STORIA ECONOMICA Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche Corso di Economia aziendale Prof. MICHELE SABATINO INTRODUZIONE ALLA STORIA ECONOMICA (2) Guerra e crisi dell’economia mondiale (1914-1945) Lo sviluppo economico della prima metà del XX secolo Il periodo dal 1914 al 1945 fu caratterizzato da due guerre mondiali e dalla peggiore crisi economica del sistema capitalistico c.d. “grande depressione”. L’incremento del PIL fu inferiore rispetto al periodo precedente ad eccezione della Russia. Lo scarto con gli Stati Uniti dalla GB ormai divenne definitivo. Anche l’andamento demografico pur se positivo (la popolazione in Europa passo da 460 a 550 milioni di abitanti) cominciava a far sentire i primi segnali di arretramento. L’incremento fu essenzialmente dovuto alla crescita della vita media da 50 a 65 anni. Il fenomeno della migrazione fu meno marcato del passato anche per la legislazione restrittiva delle c.d. “quote” introdotte negli Stati Uniti. Si presentò sempre il fenomeno della migrazione interna e quello nuovo dei profughi dovuti alle guerre. Lo sviluppo economico della prima metà del XX secolo La crescita demografica favorì il fenomeno dell’urbanizzazione. Si assistette alla riduzione della popolazione impegnata in agricoltura passando dal 50% nelle economie più arretrate al 2030% in quelle più sviluppate (Francia, Olanda, Germania) fino al 5%della GB. Inoltre, nel periodo delle due guerre aumentarono le terre messe a coltura e si sviluppò la meccanizzazione agricola con i trattori con motori a scoppio soprattutto negli Stati Uniti. La tecnologia continuava a basarsi sul carbone anche se il petrolio aveva iniziato a prendere piede. Erano infatti aumentate le applicazioni del petrolio come fonte di energia e nasceva l’industria petrolchimica. L’Europa purtroppo era povera di petrolio la cui produzione si concentrava negli Stati Uniti, Venezuela, Medio Oriente. Nacque il cartello internazionale delle c.d.”sette sorelle” tra cui la Shell (Olanda), la British Petrolium e le Standard Oil (Stati Uniti). Lo sviluppo economico della prima metà del XX secolo L’elettrificazione fu l’innovazione più importante del periodo con crescenti applicazioni nell’industria, nei trasporti e nella vita domestica. La produzione in serie di automobili, già iniziata prima della prima guerra mondiale, si diffuse grazie all’intuizione di Ford sui prezzi alla vendita. Nacque l’esigenza della costruzione e dell’adeguamento della rete stradale. L’aeroplano, che aveva conosciuto una popolarità durante le grande guerra, si diffuse ai fini commerciali e di trasporto negli anni ’20 e ’30. Infine nel campo delle telecomunicazioni fu la volta del telefono e della radio. Comparve anche il radar e le fibre artificiali e sintetiche in sostituzione o concorrenza a quelle naturali. Guerra e dopoguerra Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale che contrapponeva l’Intesa (GB, Russia e Francia) con gli imperi centrali (Austria e Germania). Si aggiunsero Turchia con gli imperi mentre Italia, Giappone e Stati Uniti con l’Intesa. La guerra fu una guerra di posizioni. I paesi europei scatenarono rivalità politiche, economiche e militari già in essere nel passato. Si trattò della prima guerra del mondo industrializzato e tutta l’economia dovette fare fronte alle necessità militari: armamenti, vettovaglie, medicinali, carburanti, ect.. Lo Stato organizzò l’economia di guerra con organismi governativi che si occupavano dell’intera filiera produttiva. Si calmierarono i prezzi e tutte le attività furono messe sotto controllo a scapito della concorrenza. La guerra decretò la fine del Gold Standard con l’inconvertibilità delle moneta per evitare la corsa agli sportelli. La prima guerra mondiale Guerra e dopoguerra 1. 2. 3. 4. Il problema del finanziamento della guerra fu risolto attraverso tre metodologie: L’aumento dell’imposizione fiscale (soprattutto nei paesi più ricchi); L’indebitamento verso il sistema bancario ei cittadini; La stampa di nuova moneta grazie alla sua inconvertibilità facendo aumentare la circolazione monetaria. Si diffusero anche i prestiti interalleati soprattutto da parte degli Stati Uniti. Guerra e dopoguerra Le conseguenze della guerra furono dirette, indirette e strutturali. Le conseguenze dirette furono l’enorme numero di vittime (9 milioni) pur senza incidere sui tassi di crescita demografica e i danni materiali della distruzione e la sostituzione del lavoro maschile con quello femminile a causa dell’impegno degli uomini in combattimento. La guerra determinò inoltre la fine del Gold standard e un pesante intervento dello Stato. Infine accelerò i processi di standardizzazione e di automazione delle fabbriche. Guerra e dopoguerra Le conseguenze indirette furono: 1. La crisi di riconversione del 1920-21 e cioè una crisi di sovrapproduzione. Le imprese dovettero riconvertirsi da una economia di guerra a una di pace. La caduta dei prezzi fece evidenziare la sovrapproduzione e molte aziende dovettero chiudere; 2. L’inflazione e l’iperinflazione. Essa fu causata dall’innalzamento dei costi della produzione, della diminuzione dell’offerta di beni ma soprattutto dall’incremento della circolazione di moneta da parte dello Stato per fare fronte prima alle spese di guerra e poi di ricostruzione. Ciò provocò, soprattutto in Germania, la perdita di valore della cartamoneta, a causa di una sfrenata emissione di moneta. Il dollaro valeva 4.200 marchi tedeschi. Per fare fronte all’iperinflazione il governo tedesco introdusse una moneta Rentenmark con un controvalore in marchi di mille miliardi. Concluso il risanamento si reintrodusse il marco e la sua convertibilità. L’inflazione provocò una redistribuzione della ricchezza. Guerra e dopoguerra L’iperinflazione convinse a ripristinare un sistema internazionale di cambi fissi e convertibili. La Conferenza monetaria internazionale di Genova (1922) adottò il Gold exchange standard dove a garanzia delle moneta vi era non solo l’oro ma anche le valute convertibili in oro. Le riserve potevano essere costituite anche da valute convertibili cioè da banconote straniere convertibili in oro. E infine le monete non potevano essere cambiate in qualsiasi sportello di una banca di emissione. La convertibilità era quindi limitata. Dal 1924 al 1927 quasi tutti aderirono al Gold exchange standard con il ritorno di un sistema di cambi fissi. Guerra e dopoguerra 3. Un’altra conseguenza fu quella dei debiti da riparazione di guerra. Gli Stati Uniti e la GB erano creditori. L’economista Keynes sosteneva che tali debiti non sarebbero stati onorati perché insostenibili ma gli Stati europei pretesero il rimborso e in particolare la riparazione di guerra da parte della Germania per un importo di 33 miliardi di dollari pari al triplo del PIL tedesco. Il pagamento dell’indennità accelerò l’inflazione e divenne insopportabile. Francia e Belgio occuparono come risarcimento la Ruhr (1923) mentre il Piano Dawes ridusse l’importo delle rate ma senza successo. Successivamente il Piano Young ridusse sia il debito che le annualità. Alla fine il Presidente americano Hoover decise la moratoria del debito tedesco (1931). 4. Ultima conseguenza diretta fu la questione sociale aggravato dall’inflazione che aveva eroso i redditi dei più poveri. I conflitti sociali in alcuni paesi sfociarono in sbocchi reazionari e nell’instaurazione di regimi dittatoriali (Germania e Italia). Guerra e dopoguerra I mutamenti strutturali riguardarono: 1. L’intervento dello Stato nell’economia era diventato preponderante e fu difficile ritornare ad una condizione di liberalismo ciò anche a causa della depressione successiva e della seconda guerra mondiale. La perdita di egemonia dell’Europa nel mondo e la presenza di nuovi protagonisti internazionali Stati Uniti e Giappone. Il frazionamento economico e politico dell’Europa con i trattai di pace. Lo smembramento dell’Impero Austroungarico, l’isolamento della Russia, ect.. La ripresa di politiche protezionistiche e neo-mercatiliste con l’inasprimento delle tariffe doganali. 2. 3. 4. La rivoluzione russa A differenza di quanto sosteneva Karl Marx sul passaggio al comunismo dal capitalismo di uno Stato industrializzato, la grande guerra e l’inettitudine di una classe politica fecero scoppiare la rivoluzione socialista in Russia (1917) con abdicazione dello zar Nicola II. All’inizio, nel febbraio del 1917, la rivolta della Duma e dei soviet di operai si accordarono per la deposizione dello zar, e l'istituzione di un governo provvisorio formato da menscevichi e socialisti rivoluzionari. Tuttavia il nuovo governo liberale non riuscì a impedire l’avanzata dei bolscevichi capeggiati da Lenin che iniziarono ad organizzare i primi Soviet (Consigli). I bolscevichi conquistarono il potere con la rivoluzione di ottobre 1917, scatenarono una guerra civile e conclusero una pace separata con la Germania. Infine proclamarono la nascita dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (1922) e avviarono la nascita di una economia pianificata in tre fasi: La rivoluzione russa L’Unione Sovietica IL COMUNISMO DI GUERRA (1917-1921). Il primo periodo fu instaurato in occasione della guerra civile con i menscevichi. Il governo bolscevico nazionalizzò le varie aziende ed abolì la proprietà privata della terra con la confisca senza indennizzo ai nobili e alla Chiesa. Le terre furono date in usufrutto ai contadini senza possibilità di vendita. I contadini non furono contenti della riforma anche perché le assegnazioni delle terre furono di piccole entità con bassa produttività. Per rifornire le città i raccolti venivano sequestrati attraverso la requisizione forzata dei generi alimentari. Ciò fece crollare i raccolti con nuove carestie. L’industria e le banche furono nazionalizzate. La guerra civile distrusse il sistema produttivo che seppe essere ricostruito ex nuovo con l’utilizzo delle nuove tecnologie. L’Unione Sovietica LA NEP – NUOVA POLITICA ECONOMICA (1921-1928) Di fronte al fallimento del comunismo di guerra Lenin decise di fare un passo indietro. Fu liberalizzata l’agricoltura concedendo la possibilità di vendere la terra e i surplus di prodotto con il pagamento di una imposta. Si formarono diverse tipologie di operatori: a) il proletariato rurale di braccianti; b)i contadini poveri costretti a dare in affitto i loro piccoli appezzamenti e a lavorare come salariati; c) i contadini medi che possedevano appezzamenti medi e infine d) i kulaki, ricchi contadini che prendevano in affitto la terra e vendevano i prodotti sul libero mercato. Il settore industriale fu diviso in due: le grandi e medie industrie allo Stato mente le aziende con meno di 20 dipendenti furono restituite ai vecchi proprietari. Il commercio interno fu liberalizzato mentre quello con l’estero rimase di competenza dello Stato. Il settore bancario vide la nascita di una nuova banca di stato Gosbank incaricato di emetter il rublo. Ad eccezione delle Casse di risparmio il sistema bancario russo fu di tipo monobanca. L’Unione Sovietica LA PIANIFICAZIONE (1928-1941) Alla morte di Lenin si scateno la lotta per la successione tra Stalin – propenso all’idea del comunismo in un solo stato – e Trotzkij che riteneva di dovere esportare la rivoluzione in tutto il mondo. Nel 1928 Stalin considerò superato il NEP e avviò la pianificazione. In agricoltura fu avviata la collettivizzazione delle terre con la nascita delle grandi aziende collettive Kolchoz in forma di cooperative volontarie. A fianco a queste vi erano le grandi aziende di proprietà pubblica Sovchoz i cui lavoratori erano dipendenti statali. Le fabbriche e il commercio furono nazionalizzati e il Gosplan (Comitato per la pianificazione di Stato) fu incaricato della predisposizione dei piani quinquennali sia di settore che di fabbrica. Furono realizzati tre piani quinquennali. Il quarto non fu portato a termine per lo scoppio della guerra. I Piani consentirono l’industrializzazione forzata dell’economia con l’attenzione all’industria pesante rispetta a quella dei beni di consumo. La Russia non fu interessata dalla grande depressione. Il settore industriale passò dal 28 al 45%. La Crisi e la grande depressione Gli anni venti 1922-1929 sono considerati anni di espansione dell’economia mondiale anche se ciò fu più intenso negli Stati Uniti che in Europa. Gli Stati Uniti crebbero grazie alla politica degli alti salari, delle vendite a rate e dell’aumento della produttività grazie ai processi di automazione e della catena di montaggio. Il settore trainante fu quello automobilistico (+30%) con conseguenza negli altri settore ivi incluso l’estrazione di petrolio (+80%). Anche il settore elettrico visse un periodo positivo con la realizzazione di nuovi prodotti. I disoccupati scesero al di sotto del 2%. Si pose il problema di esportare i prodotti malgrado la politica isolazionista degli Stati Uniti e il timore della concorrenza europea. La Crisi e la grande depressione La GB conobbe un periodo di crescita più lenta anche a causa di un sistema industriale tecnologicamente obsoleto con restrizione dei mercati tradizionali a causa di una concorrenza più agguerrita. Inoltre le esportazioni furono danneggiate dal ritorno alla convertibilità della sterlina al valore d’anteguerra. Si trattava di ridare credibilità alla sterlina malgrado ormai il dollaro fosse diventato strumento di pagamento. La sterlina risultò sopravvalutata con un danno alle esportazioni. La Germania viveva il problema dell’indennizzo di guerra e i ricavati delle esportazioni finivano per pagare le rate dell’indennizzo. Inoltre la perdita di parti del Paese (Alsazia e Lorena) ricche di minerali danneggio l’industria. Dopo la stabilizzazione del marco i capitali esteri confluirono in Germani anche grazie a tassi di interesse più alti. La Crisi e la grande depressione La Francia riuscì ad aumentare le esportazioni del 40% e il Pil pro-capite del 35%. Le ragioni furono date dal recupero di Alsazia e Lorena e dalla stabilizzazione del franco ad un valore realistico adoperato del Governo Poincaré. La produzione industriale aumentò anche grazie al contributo di molti lavoratori immigrati. L’Italia profittò di questo periodo positivo con una crescita della produzione industriale del 58%. Dopo il biennio rosso (1919-20) di occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori il potere fu conquistato dai fascisti con la Marcia su Roma (1922) e l’uccisione del deputato socialista Matteotti (1924). La congiuntura positiva aiutò il governo a risanare il bilancio e dare spazio alla libera iniziativa. La Crisi e la grande depressione Con una bilancia dei pagamenti passiva si tentò di aumentare la produzione di beni riducendo le importazioni. La c.d. battaglia del grano servì appunto a incrementare la produzione di frumento. Si potenziarono le bonifiche (Latina e Sabaudia). L’aumento delle importazioni e la domanda di valute estere per poterle pagare determinarono il deterioramento della lira rispetto alle altre monete (133 con la sterlina). A quel punto il governo Mussolini tento di stabilizzare il rapporto lirasterlina con il tentativo di raggiungere “quota 90”. L’apprezzamento della lira rese le esportazioni sconvenienti e le importazioni più vantaggiose. Nel 1926 la Banca d’Italia fu dichiarato l’unico istituto di emissione e revocati i diritti al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia. La Crisi e la grande depressione Alla vigilia della grande crisi la situazione mondiale presentava una cronica sovrapproduzione a causa dello sviluppo tecnologico e dalle produzioni di guerra particolarmente grave nel settore agricolo con una discesa dei prezzi. La disoccupazione si mantenne elevata mentre il commercio estero aumento di appena il 27% mentre nel passato si era triplicato. Infine gli Stati Uniti, malgrado le dichiarazioni del Presidente Wilson, scelsero una politica isolazionista, limitarono i flussi immigratori con una politica protezionistica e non vollero svolgere il ruolo di superpotenza. La crisi del ‘29 La crisi del 1929 fu una crisi globale perché coinvolse tutti i paesi industrializzati (ad eccezione dell’Unione Sovietica), tutti i settori economici ed ebbe effetti su tutte le categorie sociali. La crisi si scatenò avendo un quadro di riferimento di prezzi agricoli a ribasso e di chiusura dei traffici internazionali. La crisi espose nell’ottobre 1929 con il crollo della Borsa di Wall Street dopo anni di speculazioni e di un numero crescente di banche e risparmiatori che investivano in Borsa. La crisi del ‘29 La crisi del ‘29 Normalmente si acquistano azioni in borsa per avere il “dividendo” ossia la quota di utile dell’attività imprenditoriale. Ma spesso le quotazioni borsistiche spingono in alto il valore delle azioni. I possessori di azioni possono realizzare un c.d. “capital gain”, ossia guadagno sul capitale investito, dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita. Se il prezzo continua ad aumentare si scatena la speculazione al rialzo fino a quando all’euforia succede il panico appena il valore crolla auto-alimentandosi. Tutti cominciano a vendere per paura di avere delle perdite. Il prezzo si stabilizza raggiunto il valore reale dell’azione. La crisi del’29 L’indice dei titoli azionali di NY dal 1926 al 1929 passò da 100 a 191 fino a 381. Il 24 ottobre 1929 furono offerte 13 milioni di azioni e le quotazioni scesero. Il martedì successivo furono offerte 33 milioni di titoli. L’indice scese a 198 (– 48%) in pochi giorni. Intere fortune furono distrutte e parecchie banche rischiarono il fallimento. Se l’economia fosse stata sana la crisi sarebbe stata assorbita. Viceversa l’economia americana e mondiale soffrivano già una crisi di sovrapproduzione e di riduzione dei prezzi. A quel punto la depressione fu molto grave e durò a lungo La crisi del ‘29 La produzione industriale americana si dimezzò, quella automobilistica si ridusse del 75%. I disoccupati passarono da 4,6 milioni nel 1929 a 13 milioni nel 1933. La produzione agricola si ridusse ulteriormente mentre le banche non riuscirono a fare fronte alla richiesta di liquidità e fallirono. Alcune furono salvate dal governo con l’acquisto di pacchetti azionari. Fu istituito il SEC Security Exchange Commission per controllare le speculazioni. Il PIL si ridusse del 29%. La crisi si diffuse in altri paesi a causa degli scambi commerciali colpendo l’Europa ed in particolare in modo più pesante la Germania. La produzione industriale calò del 39% e il PIL pro-capite del 17%. Stessa cosa in Francia e in Italia e GB. La crisi in Germania diventò una crisi bancaria. Inoltre la Germania – la Repubblica di Weimar – si presentava instabile con governi deboli e di breve durata. Il sistema tedesco vedeva il forte legame tra banche e imprese con il condizionamento del risarcimento dei danni di guerra. Tutto ciò finì per trasmettersi dal sistema bancario all’economia reale con difficoltà anche a pagare i debiti di guerra (Moratoria Hoover). Lo Stato intervenne per salvare banche e imprese ei disoccupati raggiunsero i 6 milioni. Le politiche contro la depressione All’inizio i governi adottarono le tradizionali politiche liberiste convinti che il mercato avrebbe assorbito la crisi autonomamente come nel passato. Si scelsero politiche restrittive (equilibrio di bilancio e riduzione della moneta in circolazione) e politiche protezionistiche a difesa delle proprie produzioni. Gli Stati Uniti con la legge Hawley-Smoot (1930) aumentò i dazi. La GB aumentò le tariffe con l’istituzione della tariffa imperiale legandosi alle proprie colonie e al British Commonwealth of Nations (comunità delle nazioni britanniche) sancito nel 1931 – una libera associazione sotto la corona di Inghilterra. Tutto ciò aggravò la situazione restringendo gli spazi commerciali. Le imprese contrassero i costi e iniziarono a licenziare. Negli Stati Uniti nel 1933 al repubblicano Herbert Hoover successe il democratico Franklin Delano Roosevelt che modificò la politica economica americana. Le politiche contro la depressione Si diffuse la convinzione, ad opera di Keynes, che lo Stato doveva sostenere la domanda globale di beni e sostituirsi a quella privata insufficiente. Si avviarono politiche di deficit spending negando la necessità del pareggio di bilancio e ricorrendo all’indebitamento per la realizzazione di grandi infrastrutture utili allo sviluppo dei mercati e dell’economia o per assegni familiari o sussidi di disoccupazione così da assicurare il livello minimo di consumi e fare riprendere l’offerta di beni e servizi. A questo bisognava aggiungere il sostegno alla domanda estere attraverso le svalutazioni competitive. Bisogna ridurre il valore della propria moneta per rendere vantaggiosi i propri prodotti (un dumping occulto). Da subito Argentina, Brasile, Australia e altri iniziarono a svalutare. La prima moneta dei paesi industrializzati a essere svalutata fu proprio la GB con la sterlina. Molti paesi avevano infatti cambiato le sterline possedute in oro riducendo le riserve auree della Banca di Inghilterra. A quel punto nel 1931 la GB decretò l’inconvertibilità della sterlina lasciando fluttuare il valore della moneta. Dal sistema dei cambi fissi si passo a quello dei cambi flessibili. La sterlina si svalutò del 30% favorendo le esportazioni. Alcuni Paesi legati alla GB depositarono le loro riserve presso la Banca di Inghilterra creando un’area sterlina il cui cambio fu tenuto fisso. Le politiche contro la depressione Anche il dollaro fu svalutato e dichiarata l’inconvertibilità rispetto all’oro (1934). Il nuovo Presidente firmò numerosi accordi bilaterali per la riduzione delle tariffe commerciali incrementando gli scambi con l’estero. A seguito delle svalutazioni degli Stati Uniti e della GB anche gli altri paesi europei procedettero alle svalutazioni per recuperare competitività e attenuarono le politiche protezionistiche a favore degli scambi internazionali. Solo la Germania, vincolati dagli accordi di pace, non svalutò. Il Gold exchange standard durò appena dieci anni e tutte le monete risultarono non convertibili mentre i biglietti di banca sostituirono definitivamente la moneta metallica. Nel 1936, nel tentativo di garantire la stabilità dei cambi, Francia, GB e USA stabilivano la convertibilità solo nei confronti di altre banche centrali. Il New Deal Le misure di contrasto alla crisi finirono per favorire l’intervento dello Stato nell’economia. Negli Stati Uniti – a seguito dell’elezione del democratico Roosevelt - l’intervento prese il nome di New Deal (nuovo corso). L'opposizione della Corte Suprema Nel 1935-1936 la Corte Suprema dichiarò incostituzionali diversi provvedimenti del New Deal. In risposta Roosevelt si appellò agli americani indicando la Corte Suprema come l'organo rappresentante i ceti più elevati che si opponeva ad una redistribuzione della ricchezza. Il New Deal Le Azioni principali: Nei primi cento giorni della Presidenza Roosevelt vennero emanati importanti provvedimenti: l'Emergency Banking Act che ha istituito una vacanza bancaria di alcuni giorni al fine di sondare la liquidità e la solidità degli istituti di credito e che ha assoggettato le banche al controllo dell'amministrazione federale; l'istituzione della Federal Deposit Insurance Corporation che assicurava tutti i depositi bancari sino a 2.500 $; la sospensione del Gold standard che comportò la svalutazione del dollaro e rese possibile il ricorso all'esportazione delle merci come sbocco per la sovrapproduzione statunitense; l'Economy Act che introdusse il bilancio federale di emergenza; l'Agricultural Adjustment Act che attribuiva contributi in denaro a quegli agricoltori che avessero limitato la produzione agricola in modo da mettere un freno alla caduta dei prezzi che aveva costretto sul lastrico milioni di agricoltori dell'est. Il New Deal Altre importanti misure furono: l'istituzione della Tennessee Valley Authority, agenzia che impiegò milioni di disoccupati nella costruzione di imponenti dighe al fine di sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee; l'istituzione della Work Progress Administration, altra agenzia governativa che gestiva la realizzazione di importanti opere pubbliche; l'approvazione del Wagner Act che sanciva il diritto di sciopero e della contrattazione collettiva; l'approvazione del National Industrial Recovery Act che imponeva l'adozione per ogni azienda di un codice di disciplina produttiva limitando la sovrapproduzione, rinunciando al lavoro nero e a quello minorile. La legge prevedeva inoltre dei minimi salariali; l'approvazione del Social Security Act che istituiva un moderno welfare state di cui i lavoratori statunitensi erano stati sino ad allora sprovvisti. La riforma fiscale Roosevelt intraprese anche una riforma del sistema fiscale ed in particolar modo delle imposte dirette. Venne così modificata l'imposizione progressiva aumentando le aliquote per i contribuenti più ricchi. Il New Deal Anche la GB incoraggiò le fusioni delle imprese e la razionalizzazione dei settori in crisi. Per combattere la disoccupazione furono concessi incentivi per la creazione di fabbriche nelle zone depresse. In Francia si puntò sull’incremento dei salari con gli Accordi Matignon fra imprenditori e lavoratori, promossi dal governo del fronte popolare di Blum, per la riduzione dell’orario lavorativo a 40 ore e gli aumenti salariali. A ciò si affiancò un programma di opere pubbliche. In Germania, giunto al potere Hitler a seguito di proteste e malcontenti, il governo nazista incremento la presenza dello Stato nell’economia attraverso piani quadriennali per la realizzazioni di grandi opere pubbliche. Successivamente si procedette verso l’autarchia e cioè l’autosufficienza economica. Fu stimolata la ricerca nei settori della lana sintetica, gomma e materie plastiche e infine si avviò il riamo della Germania. Il New Deal in Italia In Italia l’intervento dello Stato si fece prevalente e maturò l’idea dell’autarchia. Il regime fascista si concentrò sulla battaglia del grano e sulle grandi bonifiche in agricoltura e sulla concentrazione industriale riducendo concorrenza e costi di produzione. Le imprese erano molto legate alle banche ma purtroppo queste ultime si trovarono sull’orlo del fallimento. Lo Stato decise di salvarle istituendo l’Istituto per la Ricostruzione Industriale IRI che assunse le partecipazioni industriali possedute dalle banche. Malgrado il tentativo era quello di ristrutturare le industrie e rivenderle a privati investitori, come per gli altri paesi, in Italia ciò non fu possibile e l’IRI conservò i pacchetti azionari di numerose banche e industrie. Il New Deal in Italia L’intervento dello Stato in Italia, durante il governo fascista, prevedeva la costituzione delle corporazioni per ogni ramo produttivo, nelle quali erano rappresentate pariteticamente imprenditori e lavoratori, sotto il controllo dello Stato. Le 22 corporazioni istituite nel 1934 avevano funzioni consultive e conciliative e altresì anche normativo. Erano vietati gli scioperi dei lavoratori. L’economia corporativa non funzionò mai e finì allo scoppio della guerra. In definitiva in Italia, a seguito della deriva del fascismo, prese le mosse un nuovo tipo di stato, sostenuto da una massiccia propaganda governativa, guidato da una figura carismatica e volto alla salvaguardia della stabilità e del potere costituito. Caratteristiche salienti furono: il controllo governativo dell'economia e della società; il valore simbolico delle grandi opere pubbliche, che non solo crearono nuovi posti di lavoro, ma si imposero come emanazioni dell'autorità statale; la forza persuasiva dei discorsi di Mussolini alla radio; l'architettura monumentale; le campagne di arruolamento dei cittadini, chiamati a essere leali difensori della patria; l'esaltazione dei concetti di nazione, popolo e terra. La seconda guerra mondiale La seconda guerra mondiale è il conflitto che (1939-1945) ha visto confrontarsi da un lato le potenze dell’Asse e dall'altro i paesi alleati. Viene definito «mondiale» in quanto, così come già accaduto per la Grande Guerra, vi parteciparono nazioni di tutti i continenti e le operazioni belliche interessarono gran parte del pianeta. Ebbe inizio il 1° settembre 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania; terminò, l’8 maggio 1945 con la resa tedesca e, il successivo 2 settembre con la resa dell‘Impero giapponese a seguito dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. È considerato il più grande conflitto armato della storia, e costò all'umanità sei anni di sofferenze, distruzioni e massacri per un totale di 55 milioni di morti. Le popolazioni civili si trovarono, infatti, direttamente coinvolte nel conflitto a causa dell'utilizzo di armi sempre più potenti e distruttive, spesso deliberatamente indirizzate contro obiettivi non militari. Nel corso della guerra si consumò anche la tragedia dell‘Olocausto perpetrata dai nazisti nei confronti degli ebrei. La seconda guerra mondiale La politica del riarmo fece i primi passi da parte della Germania e dell’Italia impegnate in azioni di colonialismo (Etiopia e conquista di Austria e Cecoslovacchia) nonché di sostegno alla Guerra di Spagna (1936-1939) a favore di Franco. La Germania dovette organizzare la razionalizzazione dei generi alimentari e dei prodotti agricoli. Gran Bretagna e Francia seguirono in ritardo mentre gli Stati Uniti organizzarono l’economia di guerra a supporto degli Alleati fornendo approvvigionamenti e vettovaglie. Il Sistema della produzione fu orientato alle produzioni di guerra e la ricerca scientifica avanzò rapidamente con nuove applicazioni (nailon, benzina e gomme sintetiche). Nuovi giacimenti e miniere nel mondo furono attivate. La seconda guerra mondiale Gli accordi di Yalta L’economia contemporanea Al termine della seconda guerra mondiale iniziò un lungo periodo di trasformazioni che hanno dato iniziato alla terza rivoluzione industriale (terziarizzazione, ICT, globalizzazione, ect..). Il periodo che va dal secondo dopoguerra al 2006 può essere articolato in due periodi. Il primo di grande espansione e crescita senza precedenti (anche sul piano della crescita demografica) e quello successivo di rallentamento della crescita senza però esaurirsi diversificandosi (con nuovi soggetti mondiali). Infine fino agli anni ’80 si è in presenza di una contrapposizione tra due modelli economici: l’economia di libero mercato del mondo occidentale (Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone) e l’economia pianificata (Blocco sovietico e Cina) La popolazione mondiale e le grandi migrazioni La popolazione mondiale non è mai cresciuta come in questo periodo passando da 2,5 miliardi a 7 miliardi con una riduzione consistente del peso della popolazione europea ad appena l’11%. Tasso di mortalità e di natalità sono costantemente diminuiti con un regime demografico “moderno” e con speranza di vita intorno agli 80 anni. Tutto ciò ha modificato la struttura anagrafica della società con una presenza maggiore di anziani e la necessità di sistemi previdenziali che sostengono tale struttura. Anche la struttura dei nuclei familiari si è modificata restringendosi. Tutto ciò è stato possibile grazie ai progressi della medicina (gli antibiotici) e la nascita della moderna chirurgia. Ultimamente si è registrata una riduzione della crescita mondiale della popolazione. Una delle conseguenze è l’urbanesimo. Lo spostamento verso le grandi città ha fatto nascere metropoli e megalopoli fino a raggiungere, come per Tokyo, 30 milioni di abitanti. E creando, nei Paesi in via di sviluppo, la situazione delle bidoville. Infine le flussi migratori si sono incrementati sia all’interno dell’Europa con l’apertura delle frontiere (Germania, Belgio, Svizzera, Francia) sia verso continenti lontani (Australia e Americhe). Infine l’Europa è diventata terra di immigrazione. Agricoltura e mezzi di sussistenza Successivamente alla guerra la produttività e la produzione agricola sono aumentate con l’introduzione della macchine agricole, degli insetticidi e dei fertilizzanti nonché di nuovi metodi di irrigazione. La percentuale della popolazione impegnata in agricoltura è scesa sotto il 5% mentre le produzioni agricole sono cresciuti del 2,5% annue a livello mondiale. Si diffuse il fenomeno dell’obesità. Nei Paesi industrializzati l’aumento delle produzioni ha visto un crollo dei prezzi agricoli e politiche di sostegno dei prezzi attraverso dazi a tariffe doganali, sussidi agli agricoltori e barriere non tariffare (sistema delle quote, certificazioni, ect..). Vedi la Politica Agricola Comunitaria. Nei Paesi asiatici le produzioni riuscirono a soddisfare le esigenze alimentari e anche ad esportare. Mentre nell’Unione Sovietica il regime della proprietà collettiva e la mancanza di alimentare e l’importazione di prodotti. I Paesi poveri (Africa) andarono incontro a crisi alimentari con situazioni di malnutrizione. L’Industria e le tecnologie Lo sviluppo industriale è stato fortemente condizionato dai progressi della scienza e della tecnica. La diffusione delle leghe leggere in metallurgia ha dato consistenza alle produzioni aereonautiche, spaziali, nucleari ed elettroniche. L’industria chimica rafforzò l’utilizzo delle fibre sintetiche ed artificiali a quelle naturali. L’industria della plastica con i processi di riscaldamento/raffreddamento e degli stampi ebbe riflessi nei vari prodotti (imballaggi, auto, elettrodomestici, casalinghi, ect..) rimpiazzando il legno. Si sviluppo il petrolchimico e l’industria elettrica. La produzione di petrolio è passata da 700 ml di tonnellate (1955) a 3,7 miliardi (2006) con la costruzione di oleodotti. Anche l’estrazione di gas fino a 2,6 miliardi di tonnellate (2006). L’industria automobilistica divenne il simbolo del secolo XX dando impulso alle costruzione di strade e autostrade. L’industria aeronautica si sviluppò attraverso l’introduzione dei turboreattori con la costruzione di grandi aereoporti. Infine l’energia nucleare attraverso l’utilizzo della reazione a catena scaturita dalla fissione dell’atomo dell’uranio 235. L’Industria e le tecnologie Prese avvio la conquista dello spazio con la competizione tra USA e URSS. Il primo uomo nello spazio, attraverso la navicella spaziale Sputinik (1958), Yuri Gagarin e dall’altro le missioni del programma Apollo portarono due uomini sulla luna (1969) Armstrong e Aldrin. La tecnologia elettronica con l’introduzione dei transistor e di altre scoperte modifica l’industria e manifesta la tendenza a miniaturizzare i prodotti e i loro componenti. Nasce l’elettronica di consumo. All’elettronica si affianca la nascita dell’informatica e dei primi microeleboratori (personal computer). Inizia la rivoluzione informatica ed elettronica anche attraverso i nuovi sistemi di ICT. Le trasformazioni indotte dalla tecnologia diedero vita ad una nuova forma di disoccupazione c.d. tecnologia con l’introduzione di tecnologie “labour intensive”. La terziarizzazione Un elemento significativo dal dopoguerra ad oggi è il processo di terziarizzazione dell’economia con lo sviluppo di società postindustriali. Il settore terziario infatti si estende a nuovi settori e servizi: sanità e istruzione, distribuzione, trasporti, servizi pubblici e privati, informatica e telecomunicazioni, sistemi bancari e assicurativi. Tutto ciò favorisce la presenza delle donne sul mercato del lavoro. Il Commercio interno. Se prima la vendita era una vendita al dettaglio attraverso il c.d. negozio di vicinato, con il tempo, cominciarono a nascere i primi supermercati, solo per i genere alimentari, o anche i centri commerciali con tutte le tipologie di prodotto. Negli Stati Uniti nacquero i discount per favorire il contenimento dei costi. La terziarizzazione Il Commercio estero. Dopo la guerra si diffuse la consapevolezza che bisognava favorire il libero commercio internazionale. Tutto ciò fu favorito dal ripristino di un sistema di cambi fissi basato sulla convertibilità del dollaro quale moneta di pagamenti internazionale e sulla nascita di alcune organizzazioni internazionali. Nacque il GATT General Agreement on Tariffs and Trade 1947 con lo scopo di liberalizzare gli scambi. Contestualmente iniziarono a nascere organizzazioni internazionali per favorire il commercio: Mercato Comune Europeo (1958) EFTA (1959), l’ASEAN (1967) e ancora NAFTA (1994) e il Mercosur (1995). Le organizzazioni regionali La terziarizzazione I sistemi bancari subirono profonde trasformazioni. Le banche estesero le loro attività e servizi anche per fare fronte alle esigenze domestiche dei risparmiatori. I processi di concentrazione bancaria proseguirono e la concorrenza internazionale si fece sentire. Le banche aprirono filiali all’estero e divennero spesso multinazionali. Inoltre le banche finirono per de-specializzarsi offrendo una serie molto ampia di servizi alla clientele. Al comparto fu il turismo che dai viaggi dei nobili Grand Tour a cavallo o carrozza divenne, grazie anche alla disponibilità di tempo libero e trasporti, una nuova industria. I movimenti furono organizzati e gestite dai c.d. Tour operators. I turisti sono passati da 25 ml di visitatori al 1950 a circa 850 ml nel 2006. La ricostruzione Al termine del conflitto l’industria riprese a produrre e le infrastrutture furono rapidamente ricostruite. Gli Alleati prima della fine della guerra avevano iniziato a pensare al futuro basandosi sull’idea di favorire la cooperazione internazionale e governare le crisi di sovrapproduzione. Si svolsero numerosi incontri e conferenza che diedero vita ad alcuni accordi. Alla Conferenza di Yalta (Crimea) portò alla divisione del mondo in due zone di influenza – americana e sovietica - con la divisione della Germania in due Repubbliche e Berlino fu divisa in 4 zone di influenza fino al 1961 e alla costruzione del Muro di Berlino. In Europa scese quella che Churchill definì la cortina di ferro. Nel 1944 furono stabiliti di Accordi di Bretton Woods; Nel 1945 fu costituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite ONU Nel 1946 fu stipulato il GATT L’Europa a seguito della divisione in aree di influenza Le Nazioni Unite Le Nazioni Unite, costituite a San Francisco, hanno come fine il conseguimento della cooperazione internazionale in materia di sviluppo economico, progresso socioculturale, diritti umani e sicurezza internazionale. Relativamente alla sicurezza internazionale in particolare hanno come fine il mantenimento della pace mondiale anche attraverso efficaci misure di prevenzione e repressione delle minacce e violazioni ad essa rivolte. La sede centrale delle Nazioni Unite si trova a New York (USA). Il Consiglio di Sicurezza è l'organo delle Nazioni Unite che ha maggiori poteri. Al consiglio viene conferita "la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale". È costituito da quindici Stati membri, di cui cinque sono membri permanenti, mentre i restanti dieci vengono eletti ogni due anni. I membri permanenti sono: Cina, Russia, Regno Unito, Stati Uniti d'America e Francia: hanno il diritto di veto, e possono bloccare qualsiasi decisione loro sgradita e fare in modo che non venga discussa durante il riunirsi dell'Assemblea Generale presieduta da tutti gli Stati membri. Gli accordi di Bretton Woods La conferenza di Bretton Woods si tenne nel 1944 nello New Hampshire (USA), per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo. Gli accordi di Bretton Woods furono il primo esempio nella storia del mondo di un ordine monetario totalmente concordato, pensato per governare i rapporti monetari fra stati nazionali indipendenti. Mentre ancora non era terminata la guerra, si preparò la ricostruzione del sistema monetario e finanziario. Dopo un acceso dibattito, durato tre settimane, i delegati firmarono gli Accordi di Bretton Woods. Gli accordi erano un sistema di regole e procedure per regolare la politica monetaria internazionale. Le caratteristiche principali di Bretton Woods erano due; la prima, l'obbligo per ogni paese di adottare una politica monetaria tesa a stabilizzare il tasso di cambio ad un valore fisso rispetto al dollaro, che veniva così eletto a valuta principale, consentendo solo delle lievi oscillazioni delle altre valute (1%); la seconda, il compito di equilibrare gli squilibri causati dai pagamenti internazionali, assegnato al Fondo Monetario Internazionale - FMI. Contestualmente si diede vita al nuovo Gold Exchange Standard dove l’unica moneta convertibile in oro a un prezzo fisso ero il dollaro (35 dollaro per 1 oncia). Il piano istituì sia il FMI che la BIRS – Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (detta anche Banca mondiale). GATT - General Agreement of Tariffs and Trade Il General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio, meglio conosciuto come GATT) è un accordo internazionale, firmato nel 1947 a Ginevra (Svizzera) da 23 paesi, per stabilire le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. In realtà l'iniziativa conclusasi con l'adozione del GATT si proponeva, inizialmente, di realizzare un progetto ben più ambizioso: l'istituzione dell'International Trade Organization (ITO) (Organizzazione Internazionale del Commercio) come organizzazione permanente che regolasse il commercio mondiale. L'accordo relativo all'ITO fu effettivamente raggiunto nell'ambito della Conferenza sul Commercio e l'Occupazione delle Nazioni Unite ma rimase bloccato per la mancata ratifica americana. A seguito della mancata istituzione dell'ITO, il GATT iniziò a funzionare, pur privo di istituzioni permanenti, anche come organizzazione. Dal GATT al WTO Il GATT è cresciuto, nel corso degli anni, attraverso otto diverse sessioni di negoziati (indicate col termine di "round") per la riduzione delle tariffe doganali nonché con l'aggiunta di accordi plurilaterali tra i paesi partecipanti. Il GATT (come organizzazione) è stato sostituito, nel 1995, dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization - WTO), organizzazione permanente dotata di proprie istituzioni che ha adottato i principi e gli accordi raggiunti in seno al GATT. Quando si parla di “GATT 1994" ci si riferisce all'accordo aggiornato nel 1994 a seguito dell‘Uruguay Round. Nel 2001 sono iniziati a Doha i nuovi negoziati Doha Round che si sono conclusi nel 2015. Il Piano Marshall A seguito della Guerra il PIL di tutti i Paesi anche quelli vincitori crollò. Gli Stati Uniti risultavano creditori dei Paesi alleati europei che erano totalmente distrutti e privi di risorse economiche. Imporre quindi ai vinti indennizzi era praticamente inutile. Inoltre la riconversione in economia di pace imponeva la necessità di trovare nuovi mercati per i prodotti americani. Nel Giugno 1947 all’Università di Harvard il Generale Marshall lanciò l’idea di un piano di aiuti ai paesi europei che fu approvato dal Congresso come ERP European Recovery Programme con una autorità di gestione ECA Economic Cooperation Administration a Washinghton. Dall’altro i Paesi europei occidentali si associarono all’OECE Organizzazione Europea Cooperazione Economica per la richiesta e gestione degli aiuti. Furono erogati 13 miliardi di dollari fino al 1952. Il Piano Marshall Al termine del piano la OECE continuò ad operare attraverso la Unione europea dei pagamenti per operare, attraverso un sistema di compensazioni, ai pagamenti intraeuropei. Infine al termine del piano la OECE si trasformò in OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico con l’immissione di Canada, USA, Giappone, Australia e altri paesi occidentali. Welfare State Nell’ambito della contrapposizione tra capitalismo e comunismo in Europa si svilupparono i nuovi sistemi di Welfare State (Stato del Benessere) dove lo Stato proseguì nel svolgere un ruolo sempre più preponderante nella gestione di alcuni servizi. Parallelamente si procedette ad alcune nazionalizzazioni. In Francia la Renault. In GB le miniere di carbone e le società elettriche. Si sviluppò un modello economico ad economia mista con la presenza di imprese pubbliche e private. In Germania le miniere di alluminio e carbone mentre in Italia le produzioni elettriche e la nascita nel 1962 dell’ENEL Ente nazionale per l’energia elettrica. Iniziò a nascere l’idea di Programmazione economica. La Golden Age Gli storici fanno riferimento al periodo che va dal 1950 al 1973 e che coinvolse tutto il mondo occidentale con tassi di crescita positivi soprattutto nei paesi che avevano perso la guerra (Germania, Italia e Giappone). Tali livelli di crecsita finirono per differenziare il mondo in Primo Mondo occidentale, Secondo Mondo comunista e Terzo Mondo dei paesi sottosviluppati prevalentemente afro-asiatici. In appena 10 anni fino al 1963 i tre paesi vinti raddoppiarono il proprio PIL. Nel 1950 la GB fu superata da Svizzera, Danimarca, Canada e Australia e successivamente da Francia, Germania, Italia, Svezia e Giappone. Gli Stati Uniti ormai erano la prima potenzia industriale ed economica mondiale. La contrapposizione si svolgeva con l’URSS sul piano politico economico militare e con il Giappone quale vero avversario e competitor economico. La crescita riguardò tutti i settori e si sviluppò il consumismo. L’agricoltura si modernizzò mentre il commercio internazionale si consolidò con i grandi containers mentre le multinazionali iniziarono a dominare i mercati. La Golden Age Le ragioni della crescita: 1) Disponibilità di nuove tecnologie anche a seguito dello sforzo bellico; Il ruolo dello Stato divenuto soggetto programmatore e 2) controllore; La cooperazione internazionale anche a seguito delle nuove 3) istituzioni internazionali; 4) La formazione del capitale umano con la diffusione dell’istruzione e i programmi di alfabetizzazione; La disponibilità di capitali e di movimento; 5) 6) Un sistema di cambi fissi con il dollaro moneta di riferimento; 7) I bassi prezzi delle materie prime; I bassi salari con l’abbondanza di manodopera. 8) La crisi degli anni ‘70 All’inizio degli anni ’70 i tassi di crescita del 2,9% a livello mondiale si contrassero all’1,6%. Il PIL del Giappone crollò e altresì quello dei paesi europei. L’età dell’oro era definitivamente finita. La domanda aumentò lentamente, la produzione ristagnò, il commercio internazionale rallentò, la disoccupazione riprese a crescere e altresì l’inflazione assumendo percentuale registrate solo in tempo di guerra. Due eventi che segnano l’inizio del nuovo periodo: La crisi degli anni ‘70 - Il crollo del Sistema Monetario Internazionale. Se all’inizio il sistema aveva funzionato nella prima metà degli anni sessanta la Francia cominciò a chiedere il cambio in oro dei dollari mentre gli Stati Uniti videro ridursi le riserve auree. Molti paesi non riuscivano a garantire la parità con l’oro delle proprie monete. Molte monete si svalutarono e anche il dollaro fu soggetta ad attacchi speculativi. Nel 1971 Nixon dichiarò l’inconvertibilità del dollaro e nel 1973 malgrado qualche tentativo di ritorno al Gold exchange standard fu totalmente abbandonato con il ritorno ad un sistema di cambi flessibili. La crisi degli anni ‘70 Il secondo evento che segnò l’inizio del nuovo periodo fu: - Il primo shock petrolifero. Nel Medio Oriente vi era, fin dal 1948, una certa instabilità a causa dello Stato di Israele e del conflitto con i palestinesi. Quando scoppiò la quarta guerra arabo-israelina nel 1973 (la guerra del Kippur) i paesi produttori di petrolio riuniti nell’OPEC Organization of Petroleum Exporting Countries decisero di ridurre le produzione di petrolio per colpire i paesi che avevano appoggiato Israele. Il prezzo del barile quadruplicò da 3 a 12 dollari al barile. Si trattò di un vero shock con un aumento dei costi di importazione del greggio fortissimi. Il secondo shock petrolifero avvenne nel 1979 a seguito della rivoluzione iraniana con un ulteriore aumento del prezzo del barile a 30 dollari. La crisi degli anni ‘70 1) 2) 3) Gli effetti degli shock furono: La crescita dei costi di produzione e distribuzione dei beni Si venne a creare una situazione di forte inflazione che a spirale fu favorita dalle rivendicazioni salariali e dagli aumenti dei salari con un una situazione di stagflazione e quindi di copresenza di inflazione e stagnazione economica. Contestualmente il fenomeno della disoccupazione assunse proporzioni simili al ’29 e si rispose con flessibilità e precariato. Contestualmente le nuove tecnologie e lo sviluppo dei servizi riuscì solo in parte ad assorbire tale disoccupazione. L’enorme quantità di dollari a disposizione dei paesi esportatori di petrolio (petrodollari) La grande quantità di denaro fu depositata presso banche europee ed americane che finirono per prestarle ai paesi in via di sviluppo. Tutto ciò finì per favorire l’indebitamento dei PVS per raggiungere nel 1986 la cifra di mille miliardi di dollari. Molti PVS non furono in grado di rimborsare i prestiti. La crisi degli anni ‘70 La crisi diede vita ad un nuovo modello fondato dalla crescita e sviluppo tecnologico e ma dalla mancanza di nuova occupazione Jobless growth. Si passò altresì ad un modello di produzione postfordista con la sostituzione dalla catena di montaggio a produzioni più snelle (lean production) adatte alla diversificazione dei gusti e all’utilizzo della nuove tecnologie dell’informatica. Inoltre il nuovo modello si fonda sulla flessibilità operativa riducendo le scorte operando just in time. Si organizza la produzione attraverso un sistema a rete di decentramento produttivo e di delocalizzazioni delle produzioni. Molte funzioni finiscono per essere esternalizzate. Gli anni dopo la crisi Contestualmente a queste trasformazioni nell’organizzazione produttiva le correnti di pensiero keynesiane che avevano ispirato l’azione della politica economica dalla crisi del’29 agli anni ’70 fu rivista da altri economisti neoliberisti che proposero il ritorno ad un ruolo dello Stato più contenuto. Reagan (1981-1989) e la Thatcher (1979-1990) furono i più convinti sostenitori. I governi erano molto preoccupati dall’inflazione e quindi proposero una politica ispirata ai c.d. Monetaristi sul fronte dell’offerta (supply-side) più che su quella della domanda (Keynesiani). Si favorirono quindi politiche monetarie restrittive, deregolamentazioni dei mercati, sgravi fiscali ai più ricchi per favorire gli investimenti. Tutto ciò fini per favorire nuove speculazioni e disparità sociali. Il ruolo dello Stato si ridusse ma mai sotto una certa soglia divenuto quasi impossibile ridimensionare alcune prestazioni sociali e regolamentari. La ristrutturazione economica e le politiche liberiste di contrasto alla crisi hanno finito per favorire i processi di globalizzazione. La globalizzazione Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto principale è una decisa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo. Il termine globalizzazione, di uso recente, è stato utilizzato dagli economisti, a partire dal 1981, per riferirsi prevalentemente agli aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende. Il fenomeno invece va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici, e delle complesse interazioni su scala mondiale che, soprattutto a partire dagli anni ottanta, in questi ambiti hanno subito una sensibile accelerazione. Sebbene molti preferiscano considerare semplicisticamente questo fenomeno solo a partire dalla fine del XX secolo, osservatori attenti alla storia parlano di globalizzazione anche nei secoli passati. Ma erano tempi diversi in cui la globalizzazione si identificava, pressoché essenzialmente, nell'internazionalizzazione delle attività di produzione e degli scambi La globalizzazione In campo economico la globalizzazione denota la forte integrazione degli scambi commerciali internazionali e la crescente dipendenza dei paesi gli uni dagli altri. Con la stessa parola si intende anche l'affermazione delle imprese multinazionali nello scenario dell'economia mondiale: in questo settore si fa riferimento sia alla produzione spesso incentrata nei paesi del sud del mondo; sia alla vendita, che vede i prodotti di alcuni marchi molto sponsorizzati in commercio in quasi tutti i paesi del mondo. Alcuni economisti affermano che, anche per effetto della tecnologia informatica, essa può definirsi come "uno straordinario sviluppo delle possibili relazioni, non soltanto economico-finanziarie, pur preminenti, tra le diverse aree del globo, con modalità e tempi tali da far sì che ciò che avviene in un'area si ripercuota anche in tempo reale sulle altre aree, pure le più lontane, con esiti che i tradizionali modelli interpretativi dell'economia e della società non sono in grado di valutare correntemente, anche per la simultaneità tra l'azione ed il cambiamento che essa produce". Il secolo americano - L’egemonia degli Stati Uniti Gli Stati Uniti uscirono rafforzati dal secondo conflitto mondiale e la superiorità tecnologica risultò evidente. Il PIL crebbe del 2,5% in media fino al 1973. Nel mondo si diffuse lo stile di vita americano. Gli Stati Uniti erano l’unica potenza politica, militare ed economica del mondo e il dollaro assunse la funzione di mezzo di pagamento internazionale. Gli Stati Uniti svolsero la funzione di diffondere la democrazia e la libertà, il sistema capitalistico e di mercato. Spesso però finirono, nel quadro della guerra fredda, per regimi e sistemi autoritari in Africa ed America latina. L’egemonia degli Stati Uniti L’agricoltura fece registrare il forte incremento della produttività e delle produzioni sostenendo i redditi dei c.d. farmers. Malgrado ciò questi furono sostenuti dal governo e la sovrapproduzione di frumento fu destinata all’export. Nel settore dell’industria si diffusero e ingrandirono le corporations e nacque l’impresa multudivisione, organizzata in settori e divisioni con propria autonomia funzionale e gestionale. Si assistette alla separazione tra proprietà e management, tra i molteplici azionisti e il management aziendale. Si estese il mercato azionario dove investitori istituzionali (compagnie di assicurazioni, fondi pensione e fondi comuni di investimento) cominciarono a vendere/acquistare aziende (azioni ed obbligazioni). Si svilupparono corporations nei nuovi settori dell’elettronica e dell’informatica. A seguito della crisi degli anni ’70 si assistette ad un rallentamento della crescita e di inflazione. L’egemonia degli Stati Uniti A seguito della crisi nel 1980 alle elezioni presidenziali vinse il repubblicano Ronald Reagan. La nuova politica economica fu improntata a promuovere politiche monetarie restrittive, deregolamentazioni dei mercati finanziari e del credito, tagli alle spese assistenziali e sgravi fiscali ai più ricchi e ancora forte incremento delle spese militari anche per contrastare il blocco comunista. Il cambio di rotta nelle decisioni di politica economica si è accompagnato con il prevalere in campo universitario di tesi neoliberiste, il cui principale ispiratore era l'economista di Chicago e premio Nobel Milton Friedman. L’egemonia degli Stati Uniti Si racconta in particolare che Reagan venne convinto dall'economista Laffer che una riduzione dell'imposizione fiscale avrebbe avuto effetti benefici sia sulla crescita economica che sull'imposizione fiscale, perché un'eccessiva imposizione fiscale spingeva i lavoratori a rinunciare a lavorare di più. Alle scelte fiscali si sono aggiunte politiche di forti liberalizzazioni, scelte fortemente antisindacali, culminate nel licenziamento di migliaia di controllori di volo in sciopero, e di forti tagli alla spesa sociale, controbilanciati tuttavia da un forte aumento della spesa pubblica per armamenti. Grazie al taglio della pressione fiscale, la produzione industriale aumentò decisamente, come del resto l'occupazione. Nonostante ciò è da sottolineare l'aumento del debito pubblico, dovuto alle politiche di spesa adottate dal congresso americano. Tutto ciò fini per favorire nuove speculazioni e disparità sociali. Reaganomics Nonostante la crisi borsistica del 1987 a Wall Street l’economia americana continuò a crescere per tutti gli anni novanta con tassi del 4%. Si procedette alla ristrutturazione delle imprese a alla delocalizzazione. Gli Stati Uniti profittarono della globalizzazione e dopo essere stati creditori del mondo iniziarono ad indebitarsi e ad importare capitali ciò al fine di sostenere la crescita e finanziare il deficit della bilancia dei pagamenti dovete all’aumento delle importazioni stimolate dal grande mercato interno. La crisi del 2008-2009 Malgrado gli attentati delle Torri gemelle nel 2001 a New York la crescita continuò sostenuta a causa della forte espansione del credito e dallo sviluppo della finanza. Nel corso del 2007 gli Stati Uniti sono entrati in una grave crisi creditizia e ipotecaria che si è sviluppata a seguito della forte bolla speculativa immobiliare (la nota vicenda dei mutui subprime a tasso variabile) e del valore del dollaro molto basso rispetto all'euro e ad altre valute. La crisi del 2007-2008 Dopo diversi mesi di debolezza e perdita di impieghi, il fenomeno è collassato tra il 2007 e il 2008 causando il fallimento di banche ed entità finanziarie e determinando una forte riduzione dei valori borsistici e della capacità di consumo e risparmio della popolazione. A settembre 2008, i problemi si sono aggravati con la bancarotta di diverse società legate al credito ed alla finanza immobiliare, come la banca di investimenti Lehman Brothers, le società di mutui Fannie Mae e Freddie Mac o la società di assicurazioni AIG. Il governo nordamericano è intervenuto iniettando liquidità per centinaia di miliardi di dollari (800 miliardi) con l'obiettivo di salvare alcune di queste società. Nel frattempo gli indici borsistici delle borse americane, specchio della salute dell'economia USA, sono letteralmente colati a picco con perdite che dall'inizio dell'anno hanno superato il 40% del valore. Variazioni del Prodotto interno lordo nella recessione del 2009 La Gran Bretagna La GB a seguito del conflitto mondiale si trovò in gravi difficoltà e dovette chiedere un prestito di 5 miliardi di dollari a Stati Uniti e Canada. Il nuovo governo laburista (tra cui quello di Beveridge propositore del Welfare State) nazionalizzò diversi settori (trasporti, telecomunicazioni, Banca di Inghilterra, gas, elettricità, siderurgia), istituì il Servizio Sanitario Nazionale, un programma di edilizia pubblica e di assistenza ai lavoratori. Attraverso questi provvedimenti l’economia inglese riprese a crescere ma lentamente (a tassi del 2%) dimenticando di investire su ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e produttività. La crisi petrolifera del 1973 fu particolarmente dura con scioperi dei minatori e conflitti sociali e il PIL in alcuni anni arretrò. Margaret Thatcher Nel 1979 il partito conservatore vince le elezioni e viene eletto primo ministro la Sig. Margaret Thatcher. La Thatcher rivestirà la carica di primo ministro per tre mandati fino al 1990. Da Primo ministro della GB s'impegnò per rovesciare il declino economico che interessava il Regno Unito ormai da qualche decennio. In quanto filo-monetarista incrementò il tasso d'interesse per ridurre l'inflazione ed aumentò l'IVA, preferendo la tassazione indiretta a quella diretta; questi interventi colpirono soprattutto l'industria manifatturiera, e la disoccupazione finì per raddoppiare in poco più di un anno. Nel 1982 l'inflazione tornò a livelli accettabili ed il tasso d'interesse fu abbassato ma la disoccupazione aumentò di quattro volte. LA GB riprese a crescere con tassi del 2,6%. Margaret Thatcher Dal 1984 Thatcher si impegnò nell'affrontare il potere dei sindacati. Il sindacato dei minatori dichiarò lo sciopero ad oltranza per opporsi alla chiusura di parecchie miniere. In alcuni casi gli scioperanti fecero azioni di picchettaggio, che la Thatcher non esitò a reprimere. I metodi della polizia infatti durante lo sciopero furono molto contestati. Dopo un anno, il sindacato fu costretto a cedere senza condizioni. Si impegnò a ridurre l'intervento statale, soprattutto tramite un gran numero di privatizzazioni e a favorire lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel Mare del Nord. In politica estera accentuò la sua ostilità nei confronti dell'Europa, opponendosi fermamente al progetto di creare l'Unione europea; la cosa provocò una prima spaccatura nel partito. In seguito il Ministro dell'Economia e quello degli Esteri minacciarono le dimissioni e alla fine gli successe John Major. La Francia Al termine del secondo conflitto la Francia presentava delle debolezze strutturali anche dovute alle distruzioni dell’occupazione militare e alla chiusura dell’economia. Tuttavia attraverso uno slancio nazionale seppe recuperare e riprendersi creando un clima di fiducia che diede vita alla c.d. Golden Age. La ricostruzione du realizzata in tempi record. Nel 1949 la produzione era tornata ai livelli del 1939. L’obiettivo fu la modernizzazione dell’economia sotto la guida dello Stato. Si procedette ad alcune nazionalizzazioni nel quadro di una economia mista. Grazie a Jean Monnet si procedette alla pianificazione economica e all’approvazione dei piani quadriennali. L’agricoltura si modernizzò e lo Stato favorì l’apertura dell’economia verso l’esterno. La costruzione del mercato comune europeo con Robert Schuman favorì questo processo. La crisi petrolifera convinse la Francia alla scelta del nucleare. Successivamente si procedette attraverso fasi alterne tra nazionalizzazioni e privatizzazioni. I governi socialisti di Mitterand favorirono nazionalizzazioni spesa pubblica per rilanciare i consumi. Fino a prima della crisi la Francia aveva un’economia prospera con una agricoltura poderosa, un’industria ad altissimo livello con una forte presenza dello Stato e un sistema amministrativo e burocratico di alto livello. La Germania La Germania totalmente distrutta dalla guerra rimase priva di un governo fino al 1949. Gli Alleati, all’inizio, procedettero allo smantellamento dell’industria pesante e degli armamenti per impedire la ricostruzione del sistema produttivo che aveva portato a due guerre mondiali. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'Unione Sovietica si erano accordati a Potsdam su un ampio programma di decentralizzazione, trattando la Germania come una singola entità economica con alcuni dipartimenti amministrativi centrali. Questo piano si ruppe nel 1948, con l'inizio della Guerra Fredda. Le potenze occidentali erano preoccupate dal deteriorarsi della situazione economica nelle loro zone; il Piano Marshall di aiuti economici americani venne esteso alla Germania occidentale, mentre una riforma valutaria introdusse il Marco tedesco e fermò l'inflazione montante. I sovietici non concordarono con la riforma e si ritirarono, nel marzo 1948, dal corpo governativo a quattro e diedero inizio al Blocco di Berlino nel giugno 1948, sbarrando tutte le vie di accesso terrestri tra la Germania Ovest e la città. Le potenze alleate replicarono con il "Ponte aereo per Berlino", un continuo rifornimento via aria della metà occidentale della città. I sovietici posero fine al blocco dopo 11 mesi. La Germania Il 23 maggio 1949, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia cedettero la sovranità delle rispettive zone di occupazione alla neocostituita Repubblica Federale di Germania. Poco dopo, il 7 ottobre 1949, l'URSS cedeva la sovranità della propria zona di occupazione alla neocostituita Repubblica Democratica Tedesca, in tedesco, Deutsche Demokratische Republik (sigla DDR). La Repubblica Federale di Germania era alleata con gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia. Era una nazione capitalista occidentale ad economia di mercato e godette di una prolungata crescita economica a seguito della riforma valutaria del giugno 1948 e delle sovvenzioni statunitensi dell'ERP, European Recovery Program (o Piano Marshall) (1948-1951). La Repubblica Democratica Tedesca rimase alleata dell'Unione Sovietica ed entrò a far parte del Patto di Varsavia alla sua costituzione (maggio 1955). Stato autoritario con un'economia centralizzata di tipo socialista, divenne ben presto la più ricca e più avanzata tra le nazioni del blocco sovietico, ma molti suoi cittadini guardavano ad ovest per la libertà politica e la prosperità economica. La Germania Nel corso degli anni la Germania dell’ovest visse un vero e proprio miracolo economico con tassi di crescita del 5%. Il modello tedesco fu ispirato alla economia sociale di mercato con una incisiva presenza dello Stato, la cogestione nelle grandi imprese e una produzione orientata alle esportazioni. La Germania dell’Ovest si giovò altresì di un notevole flusso di immigrati sia dell’Est che da altri parti dell’Europa. Anche la Germani dell’Est fino al 1973 conobbe tassi di crecsita elevati e rappresentò uno dei Paesi del blocco sovietico più avanzati. L’industria fu orientata a quella pesante a discapito dei consumi. La riunificazione Durante l'estate del 1989, dei rapidi cambiamenti ebbero luogo nella Germania Est, che alla fine portarono alla Riunificazione tedesca. Un numero crescente di tedeschi dell'est emigrava nella Germania Ovest attraverso l'Ungheria, dopo che gli ungheresi decisero di non usare la forza per fermarli. L'esodo generò richieste interne alla DDR per un cambiamento politico, e dimostrazioni di massa con centinaia di migliaia di persone in diverse città – particolarmente a Lipsia – continuarono a svolgersi. Il 7 ottobre, il leader sovietico Michail Gorbačëv visitò Berlino per celebrare il 40º anniversario della fondazione della DDR e fece pressione sulla dirigenza della DDR per perseguire le riforme, senza successo. Il 4 novembre, una dimostrazione a Berlino Est portò in piazza circa un milione di abitanti. Infine, il 9 novembre 1989, il Muro di Berlino venne aperto e ai tedeschi dell'est venne consentito di viaggiare liberamente. A migliaia si riversarono attraverso il muro e nella parte ovest di Berlino. Il Cancelliere della Germania Ovest Helmut Kohl, delineò un piano in 10 punti per l'unificazione pacifica delle due Germanie, basato su elezioni libere ad est e sull'unificazione delle due economie. L’unificazione L'unione politica formale avvenne il 3 ottobre 1990, eseguita tecnicamente – non senza critiche – tramite l'Articolo 23 della costituzione della Repubblica Federale di Germania, come l'annessione ai cinque Länder orientali ripristinati. Il 2 dicembre 1990, delle elezioni in tutta la Germania. La nuova nazione mantenne il nome Bundesrepublik Deutschland, utilizzava il "Deutsche Mark" della Germania Ovest, e il suo sistema legale e le istituzioni vennero estese a Est. La Spagna La spagna non partecipò al secondo conflitto mondiale avendo sostenuto una guerra civile con la vittoria di Francisco Franco e la dittatura. Negli anni ’50 e ’60 la Spagna cominciò a crescere con tassi elevati fino a raggiungere il 7,3% con un forte processo di modernizzazione. La transizione democratica alla morte di Franco (1975) con la ricostituzione della monarchia e libere elezioni rafforzò la crescita economica suggellata con l’entrata della Spagna nella CEE nel 1986. Il Giappone Il Giappone si presentò al termine del secondo conflitto mondiale totalmente distrutto. Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki furono l’epilogo del conflitto. La produzione agricola era crollata del 40% e il PIL rappresentava appena il 12% di quello americano. A partire dal 1950 al 1973 il Giappone ha vissuto il suo miracolo economico raggiungendo il PIL inglese e avvicinandosi a quello americano. Gli investimenti e produttività crebbero vertiginosamente mentre la disoccupazione scese e le esportazioni aumentarono di ben 23 volte. Il Giappone I fattori dello sviluppo economico: 1. La guerra di Corea e la divisione della Corea in due stati favorì il Giappone in quanto testa di ponte per l’impegno militare americano; L’espansione del commercio internazionale con le costanti esportazioni giapponesi negli Stati Uniti; L’affidamento a tecnologie avanzate e a capitale umana qualificato; L’azione dello Stato che tenne i tassi di interesse bassi, ridusse le tasse sugli utili e gli investimenti, favorì la creazione di cartelli e stabilì barriere protezionistiche alle importazioni e infine la riforma agraria ridistribuendo terra ai contadini espropriandola a quelli passivi. Il clima di collaborazione tra governo e imprese, tra imprese e tra imprese e lavoratori che rientra nella tradizione confuciana di rispetto delle gerarchie. Si garantiva il lavoro ai dipendenti in cambio di fedeltà e sacrifici. 2. 3. 4. 5. Il Giappone Il Giappone risentì molto meno di tutti della crisi del 1973. La crescita rallentò ma mantenne livelli superiori all’Europa. Si procedette ad una ristrutturazione produttiva con l’introduzione dei robot e la creazione di imprese “snelle”. Al termine, negli anni ’80, il Giappone era la seconda potenza economica mondiale. Negli anni ’90 il Giappone vive una crisi finanziaria e bancaria simile a quella attuale con speculazioni immobiliari e finanziarie che finiscono per produrre fallimenti e crisi di liquidità. La bolla scoppiò appunto nel 1990 e la borsa crollò del 63%. Per combattere la crisi fu previsto un forte programma di lavori pubblici, interventi protezionistici e anche di dumping. Solo nei primi anni del nuovo secolo il Giappone ha segnato modesti dì segnali di ripresa. Dall’economie pianificate all’economia di mercato L’Unione sovietica e il blocco comunista L’Unione sovietica L’URSS fu quella che subì i maggiori danni dal conflitto. Dopo la guerra riprese la politica di pianificazione con il quarto piano quinquennale. Anche l’URSS tuttavia visse periodi di crescita con tassi intorno al 3,5%. Inoltre l’URSS costituì un cuscinetto di c.d. “Stati satelliti” dell’Europa dell’Est accomunati dai regimi comunisti e da una economia pianificata. Nacque il COMECON Consiglio di Mutua Assistenza Economica tra i paesi dell’Est con sede a Mosca e con l’obiettivo della cooperazione economica e il coordinamento delle politiche di sviluppo. Fu in verità lo strumento di controllo delle economie da parte dei russi. In tal senso il malcontento fu evidente e numerose furono le rivolte contro il controllo sovietico (Ungheria 1956 – Cecoslovacchia 1968). La crisi degli anni ’70 non coinvolse i Paesi dell’Est. I limiti della pianificazione Tuttavia i limiti della pianificazione centralizzata sovietica iniziarono a essere evidenti. Il coordinamento tra diverse fabbriche e tra queste e gli approvvigionamenti diventava complesso e con tempi spesso lunghi. Inoltre i piani quinquennali stabilivano obiettivi di quantità e non di qualità. Inoltre la previsione delle quantità spesso era inadeguata alle esigenze e si creavano sottoproduzioni rispetto alle esigenze. Inoltre nessuno stimolo era dato alle innovazioni tecnologiche con un complessivo arretramento delle produzioni. I prezzi dei beni erano fissati e calmierati con aumento della capacità di risparmio. La disoccupazione era inesistente in quanto a tutti era garantito un impiego ma la produttività del lavoro era bassissima. Le fabbriche avevano un numero di lavoratori eccessivo. L’agricoltura era molto debole in quanto i contadini preferivano dedicare molto tempo ai piccoli appezzamenti a discapito delle aziende agricole collettive dove erano impiegati. L’URSS non era quindi autosufficiente sul piano alimentare malgrado gli ingenti investimenti. Michail Gorbaciov Malgrado numerosi tentativi di riforma il sistema non riuscì a reggere e solo Gorbaciev mise mano in modo radicale al sistema sovietico. Promosse la glasnost – trasparenza nella gestione del potere attraverso forme più democratiche e la perestrojka – ristrutturazione attraverso la trasformazione del sistema burocratico, favorendo una certa iniziativa privata e riducendo l’invasività dei funzionari del partito comunista nell’economia. Tuttavia le riforme politiche avviate prima di quelle economiche e spesso in maniera disordinata finirono per favorire il crollo del sistema e la forte contrapposizione tra conservatori e riformisti. Inoltre in quegli anni il deficit del bilancio statale era fortemente cresciuto a causa sui di esigenze eccezionali (terremoto in Armenia, la centrale nucleare di Chernobyl) sia per il mantenimento di un apparato produttivo inefficiente. Le riforme introdotte e una minima liberalizzazione dei prezzi crearono inflazione e disoccupazione con un crescente malcontento tra la popolazione e l’inizio della fine. Il crollo dei regimi comunisti Nei Paesi dell’Est il comunismo e l’economia pianificata non erano riusciti a migliorare le condizioni di vita della popolazione e già esistevano timide riforme di economia di mercato sia nell’agricoltura che in altri settori (Polonia, Ungheria). Le riforme avviate da Gorbaciov favorirono le forse di cambiamento nei vari paesi a cominciare dalla Polonia (Solidarnosc), Ungheria e Cecoslovacchia. L’anno del cambiamento fu il 1989. La fine dei regimi comunisti fu segnato dal crollo del Muro di Berlino il 9 novembre 1989. Tutti i regimi comunisti caddero sotto la pressione popolare. Alcune in modo pacifico (Bulgaria) altre con rivolte (Romania). La fine della Jugoslavia con la secessione di Slovenia e Croazia (1991) diede vita al conflitto nei Balcani. Le riforme in URSS di Gorbaciov, dopo un fallito colpo di stato, portarono allo scioglimento dell’Unione Sovietica (1991) e alla nascita di 15 repubbliche indipendenti. La Comunità degli Stati Indipendenti «CSI» è una confederazione composta da nove delle repubbliche dell'ex Unione Sovietica. Armenia,Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Georgia (ritirata nel 2009), Ucraina (ha dichiarato il ritiro) La transizione al capitalismo La transizione all’economia di mercato fu lunga e difficile. Il passaggio da un’economia pianificata a una di mercato non era mai stato sperimentato in nessuna economia del mondo. Tra il 1990 e il 1998 il PIL della Russia diminuì del 7%. La conversione della più grande economia controllata dallo Stato in economia di mercato sarebbe stata enormemente difficoltosa senza riforme politiche. Gli obiettivi da perseguire al fine di affrontare tale transizione furono individuati in (1) liberalizzazione, (2) stabilizzazione e (3) privatizzazione. Tali politiche erano basate sul neoliberista "Washington Consensus" di IMF, Banca Mondiale e Dipartimento del Tesoro statunitense. I programmi relativi alla liberalizzazione e alla stabilizzazione dell'economia russa furono gestiti da una c.d. "terapia shock". Nel 1992 si sancì la liberalizzazione dei commerci con l'estero, dei prezzi e della concorrenza. I risultati della liberalizzazione, abbassando i controlli sui prezzi, portarono tuttavia a un'inflazione incontrollabile (aggravata dal fatto che la Banca Centrale decise di stampare nuova cartamoneta per finanziare il debito accumulato) e la prossima bancarotta di molte imprese russe, il cui modello di produzione era inadeguato a confrontarsi con il libero mercato globale. La transizione al capitalismo Il processo di liberalizzazione comportò vincitori e perdenti. Alcuni trassero dei benefici dall'aprirsi del paese alla concorrenza, per altri fu la rovina. Tra i vincitori c'era la nuova classe di imprenditori (alcuni dei quali dediti al mercato nero) che si erano formati durante la perestrojka. Ma la liberalizzazione dei prezzi comportò per gli anziani e per coloro che avevano uno stipendio fisso un drastico calo dello stile e della qualità di vita. La stabilizzazione si concretizzò in un duro regime di austerity (una severa e inflessibile politica monetaria e fiscale). Il governo lasciò lievitare gran parte dei prezzi al consumo, alzò sensibilmente i tassi di interesse, elevò drasticamente il carico fiscale dei contribuenti e tagliò recisamente sia ogni sussidio alle industrie e alle imprese statali che la spesa sociale. La transizione al capitalismo Alla fine degli anni ’90 l’economia russa ha ripreso a crescere con tassi del 7,4% riportandosi ai livelli del 1990. Ciò è stato possibile grazie ai grandi giacimenti di petrolio e gas e quindi allo sfruttamento delle materie prime. Lo Stato ha inoltre conservato alcune grandi industrie (vedi Gazprom) e ha ridimensionato le privatizzazioni. Malgrado la forte crescita, soprattutto nella regione di Mosca, il PIL della Russia è il 29% di quello americano. Anche l’Ucraina, dopo diverse riforme economiche e politiche, ha ripreso a crescere. La transizione al capitalismo da parte dei Paesi dell’Est è stata molto più graduale e in presenza di economia che comunque avevano mantenuto alcuni caratteri di mercato. Fu comunque necessario ricostruire l’apparato industriale e bancario. L’entrata nell’Unione Europea nel 2004 e nel 2007 ha rafforzato i processi di transizione al mercato. Negli ultimi anni la crescita di questi Paesi è stato molto sostenuta (3-4%). Il caso cinese L'economia cinese è la seconda maggiore economia al mondo per PIL (nominale) prodotto, alle spalle degli Stati Uniti anche se il PIL (nominale) pro capite è novantasettesimo (2013). L’impero cinese della dinastia Quing termina dopo due guerre civili fra i nazionalisti filoamericani di Chiang Kaishek (o Jiang Jie-Shi) e i comunisti di Mao Tse-tung (o Mao Zedong) (19271937 e 1945-1949), intervallate dall'invasione giapponese (1937-1945), termineranno con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese di Mao, il 1º ottobre 1949, e della Repubblica nazionale cinese nell'isola di Formosa. Il caso cinese Dalla nascita della Repubblica Popolare, nel 1949, il governo socialista portò avanti un modello di economia pianificata in stile sovietico. L'agricoltura venne collettivizzata e la pianificazione centrale avvenne attraverso la definizione di Piani quinquennali. La Costituzione cinese fino al 2004 non riconosceva la proprietà privata. Il caso cinese Dopo la morte di Mao (1976), il controllo del Partito Comunista Cinese fu preso da Deng Xiaoping, che fu il principale fautore della cosiddetta apertura della Cina al mondo occidentale: migliorò infatti le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, ma soprattutto nel 1978 avviò la Cina alla c.d. economia socialista di mercato, un sistema economico che avrebbe avvicinato l'economia cinese al modello capitalista, sostituendo gradualmente la pianificazione centralizzata con un'economia liberale di mercato. Deng avviò al contempo il programma delle "Quattro Modernizzazioni" (agricoltura, industria, scienza e tecnologia, apparato militare). Le terre non furono mai riprivatizzate, ma affidate ai contadini con contratti di usufrutto pluridecennale, il controllo centralizzato sui prezzi fu allentato, e venne incoraggiata la creazione di nuove imprese attraverso la liberalizzazione di alcuni settori e l'apertura agli investimenti esteri Il caso cinese Il forte sviluppo economico cinese degli ultimi tre decenni si è basato in larga parte sulla grande quantità di manodopera a basso costo reperibile, che ha attirato la delocalizzazione produttiva di molte imprese occidentali e giapponesi. La delocalizzazione è stata incoraggiata anche da un crescente livello delle infrastrutture e dei trasporti, da una politica governativa favorevole e, a detta di alcuni, da una svalutazione competitiva dello yaung (Remnbi). L'enorme sviluppo economico ha trascinato milioni di cinesi fuori dalla povertà: nel 2009 circa il 10% della popolazione viveva con meno di 1 dollaro al giorno, rispetto al 64% del 1978. L'aspettativa di vita è salita a 73 anni. La disoccupazione nelle città alla fine del 2007 era scesa al 4%, mentre la disoccupazione media si attesta attorno al 10%. Al contempo sono cresciuti notevolmente sia la fetta di popolazione appartenente al ceto che i super ricchi. Tuttavia la crescita economica si è concentrata nelle regioni industrializzate del sud-est, contribuendo ad allargare la disparità di reddito tra le diverse regioni della Cina. Le disuguaglianze tra le nazioni L’eccezionale sviluppo delle economie occidentali ha rafforzato il divario tra paesi ricchi e paesi poveri del mondo. Solo Stati Uniti e Europa rappresentano la gran parte della ricchezza mondiale. L’Africa arriva ad appena il 5%. La suddivisione del mondo in Nord e Sud, in funzione del suo sviluppo economico sociale e l'uso di questi termini per una descrizione geopolitica venne usata pubblicamente per la prima volta da Willy Brandt, nel titolo del rapporto della commissione da lui presieduta sullo sviluppo internazionale, ed oggi fa parte del linguaggio delle Nazioni Unite. Le disuguaglianze tra le nazioni Il sottosviluppo è una condizione di arretratezza sociale ed economica in cui vive la popolazione di un paese rispetto ai paesi con sistemi economici più avanzati. I paesi poveri sottosviluppati o in via di sviluppo, nelle analisi geopolitiche, erano inizialmente raggruppati nel c.d. Terzo mondo, contrapposto al Primo mondo, i paesi industrializzati ad economia capitalista, e al Secondo mondo, i paesi a economia pianificata dell’Europa socialista. Nel 1989, la caduta del Muro di Berlino, determinò la fine del vecchio assetto geopolitico, con la scomparsa del Secondo mondo. Non essendo più evidente una tripartizione in paesi con situazioni economiche diverse, il termine Terzo mondo cadde in disuso e, per parlare dei paesi poveri in via di sviluppo, si preferì parlare di Sud del mondo, riferendosi alla posizione geografica della maggior parte di essi. Le disuguaglianze tra le nazioni Si considerano come facenti parte del Sud del mondo, tutta l’Africa, l’America Latina, l’America centrale, l’India, il Sud-est asiatico e molti paesi del medio ed estremo Oriente. All’interno di tali paesi sono distinguibili due tipi di Paesi sottosviluppati: quelli con risorse e quelli senza. I primi hanno materie prime all’interno del proprio paese, che potrebbero permettere uno sviluppo economico; i secondi, non avendo né capitali, né risorse, hanno minima possibilità di sviluppo autonomo indipendente. Human Development Index (HDI) Per avere un quadro più preciso del grado di sviluppo di un paese, nel 1990 l’ONU ha introdotto l’Isu, l'Indice di sviluppo umano, che si ottiene dalla combinazione di tre dati: la speranza di vita alla nascita, il reddito procapite e il tasso di alfabetizzazione. Tuttavia, esistono casi che non obbediscono a questa regola statistica. A conferma del fatto che il Reddito medio pro-capite non è sufficiente a descrivere le condizioni di sviluppo. http://www.worldbankgroup.org/ La decolonizzazione Come avvenne per i Paesi dell’America latina nel secolo XIX così nel secolo XX i Paesi dell’Asia e dell’Africa ottennero l’indipendenza sulla base della Carta delle Nazioni Uniti (1945). Dopo la seconda guerra mondiale le potenze europee che avevano costituito i loro imperi coloniali in Africa e Asia non furono più in grado di mantenerne il controllo, infatti il conflitto mondiale aveva indebolito i francesi e i britannici che rappresentavano le maggiori potenze coloniali. Inoltre tra le due guerre erano sorti i primi movimenti o partiti nazionalisti, che aumentarono la diffusione del sentimento nazionale e del desiderio di indipendenza stimolato dalla lotta al nazifascismo in difesa della democrazia. Il processo di decolonizzazione durò circa quarant’anni: in alcuni casi l’indipendenza fu raggiunta per via pacifica, con trattative tra la madrepatria e i gruppi dirigenti locali; un esempio di questo tipo di decolonizzazione è stata la Gran Bretagna, che avviò gradualmente all’indipendenza le colonie, trasformando l’impero nel Commonwealth. In altri casi avvenne per via violenta con una guerra di liberazione, ed un esempio è la Francia che oppose dura resistenza ai movimenti di liberazione (Algeria e Indocina). La decolonizzazione La decolonizzazione La prima nazione a conseguire l’indipendenza fu l’INDIA. Seguirono Birmania, Indonesia, Vietnam, Cambogia, Laos e i Paesi dell’africa settentrionale. Introno agli anni ’60 fu la volta dell’Africa nera. Il Portogallo, dopo un lungo conflitto armato, rinunciò nel 1975 a Mozambico e Angola. Fattore decisivo per lo smantellamento degli imperi coloniali fu la pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Infatti i due vincitori del secondo conflitto mondiale erano contrari al colonialismo. Entrambe le superpotenze in realtà avevano l’obiettivo di allargare le loro zone d’influenza e fecero pesare in seguito la loro egemonia economica e politica nei paesi dell’Africa e dell’Asia. Le strategie di sviluppo dei PVS I Paesi in Via di Sviluppo provarono a attuare delle strategie di sviluppo avendo come modelli il sistema della pianificazione economica e l’economia di mercato. Elemento significativo fu l’intervento dello Stato attraverso la nazionalizzazione di interi settori produttivi (servizi pubblici, banche, distribuzione dei prodotti, ect..) e l’adozione di misure protezionistiche. Le politiche di sviluppo furono orientate o: - Alla sostituzione delle importazioni con produzioni locali incentivando l’industria locale (Argentina, Brasile, Messico); - Alla promozione delle esportazioni con produzioni ad alto contenuto tecnologico (Malaysia, Taiwan, Thailandia, India, Indonesia) e che divennero i c.d. Paesi di Nuova Industrializzazione (Newly Industrializing Countries NIC) Le strategie di sviluppo dei PVS Un elemento comune fu il ricorso ai Debiti esteri sotto forma di Aiuti (prestiti dei governi stranieri) o di Prestiti bancari da banche estere. L’abbondanza di denaro, depositato nelle principali banche internazionali, dovute ai c.d. petrodollari, causò un abbassamento dei tassi di interesse. A questo si accompagnò anche una notevole inflazione, dovuta all'aumento dei costi di produzione per il caro-petrolio. La combinazione di tassi d'interesse bassi e di inflazione alta portò ad un tasso d'interesse reale negativo. Con questa condizione, addirittura redditizia per chi s'indebita, ci fu una vera e propria corsa dei paesi del Sud del mondo a contrarre debiti con le banche occidentali. Le banche non avevano interesse a tenere ferme grandi quantità di denaro liquido e così approvarono enormi prestiti ai PVS senza interessarsi di come questo denaro sarebbe stato speso né di come sarebbe stato restituito. Il denaro in parte fu usato nel tentativo di migliorare il livello di benessere dei paesi del Terzo Mondo, ma gran parte di esso finì direttamente sui conti bancari dei dittatori locali, largamente sponsorizzati dai paesi occidentali Le strategie di sviluppo dei PVS Nel 1978-79 i tassi di interesse iniziarono a crescere. Nel 1982 il Messico, oppresso dall'insostenibilità del debito, dichiarò l'insolvenza. Si temette allora che la sfiducia nel sistema bancario potesse provocare una crisi simile a quella del 1929 e quindi il ritiro simultaneo del denaro dalle banche. Per evitare ciò i governi dei paesi industrializzati, il FMI e la Banca Mondiale decisero di concedere prestiti ai paesi debitori, a condizione che questi attuassero le cosiddette "politiche di aggiustamento strutturale": quindi, in un certo senso, gli stati debitori "pagarono" parte dei loro interessi limitando la loro sovranità. Si verificò quindi un passaggio, a volte parziale, dall'indebitamento verso privati a indebitamento verso governi ed enti pubblici. Queste "riforme strutturali" imposero misure tali da garantire la restituzione del prestito ma anche spesso resero l'economia interna facile preda dei capitali stranieri e dello sfruttamento da parte di compagnie multinazionali delle risorse locali. Le strategie di sviluppo dei PVS Le politiche strutturali furono improntate alla liberalizzazione e alla privatizzazione di interi settori dell’economia. Tutto ciò ha creato situazioni differenziate di rafforzamento di investimenti esteri ma anche di forte competizione di settori produttivi troppo deboli per reggere la concorrenza dei Paesi industrializzati con evidenti problemi sociali e occupazionali. Negli ultimi decenni la globalizzazione ha coinvolto i PVS. Alcuni di questi ne hanno tratto dei benefici dovuti ai nuovi flussi di investimenti esteri e alle rimesse degli emigrati. L’India L’indipendenza dell’India arrivò in un clima di forte instabilità politica ed economica che durò almeno fino alla nascita della Costituzione, nel 1950. Inoltre l’indipendenza porta alla nascita dell’India a prevalenza induista, e al Pakistan a prevalenza mussulmana, con continui contrasti tra i due paesi a causa della regione del Kashmir. L’India A caratterizzare la storia dell’India indipendente, fino alla fine degli anni Ottanta, fu la presenza di un sistema politico-economico e di un’ideologia dotati di tratti particolari: la democrazia politica; la presenza di un partito politico dominante caratterizzato da una vivace democrazia interna; il prevalere dell’ideologia laica; un sistema economico contraddistinto dall’intervento dello stato e dal protezionismo. Alcuni di questi elementi furono in tutto o in parte un’eredità del periodo coloniale; altri furono una più diretta espressione delle convinzioni personali e dell’azione politica del primo ministro Nehru. Ma fu solo dal 1991 che il sistema nehruviano venne meno, sia pure con la cruciale eccezione della democrazia politica. Da quel momento iniziò una fase di liberalizzazioni, deregolamentazioni e di riduzione dell’intervento dello Stato nell’economia. L’India La politica di Nehru si articolò in tre punti chiave: (1) il potenziamento dell’intervento statale in economia, non solo aumentando il numero di settori economici di esclusiva competenza dello stato, ma soprattutto ponendo con molto rilievo l’obiettivo di creare a tappe forzate l’industria pesante di base. (2) una radicale ristrutturazione del mondo rurale che si concludesse in tempi brevi con la socializzazione dell’agricoltura. (3) il protezionismo dell’industria per assicurare la crescita dell’industria locale rispetto alla concorrenza estera. I risultati degli investimenti nell’industria pesante avrebbero portato ad un aumento della disponibilità di beni di consumo solo nel lungo termine. La politica di sviluppo voluta da Nehru ebbe quindi una serie di limiti. Il fallimento più evidente fu la distribuzione della ricchezza, lungi dall’assumere un aspetto più egalitario, favorì in maniera crescente una minoranza della popolazione. Ancor più importante fu il fatto che lo sviluppo pianificato relegò l’istruzione di base al ruolo di Cenerentola. L’India Dopo Nehru, Indira Gandhi, nazionalizzò il sistema bancario, con l’opportunità di orientare il credito a favore della piccola industria e, soprattutto, del settore rurale. Ma è a partire dal 1991 che l’India conosce un periodo di riforme di liberalizzazione e deregolamentazione dell’economia nonché la privatizzazione di interi settori di proprietà pubblica. Da allora inizia un percorso ininterrotto di crescita economica con tassi del 6-9%. Tuttavia ancora i problemi legati all’uguaglianza e alla distribuzione della ricchezza sono fortemente evidenti. Le tigri asiatiche Le tigri asiatiche è il nome che è stato attribuito verso la fine degli anni novanta principalmente a 4 paesi asiatici per via del loro ininterrotto sviluppo degli ultimi decenni, anche se questo termine si può riferire alla maggioranza dei mercati in rapida crescita nell'estremo oriente. Il termine di Quattro Dragoni è stato spesso usato come sinonimo di tigri asiatiche e si riferisce alle stesse quattro nazioni. Questi paesi sono: Hong Kong, Singapore, Taiwan, Corea del Sud. La definizione di tigri asiatiche con l'uso arrivò a comprendere un po' tutte le economie emergenti del Sud Est asiatico. Talvolta alle quattro economie emergenti maggiori dell'area venivano affiancate le così dette "Tigri minori" o "piccole tigri" ovvero altri quattro stati: Malaysia, Indonesia, Thailandia, Filippine. La tigri asiatiche Nonostante la distanza in termini economici dalle maggiori economie dell'area, ma tuttavia grazie al loro sviluppo negli anni novanta che le allontano dall'economia di pura sussistenza, anche il Vietnam e la Cambogia saltuariamente venivano incluse nella definizione di tigri asiatiche. Negli anni ’90 alcune di queste economie hanno vissuto una forte crisi a seguito di un processo troppo accelerato di liberalizzazione dei mercati finanziari e creditizi, poca trasparenza nelle transazioni bancarie e speculazioni finanziarie. L’Asia I GRUPPI OMOGENEI Le Tigri asiatiche I Paesi del Medio Oriente I Grandi Stati in via di sviluppo (Cina, India) I Paesi in ritardo di sviluppo L’America Latina La crisi del ’29 colpì pesantemente l’America Latina e la ripresa fu lenta grazie solo ai consumi interni e all’intervento dello Stato. Inoltre gli Stati latinoamericani perseguirono una politica protezionistica. Furono nazionalizzati settori strategici dell’economia (minerario, servizi finanziari, ect..) e le politiche di sviluppo furono orientate alla sostituzione delle importazioni. Malgrado ciò i risultati dell’industria furono modesti. Anche nel settore dell’agricoltura le riforme agrarie non riuscirono a rendere competitiva l’agricoltura. Gli effetti negativi di queste politiche furono il deterioramento delle finanze pubbliche e l’inflazione. La situazione peggiorò infatti negli anni ’70. Il continuo indebitamento e l’aumento dei tassi di interesse rese insostenibile il debito estero. Nel 1982 il Messico dichiarò l’insolvenza con la fuga dei capitali esteri e il crollo degli investimenti. A seguito di ciò furono avviate politiche di liberalizzazione e privatizzazione di interi settori dell’economia. Le imprese pubbliche furono cedute a capitali locali ed esteri che spesso però preferirono investimenti speculativi piuttosto che di lungo termine. Il mercato azionario fu infatti caratterizzato da periodo alterni di euforia o panico. Le politiche populistiche di deficit spending portarono ad un aumento dell’indebitamento e della stampa di nuova moneta con la crescita dell’inflazione e/o dlel’iperinflazione. L’America Latina Negli ultimi decenni la politica protezionistica dei Paesi latino-americani è stata abbandonata a favore di politiche di apertura al commercio internazionale. L’adesione al WTO a agli accordi GATT ha favorito l’apertura del commercio con l’aumento della loro quota di traffici. Nel 1995 è stato costituito il MERCOSUR (Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay) a cui recentemente si è aggiunto il Venezuela. L'economia sudamericana è stata caratterizzata in questi ultimi decenni da una bassa crescita e una bassa competitività rispetto ai ben più dinamici mercati emergenti di Cina e India. Tuttavia a partire dal 2004 si è verificato un enorme aumento della crescita del PIL e anche della competitività. In America latina vi sono enormi differenze regionali e un'accentuata disparità nella distribuzione del reddito. La maggior parte della ricchezza è concentrata nelle mani di una minoranza della popolazione, mentre milioni di individui sperimentano livelli di privazione che raggiunge, in casi estremi, la povertà assoluta. Il divario economico tra ricchi e poveri è considerata superiore rispetto alla media dei paesi degli altri continenti. In Venezuela, Paraguay, Bolivia e molti altri paesi sudamericani, il 20% della popolazione più ricca detiene più del 60% della ricchezza nazionale, mentre il 20% della popolazione più povera ne possiede meno del 5%. L’America Latina Questa realtà però non è omogenea in tutto il Sudamerica: esiste infatti un gruppo di paesi chiamati “del Cono Sud” (Argentina, Brasile meridionale, Cile e Uruguay), che presentano indicatori socio-economici più positivi e tassi più elevati di sviluppo umano, tali da classificarli nella categoria degli stati più sviluppati. I fattori che ostacolano la crescita dell'economia sudamericana sono la classe dirigente che sostiene lo status quo, le interferenze politiche di altri paesi occidentali e la minore competitività rispetto ai principali competitori (in primis la Cina). L'economia sudamericana è ripartita tra le estrazioni minerarie della regione amazzonica e l'agricoltura presente in quasi tutti i paesi. L'industrializzazione è ad un livello medio in varie regioni, anche se è molto forte la presenza di gruppi multinazionali. L'estrazione e l'esportazione di petrolio è importante in Venezuela, che possiede alcune delle più grandi riserve mondiali. La Bolivia si distingue per la produzione di gas naturale. L’Africa L’economia dell’Africa è per certi versi difficile da descrivere. Delle 54 nazioni che formano il continente 25 appaiono tra i paesi più poveri della terra. Allo stesso tempo, alcune nazioni hanno livelli di vita paragonabili a quelli occidentali (Sudafrica, Botswana). Non bisogna poi dimenticare che alcuni paesi dove la popolazione ha un livello di vita estremamente basso, sono ricchi di risorse minerarie. Le ragioni della povertà di molti paesi africani sono molte e complesse. Il colonialismo, prima, e il processo di decolonizzazione poi, hanno bloccato lo sviluppo naturale delle società africane, hanno spesso fatto retrocedere i processi produttivi, hanno creato barriere al libero movimento di persone e cose. I primi governi indipendenti hanno inoltre ceduto al dispotismo e alla corruzione rampante, aggravando la situazione e impedendo l’utilizzo delle risorse, spesso ingenti, che avrebbero potuto dare una forte spinta allo sviluppo economico. Alcuni economisti fanno inoltre notare che i processi di miglioramento economico hanno una parte tecnologica facilmente acquisibile, mentre il fattore umano richiede invece tempi lunghi per l’assimilazione e il mutamento. L’Africa non avrebbe avuto ancora il tempo di assimilare processi culturali tali da favorire uno sviluppo rapido. L’Africa Con l’avvento delle indipendenze, vi era la speranza che le nuove nazioni africane potessero giungere presto all’autosufficienza. Questo non è avvenuto, si è visto anzi proprio il contrario. Senza un parco industriale moderno ed efficiente, con un’agricoltura per lo più votata a coprire il fabbisogno locale, con una crescita demografica senza precedenti, le economie africane sono di fatto retrocesse. Nel 1970, secondo i calcoli della Banca Mondiale, il 10% dei poveri del mondo vivevano in Africa. Nel 2000 questi erano cresciuti al 50%. Nello stesso periodo la crescita degli introiti medi è stata negativa (-200 US$ per anno). I paesi africani si sono fortemente indebitati, incoraggiati dalle istituzioni finanziarie controllate dall’ONU. I fondi non sono stati investiti per lo sviluppo, o non hanno dato i risultati sperati. Agli inizi degli anni 1990 era ormai chiaro che i paesi africani non erano in grado di ripagare i debiti e che il servizio del debito stava bloccando la crescita dei vari paesi. Negli ultimi anni, vari paesi africani si sono visti condonare il debito verso la Banca Mondiale e verso alcuni paesi occidentali (Club di Parigi). Tuttavia la situazione rimane comunque difficile da gestire. L’Africa: le cause del sotto sviluppo Cause geografiche: Le barriere geografiche – il più grande e caldo deserto e la seconda più grande foresta tropicale del mondo sono in Africa – impediscono il libero movimento di beni e servizi. Cause legate alla salute: La vastità dell’infezione HIV/AIDS, la difficoltà di superare il problema posto da malaria e tubercolosi, la poca disponibilità di personale medico ed infermieristico preparato al di fuori delle grandi zone urbane. Cause storiche: La spartizione dell’Africa tra le potenze europee ha gravemente influito sulla mancanza di sviluppo. Molti popoli sono stati divisi fra due-tre stati. Si sono disturbate le linee di commercio sviluppatesi negli anni e si sono anche introdotte le tensioni etniche. Le economie locali sono state organizzate verso l’esportazione di materie prime, e non sulla loro trasformazione per la vendita di un prodotto finito. Sulla stessa linea, la produzione di monoculture – sviluppo imposto in epoca coloniale- cotone in Africa Occidentale, caffè e tè in Africa Orientale, hanno esposto i paesi produttori ai capricci di mercato. Cause locali: come i processi decisionali e la disponibilità delle forze politiche a rispettare la legislazione. L’aumento demografico. Guerre: Negli ultimi 15 anni, si sono combattute più guerre in Africa che non nel resto del mondo. L’Africa