moderna ed
industrializzata e con il conseguente
fenomeno dell’inquinamento e degrado
ambientale si è andata formando in un
parte sempre più vasta della popolazione
mondiale, una mentalità di protezione
della natura in generale e in special modo
di parte di essa.
Questa mentalità è stata recepita da alcuni governi che hanno legiferato in merito.
Purtroppo sono ancora pochi gli Stati
che si sono dati queste misure di protezione. Per quanto riguarda l’Europa, nella
protezione della flora e delle orchidee in
particolar modo vi è un enorme ritardo
nella legislazione nazionale dei paesi del
sud rispetto a quelli del nord.
Negli stati del nord la protezione è totale
o parziale a seconda delle specie. Nei
paesi dell’area mediterranea non vi sono
ancora leggi specifiche in merito. La mancanza è tanto più grave se si pensa che
per alcune specie gli esperti prevedono
non più di 10 o 20 anni di vita. In certi
Stati del Medio Oriente i tuberi delle
orchidee vengono essiccati al sole e se
ne trae una farina chiamata “salep” che
serve per aromatizzare ed addensare il
latte. Questi fatti sembrano, per fortuna,
in regresso; tuttavia hanno portato molte
specie sull’orlo dell’estinzione. In Italia la
tutela in materia floristica è demandata
alle Regioni.
La situazione italiana rispecchia a tutt’oggi l’andamento appena descritto. Diverse
Regioni e alcune Province, in modo autonomo, da più di un ventennio hanno
affrontato il problema, anche se in modo
difforme da regione a regione. Questo,
tutto sommato, può essere un fatto positivo perché, nel formulare le proposte
di legge, si sarà certamente tenuto conto
delle varie situazioni locali, cosa che non
sarebbe stata possibile con una legge a
livello nazionale. Alcune Regioni del sud
non hanno ancora provveduto ad emanare leggi di protezione, forse perchè in
quei luoghi l’agricoltura intensiva è meno
praticata che nel nord Italia e i centri industrializzati, con i conseguenti fenomeni
di inquinamento, sono meno presenti; ma
soprattutto perchè al sud la pastorizia è
26
ancora un’attività sufficientemente diffusa.
Sembra infatti paradossale, ma proprio là
dove è presente il pascolo, vi è la maggior
presenza di orchidacee, proprio perchè
il manto erboso viene mantenuto rasato
e le piante arbustive sono contenute in
spazi limitati. Le orchidee non vengono
mangiate dagli animali al pascolo. Un
certo danno può derivare dal calpestio,
laddove il carico di animali è eccessivo;
tuttavia il calpestio non provoca quasi mai
la morte delle piante e, comunque, questo
fatto ha scarsissima incidenza agli effetti
della rarefazione.
Per quanto riguarda la nostra Regione, nel
1977 è stata emanata una legge (L.R. n. 2
del 24-1-1977) che tutela integralmente
tutta la famiglia delle orchidee.
Un’altra causa, oltre a quelle già citate,
della sparizione e della rarefazione di
molte specie è senz’altro l’abbandono
da parte dell’uomo di certe attività agropastorali che per centinaia e centinaia di
anni avevano mantenuto in uno stato di
semi-naturalità la montagna e vaste zone
della collina.
La pulizia dei boschi, il taglio annuale
dei prati, lo sfruttamento dei canneti, la
transumanza, il pascolo estensivo sono
tutte attività a cui è legata la vita delle
orchidee: in un bosco troppo fitto non
possono vivere perchè non vi penetra
luce sufficiente; un prato abbandonato si
trasforma in breve tempo in un ammasso
di sterpaglie dove le orchidee vengono
soffocate.
Le specie più gravemente minacciate sono
quelle che hanno come loro biotopo
naturale le zone umide (torbiere); questi
luoghi sono stati quasi totalmente distrutti ad opera dell’uomo con prosciugamenti
per far posto all’agricoltura o con la deviazione dell’acqua delle sorgenti per immetterla negli acquedotti. In questo modo, ad
esempio, è stata completamente distrutta
negli ultimi 40-50 anni la popolazione
orchidacea presente in Val Padana.
L’era motorizzata ha portato con sè
la moda della gita in campagna, della
riscoperta della natura. Purtroppo, per
molti di questi “naturalisti estemporanei”
che si riversano ogni fine settimana sulle
colline e in montagna, natura significa
abbandonare i propri rifiuti e fare dei bei
mazzi di fiori, fra cui molte orchidee, da
portarsi a casa.
Situazione nel Piacentino ed eventuali
forme di prevenzione
Prendendo in esame i dati di questa ricerca e confrontandoli con la situazione
esistente in altre parti d’Italia (per esempio in vaste zone della Liguria), ci si rende
conto che a tutt’oggi la situazione della
popolazione orchidacea del Piacentino,
tutto sommato, può definirsi soddisfacente. Sull’Appennino, attorno ai 1000
m, si trovano specie rarissime, tipicamente
alpine, come Dactylorhiza traunsteineri,
D. majalis e Nigritella rhellicani. Nelle
vallate dove si incanalano correnti di aria
calda provenienti dal vicino mar Ligure, si
trovano specie tipicamente mediterranee
come, ad esempio, Orchis papilionacea
e O. anthropophorum. Tuttavia, se c’è
da essere soddisfatti per il numero di
specie trovate, qualche preoccupazione
sorge analizzando i dati caso per caso.
Si può notare che parecchie di queste
specie sono presenti in poche o in uniche
stazioni e, in alcuni casi, con pochissimi
esemplari.
Benchè la situazione attuale, come si è
detto, sia abbastanza buona, si notano
segnali molto preoccupanti di un costante e repentino regresso. In numerose
stazioni con popolazioni ancora in buono
stato, si può notare come alcune specie,
soprattutto le più basse, abbiano difficoltà
a sbucare in mezzo all’alto strato di graminacee secche e appressate al terreno dalle
nevicate. In molti casi le infiorescenze
rimangono aggrovigliate e pertanto non
riescono a portare a maturazione i semi.
Si può quindi affermare che anche nel Piacentino le orchidee abbiano ormai perso
quasi completamente i loro amici naturali
e il fenomeno regressivo stia diventando,
pertanto, irreversibile.
La pastorizia è un’attività quasi ovunque
abbandonata e ristretta solo a poche zone
dell’Appennino. L’abbandono da parte
dell’uomo di vaste zone della montagna
appenninica, fenomeno cominciato già
prima della seconda guerra mondiale e
proseguito sino ai giorni nostri, è ancora
in atto. Pertanto in queste zone non
vengono più eseguite le attività atte a
contenere l’avanzata delle sterpaglie. Un
altro fatto negativo è stata l’introduzione,
o comunque la proliferazione in vaste zone
del nostro territorio, del cinghiale. Questo animale, nel tentativo di procurarsi il
cibo, stravolge con la sua proboscide la
cotica erbosa delle praterie di montagna,
sradicando conseguentemente tutti i bulbi
che vi si trovano. In particolare, si è notato
che i tuberi di alcune specie (Dactylorhiza
sambucina, Traunsteinera globosa) vengono
costantemente mangiati.
A 14 anni di distanza dalla mia precedente
pubblicazione sulle orchidee, sono in
grado di fare dei raffronti e di trarre delle
conclusioni.
Rispetto al 1989, novità, riguardanti le
orchidee, ce ne sono state: per esempio,
alcune specie hanno cambiato nome:
Nigritella non si chiama più Nigra, ma
Rhellicani; Dactylorhiza latifolia è ritornata
a chiamarsi Sambucina; il genere Aceras è
sparito, perché l’unica specie del genere,
A. anthropophorum è stata reinserita nel
genere Orchis; è stata descritta una nuova
specie per la scienza, Epipactis placentina.
Ho segnalato il ritrovamento in provincia
di dieci nuove specie, tra le quali spiccano Epipactis gracilis, Epipactis viridiflora,
Himantoglossum hircinum, che con la presenza sul nostro territorio segnano il loro
limite settentrionale.
Accanto a queste poche buone notizie,
ce ne sono tante altre tutte, purtroppo,
negative. Da anni non trovo più Orchis
laxiflora, O. anthropophora, Pseudoorchis
albida. Inoltre O. papilionacea era presente, nel 2001, con un solo esemplare.
Nigritella rhellicani ha visto ridurre la sua
presenza a poche decine di esemplari.
Dactylorhiza sambucina e O. morio, specie
che solo 14-15 anni fa erano ancora presenti in modo decisamente abbondante,
oggi sono a rischio estinzione, a causa
di una sempre più massiccia presenza
del cinghiale. Quest’ultimo, che fino a
pochi anni fa si cibava soltanto di bulbi
di una certa consistenza (orchidee, lilium,
ornitogalum), non trovando di meglio da
mangiare, è tornato di nuovo a scavare
negli stessi luoghi, non per mangiare
orchidee (non ce ne sono più), ma per
cibarsi di quello che è rimasto: bulbi di
Tulipa sylvestris subsp. australis, crocus
sp., lasciando, dopo queste ultime scorribande, un manto erboso che non riesce
più a ricostituirsi. Al suo posto, crescono
27
rigogliose, forse avvantaggiate da mutate
condizioni climatiche, certe piante definite specie ruderali (ortiche, bardane,
ecc), creando quelle condizioni che gli
esperti definiscono “banalizzazione del
territorio”: poche specie che crescono a
dismisura a scapito della normale diversità
biologica.
Nel corso di questi anni, ho spesso elencato quali sono stati i disastri compiuti
dai cinghiali; tuttavia anche se questo è
stato e rimane un gravissimo problema,
sarebbe disonesto addossare a questo
animale tutte le colpe. Infatti la trasformazione del territorio con l’avvento dell’era
industriale, lo spopolamento sempre più
evidente di vaste zone, la conseguente
mancanza di animali al pascolo, il mancato
sfalcio dell’erba e la mancanza di pulizia
nei boschi sono le cause che, al pari del
cinghiale se non di più, contribuiscono a
portare all’estinzione tantissime specie e
non solo di orchidee.
Questi problemi erano a me ben noti già
verso la metà degli anni Ottanta, quando,
con dei piccoli esperimenti, mi accorsi che
bastava tagliare arbusti ed erba da una
determinata area per veder rispuntare
rigogliose, nel giro di pochi d’anni, specie
che altrimenti sarebbero rimaste soffocate. Forte di queste convinzioni, mi attivai
per dimostrare all’opinione pubblica che i
problemi di rarefazione non dipendevano
dalla raccolta, come allora si pensava o
come probabilmente qualcuno pensa
ancora, ma dai problemi sopra elencati.
Porto due esempi.
Dopo aver individuato una zona altamente
a rischio, ma con una presenza ancora
straordinaria di biodiversità, situata a
Nord dei Groppi di Lavezzera (Ferriere),
ho raccolto il consenso dei proprietari
(non è stato facile perché sono numerosi,
nonostante l’area sia estenda per poche
migliaia di metri quadrati) per mantenere
la zona sgombra da erbe ed arbusti infestanti. Già il primo anno di intervento
si sono notati i primi risultati: le specie
sono ritornate ad assumere la loro forma
abituale, mentre prima risultavano alterate
nelle loro caratteristiche abituali a causa
dell’enorme accumulo di erba. Il secondo
e terzo anno si è notato un sensibile aumento di esemplari a fiore.
In una stazione dove vivevano in condizioni estreme non più di 10 esemplari a
fiore di Himantoglossum adriaticum, ci si era
accorti che sotto alle macchie di ginestre
28
e sterpaglie varie vi erano numerose foglie
molto allungate e di colore innaturale,
sintomo di mancanza di luce. Dopo un intervento di pulizia, mirato all’asportazione
dei rovi e di alcune macchie di ginestre,
oggi si può notare la magnifica fioritura
di oltre 150 esemplari.
Dopo aver fatto il quadro della situazione, positivo da una parte ma estremamente drammatico dall’altra, occorre
urgentemente pensare al da farsi. Molte
volte, nell’affrontare i problemi, si rimane
arroccati dietro una mentalità ormai
superata, favorita però da carenze legislative. In questo caso sarebbe auspicabile
un’incentivazione del pascolo che oltre
ad essere redditizio, concorrerebbe a
mantenere inalterato l’ambiente. Sarebbe
senz’altro importante l’opera di gruppi di
volontari che, con modesti e mirati sacrifici, darebbero un contributo notevole
soprattutto nel mantenere pulite le zone
di maggior interesse.
Questa modesta esposizione della situazione provinciale non ha certamente la
pretesa di offrire spiegazioni definitive a
tutti i problemi; probabilmente esistono
altri sistemi per rallentare la rarefazione.
Quello che più conta, però, è agire e agire
subito, qui da noi come in tante altre parti.
In caso contrario, all’uomo tecnologico
non rimarrà che prendere atto, anno dopo
anno, di questa o di quella sparizione.
Così diventeremo ogni giorno sempre
più poveri, poveri di quello straordinario
patrimonio genetico datoci in prestito da
madre natura, prestito che noi non saremo
riusciti a tramandare ai nostri figli.
In conclusione, se si vorrà salvare una
testimonianza floristica e tramandarla
alle future generazioni, si dovranno individuare le aree più interessanti (questo è
già possibile grazie ai censimenti floristici
fatti nel decennio scorso) e provvedere,
senza indugi, a tagliarvi annualmente
l’erba e a contenere l’avanzata di arbusti
(tutto ciò, naturalmente, andrà fatto nel
periodo di riposo di queste piante: fine
agosto, settembre). Inoltre, si dovrà
affrontare la questione cinghiale: non
risolvere questo problema, renderebbe
vana qualsiasi altra azione. Dopo quanto
sopra esposto, mi sembra chiaro che non
vi è più tempo da perdere: la sparizione
certa di O. laxiflora, O. anthropophora e
forse di P. albida, sono un segno tangibile
delle nostre inadempienze.
I
GENERI
PRESENTI
NELLA
PROVINCIA
DI
PIACENZA
29
EPIPACTIS ZINN 1757
Il nome generico Epipactis è di origine incerta. Secondo alcuni autori Epipactis era il
nome che i greci davano ad una specie di elleboro. Da ciò è stato tratto il nome di un
nuovo genere di orchidee chiamato Helleborine per la somiglianza delle foglie con quelle dell’elleboro bianco o veratro. Genere essenzialmente euroasiatico, ma con alcune
presenze in Africa e in America. Secondo gli esperti il genere sarebbe arretrato, nel
corso dell’ultima glaciazione, pressappoco al di sotto della linea del 40° parallelo. Con
l’arretramento dei ghiacci cominciato circa 12 o 13 mila anni fa, la faggeta con le sue
consociazioni vegetali comincia una lenta risalita verso nord: fra queste specie vi sono
anche le Epipactis, che riconquistano praticamente quasi tutta l’Europa. Attualmente
questo genere viene ritenuto in piena evoluzione; ciò giustifica la grande variabilità
presente. Il genere si suddivide in 2 sezioni; la prima sezione (Arthochilium Irmisch) si
contraddistingue per la forma del labello articolato in 2 parti: ipochilo con lobi laterali; epichilo mobile. Appartengono a questa sezione 2 sole specie di cui una sola è
presente in Italia (E. palustris (L.) Crants.). La seconda sezione (Euepipactis Irmisch) si
contraddistingue per avere l’ipochilo a forma di coppa senza lobi laterali e l’epichilo non
articolato, ma ben fissato all’ipochilo, e vi appartengono tutte le altre specie. Queste
specie vengono definite autogame o allogame a secondo del tipo di impollinazione che
attuano: le prime si contraddistinguono per la mancanza di un rostello efficace, privo
cioè di quell’elemento utile per far aderire il polline al capo dell’insetto vettore (viscidio) e
pertanto il polline sarà disgregato, polverulento e cadrà liberamente sulla parte femminile
del fiore (stimma), dando vita all’autoimpollinazione, come avviene per esempio in E.
muelleri; le seconde si contraddistinguono per avere un rostello efficace. In queste ultime
l’impollinazione avviene per allogamia: il polline viene trasportato da un fiore all’altro da
insetti, come avviene solitamente in E. helleborine. Avviene non di rado che anche in specie
attrezzate perfettamente per l’impollinazione incrociata, in condizioni estreme, il polline
si disgreghi e cada sullo stimma; questo evento può avvenire ancora quando il fiore è
in boccio (cleistogamia). La valutazione errata di questi fenomeni ha portato nel corso
di questi anni a segnalazioni di specie poi rivelatesi errate. Credo che al fine di una più
attenta determinazione sia necessario tenere maggiormente in considerazione la forma
del ginostemio anzichè il modo in cui esso funziona. Queste forme di impollinazione
e la scarsa specializzazione dei fiori, visitati da innumerevoli specie di insetti, portano a
un’altissima produzione di semi. Il genere si caratterizza per avere la parte ipogea a forma
di rizoma verticale o orizzontale con numerose radichette secondarie; brattee fogliacee ±
allungate; ovari peduncolati; fiori ± penduli; sepali generalmente verdi un po’ più lunghi
dei petali; labello diviso in 2 parti, ipochilo emisferico solitamente nettarifero, epichilo
a forma generalmente cordata terminante con punta dritta o ribattuta. Questo genere
ha attirato su di sé, negli ultimi 20 anni, l’attenzione di molti studiosi al punto che le 9
specie riportate nella “Flora europea” (Moore, 1980) sono diventate oggi più di 65 tra
specie e sottospecie, di cui circa una quindicina sono segnalate per l’Italia. Numero per
altro destinato ad aumentare visto alcuni lavori in avanzata fase di studio. In provincia
di Piacenza sono presenti 10 entità.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Fiori rosso violacei, foglie distiche .................................................................. E. atrorubens
Fusto robusto, foglie piccole, eretti abbraccianti il fusto .......................... E. distans
Foglie da 2 a 5, piccole inserite nella parte alta del fusto,
ovario fusiforme con pedicello arquato ............................................... E. gracilis
Pianta allogama, fiori aperti, foglie piane ovale-rotondeggianti ............. E. helleborine
Fiori allogami, foglie verde chiaro, epichilo generalmente
piegato all’indietro .................................................................................... E. leptochila
Pianta per lo più esile, foglie disposte a spirale non più
lunghe di 3 cm, labello biancastro ........................................................ E. microphilla
Fiori verde-giallicci, foglie coriacee con margine ondulato,
ipochilo rosso o marroncino all’interno ............................................... E. muelleri
Ipochilo munito di 2 lobi laterali, epichilo mobile ....................................... E. palustris
Fiori rosei o rosso magenta, epichilo a forma triangolare piano
o con bordi rialzati .................................................................................... E. placentina
Foglie piccole sfumate di viola soprattutto nella pagina inferiore ........... E. viridiflora
30
CEPHALANTHERA L.C.M. RICHARD 1817
Il nome generico Cephalanthera è di origine greca e sembra sia stato ispirato dalla
forma globosa dell’antera. Si tratta di uno dei generi più primitivi. E’ piuttosto affine
al genere Epipactis per alcuni caratteri: la struttura dell’apparato radicale formato da
un rizoma ± robusto; la forma del labello diviso in 2 parti (ipochilo-epichilo); l’impollinazione che può avvenire sia per via allogama che autogama. Differisce dal genere
Epipactis per l’ovario subcilindrico non peduncolato e per la colonna più allungata.
Genere principalmente euro-asiatico, comprende 15 specie. In Italia sono presenti 3
specie, tutte presenti anche in provincia di Piacenza:
C. damasonium (Miller) Druce
C. longifolia (L.) Fritsch
C. rubra (L.) L.C.M. Richard
Nota
I fiori di queste specie restano generalmente socchiusi o comunque raramente aperti.
Tali fiori sono perfettamente attrezzati per la fecondazione incrociata, tuttavia solo
raramente vengono visitati da insetti pronubi. Spesso il polline cade sullo stimma
quando il fiore è ancora in boccio, prima che gli insetti impollinatori possano accedervi.
Pertanto vanno ritenute specie tendenzialmente autogame. Certi autori ritengono
trattarsi di specie avviate per evoluzione verso la cleistogamia.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Fiore bianco-giallastro, infiorescenza pauciflora, foglie ovali............ C. damasonium
Fiore bianco puro, foglie strette e rigide, brattee molto corte......... C. longifolia
Fiori rosa, ovario pubescente, epichilo appuntito .............................. C. rubra
Epipactis placentina
Bongiorni & Grünanger 1993
31
LIMODORUM BOEHMER 1760
Per quanto riguarda la derivazione del nome vi sono opinioni e pareri contrastanti.
Limodorum deriverebbe dal nome greco leimodoron che significa dono del prato. Questo
genere comprende tre sole specie: L. abortivum (L.) Swarts; L. trabutianum Battandier;
L. brulloi Bartolo & Pulvirenti. In provincia è presente solo L. abortivum. Si tratta di
una specie micotrofica. Per sviluppare il ciclo vitale la pianta vive in simbiosi con un
fungo endotrofico. La clorofilla è ridotta al minimo. Non sono ancora chiari i rapporti
troficonutrizionali che intercorrono tra questa specie e le specie arboree. L’apparato
radicale è formato da un breve rizoma con numerose radici carnose.
NEOTTIA GUETTARD 1750
Il genere Neottia è formato da un numero esiguo di specie (8). L’unica conosciuta in
Europa e in Italia è N. nidus-avis (L.) L.C.M. Richard. Il nome Neottia viene dal greco
e significa “nido”; esso trova riscontro nella forma delle radici: queste infatti sono
intrecciate a forma di “nido”. Si tratta di specie micotrofica, si nutre per via eterotrofa,
consumando sostanze organiche presenti nel terreno e traendo inoltre alimento da
un fungo (Rhizomorpha neottiae). Tale fungo è presente vicino a radici marcescenti.
La pianta è in grado di diffondersi per via vegetativa.
EPIPOGIUM GMELIN EX BORCKHAUSEN 1792
Il nome generico Epipogium deriva dalle parole greche epi, sopra e pogon, barba e
fa riferimento alla posizione del labello che, non essendo resupinato, si trova girato
in alto. Infatti dai botanici antichi il labello veniva chiamato barba. Al genere sono
assegnate due sole specie di cui una sola è presente in Europa: E. aphyllum Swartz. Si
tratta di una specie micotrofica. La parte sotterranea è formata da un rizoma coralliforme munito di stoIoni filiformi, per mezzo dei quali avviene la propagazione per via
vegetativa. All’apice di questi si formano dei bulbilli che staccandosi daranno vita ad
un nuovo rizoma. Prima che da questo nuovo rizoma possa scaturire un fusto fiorifero
dovrà passare molto tempo, circa 10 anni. La specie è in grado di svolgere il suo ciclo
vitale completamente sottoterra. Intere popolazioni possono sparire completamente
e ricomparire dopo parecchi anni. Questi fenomeni sono probabilmente da attribuire
a fattori climatici.
CORALLORHIZA CHATELAIN 1760
Il nome generico Corallorhiza significa “radice a forma di corallo”. Questo infatti è
l’aspetto del suo rizoma. Fanno parte di questo genere circa 12 specie diffuse in Europa,
in Asia tropicale e nell’America del Nord. Una sola specie è presente in Europa: C.
trifida Chatel. Per la sua struttura assai gracile, è specie che passa sovente inosservata.
Diventa più visibile a fine fioritura quando gli ovari (verdi) si ingrossano creando più
contrasto con l’ambiente circostante. È specie micotrofica.
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LISTERA R. BROWN 1813
Il nome Listera è stato usato per la prima volta dal botanico Brown nel 1813 per ricordare M. Lister, naturalista inglese che visse nel XVII secolo. Esistono sulla terra circa
25 specie distribuite prevalentemente nelle regioni temperate dell’Asia e dell’America
settentrionale. Le uniche due specie europee, L. ovata (L.) R.BR. e L. cordata (L.) R.BR.
sono presenti anche in Italia. Entrambe sono presenti in provincia. Queste due specie
si caratterizzano per la presenza di sole 2 foglie opposte, fiori privi di sperone, labello
notevolmente più lungo delle altre parti fiorali, colonna breve, rostello presente, viscidii
e borsicole assenti. La parte sotterranea di questa specie è costituita da un rizoma
disposto orizzontalmente nel terreno con numerose radici filiformi.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Pianta piccola, gracile, con 2 foglie piccole, opposte, cordate .... L. cordata
Pianta robusta con 2 grandi foglie opposte, ovali con apice
ottuso ............................................................................................... L. ovata
SPIRANTHES L.C.M. RICHARD 1817
Spiranthes deriva dalle parole greche speira, spira e anthos, fiore. Tale genere è stato
istituito nel 1818 dal botanico Richard. Questa denominazione è indubbiamente molto
appropriata, in quanto fa riferimento ad uno dei rari esempi che la natura ci offre di
infiorescenza spiralata. Sono circa 80 le specie diffuse sulla terra. Principalmente
in America del Nord, Australia, Nuova Zelanda. Alla flora europea appartengono
le seguenti 3 specie: S. spiralis (L.) Chevall, S. aestivalis (Poiret) L.C.M. Richard, S.
romanzoffiana Cham. Una quarta specie S. sinensis (Pers.) Ames è probabilmente presente in Russia nella zona degli Urali centrali. Fanno parte della flora italiana soltanto
le prime due specie citate, di cui solo della prima attualmente è accertata la presenza
in provincia.
GOODYERA R. BROWN 1813
Il nome generico è in onore del botanico inglese J. Goodyer vissuto nel XVII secolo. A
questo genere appartengono circa 80 specie localizzate in America del Nord e Centrale,
in Australia Settentrionale e in Asia. L’unica specie europea è G. repens (L.) R.Br. Fino a
pochi anni fa si pensava che questa orchidea fosse presente solo nelle regioni dell’arco
alpino. La presenza sul nostro Appennino è dovuta all’opera dell’uomo. Attualmente
infatti la si trova in quasi tutti gli impianti forestali di conifere che abbiano raggiunto
un certo numero di anni e dove sia presente un soffice strato di aghi marcescenti.
Si propaga molto facilmente per via vegetativa. L’apparato radicale è formato da un
rizoma superficiale provvisto di stoloni che producono delle rosette di foglie; da queste solo al secondo anno si svilupperà uno stelo fiorifero. Con questo rapido sistema
di propagazione si possono formare vaste colonie di individui. Ma come è veloce la
colonizzazione, altrettanto veloce è la sua sparizione: tra le cause c’è l’avanzamento
dello strato arbustivo, formato prevalentemente da rovi, rosa canina, prunus, ecc., ma
soprattutto dal brachipodium, una graminacea che invade velocemente i sottoboschi
radi e luminosi, dove di solito G. repens vive.
33
PLATANTHERA L.C.M. RICHARD 1817
Platanthera deriva da due termini greci: platys, piatto e anthera, antera: questa si
presenta a due logge parallele nella P. bifolia, divaricate in basso nella P. chlorantha.
Linneo comprendeva questo genere in Orchis, in quanto queste specie sono provviste di
sperone. Solo più tardi Richard, dopo aver evidenziato alcune differenze strutturali nei
fiori, separò i due generi. Appartengono a questo genere circa un centinaio di specie
distribuite in tutte le zone temperate dell’emisfero settentrionale e dell’America meridionale. In Italia le due specie presenti sono P. bifolia (L.) L.C.M. Richard e P. chlorantha
(Custer) Reichenb. L’apparato radicale è formato da tuberi ovali o fusiformi.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Logge dell’antera parallele e ravvicinate ....................................... P. bifolia
Logge dell’antera distanziate, convergenti verso l’alto ............. P. chlorantha
GYMNADENIA R. BROWN 1813
Il nome di questo genere (battezzato dal botanico scozzese Robert Brown) prende
origine dalle parole greche gymnos e aden e significa “ghiandola nuda”. I fiori delle specie
appartenenti a questo genere hanno infatti i retinacoli che sono privi di borsicole.
Sono circa l0 le specie di Gymnadenia distribuite nell’Asia temperata e in Europa. In
Europa e in Italia due sono le specie presenti: G. conopsea (L.) R.Br. e G. odoratissima
(L.) L.C.M. Richard. Entrambe le specie sono presenti in provincia. Certi autori antichi
e moderni inseriscono in questo genere anche Nigritella e Pseudorchis. Va ricordato
comunque che le differenze strutturali fra queste specie sono notevoli. L’apparato
radicale è formato da due tuberi palmati, con apici allungati.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Sperone lungo da 12 a 22 mm, arcuato, molto più lungo
dell’ovario, lobi del labello pressappoco uguali ................... G. conopsea
Sperone lungo da 3 a 6 mm, più corto o raramente lungo
quanto l’ovario, lobo mediano del labello nettamente più
lungo dei laterali ......................................................................... G. odoratissima
PSEUDORCHIS SEGUIER 1754
Le specie appartenenti a questo genere presenti in Europa sono due: P. albida (L.) A. et
D. Love e P. frivaldii (Hampe ex Griseb). Appartiene alla flora italiana soltanto la prima.
Il nome Pseudorchis è di origine greca: pseudos, falso e orchis, probabilmente per la
somiglianza con le specie del genere Orchis. Di più facile interpretazione è il sinonimo
Leuchorchis: leuchos significa bianco e fa riferimento al colore dei fiori che variano dal
bianco al bianco-gialliccio. L’apparato radicale è formato da più tuberi fusiformi.
NIGRITELLA L.C.M. RICHARD 1817
Il nome Nigritella deriva dal latino niger, nero e fa riferimento al colore bruno scuro,
quasi nero dei fiori. Alcuni autori (come si è già riferito nella trattazione del genere
Gymnadenia) riuniscono Nigritella sotto il genere Gymnadenia; va ricordato, però, che
se i due generi possiedono alcuni caratteri in comune (tuberi palmati, foglie strettamente lineari), differiscono in modo netto in altri, quali la forma dell’ovario, i fiori non
resupinati e la struttura complessiva della pianta. La vicinanza tra questi due generi è
confermata anche dalla facilità con cui avvengono le ibridazioni. In provincia il genere
è rappresentato da un’unica specie: N. rhellicani.
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COELOGLOSSUM HARTMAN 1820
Appartengono a questo genere tre diverse specie. L’unica presente in Europa è il C.
viride (L.) Hartman. Il nome scientifico deriva dal greco koilos, vuoto e glossa, lingua, e fa
riferimento alla forma dello sperone che è rigonfio, sacciforme. Nei luoghi dove questa
orchidea vive, forma spesso delle ricche colonie che passano sovente inosservate a
causa della bassa statura della pianta e del colore dei fiori che riesce a mimetizzarsi
con l’ambiente circostante. L’apparato radicale è formato da due tuberi palmati con
alcune radici secondarie. Recenti studi effettuati con marcatori molecolari (Pridgeon
et al., 1997) hanno evidenziato una stupefacente vicinanza tra i generi Coeloglossum
e Dactylorhiza.
DACTYLORHIZA NECKER EX NEVSKI 1937
In un primo tempo a questo nuovo genere fu imposto il nome Dactylorchis. In seguito è
stato preferito il termine Dactylorhiza, scelta etimologica sicuramente più appropriata.
Tale nome prende forma dalle parole greche dactylos, dito e rhiza, radice, con riferimento alla forma digitiforme dell’apparato radicale. Il primo ad usare questo termine
fu N.J.V.Necker nel 1970. Si tratta di un genere istituito di recente e riunisce specie
un tempo ricomprese in Orchis. Ad operare questa separazione è stato il botanico P.
Vermeulen ed è fondata su importanti caratteri morfologici:
1) Tuberi allungati, incisi o digitati.
2) Brattee generalmente più lunghe dell’ovario, non membranacee.
3) Infiorescenza, prima della fioritura, non avvolta da una guaina.
Se è abbastanza facile distinguere le specie che appartengono ai due generi citati,
più problematica diventa la classificazione delle specie che appartengono al genere
Dactylorhiza, soprattutto quelle che vivono in ambiente paludoso. Va fatto notare
che, fino ad ora, i più famosi studiosi in materia non sono riusciti a dare esaurienti
spiegazioni. Il motivo di questa confusione deriva dal fatto che tali specie sono in
possesso di una variabilità sconcertante e in più si ibridano facilmente fra di loro; tali
ibridi oltre a presentare caratteristiche intermedie tra i due genitori, sono in grado
a loro volta di ibridarsi con altre specie, o con altri ibridi di diversa provenienza.
Pertanto ci si trova di fronte a numerosi esemplari o ad intere popolazioni ai quali
tentare di dare un nome diventa difficile se non addirittura impossibile. Nonostante
queste problematiche, in questi anni sono state fatte in provincia alcune scoperte,
nuove nella catena appenninica.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Pianta robusta, labello stretto, allungato .................................................... D. incarnata
Fiori di colore porpora ± scuro, biancastri alla fauce dello sperone .... D. lapponica
Pianta slanciata, foglie maculate, fiori con labello trilobo, con lobi
profondamente incisi ....................................................... D. maculata subsp fuchsii
Pianta slanciata, fusto cavo ............................................................................ D. majalis
Pianta con fiori aventi due tipi di colorazione: giallo, rosso ................... D. sambucina
TRAUNSTEINERA REICHENBACH 1842
Questo genere prende il nome dal farmacista-botanico austriaco Joseph Traunsteiner
(1798-1850). A questo genere appartengono due sole specie: T. sphaerica (M.- Bieb.)
Schlechter, specie tipica del Caucaso e dell’Anatolia; T. globosa (L.) Reichenbach. In Italia
è presente la sola T. globosa. Un tempo questa specie veniva inserita nel genere Orchis
col nome di O. globosa. La separazione di tale genere si fonda su alcune caratteristiche
morfologiche evidenziabili nella forma globosa dell’infiorescenza e per la disposizione
delle foglie, per la forma rudimentale della borsicula. L’apparato radicale è formato da
due tuberi interi, oblunghi, con alcune radichette uscenti alla base del fusto.
35
ORCHIS LINNEO 1753
Il termine Orchis, già usato dagli antichi greci, fa riferimento alla somiglianza dei tuberi
radicali con i testicoli umani. Dall’antichità sono giunte fino a noi numerose leggende,
alcune delle quali attribuivano a questi tuberi favolosi poteri afrodisiaci. La scienza
moderna ha cancellato queste illusioni. Infatti, dato l’alto contenuto di mucillagine,
l’unico uso a cui possono essere destinati è contro le infiammazioni dell’apparato
digerente. Genere essenzialmente euromediterraneo, comprendente una sessantina
di specie. In Italia sono segnalate 23 entità (P. Grünanger 2001). Un tempo questo
genere era ben più ricco; successivamente è stato smembrato, con l’istituzione di
numerosi generi minori, tra i quali Aceras, Anacamptis, Barlia, Comperia, Dactylorhiza,
Neotinea, Traunsteinera. Recentemente è stato proposto (Bateman et al., 1997) una
revisione tassonomica che prevede la scissione del vecchio genere Orchis in tre generi
monofiletici; tale proposta è conseguente a risultati di analisi su materiale genetico. Pur
ritenendo interessante questa proposta, gli esperti la giudicano un po’ troppo radicale;
pertanto necessita di ulteriori conferme, meglio se provenienti da metodologie diverse.
In attesa di tali conferme, mi sono attenuto ai vecchi parametri. Sempre seguendo tale
metodo, ho inserito in questo genere O. anthropophora (ex Aceras anthropophorum),
come ormai universalmente accettato. L’unica specie italiana di Orchis a possedere
nettare è O. coriophora, la quale viene frequentemente visitata da insetti, per lo più
apidi. Le altre specie, che ne sono sprovviste, sembra adottino una sorta di “mimetismo
fiorale”; inoltre alcune sembrano beneficiare di un’attrazione olfattiva. Tutte le specie
del genere Orchis possiedono alcuni caratteri distintivi comuni:
- apparato radicale formato da due tubercoli ovoidi, rotondi o elissoidali;
- foglie caulinari, le inferiori spesso riunite in rosetta, le superiori inguainano strettamente
l’infiorescenza prima dell’antesi;
- brattee membranacee, lunghe ± quanto l’ovario, o molto più corte;
- fiori, policromi con predominanza delle tonalità porpora, quasi sempre muniti di sperone;
- ginostemio corto e retto;
- antera, munita lateralmente di due auricole;
- ovario sessile, glabro. Per mezzo della sua torsione si ha una rotazione dei fiori di 180°.
HIMANTOGLOSSUM W.D.J. KOCH 1837
La parola Himantoglossum è di origine greca ed è formata dalle voci himas, himantos che
significa “cinghia, correggia” e glossa, “lingua”. Riassumendo, dunque, lingua a forma
di cinghia; fa naturalmente riferimento alla forma molto allungata, nastriforme del
labello delle specie appartenenti a questo genere. L’apparato radicale è composto da
due grossi tuberi ovoidi, con alcune radichette secondarie. Sono 5 le specie presenti
in Europa di cui 2 sono presenti in Italia; H. adriaticum H. Baumann; H. hircinum (L.)
Sprengel. Entrambe queste specie sono presenti in provincia.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Infiorescenza ± lassa; labello con lobo mediano profondamente
bifido largo mediamente da 2 a 2.5 mm .......................................... H. adriaticum
Infiorescenza molto densa; labello con lobo mediano allargato
in punta brevemente bifido, largo da 2 a 3.5 mm .......................... H. hircinum
ANACAMPTIS L.C.M. RICHARD 1817
Il nome deriva dalla parola greca anacamptein, e significa “ripiegare”: sarebbe da attribuire alla posizione divergente dei sepali. Questo genere veniva incluso dai botanici
del passato nel vasto genere Orchis. La separazione è avvenuta sulla base di alcuni dati
morfologici poco appariscenti, ma comunque validi: il labello con lobi poco pronunciati,
alla cui base vi sono due lamelle verticali, più o meno parallele e lo sperone molto lungo,
circa il doppio dell’ovario. Si tratta di un genere monospecifico, essendo costituito
dalla sola specie A. pyramidalis (L.) L.C.M. Richard. L’apparato radicale è costituito
da due tuberi ovoidi con alcune radichette secondarie. I fiori di questa specie sono
perfettamente adattati all’impollinazione da parte di alcune specie di farfalle, diurne
o notturne, le quali sono facilitate nell’introdurre la loro spiritromba nello sperone,
da due lamelle convergenti poste simmetricamente alla base del labello.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Labello privo di sperone .......................................................... O. anthropophora
Foglie sottili, allungate, fiori gradevolmente
profumati ................................................................................ O. coriophora subsp fragrans
Labello con parte centrale bianca, più largo che lungo O. laxiflora
Foglie verdi per lo più macchiate o spruzzate di
nerastro o viola molto scuro .............................................. O. mascula
Lobuli del lobo centrale più larghi dei lobi laterali ............ O. militaris
Labello rosso-violaceo, avente la parte centrale
più chiara, cosparso da una macchiettatura
irregolarmente più marcata ............................................... O. morio
Labello giallo, più o meno carico, senza macchie .............. O. pallens
Sperone sottile e lungo, quasi quanto l’ovario .................. O. papilionacea
Foglie maculate, fiori giallo-pallidi, con
macchiette rosse al centro .................................................. O. provincialis
Pianta robusta, labello trilobo, con lobo centrale a
sua volta bilobo, con un piccolo dente centrale .......... O. purpurea
Pianta con fioritura che inizia dall’alto ................................. O. simia
Pianta con infiorescenza semisferica .................................... O. tridentata
Pianta tozza con sepali porpora nerastri esternamente .. O. ustulata
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SERAPIAS LINNEO 1753
L’origine della denominazione Serapias viene da Serapis (Serapide) divinità dell’antico
Egitto. Secondo altre fonti, tale nome deriverebbe da Serafius, medico arabo dell’antichità, uno dei padri della botanica.
La descrizione di questo genere è stata fatta da Linneo nel 1753. Vi appartiene
una decina di specie, sette delle quali fanno parte della flora italiana. Il suo areale è
esclusivamente limitato alla regione mediterranea. L’apparato radicale è formato da
due piccoli tuberi ovoidi. Per l’Italia vengono riportate ben 7 specie e 4 sottospecie
(Grünanger, 2001). In provincia la presenza è limitata a sole 2 specie: S. vomeracea
(N. L. Burman) Briquet e S. neglecta De notaris 1858.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Pianta robusta, labello con callosità basali parallele ................................ S. neglecta
Pianta slanciata, fiore grande, epichilo stretto piegato a vomere .......... S. vomeracea
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OPHRYS LINNEO 1753
Il genere Ophrys, introdotto da Linneo, ha una denominazione di origine greca e
significa “sopracciglio”. Tale significato non trova riscontri precisi nelle caratteristiche
strutturali del fiore o della pianta, pertanto ha dato origine, da parte di vari autori,
a interpretazioni diverse. Secondo alcuni si ricollega all’uso che gli antichi facevano
di queste piante per ottenere una tintura per sopracciglia. Secondo altri, più verosimilmente, farebbe riferimento al labello peloso e cigliato di alcune specie. Trattasi di
genere monofiletico, cioè tante specie che si sono sviluppate da un’unica forma antica.
Nettamente distante da altri generi, tant’è che non sono mai stati descritti ibridi intergenerici; tuttavia il fenomeno dell’ibridazione è assai diffuso tra le varie specie. Questa
facilità di ibridarsi porta a processi di introgressione, che favoriscono un alto livello di
variabilità all’interno delle specie medesime. L’intensificarsi della ricerca sul campo, da
un lato, e la tendenza a riconoscere il rango di specie a popolamenti con differenze
minime, dall’altro, ha portato nell’ultimo ventennio ad un enorme aumento di entità
descritte. Si è passati da circa 20/25 tra specie e sottospecie agli inizi degli anni ’80,
alle circa 80 entità attuali. Le specie di Ophrys rimangono molto simili tra loro nell’apparato radicale, formato da tuberi indivisi, globosi e oblunghi, talvolta brevemente
peduncolati, nella parte vegetativa e nella forma dei sepali e dei petali. Esistono invece
enormi differenze nel labello: questo infatti assume le forme più strane a seconda delle
specie. Si tratta di orchidee che non hanno nettare; pertanto, per attirare l’attenzione
degli insetti, hanno escogitato, evolvendosi nei millenni, dei meccanismi sorprendenti.
Il labello imita nella forma e pelosità l’addome delle femmine di certi bombi, calabroni,
api, vespe. Nel contempo vi è un’emissione di sostanze volatili (feromoni) di richiamo
sessuale, così il maschio viene tratto in inganno e tenta un vero e proprio accoppiamento (pseudo-copulazione). In questo modo il capo dell’insetto viene a contatto
con le masse polliniche che vi si attaccano e verranno cedute al fiore successivo. A
seconda delle specie, l’insetto può posizionarsi sul labello in due modi:
1.
2.
SISTEMA PER DETERMINARE I GENERI DEL PIACENTINO
col capo rivolto verso il ginostemio, così i pollinii andranno ad aderire al capo
dell’insetto, come succede ad esempio in O. fuciflora,
l’insetto si posiziona con l’addome rivolto verso il ginostemio, così i pollinii aderiranno alla parte terminale dell’addome, come succede di solito in O. fusca.
Questo laborioso sistema risulta alquanto complicato: di solito, infatti, si ha una
fruttificazione piuttosto bassa. Le tecniche affascinanti messe in atto per la fecondazione incrociata sono, in linea di massima, note da diversi decenni; tuttavia ci si trova
di fronte a piante in possesso di uno straordinario polimorfismo. Non è raro infatti
trovare fiori di una stessa pianta con caratteristiche diverse tra di loro. Parimenti non
è raro trovare vere e proprie stazioni con numerosi individui (è il caso di O. fuciflora)
con caratteristiche completamente diverse da altre stazioni dislocate a poca distanza
tra di loro. La provincia di Piacenza, pur avendo una posizione geografica piuttosto
a nord, ospita sul suo territorio una discreta diffusione di queste entità, risentendo
infatti dell’azione mitigante delle correnti d’aria calda provenienti dal vicino Mar Ligure.
Non a caso la valle dove la presenza è più massiccia è la Val Trebbia.
Caratteri per identificare le specie presenti in provincia
Apice della colonna a forma di S, labello con apicolo rivolto in basso... O. apifera
Labello piano o piegato a sella, con macchia centrale lucida ................... O. benacensis
Sepali bianchi o rosa, con apicolo ± convesso, disegno
generalmente a forma di H ........................................................................... O. fuciflora
Pianta slanciata, fiori piccoli, labello con colorazioni marcate,
fioritura tardiva ................................................................................ O. fuciflora subs. elatior
Labello trilobo, senza appendice, con macchia blu-grigiastro ................. O. fusca
Petali molto stretti, filiformi; labello allungato, trilobo, con lobo
mediano inciso, con macchia centrale bluastra o grigiastra ................. O. insectifera
Gibbosità basali del labello assenti o poco pronunciate ........................... O. sphegodes
38
39
LE
SCHEDE
DELLE
SPECIE
40
41
EPIPACTIS ATRORUBENS (G.F.HOFFMANN ex
G
F
M
A
M
G L A S O N D
BERNHARDI) BESSER 1809
Serapias latifolia var. atrorubens Hoffm.
Diffusione
Atrorubens deriva dal latino e significa “scuro e
rosseggiante”, con evidente riferimento al colore
di questa splendida orchidea.
Europeo-caucasica. In Italia: è presente
in tutto il territorio escluso la Puglia e
le isole maggiori. In provincia: dai 150
ai 1500 m.s.l.m.
Ambiente
Pianta
Da 15 a 60 (80) cm. Fusto generalmente sinuoso, di colore variabile a seconda delle stazioni: verde
violaceo o rossastro, lievemente
pubescente.
Fioritura
Da Luglio ad Agosto
Su suolo calcareo, in stazioni soleggiate,
pietrose, aride, ma anche in ambienti
più chiusi (es. boschi di conifere o
faggete rade).
Foglie
Da 5 a 11 lunghe da 4 a 11 cm, larghe da 1 a 5 cm, alterne, distiche,
carenate, con bordo ondulato, ripiegate a doccia. Forma varia a seconda
dell’altezza: quasi rotonde le prime, poi via via sempre più lanceolate fino
a diventare bratteiformi.
Infiorescenza
Da l0 a 25 cm. Lassa, con 9 o 50 (60) fiori penduli disposti unilateralmente
profumati di vaniglia. Brattee: le inferiori più lunghe dei fiori, le superiori
lunghe quanto o più dell’ovario.
Fiori
Allogami, da pendenti a suborizzontali, campanulati, di colore rosso porpora o rosso violaceo; sepali e petali lunghi da 6 a 10 mm, larghi da 2.5 a
4.5 mm; labello più corto dei sepali; ipochilo lungo da 4 a 6 mm, a forma
incavata contenente nettare, brunastro; epichilo a forma cordata, lungo
da 3 a 4 mm, largo 4.5 mm, con bordo cordato e punta ribattuta, munito
di 2 vistose increspature alla base; ginostemio biancastro, corto e tozzo;
antera gialla; polline giallo in masse compatte; rostello con viscidio efficace;
clinandrio sviluppato; stimma a forma quadrangolare; ovario brunastro o
verde-grigiastro, pubescente, piriforme con pedicello arquato lungo da 3
a 5 mm. 2n=40
Status
In considerazione degli ambienti assai inospitali dove
questa pianta vive, la competizione con altre essenze,
sia erbacee che arbustive, è
piuttosto scarsa, pertanto la
specie mantiene la sua presenza con una certa facilità.
42
Note
La specie è distribuita sul territorio in
modo abbastanza omogeneo. E’ specie
legata all’ambiente luminoso e asciutto.
Tuttavia nel territorio del Comune di Coli
era presente in una stazione ombrosa e
molto umida, frammista a Gymnadenia
conopsea e alle congeneri E. helleborine
e E. muelleri. Nel corso di osservazioni
fatte in questa stazione negli ultimi anni
si è infine scoperto che, a seguito di un
movimento franoso, era cambiato il corso
di una sorgente. Il fenomeno spiega la
presenza della specie in questi luoghi.
Da alcuni anni, tuttavia, la stazione è
scomparsa.
43
EPIPACTIS DISTANS ARVET-TOUVET 1872
G
F
M
A
M
G L A S O N D
Epipactis helleborine subsp. orbicolaris (K. Richt.) E. Klein
Diffusione
Endemica alpica. In Italia è presente
sporadica lungo la catena alpina, dalla
Valle d’Aosta alla Carnia, sicuramente
nell’Oltrepo’ pavese. In provincia almeno
5 stazioni tra i 1000 e i 1200 m s.l.m.
Il nome specifico va messo in relazione
alla distanza che intercorre tra una
foglia e l’altra.
Ambiente
Pianta
Da 5 a 60 cm, fusto molto robusto, frequentemente riunito in
gruppi, verde pallido, leggermente
peloso verso l’alto.
Fioritura
Da metà Giugno a metà Luglio.
Scarpate aride e assolate, spesso anche
in pinete, rade, artificiali, sempre in
piena luce, su suoli calcarei o debolmente acidi.
Foglie
Da 3 a 6 generalmente più corte degli internodi, lunghe da 4 a 6.5 cm,
larghe da 2.5 a 4 cm, per lo più distiche da ovali a ovale-lanceolate, verde
chiaro, con una parte più chiara vicino all’altezza dell’inserzione con il fusto, erette-patenti di solito concave con bordo ondulato.
Infiorescenza
Da lassa a fortemente densa, con 10-50 (70) fiori distribuiti unilateralmente.
Brattee più lunghe dei fiori in basso, lunghe uguali in alto.
Fiori
Allogami o facoltativamente autogami, verdi e biancastri o giallastri, con una
leggera velatura rosea riguardante i petali, aperti da orizzontali a pendenti;
sepali lunghi da 10 a 14 mm, larghi da 5 a 8 mm, carenati; petali subeguali,
lunghi da 8 a 10 mm, larghi da 5 a 6.5 mm; ipochilo concavo nettarifero
biancastro esternamente, marroncino lucente internamente; epichilo lungo
da 4 a 4.5 mm, largo da 4 a 4.6 mm, alla base sono presenti 2 protuberanze
verrucose poco sviluppate, biancastre, brunastre o soffuse di rosa e una
cresta centrale più marcatamente colorata; ginostemio biancastro; glandula
rostellare poco sviluppata, tuttavia mantiene a lungo la sua efficacia; polline
assai friabile a volte si disgrega già nel bocciolo; clinandrio incavato e largo;
ovario con costolature marcate, munito di pedicello arcuato violetto alla
base. 2n=40
Status
la condizione essenziale per
la sopravvivenza di questa
pianta è che venga mantenuto inalterato il suo ambiente
vitale. Purtroppo gli esemplari presenti in provincia vivono
per lo più in ambienti ormai
fortemente compromessi.
44
Note
Nel corso di questi anni attorno a questa
entità è andata sviluppandosi una certa confusione: questo a mio avviso avviene quando si
osserva la pianta in un ambiente alterato e non
più tipico per la specie. Un caso esemplare è
quello di un bosco impiantato artificialmente:
se prima dell’impianto questo luogo, arido
e assolato, era ideale per la specie, con il
progredire del bosco sopraggiungono ombra,
maggiore umidità e più sostanze nutritive nel
terreno. Si comincerà allora a notare una lenta
ma decisa trasformazione della forma e del
portamento delle foglie, tanto da confonderle
con quelle di E. helleborine, mentre le caratteristiche dei fiori rimangono pressoché inalterate. Questi sono processi lenti e richiedono del
tempo; ma se si avrà la pazienza di osservare
quest’evento per almeno una decina di anni,
meglio ancora se per più tempo, si noterà che
le piante, dopo essersi trasformate, tendono
lentamente a sparire fino all’estinzione completa da quella stazione. Ho avuto modo di
notare questi fenomeni in fase ± avanzata sia
nel piacentino che in Val Brenta (Trentino)
e in Francia, nelle vicinanze di Aussois (valle
dell’Arc, dipartimento delle Hautes-Alpes). In
condizioni normali E. distans ha caratteristiche tali che non può essere confusa in alcun
modo con altre specie né tanto meno con E.
helleborine. Questa diversità viene accentuata
quando i fiori ormai appassiti lasciano il posto
agli ovari rigonfi di semi: questi sono talmente
grossi da assomigliare, per dimensioni, più a
quelli di E. atrorubens o a quelli di E. microphilla
che non a quelli di E. helleborine.
45
EPIPACTIS GRACILIS B. BAUMAN & H. BAUMAN 1988
G F M A M G L A S O N D
Epipactis persica subsp. gracilis (B. & H. Bauman) W. Rossi
Diffusione
Gracilis fa riferimento alla taglia solitamente
esile della pianta.
Subendemica. In Italia la reale presenza è
ancora in fase di determinazione, tuttavia
è segnalata in quasi tutta la penisola
dall’Emilia in giù. In provincia la sua presenza è accertata solo in Val d’Arda.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 10 a 45 (60) cm, fusto piuttosto esile, verde chiaro, glabro alla
base. Leggermente pubescente
verso l’alto.
Luglio
Faggete su substrato preferibilmente
calcareo.
Foglie
Ridotte a guaine le 2 o 3 basali; da 2 a 4 caulinari raccolte nella parte
superiore del fusto, lunghe da 2 a 4.5 cm, larghe da 0.8 a 3 cm, ovatoellittiche le inferiori, lanceolate, falciformi le superiori, con bordo munito di
una denticolatura irregolare vista alla lente.
Infiorescenza
Lassa, con fiori posti unilateralmente lungo il fusto, in numero variabile da
3 a 15. Brattee lunghe ± quanto l’ovario.
Fiori
Autogami, di colore verde pallido o verdastri, o con leggerissime sfumature
rosa che interessano i petali e l’epichilo, generalmente campanulati, pendenti o suborizzontali; sepali lunghi da 8 a 10 mm, larghi da 3 a 4.5 mm,
ovali e lanceolati; sepali lievemente carenati con una nervatura centrale
più marcatamente verdastra; petali pressappoco uguali ai sepali, con apice
leggermente più riflesso; labello lungo da 7 a 8 mm; ipochilo a forma di
coppa contenente nettare; epichilo a forma cordata munito alla base di 2
gibbosità piuttosto evidenti divise da un solco centrale; antera giallo-pallida
stretta; clinandrio presente; stimma biancastro; viscidio inefficace; polline
polverulento; ovario fusiforme, glabro, munito di pedicello corto.
Status
La specie condivide la stessa nicchia ecologica di E. viridiflora.
Le problematiche riguardanti il futuro sono simili.
46
Note
La specie è rarissima: è stata trovata
nel 1989 sul versante nord del monte
Menegosa, nel quadrante 1324-1. In
questi anni la presenza è stata accertata
lungo la dorsale nord che va dal Groppo
di Gora, nel quadrante 1324-1, al monte
Penna, nel quadrante 1223-4, passando
per il monte Santa Franca, nel quadrante
1223-4, dove si conta il maggior numero
di esemplari. In quest’area raggiunge il
limite settentrionale del suo areale.
47
EPIPACTIS HELLEBORINE (L.) CRANTZ 1769
G
F
M
A
M
G L A S O N D
Serapias helleborine var. latifolia L.
Diffusione
Helleborine deriva dalla somiglianza delle
sue foglie con quelle del verato o elleboro. Il binomio latifolia fa ovviamente
riferimento alla forma piuttosto ampia
delle foglie.
Paleo-temperata. In Italia: in tutto il
territorio, rara nella Pianura Padana. In
provincia: dai boschi della pianura al
limite superiore delle faggete.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 15 a 80 cm. Fusto eretto, verdognolo, spesso rosato alla base.
Da metà Giugno ai primi di Settembre.
Boschi di latifoglie e di aghifoglie, macchie e radure, su terreni freschi, ricchi
di sostanze nutritive, o aridi, poveri,
assolati, da moderatamente acidi a debolmente basici.
Foglie
Da 3 a 10, caulinari, spiralate, più lunghe degli internodi, attaccate orizzontalmente al fusto, molli, da ovato-lanceolate a lanceolate. Le mediane
lunghe da 6 a 16 cm, larghe da 4 a 10 cm con bordo finemente denticolato,
di colore verde scuro; le superiori da 1 a 4, strettamente lanceolate poi
bratteiformi per lo più pendenti.
Infiorescenza
Rada o compatta, lunga fino a 40 cm, con più di 50 fiori. Brattee verdi,
lanceolate; le inferiori lunghe fino a 6 cm, gradualmente decrescenti verso
l’alto.
Fiori
Allogami, orizzontali o leggermente penduli, aperti, verdastri o rosati o più
intensamente brunastri o violetti. Sepali lunghi da 9 a 15 mm, larghi da 5
a 9 mm, ovati, ristretti all’apice, generalmente verdastri, soffusi di rosa internamente; petali pressappoco uguali e più colorati dei sepali. Labello più
corto delle altre divisioni fiorali. Ipochilo concavo, scuro, nettarifero. Epichilo
lungo da 3 a 5 mm, largo da 4 a 6 mm, di forma cordata, da bianco-verdastro a viola intenso, con apice ribattuto, la base munita di 2 protuberanze
± marcate separate da un solco longitudinale; antera giallastra; clinandrio
sviluppato; rostello con viscidio efficace; polline in masse compatte; ovario
verde, piriforme, munito di una pelosità corta e densa; pedicello corto e
peloso, sovente tinto di violetto. 2n=38,40
Status
Status
La specie occupa una notevole varietà di ambienti: forse
anche per questo, sembra
risentire in misura minore
dell’enorme trasformazione
ambientale in atto.
48
Note
Il giorno 11-7-85, in località Monte Pillerone sono
stati osservati due esemplari probabilmente generati dallo stesso rizoma, alti un metro e 22 cm. Tali
esemplari sono ritornati a fiorire anche nelle annate
successive ma con altezze leggermente inferiori. E.
helleborine è nota per essere una specie dotata di
notevole polimorfismo: questo carattere a volte per
la scarsa conoscenza ma spesso per la voglia di
trarre conclusioni affrettate ha generato in passato
e continua a generare, non poca confusione. In
particolare vorrei soffermarmi sulla presenza reale o
presunta di E. h. subsp tremolsi in Italia. Nelle stagioni
1995-96 assieme al prof. P. Grünanger segnalammo
la presenza di quest’entità per alcune località del
territorio piacentino. Per la verità senza troppo
entrare nel merito della questione, “fotografammo”
la situazione non solo nel piacentino ma anche lungo
tutta la dorsale appenninica. La nostra segnalazione
arrivava dopo che l’entità era già stata segnalata in
altre località italiane: H. Daiss, C. Delprete, H. Tichy
(1989-90) e A. Scrugli (1990) per l’Inglesiente
(Sardegna sud-occidentale); alcune segnalazioni in
Liguria senza l’indicazione della località (P. Liverani
1991); ancora segnalazioni per la Sardegna centroorientale (C. Giotta & M. Picitto 1993). Nel corso di
questi anni osservazioni più attente, ma soprattutto
condotte sul lungo periodo e a più vasto raggio lungo la dorsale nord-appenninica e in parte in Toscana,
hanno rafforzato l’idea che almeno in questi luoghi
E. h. subsp tremolsi di fatto non esiste. Si può notare
che esemplari con le forme tipiche di questa entità
(cioè foglie semi erette molto coriacee, ondulate e
abbraccianti il fusto), se messi in ombra dalla crescita
di piante o arbusti, modificano anno dopo anno
la forma delle foglie che tende a rilassarsi fino a
diventare piana e, nel contempo, anche più morbida
e flessuosa, assumendo la tipicità di E. helleborine.
D’altra parte un confine netto tra queste 2 entità non
è mai stato rilevato. Dai colloqui avuti con M. Picitto,
posso concludere che la stessa situazione sia, con
tutta probabilità, presente anche in Sardegna.
49
EPIPACTIS LEPTOCHILA subsp. NEGLECTA
G F M A M G L A S O N D
H. KÜMPEL 1982
Epipactis neglecta (H. Kümpel) H. Kümpel
Diffusione
Areale in fase di determinazione. In Italia
è stata finora trovata in provincia di Brescia, in Trentino, in provincia di Pistoia. In
provincia è presente in tre stazioni.
Ambiente
Faggeta ± umida.
Pianta
Fioritura
Verde chiaro, singola o prevalentemente cespitosa, con cespi che
possono superare i 10 steli. Fusto
robusto, finemente pubescente verso l’alto, peluria che conferisce al
fusto, all’altezza dell’infiorescenza,
una colorazione ± biancastra. Alto
tra i 20/60 cm.
Metà Luglio, metà Agosto
Foglie
Da 3 - 4 a 5-6, verdi-giallastre da giovani, tendenzialmente più scure, man
mano che la pianta invecchia. Poste a 8/10 cm dal suolo; irregolarmente
spiralate; ovali e piane le prime, presentano un’attaccatura biancastra lunga
anche 8/10 mm (caratteristica questa presente anche in altre specie del
genere); ovale-lanceolate, leggermente ricurve verso il basso le mediane;
lanceolate, bratteiformi, pendenti le superiori.
Infiorescenza
± lassa, alta da 10 a 25 cm, con 8/10 o 20/25 fiori, posti unilateralmente,
tuttavia quando la luce è particolarmente carente, tendono a girarsi verso
il lato più illuminato. Brattee lunghe da 4 a 8 cm, larghe da 0.8 a 2.5 cm
le prime, lanceolate-pendenti; decrescenti verso l’alto, ma mai più corte
dell’ovario.
Fiori
Sempre allogami, ± penduli, quasi sempre ben aperti, verde chiaro esternamente, da verde-biancastro a giallastro internamente; sepali lanceolati,
acuminati, carenati, glabri, lunghi da 15 a19 mm, larghi 6.5 mm; petali lanceolati, con punte che tendono a voltarsi leggermente verso l’esterno, lunghi
da 10.5 a 11.5 mm, larghi da 5.8 a 6.5 mm; ipochilo con coppa nettarifera,
internamente marroncino o rossastro, lungo 5.5 mm, largo 5.5 mm; epichilo
con una gibbosità piuttosto marcata nella parte centrale a forma cordata,
divisa in due alla base; lungo da 5.2 a 6 mm, largo da 4.8 a 5.2 mm. Dopo
che il fiore si è completamente aperto, l’epichilo può subire (quasi sempre)
un ripiegamento all’indietro, fino a toccare la coppetta dell’ipochilo. Questo
ripiegamento può avvenire in modo ± irregolare. La strozzatura tra ipochilo ed
epichilo è piuttosto regolare, parallela, larga un po’ più di 1 mm. Antera non
peduncolata, larga, giallastra; clinandrio ben sviluppato; polline in masse ben
agglutinate; rostello munito di viscidio efficace (sempre); ovario fusiforme,
munito di pedicello arcuato, verde anche alla base.
50
Note
La storia nomenclaturale di questa entità
è piuttosto complessa. Essa infatti è stata
definita in vari modi: E. leptochila (Godfery) Godfery, E. l. subsp neglecta H. Kümpel, E. neglecta (H. Kümpel) H. Kümpel, E.
l. var. neglecta (H. Kümpel) A. Gevaudan,
E. futakii Mered’a fil. & Potucek. Nell’esposizione di questa specie ho scelto,
provvisoriamente, l’epiteto che va per la
maggiore, anche se penso che nessuna di
queste definizioni sia soddisfacente per i
popolamenti che osservo ormai dal 1987.
Stazioni con caratteristiche simili ai ritrovamenti piacentini sono state segnalate
in varie parti del Nord Italia: nell’Appennino pistoiese al confine con la provincia
di Modena, nelle Prealpi bresciane e in
Trentino. Confrontando direttamente
i nostri esemplari con quelli del locus
classicus in Turingia, si può notare che,
tra i popolamenti di E. leptochila subsp.
neglecta tedeschi (anche nelle forme più
variabili), vi è sempre un netto legame con
E. leptochila, legami che non esistono tra
i nostri esemplari e la stessa E. leptochila.
Personalmente penso che i presupposti
per dare una collocazione più esatta ai
popolamenti italiani vadano ricercati più
nella complessità di E. helleborine che non
altrove. Da diversi anni sto lavorando in
questo senso; sui risultati rimando ad un
intervento più diretto prossimamente.
51
EPIPACTIS MICROPHYLLA (EHRHART) SWARTZ 1800
G F M A M G L A S O N D
Serapias microphilla Ehrh.
Diffusione
L’aggettivo microphylla si riferisce alle
foglie, che sono brevissime.
Europeo-caucasica. In Italia è presente
in tutte le regioni. In provincia dai boschi
caldi dalla media collina al limite superiore della faggeta.
Ambiente
Pianta
Boschi radi, scarpate sassose su terreno
calcareo, anche in faggeta ombrosa.
Da 15 a 40 (55) cm. Fusto tomentoso verso l’alto, grigiastro in alto,
violaceo in basso.
Fioritura
Da metà Maggio a metà Agosto.
Foglie
Da 3 a 10, lunghe da 2 a 2.5 cm, larghe da 0.5 a 2 cm, piccole, lanceolate,
piane, lievemente carenate, più brevi degli internodi, disposte a spirale, di
colore verde-grigiastro, di lunghezza decrescente verso l’alto.
Infiorescenza
Lunga da 5 a 25 cm, rada, allungata, con pochi fiori; brattee pubescenti,
grigiastre, in basso più lunghe degli ovari, in alto più corte.
Fiori
Piccoli, profumati, campanulati o suborizzontali o penduli, bianco-verdastri, talvolta sfumati di rosa internamente, verde-grigiastro esternamente;
sepali e petali lunghi da 6 a 9 cm, larghi da 3 a 5.5 mm, ovale-lanceolati,
carenati, pubescenti all’esterno; ipochilo con coppa nettarifera, verde-ulivo;
epichilo lungo e largo da 3 a 5 mm, a forma cordata con margine ondulato
o crenulato, munito alla base di 2 increspature laterali e di una centrale più
allungata; ginostemio biancastro; antera giallo-verdastra; rostello con viscidio
già ben sviluppato prima dell’antesi, ma perde efficacia rapidamente; polline
prima in masse ben agglutinate, poi polverulento; clinandrio presente; ovario
piriforme munito di un corto pedicello.
Status
Data l’esiguità dei popolamenti diventa difficile valutare i livelli di rischio,
tuttavia si possono fare delle ragionevoli ipotesi: non dovrebbe avere particolari problemi nei boschi di alta quota (castagneti-faggete), mentre il
progressivo avanzare dei cespugli nei boschi caldi a bassa quota, alla lunga,
potrebbe essergli fatale.
52
Note
In questi ultimi anni è andata delineandosi la sua reale consistenza sul territorio.
Pur essendo una specie rarissima (i suoi
popolamenti sono quasi sempre ristretti a
pochi o unici esemplari) la si può trovare
in una serie infinita di ambienti. Il periodo
di fioritura inoltre rappresenta indubbiamente un record per quanto riguarda
le orchidee presenti in provincia: inizia
infatti nella prima decade di maggio nei
boschetti caldi dell’alta Val Dorba, quadrante 1122-2 in comune di Travo (dato
rilevato il 10/05/2001) e finisce dopo la
metà di agosto nelle faggete dell’alta Val
Nure, in prossimità del monte Zovallo nel
quadrante 1423-1 in comune di Ferriere
(dato rilevato il 18/08/2000).
53
EPIPACTIS MUELLERI GODFERY 1921
G F M A M G L A S O N D
Epipactis viridiflora (Rchb.) sensu Müller
Diffusione
L’areale è da ritenersi europeo-centroccidentale,
anche se i suoi effettivi confini sono ancora imprecisati, essendo stata confusa con la congenere
E. helleborine (di cui, da molti autori, è considerata
sottospecie). In Italia la prima segnalazione è dovuta a L. Poldini (1981) per l’Italia nord-orientale.
In provincia è stata trovata per la prima volta
nel corso delle mie ricerche, nel 1983, nel quadrante 1023-3 nella località Poggio Balestrino.
Prende il nome dal botanico tedesco
H. Müller (1829-1883).
Ambiente
Pianta
Fioritura
Le caratteristiche generali della
pianta differiscono da quelle di
Epipactis helleborine, dall’habitus
generalmente più gracile, anche se
non vanno dimenticati esemplari di
ragguardevoli dimensioni (60-70
cm Monte Nero, 14-8-1987).
Da metà Giugno a metà Agosto.
Boscaglie termofile, pinete, faggete, spesso sui
bordi stradali.
Foglie
Da 5 a 10, lunghe da 4.5 a 12 cm, larghe da 1.5 a 4 cm, distiche, ovale-lanceolate o strettamente lanceolate, piane o carenate, con margine
generalmente ondulato, di colore generalmente verde chiaro con nervature
evidenti ± coriacee a seconda se sono ± esposte alla luce, da 1 a 3 foglie
superiori bratteiformi.
Infiorescenza
Lunga da 5 a 30 cm, generalmente rada, composta da 4 o 5 a 40 fiori,
orientati per lo più su un solo lato del fusto. Brattee più lunghe dei fiori
nella parte bassa, un po’ meno nella parte alta.
Fiori
Lunghi da 8 a 12 mm, larghi da 3.5 a 5 mm, ovale-lanceolati, leggermente
carenati; petali ± uguali ai sepali, ovale-acuminati, biancastri o raramente
rosei; giuntura tra ipochilo ed epichilo larga; ipochilo incavato contenente
sostanze zuccherine, brunastro o rossastro internamente; epichilo lungo
da 4 a 5 mm, largo da 3 a 4 mm, cordato, ottuso con punta dritta in avanti
o leggermente piegata all’indietro, sono presenti 2 piccole protuberanze
basali divise da un solco centrale; antera giallastra, sormontante lo stimma;
clinandrio assente; viscidio assente o presente in forma rudimentale nel
bocciolo; masse polliniche appoggiate direttamente sopra lo stimma; ovario
verde, peduncolato, piriforme, ± glabro. 2n=38,40
Status
Le problematiche di rare-fazione di questa pianta sono legate all’infoltirsi
degli ambienti dove vive.
54
Note
Contrariamente a quanto succede in
altre specie, la fioritura di E. muelleri è
velocissima: questo fatto va messo in
relazione al fenomeno dell’autogamia in
cui il polline maturo (polverulento) cade
sullo stimma. Così il fiore ha adempiuto
al suo compito senza dover attendere
l’insetto impollinatore: perciò in breve
tempo avvizzisce. Inoltre all’interno di
questa specie non è raro osservare fenomeni di cleistogamia: ciò significa che
il fiore in particolari condizioni riesce ad
autoimpollinarsi senza doversi aprire.
Questa caratteristica la si può riscontrare,
sempre in condizioni estreme, in quasi
tutte le specie del genere.
Nelle annate successive al 1983 si è potuto notare un andamento irregolare nella
fioritura: pochi individui a fiore nell’84
e 85; addirittura nulla o quasi nell’86,
per arrivare nell’87 e 88 ad una fioritura
abbondante. Fenomeno, questo, assai
frequente nella famiglia delle orchidacee
e da mettere in relazione all’andamento
stagionale e alla conseguente capacità
della pianta di accumulare sostanze di
riserva, utili quest’ultime a produrre la
fioritura dell’anno successivo.
55
EPIPACTIS PALUSTRIS (L.) CRANTZ 1769
G F M A M G L A S O N D
Helleborine palustris (L.) Crantz
Diffusione
L’aggettivo palustris indica chiaramente
l’ambiente in cui questa specie vive. Un
tempo era sicuramente presente anche in
pianura; attualmente, essendo sparite per
mano dell’uomo le zone umide planiziali,
la si ritrova solo nelle torbiere e nei luoghi
umidi di montagna.
Circumboreale. In Italia: in tutte le regioni. In provincia: dagli 800 ai 1500
m s.l.m.
Ambiente
Paludi, praterie umide, torbiere, su suolo
preferibilmente calcareo.
Pianta
Da 10 a 60 (96) cm. Fusto eretto,
leggermente angoloso; colorazione
verde con screziature rossastre.
Fioritura
Da fine Giugno ad Agosto.
Foglie
In numero variabile da 4 a 10, lunghe da 6 a 19 cm, larghe da 1 a 4.5 cm,
abbraccianti, disposte a spirale; a forma oblungo-lanceolata o strettamente
lanceolate, carenate con nervature evidenti nella parte inferiore, lanceolatoacute e più piccole nella parte superiore dello scapo.
Infiorescenza
Generalmente lassa, alta da 5 a 22 cm, con 4-5 o oltre 20 fiori penduli.
Brattee inferiori più lunghe dell’ovario, decrescenti verso l’alto.
Fiori
Allogami grandi da penduli a orizzontali, aperti a forma di due triangoli contrapposti; sepali lunghi da 9 a 13 mm, larghi da 3 a 5.5 mm, pelosi e brunoverdastri all’esterno, rosa ± carico con linee più marcate all’interno; petali lunghi
da 9 a 13 mm, larghi da 3 a 5 mm, bianco-rosei, rossastri o brunastri alla base,
glabri; labello lungo da 10 a 13.5 mm privo da sperone; ipochilo lungo da 5
a 7 mm a forma di coppa contenente sostanze zuccherine, bianco striato di
rosso o porpora, munito ai lati di 2 lobetti triangolari; epichilo lungo da 7.5 a
8.5 mm, mobile, elastico, a forma rotondeggiante cordata, bianco, con bordo
increspato, munito di 2 creste alla base gialle; ginostemio verde giallastro,
stretto alla base; antera giallastra; clinandrio e viscidio ben sviluppati; stimma
subovale; polline in masse ben agglutinato; ovario pubescente non ritorto, la
resupinazione avviene mediante la torsione di 180° del peduncolo. 2n=40
Status
La pianta, oltre che per seme,
si propaga anche attraverso
gemme avventizie generate
dal rizoma, dando così origine,
quando vi sono le condizioni
ottimali, a ricchissimi popolamenti. Nonostante ciò, E.
palustris è la specie del genere
che corre i maggiori rischi di
estinzione, causati dall’alterazione o dalla distruzione del
suo ambiente vitale.
56
Note
Il giorno 19-7-87 nel quadrante 1322-2,
all’interno di una vasta stazione, sono stati osservati diversi esemplari di notevoli
dimensioni con altezza media tra gli 80
e i 96 cm.
L’insetto, nella fase di partenza, dopo essersi appoggiato per prendere il nettare,
riceve una sorta di spinta dall’epichilo:
ciò è dovuto all’elasticità che esiste nella
strozzatura ipochilo-epichilo. A seguito
di questa spinta l’insetto va a sbattere
con il capo verso la parte alta del fiore
dove è posto il rostello con viscidio, il
quale all’urto farà aderire i pollini al capo
dell’insetto. In tal modo l’insetto, nel
tentativo di prendere altro nettare da un
altro fiore, avrà modo di far aderire quei
pollini posti in posizione favorevole allo
stimma del nuovo fiore, stimma che si
trova opportunamente nella parte bassa
dell’apparato riproduttivo.
57
EPIPACTIS PLACENTINA
G F M A M G L A S O N D
BONGIORNI & GRÜNANGER 1993
Diffusione
Areale in fase di definizione, trovata
finora in Francia, Svizzera e Slovacchia.
In Italia è presente in Liguria, in EmiliaRomagna, in Toscana, nelle Marche, nel
Lazio e in Calabria. In provincia in sei piccole stazioni da 800 a 1200 m s.l.m.
Dedicato alla flora della Provincia di
Piacenza
Ambiente
Per lo più in impianti di conifere artificiali
maturi (Pinus nigra).
Pianta
Da (16) 20-40 (60) cm. Fusto per lo più
solitario, robusto, eretto o leggermente
flessuoso all’altezza del secondo internodo;
leggermente rosato nella parte bassa, verde
nella parte media e alta; glabro in basso,
pubescente in alto.
Fioritura
Da fine Giugno a Ottone Soprano a fine
Luglio a Pertuso. Intermedie le altre stazioni.
Foglie
Da (3) 4 a 7 (8), sessili, amplessicauli, erette o semierette, lunghe da 1 a 2.7 cm,
larghe da 1 a 2.2 cm le prime, ovato-lanceolato con margine leggermente ondulato, lunghe da 5.2 a 6.3 cm, larghe da 3.2 a 3 cm, le seconde. Lanceolate fino
a diventare bratteiformi, lunghe da 5.5 a 3.1 cm, larghe da 2.5 a 1 cm le terze.
Infiorescenza
Cilindrica, allungata, densa, multiflora. Brattee lanceolato-allungate, più lunghe del
fiore le prime, decrescenti verso l’alto, ma mai più corte dell’ovario.
Fiori
Leggermente profumati, medi, autogami, aperti o sovente socchiusi, penduli; sepali
lunghi da 7 a 9 mm, larghi da 3 a 4 mm, ovato-lanceolati, verdastri con margini
arrossati, nervature poco evidenti; petali lunghi da 6.5 a 9 mm, larghi da 3 a 4.5
mm, rosa, tendenzialmente più carico verso l’apice, con nervature poco evidenti.
Labello lungo da 6 a 8 mm, piccolo; ipochilo, lungo da 2.5 a 4.5 mm, largo da 3.4
a 4.3 mm, semigloboso, saccato, contiene nettare; roseo esternamente, purpureo
internamente. Epichilo lungo quanto largo (3 - 4 mm), a forma triangolare, apice
mai deflesso, bordi leggermente revoluti, rosa ± intenso. Ginostemio biancastro,
glandula rostellare assente o rudimentale, visibile solamente quando il fiore è in
boccio. Clinandrio assente; antera allungata; polline giallo, disgregato; stigma
biancastro; ovario a forma di clava con breve pedicello arcuato e ritorto. 2n=38
Status
Nel corso di questi anni,
in provincia, ho rilevato la
presenza di altri tre piccoli
popolamenti. Purtroppo la
stazione di Pertuso (locus
classicus) è in forte arretramento, dovuto all’avanzata
di cespugli di erica (Erica
carnea).
58
Note
Nel corso di osservazioni fatte in altre
parti d’Italia si è notato che i popolamenti dell’Aspromonte e delle Serre
presentano una colorazione atipica:
bianco-rosata.
59
EPIPACTIS VIRIDIFLORA HOFFMAN ex KROCKER
G F M A M G L A S O N D
Epipactis purpurata J. E. Smith
Diffusione
Subatlantica. In Italia oltre all’Emilia Romagna, è presente in Lombardia, Toscana, Marche, Abruzzo, Basilicata, Calabria
e Puglia Garganica. In provincia una sola
stazione di pochissimi esemplari.
Il termine viridiflora fa riferimento al
colore verde o presunto tale dei fiori,
più azzeccato mi sembra l’epiteto del
sinonimo purpurata.
Ambiente
Faggeta matura su suolo calcareo.
Pianta
Da 20 a 70 (100) cm, fusto robusto
grigio-verdastro, soffuso di violetto,
munito di una peluria grigiastra all’altezza dell’infiorescenza.
Fioritura
Fine Luglio, inizio Agosto.
Foglie
Da 4 a 12 lunghe da 4 a 10 cm, larghe da 1 a 3 cm, più lunghe degli internodi,
disposte lungo il fusto, ± spiralate, rigide. Carenate, con bordo ondulato, di
colore verde-brunastro, o soffuse di rosa-violaceo, più marcato da giovane;
da 2 a 3 superiori strettamente lanceolate, bratteiformi.
Infiorescenza
Densa, lunga da 10 a 50 cm, con 5-10 o 50 (100) fiori. Brattee più lunghe
dei fiori.
Fiori
Leggermente profumati, allogami, ben aperti, da pendenti a suborizzontali,
verdastri esternamente, verde-biancastro internamente, una leggera velatura rosa interessa i petali, una colorazione più marcata di rosa o violaceo
interessa la parte centrale dell’epichilo; sepali lunghi da 9 a 13 mm, larghi
da 4 a 6 mm, ovali-lanceolato, pelosi esternamente; petali ± uguali ai sepali;
ipochilo a forma di coppa contenente nettare, bruno-violaceo internamente;
epichilo lungo da 4 a 5 mm, largo da 4 a 5-6 mm, a forma cordata con bordi
increspati e ondulati e punta piegata all’indietro, alla base sono presenti 2
protuberanze piuttosto marcate e verrucose divise da una callosità centrale;
ginostemio biancastro; antera giallastra; clinandrio sviluppato; rostello con
viscidio funzionante; ovario fusiforme, verdastro con costolature più evidenti,
con pedicello lungo da 2 a 2.5 mm, pubescente, violaceo. 2n=40
Status
Se si avviassero programmi seri di riconversione del bosco da ceduo ad
alto fusto, la specie potrebbe aumentare notevolmente; in caso contrario
bisognerà sperare che non vengano abbattute quelle centinaia di faggi che
consentono vitalità a questa piccola stazione.
60
Note
Lungamente data per possibile lungo la
catena alpina, al contrario oggi si registra
essere più presente lungo tutta la dorsale
appenninica verso sud; ma è soprattutto
nell’area del Pollino che si sono visti in
questi anni popolamenti veramente abbondanti. Nell’unica stazione piacentina,
quadrante 1223-4, a nord-est del monte
Santa Franca osservo questa pianta da
quando l’ho trovata per la prima volta
nel 1994. Nelle annate migliori fioriscono 6-7 piante, 3-4 in quelle scarse. Un
fatto curioso: ho notato che le piante
non fioriscono quasi mai per 2 annate
di seguito, il fenomeno fa pensare che
il numero degli esemplari sia maggiore e
fa anche ragionevolmente ipotizzare che
la pianta rimanga dormiente oppure che
riesca a sviluppare qualche forma di ciclo
vitale sottoterra. Ricerche in tal senso
non ne ho mai fatte, per non rischiare di
perdere anche uno solo di questi preziosi
esemplari.
61
CEPHALANTHERA DAMASONIUM (MILLER) DRUCE 1906
G F M A M G L A S O N D
Cephalanthera pallens (S.B. Jundzill) L.C.M. Rich.
Il nome specifico damasonium è parola
latina e significa “Alisma”, ad indicare la
somiglianza delle foglie di questa specie
con quelle di una pianta acquatica:
l’Alisma plantago-aquatica.
Pianta
Diffusione
Euro-mediterranea. In Italia: su tutto il
territorio. In provincia: dai 200 ai 1500
m s.l.m.
Ambiente
Su suolo preferibilmente calcareo, in
boschi freschi, spesso ai margini del
bosco, nei prati abbandonati.
Fusto glabro, alto tra i 10 e i 60
cm.
Fioritura
Da Maggio ai primi di Luglio.
Foglie
Da 2 a 5 lunghe da 4 a 8 cm, larghe da 1.5 a 3.5 cm, ovali, ellittiche, con
apice acuto o anche lanceolate; quelle basali ridotte a guaine che abbracciano il fusto, quelle di maggiore dimensione poste nella parte centrale del
fusto e decrescenti di dimensione verso l’alto fino a diventare bratteiformi.
Infiorescenza
Lassa e povera (da 2 a 12 fiori). Brattee: quelle più in basso sono del tutto
simili a una foglia lunghe 5 cm; le superiori, lineare-lanceolate, decrescenti
e più lunghe degli ovari.
Fiori
Lunghi da 11 a 20 mm, larghi da 5 a 9. Da bianco-avorio a bianco-giallastro,
rivolti verso l’alto, quasi chiusi, raramente aperti. Sepali di forma oblungolanceolata e un po’ più lunghi dei petali. Labello lungo da 11 a 14 mm, non
speronato, di colore giallo. Ipochilo carenato biancastro concavo; epichilo
più largo che lungo, provvisto internamente di 3-5 creste parallele, gialloarancione, ondulato ai margini con apice riflesso. Ovario glabro, resupinato.
2n=36
Status
L’apparato radicale non rappresenta fonte di cibo per i cinghiali perciò non
viene danneggiato. Tuttavia le radure dove questa pianta per lo più vive
sono sempre più spesso infestate da rovi e da arbusti vari, con conseguente
riduzione dei suoi spazi vitali.
62
Note
Mentre nel bosco la specie si trova quasi
sempre con esemplari singoli e prevalentemente di modeste proporzioni, nelle
radure e nei margini non è raro trovarla
in gruppi di 3-5 fino a l0 steli generati
da un unico apparto radicale. È appunto
in questo ambiente che si trovano anche
gli esemplari più vigorosi e alti. In questa
specie è molto frequente l’autoimpollinazione. Molti fiori non si aprono mai.
63
CEPHALANTHERA LONGIFOLIA (L.) K. FRITSCH 1888
G F M A M G L A S O N D
Cephalanthera ensifolia (Murr) L.C.M. Rich.
Longifolia deriva dall’unione delle parole
latine longa e folia che significa appunto
“lunga foglia”. Questo è il carattere che
contribuisce maggiormente a distinguerla
da C. damasonium.
Pianta
Diffusione
Euro-asiatica. In Italia: in tutto il territorio, meno frequente all’estremo sud. In
provincia: dai 120 ai 1400 m.
Ambiente
Vario: querceti, faggete, pinete, preferibilmente aperti e luminosi, su terreno
calcareo o debolmente acido.
Da 15 a 50 (60) cm. Fusto foglioso,
leggermente flessuoso.
Fioritura
Da Maggio a Giugno.
Foglie
Da 4 a 12, lunghe fino a 18 cm, larghe fino 4 cm. Verde chiaro, distiche,
strettamente lanceolate, o lineari-lanceolate, con nervature evidenti, più
lunghe quelle basali, progressivamente più corte quelle superiori.
Infiorescenza
Lassa, da 5 a 20 o 30 fiori. Brattee: le inferiori fogliacee, le altre molto
piccole o squamiformi, più corte dell’ovario, ad eccezione di quella inferiore
che è più lunga dell’ovario.
Fiori
Profumati, bianchi, più o meno eretti, socchiusi, tendenti ad aprirsi nelle
ore più calde del giorno. Sepali lunghi da 13 a 18 mm, larghi da 4 a 6 mm,
lanceolato-acuti. Petali più corti ed ottusi conniventi con il sepalo mediano.
Labello lungo da 8 a 10 mm; ipochilo biancastro, concavo con lobi laterali
dritti attorno al ginostemio; epichilo più largo che lungo, cordato, concavo,
con all’interno da 4 a 7 creste longitudinali, giallo-aranciate. Sperone non
presente o appena abbozzato. Ovario glabro, resupinato. 2n=32
Note
Status
La situazione ecologica di questa pianta è simile a quella di C. damasonium.
64
Specie prevalentemente entomofila,
tuttavia in mancanza di insetti impollinatori la fecondazione avviene per
autoimpollinazione.
65
CEPHALANTHERA RUBRA (L.) L.C.M. RICHARD 1817
G F M A M G L A S O N D
Serapias rubra L.
Diffusione
Il nome specifico rubra è senz’altro appropriato per questa orchidea. In latino
rubra significa “rossa” e coglie l’aspetto
più appariscente di questa specie.
Euro-asiatica. In Italia: in tutte le regioni.
In provincia: dalla prima collina a oltre i
1000 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 20 a 60 cm. Fusto peloso, glanduloso, di colore verde-violaceo,
ondulato nella parte superiore.
Giugno
Boscaglie rade e soleggiate, querceti,
frassineti, carpineti, meno frequente nei
castagneti, su terreno preferibilmente
calcareo; è presente anche nelle faggete
aperte.
Foglie
Lunghe da 5 a 14 cm, larghe da 1 a 3.5 cm, da 3 a 8, lanceolate o linearelanceolate; quelle inferiori ridotte a guaine che abbracciano il fusto.
Infiorescenza
Lassa, composta da 3 a 15 fiori. Brattee inferiori più lunghe dei fiori, decrescenti verso l’alto.
Note
Fiori
Grandi, da rosa a rosso porpora, abbastanza aperti. Sepali lunghi da 15 a
25 mm, larghi da 6 a 8 mm, pubescenti, oblungo-lanceolati, patenti; sepalo
mediano connivente con i petali; petali più corti, ad apice ritorto. Labello
lungo da 15 a 23 mm; ipochilo concavo con i margini laterali rialzati attorno
al ginostemio, bianco; epichilo cordato, acuto, concavo, bianco con margine
rosato, ornato da 7 a 15 creste longitudinali giallastre; ovario subsessile
lineare, pubescente. Sperone non presente.
Status
Questa entità sembra risentire meno, rispetto ad altre specie, dei problemi
legati alla rarefazione.
66
Il 12 Giugno 1985 nel quadrante 11231 ho trovato un esemplare di notevoli
dimensioni: a fine fioritura raggiungeva
l’altezza di 74 cm, con infiorescenza di
32 fiori; è rifiorito anche nelle annate
successive con dimensioni più o meno
uguali.
Alcuni ricercatori sostengono che di
questa pianta non si osservano piantine
nate da seme e comunque il fenomeno
sarebbe rarissimo. Più facile sarebbe la
riproduzione vegetativa: la pianta infatti
emette gemme avventizie dalle radici. In
alcune parti della provincia si notano differenze anche notevoli sulla percentuale
di ovari fecondati: probabilmente ciò è
dovuto alla presenza o meno di insetti
pronubi.
67
LIMODORUM ABORTIVUM (L.) SWARTZ 1799
G F M A M G L A S O N D
Orchis abortiva L.
Diffusione
Abortivum da abortus, aborto, probabilmente per le foglie ridotte a scaglie
o comunque dall’impressione che dà di
pianta non completa.
Euro-mediterranea. In Italia: in tutto il
territorio. In provincia: dai 150 ai 1000
m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 20 a 60 cm. Fusto peloso, Da
20 a 80 cm. Robusta e di colore
vario: marroncino, violetto o verdeviolaceo. Allo stadio di germoglio la
pianta assomiglia ad un turione di
asparago., di colore verde-violaceo,
ondulato nella parte superiore.
Maggio, Giugno
Su suolo calcareo, quasi sempre nelle
boscaglie asciutte e soleggiate, spesso
assieme a Epipactis helleborine e a Cephalanthera rubra.
Foglie
Membranacee, avvolgenti il fusto e dello stesso colore.
Infiorescenza
Lassa, composta generalmente da 4 a 20 fiori. Brattee ovale-lanceolate,
più lunghe dell’ovario.
Fiori
Piuttosto grandi (circa 4 cm), viola porpora, con sfumature giallastre internamente. Sepali lanceolati, patenti, lunghi da 16 a 25 mm, larghi da 6 a 12
mm, il sepalo mediano forma una sorta di nicchia sopra il ginostemio; petali
più sottili e più piccoli. Labello biarticolato, lungo da 15 a 22 mm; ipochilo
leggermente concavo lungo e largo da 5 a 7 mm, di colore rosa-violaceo;
epichilo ovale o cordato, lungo da 11 a 15 mm, largo da 8 a 12 mm, con
bordo revoluto e crenulato, di colore bianco con nervature e bordo violaceo. Sperone filiforme, discendente e lungo quasi quanto l’ovario. Ovario
non ritorto, ma attaccato al fusto per mezzo di un lungo peduncolo, alla cui
torsione è legata la resupinazione del fiore. 2n=56,64
Note
Status
Questa specie sembra non risentire di particolari
problemi.
68
Pur essendo una pianta solitamente rara,
in alcune occasioni mi è capitato di osservare stazioni con oltre 100 esemplari
in pochi metri quadrati.
69
NEOTTIA NIDUS-AVIS (L.) L.C.M. RICHARD 1817
G F M A M G L A S O N D
Ophrys nidus-avis L.
Diffusione
Euro-asiatica. In Italia: in tutto il territorio. In provincia: dai 300 a 1500
m s.l.m.
La denominazione specifica nidus-avis
che significa “nido d’uccello” conferma il
significato del nome generico Neottia.
Ambiente
Pianta
Da 15 a 40 cm. Fusto robusto, eretto, di colore bruno-giallastro.
Fioritura
Boschi di latifoglie e impianti di conifere; luoghi ombrosi e freschi su terreno
calcareo.
Fine Aprile inizio Luglio.
Foglie
Assenti, sostituite da guaine che abbracciano il fusto. Brattee membranacee
lesiformi, 2 o 3 cm le inferiori, molto più brevi le superiori.
Infiorescenza
Ha spiga densa, ad eccezione dei fiori (2 o 3) più in basso a volte distanziati.
Fiori
Color miele, del quale emanano anche il profumo. Sepali e petali lunghi
da 4 a 6 mm, ovali-ellittici, ottusi, riuniti a cappuccio sopra il ginostemio.
Labello lungo da 9 a 12 mm, bilobato, lobi talvolta con margine finemente
denticolato. Alla base del labello è presente una piccola cavità dove si trova
il nettare. Ovario peduncolato. Sperone assente. 2n=36
Status
L’unico grave problema per
questa pianta è rappresentato dal rapido diffondersi
dell’edera (Edera elix) la quale
tappezza completamente il
terreno, rendendo impossibile la sopravvivenza di tutte
le piante erbacee.
70
Note
L’impollinazione entomofila avviene in
modo abbastanza complicato. Appena
i fiori sono dischiusi, il rostello emette
al minimo contatto una piccola quantità
di sostanza vischiosa, che si attacca ai
pollini e al capo dell’insetto vettore. Nel
giro di pochi giorni il rostello perde la
capacità di emettere tale sostanza. Se
nel frattempo il fiore non è ancora stato
impollinato, il polline pulverulento cade
sullo stimma e si avrà così l’autoimpollinazione. In certi casi il ciclo vitale completo
di questa pianta può avvenire completamente sotto terra.
71
EPIPOGIUM APHYLLUM SWARTZ 1814
G F M A M G L A S O N D
Satyrium epipogium L.
Diffusione
L’aggettivo aphyllum significa “senza foglie”.
Euro-siberiana. In Italia: in poche località
delle Alpi e degli Appennini; ovunque
molto rara. In provincia: in tre sole località da 1300 a 1400 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 10 a 25 cm. Fusto rigonfio alla
base, cavo, glabro, giallastro in basso, rosso violetto verso l’alto.
Fine Luglio, Agosto.
Faggete ombrose, molto umide o anche
asciutte.
Foglie
Ridotte a piccole scaglie membranacee inguainanti il fusto e dello stesso
colore di quest’ultimo.
Infiorescenza
Povera, da 1 a 4 fiori. Brattee ridotte a piccole membrane.
Fiori
Piuttosto grandi, lunghi da 10 a 15 mm, odoranti delicatamente di banana.
Sepali e petali più o meno uguali, lineari e lanceolati, di colore giallastro.
Labello lungo da 6 a 14 mm, rivolto verso l’alto trilobato, di colore biancorosato; lobo mediano di forma navicolare e provvisto internamente di alcune
creste (4-6) papillose per lo più di colore rosso. Ginostemio lungo da 4 a
7 mm. Sperone largo, sacciforme, di colore uguale al labello. Ovario ovale,
peduncolato. 2n=68
Status
In altre parti d’Italia mi è capitato di vedere fioriture abbondantissime, con cespi formati da decine di esemplari. Da noi, non si riesce a
trovarne mai più di qualche esemplare singolo. Nell’annata 2000 ho
trovato una nuova stazione sul versante nord del monte Carevolo:
sempre pochissimi esemplari, sempre in faggeta, ma in questo caso il
bosco è piuttosto asciutto. Dato l’ambiente in cui vive, questa pianta
non sembra avere particolari problemi.
72
Note
La specie è stata trovata per la prima
volta in provincia il 3-8-1986. Nello
stesso luogo non era più presente nel
1987, ma comunque nello stesso anno è
stata trovata a qualche Km di distanza,
sempre nello stesso ambiente e sempre in
pochi esemplari. Un paio di questi erano
bianco-latte: sicuramente si tratta della
varietà lacteum Keller.
73
CORALLORHIZA TRIFIDA CHATELAIN 1760
G F M A M G L A S O N D
Corallorhiza innata R.BR.
L’aggettivo trifida significa “diviso in tre”.
Si riferisce forse alla posizione assunta dalle
parti fiorali durante la fioritura: il sepalo
mediano e i petali formano un gruppo di 3,
rivolti più o meno verso l’alto, i sepali laterali e il petalo mediano (labello) formano un
altro gruppo di 3 rivolto verso il basso.
Pianta
Fioritura
Da 8 a 25 (30) cm. Fusto eretto,
glabro, di colore verde chiaro o
giallastro.
Giugno, inizio Luglio.
Diffusione
Circumboreale. In Italia: sulle Alpi e sugli
Appennini fino in Campania. In provincia:
al di sopra dei 1200 m s.l.m.
Ambiente
Faggete ombrose, su suolo neutro o
debolmente acido.
Foglie
Da 2 a 4, ridotte a scaglie membranacee, abbraccianti il fusto.
Infiorescenza
Lassa e povera (da 2 a 10-15 fiori). Brattee minuscole, più corte del peduncolo dell’ovario.
Fiori
Poco appariscenti, odoranti leggermente di muschio. Sepali lunghi circa
4-6 mm; petali più stretti, verde-giallicci, spesso con apici leggermente
arrossati. Labello bianco, appena trilobato, solcato da due callosità centrali con alcune macchie rosse alla base. Ovario peduncolato. Sperone non
presente. 2n=42
Status
Note
Si tratta di solito di una pianta piuttosto rara, si trovano quasi sempre pochi
e isolati esemplari. In certe annate e in condizioni particolarmente favorevoli non è raro trovare decine e decine di esemplari in pochi metri quadrati
e sovente riuniti in cespi. Date le sue esigenze ecologiche, questa pianta
sembra non correre particolari pericoli.
La specie pratica esclusivamente l’autoimpollinazione: infatti all’osservazione
si nota che il dispositivo che consente
l’adesione delle masse polliniche al capo
degli insetti è atrofico.
74
75
LISTERA CORDATA (L.) R. BROWN 1813
G F M A M G L A S O N D
Ophrys cordata L.
Diffusione
Il nome cordata, a forma di cuore, in relazione
alla forma delle foglie.
Circumboreale. In Italia è presente al
nord fino alla Toscana, esclusa la Valle
d’Aosta. In provincia una sola stazione
in Val Nure.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Esile, alta da 5 a 20 cm, fusto fine,
bruno-rossastro al di sopra dell’inserzione delle foglie, verde chiaro
e glabro al di sotto, pubescente
verso l’alto.
Giugno
Nel sottobosco di un’abetaia artificiale
(Abies alba) frammista ad arbusti di
mirtillo, su cuscini di muschio.
Foglie
2 opposte, cordiformi o romboidali, con bordo ondulato, lunghe da 1 a 3 cm,
inserite un po’ sotto la metà del fusto, verde lucente nella pagina superiore,
verde grigiastro su quella inferiore. A volte è presente una terza fogliolina
al di sopra delle 2 più grandi.
Infiorescenza
Lassa, generalmente composta da 5-6 a 15 piccoli fiori. Brattee di forma
triangolare lunghe circa 1 mm.
Fiori
Minuscoli, da verde chiaro a rosso-brunastro; sepali lunghi da 2 a 3 mm,
larghi 1 mm, ovati, patenti; petali ellittici, lunghi circa quanto i sepali; labello
senza sperone, nettarifero alla base, pendente, lungo circa il doppio dei
sepali, trilobo, con lobi laterali piccoli e posti alla base, lobo centrale a sua
volta diviso in 2 lobuli stretti, acuti, divergenti. 2n=36,38,40,42
Status
In conseguenza dell’esiguità del popolamento e del periodo troppo breve
di osservazione, risulta difficile trarre conclusioni o fare previsioni sulle condizioni di questa entità. Tuttavia credo che l’enorme quantità di piantine di
abete presenti alla lunga finiranno per alterare in modo negativo l’equilibrio
di questa piccola zona.
76
Note
Ho trovato questa pianta verso la metà
di giugno del 1999 sul versante nordest del monte Carevolo nel quadrante
1322-4 (comune di Ferriere). La piccola
stazione si trova al margine di un’abetaia
artificiale piuttosto matura: il terreno
umido risultava ricoperto di muschio,
con presenza di cespugli di mirtillo e
numerosissime plantule di abete bianco.
Il popolamento contava al momento del
ritrovamento una decina di esemplari a
fiore e innumerevoli plantule che spuntavano qua e là dal muschio.
77
LISTERA OVATA (L.) R. BROWN 1813
G F M A M G L A S O N D
Ophrys ovata L.
Diffusione
La denominazione ovata fa riferimento alla
forma ovale-rotondeggiante delle foglie.
Euro-asiatica. In Italia: in tutto il territorio. In provincia: dai greti stabilizzati
dei fiumi fino al limite delle praterie. Più
frequente nelle zone intermedie.
Ambiente
Pianta
Preferibilmente luoghi freschi e umidi,
oppure, raramente, aridi. Terreno vario:
da calcareo a debolmente acido.
Da 20 a 50(70) cm. Fusto flessuoso, pubescente, verde-giallastro.
Fioritura
Da Maggio a Luglio.
Foglie
Due, lunghe da 5 a 15 cm, larghe da 0.3 a 8 cm, opposte, inserite a circa
un terzo del fusto, lucide nella pagina superiore, con evidenti nervature.
Raramente presenti anche altre foglie notevolmente più piccole, inserite
sempre al di sopra delle due principali.
Infiorescenza
Cilindrica, allungata, stretta, lunga da 6 a 36 cm, con numerosi piccoli fiori.
Brattee ridotte a scaglie lunghe da 3 a 5 mm.
Fiori
Verdognoli, piccoli. Sepali ovali, smussati, formanti insieme ai petali (più
piccoli) una specie di cappuccio sopra al ginostemio giallo-verde. Labello
profondamente bilobato, percorso longitudinalmente da una callosità più
verde e lucida per la presenza di una sostanza vischiosa (nettare). Sperone
mancante. Ovario globoso sorretto da un pedicello. Per mezzo della torsione
di questo organo si ha la resupinazione del fiore. 2n=32,34,38,42
Status
Questa specie sembra, al momento, non avere grandi problemi: è presente
in tutto il territorio con un discreto numero di esemplari. Il motivo di questa
favorevole situazione risiede probabilmente nella varietà di ambienti in cui
questa pianta si è adattata a vivere.
78
Note
Non è raro vedere ovari che già disperdono semi maturi e notare che, attaccati ad
essi, il labello e le altre parti fiorali sono
ancora ben distinguibili, pur essendo
diventati un po’ marroncini.
79
SPIRANTHES SPIRALIS (L.) CHEVALLIER 1827
G F M A M G L A S O N D
Spiranthes autunnalis Rich.
Spiralis rafforza il significato della denominazione Spiranthes. Spesso viene usato il
sinonimo S. autumnalis L.C.M. Richard che si
riferisce al periodo di fioritura che avviene a
fine Estate inizio Autunno. La parte radicale
è costituita da due tuberi affusolati; il più
vecchio, che ha dato origine allo stelo fiorifero dell’annata, è più grinzoso.
Pianta
Da 8 a 30 cm. Fusto afillo, coperto
verso l’alto da peli glandulosi.
Diffusione
Europeo-caucasica. In Italia: in tutte le
regioni. In provincia: rara nella fascia
collinare dai 300 ai 450 m s.l.m.
Ambiente
Su terreno calcareo. Tende a situarsi
in piccoli avvallamenti, dove, per un
periodo più lungo dell’anno, il terreno
rimane intriso di acqua.
Fioritura
Da metà Settembre ai primi di
Novembre.
Foglie
Da 4 a 6, ovato-ellittiche, acute, glaucescenti, riunite in rosetta, appressate
al terreno. Le foglie che si trovano vicino allo stelo fiorifero non appartengono a quest’ultimo, produrranno lo stelo fiorifero dell’anno successivo e
seccheranno prima che si sia sviluppato un nuovo stelo fiorifero.
Infiorescenza
Lunga, sottile, ricca di piccoli fiori disposti a spirale. Brattee più lunghe
dell’ovario, lanceolate, coperte di numerosi peli glandolosi.
Fiori
Con parti fiorali riunite a formare una specie di campanula, lunga da 0.5 a
8 mm; bianchi o bianco-verdastri lievemente profumati di vaniglia. Sepali
protesi in avanti, discosti all’apice. Petali lanceolato-ottusi. Labello scanalato,
curvato verso il basso all’apice, con margine dentellato, sperone assente.
Ovario pubescente. 2n=30
Status
S. spiralis è una specie molto rara soprattutto nei popolamenti della Val
Trebbia ridotti a pochissimi esemplari. Soffre notevolmente l’aumento di
erbe infestanti.
Il periodo di fioritura può variare di molto a seconda che l’annata sia stata
± piovosa.
80
Note
S. aestivalis, era presente sicuramente
in provincia nel passato. Attualmente la
sua presenza non è più stata accertata.
Questa sparizione va messa in relazione
alla totale distruzione del suo ambiente
(i prati umidi di pianura).
81
GOODYERA REPENS (L.) R. BROWN 1813
G F M A M G L A S O N D
Satyrium repens L.
Diffusione
Repens dal latino repere, significa “strisciare”
proprio per la capacità del rizoma di emettere stoloni radicanti.
Circumboreale. In Italia: Alpi e Appennino settentrionale e centrale. In provincia:
attualmente in diverse stazioni tra i 1000
e i1250 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Boschi di conifere (Pino nero, Pino
silvestre).
Da l0 a 30 cm. Fusto ascendente,
peloso specialmente nella parte
alta.
Fioritura
Luglio.
Foglie
Lunghe da 1 a 3.5 cm, larghe da 0.5 a 2 cm, a nervatura reticolata (unica fra
tutte le orchidee europee), da 3 a 6 riunite in rosetta basale, ovate, acute, di
colore verde scuro, con nervature più chiare; 2 o 3 piccole foglie caulinari,
lineari-lanceolate, bratteiformi, avvolgenti il fusto.
Infiorescenza
Da 5 a l0 cm, composta da una ventina di fiori orientati unilateralmente o
a spirale. Brattee uguali o più lunghe dell’ovario.
Fiori
Profumati, bianchi, piccoli, ricoperti esternamente di peli glandulosi. Sepali
lunghi da 3 a 5 mm, concavi, conniventi, ovati, ottusi; petali oblunghi; sepalo
mediano e petali conniventi a casco. Labello con la parte basale concava,
contenente nettare e la parte anteriore ovato-triangolare, rivolto all’ingiù.
Sperone mancante: ovario peloso. 2n=30(28-32)
Note
Status
La specie è legata indissolubilmente allo strato marcescente di aghi di
pino.
82
La specie è stata segnalata per la prima volta nell’Appennino piacentino
da A. Alessandrini nel 1984.
83
PLATANTHERA BIFOLIA (L.) L.C.M. RICHARD
Orchis bifolia L.
1817
G F M A M G L A S O N D
Diffusione
Paleotemperata. In Italia: in tutte le
regioni, più raramente nelle isole. In
provincia: dai primi boschi pedecollinari
alle massime altitudini.
Bifolia proviene dal latino e significa
“a due foglie” e si riferisce al fatto
che nella maggioranza dei casi questa
orchidea si presenta con due grandi
foglie basali.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 20 a 60 cm. Fusto angoloso
nella parte alta.
Da Maggio a Luglio.
Vario, da boschi di aghifoglie e di latifoglie a praterie montane su suoli calcarei,
o debolmente acidi, da poveri a ricchi di
sostanze nutritizie.
Foglie
Lunghe da 5-6 a 20 cm, larghe da 2 a 6 cm; generalmente due (raramente
tre o quattro), opposte, ovali, allungate, più strette verso la base, con margine
ondulato; sul fusto alcune foglie bratteiformi, lanceolato-acute.
Infiorescenza
Spiga allungata, cilindrica, lassa, a volte densa. Brattee: le inferiori più lunghe
dell’ovario, le superiori più corte.
Fiori
Profumati. Sepali laterali lunghi da 8 a 12 mm, larghi da 5 a 6 mm, biancastri;
divergenti, lanceolati, con apice ottuso; il mediano più largo e un po’ più
corto, piegato in avanti; petali bianco-verdastri o giallo-verdastri, stretti,
lanceolati, conniventi. Labello lungo da 9 a 15 mm, largo da 2.4 a 4.2 mm,
lineare, linguiforme, giallo-verdastro. Sperone claviforme, lungo da 20 a 30
mm. Ovario contorto. 2n=42
Note
Status
La specie mantiene ancora un discreto numero di esemplari, distribuita su
una notevole varietà di ambienti, dai castagneti alle faggete, ai boschi misti,
alle praterie più o meno umide, ma i luoghi che maggiormente predilige sono
le frane ad argilla scagliosa, semi assestate o in movimento.
84
Da taluni autori sono indicate alcune varietà di scarso valore sistematico. Comunque esemplari corrispondenti a queste
varietà si trovano anche in provincia: var.
carducciana Goiran, con foglie basali
molto ampie e brattee fino al doppio
dell’ovario e var. trifoliata Thielens con
tre foglie basali.
85
PLATANTHERA CHLORANTHA (CUSTER)
G F M A M G L A S O N D
REICHENBACH 1828
Orchis chlorantha Custer
L’aggettivo chlorantha trae origine dalle parole
greche Khloros, verde e anthos, fiore. Infatti i fiori
di questa orchidea sono piuttosto verdi. Specie
molto simile a P. bifolia: da questa si differenzia
principalmente per alcune caratteristiche del
fiore e per la struttura generale della pianta, più
robusta.
Pianta
Fioritura
Da 20 a 60 cm. Fusto robusto
e con angolature molto evidenti
verso l’alto.
Giugno, Luglio.
Diffusione
Euro-siberiana. In Italia: in tutto il territorio. In provincia: dai 600 ai 1500
m s.l.m.
Ambiente
Boschi misti, pascoli, radure, su terreni
calcarei, basici o acidi.
Foglie
Due (raramente 3 o 4), lunghe da 6 a 21 cm, larghe da 1.5 a 8 cm, opposte
alla base, grandi, ovali, ed allungate; lungo il fusto, alcune piccole foglie
sessili, bratteiformi.
Infiorescenza
Lassa; spiga cilindrica lunga fino a 25 cm. Brattee con numerose nervature
lunghe quanto l’ovario.
Fiori
Biancastri o verdastri, più grandi che in P. bifolia e, a differenza di questa,
inodori, con le logge dell’antera divergenti e lo sperone, lungo da 2 a 42
mm, rivolto in alto e rigonfio all’apice. 2n=42
Status
Specie meno abbondante di P. bifolia, tuttavia con quest’ultima condivide ±
gli stessi ambienti; tende a sparire nei prati dove il manto erboso è troppo
invadente.
86
Note
Si segnalano alcune varietà che sicuramente fanno parte anche della nostra
flora: P. chlorantha var. lancifolia Reichenb.
con foglie molto strette e lanceolate. P.
chlorantha var. media Peitz. con fiori bianchi tranne il labello che è verde.
P. bifolia e P. chlorantha si ibridano facilmente, essendo molto vicine morfologicamente; tali ibridi sono quanto mai
difficili da riconoscersi.
87
GYMNADENIA CONOPSEA (L.) R. BROWN 1813
G F M A M G L A S O N D
Orchis conopsea L.
Diffusione
Euro-asiatica. In Italia: Alpi, Prealpi,
Appennino fino in Campania e Basilicata. In provincia: dai 250 m fino al
limite delle praterie.
Conopsea deriva dal greco konops =
“zanzara”, forse per la rassomiglianza del
fiore all’insetto.
Ambiente
Praterie, radure, scarpate, su terreno
piuttosto fresco.
Pianta
Da 10 a 50 (100) cm. Fusto slanciato, sottile, sovente bruno-rossastro
verso l’alto.
Fioritura
Da fine Maggio a Luglio.
Foglie
Le inferiori (da 3 a 13), lunghe da 6 a 25 cm, larghe da 0.6 a 4 cm, lineari,
lanceolate, carenate nella pagina inferiore; le superiori (da 2 a 5) bratteiformi.
Infiorescenza
Stretta, cilindrica, allungata, con numerosi fiori. Brattee lanceolate, acute,
subeguali all’ovario.
Fiori
Da rosa a rosa chiaro (raramente bianchi), odoranti intensamente. Sepali
laterali, lunghi da 4 a 7 mm, orizzontali; il mediano riunito a casco insieme
ai petali. Labello profondamente trilobo, più largo che lungo, lungo da 4 a
6 mm; lobi generalmente uguali, con margini interi. Ginostemio corto; antera
dritta a logge parallele, munite lateralmente da due piccole orecchiette; il
rostello forma una piega dentro la loggia dell’antera; stimma con lobi laterali
assai divaricati. Sperone filiforme, riempito fino a metà di nettare, arcuato
verso il basso, lungo da una volta e mezza a due volte l’ovario. 2n=40
Status
E’ ancora una delle orchidee
maggiormente presenti in
provincia, grazie alla sua
statura piuttosto alta che
le permette di sopportare
meglio la competizione con
altre erbe. Nel corso dell’ultimo decennio ha risentito
pesantemente della presenza
del cinghiale.
88
Note
Saltuariamente si trovano individui a fiori
bianchi, ascrivibili alla var. albiflora Zapal.
Di particolare interesse è la varietà densi
flora (Wahlenb.) Lindleyo secondo alcuni
autori subsp. densi flora (Wahlenb.) R.
Richter. Questa varietà ha una fioritura
un po’ più tardiva rispetto a G. conopsea.
Può raggiungere una statura notevole, ha
un’infiorescenza molto lunga e appressata e vive in ambienti ricchi di acqua, su
terreni calcarei.
Il giorno 10-6-1985 nel quadrante 11222 in una zona franosa è stata trovata una
stazione di G. conopsea var. densiflora
con circa un migliaio di individui molto
robusti, alcuni dei quali superavano a fine
fioritura i 110 cm con una infiorescenza di
40 cm circa. Anche nelle annate successive la fioritura si è ripetuta con dimensioni
pressappoco uguali.
89
GYMNADENIA ODORATISSIMA (L.) L.C.M.
G F M A M G L A S O N D
RICHARD 1817
Orchis odoratissima L.
Diffusione
L’areale di questa specie è costituito da
un’ampia superficie dell’Europa centrale;
tuttavia esistono diverse stazioni localizzate
al di fuori di questa area. In Italia è concentrata per lo più sulle Alpi, è inoltre presente
sulle Apuane. In provincia è localizzata in
due sole stazioni.
L’aggettivo specifico odoratissima si
addice certamente a questa orchidea,
in quanto i suoi fiori emanano un forte
profumo di vaniglia.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 15 a 40 (50) cm. Il fusto in genere è più esile che in G. conopsea:
cilindrico inferiormente, angoloso
nella parte superiore. L’apparato radicale è pressoché uguale a quello
della specie affine.
Giugno, Luglio
Lungo i margini dei torrenti, pascoli montani, radure dei boschi.
Foglie
Le caulinari sono lineari o lineari-lanceolate, ripiegate a doccia, patenti
o più larghe nella metà inferiore, larghe da 4 a 10 mm; le superiori sono
bratteiformi, inguainanti il fusto.
Infiorescenza
Cilindrica, alta da 2-3 a 10 cm, densa o pauciflora. Brattee lanceolate, lunghe
circa quanto l’ovario.
Note
Fiori
Piccoli, da rosa ± carico a porpora, non sono rari gli esemplari albini; sepali
laterali lunghi da 4 a 5 mm, oblunghi, arrotondati in punta, orizzontali o
leggermente patenti. Il mediano forma un cappuccio insieme ai petali; labello
leggermente trilobo (raramente intero), più largo che lungo, lobi laterali
arrotondati, lobo centrale più largo, ottuso, più lungo dei laterali; sperone
lungo da 5 a 7 mm, ovario ritorto. 2n=40
Status
Attualmente la specie sembra non correre grossi pericoli.
90
Specie già segnalata per la vetta del
Monte Lesima (Pirola 1967), ma non
più osservata. Nel 1989 ne ho trovato
un’abbondante stazione situata in una
zona franosa, ± assestata, nei pressi di un
torrentello, affluente di sinistra del Torrente Lardana (Val Nure), nel quadrante
1323-2-4, vicino al paese di Fornelli (Pianazze), nel comune di Farini. Nel 1992
Enrico Romani ne segnala una nuova
stazione, situata sul crinale a Nord-Ovest
di Mont’Osero, nel quadrante 1223-1, in
comune di Bettola. Queste due stazioni
a tutt’oggi devono essere considerate le
uniche per la regione.
91
PSEUDORCHIS ALBIDA (L.) A. &. D. LÖVE
Leucorchis albida (L.) E. Meyer
1969
G F M A M G L A S O N D
Diffusione
Artico-alpina. In Italia: Alpi, Appennino
settentrionale, centrale e campano. In
provincia: estremamente rara, al di sopra
dei 1400 m.
L’aggettivo albida proviene dal latino
e significa “biancastra”.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 15 a 20 cm. Fusto striato, flessuoso, con alla base alcune guaine
appuntite.
Giugno, Luglio.
Praterie di vetta su terreni debolmente
acidi o decalcificati. La si trova spesso
assieme a Nigritella nigra, Traunsteinera
globosa e Gymnadenia conopsea.
Foglie
4 o 5, da oblungo a oblungo-lanceolate, lunghe da 3 a 8 cm, larghe da 1 a
2.5 cm, decrescenti verso l’alto fino a diventare bratteiformi.
Infiorescenza
Densa, cilindrica, formata da numerosi piccoli fiori. Brattee lanceolato-acuminate, lunghe uguali o un po’ più dell’ovario.
Fiori
Facoltativamente autogami o cleistogami, bianchi o bianco-giallicci, rivolti
all’ingiù, leggermente profumati. Sepali e petali lunghi da 2 a 3 mm, ovatooblunghi, riuniti a cappuccio. Labello lungo da 2.5 a 4 mm, largo da 2 a 3
mm, trilobo; lobo mediano più lungo e più largo dei laterali. Sperone a sacco
leggermente ricurvo, lungo circa la metà dell’ovario. 2n=40 (42)
Note
Status
Da alcuni anni, questa pianta non viene più ritrovata nelle stazioni in cui
precedentemente veniva segnalata. Affermare che sia ormai estinta è probabilmente azzardato; tuttavia un dato certo è che i suoi ambienti vitali si
stanno alterando in modo preoccupante.
92
A causa della difficile individuazione dei
suoi caratteri morfologici, storicamente
le sono stati attribuiti diversi sinonimi ed
una diversa collocazione nell’ambito della
famiglia: Gymnadenia albida (L.) Rich.,
Orchis albida (L.) Scop., Bicchia albida
Parl., Satyrium albidum L. e come si è già
accennato Leucorchis albida.
93
NIGRITELLA RHELLICANI TEPPNER & KLEIN
Nigritella nigra (L.) Rchb. F. P.P.
1990
G F M A M G L A S O N D
Diffusione
Artico-alpina. In Italia: Alpi e Appennino genovese, pavese, alessandrino,
piacentino.
Dedicato a Johannes Müller, detto
Rhellicanus, naturalista svizzero
Ambiente
Praterie di vetta dai 1400 m in su;
terreni calcarei, ma anche in altri tipi
di substrato.
Pianta
Da 8 a 25 cm. Fusto rigoglioso e angoloso verso l’alto, con angolature
a volte spruzzate di rosso.
Fioritura
Fine Giugno, Luglio.
Foglie
Da 7 a 11, per lo più raggruppate
alla base, molto strette, graminiformi; foglie caulinari sessili, bratteiformi, con bordi spesso arrossati.
Infiorescenza
Compatta, conica, allungata. Brattee lesiniformi, verdi, lavate di porpora sul
bordo.
Fiori
Allogami, bruno-scuri, con gli apici delle divisioni fiorali quasi neri e odoranti
di vaniglia. Sepali lunghi da 5 a 7.5 mm, lanceolati, acuti, della stessa lunghezza dei petali; petali larghi circa la metà degli esterni. Labello cuoriforme.
Sperone corto, sacciforme. Ovario non ritorto. 2n=40
Bordo della brattea
visto al microscopio ottico
94
Status
A causa dell’abbandono dei pascoli
questa specie, di piccole dimensioni,
risente negativamente della competizione con le erbe di maggiore statura;
pertanto è in via di progressiva rarefazione. Questa situazione si è pericolosamente aggravata negli ultimi anni,
tanto da ridurre la presenza di questa
specie sul territorio piacentino a
poche decine di esemplari. Migliore,
anche se di poco, è la situazione nel
confinante territorio pavese, dove,
vicino a Cima Colletta, vengono effettuati degli sfalci periodici.
Note
Non essendo i fiori resupinati, questi si
presentano capovolti; trovandosi le masse polliniche nella parte bassa rispetto
allo stimma, l’autoimpollinazione sembra
non possa aver luogo. Le prime brattee
osservate al microscopio, forniscono
attraverso la denticolatura del bordo
importanti elementi diagnostici. Riguardo
all’eventuale presenza di N. corneliana
(Beauverd) Gölz & Reinhard, di cui avevo
menzionato il ritrovamento (1989) di
alcuni esemplari nel quadrante 1322-2,
nonostante accurate osservazioni negli
anni successivi, tali esemplari non sono
più stati trovati. La presenza di questa
specie sul nostro Appennino rappresenta
un fatto importante in quanto segna il suo
limite meridionale.
95
COELOGLOSSUM VIRIDE (L.) HARTMAN 1820
G F M A M G L A S O N D
Orchis viridis Crantz
Diffusione
Viride proviene dal latino viridis, verde e
si riferisce al colore dei fiori; questi infatti
dopo l’impollinazione inverdiscono e
rimangono attaccati all’ovario per molto
tempo.
Pianta
Circumboreale, Alpi e Prealpi, Appennini,
fino in Calabria; in provincia: al di sopra
dei 1000 m.
Ambiente
Radure, praterie, su suoli sia acidi che
basici, terreni freschi, umidi o asciutti.
Da 5 a 25 cm. Fusto striato, foglioso fino a 3/4.
Fioritura
Da fine Maggio a Luglio.
Foglie
Da 3 a 6, lunghe da 2 a 10 cm, larghe da 1 a 5 cm, disposte lungo il fusto,
quelle basali ovali; lungo il fusto lanceolato-acute.
Infiorescenza
Piuttosto densa; con 5-20 fiori. Brattee lineare-Ianceolate, decrescenti
verso l’alto.
Fiori
Non profumati. Sepali, lunghi da 3.5 a 6.5 mm, larghi da 2 a 3 mm e petali,
lunghi da 4 a 6.5 mm, verdi o verde-giallastri, conniventi a formare un cappuccio sopra il ginostemio. Labello rossastro, poi verde-giallastro, lungo da
6 a 10 mm, largo da 4 a 5 mm, pendulo e retroflesso fino a toccare l’ovario,
trilobato all’apice, con i lobi laterali più lunghi del mediano, munito alla base
di una depressione con due fossette nettarifere. Sperone nettarifero breve e
sacciforme, lungo da 2 a 3 mm. Ovario verde-giallastro. 2n=40
Status
Si tratta di una pianta prevalentemente esile, pertanto passa sovente inosservata. Tuttavia l’eccessivo accumulo di erba in decomposizione, ne sta
provocando la sparizione.
96
97
DACTYLORHIZA INCARNATA (L.) SOO’ 1962
G F M A M G L A S O N D
Orchis incarnata L.
Diffusione
Incarnata è un nome certamente indovinato:
i suoi fiori infatti hanno una colorazione
carnicina.
Euro-siberiana. In Italia: regioni del
nord e del centro. In provincia: dai 900
ai 1500 m.
Ambiente
Limitato a luoghi paludosi o torbiere.
In questi ambienti è presente in buon
numero.
Pianta
Da 20 a 80 cm. Fusto molto robusto, cavo internamente, angoloso
verso l’alto.
Fioritura
Fine Maggio, inizio Luglio.
Foglie
Da 4 a 7, lineare-Ianceolate, con apice a cappuccio, lunghe da 8 a 15 cm.
L’ultima foglia raggiunge o supera l’infiorescenza.
Infiorescenza
Ovoide, poi cilindrica, densa, lunga da 5 a 20 cm. Brattee lanceolate-acute, spesso sfumate di bruno-rossastro, molto più lunghe dei fiori.
Fiori
Rosei, a volte anche piuttosto rossi. Sepali laterali divergenti, obliqui, concavi,
lunghi da 6 a 9 mm, larghi da 2.5 a 4 mm; il mediano, insieme ai petali, è
piegato in avanti a formare un cappuccio sopra al ginostemio. Labello piccolo,
di forma romboidale lungo da 5 a 9 mm, lievemente trilobato o terminante
con una punta centrale pronunciata. Il disegno posto nella pagina superiore
è formato da piccole linee più scure. Sperone robusto, generalmente rivolto
all’ingiù lungo da 5 a 9 mm, leggermente più corto dell’ovario. 2n=40
D. incarnata f. ochrantha
Status
Questa specie è una delle
orchidee più tipiche delle
torbiere. Attualmente è in
forte arretramento, per l’eccessivo infoltimento di questi
luoghi.
98
Note
Gli esemplari bianco-giallastri che si trovano nell’ambito di questa specie e che
sono stati attribuiti in un primo tempo a
D. incarnata subsp ochroleuca (Boll.) P.F.
Hunt & Summerhayes, sono sicuramente
da assegnare a D. incarnata f. ochrantha
Landwehr. Gli esemplari attribuiti a D. incarnata subsp hyphaematodes (Reichemb.
Fil.) Soò da alcuni anni non sono più
reperibili. Questo è un dato che si è già
riscontrato in altri generi: quando una
specie è in difficoltà per motivi dovuti
alla forte competizione con altre erbe,
gli esemplari variabili o atipici tendono a
sparire per primi.
99
DACTYLORHIZA LAPPONICA (LAESTAD
G F M A M G L A S O N D
ex REICHENBACH FIL.) SOO’ 1962
Orchis lapponica Laest. ex Rchb. F.
Diffusione
Questa specie trae il nome dalla Lapponia,
dove è stata descritta per la prima volta.
Artico-alpina. In Italia: in poche stazioni
della cerchia alpina. In provincia: le
sette stazioni trovate fino ad ora sono
da ritenersi le uniche per la catena
appenninica.
Ambiente
Torbiere.
Pianta
Fioritura
Robusta, altezza media di circa
15-25 cm (esemplari molto più alti
presenti nelle stazioni sono sicuramente ibridi naturali). Fusto cavo
internamente nella parte bassa,
rossastro in alto.
Giugno, Luglio.
Foglie
Da 2 a 5, lunghe da 4 a 10 cm, larghe da 0.5 a 2.5 cm, verde nella parte
superiore, con macule nerastre presenti solo nella metà apicale, verdebiancastro nella parte inferiore, con le nervature più evidentemente scure,
ovali, leggermente lanceolate, eretto-arcuate . Le macchie tendono a sparire
quando la pianta invecchia.
Infiorescenza
Pauciflora. Brattee rossastre; le inferiori più lunghe dei fiori.
Fiori
Rosso-porporino, non molto grandi. Sepali laterali lunghi da 7 a 10 mm,
larghi da 3 a 4 mm, eretti o patenti; il sepalo mediano e i petali, lunghi da
5 a 8 mm, sono conniventi a formare un cappuccio sopra il ginostemio.
Labello lungo da 5 a 9 mm, largo da 7 a 11 mm, obovale, deflesso, intero o
appena dentellato nella parte apicale, chiaro alla base con disegno formato
da alcune venature più vivacemente porporine. Sperone conico, parallelo o
appena piegato verso il basso, lungo circa la metà dell’ovario. 2n=80
Note
Status
La specie, presente fino a qualche anno fa con un numero notevole di
esemplari, sembra ora risentire pesantemente della competizione con altre
e più vigorose specie erbacee. Per salvaguardare questa ed altre specie che
vivono in ambiente umido è assolutamente necessario effettuare sfalci nel
periodo di riposo di queste piante (settembre-ottobre).
100
La scelta di cambiare nome a questa
specie è dovuta al fatto che nel corso
di questi anni si è scoperto che, tra gli
esemplari piacentini in precedenza attribuiti a D. traunsteineri , vi è una maggiore
vicinanza dal punto di vista morfologico
con D. lapponica, piuttosto che con D.
traunsteineri.
101
DACTYLORHIZA MACULATA subsp. FUCHSII
G F M A M G L A S O N D
(DRUCE) HYLANDER 1966
Orchis maculata L.
Diffusione
Maculata deriva dal latino macula e
trae significato dalla macchiettatura
nerastra che di solito (salvo rare
eccezioni) si trova sulle foglie.
Fuchsii in onore del botanico
Leonhart Fuchs (1501-1566).
Euro-siberiana. L’areale italiano non è
ancora ben definito, tuttavia sembrerebbe limitato alle regioni del nord e del
centro. In provincia è presente, dai 350
m fino alle più alte cime.
Ambiente
È possibile trovarla in diversi ambienti,
con terreno prevalentemente calcareo o
debolmente acido.
Pianta
Da (l0) 20-50 (60) cm. Fusto
eretto, non cavo internamente con
costolature verso la sommità di
colore verde o sovente brunastro.
Fioritura
Da fine Maggio ad Agosto.
Foglie
Da 5 a 11; densamente maculate sulla pagina superiore, verde grigiastro con
nervature più scure in quella inferiore; le basali ovale-lanceolate lunghe da
4-5 a 20 cm, larghe da 2 a 5 cm; con apice ± ottuso; le cauline, allungate,
bratteiformi.
Infiorescenza
Spiga conica a inizio fioritura, poi cilindrica, con numerosi fiori accostati.
Brattee più lunghe dell’ovario, sfumate, di colore bruno-rossastro.
Fiori
Generalmente rosa-violaceo. Sepali laterali lanceolati, divergenti, lunghi da 8
a 11 mm; il centrale connivente con i petali, a formare un cappuccio sopra al
ginostemio. Labello lungo da 6 a 10 mm, largo da 9 a 15 mm profondamente
trilobo con lobo mediano più acuto e lungo dei laterali. I disegni sul labello
hanno una colorazione più marcata rispetto a quella del fiore. Sperone lungo
da 6 a 10 mm più corto o lungo quanto l’ovario. 2n=40
Status
Anche questa specie, negli ultimi tempi, è stata decimata dal cinghiale.
102
Note
Francamente devo dire che sul nome da
attribuire a questa specie permangono
non pochi dubbi. Lo scenario che va
delineandosi nell’ambito degli specialisti
di Dactylorhiza è quello di raggruppare
varie entità, segnalate per l’Italia, sotto
un’unica specie: Dactylorhiza maculata. A
mio avviso, tuttavia, vi sono forti perplessità che D. maculata in senso stretto sia
presente sul territorio provinciale. I pochi
esemplari esistenti in luoghi umidi, hanno
caratteri poco stabili e c’è quindi il forte
dubbio che si tratti di forme ibridogene.
Da qui la scelta di questa forma nomenclaturale è quasi obbligata, in quanto la
quasi totalità degli esemplari provinciali
combaciano con la forma fuchsii.
103
DACTYLORHIZA MAJALIS (REICHENB)
G F M A M G L A S O N D
P.F. HUNT & SUMMERHAYES 1965
Orchis majalis Rchb.
Diffusione
Etimologicamente majalis deriva dal latino
e significa “di maggio”. Fa presumibilmente
riferimento al periodo di fioritura, anche se
per quel che riguarda il territorio
piacentino questa avviene in Giugno.
Centro-europea. In Italia è presente nelle regioni dell’arco alpino. In provincia:
una sola stazione sul versante Ovest,
Sud-Ovest del Monte Osero.
Ambiente
Torbiere
Pianta
Fioritura
(15-20) 30-50 cm. Fusto flessuoso, cavo, striato, di colore porpora
verso l’alto.
Giugno.
Foglie
Da 4 a 6, vistosamente macchiate di scuro nella pagina superiore, lunghe da
3-4 a 16 cm, larghe da 1.5-2 a 4 cm; le prime in basso oblungo-lanceolate,
leggermente carenate, da 1 a 3 foglie superiori, bratteiformi. L’ultima, a inizio
fioritura, raggiunge l’infiorescenza.
Infiorescenza
Densa, multiflora, cilindrica. Brattee più lunghe dei fiori, decrescenti verso
l’alto, di colore brunastro.
Fiori
Rosso-violacei, con macchioline e linee più scure sul labello. Sepali laterali
eretti, ovale-lanceolato, lunghi da 7 a 12 mm, larghi da 3.5 a 5 mm; il mediano e i petali sono conniventi a forma di cappuccio, lunghi da 6 a 9 mm.
Labello lungo da 7 a 10 mm, largo da 10 a 14 mm, trilobo, con lobi laterali
arrotondati; il mediano, piccolo, con punta ottusa. Sperone conico, più corto
dell’ovario, leggermente piegato verso il basso.
Status
La stazione nel quadrante 1322-2 situata a Nord dei Groppi di Lavezzera è
stata soffocata dall’avanzata di arbusti e rovi. Sempre per gli stessi motivi,
la stazione situata sul Monte Osero perde esemplari anno dopo anno.
104
Note
La specie è nuova per il Piacentino; la
presenza è stata accertata nel mese
di Giugno 1986. Attualmente questi
ritrovamenti devono ritenersi gli unici
dell’Appennino. Gli esemplari presenti
sul M. Osero si discostano notevolmente
da quelli presenti sulle Alpi: secondo il
parere di alcuni esperti si tratterebbe di
popolamenti di origine ibridogena.
105
DACTYLORHIZA SAMBUCINA (L.) SOO’ 1962
G F M A M G L A S O N D
Orchis sambucina L.
Diffusione
Sambucina allude all’odore del sambuco,
che secondo alcuni autori emanerebbero
i suoi fiori.
Europeo-caucasica. In Italia: in tutte le
regioni tranne in Sardegna. In provincia:
al di sopra degli 800 m. Esemplari isolati
anche a quote molto più basse.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da l0 a 35 cm. Fusto vigoroso, cavo
internamente, scanalato verso la
sommità.
Maggio, Giugno.
Praterie, boscaglie rade, su terreno
calcareo o debolmente acido.
Foglie
Verde-chiaro, distribuite lungo il fusto, distanziate, piegate a doccia o erette;
le inferiori oblungo-obovate, con apice ottuso; le superiori lanceolate, con
apice acuto.
Infiorescenza
Densa e ricca, da lunga e cilindrica a corta e ovata. Brattee più lunghe dei
fiori, lanceolato-acute; verde-chiaro negli esemplari gialli, rossastre in quelli
rossi.
Fiori
Giallo-chiari con alcune macchioline rosse sul labello oppure rosso-violacei, con la base del labello leggermente gialla. Tepali laterali esterni eretti;
il mediano curvato in avanti, talvolta connivente a cappuccio con i tepali
laterali interni. Labello debolmente trilobo ed intero, con margine ondulato
e irregolarmente dentellato. Sperone grosso, rigonfio, conico, rivoltato verso
il basso, lungo uguale o più dell’ovario.
Status
Si tratta certamente dell’orchidea più diffusa fra quelle che vivono in
montagna; tuttavia in certe zone, soprattutto nella parte occidentale della
provincia, subisce delle vere e proprie decimazioni ad opera dei cinghiali,
che si nutrono dei suoi tuberi.
106
Note
Il tubero di questa pianta contrariamente
alle altre specie di Dactylorhiza, è poco
diviso, e ha una conformazione assai vicina ai tuberi del genere Orchis. Questo
fatto viene visto da qualche autore come
una forma di passaggio tra i due generi.
Di questa specie si trovano esemplari
con colorazione completamente gialla e
esemplari rossi; i due tipi convivono, con
leggera prevalenza dell’uno o dell’altro
tipo a seconda delle stazioni. Raramente si trovano individui con colorazione
intermedia.
107
TRAUNSTEINERA GLOBOSA (L.) REICHENBACH 1842
G F M A M G L A S O N D
Orchis globosa L.
Diffusione
Sud-Europa. In Italia: nelle regioni alpine e nell’Appennino tosco-emiliano
e abruzzese. In provincia: sopra i 1000
m s.l.m.
Il termine globosa fa riferimento alla
forma sferica dell’infiorescenza.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 15 a 60 cm. Fusto glabro, slanciato, leggermente flessuoso, con
nervature prominenti nella parte
superiore.
Da fine Maggio a Luglio.
Praterie montane, in pieno sole, su
terreno debolmente acido.
Foglie
Da 4 a 6, verde-glauco, lunghe da 5 a 13 cm, larghe da 1 a 3.5 cm, tutte
caulinari, distribuite nella metà inferiore del fusto, di forma lineare-lanceolata
o oblungo-lanceolata, più o meno erette, man mano più corte verso l’alto,
fino a diventare bratteiformi.
Infiorescenza
Corta e densa, alta da 1.5 a 6 cm, larga da 1.5 a 5 cm, a inizio fioritura
conica, poi globoso-cilindrica. Brattee lunghe uguali o più dell’ovario, verdechiaro, bordate di porporino.
Fiori
Rosa-lilla. Sepali lunghi da 4 a 8 mm, orientati in avanti, poi patenti, larghi
alla base, terminanti all’apice con punte spatolate; petali lunghi da 3 a 6.5
mm, ravvicinati a casco, terminanti con punte ottuse e divaricate. Labello
cuneiforme, lungo da 3 a 6 mm, trilobo, generalmente bianco-rosato o rosa
carico, con punteggiatura porporina; lobi laterali di forma più o meno triangolare; il mediano più lungo e terminante con una punta acuminata. Sperone
conico, più corto dell’ovario, rivolto verso il basso. Ovario sessile. 2n=42
Status
Anche questa specie, avendo un apparato radicale tuberoso, viene spesso
mangiata dai cinghiali. Il segreto della sua sopravvivenza sta nella sua rada
ma omogenea distribuzione nell’ambiente; pertanto qualche esemplare si
salva sempre.
108
Note
La specie condivide prevalentemente
la stessa nicchia ecologica di Nigritella
rhellicani, ma, contrariamente a questa,
T. globosa riesce ancora a mantenere un
discreto numero di esemplari. Probabilmente ciò è dovuto alla statura piuttosto
alta della pianta; anche le foglie sono posizionate ad una certa altezza dal suolo.
Questo le consente di reggere meglio la
competizione con altre erbe.
109
ORCHIS ANTHROPOPHORA (L.) ALLIONI 1753
G F M A M G L A S O N D
Aceras anthropophorum (L.) W.T. Aiton
Diffusione
Steno-atlantico-mediterranea. In Italia:
nelle regioni litoranee, rara al nord, assente nel Trentino. In provincia: in luoghi
particolarmente soleggiati.
Ambiente
Pianta
Praterie anche sassose, più o meno
aride, su suoli calcarei.
Da 15 a 40 cm. Fusto diritto scanalato all’altezza dell’infiorescenza.
Apparato radicale formato da due
bulbi ovoidi con alcune radichette
secondarie.
Fioritura
Fine Maggio.
Foglie
Da 5 a 10. Le inferiori in rosetta basale da lanceolate a sub-spatolate con
apice acuto, erette o patenti, lunghe da 6 a 15 cm, larghe da 1 a 4 cm; le
superiori avvolgenti strettamente il fusto, l’ultima bratteiforme.
Infiorescenza
Spiga lineare, densa, con molti fiori. Brattee membranacee più corte dell’ovario.
Fiori
Verde-giallicci, orlati di bruno-porporino o violaceo, sepali e petali riuniti a
casco, lunghi da 11 a 15 mm, larghi da 3 a 4 mm. Labello lungo da 12 a 20
mm, trilobo, giallastro, con i bordi e i lobi arrossati; lobo mediano stretto
ed allungato, diviso a sua volta in due lobi, a volte separati centralmente
da un piccolo dente. Alla base del labello due callosità chiare formanti una
fossetta contenente il nettare. Sperone assente. 2n=42
Status
Questa specie è stata rilevata per la prima volta nel 1987 in comune di
Pianello (Rocca d’Olgisio), successivamente in comune di Bobbio e, poi,
in comune di Travo, in tre piccolissimi popolamenti. In questi luoghi non la
rivedo più da almeno 6 o 7 anni. Salvo ormai improbabili piacevoli sorprese,
quest’entità deve ritenersi estinta nel territorio provinciale.
110
Note
La specie è stata segnalata per la prima
volta in Provincia nel corso di questa
ricerca nel 1987 . Quest’entità è meglio
conosciuta come Aceras anthropophorum:
fino a poco tempo fa, infatti, era l’unica
specie che dava origine al genere Aceras.
Recenti ricerche genetiche (W. Rossi et
al., 1994; Pridgeon et al., 1997) hanno
stabilito al di là di ogni dubbio che questa
specie appartiene al genere Orchis.
111
ORCHIS CORIOPHORA L. subsp. FRAGRANS
G F M A M G L A S O N D
(POLLINI) SUDRE 1890
Orchis fragrans Pollini
Diffusione
Etimologicamente il nome coriophora deriva dalle parole
greche koris, cimice e phero, porto e significherebbe
portatrice di cimici; naturalmente con le cimici ha a che
fare soltanto per quanto riguarda il profumo sgradevole
che emanano i suoi fiori. I fiori della sottospecie fragrans
invece, emanano un intenso e gradevole profumo da cui
trae origine il nome.
Pianta
Fioritura
Da 15 a 25 (35) cm. Fusto foglioso,
cilindrico, leggermente scanalato
in alto.
Maggio, Giugno.
Euro-mediterranea. In Italia: in tutto il
territorio. In provincia: lungo il tratto pianeggiante dei maggiori corsi d’acqua.
Ambiente
Prati aridi e greti dei fiumi stabilizzati.
Foglie
Da 3 a 5, lunghe da 4 a 8 cm, larghe da 0.4 a 1 cm le inferiori riunite in rosetta
basale, lineare-lanceolate, carenate, da 2 a 3 le superiori finemente linearilanceolate, lunghe da 3 a 8 cm, bratteiformi, di colore verde-biancastro. Le
foglie basali, quando la pianta è in fiore, sono quasi sempre già secche.
Infiorescenza
Densa, multiflora, ovoide a inizio fioritura, poi cilindrica. Brattee lanceolate,
più lunghe generalmente dell’ovario.
Fiori
Verdognoli o purpurei. Piccoli, profumati. Sepali lunghi da 8 a 12 mm,
petali lunghi da 6 a 9 mm, conniventi a formare un cappuccio allungato a
forma di becco, di colore verdognolo purpureo. Labello trilobo, con lobo
mediano lanceolato, più lungo e sottile dei laterali, ripiegato all’indietro,
generalmente con colorazione più chiara centralmente, con punteggiature
più marcatamente purpuree. Sperone conico, più corto dell’ovario, rivolto
verso il basso. 2n=38
Status
Nella nostra provincia, questa pianta vive, salvo una piccola eccezione nel
comune di Bettola, lungo i maggiori corsi d’acqua, sui greti stabilizzati. In
questi luoghi, poco ospitali, vi è meno competizione, pertanto la specie
mantiene, a grandi linee, la sua presenza. Tuttavia, alcuni anni fa, è stata
distrutta quasi totalmente la stazione che rappresentava circa l’80% della
presenza provinciale. La distruzione è avvenuta a seguito della costruzione
di baracche per il ricovero di animali e del conseguente calpestio di questi.
La stazione si trova nel comune di Gazzola, nel quadrante 1023-4, lungo il
Trebbia, all’altezza di Rivalta.
112
Note
Diversi autori trattano quest’entità col
nome specifico perché ritengono poco
evidenti o molto variabili le caratteristiche
tra specie e sottospecie. Personalmente
ritengo che trattare questa pianta col
termine sottospecifico rispecchi meglio
la situazione provinciale. La pianta è
infatti piuttosto slanciata, ha, rispetto
alla specie, meno foglie e più strette,
quasi graminiformi. I fiori hanno una
colorazione, sì variabile, ma mai troppo
marcata e, soprattutto, profumano in
modo gradevole.
113
ORCHIS LAXIFLORA LAMARCK 1779
G F M A M G L A S O N D
Orchis ensifolia Vill.
Diffusione
Laxiflora è di origine latina e fa riferimento
all’infiorescenza a fiori distanziati.
Euro-mediterranea. In Italia: in tutto il
territorio. In provincia: una sola stazione,
in Val Trebbia.
Ambiente
Margini di zone umide.
Pianta
Fioritura
Da 30 a 60 cm. Fusto eretto verso
l’alto, angoloso e rosso scuro.
Maggio, Giugno.
Foglie
Lunghe da 6 a 14 cm, larghe da 1 a 2.5 cm; distribuite lungo tutto il fusto,
da lineari a lineare-lanceolate, carenate, acute, con evidenti nervature nella
pagina inferiore; le superiori avvolgenti lungamente il fusto.
Infiorescenza
Lunga, cilindrica, molto lassa. Brattee membranacee, lanceolate, acute, porporine, più lunghe dell’ovario; più o meno uguali nella parte alta.
Fiori
Di colore porpora-violaceo, più o meno intenso, con una parte bianca al centro del labello. Sepali lunghi da 10 a 14 mm, larghi da 4 a 6 mm, ovali, ottusi,
i laterali eretti, il mediano ricurvo in avanti e ± connivente a formare un casco
con i petali che sono leggermente più corti: lunghi da 6 a 9 mm, larghi da 4
a 5 mm; labello lungo da 9 a 12 mm, largo da 14 a 18, cuneiforme, trilobato,
col lobo centrale più corto dei laterali, decisamente piegati all’indietro, con
margine irregolarmente inciso. Sperone un pò più corto dell’ovario, rivolto
verso l’alto, molto sottile, ottuso o dilatato all’apice. 2n=36,42
Status
La previsione pessimistica del 1989 si è purtroppo rilevata esatta: da diversi
anni non trovo più questa specie nella stazione originaria. Alcuni anni fa una
grossa frana ha distrutto l’unica radura umida dove questa pianta viveva.
Pertanto O. laxiflora va ritenuta estinta dalla provincia di Piacenza.
114
Note
Nella stagione ’88 si è avuta la riconferma della presenza sul territorio piacentino di questa specie. In precedenza
era stata segnalata nel secolo scorso
(Bracciforti A. 1877).
115
ORCHIS MASCULA (L.) LINNEO 1755
G F M A M G L A S O N D
Diffusione
L’aggettivo mascula deriva dal latino masculus,
fa riferimento alle parti sotterranee e allo
sperone.
Europeo-caucasica. In Italia: in tutte le
regioni. In provincia: dai 450 m s.l.m. fino
alle massime altitudini.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Di aspetto robusto, da 20 a 60
(70) cm. Fusto con punteggiatura
porporina, nella parte bassa; nella
parte alta quasi sempre brunoarrossato.
Da Aprile a inizio Giugno.
Molto vario: boschi radi o densi, praterie
umide.
Foglie
Da 4 a 8, quasi tutte riunite a formare una rosetta basale, lunghe da 6 a
21-23 cm, larghe da 1.5 a 4 cm di forma oblungo-lanceolate, verdi non
maculate o verdi maculate da larghe o piccole chiazze viola o brunastro,
eretto-patenti, con apice ottuso; da 2 a 4 foglie superiori lanceolate, piccole, guainanti il fusto.
Infiorescenza
Con 6-7 o 60 (70) fiori, piuttosto densa, di forma dapprima conica, poi
cilindrico-allungata. Brattee membranacee, lanceolate, di colore violaceo; le
inferiori lunghe come l’ovario, le superiori la metà.
Fiori
Di colore variante dal porpora chiaro al rosso-violetto, oppure rosa. Sepali
laterali ovali lunghi da 7 a 15 mm, eretti e spesso con apici arrotondati o
acuminati e a volte rivolti all’indietro; il centrale piegato in avanti con l’apice
rivolto in alto connivente con i petali a formare un cappuccio sopra al ginostemio. Labello nettamente trilobo lungo da 8 a 15 mm, largo da 7 a 18 mm;
lobi dentellati al margine; lobo mediano a sua volta bilobo. Parte centrale
del labello più chiara, con alcune macchie porporine. Sperone orizzontale
o piegato leggermente verso l’alto, talvolta a forma di clava all’apice, lungo
quanto l’ovario. 2n=42
Status
La stazione di O. mascula segnalata a suo tempo
alla Rocca d’Olgisio a fioritura precoce, deve ritenersi estinta in quanto il bosco dove essa viveva è
stato invaso dall’edera (Edera elix), cancellando ogni
traccia di questa e di altre orchidacee. O. mascula,
pur mantenendo ancora una certa presenza sul
territorio, ha subito in questi ultimi anni una forte
contrazione, dovuta all’avanzata di arbusti infestanti
sui pascoli, ma soprattutto alla vorace presenza dei
cinghiali.
116
Note
La variabilità della specie è notevole. Nel
Piacentino si trovano esemplari isolati o
vere e proprie ricche stazioni, con sepali
acutissimi e labello allungato, corrispondenti alla descrizione di Orchis mascula
subsp. signifera (Est) Soò oppure O.
ovalis F.W. Schmidt ex Mayer. Da diversi
anni trovo piccole stazioni di piante molto interessanti: esse infatti sono di taglia
medio-piccola ed anche i fiori sono più
piccoli e stretti, di colore uguale a quelli
della specie tipo.Tutto il resto della pianta
ha una colorazione rosso-violaceo scuro.
Trovo queste piante in alta Val Trebbia
e più spesso in provincia di Genova, su
terreno siliceo. I fiori possono emanare
un profumo, a volte gradevole a volte
decisamente fetido; spesso sono inodore.
O. mascula si ibrida piuttosto facilmente
con O. pallens e O. provincialis.
117
ORCHIS MILITARIS LINNEO 1753
G F M A M G L A S O N D
Orchis rivini Gouan
Diffusione
Il termine militaris deriva dal latino e trae
spunto dalla forma di elmo del casco
tepalico.
Euro-siberiana. In Italia: dal Centro a
tutto il Nord. In provincia: trovata in sole
due località una quindicina di anni fa.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Robusta, alta da 20 a 50 (65) cm,
fusto verde in basso, violaceo nella
parte alta.
Da metà Aprile a inizio Maggio.
Scarpate per lo più infestate dalla Ginestra di Spagna (Spartium junceum), su
terreno calcareo.
Foglie
Verde brillante, da 3 a 6 basali, lunghe da 6 a 18 cm, larghe da 1.5 a 5
cm, oblungo-lanceolate, acute; da 1 a 4 caulinari, più piccole, inguainati il
fusto, bratteiformi.
Infiorescenza
Lunga da 6-7 a 15-20 cm, a inizio fioritura ovale poi cilindrica, densa o
lassa con 10 o 40 fiori. Brattee violacee e membranacee, lunghe da 1.5 a
5 mm.
Fiori
Sepali lunghi da 9 a 14 mm, larghi da 4 a 6 mm; petali lunghi da 8 a 10
mm, larghi circa 2 mm, conniventi a formare un casco, biancastri o grigiastri,
con sfumature rosa esternamente, ed evidenti striature violacee all’interno;
labello lungo da 11 a 15 mm, largo da 9 a 12 mm, con bordi porpora-violacei, biancastro centralmente, munito centralmente di numerosi ciuffi di
peli porporini, pendente o proiettato in avanti, profondamente trilobo, con
lobi laterali lineari lunghi circa 4 mm, arcuati in avanti; lobo centrale a sua
volta diviso all’apice da due lobi divergenti, più corti, ma più larghi dei lobi
laterali, separati da un piccolo dente centrale; sperone lungo da 6 a 7 mm,
biancastro, cilindrico, ottuso, discendente; ovario ritorto. 2n=42
Note
Status
I luoghi in cui ho trovato questa pianta sono stati invasi dalla ginestra:
pertanto non è più reperibile da diversi anni.
118
Trovata in due piccoli popolamenti nel
1989: uno vicino a Bobbio nel quadrante
1222-1, l’altro vicino a Confiente, nel
quadrante 1322-1.
119
ORCHIS MORIO LINNEO 1753
G F M A M G L A S O N D
Orchis morio subsp. picta (Loisel.) K. Richt.
Il nome morio è di dubbia derivazione:
dal greco moros, che significa “pazzo”, o
dall’italiano morrione che significa elmo
o da altri termini che comunque sembra
facciano tutti riferimento alla screziatura
sgargiante del casco tepalico.
Pianta
Fioritura
Da 5 a 25 (40) cm. Fusto angoloso nella parte alta, spruzzato di
violetto.
Aprile, Maggio.
Diffusione
Europeo-caucasica. In Italia: in tutto il
territorio. In provincia: presente in tutto
il territorio.
Ambiente
Praterie più o meno aride, soprattutto
in zone franose.
Foglie
Da 5 a 10, riunite in rosetta basale, lunghe da 3 a 12 cm, larghe da 0.5 a
1.5 cm, di forma lineare-lanceolate, ripiegate a doccia o qualcuna eretta;
da 2 a 4 caulinari, lungamente abbraccianti il fusto.
Infiorescenza
Subcilindrica, da corta e lassa a corta e densa, con 5 o 25 fiori. Brattee
mediamente lunghe quanto l’ovario, con colorazione verdastra, violetto o
porpora scuro.
Fiori
Dal rosso-violetto, al porpora chiaro, con nervature più scure longitudinali
sui sepali laterali. Sepali e petali riuniti a formare un cappuccio; sepali lunghi
da 7.5 a 10.5 mm, larghi da 3 a 5.5 mm, ovali-oblunghi; sepalo mediano e
petali subeguali, lunghi da 6 a 8 mm. Labello più o meno profondamente
trilobato, più largo che lungo; lobi laterali più grandi del centrale e spesso
ripiegati all’indietro, con margini dentellati. Parte centrale del labello più
chiara, punteggiata da piccole macchie violette. Sperone più corto dell’ovario, troncato all’apice, disposto orizzontalmente o leggermente rivolto
verso l’alto. 2n=36
Status
Fino a pochi anni fa, questa specie, insieme a poche
altre, deteneva il primato di orchidea più numerosa
presente in provincia. Oggi, pur mantenendo la presenza in quasi tutte le stazioni segnalate nel 1989, è
andata rarefacendosi a tal punto che, laddove erano
presenti migliaia di esemplari, oggi a malapena se ne
trova qualche esemplare qua e là. Il motivo di tutto
questo è da attribuire, in parte, alle continue razzie
da parte del cinghiale e in parte al restringimento
degli ambienti di vita, dovuto all’avanzare di arbusti,
rovi e graminacee varie.
120
Note
Raramente si trovano individui a fiori rosa
o completamente bianchi.
121
ORCHIS PALLENS LINNEO 1771
G F M A M G L A S O N D
Orchis sulphurea Sims
Diffusione
L’aggettivo pallens significa “pallido” e si
riferisce ai fiori che sono giallo pallidi.
Europeo-caucasica. In Italia: sulle Alpi
e Prealpi, sull’Appennino settentrionale
e centrale e in Calabria nel gruppo del
Pollino. In provincia: sia in collina che
in montagna, in stazioni quasi sempre
formate da pochi esemplari.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 15 a 35 cm. Fusto robusto, cilindrico all’altezza dell’infiorescenza
e leggermente angoloso.
Da Aprile a Giugno.
Boschi radi, praterie montane, castagneti, su suolo calcareo o acido.
Foglie
Lunghe da 6 a 13 cm, larghe da 1.5 a 5 cm, basali, in numero da 3 a 5,
ampie, oblunghe od ovali, senza macchie; le superiori, una o raramente due,
abbraccianti il fusto.
Infiorescenza
Da 5 a 15 cm densa, cilindrica. Brattee membranacee, lanceolate, lunghe
circa quanto l’ovario.
Fiori
Piuttosto grandi, giallo-pallidi o giallo-sulfurei, emananti profumo di sambuco. Sepali esterni lunghi da 6.5 a 9 mm, larghi da 3 a 5 mm, ovali, ottusi,
piegati all’indietro; il mediano esterno lungo da 5.5 a 7.5 mm e i petali
conniventi a formare un cappuccio. Labello lungo da 8 a 11.5 mm, largo
da 9 a 14 mm, debolmente trilobo, con margini solitamente interi ripiegati
all’indietro. Sperone lungo da 7 a 14 mm, orizzontale o debolmente rivolto
in alto, cilindrico o a forma di clava, lungo circa quanto l’ovario. 2n=40
Status
Nelle praterie montane convive con O. mascula e con D. sambucina e con
queste divide anche la sorte: viene spesso mangiata dai cinghiali.
122
Note
Questa entità è piuttosto rara, a quote
basse si trova quasi esclusivamente nei
castagneti.
123
ORCHIS PAPILIONACEA LINNEO 1759
G F M A M G L A S O N D
Orchis rubra Jacq.
Diffusione
L’aggettivo specifico papilionacea è di
origine latina e fa riferimento alla forma
del labello che può vagamente ricordare
la forma di ala di farfalla.
Euro-mediterranea. In Italia: principalmente nell’area mediterranea. In provincia: una sola stazione in Val Trebbia
a quota 250 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 20 a 30 cm. Fusto robusto,
rigido, angoloso e rossastro nella
parte superiore.
Aprile, Maggio.
Su suolo calcareo. Praterie aride e ben
soleggiate.
Foglie
Da 3 a 9, riunite in rosetta basale, lunghe da 4 a 15 cm, larghe da 0.5 a 2
cm, lineare-lanceolate; da 2 a 5 cauline guainanti, di grandezza decrescente
verso l’alto; le ultime, bratteiformi e sfumate di porpora all’apice.
Infiorescenza
Lassa, con pochi fiori (3-10); brattee membranacee, oblungo-lanceolate, più
lunghe dell’ovario, di colore porpora, con nervature rosse.
Fiori
Dal rosso brunastro al porpora. Sepali lunghi da 8 a 19 mm, larghi da 4 a 7
mm, lineare-lanceolati, conniventi con i petali a formare un cappuccio semi
aperto sopra il ginostemio; gli esterni più grandi degli interni, entrambi con
striature di colore più intenso. Labello lungo da 9 a 24 mm, largo da 7 a
18 mm, pendente, intero, allargato a ventaglio, ristretto alla base, concavo,
con bordo dentellato, di colore rosa più o meno intenso; quasi sempre sono
presenti venature più scure. Sperone conico più corto dell’ovario, orientato
verso il basso, leggermente arcuato. 2n=32
Status
Dei 30-40 esemplari trovati nel 1988, a seguito del rimboschimento da
parte, soprattutto, di cespugli infestanti, nella stagione 2002 ne sono rimasti
solo un paio di esemplari.
124
Note
La presenza sul territorio piacentino
è stata accertata nel corso di questa
ricerca, nel 1988, nel quadrante 1122-4,
vicino a Mezzano Scotti.
125
ORCHIS PROVINCIALIS BALBIS 1806
G F M A M G L A S O N D
Orchis cyrilli Ten.
Diffusione
L’aggettivo specifico provincialis deriva
da Provenza, regione della Francia
sud-orientale.
Steno-mediterranea. In Italia: in tutte le
regioni. In provincia: presente in quasi
tutte le valli, con pochi esemplari per
stazione, dai 400 agli 800 m.
Ambiente
Pianta
Da 15 a 35 cm. Fusto gracile e
flessuoso.
Pascoli e praterie. Tende a spostarsi in
prossimità di piccoli canaletti o vallette,
dove, per un certo periodo dell’anno
c’è ristagno di acqua, su suolo preferibilmente calcareo.
Fioritura
Aprile, Maggio.
Foglie
Lunghe da 5 a 15 cm, larghe da 1.5 a 2.6 cm; cosparse nella pagina superiore
da grosse macchie bruno-violacee o nere, da 3 a 8 le inferiori, raccolte in
rosetta basale, oblungo-lanceolate, patenti od erette, da 2 a 3 le superiori,
piccole, aderenti al fusto, lanceolate.
Infiorescenza
Lassa, con massimo 15-20 fiori. Brattee membranacee, più corte dell’ovario.
Fiori
Di colore giallo o giallo pallido. Sepali laterali patenti, irregolarmente ovati,
lunghi da 10 a 14 mm, larghi da 4 a 6 mm; il mediano lungo da 6 a 7.5 mm,
solitamente piegato in avanti, connivente con i petali. Labello punteggiato
centralmente da macchie rosso-chiaro, lungo da 9 a 14 mm, largo da 10 a
18 mm, trilobato, con lobi laterali ripiegati all’indietro, margine dentellato
irregolarmente. Sperone lungo, uguale o più dell’ovario, arcuato verso l’alto,
spatolato o leggermente bifido all’apice. 2n=42
Status
Il pascolamento saltuario di ovini, in queste stazioni,
influisce favorevolmente su tutte le specie di orchidee presenti e sull’ambiente circostante.
126
Note
Specie assai rara in provincia. Nell’annata
2001, tuttavia, nel territorio del comune
di Morfasso, nel quadrante 1224-3, da
quota 400 a quota 450 m s.l.m., ho trovato 3 stazioni con più di 100 esemplari
in totale. Almeno una decina di questi
avevano una colorazione rosso-violacea.
Escludo si tratti di ibridi con O. mascula,
peraltro presente nelle stazioni. Esemplari di questa forma sono già stati da
me ritrovati sulla riviera ligure, presso
Lavagna. Con ogni probabilità si tratta
della variante rubra, come viene riportato
a pag. 228 del libro della S.F.O. (Societè
Française d’Orchidophilie del 1988),
anche se gli esemplari che ho trovato
in provincia e in Liguria sono molto più
carichi di colore.
127
ORCHIS PURPUREA HUDSON 1762
G F M A M G L A S O N D
Orchis fusca Jacq.
Si tratta sicuramente di una delle orchidee più
comuni ed appariscenti della fascia mediocollinare. Purpurea deriva dal latino purpurens
e significa ”color porpora”. La denominazione
si riferisce al colore bruno-porpora dei tepali
riuniti a cappuccio. La specie è conosciuta nel
Piacentino col nome di Vacca Mora.
Pianta
Fioritura
Robusta, da 25 a 60 (80) cm.
Fusto nudo, macchiato di porpora
e scanalato verso l’alto.
Da fine Marzo a inizio Giugno.
Diffusione
Euro-Asiatica. In Italia: al nord e al
centro, assente all’estremo sud. In
provincia: dai primi boschi della collina
fino ai 1000 m.
Ambiente
Vario: boschi radi, praterie, pascoli, su
terreno prevalentemente calcareo.
Foglie
Da 3 a 8, lunghe da 6 a 23 cm, larghe da 2 a 7 cm, verde brillante, quasi
tutte in rosetta basale, ovali, erette o patenti, oblunghe o largamente lanceolate; le superiori, lanceolate, avvolgenti il fusto. Nelle annate con condizioni
climatiche normali compaiono già all’inizio dell’autunno.
Infiorescenza
Densa, dapprima conica, poi cilindrica, lunga da 5 a 25 cm, con 5-6 o 200
fiori. Brattee lunghe da 1 a 3 mm, squamiformi, violacee, molto più corte
dell’ovario.
Fiori
Grandi. Sepali e petali lunghi da 8 a 13 mm, larghi da 5 a 7 mm, conniventi
a formare un cappuccio di colore variabile, bruno porpora, per lo più, o
verdastro con punteggiatura porporina. Labello lungo da 9 a 21 mm, largo
da 10 a 22 mm, trilobo, di forma e di colore piuttosto variabile: per lo più
rosa chiaro, con bordi più scuri e macchioline centrali formate da papille
porporine; lobi laterali stretti e divergenti; il centrale più lungo e più largo, diviso a sua volta in due lobi, separati centralmente da un’appendice
dentiforme. Sperone lungo circa la metà dell’ovario, curvato verso il basso,
bilobato all’apice. 2n=42
Status
La specie, pur non essendo
più così abbondante, mantiene ancora la sua presenza in
tutte le stazioni dov’era stata
segnalata.
128
Note
La specie si ibrida piuttosto facilmente
con O. simia.
129
ORCHIS SIMIA LAMARCK 1779
G F M A M G L A S O N D
Orchis tephrosanthos Vill.
Il suo labello rappresenta la forma di una scimmietta a penzoloni da cui trae origine il nome. È
specie comune in provincia, dà origine localmente
a stazioni con numerosissimi individui, convive
spesso con Orchis purpurea con cui si ibrida
abbastanza facilmente.
Pianta
Fioritura
Da 15 a 40 (60) cm. Fusto eretto,
cilindrico; arrossato e lievemente
scanalato verso l’alto.
Aprile, Maggio.
Diffusione
Euro-mediterranea. In Italia: in tutte le
regioni continentali. In provincia: nella
fascia collinare.
Ambiente
Luoghi abbandonati, bordi dei boschi,
su terreno calcareo, in pieno sole o
mezz’ombra.
Foglie
Da 3 a 7, lunghe da 6 a 20 cm, larghe da 1.5 a 5 cm. Le basali riunite in
rosetta di colore verde-biancastro brillante, oblungo-lanceolate, leggermente canaliculate, erette o patenti; da 1 a 4 foglie caulinari, più piccole
avvolgenti il fusto.
Infiorescenza
Incomincia a fiorire dall’alto; densa, a forma di cono rovesciato a inizio
fioritura, poi brevemente cilindrica. Brattee molto piccole, lunghe da 1 a 4
mm, squamiformi, bianco-giallastre o sfumate di rosa.
Fiori
Bianco-rosei o grigio-lilla con sfumature o tratti roseo-purpurei. Sepali
strettamente lanceolati, lunghi da 10.5 a 15 mm, larghi da 3 a 4 mm,
riuniti assieme ai petali a forma di casco sopra il ginostemio. Petali linearilanceolati lunghi da 9 a 12 mm. Labello lungo da 10 a 20 mm, proteso in
avanti a circa 45°, nettamente trilobo con lobi laterali lineari molto lunghi
e divergenti, con l’apice arrotondato, incurvato verso l’alto; lobo mediano
a sua volta trilobo, con lobulo centrale piccolissimo; lobuli laterali lunghi e
sottili, ripiegati verso l’alto, bianco rosato nella parte centrale con numerose
piccole papille porporine; lobi con apici arrossati. Sperone rosa e lungo circa
la metà dell’ovario. 2n=42
Status
Pur essendo ancora presente in tutte le stazioni segnalate, la sua presenza
sta lentamente ma inesorabilmente calando, anno dopo anno, in termini
di esemplari; ma ciò che più preoccupa è che è sempre più difficile trovare
esemplari vigorosi, alti anche 50-60 cm, come si trovavano 15 o 20 anni
fa. Questo indica che la pianta sta ormai risentendo troppo la competizione
con altre erbe più vigorose che non vengono ormai più falciate o brucate
da animali al pascolo.
130
131
ORCHIS TRIDENTATA SCOPOLI 1772
G F M A M G L A S O N D
Orchis commutata Tod.
La denominazione tridentata fa riferimento
alla posizione dei tepali esterni che sono
ravvicinati in basso a formare un cappuccio
e distaccati in alto a formare tre punte ben
distanziate.
Diffusione
Euro-mediterranea. In Italia: in tutto il
territorio. In provincia: maggiormente
lungo il corso del medio Trebbia.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 15 a 30 (45) cm. Fusto eretto,
più o meno robusto, scanalato
verso l’alto.
Da fine Aprile a Giugno.
Prati piuttosto aridi, sassosi, su terreno
calcareo.
Foglie
Da 3 a 11, lunghe da 3 a 10 cm, larghe da 1.5 a 3 cm, verde glaucescente,
riunite in rosetta, da lineari e oblungo-lanceolate, leggermente canaliculate,
patenti o erette; da 2 a 3 foglie lungamente abbraccianti il fusto.
Infiorescenza
Più o meno densa a inizio fioritura e conico-emisferica, poi ovale-arrotondata.
Brattee membranacee, lanceolate, uguali o più corte dell’ovario.
Fiori
Lunghi da 7 a 13 mm, larghi da 1.5 a 5 mm, di colore bianco-roseo con
strie violette. Sepali ovato-lanceolati, saldati alla base, divergenti all’apice;
petali più piccoli e completamente nascosti dagli esterni. Labello lungo da
8 a 12 mm nettamente trilobo, piano, orientato obliquamente in avanti; lobi
laterali dilatati all’apice, con bordi dentellati irregolarmente; lobo mediano
bilobo, più lungo e più largo dei laterali, dentellato ai bordi. Sperone lungo
quanto l’ovario o più corto, orientato verso il basso. 2n=42
Status
Specie in forte calo in termine di numero di esemplari nelle stazioni lungo i
principali corsi d’acqua. I ritrovamenti più in quota erano già ridotti a pochi
esemplari all’epoca dei primi ritrovamenti, verso la fine degli anni ‘80.
132
Note
133
ORCHIS USTULATA LINNEO 1753
G F M A M G L A S O N D
Orchis parviflora Willd.
Ustulata deriva dal latino ustulare,
bruciacchiare e fa riferimento al colore
porpora scuro dei fiori ancora in boccio.
Danno infatti la sensazione di essere
bruciacchiati.
Diffusione
Europeo-caucasica. In Italia: in tutta la
penisola. In provincia: dai 300 ai 1500
m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Prati per lo più aridi e sassosi. Terreno
preferibilmente calcareo o debolmente
acido.
Da l0 a 25-30 cm. Fusto rigido,
lievemente scanalato verso l’alto.
Fioritura
Da fine Aprile a inizio Agosto.
Foglie
Da 5 a 10, riunite in rosetta basale, da lanceolate ad oblungo-lanceolate,
con apice acuto od ottuso, patenti o eretto-patenti, lunghe da 3 a 15 cm,
larghe da 1 a 3 cm; da 2 a 3 caulinari, erette, abbraccianti il fusto; l’ultima
foglia bratteiforme.
Infiorescenza
Densa, conica e porpora-nerastra alla sommità a inizio fioritura, poi cilindrica.
Brattee ovato-lanceolate, lunghe circa quanto l’ovario, di colore porpora più
o meno intenso.
Note
Fiori
Piccoli, profumati, lunghi da 3.5 a 4.5 mm, larghi da 2 a 3.5 mm. Sepali
lunghi da 4 a 8 mm, porpora-nerastri all’esterno, verdastri internamente,
con nervature purpuree, ovato-ottusi, saldati alla base, liberi alle estremità,
a formare un piccolo casco emisferico; petali lunghi da 3 a 3.5 mm, rosati.
Labello piccolo, profondamente trilobo, con lobo mediano bilobo più lungo dei laterali, bianco con punteggiature purpuree. Sperone molto corto,
conico-arcuato verso il basso. 2n=42
Status
Specie abbastanza rara, alcune stazioni sono scomparse a seguito dell’eccessivo inerbimento dei luoghi.
134
Orchis ustulata subsp aestivalis (Kümpel)
Kümpel & Mrkuika.
A proposito di questo nuovo taxa descritto nel 1990, rimane da accertare
se le piccole differenze riportate, quali
l’infiorescenza più allungata e appuntita
a fine fioritura o il periodo di fioritura più
tardivo, siano valide per una separazione
o se invece si tratti di eco-variabilità dovute al fatto di vivere in luoghi più elevati.
In attesa di ulteriori chiarimenti posso
confermare che 2 stazioni con tali caratteristiche sono state trovate entrambe
nel comune di Ferriere, rispettivamente
nel quadrante 1423-1, vicino al paese di
Pertuso nel 1988, e nel quadrante 14222, vicino al paese di Torrio nel 1994.
135
HIMANTOGLOSSUM ADRIATICUM H. BAUMANN 1978
G F M A M G L A S O N D
Himantoglossum hircinum subsp. adriaticum (H. Baumann) H. Sund.
Diffusione
Adriaticum fa riferimento all’areale della
specie, centrato nell’area Adriatica.
Euro-mediterranea. In Italia nella fascia
nord-orientale e centrale. In provincia
dai 150 ai 1200 m s.l.m..
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 30 a 80 cm. Fusto robusto alla
base, assottigliato e flessuoso in
alto, tinto più o meno intensamente
di bruno-porpora nella metà superiore del fusto.
Maggio, Giugno.
Scarpate, coltivi abbandonati, per lo più
aridi, su suolo calcareo in piena luce.
Foglie
Lunghe da 8 a 16 cm, larghe da 1.5 a 3.5 cm. Le inferiori, da ovale-lanceolate a oblungo-lanceolate; le superiori, distribuite lungo il fusto, strette,
abbraccianti, acute, od acuminate; l’ultima, bratteiforme. Foglie tendenti a
seccare alla fioritura.
Infiorescenza
Lassa, con molti fiori. Brattee: lineare-lanceolate, rosate o porporine, più
lunghe dell’ovario in basso, più corte in alto.
Fiori
Lievemente profumati; sepali e petali lunghi da 7 a 9 mm, larghi da 4 a 6 mm,
ovali, ottusi all’apice, conniventi o saldati tra di loro a formare un cappuccio
emisferico bianco-verdastro, soffuso di porpora sopra il ginostemio. Labello
di colore bruno-rossastro, biancastro alla base, con macchiettature porporine, trilobo con lobo mediano lungo fino a 6-7 cm; piano o leggermente
spiralato, più o meno bifido all’apice; lobi laterali più stretti, lunghi da 11 a
26 mm, ondulati, leggermente divergenti. Sperone conico, lungo da 2.5 a
3.5 mm. 2n=36
Note
Status
Negli ambienti dove questa specie vive non esiste
più alcuna cura da parte dell’uomo: è scomparsa
anche la pratica del pascolo. Pertanto arbusti
infestanti di ogni genere possono avanzare incontrastati, mettendo a dura prova l’esistenza di questa
e di tante altre specie pregiate.
136
Le segnalazioni di H. hircinum nel secolo
scorso (Bracciforti) sono probabilmente
da attribuire a questa entità descritta
dal tedesco H. Baumann solo di recente
(1978). La sua presenza in provincia è
stata accertata nel 1983. Le stazioni ad
altimetria più elevata sono sempre formate da pochi o unici esemplari isolati.
137
HIMANTOGLOSSUM HIRCINUM (L.) SPRENGEL 1826
G F M A M G L A S O N D
Satyrium hircinum L.
Diffusione
L’aggettivo hircinum in latino significa “di
capra” e fa senz’altro riferimento all’odore
sgradevole che emanano i suoi fiori.
Mediterraneo-atlantica. In Italia è
presente al sud. In provincia un solo
ritrovamento nel quadrante 1321-2 a
circa 600 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 20 a 90 cm; fusto robusto,
eretto, verdastro, a volte soffuso
di rosso-brunastro.
Giugno.
Scarpate, boscaglie rade, su terreno
calcareo.
Foglie
Sbocciano già in autunno ripartite lungo il fusto, decrescenti e abbraccianti
il fusto verso l’alto, da 4 a 6 riunite in rosetta basale, ellittico-lanceolate,
lunghe da 6 a 16 cm, larghe da 3 a 5 cm.
Infiorescenza
Cilindrica, densa, multiflora, con 40-90 (120) fiori. Brattee: le inferiori,
nettamente più lunghe dei fiori, decrescono verso l’alto fino a diventare
lunghe quanto i fiori.
Fiori
Di solito odorano in modo sgradevole. Sepali laterali ovali, larghi da 4.5
a 6.5 mm; il mediano lungo da 7 a 10 mm; petali lunghi da 9 a 12.5 mm,
lineari; labello orientato verso il basso trilobo, a base biancastra guarnito
di papille rossastre, lobo mediano nastriforme, lungo da 35 a 65 mm, largo
da 2.5 a 3 mm, verdastro o rosso brunastro, disteso o fortemente ondulato, spiralato, con apice allargato e appena bifido; lobi laterali lungamente
acuminati, con lobo superiore fortemente ondulato, lunghi da 5 a 20 mm;
sperone sacciforme, lungo da 2.5 a 6 mm; ovario brevemente pedicellato,
ritorto. 2n=36
Status
Data l’esiguità del ritrovamento non è possibile fare valutazioni.
138
Note
Ho trovato questa specie il 15/06/2003:
si tratta probabilmente della prima segnalazione fatta a nord dello spartiacque
appenninico. Purtroppo si trattava di un
solo esemplare, alto circa 70 cm con
un’ottantina di fiori. Nel periodo immediatamente successivo il ritrovamento,
aiutato anche da amici, sono stati esplorati i dintorni in cerca di altri esemplari,
ma invano. Una curiosità: i fiori emanavano sì un profumo, ma non particolarmente sgradevole. Sovente le foglie tendono
a seccare quando ancora la pianta è in
fiore. Le foglie basali possono essere
danneggiate dalle gelate invernali.
139
ANACAMPTIS PYRAMIDALIS (L.) L.C.M. RICHARD 1817
G F M A M G L A S O N D
Orchis pyramidalis L.
Diffusione
Pyramidalis trae significato dalla forma
dell’infiorescenza: questa infatti, all’inizio
della fioritura, ha la forma piramidata.
Euro-mediterranea. In Italia: in tutto il
territorio. In provincia: dagli argini del
Po fino a 1500 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Praterie per lo più sassose e aride, su
terreno preferibilmente calcareo.
Da 20 a 60 (75) cm. Fusto gracile,
spesso flessuoso.
Fioritura
Da fine Aprile a Luglio.
Foglie
Da 4 a 12 lunghe da 7 a 26 cm, larghe da 0.5 a 2 cm. Le inferiori carenate,
da lanceolate a lineare-lanceolate, erette o debolmente ricadenti; le superiori
avvolgenti il fusto, progressivamente più piccole verso l’alto, fino a diventare,
le ultime, bratteiformi.
Infiorescenza
Molto densa, breve dapprima conica, poi ovale e allungata. Alta da 2.5
a 12 cm. Brattee strette, acuminate, lunghe ± quanto l’ovario, sfumate di
violetto.
Fiori
A volte debolmente profumati, rosa più o meno intenso (rarissimi bianchi).
Sepali laterali lunghi da 5 a 8 mm, sepalo mediano, dritto in avanti connivente
con i petali a formare un casco sopra il ginostemio, lungo da 4 a 6 mm;
sepali e petali ovato-lanceolati brevemente carenati. Labello lungo da 7 a
10 mm, cuneiforme, trilobo, più largo che lungo, con lobi pressochè uguali
o debolmente più stretto il centrale, provvisto alla base di due lamelle che
si protendono verso l’alto. Ginostemio ottuso con pollini verdastri uniti da
un solo retinacolo. Stimma bilobato con lobi disposti lateralmente in basso.
Sperone filiforme, volto verso il basso, lungo come o più dell’ovario. Ovario
subsessile, ritorto. 2n = 36, (54,63),72.
Status
Questa specie mantiene ancora un discreto numero di esemplari. Ciò è probabilmente dovuto all’ambiente in cui vive, solitamente sassoso e arido: in tali
ambienti arbusti ed erbe infestanti non riescono ad essere così aggressivi.
140
Note
Nella stagione ’87 è stata notata una
abbondante fioritura di questa specie su
un terreno che soli 4 anni prima aveva subito profondi lavori di sbancamento, con
mezzi meccanici. Evidentemente questa
orchidea è in possesso di una capacità
germinativo-vegetativa molto veloce. Nel
caso di altre orchidee spontanee italiane,
invece, possono passare dai 10 ai 15 anni
prima che da un seme germinato possa
spuntare una pianta a fiore. Il dato si riferisce al quadrante 1023-3. Nel quadrante
1323-2 a quota 1000 m ho osservato
una stazione piuttosto abbondante con
fiori insolitamente molto rossi. Dopo attenti controlli, ho potuto verificare che le
differenze riguardano solo il colore, mentre il labello e lo sperone non evidenziano
differenze: pertanto posso escludere che
si tratti della sottospecie A. pyramidalis
subsp. tanayensis (Chenevard) Quentin
1993, come ipotizzato da qualcuno.
141
SERAPIAS NEGLECTA DE NOTARIS 1858
Il nome specifico deriva dal latino
neglectus e significa “trascurata, mal
conosciuta” e allude al fatto che per lungo
tempo è stata sottovalutata dai botanici;
veniva infatti considerata una varietà di
S. cordigera L.
Pianta
Da 10 a 30 (35) cm, fusto robusto
con base non maculata.
G F M A M G L A S O N D
Diffusione
Endemica tirrenica, diffusa per lo più in
Toscana, Liguria. In Francia lungo la costa,
per un breve tratto, e in Corsica. Alcuni
piccoli popolamenti sono presenti anche
in Piemonte, nelle Langhe e in Emilia. In
provincia due ritrovamenti.
Ambiente
Da 350 a 450 m s.l.m., in pieno sole o
mezz’ombra, prati abbandonati, scarpate, su
terreno calcareo. Questo dato è in contrasto
con quanto viene riportato dalle maggiori
pubblicazioni, secondo le quali la specie vive
su terreni basici o debolmente acidi.
Fioritura
Maggio.
Foglie
Da 4 a 8, lunghe da 6 a 12 cm, da dritte a pendenti, lanceolate, canaliculate; le superiori abbraccianti, bratteiformi, l’ultima arriva o supera di poco
la base dell’infiorescenza.
Infiorescenza
Densa, con 3 o 12 (15) fiori. Brattee un po’ più corte del fiore quando è in
boccio, dello stesso colore del casco tepalico, grigio-rossastro, con nervature
marcatamente più scure.
Fiori
Grandi, lievemente profumati; sepali lunghi da 19 a 28 mm, larghi da 5 a
7 mm, petali un po’ più corti, larghi da 4 a 7 mm, molto scuri, con base
orbicolare; labello trilobo, lungo da 28 a 45 mm, di colore variabilissimo,
da rosso porporino a rosso mattone, rosa salmone, giallastro; base munita
di due callosità separate, parallele, fauce con una densa pelosità biancastra; ipochilo lungo da 3 a 19 mm, largo da 21 a 26 mm, con lobi laterali
generalmente più scuri, incurvati verso l’alto, sporgenti dal casco tepalico;
epichilo lungo da 19 a 30 mm, largo da 14 a 22 mm, ovale, cordato-acuto,
con bordi rialzati, un po’ ondulati, piegato in basso o riflesso; ginostemio
con pollini verdastri. 2n=36
Status
Data l’esiguità dei ritrovamenti, non è possibile fare valutazioni. Si può però
rilevare come gli ambienti in cui sono stati fatti questi ritrovamenti stiano
scomparendo, fagocitati da arbusti infestanti.
142
Note
Ho trovato questa specie il 15.5.1990,
in Val Luretta, nel quadrante 1122-2, in
una zona franosa presso Case Colombani,
nel comune di Piozzano. Nello stesso
periodo i sigg. Remo Schiavi e Giovanni
Zanchieri ne segnalavano un’altra stazione in Val d’Arda, nel quadrante 1224-2,
in una zona incolta, appena a monte del
Lago di Mignano, comune di Morfasso.
Nella stessa stagione, si è poi saputo di
altri ritrovamenti fatti in altre parti della
regione: si trattava di ritrovamenti singoli
o di pochissimi esemplari, così come nel
caso dei due ritrovamenti piacentini. La
fioritura non si è più ripetuta nelle annate
successive. Di fronte a questa situazione,
il parere degli esperti è che la specie raggiungerebbe, nei primi rilievi appenninici,
il limite Nord del suo areale: la pianta
sarebbe sempre presente almeno a livello
fogliaceo, ma riuscirebbe a produrre uno
stelo fiorifero solo nelle annate particolarmente favorevoli.
143
SERAPIAS VOMERACEA (N.L. BURMAN) BRIQUET 1910
G F M A M G L A S O N D
Serapias longipetala (Ten.) Pollini
Diffusione
Vomeracea deriva dal latino vomer, simile al
vomere; si riferisce alla forma leggermente
piegata che assume il labello a fine fioritura.
Euro-mediterranea. In Italia: in tutte le
regioni, escluse Valle d’Aosta e Sardegna, più rara al nord. In provincia: più
comune nella parte est.
Ambiente
Luoghi incolti, più o meno aridi.
Pianta
Fioritura
Da 10 a 40 (55) cm. Fusto verde
chiaro con punteggiatura rossa in
basso, rosso-porporino in alto.
Maggio, Giugno.
Foglie
Da 4 a 8 lunghe da 7 a 20 cm. Le inferiori lineare-lanceolate, erette o ricadenti, canaliculate-carenate; da 1 a 3 foglie caulinari, avvolgenti, bratteiformi.
Infiorescenza
Lassa e allungata, composta da 3-8 (10) fiori. Brattee acuminate superanti
in lunghezza i fiori di colore grigio-violaceo o rosso-porporino, con striature
longitudinali scure, lunghe fino a 70 mm, larghe 20 mm, simili nell’aspetto
ai sepali.
Fiori
Grandi sepali lunghi da 18 a 20 mm, larghi da 4 a 8 mm, lanceolati, saldati
tra loro a formare un casco diretto obliquamente in avanti; petali lunghi da
18 a 28 mm, larghi da 4 a 8 mm, lineare-acuminati, nascosti completamente
dagli esterni. Il labello lungo da 27 a 45 mm, di colore rosso scuro, trilobo
e articolato in due parti. Ipochilo lungo da 11.5 a 17 mm, largo da 16 a
25 mm, quasi completamente racchiuso nel casco tepalico e provvisto alla
base di due callosità lineari e parallele con bordi arrotondati, rivolti verso
l’alto; epichilo lungo da 17 a 30 mm, largo da 7 a 13.5 mm, provvisto di una
peluria chiara al centro, rivolto verso il basso o riflesso all’indietro. Sperone
assente. 2n = 36
Note
Status
Questa specie risente delle stesse problematiche che investono specie di
altri generi. E’ in arretramento a causa dell’avanzata di arbusti infestanti.
144
All’interno dei popolamenti rinvenuti in
provincia sono presenti parecchi esemplari esili, bassi, con l’infiorescenza piuttosto lassa; queste piante corrispondono
alla descrizione di S. vomeracea subsp
laxiflora (Soò) Gölz & H.R. Reinhard.
145
OPHRYS APIFERA HUDSON 1762
G F M A M G L A S O N D
Ophrys arachnites Mill.
L’aggettivo specifico deriva dalle parole latine apis
apis,
ape e fero, porto: portatrice di api. Si tratta della
specie di Ophrys con i caratteri più stabili o
comunque poco variabili. In questa specie avviene,
non di rado, l’autoimpollinazione: essendo l’antera
molto piegata in avanti, i pollinii, giunti a maturazione
si piegano, mediante il rilassamento delle caudicole e
si appoggiano allo stimma.
Pianta
Fioritura
Da 20 a 60 cm.
Maggio, Giugno.
Diffusione
Euro-mediterranea. In Italia: in tutto il
territorio. In provincia: rara, sporadica,
dai primi rilievi fino ai 1200 m s.l.m.
Ambiente
Su terreno calcareo, praterie, pascoli
anche molto umidi.
Foglie
Di colore verde chiaro, le basali riunite in rosetta, lunghe da 5 a 12 cm, larghe da 0.6 a 1.6 cm, da ovato-lanceolate a oblunghe, talvolta con margini
ondulati; le superiori guainanti il fusto.
O. a. var. aurita
Infiorescenza
Lassa, da 2 a l0 fiori, lunga fino a 25 cm. Brattee anche più lunghe dei
fiori.
Note
Fiori
Sepali lunghi da 10 a 17 mm, larghi da 6 a 9 mm, ovale-ottusi, patenti o
ribattuti; il colore va dal rosa più o meno carico con venature verdi, al bianco,
sempre con venature verdi; petali lunghi da 1 a 3 mm, larghi 1 mm, di forma
subtriangolare, acuti all’apice, auricolati alla base, pubescenti, verdastri
o rosati. Labello trilobo lungo da 9 a 15 mm; lobi laterali formati da due
gibbosità basali, prolungantisi in avanti, molto pelose; lobo mediano molto
bombato, di forma ovale; appendice terminale quasi sempre poco visibile
per la forte riflessione del lobo stesso. Colorazione del labello marrone più
o meno intenso; disegno formato da una macchia ovoidale rossastra, posta
nella parte basale, bordata da due linee spesso irregolari, bianche o giallastre; spesso presenti alcune macchie chiare anche nella parte inferiore del
labello. Ginostemio con connettivo lungo, acuto piegato ad “S”. Ovario non
ritorto di forma lineare-allungata, piegato in avanti. 2n=36
O. a. var. botteroni
O. a. var. chlorantha
Status
I luoghi dove questa specie
vive sono sempre più spesso
infestati dall’edera: quando
questo accade non resta che
registrarne la sparizione.
146
La specie è prevalentemente autogama.
Non si rileva la variabilità che c’è, ad
esempio, in altre specie del genere;
tuttavia vengono segnalate numerose
varietà, tre delle quali, posso confermare,
presenti in provincia:
- O. apifera var. aurita Moggridge. Si
caratterizza per avere i petali lunghi
la metà dei sepali, verdastri, stretti,
ricoperti da una fitta peluria; è la più
comune delle tre.
- O. apifera var. chlorantha (Hegestschw) Ricter. Caratterizzata dal
labello completamente giallo e dai
sepali bianchi.
Di questa entità, fino ad una decina
di anni fa, ne conoscevo almeno
4 stazioni con numerosi esemplari
frammisti ad esemplari della specie
tipo; attualmente in queste stazioni è
presente soltanto qualche esemplare
della specie tipo.
- O. apifera var. botteroni (Chodat)
Ascherson & Graiebner. Ha i petali
grandi quasi come i sepali. Di questa
entità posso segnalare pochissimi
ritrovamenti in provincia: non più di
tre esemplari.
147
OPHRYS BENACENSIS (REISIGL)
G F M A M G L A S O N D
O. & E. DANESCH & EHREND 1972
Ophrys bertolonii Moretti
Diffusione
Benacensis deriva da Benacus: Lago di Garda.
Subendemica. In Italia: in tutte le regioni
del nord, esclusa la Valle d’Aosta. In
provincia: nella bassa, lungo i greti stabilizzati dei fiumi e dei torrenti; in collina,
poco oltre i 600 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 8-10 a 35 cm. Fusto robusto in
basso, flessuoso verso l’alto.
Da metà Aprile a Giugno.
Praterie, prati incolti, pascoli sassosi, su
suoli calcarei.
Foglie
Lunghe da 3 a 12 cm, larghe da 0.7 a 2.5 cm; da 6 a 12 inferiori, riunite in
rosetta, piuttosto piccole e lanceolate; le cauline abbraccianti il fusto.
Infiorescenza
Con 3-8 fiori molto distanziati. Brattee più lunghe e uguali all’ovario.
Fiori
Grandi e vistosi. Sepali lunghi da 10 a 18 mm, larghi da 4 a 8 mm, oblunghi
o oblungo-ovati, di colore variabile da rosa a rosso più o meno carico o
bianco con venature verdi; petali lunghi da 8 a 13 mm, larghi da 2.5 a 4
mm, lanceolato-lineari, un po’ auricolati alla base con bordo leggermente
ondulato di colorazione più marcata rispetto ai sepali. Labello lungo da 14
a 20 mm, a forma di sella, intero o leggermente trilobo, di colore marroneporporino scuro, ricoperto da folta peluria; specchio di forma piuttosto
variabile, posto nella metà distale di colore bluastro, lucido. Munito alla base
di due piccole protuberanze e di un’appendice ben sviluppata rivolta in su e
posta in una smarginatura del bordo, all’apice. Cavità stigmatica arrotondata
più larga che alta con due ocelli basali nerastri, brillanti. Ginostemio lungo,
acuto; connettivo munito di rostro. 2n=36
Status
La specie, pur mantenendo ancora una discreta
presenza, è in calo, a causa della riduzione degli
ambienti vitali.
148
Note
Entità più conosciuta col nome di O.
bertolonii, in realtà questa specie è presente nel centro-sud Italia: si differenzia
da O. benacensis principalmente per
avere il labello piegato a sella e per la
cavità stigmatica che anziché essere
arrotondata è quadrangolare, più alta
che larga. I popolamenti del territorio
piacentino devono ritenersi una forma di
passaggio tra le due specie: pur essendo
sicuramente più vicini ad O. benacensis,
tuttavia, si deve rilevare che una buona
percentuale di questi esemplari ha il
labello piegato a sella, mentre un po’
più raro è trovare esemplari con la cavità
stigmatica rialzata.
149
OPHRYS FUCIFLORA (F. W. SCHMIDT) MOENCH 1802
G F M A M G L A S O N D
Ophrys holoserica (N.L. Burmüller) W. Greuter
Il nome fuciflora è di origine latina, ed è
composto da fucus, fuco e flos, floris, fiore:
fiore a forma di ape; si riferisce alla forma del
labello. Trattasi di specie molto poliforma. Si
rimane stupiti di fronte a esemplari o a vere
stazioni con caratteristiche totalmente
diverse rispetto alla forma tipica.
Pianta
Fioritura
Da 10 a 40 (50) cm. Fusto robusto.
Da metà Aprile a metà Giugno.
Diffusione
Euro-mediterranea. In Italia è presente
in tutte le regioni. In provincia comune
in collina. Alcuni esemplari ritrovati
oltre i 1000 m (Monte Albareto 1257
m s.l.m.).
Ambiente
Praterie aride e sassose, anche in boschi
soleggiati.
Foglie
Lunghe da 4 a 8 cm, larghe da 0.8 a 2.8 cm, di colore verde chiaro con
sfumature grigiastre, riunite in rosetta basale ovato-oblunga, patenti o più
o meno erette; una o due foglie cauline acuminate, abbraccianti.
Infiorescenza
Lassa, formata generalmente da 2 a 5 (12) fiori. Brattee più lunghe degli
ovari.
Fiori
Più o meno grandi. Sepali lunghi da 9 a 14 mm, larghi da 5 a 9 mm, ovali,
roseo-rossastri o bianchi con venatura centrale verde; i laterali da patenti
a riflessi, il mediano incurvato in avanti; petali lunghi meno della metà dei
sepali, di colore generalmente più intenso, di forma triangolare. Labello lungo
da 9 a 14 mm, largo da 13 a 18 mm, variabilissimo, di forma più o meno
rettangolare, molto allargata in basso, da piano a concavo; gibbosità basali
quasi assenti o molto lunghe, fino a 5 mm ed appuntite. Colore variabile:
dal marrone più o meno intenso al rosso molto scuro, talvolta bordato da
una larga banda gialla. Disegno per lo più a forma di “H”, bordato da linee
o macchie bianche, giallastre o giallo-verdastre. Appendice intera o trifida,
glabra, rivolta generalmente in avanti. Cavità stigmatica ampia, con alla base
due ocelli nerastri. Ginostemio con connettivo corto e acuto. 2n=36
Note
Status
Pur mantenendo una discreta
presenza, la specie sta subendo un forte arretramento
dovuto ai soliti problemi:
aumento degli infestanti e
notevole presenza del cinghiale.
150
Specie assai variabile. Nel corso degli ultimi vent’anni, si è riscontrato la presenza
di individui o vere e proprie stazioni con
caratteristiche verso O. scolopax cavenilles
(labello molto convesso, gibbosità molto
pronunciate). Nell’ultimo decennio si è
avuta la percezione di una tendenza, già
notata in altre specie: le forme variabili
tendono a sparire e i popolamenti si
presentano sempre più puri.
151
OPHRYS FUCIFLORA subsp. ELATIOR
G F M A M G L A S O N D
(GÜMPRECHT ex H.F. PAULUS) ENGEL & QUENTIN 1997
Ophrys elatior Gümprecht ex H.F. Paulus
Diffusione
Elatior deriva dal latino e significa “più grande”
e fa riferimento all’altezza della pianta,
nettamente più alta di O. fuciflora.
Euro-mediterranea. In Italia la distribuzione è ancora incerta. In provincia tre
stazioni, due nel quadrante 1023-3, a
quota 450 m s.l.m., l’altra nel quadrante
1224-1, a quota 750 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 25 a 55 (60) cm, fusto esile.
Mediamente 15 giorni dopo O.
fuciflora
Terreni abbandonati, piuttosto asciutti,
calcarei.
Foglie
Generalmente un po’ più piccole che in O. fuciflora, verde glaucescente. A
seconda dell’andamento stagionale, possono essere già secche al momento
della fioritura. Si è notato che questo succede nelle stagioni in cui avvengono
forti rialzi di temperatura.
Infiorescenza
Lassa, con 3 o 12 fiori piuttosto piccoli; brattee, le prime superanti i fiori in
lunghezza, poi più corte, ma mai più dell’ovario.
Fiori
Sepali lunghi da 9 a 13 mm, larghi da 4.5 a 5 mm, bianchi o rosa ± carico, con
nervatura centrale ± verde, ovali, concavi, piegati in avanti; sepalo mediano
dritto o sovente piegato in avanti, sopra il ginostemio; petali lunghi da 4 a
6 mm, larghi da 2 a 3.5 mm, da rosa ± carico a bianco o roseo, vellutati, di
forma ± triangolare; labello lungo da 7 a 11 mm, largo da 8.5 a 13.5 mm,
intero, quadrangolare-arrotondato, con gibbosità sottili e aguzze, poco pronunciate o sovente assenti; da piano, con apici laterali rialzati, a ± convesso,
munito di una leggera peluria, soprattutto al margine, di colorazione molto
variabile, ± simile a O. fuciflora, ma con tonalità più accentuate; disegno ±
semplice, a forma di “H”, o più complesso ed elaborato, che a volte interessa
anche la faccia interna delle gibbosità; apicolo arrotondato o trifido, piegato
± in avanti, giallo o giallo-verdastro; cavità stigmatica ampia, dello stesso
colore del campo basale, munita di due ocelli nerastri, brillanti; ginostemio
corto, appuntito. 2n=72
Status
Nella località del primo ritrovamento, se pur a fasi
alterne, le popolazioni sono
andate aumentando: da 5-6
piante a fiore nei primi anni
si è passati a oltre 35 nelle
annate migliori. Purtroppo la stazione è minacciata
da arbusti infestanti, la cui
avanzata ho ritenuto opportuno contenere effettuando,
all’occorrenza, dei tagli.
152
Note
Entità la cui posizione sistematica è
alquanto incerta. I dati da me raccolti
dal 1985 (anno del ritrovamento), propendono in linea di massima per questa
scelta sottospecifica, anche se gli esemplari da me trovati sono notevolmente
più bassi e il periodo di fioritura non è
mai così tardivo. Inoltre questa scelta
sottospecifica è motivata dal fatto che, a
mio parere, pur esistendo delle diversità
rispetto a O. fuciflora, non sono tali da
giustificarne la riconduzione ad un’entità
specifica, a se stante.
153
OPHRYS FUSCA LINK 1800
G F M A M G L A S O N D
Diffusione
Fusca deriva dal latino fuscus e significa
“scura”: il termine si riferisce alla
colorazione del labello.
Steno-mediterranea. In Italia: in tutte
le regioni a sud dell’Emilia-Romagna,
limite settentrionale della specie. In
provincia: in tutte le maggiori valli fino
ai 600 m s.l.m.
Ambiente
Pianta
Fioritura
Da 8-20 (25) cm. Fusto esile e
flessuoso.
Maggio, inizio Giugno.
Pascoli più o meno aridi e sassosi, su
suolo basico o argille scagliose.
Foglie
Da 3 a 4, verde chiaro con sfumature glauche, lunghe da 3 a 6 cm, le basali
riunite in rosetta, oblungo-lanceolate, ottuse, sormontate da una o due
foglie, lanceolato-acute, avvolgenti il fusto.
Infiorescenza
Lassa o addensata, formata da 2 a 10 fiori. Brattee larghe, piegate a doccia,
con apice ottuso, più lungo dell’ovario.
Fiori
Sepali lunghi da 10 a 13 mm, larghi da 5 a 6.5 mm, verde-giallastri, ovali,
con apice ottuso, concavi, con margine revoluto, patenti i laterali; curvo
nettamente in avanti il mediano, con apice arrotondato. Petali lunghi da 7 a
8 mm, larghi da 1 a 2.5 mm, di colore verde-giallastro o giallo brunastro,
spesso ondulati ai margini, con apice tronco od ottuso. Labello lungo da 10
a 14 mm, largo da 9 a 11 mm, vellutato, di colore bruno porporino scuro,
con specchio grigio o azzurro, con zone più scure; margini revoluti e bordati
di giallo; trilobo, con lobi laterali indistinti o più o meno incisi; lobo mediano
più lungo, diviso a sua volta (non sempre) in due lobuli. Cavità stigmatica
ampia, ginostemio coperto dal tepalo mediano connettivo, con rostro corto
ad apice ottuso. 2n=36
Note
Status
Pianta di statura assai bassa. La stragrande maggioranza degli esemplari non
supera i 15 cm; questa sua caratteristica la rende molto vulnerabile nei confronti di erbe che, non essendo più tagliate dall’uomo o pascolate da animali,
anno dopo anno, creano una sorta di materasso inestricabile. Non a caso le
zone dove questa specie è più abbondante si trovano nei quadranti 1124-4
e 1224-2: in quest’area vi pascola saltuariamente un gregge di ovini.
154
Questa specie è stata trovata per la prima
volta in provincia nel 1985 nel quadrante
1122-2, vicino alla località Termine Grosso. Negli anni a seguire, i ritrovamenti
sono avvenuti un po’ ovunque nella fascia
collinare che va dai 350 ai 600 m s.l.m.
I popolamenti più consistenti si trovano
nella parte est della provincia.
155
OPHRYS INSECTIFERA LINNEO 1753
G F M A M G L A S O N D
Ophrys muscifera Huds.
Il nome insectifera, portarice di insetti,
è certamente indovinato; infatti ad
un’occhiata disattenta, i suoi fiori si
possono facilmente scambiare per
grossi insetti.
Diffusione
Europea. In Italia: nelle regioni del nord
e del centro. In provincia: sporadica, dai
boschi pedecollinari ai 1200 m s.l.m., più
comune nella fascia intermedia.
Ambiente
Pianta
Prati magri, anche sassosi, boschi radi e
luminosi per lo più querceti.
Da 15 a 50 (60) cm. Fusto esile,
diritto.
Fioritura
Aprile, Maggio.
Foglie
Da 3 a 5, glaucescenti, le inferiori patenti oblungo-lanceolate, da 2 a 3 le
superiori, strettamente lanceolate, avvolgenti il fusto.
Infiorescenza
Lunga fino a 20 cm. Lassa con 2 o 20 fiori, più o meno addensata verso
l’alto. Brattee lanceolato-acute; le inferiori più lunghe dell’ovario, decrescenti
verso l’alto.
Fiori
Più piccoli che nelle altre specie di Ophrys. Sepali lunghi da 6 a 10 mm, larghi
da 3 a 4.5 mm, di colore verde chiaro, con nervature più evidenti, lanceolati, ottusi, con margini ripiegati lievemente in avanti, leggermente concavi;
patenti i laterali; petali di colore bruno-scuro, lunghi da 5 a 8 mm, dritti,
filiformi, pubescenti, solitamente dritti in avanti. Labello lungo da 9 a 13
mm, largo da 5 a 11, di colore variabile: da bruno-porporino a bruno-scuro
con al centro una macchia cinerina o blu-grigiastra; di aspetto vellutato,
pendente; trilobo, leggermente convesso, base munita di due ocelli lucenti,
emisferici; lobi laterali stretti e corti; lobo mediano nettamente più lungo
e più largo dei laterali, a sua volta bilobo. Cavità stigmatica stretta, senza
pareti laterali. Ginostemio con connettivo privo di rostro; logge polliniche
rossastre. 2n=36
Status
Probabilmente per la sua presenza sporadica sul territorio, sembra risentire
meno di altre specie dei cambiamenti ambientali.
156
Note
Specie assai discreta, presente in vari
ambienti, ma mai in abbondanza: si
rinvengono per lo più esemplari isolati.
Solo eccezionalmente si possono trovare
gruppi di oltre 10 piante, raggruppate
assieme.
157
OPHRYS SPHEGODES MILLER 1768
G F M A M G L A S O N D
Ophrys aranifera Hudson
Etimologicamente sphegodes deriva dal greco
sphex, sphekos, e si riferisce al labello: significa
infatti simile a vespa. I fiori di questa specie,
subito dopo l’antesi, tendono a perdere vivacità
nei colori. Inoltre le piante vengono spesso
danneggiate dalle gelate tardive.
Pianta
Fioritura
Da 10 a 45-50 cm. Fusto esile.
Da fine Febbraio ad Aprile.
Diffusione
Euro-mediterranea. In Italia: in tutto
il territorio; in provincia: nella fascia
collinare.
Ambiente
Terreni incolti, frane più o meno assestate su suolo preferibilmente calcareo.
Foglie
Da 3 a 6, di colore verde chiaro, con sfumature grigiastre, le basali riunite in
rosetta, oblungo-lanceolate, con apice mucronato; le superiori, strettamente
lanceolate, avvolgenti il fusto.
Infiorescenza
Lassa. Brattee più lunghe dell’ovario, le inferiori; le superiori, mai più corte
dell’ovario.
Fiori
Sepali lunghi da 9 a 14 mm, larghi da 4 a 6 mm, generalmente verde-chiaro, talvolta sfumati di bruno, concavi, ovale-oblunghi, con bordo revoluto;
laterali patenti; il mediano eretto o piegato obliquamente in avanti; petali
lunghi da 4 a 10 mm, larghi da 3 a 5 mm, di colore giallastro o brunastro,
lineare-lanceolati, ottusi, con margine ondulato. Labello lungo da 10 a 16
mm, largo da 9 a 15 mm, munito di una fitta pelosità marginale, variabilissimo
per colorazione e forma, intero, raramente trilobo, convesso, con gibbosità
basali più o meno pronunciate, vellutato, di colore bruno o bruno-rossastro. Disegno a forma di “H” o talvolta di forma più complicata, di colore
brunastro, blu scuro o blu violetto. Spesso presente una piccola appendice
apicale. Cavità stigmatica ampia, arrotondata, munita di due ocelli lucenti.
Ginostemio con connettivo corto, da acuto a ottuso. Ovario verde chiaro,
cilindrico, leggermente ritorto. 2n=36
Status
Questa entità è quella che, nel genere Ophrys, ha subito la più drastica perdita di esemplari da vent’anni
a questa parte. I motivi sono presumibilmente i
soliti: perdita di ambienti a causa di infestanti,
presenza massiccia del cinghiale.
158
Note
In una stazione in Val Tidone (Rocca d’Olgisio), dove esiste un particolare microclima di tipo mediterraneo, la fioritura inizia
di solito già a fine febbraio. E’ specie
dotata di un notevole polimorfismo: ad
essa vengono attribuite numerose sottospecie e varietà, alcune delle quali, fino a
pochi anni fa, erano presenti all’interno
dei normali popolamenti:
- O. sphegodes subsp. sphegodes Miller.
- O. sphegodes subsp. litigiosa (Camus)
Bechereri
- O. sphegodes subsp. garganica Nelson
La presenza, sul territorio provinciale, di
sottospecie e varietà non era un tempo
affatto rara. Nella fase di rarefazione che
sta subendo la specie, però, queste varianti sembrano essere le più vulnerabili,
tant’è che, anno dopo anno, i popolamenti si presentano sempre più puri, privi
della consueta variabilità.
159
IBRIDAZIONE
Benchè in natura siano abbastanza rigide
le barriere che impediscono lo scambio
genetico tra specie diverse, l’ibridazione
naturale nell’ambito della famiglia delle
orchidee è un fenomeno abbastanza
frequente e può avvenire sia tra specie
diverse, sia tra generi diversi, anche se in
quest’ultimo caso il fenomeno è meno
frequente. Ciò significa che anche se
ci troviamo di fronte a due specie morfologicamente diverse, i loro patrimoni
genetici sono altamente compatibili. Di
solito per ibrido si intende un individuo
che presenta caratteristiche intermedie
tra le specie genitrici e questo in linea di
massima è sicuramente vero, anche se a
volte può capitare che i caratteri di una
specie prevalgano sull’altra. Le orchidee
nel corso dell’evoluzione hanno messo a
punto dei meccanismi di isolamento, per
impedire cioè il flusso dei geni da una
specie all’altra, basandosi soprattutto
sulla specificità degli insetti impollinatori
che però, si sa, non è assoluta. È proprio
grazie alla visita accidentale di questi
insetti ed al conseguente trasporto dei
pollinidi da una specie all’altra, che si innesca il processo dell’ibridazione. In certi
casi gli ibridi, detti occasionali, sono sterili e sono presenti in zone dove vivono le
specie genitrici. In altri casi sono fecondi
e danno vita a numerose popolazioni, con
la possibilità di reincrociarsi non solo tra
di loro, ma anche con le specie parentali.
Si hanno quindi popolazioni ibridogene
che con il continuo reincrociarsi possono
soppiantare più o meno completamente
i genitori. Queste popolazioni sono in
possesso di una notevole variabilità
morfologica e pertanto sono difficilmente
classificabili con precisione. Esempi in tal
senso si hanno in provincia nei generi
Ophrys e soprattutto Dactylorhiza.
Gli ibridi vengono indicati secondo il
Codice Internazionale di Nomenclatura
Botanica. Se si tratta di ibrido interspecifico viene aggiunto un segno di
moltiplicazione tra il nome del genere e
il nome imposto (es. ibrido fra O. pallens
e O. provincialis = Orchis x plessidiaca
Renz). Se invece si tratta di ibrido intergenerico il segno di moltiplicazione
160
viene posto davanti al nuovo nome
formato dall’unione di parte di ciascuno
dei due generi parentali (es. ibrido fra
Nigritella nigra e Gymnadenia conopsea
= x Gymnigritella suaveolens Wettstein).
Data la complessità del problema, mi
sono limitato in questa pubblicazione a
riportare le forme di ibrido più evidenti,
tralasciando tutte quelle forme su cui non
vi è assoluta certezza.
h
e
l
Ibridi: a-Orchis coriophora subsp. fragrans x
Orchis morio = Orchis x olida Breb. 1936,
b-Ophrys fuciflora x Ophrys apifera = Ophrys
x albertiana Cam. 1891, c-Ophrys insectifera
x Orchis benacensis = Ophrys x daneschiana
Schrenk 1981, d-Cephalanthera damasonium
x Cephalanthera longifolia = Cephalanthera
x schulzei Cam. et Ber. 1908, e-Dactylorhiza incarnata x Gymnadenia conopsea = x
Dactylodenia vollmannii (Schulze) Peitz 1972,
f-Orchis mascula x Orchis provincialis = Orchis
x penzigiana Cam. 1929, g-Nigritella rhellicani
x Pseudorchis albida = Pseudadenia micrantha
Kern, h-Orchis purpurea x Orchis simia =
Orchis x angusticruris Franch. Ap. Humiki
1907, i-Dactylorhiza maculata x Gymnadenia
conopsea = x Dactylodenia legrandiana (Cam.)
Peitz 1972, l-Ophrys fuciflora x Ophrys benacensis = Ophrys x baldensis Delforge 1989,
m-Orchis tridentata x Orchis ustulata = Orchis
x dietrichiana Bogenh, n-Gymnadenia conopsea
x Nigritella rhellicani = x Gymnigritella suaveolens
Wettstein.
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c
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m
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d
i
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BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA
GLOSSARIO
GLOSSARIO
ACUMINATA Terminante con una lunga punta
ACUTA Terminante a punta
AFILLO Fusto privo di foglie
AGAMICA Lo è la propagazione per mezzo di bulbi,
stoloni radicanti, ecc.
ALLOGAMIA Fecondazione incrociata fra gameti di
due fiori distinti
ANTERA Parte terminale di uno stame dove si trova
raccolto il polline
ANTOCIANO Pigmento azzurro rosso o violetto
APOCRONIA Fiori con colorazione scarsa
APPENDICE Escrescenza all’apice del labello, in
alcune specie di orchidee (es. Ophrys)
ASCENDENTE Fusto alla base orizzontale, poi
piegato verso l’alto
ATROFICO Organo che non è più in grado di svolgere le sue funzioni
AUTOFECONDAZIONE È l’opposto della fecondazione incrociata (una pianta feconda i propri
ovari col suo stesso polline)
AUTOGAMA Di una specie che pratica l’autoimpollinazione
AUTOTROFIA Capacità che hanno le piante di costruire le sostanze organiche proprie, partendo
da sostanze inorganiche
AVVENTIZIO Un organo che si forma lontano
dall’apice vegetativo di un asse e quindi su
parti adulte
BASALE Situato alla base del fusto (es. rosetta
basale)
BRATTEA Piccola foglia situata alla base del peduncolo fiorale
BRATTEIFORME Che ha forma di brattea
BULBILLO Piccolo bulbo che permette la riproduzione asessuata della pianta
CALLOSITA’ Sorta di rigonfiamento presente sulla
superficie del labello di alcune orchidee (es.
Serapias)
CAPSULAFrutto secco, contenente numerosissimi
semi
CASCO L’insieme dei tepali esterni e dei laterali
interni che possono essere riavvicinati o saldati
a forma di cappuccio
CAUDICOLA Il pedicello dei pollinii
CAULINARE Es. foglie inserite sul fusto
CRENULATO Bordo che presenta piccole increspature
DIGITATO Disposto come le dita di una mano
ENTOMOFILIA Impollinazione ad opera degli
insetti
EPICHILO La parte distale del labello di certe orchidee (es. Epipactis, Serapias) separato dalla
parte basale da una strozzatura.
EPIFITA Si dice di pianta che cresce appoggiandosi
ad un’altra
EPIGEI Le parti delle piante che sono fuori dal
terreno
ETEROTROFIA Le proprietà di costruire le sostanze
organiche del proprio corpo partendo da sostanze organiche già elaborate da organi autotrofi
GEOFITA Pianta con apparato radicale sotterraneo
GIBBOSITA’ Protuberanza più o meno accentuata
GINOSTEMIO Insieme degli organi maschili e
femminili nelle orchidee
162
GLABRO Senza peli
IBRIDO Prodotto dall’incrocio di due specie
diverse
INFERO Si dice di un ovario situato internamente
sotto il perianzio
IPOCHILO Parte basale del labello di alcune orchidee (es. Epipactis, Serapias, Cephalanthera)
IPOGEI Le parti sotterranee delle piante
LABELLO Tepalo mediano interno che differisce dagli
altri per forma, dimensione e colore
LASSA (Infiorescenza lassa), cioè con fiori piuttosto
distanziati
LOBATO Provvisto di lobi
LOGGIA Cavità dell’antera contenente i pollini
MASSA POLLINICA Formata dall’insieme dei
granuli pollinici
MICORRIZA È l’associazione di microscopici funghi
radicali e delle radici delle orchidee
MICOTROFA Pianta che vive in simbiosi con un
fungo in ogni fase del suo ciclo vitale, dipendendone almeno parzialmente per il nutrimento
MONOFILETICO Organismo che si suppone sviluppato da una sola forma primitiva
NETTARE Sostanza dolciastra che serve ai fiori per
attirare gli insetti
PAPILLA Piccola rugosità o protuberanza presente
in ciuffetti sul labello di alcune orchidee (es.
Orchis purpurea)
PATENTE Organo che forma con il supporto sul
quale è inserito un angolo quasi retto
PAUCIFLORA Infiorescenza che in confronto con
altre analoghe ha una scarsa quantità di fiori
POLIFORMA Che può assumere forme diverse
PUBESCENTE Organo coperto di morbida e
minuta peluria
RIZOMA Fusto sotterraneo simile ad una radice
disposto orizzontalmente od obliquamente
nel terreno
SACCIFORMEA forma di sacco
SAPROFITA Pianta priva o quasi di clorofilla, che
si nutre a spese delle sostanze organiche del
suolo
SESSILE Organo sprovvisto di picciolo ben differenziato
SINONIMO Indica la stessa entità
SOTTOSPECIE Suddivisione della specie che raggruppa individui ben distinti morfologicamente
dai rappresentanti tipici della specie e che a
volte occupano aree diverse di distribuzione
SPERMATOFITE Piante caratterizzate dalla presenza
di fiori, sono considerate le più evolute del
Regno Vegetale
STENOCORO Di una specie ristretta ad una determinata zona
SUBSP. Sottospecie
TERMOFILA Che ama il calore
TRILOBO Con tre lobi
TUBERO Organo sotterraneo ingrossato nel quale
si accumulano sostanze di riserva
VARIETA’ Gruppo nel quale si riuniscono popolazioni di una specie, differenti dalle popolazioni
tipiche per caratteri particolari, non sempre ben
definiti
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Dal 1994 opera in Italia l’Associazione Orchidofila
G.I.R.O.S. (Gruppo Italiano per la Ricerca di Orchidee
Spontanee): Segreteria – Via Rosi 21, 55100 Lucca (Tel.
0583-492169).
Questo gruppo, oltre a riunire qualche centinaio tra
esperti e appassionati, pubblica regolarmente un
notiziario.
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2005 da
GRAFITALIA Industrie Grafiche
Via Raffaello, 9 - Reggio Emilia
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