LA STRUTTURA DELLA TERRA: UN RIEPILOGO La struttura interna della Terra, a causa dei lenti e grandiosi movimenti di materia, causa, nel corso di milioni di anni, la modifica della posizione e della forma dei continenti che sono all’origine dell’attività vulcanica e di quella sismica. Abbiamo visto come lo studio delle onde sismiche (P e S) permetta di gettare uno sguardo nel profondo del nostro pianeta, inaccessibile all’osservazione diretta, e di comprendere come la Terra è costituita da tre strati o involucri principali, diversi per composizione chimica, densità e temperatura: la crosta terrestre, il mantello e il nucleo. Il confine tra ogni strato e quello successivo è delimitato da superfici di discontinuità, segnalate da brusche variazioni della velocità e della direzione delle onde sismiche. Osserviamo un po’ più da vicino la crosta e il mantello. Si conoscono due tipi di crosta terrestre: una crosta continentale e una crosta oceanica, con caratteristiche differenti di composizione e densità. La crosta continentale è costituita da rocce “leggere” di tipo prevalentemente granitico (magmatiche “acide” e metamorfiche) e presenta spesso una copertura di rocce sedimentarie; ha uno spessore variabile in media tra 30 e 40 km, che può arrivare a 70 km in corrispondenza dei grandi rilievi montuosi. La crosta oceanica è costituita da rocce di tipo basaltico (magmatiche basiche), più dense di quelle “continentali”, anch’esse ricoperte da uno strato di sedimenti. Il mantello è formato da un involucro di materiale roccioso più denso di quello crostale, che si ritiene costituito (almeno nella parte superiore) da rocce con tenore molto basso di silice (ultrabasiche), come le peridotiti. Nel mantello si distinguono a grandi linee due “involucri”: il mantello superiore e il mantello inferiore. Nel mantello superiore si possono distinguere diverse zone: una più esterna a comportamento rigido (mantello litosferico) estesa fino a circa 100 km in media di profondità, che forma con la crosta un insieme unico denominato litosfera; il mantello litosferico confina con una zona sottostante (estesa tra 100 e 250 km di profondità) denominata astenosfera, a comportamento plastico essendo le rocce parzialmente allo stato fuso (qui le onde sismiche infatti viaggiano un po’ più lente); segue una zona di transizione che si spinge fino a circa 700 km di profondità. Il mantello inferiore, a densità via via crescente, arriva fino a 2900 km di profondità, al confine con il nucleo. LA DERIVA DEI CONTINENTI Osservando su un planisfero i profili delle coste atlantiche del Sudamerica e dell’Africa, si nota che tra di esse esiste una sorprendente corrispondenza: in particolare, la sporgenza del Brasile va a incastrarsi quasi perfettamente nella rientranza del Golfo di Guinea. Questo fatto era stato rilevato già all’inizio del XVII secolo, quando cominciarono a essere disponibili carte geografiche abbastanza precise; ne fu colpito anche il filosofo inglese Francesco Bacone, che in uno scritto del 1620 avanzò la congettura che il Sudamerica e l’Africa potessero essere stati un tempo uniti. In seguito, altri studiosi osservarono somiglianze di piante e animali viventi, di fossili e di formazioni geologiche presenti nei vari continenti e tutti questi fatti portavano a pensare che le terre emerse fossero anticamente riunite insieme e che poi si fossero separate andando alla “deriva”. Nessuno, tuttavia, fino agli inizi del 1900, si era spinto a formulare una precisa e completa teoria al riguardo. Il merito spettò a un giovane meteorologo tedesco, Alfred Wegener (1880‐1930); per anni si dedicò a raccogliere in modo completo e organico le possibili prove e gli indizi a sostegno dell’ipotesi che i continenti avessero mutato posizione nel tempo: alla base di questa idea c’era la convinzione che i blocchi continentali fossero in grado di spostarsi in orizzontale, galleggiando come “zattere” alla deriva sullo strato più denso e plastico del mantello sottostante; nel 1912 Wegener giunse così a delineare la teoria della deriva dei continenti, che perfezionò continuamente per tutta la vita. Secondo questa teoria, fino a circa 200 milioni di anni fa tutte le masse continentali erano riunite insieme in un unico supercontinente, chiamato Pangea (dal greco pan = tutto e ghè = terra), circondato da un unico grande oceano chiamato Panthalassa (thalassa = mare). In seguito, la Pangea avrebbe cominciato a fratturarsi in due grandi parti divise da un mare poco profondo (Tetide): una a Nord, chiamata Laurasia, e una a Sud chiamata Gondwana. Successivamente, Laurasia e Gondwana si sarebbero ulteriormente divise in blocchi continentali che “andando alla deriva” si sarebbero gradualmente allontanati tra di loro, fino a raggiungere le attuali posizioni. Secondo Wegener, le forze di compressione incontrate dalle due Americhe nel loro moto verso Ovest avrebbero dato origine alle Ande e alle Montagne Rocciose, mentre in seguito allo scontro tra India, in moto verso Nord, e Asia si sarebbe sollevata la catena himalayana. La teoria della deriva dei continenti, pur essendo sostenuta da numerose prove, fu accolta in genere con un misto di scetticismo e ostilità dalla comunità scientifica (in parte perché i più erano restii ad abbandonare alcune “certezze” tradizionali, come l’impossibilità che le masse continentali potessero muoversi orizzontamente). La critica principale era la mancanza di un meccanismo convincente che giustificasse il movimento dei continenti. In effetti, Wegener non fu in grado di spiegare in modo consistente quali forze potessero “spingere” alla deriva masse così imponenti di crosta terrestre; egli chiamò in causa forze connesse alla rotazione terrestre, a differenze nella gravità o alle maree: tuttavia, conti alla mano, era facile dimostrare che tali forze erano assolutamente inadeguate per giustificare lo spostamento di interi continenti. Dopo la morte di Wegener, furono comunque avanzate interessanti ipotesi circa l’esistenza di moti convettivi di rocce fuse nel mantello, in grado di causare movimenti della crosta terrestre. Ma i tempi non erano maturi e la teoria di Wegener fu accantonata per alcuni decenni prima di tornare nuovamente di attualità: ciò avvenne dopo alcune importanti scoperte compiute sui fondali marini nella seconda metà del secolo scorso. LE PRINCIPALI PROVE DELLA DERIVA DEI CONTINENTI Oltre alle già citate prove geografiche, offerte dalla quasi perfetta corrispondenza delle linee di costa atlantiche del Sudamerica e dell’Africa, Wegener presentò altre prove di tipo geologico, paleontologico e paleo climatico. < PROVE GEOLOGICHE. Quando il Sudamerica e l’Africa sono fatti combaciare, si rileva una precisa continuità nelle rocce disposte in aree corrispondenti delle due sponde, in rapporto sia alla composizione e all’età, isia al tipo di deformazioni (pieghe e fratture) riscontrate; ciò ne evidenzia l’origine comune. PROVE PALEONTOLOGICHE. Fossili di animali e piante della stessa specie sono stati trovati in continenti oggi separati dagli oceani. Per esempio, i resti di due rettili (Cynognathus e Mesosaurus) risultano diffusi nelle sponde atlantiche del Sudamerica e dell’Africa, mentre una pianta del genere Glossopteris si rinviene in una fascia estesa dal Sudamerica all’Australia, passando per l’Africa, il Madagascar, l’India e l’Antartide. A meno di pensare a spostamenti attraverso “ponti continentali” o attraverso le acque oceaniche (considerate eventualità molto improbabili), la spiegazione più razionale della diffusione di questi organismi è che si siano sviluppati in territori un tempo uniti. PROVE PALEOCLIMATICHE. La ricostruzione dei climi della passate epoche geologiche sulla base dei resti fossili e delle rocce sedimentarie evidenzia che zone ora molto lontane tra loro, su differenti continenti, presentavano le stesse condizioni climatiche e quindi dovevano trovarsi vicine alla stessa latitudine. Per esempio, il ritrovamento di vasti giacimenti di carbone in regioni ora settentrionali come il Nordamerica, l’Europa e l’Asia centrale, testimoniano l’esistenza, anticamente, di climi tropicali; invece, il ritrovamento di depositi morenici glaciali in vari continenti dell’emisfero australe indica che queste aree erano ricoperte da ghiacci (secondo Wegener, ciò si spiegava assumendo che i continenti fossero uniti e spostati più a Sud rispetto a oggi). RISPONDI SUL QUADERNO ALLE SEGUENTI DOMANDE: 1. 2. 3. 4. 5. 6. In che modo le onde sismiche rivelano che la Terra è formata da strati? Qual è la differenza tra la crosta continentale e la crosta oceanica? Che cosa si intende per litosfera? Quale ipotesi formulò Wegener a proposito dei continenti? Come dovevano presentarsi i continenti 200 milioni di anni fa secondo Wegener? Quali sono le prove a sostegno della teoria della deriva dei continenti?