Lezioni di storia economica_2016-2017

STORIA ECONOMICA
Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche
Corso di Economia aziendale
Prof. MICHELE SABATINO
INTRODUZIONE ALLA STORIA ECONOMICA (2)
Guerra e crisi dell’economia mondiale
(1914-1945)
Lo sviluppo economico della prima
metà del XX secolo
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Il periodo dal 1914 al 1945 fu caratterizzato da due guerre
mondiali e dalla peggiore crisi economica del sistema
capitalistico c.d. “grande depressione”.
L’incremento del PIL fu inferiore rispetto al periodo
precedente ad eccezione della Russia. Lo scarto con gli Stati
Uniti dalla GB ormai divenne definitivo.
Anche l’andamento demografico pur se positivo (la
popolazione in Europa passo da 460 a 550 milioni di abitanti)
cominciava a far sentire i primi segnali di arretramento.
L’incremento fu essenzialmente dovuto alla crescita della vita
media da 50 a 65 anni.
Il fenomeno della migrazione fu meno marcato del passato
anche per la legislazione restrittiva delle c.d. “quote”
introdotte negli Stati Uniti. Si presentò sempre il fenomeno
della migrazione interna e quello nuovo dei profughi dovuti
alle guerre.
Lo sviluppo economico della prima
metà del XX secolo
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La crescita demografica favorì il fenomeno dell’urbanizzazione.
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Si assistette alla riduzione della popolazione impegnata in
agricoltura passando dal 50% nelle economie più arretrate al 2030% in quelle più sviluppate (Francia, Olanda, Germania) fino al
5%della GB. Inoltre, nel periodo delle due guerre aumentarono le
terre messe a coltura e si sviluppò la meccanizzazione agricola con i
trattori con motori a scoppio soprattutto negli Stati Uniti.
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La tecnologia continuava a basarsi sul carbone anche se il petrolio
aveva iniziato a prendere piede. Erano infatti aumentate le
applicazioni del petrolio come fonte di energia e nasceva l’industria
petrolchimica. L’Europa purtroppo era povera di petrolio la cui
produzione si concentrava negli Stati Uniti, Venezuela, Medio
Oriente. Nacque il cartello internazionale delle c.d.”sette sorelle” tra
cui la Shell (Olanda), la British Petrolium e le Standard Oil (Stati
Uniti).
Lo sviluppo economico della prima
metà del XX secolo
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L’elettrificazione fu l’innovazione più importante del periodo
con crescenti applicazioni nell’industria, nei trasporti e nella
vita domestica.
La produzione in serie di automobili, già iniziata prima della
prima guerra mondiale, si diffuse grazie all’intuizione di Ford
sui prezzi alla vendita. Nacque l’esigenza della costruzione e
dell’adeguamento della rete stradale.
L’aeroplano, che aveva conosciuto una popolarità durante le
grande guerra, si diffuse ai fini commerciali e di trasporto
negli anni ’20 e ’30.
Infine nel campo delle telecomunicazioni fu la volta del
telefono e della radio. Comparve anche il radar e le fibre
artificiali e sintetiche in sostituzione o concorrenza a quelle
naturali.
Guerra e dopoguerra
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Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale che contrapponeva
l’Intesa (GB, Russia e Francia) con gli imperi centrali (Austria
e Germania). Si aggiunsero Turchia con gli imperi mentre
Italia, Giappone e Stati Uniti con l’Intesa. La guerra fu una
guerra di posizioni. I paesi europei scatenarono rivalità
politiche, economiche e militari già in essere nel passato.
Si trattò della prima guerra del mondo industrializzato e tutta
l’economia dovette fare fronte alle necessità militari:
armamenti, vettovaglie, medicinali, carburanti, ect.. Lo Stato
organizzò l’economia di guerra con organismi governativi che
si occupavano dell’intera filiera produttiva. Si calmierarono i
prezzi e tutte le attività furono messe sotto controllo a scapito
della concorrenza.
La guerra decretò la fine del Gold Standard con
l’inconvertibilità delle moneta per evitare la corsa agli
sportelli.
La prima guerra mondiale
Guerra e dopoguerra
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1.
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3.
4.
Il problema del finanziamento della guerra fu
risolto attraverso tre metodologie:
L’aumento dell’imposizione fiscale (soprattutto nei
paesi più ricchi);
L’indebitamento verso il sistema bancario ei
cittadini;
La stampa di nuova moneta grazie alla sua
inconvertibilità facendo aumentare la circolazione
monetaria.
Si diffusero anche i prestiti interalleati soprattutto
da parte degli Stati Uniti.
Guerra e dopoguerra
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Le conseguenze della guerra furono dirette, indirette
e strutturali.
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Le conseguenze dirette furono l’enorme numero di
vittime (9 milioni) pur senza incidere sui tassi di
crescita demografica e i danni materiali della
distruzione e la sostituzione del lavoro maschile con
quello femminile a causa dell’impegno degli uomini
in combattimento. La guerra determinò inoltre la fine
del Gold standard e un pesante intervento dello
Stato. Infine accelerò i processi di standardizzazione
e di automazione delle fabbriche.
Guerra e dopoguerra
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Le conseguenze indirette furono:
1. La crisi di riconversione del 1920-21 e cioè una crisi di
sovrapproduzione. Le imprese dovettero riconvertirsi da una economia di
guerra a una di pace. La caduta dei prezzi fece evidenziare la
sovrapproduzione e molte aziende dovettero chiudere;
2. L’inflazione e l’iperinflazione. Essa fu causata dall’innalzamento dei
costi della produzione, della diminuzione dell’offerta di beni ma
soprattutto dall’incremento della circolazione di moneta da parte dello
Stato per fare fronte prima alle spese di guerra e poi di ricostruzione. Ciò
provocò, soprattutto in Germania, la perdita di valore della cartamoneta,
a causa di una sfrenata emissione di moneta. Il dollaro valeva 4.200
marchi tedeschi. Per fare fronte all’iperinflazione il governo tedesco
introdusse una moneta Rentenmark con un controvalore in marchi di
mille miliardi. Concluso il risanamento si reintrodusse il marco e la sua
convertibilità. L’inflazione provocò una redistribuzione della ricchezza.
Guerra e dopoguerra
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L’iperinflazione convinse a ripristinare un sistema
internazionale di cambi fissi e convertibili. La Conferenza
monetaria internazionale di Genova (1922) adottò il Gold
exchange standard dove a garanzia delle moneta vi era non
solo l’oro ma anche le valute convertibili in oro. Le riserve
potevano essere costituite anche da valute convertibili cioè da
banconote straniere convertibili in oro. E infine le monete non
potevano essere cambiate in qualsiasi sportello di una banca
di emissione. La convertibilità era quindi limitata. Dal 1924
al 1927 quasi tutti aderirono al Gold exchange standard con il
ritorno di un sistema di cambi fissi.
Guerra e dopoguerra
3. Un’altra conseguenza fu quella dei debiti da riparazione di guerra.
Gli Stati Uniti e la GB erano creditori. L’economista Keynes
sosteneva che tali debiti non sarebbero stati onorati perché
insostenibili ma gli Stati europei pretesero il rimborso e in
particolare la riparazione di guerra da parte della Germania per un
importo di 33 miliardi di dollari pari al triplo del PIL tedesco. Il
pagamento dell’indennità accelerò l’inflazione e divenne
insopportabile. Francia e Belgio occuparono come risarcimento la
Ruhr (1923) mentre il Piano Dawes ridusse l’importo delle rate
ma senza successo. Successivamente il Piano Young ridusse sia il
debito che le annualità. Alla fine il Presidente americano Hoover
decise la moratoria del debito tedesco (1931).
4. Ultima conseguenza diretta fu la questione sociale aggravato
dall’inflazione che aveva eroso i redditi dei più poveri. I conflitti
sociali in alcuni paesi sfociarono in sbocchi reazionari e
nell’instaurazione di regimi dittatoriali (Germania e Italia).
Guerra e dopoguerra
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I mutamenti strutturali riguardarono:
1.
L’intervento dello Stato nell’economia era diventato
preponderante e fu difficile ritornare ad una condizione di
liberalismo ciò anche a causa della depressione successiva e
della seconda guerra mondiale.
La perdita di egemonia dell’Europa nel mondo e la presenza
di nuovi protagonisti internazionali Stati Uniti e Giappone.
Il frazionamento economico e politico dell’Europa con i
trattai di pace. Lo smembramento dell’Impero Austroungarico, l’isolamento della Russia, ect..
La ripresa di politiche protezionistiche e neo-mercatiliste
con l’inasprimento delle tariffe doganali.
2.
3.
4.
La rivoluzione russa
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A differenza di quanto sosteneva Karl Marx sul passaggio al
comunismo dal capitalismo di uno Stato industrializzato, la
grande guerra e l’inettitudine di una classe politica fecero
scoppiare la rivoluzione socialista in Russia (1917) con
abdicazione dello zar Nicola II.
All’inizio, nel febbraio del 1917, la rivolta della Duma e dei
soviet di operai si accordarono per la deposizione dello zar, e
l'istituzione di un governo provvisorio formato da menscevichi e
socialisti rivoluzionari. Tuttavia il nuovo governo liberale non
riuscì a impedire l’avanzata dei bolscevichi capeggiati da Lenin
che iniziarono ad organizzare i primi Soviet (Consigli).
I bolscevichi conquistarono il potere con la rivoluzione di ottobre
1917, scatenarono una guerra civile e conclusero una pace
separata con la Germania. Infine proclamarono la nascita
dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (1922) e
avviarono la nascita di una economia pianificata in tre fasi:
La rivoluzione russa
L’Unione Sovietica
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IL COMUNISMO DI GUERRA (1917-1921). Il primo
periodo fu instaurato in occasione della guerra civile con i
menscevichi. Il governo bolscevico nazionalizzò le varie
aziende ed abolì la proprietà privata della terra con la confisca
senza indennizzo ai nobili e alla Chiesa. Le terre furono date
in usufrutto ai contadini senza possibilità di vendita. I
contadini non furono contenti della riforma anche perché le
assegnazioni delle terre furono di piccole entità con bassa
produttività.
Per rifornire le città i raccolti venivano sequestrati attraverso
la requisizione forzata dei generi alimentari. Ciò fece crollare
i raccolti con nuove carestie.
L’industria e le banche furono nazionalizzate. La guerra civile
distrusse il sistema produttivo che seppe essere ricostruito ex
nuovo con l’utilizzo delle nuove tecnologie.
L’Unione Sovietica
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LA NEP – NUOVA POLITICA ECONOMICA (1921-1928)
Di fronte al fallimento del comunismo di guerra Lenin decise di fare un passo
indietro. Fu liberalizzata l’agricoltura concedendo la possibilità di vendere la
terra e i surplus di prodotto con il pagamento di una imposta. Si formarono
diverse tipologie di operatori: a) il proletariato rurale di braccianti; b)i contadini
poveri costretti a dare in affitto i loro piccoli appezzamenti e a lavorare come
salariati; c) i contadini medi che possedevano appezzamenti medi e infine d) i
kulaki, ricchi contadini che prendevano in affitto la terra e vendevano i prodotti
sul libero mercato.
Il settore industriale fu diviso in due: le grandi e medie industrie allo Stato
mente le aziende con meno di 20 dipendenti furono restituite ai vecchi
proprietari. Il commercio interno fu liberalizzato mentre quello con l’estero
rimase di competenza dello Stato.
Il settore bancario vide la nascita di una nuova banca di stato Gosbank
incaricato di emetter il rublo. Ad eccezione delle Casse di risparmio il sistema
bancario russo fu di tipo monobanca.
L’Unione Sovietica
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LA PIANIFICAZIONE (1928-1941)
Alla morte di Lenin si scateno la lotta per la successione tra Stalin –
propenso all’idea del comunismo in un solo stato – e Trotzkij che riteneva
di dovere esportare la rivoluzione in tutto il mondo. Nel 1928 Stalin
considerò superato il NEP e avviò la pianificazione.
In agricoltura fu avviata la collettivizzazione delle terre con la nascita delle
grandi aziende collettive Kolchoz in forma di cooperative volontarie. A
fianco a queste vi erano le grandi aziende di proprietà pubblica Sovchoz i
cui lavoratori erano dipendenti statali.
Le fabbriche e il commercio furono nazionalizzati e il Gosplan (Comitato
per la pianificazione di Stato) fu incaricato della predisposizione dei piani
quinquennali sia di settore che di fabbrica. Furono realizzati tre piani
quinquennali. Il quarto non fu portato a termine per lo scoppio della guerra.
I Piani consentirono l’industrializzazione forzata dell’economia con
l’attenzione all’industria pesante rispetta a quella dei beni di consumo. La
Russia non fu interessata dalla grande depressione. Il settore industriale
passò dal 28 al 45%.
La Crisi e la grande depressione
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Gli anni venti 1922-1929 sono considerati anni di espansione
dell’economia mondiale anche se ciò fu più intenso negli
Stati Uniti che in Europa.
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Gli Stati Uniti crebbero grazie alla politica degli alti salari,
delle vendite a rate e dell’aumento della produttività grazie ai
processi di automazione e della catena di montaggio. Il
settore trainante fu quello automobilistico (+30%) con
conseguenza negli altri settore ivi incluso l’estrazione di
petrolio (+80%). Anche il settore elettrico visse un periodo
positivo con la realizzazione di nuovi prodotti. I disoccupati
scesero al di sotto del 2%. Si pose il problema di esportare i
prodotti malgrado la politica isolazionista degli Stati Uniti e il
timore della concorrenza europea.
La Crisi e la grande depressione
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La GB conobbe un periodo di crescita più lenta anche a causa
di un sistema industriale tecnologicamente obsoleto con
restrizione dei mercati tradizionali a causa di una concorrenza
più agguerrita. Inoltre le esportazioni furono danneggiate dal
ritorno alla convertibilità della sterlina al valore d’anteguerra.
Si trattava di ridare credibilità alla sterlina malgrado ormai il
dollaro fosse diventato strumento di pagamento. La sterlina
risultò sopravvalutata con un danno alle esportazioni.
La Germania viveva il problema dell’indennizzo di guerra e i
ricavati delle esportazioni finivano per pagare le rate
dell’indennizzo. Inoltre la perdita di parti del Paese (Alsazia e
Lorena) ricche di minerali danneggio l’industria. Dopo la
stabilizzazione del marco i capitali esteri confluirono in
Germani anche grazie a tassi di interesse più alti.
La Crisi e la grande depressione
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La Francia riuscì ad aumentare le esportazioni del 40% e il Pil
pro-capite del 35%. Le ragioni furono date dal recupero di
Alsazia e Lorena e dalla stabilizzazione del franco ad un valore
realistico adoperato del Governo Poincaré. La produzione
industriale aumentò anche grazie al contributo di molti
lavoratori immigrati.
L’Italia profittò di questo periodo positivo con una crescita
della produzione industriale del 58%. Dopo il biennio rosso
(1919-20) di occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori
il potere fu conquistato dai fascisti con la Marcia su Roma
(1922) e l’uccisione del deputato socialista Matteotti (1924). La
congiuntura positiva aiutò il governo a risanare il bilancio e
dare spazio alla libera iniziativa.
La Crisi e la grande depressione
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Con una bilancia dei pagamenti passiva si tentò di aumentare
la produzione di beni riducendo le importazioni. La c.d.
battaglia del grano servì appunto a incrementare la
produzione di frumento. Si potenziarono le bonifiche (Latina
e Sabaudia).
L’aumento delle importazioni e la domanda di valute estere
per poterle pagare determinarono il deterioramento della lira
rispetto alle altre monete (133 con la sterlina). A quel punto il
governo Mussolini tento di stabilizzare il rapporto lirasterlina con il tentativo di raggiungere “quota 90”.
L’apprezzamento della lira rese le esportazioni sconvenienti e
le importazioni più vantaggiose.
Nel 1926 la Banca d’Italia fu dichiarato l’unico istituto di
emissione e revocati i diritti al Banco di Napoli e al Banco di
Sicilia.
La Crisi e la grande depressione
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Alla vigilia della grande crisi la situazione mondiale
presentava una cronica sovrapproduzione a causa
dello sviluppo tecnologico e dalle produzioni di
guerra particolarmente grave nel settore agricolo con
una discesa dei prezzi. La disoccupazione si
mantenne elevata mentre il commercio estero
aumento di appena il 27% mentre nel passato si era
triplicato. Infine gli Stati Uniti, malgrado le
dichiarazioni del Presidente Wilson, scelsero una
politica isolazionista, limitarono i flussi immigratori
con una politica protezionistica e non vollero
svolgere il ruolo di superpotenza.
La crisi del ‘29
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La crisi del 1929 fu una crisi globale perché
coinvolse tutti i paesi industrializzati (ad eccezione
dell’Unione Sovietica), tutti i settori economici ed
ebbe effetti su tutte le categorie sociali.
La crisi si scatenò avendo un quadro di riferimento
di prezzi agricoli a ribasso e di chiusura dei traffici
internazionali.
La crisi espose nell’ottobre 1929 con il crollo della
Borsa di Wall Street dopo anni di speculazioni e di
un numero crescente di banche e risparmiatori che
investivano in Borsa.
La crisi del ‘29
La crisi del ‘29
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Normalmente si acquistano azioni in borsa per avere il
“dividendo” ossia la quota di utile dell’attività
imprenditoriale. Ma spesso le quotazioni borsistiche spingono
in alto il valore delle azioni. I possessori di azioni possono
realizzare un c.d. “capital gain”, ossia guadagno sul capitale
investito, dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di
vendita. Se il prezzo continua ad aumentare si scatena la
speculazione al rialzo fino a quando all’euforia succede il
panico appena il valore crolla auto-alimentandosi. Tutti
cominciano a vendere per paura di avere delle perdite. Il
prezzo si stabilizza raggiunto il valore reale dell’azione.
La crisi del’29
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L’indice dei titoli azionali di NY dal 1926 al 1929 passò da
100 a 191 fino a 381. Il 24 ottobre 1929 furono offerte 13
milioni di azioni e le quotazioni scesero. Il martedì successivo
furono offerte 33 milioni di titoli. L’indice scese a 198 (–
48%) in pochi giorni. Intere fortune furono distrutte e
parecchie banche rischiarono il fallimento. Se l’economia
fosse stata sana la crisi sarebbe stata assorbita. Viceversa
l’economia americana e mondiale soffrivano già una crisi di
sovrapproduzione e di riduzione dei prezzi.
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A quel punto la depressione fu molto grave e durò a lungo
La crisi del ‘29
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La produzione industriale americana si dimezzò, quella automobilistica si
ridusse del 75%. I disoccupati passarono da 4,6 milioni nel 1929 a 13
milioni nel 1933. La produzione agricola si ridusse ulteriormente mentre
le banche non riuscirono a fare fronte alla richiesta di liquidità e fallirono.
Alcune furono salvate dal governo con l’acquisto di pacchetti azionari. Fu
istituito il SEC Security Exchange Commission per controllare le
speculazioni. Il PIL si ridusse del 29%.
La crisi si diffuse in altri paesi a causa degli scambi commerciali colpendo
l’Europa ed in particolare in modo più pesante la Germania. La
produzione industriale calò del 39% e il PIL pro-capite del 17%. Stessa
cosa in Francia e in Italia e GB.
La crisi in Germania diventò una crisi bancaria. Inoltre la Germania – la
Repubblica di Weimar – si presentava instabile con governi deboli e di
breve durata. Il sistema tedesco vedeva il forte legame tra banche e
imprese con il condizionamento del risarcimento dei danni di guerra.
Tutto ciò finì per trasmettersi dal sistema bancario all’economia reale con
difficoltà anche a pagare i debiti di guerra (Moratoria Hoover). Lo Stato
intervenne per salvare banche e imprese ei disoccupati raggiunsero i 6
milioni.
Le politiche contro la depressione
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All’inizio i governi adottarono le tradizionali politiche
liberiste convinti che il mercato avrebbe assorbito la
crisi autonomamente come nel passato.
Si scelsero politiche restrittive (equilibrio di bilancio e
riduzione della moneta in circolazione) e politiche
protezionistiche a difesa delle proprie produzioni. Gli
Stati Uniti con la legge Hawley-Smoot (1930) aumentò i
dazi. La GB aumentò le tariffe con l’istituzione della
tariffa imperiale legandosi alle proprie colonie e al
British Commonwealth of Nations (comunità delle
nazioni britanniche) sancito nel 1931 – una libera
associazione sotto la corona di Inghilterra. Tutto ciò
aggravò la situazione restringendo gli spazi
commerciali. Le imprese contrassero i costi e iniziarono
a licenziare.
Negli Stati Uniti nel 1933 al repubblicano Herbert
Hoover successe il democratico Franklin Delano
Roosevelt che modificò la politica economica
americana.
Le politiche contro la depressione
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Si diffuse la convinzione, ad opera di Keynes, che lo Stato doveva sostenere la
domanda globale di beni e sostituirsi a quella privata insufficiente. Si avviarono
politiche di deficit spending negando la necessità del pareggio di bilancio e
ricorrendo all’indebitamento per la realizzazione di grandi infrastrutture utili allo
sviluppo dei mercati e dell’economia o per assegni familiari o sussidi di
disoccupazione così da assicurare il livello minimo di consumi e fare riprendere
l’offerta di beni e servizi.
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A questo bisognava aggiungere il sostegno alla domanda estere attraverso le
svalutazioni competitive. Bisogna ridurre il valore della propria moneta per rendere
vantaggiosi i propri prodotti (un dumping occulto). Da subito Argentina, Brasile,
Australia e altri iniziarono a svalutare.
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La prima moneta dei paesi industrializzati a essere svalutata fu proprio la GB con la
sterlina. Molti paesi avevano infatti cambiato le sterline possedute in oro riducendo
le riserve auree della Banca di Inghilterra. A quel punto nel 1931 la GB decretò
l’inconvertibilità della sterlina lasciando fluttuare il valore della moneta. Dal
sistema dei cambi fissi si passo a quello dei cambi flessibili. La sterlina si svalutò
del 30% favorendo le esportazioni. Alcuni Paesi legati alla GB depositarono le loro
riserve presso la Banca di Inghilterra creando un’area sterlina il cui cambio fu
tenuto fisso.
Le politiche contro la depressione
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Anche il dollaro fu svalutato e dichiarata l’inconvertibilità
rispetto all’oro (1934). Il nuovo Presidente firmò numerosi
accordi bilaterali per la riduzione delle tariffe commerciali
incrementando gli scambi con l’estero.
A seguito delle svalutazioni degli Stati Uniti e della GB anche
gli altri paesi europei procedettero alle svalutazioni per
recuperare competitività e attenuarono le politiche
protezionistiche a favore degli scambi internazionali. Solo la
Germania, vincolati dagli accordi di pace, non svalutò.
Il Gold exchange standard durò appena dieci anni e tutte le
monete risultarono non convertibili mentre i biglietti di banca
sostituirono definitivamente la moneta metallica. Nel 1936,
nel tentativo di garantire la stabilità dei cambi, Francia, GB e
USA stabilivano la convertibilità solo nei confronti di altre
banche centrali.
Il New Deal
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Le misure di contrasto alla crisi finirono per
favorire l’intervento dello Stato nell’economia.
Negli Stati Uniti – a seguito dell’elezione del
democratico Roosevelt - l’intervento prese il nome
di New Deal (nuovo corso).
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L'opposizione della Corte Suprema
Nel 1935-1936 la Corte Suprema dichiarò
incostituzionali diversi provvedimenti del New
Deal. In risposta Roosevelt si appellò agli
americani indicando la Corte Suprema come
l'organo rappresentante i ceti più elevati che si
opponeva ad una redistribuzione della ricchezza.
Il New Deal
Le Azioni principali:
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Nei primi cento giorni della Presidenza Roosevelt vennero emanati
importanti provvedimenti:
l'Emergency Banking Act che ha istituito una vacanza bancaria di alcuni
giorni al fine di sondare la liquidità e la solidità degli istituti di credito e
che ha assoggettato le banche al controllo dell'amministrazione federale;
l'istituzione della Federal Deposit Insurance Corporation che assicurava
tutti i depositi bancari sino a 2.500 $;
la sospensione del Gold standard che comportò la svalutazione del dollaro
e rese possibile il ricorso all'esportazione delle merci come sbocco per la
sovrapproduzione statunitense;
l'Economy Act che introdusse il bilancio federale di emergenza;
l'Agricultural Adjustment Act che attribuiva contributi in denaro a quegli
agricoltori che avessero limitato la produzione agricola in modo da
mettere un freno alla caduta dei prezzi che aveva costretto sul lastrico
milioni di agricoltori dell'est.
Il New Deal
Altre importanti misure furono:
l'istituzione della Tennessee Valley Authority, agenzia che impiegò milioni di
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disoccupati nella costruzione di imponenti dighe al fine di sfruttare le risorse
idroelettriche del bacino del Tennessee;
l'istituzione della Work Progress Administration, altra agenzia governativa che
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gestiva la realizzazione di importanti opere pubbliche;
l'approvazione del Wagner Act che sanciva il diritto di sciopero e della
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contrattazione collettiva;
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l'approvazione del National Industrial Recovery Act che imponeva l'adozione per
ogni azienda di un codice di disciplina produttiva limitando la sovrapproduzione,
rinunciando al lavoro nero e a quello minorile. La legge prevedeva inoltre dei
minimi salariali;
l'approvazione del Social Security Act che istituiva un moderno welfare state di
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cui i lavoratori statunitensi erano stati sino ad allora sprovvisti.
La riforma fiscale
Roosevelt intraprese anche una riforma del sistema fiscale ed in particolar modo
delle imposte dirette. Venne così modificata l'imposizione progressiva aumentando
le aliquote per i contribuenti più ricchi.
Il New Deal
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Anche la GB incoraggiò le fusioni delle imprese e la razionalizzazione dei
settori in crisi. Per combattere la disoccupazione furono concessi incentivi
per la creazione di fabbriche nelle zone depresse.
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In Francia si puntò sull’incremento dei salari con gli Accordi Matignon
fra imprenditori e lavoratori, promossi dal governo del fronte popolare di
Blum, per la riduzione dell’orario lavorativo a 40 ore e gli aumenti
salariali. A ciò si affiancò un programma di opere pubbliche.
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In Germania, giunto al potere Hitler a seguito di proteste e malcontenti, il
governo nazista incremento la presenza dello Stato nell’economia
attraverso piani quadriennali per la realizzazioni di grandi opere
pubbliche. Successivamente si procedette verso l’autarchia e cioè
l’autosufficienza economica. Fu stimolata la ricerca nei settori della lana
sintetica, gomma e materie plastiche e infine si avviò il riamo della
Germania.
Il New Deal in Italia
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In Italia l’intervento dello Stato si fece prevalente e maturò
l’idea dell’autarchia. Il regime fascista si concentrò sulla
battaglia del grano e sulle grandi bonifiche in agricoltura e
sulla concentrazione industriale riducendo concorrenza e costi
di produzione.
Le imprese erano molto legate alle banche ma purtroppo
queste ultime si trovarono sull’orlo del fallimento. Lo Stato
decise di salvarle istituendo l’Istituto per la Ricostruzione
Industriale IRI che assunse le partecipazioni industriali
possedute dalle banche. Malgrado il tentativo era quello di
ristrutturare le industrie e rivenderle a privati investitori, come
per gli altri paesi, in Italia ciò non fu possibile e l’IRI
conservò i pacchetti azionari di numerose banche e industrie.
Il New Deal in Italia
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L’intervento dello Stato in Italia, durante il governo fascista, prevedeva la
costituzione delle corporazioni per ogni ramo produttivo, nelle quali erano
rappresentate pariteticamente imprenditori e lavoratori, sotto il controllo
dello Stato. Le 22 corporazioni istituite nel 1934 avevano funzioni
consultive e conciliative e altresì anche normativo. Erano vietati gli scioperi
dei lavoratori. L’economia corporativa non funzionò mai e finì allo scoppio
della guerra.
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In definitiva in Italia, a seguito della deriva del fascismo, prese le mosse un
nuovo tipo di stato, sostenuto da una massiccia propaganda governativa,
guidato da una figura carismatica e volto alla salvaguardia della stabilità e
del potere costituito. Caratteristiche salienti furono: il controllo governativo
dell'economia e della società; il valore simbolico delle grandi opere
pubbliche, che non solo crearono nuovi posti di lavoro, ma si imposero
come emanazioni dell'autorità statale; la forza persuasiva dei discorsi di
Mussolini alla radio; l'architettura monumentale; le campagne di
arruolamento dei cittadini, chiamati a essere leali difensori della patria;
l'esaltazione dei concetti di nazione, popolo e terra.
La seconda guerra mondiale
La seconda guerra mondiale è il conflitto che (1939-1945) ha visto confrontarsi da un
lato le potenze dell’Asse e dall'altro i paesi alleati. Viene definito «mondiale» in quanto,
così come già accaduto per la Grande Guerra, vi parteciparono nazioni di tutti i
continenti e le operazioni belliche interessarono gran parte del pianeta. Ebbe inizio il 1°
settembre 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania; terminò, l’8
maggio 1945 con la resa tedesca e, il successivo 2 settembre con la resa dell‘Impero
giapponese a seguito dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki.
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È considerato il più grande conflitto
armato della storia, e costò
all'umanità sei anni di sofferenze,
distruzioni e massacri per un totale
di 55 milioni di morti. Le
popolazioni civili si trovarono,
infatti, direttamente coinvolte nel
conflitto a causa dell'utilizzo di armi
sempre più potenti e distruttive,
spesso deliberatamente indirizzate
contro obiettivi non militari. Nel
corso della guerra si consumò anche
la tragedia dell‘Olocausto perpetrata
dai nazisti nei confronti degli ebrei.
La seconda guerra mondiale
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La politica del riarmo fece i primi passi da parte della
Germania e dell’Italia impegnate in azioni di colonialismo
(Etiopia e conquista di Austria e Cecoslovacchia) nonché di
sostegno alla Guerra di Spagna (1936-1939) a favore di
Franco. La Germania dovette organizzare la razionalizzazione
dei generi alimentari e dei prodotti agricoli.
Gran Bretagna e Francia seguirono in ritardo mentre gli Stati
Uniti organizzarono l’economia di guerra a supporto degli
Alleati fornendo approvvigionamenti e vettovaglie. Il Sistema
della produzione fu orientato alle produzioni di guerra e la
ricerca scientifica avanzò rapidamente con nuove applicazioni
(nailon, benzina e gomme sintetiche). Nuovi giacimenti e
miniere nel mondo furono attivate.
La seconda guerra mondiale
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Gli accordi di Yalta
L’economia contemporanea
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Al termine della seconda guerra mondiale iniziò un lungo
periodo di trasformazioni che hanno dato iniziato alla terza
rivoluzione
industriale
(terziarizzazione,
ICT,
globalizzazione, ect..).
Il periodo che va dal secondo dopoguerra al 2006 può essere
articolato in due periodi. Il primo di grande espansione e
crescita senza precedenti (anche sul piano della crescita
demografica) e quello successivo di rallentamento della
crescita senza però esaurirsi diversificandosi (con nuovi
soggetti mondiali).
Infine fino agli anni ’80 si è in presenza di una
contrapposizione tra due modelli economici: l’economia di
libero mercato del mondo occidentale (Stati Uniti, Europa
Occidentale e Giappone) e l’economia pianificata (Blocco
sovietico e Cina)
La popolazione mondiale e le grandi
migrazioni
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La popolazione mondiale non è mai cresciuta come in questo periodo passando da
2,5 miliardi a 7 miliardi con una riduzione consistente del peso della popolazione
europea ad appena l’11%.
Tasso di mortalità e di natalità sono costantemente diminuiti con un regime
demografico “moderno” e con speranza di vita intorno agli 80 anni. Tutto ciò ha
modificato la struttura anagrafica della società con una presenza maggiore di
anziani e la necessità di sistemi previdenziali che sostengono tale struttura. Anche
la struttura dei nuclei familiari si è modificata restringendosi. Tutto ciò è stato
possibile grazie ai progressi della medicina (gli antibiotici) e la nascita della
moderna chirurgia.
Ultimamente si è registrata una riduzione della crescita mondiale della
popolazione.
Una delle conseguenze è l’urbanesimo. Lo spostamento verso le grandi città ha
fatto nascere metropoli e megalopoli fino a raggiungere, come per Tokyo, 30
milioni di abitanti. E creando, nei Paesi in via di sviluppo, la situazione delle
bidoville.
Infine le flussi migratori si sono incrementati sia all’interno dell’Europa con
l’apertura delle frontiere (Germania, Belgio, Svizzera, Francia) sia verso
continenti lontani (Australia e Americhe). Infine l’Europa è diventata terra di
immigrazione.
Agricoltura e mezzi di sussistenza
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Successivamente alla guerra la produttività e la produzione agricola sono
aumentate con l’introduzione della macchine agricole, degli insetticidi e dei
fertilizzanti nonché di nuovi metodi di irrigazione.
La percentuale della popolazione impegnata in agricoltura è scesa sotto il 5%
mentre le produzioni agricole sono cresciuti del 2,5% annue a livello
mondiale.
Si diffuse il fenomeno dell’obesità.
Nei Paesi industrializzati l’aumento delle produzioni ha visto un crollo dei
prezzi agricoli e politiche di sostegno dei prezzi attraverso dazi a tariffe
doganali, sussidi agli agricoltori e barriere non tariffare (sistema delle quote,
certificazioni, ect..). Vedi la Politica Agricola Comunitaria.
Nei Paesi asiatici le produzioni riuscirono a soddisfare le esigenze alimentari e
anche ad esportare. Mentre nell’Unione Sovietica il regime della proprietà
collettiva e la mancanza di alimentare e l’importazione di prodotti. I Paesi
poveri (Africa) andarono incontro a crisi alimentari con situazioni di
malnutrizione.
L’Industria e le tecnologie
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Lo sviluppo industriale è stato fortemente condizionato dai progressi della
scienza e della tecnica.
La diffusione delle leghe leggere in metallurgia ha dato consistenza alle
produzioni aereonautiche, spaziali, nucleari ed elettroniche. L’industria
chimica rafforzò l’utilizzo delle fibre sintetiche ed artificiali a quelle
naturali.
L’industria
della
plastica
con
i
processi
di
riscaldamento/raffreddamento e degli stampi ebbe riflessi nei vari prodotti
(imballaggi, auto, elettrodomestici, casalinghi, ect..) rimpiazzando il
legno.
Si sviluppo il petrolchimico e l’industria elettrica. La produzione di
petrolio è passata da 700 ml di tonnellate (1955) a 3,7 miliardi (2006) con
la costruzione di oleodotti. Anche l’estrazione di gas fino a 2,6 miliardi di
tonnellate (2006).
L’industria automobilistica divenne il simbolo del secolo XX dando
impulso alle costruzione di strade e autostrade. L’industria aeronautica si
sviluppò attraverso l’introduzione dei turboreattori con la costruzione di
grandi aereoporti. Infine l’energia nucleare attraverso l’utilizzo della
reazione a catena scaturita dalla fissione dell’atomo dell’uranio 235.
L’Industria e le tecnologie
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Prese avvio la conquista dello spazio con la competizione tra USA
e URSS. Il primo uomo nello spazio, attraverso la navicella
spaziale Sputinik (1958), Yuri Gagarin e dall’altro le missioni del
programma Apollo portarono due uomini sulla luna (1969)
Armstrong e Aldrin.
La tecnologia elettronica con l’introduzione dei transistor e di altre
scoperte modifica l’industria e manifesta la tendenza a
miniaturizzare i prodotti e i loro componenti. Nasce l’elettronica di
consumo.
All’elettronica si affianca la nascita dell’informatica e dei primi
microeleboratori (personal computer). Inizia la rivoluzione
informatica ed elettronica anche attraverso i nuovi sistemi di ICT.
Le trasformazioni indotte dalla tecnologia diedero vita ad una
nuova forma di disoccupazione c.d. tecnologia con l’introduzione
di tecnologie “labour intensive”.
La terziarizzazione
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Un elemento significativo dal dopoguerra ad oggi è il
processo di terziarizzazione dell’economia con lo sviluppo di
società postindustriali. Il settore terziario infatti si estende a
nuovi settori e servizi: sanità e istruzione, distribuzione,
trasporti, servizi pubblici e privati, informatica e
telecomunicazioni, sistemi bancari e assicurativi.
Tutto ciò favorisce la presenza delle donne sul mercato del
lavoro.
Il Commercio interno. Se prima la vendita era una vendita al
dettaglio attraverso il c.d. negozio di vicinato, con il tempo,
cominciarono a nascere i primi supermercati, solo per i
genere alimentari, o anche i centri commerciali con tutte le
tipologie di prodotto. Negli Stati Uniti nacquero i discount
per favorire il contenimento dei costi.
La terziarizzazione

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Il Commercio estero. Dopo la guerra si diffuse la
consapevolezza che bisognava favorire il libero commercio
internazionale. Tutto ciò fu favorito dal ripristino di un
sistema di cambi fissi basato sulla convertibilità del dollaro
quale moneta di pagamenti internazionale e sulla nascita di
alcune organizzazioni internazionali.
Nacque il GATT General Agreement on Tariffs and Trade
1947 con lo scopo di liberalizzare gli scambi.
Contestualmente iniziarono a nascere organizzazioni
internazionali per favorire il commercio: Mercato Comune
Europeo (1958) EFTA (1959), l’ASEAN (1967) e ancora
NAFTA (1994) e il Mercosur (1995).
Le organizzazioni regionali
La terziarizzazione
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I sistemi bancari subirono profonde trasformazioni. Le
banche estesero le loro attività e servizi anche per fare fronte
alle esigenze domestiche dei risparmiatori. I processi di
concentrazione bancaria proseguirono e la concorrenza
internazionale si fece sentire. Le banche aprirono filiali
all’estero e divennero spesso multinazionali. Inoltre le banche
finirono per de-specializzarsi offrendo una serie molto ampia
di servizi alla clientele.
Al comparto fu il turismo che dai viaggi dei nobili Grand
Tour a cavallo o carrozza divenne, grazie anche alla
disponibilità di tempo libero e trasporti, una nuova industria. I
movimenti furono organizzati e gestite dai c.d. Tour
operators. I turisti sono passati da 25 ml di visitatori al 1950 a
circa 850 ml nel 2006.
La ricostruzione
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Al termine del conflitto l’industria riprese a produrre e le
infrastrutture furono rapidamente ricostruite. Gli Alleati prima della
fine della guerra avevano iniziato a pensare al futuro basandosi
sull’idea di favorire la cooperazione internazionale e governare le
crisi di sovrapproduzione. Si svolsero numerosi incontri e
conferenza che diedero vita ad alcuni accordi.
Alla Conferenza di Yalta (Crimea) portò alla divisione del mondo
in due zone di influenza – americana e sovietica - con la divisione
della Germania in due Repubbliche e Berlino fu divisa in 4 zone di
influenza fino al 1961 e alla costruzione del Muro di Berlino. In
Europa scese quella che Churchill definì la cortina di ferro.
Nel 1944 furono stabiliti di Accordi di Bretton Woods;
Nel 1945 fu costituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite ONU
Nel 1946 fu stipulato il GATT
L’Europa a seguito della divisione
in aree di influenza
Le Nazioni Unite
Le Nazioni Unite, costituite a San Francisco, hanno come fine il conseguimento della
cooperazione internazionale in materia di sviluppo economico, progresso
socioculturale, diritti umani e sicurezza internazionale. Relativamente alla sicurezza
internazionale in particolare hanno come fine il mantenimento della pace mondiale
anche attraverso efficaci misure di prevenzione e repressione delle minacce e
violazioni ad essa rivolte.
La sede centrale delle Nazioni Unite si trova a New York (USA).
Il Consiglio di Sicurezza è l'organo delle Nazioni Unite che ha maggiori poteri. Al
consiglio viene conferita "la responsabilità principale del mantenimento della pace e
della sicurezza internazionale". È costituito da quindici Stati membri, di cui cinque
sono membri permanenti, mentre i restanti dieci vengono eletti ogni due anni. I
membri permanenti sono: Cina, Russia, Regno Unito, Stati Uniti d'America e Francia:
hanno il diritto di veto, e possono bloccare qualsiasi decisione loro sgradita e fare in
modo che non venga discussa durante il riunirsi dell'Assemblea Generale presieduta
da tutti gli Stati membri.
Gli accordi di Bretton Woods
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La conferenza di Bretton Woods si tenne nel 1944 nello New Hampshire (USA),
per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi
industrializzati del mondo. Gli accordi di Bretton Woods furono il primo esempio
nella storia del mondo di un ordine monetario totalmente concordato, pensato per
governare i rapporti monetari fra stati nazionali indipendenti.
Mentre ancora non era terminata la guerra, si preparò la ricostruzione del sistema
monetario e finanziario. Dopo un acceso dibattito, durato tre settimane, i delegati
firmarono gli Accordi di Bretton Woods. Gli accordi erano un sistema di regole e
procedure per regolare la politica monetaria internazionale.
Le caratteristiche principali di Bretton Woods erano due; la prima, l'obbligo per
ogni paese di adottare una politica monetaria tesa a stabilizzare il tasso di cambio ad
un valore fisso rispetto al dollaro, che veniva così eletto a valuta principale,
consentendo solo delle lievi oscillazioni delle altre valute (1%); la seconda, il
compito di equilibrare gli squilibri causati dai pagamenti internazionali, assegnato
al Fondo Monetario Internazionale - FMI. Contestualmente si diede vita al nuovo
Gold Exchange Standard dove l’unica moneta convertibile in oro a un prezzo fisso
ero il dollaro (35 dollaro per 1 oncia).
Il piano istituì sia il FMI che la BIRS – Banca Internazionale per la Ricostruzione e
lo Sviluppo (detta anche Banca mondiale).
GATT - General Agreement of Tariffs
and Trade
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Il General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo Generale
sulle Tariffe ed il Commercio, meglio conosciuto come GATT) è
un accordo internazionale, firmato nel 1947 a Ginevra (Svizzera) da
23 paesi, per stabilire le basi per un sistema multilaterale di relazioni
commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del
commercio mondiale.
In realtà l'iniziativa conclusasi con l'adozione del GATT si
proponeva, inizialmente, di realizzare un progetto ben più ambizioso:
l'istituzione dell'International Trade Organization (ITO)
(Organizzazione
Internazionale
del
Commercio)
come
organizzazione permanente che regolasse il commercio mondiale.
L'accordo relativo all'ITO fu effettivamente raggiunto nell'ambito
della Conferenza sul Commercio e l'Occupazione delle Nazioni Unite
ma rimase bloccato per la mancata ratifica americana. A seguito della
mancata istituzione dell'ITO, il GATT iniziò a funzionare, pur privo
di istituzioni permanenti, anche come organizzazione.
Dal GATT al WTO

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Il GATT è cresciuto, nel corso degli anni, attraverso otto
diverse sessioni di negoziati (indicate col termine di "round")
per la riduzione delle tariffe doganali nonché con l'aggiunta di
accordi plurilaterali tra i paesi partecipanti.
Il GATT (come organizzazione) è stato sostituito, nel 1995,
dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (World
Trade Organization - WTO), organizzazione permanente
dotata di proprie istituzioni che ha adottato i principi e gli
accordi raggiunti in seno al GATT. Quando si parla di “GATT
1994" ci si riferisce all'accordo aggiornato nel 1994 a seguito
dell‘Uruguay Round. Nel 2001 sono iniziati a Doha i nuovi
negoziati Doha Round che si sono conclusi nel 2015.
Il Piano Marshall

A seguito della Guerra il PIL di tutti i Paesi anche quelli vincitori
crollò. Gli Stati Uniti risultavano creditori dei Paesi alleati europei che
erano totalmente distrutti e privi di risorse economiche. Imporre quindi
ai vinti indennizzi era praticamente inutile. Inoltre la riconversione in
economia di pace imponeva la necessità di trovare nuovi mercati per i
prodotti americani.

Nel Giugno 1947 all’Università di Harvard il Generale Marshall lanciò
l’idea di un piano di aiuti ai paesi europei che fu approvato dal
Congresso come ERP European Recovery Programme con una
autorità di gestione ECA Economic Cooperation Administration a
Washinghton. Dall’altro i Paesi europei occidentali si associarono
all’OECE Organizzazione Europea Cooperazione Economica per la
richiesta e gestione degli aiuti. Furono erogati 13 miliardi di dollari
fino al 1952.
Il Piano Marshall

Al termine del piano la OECE
continuò ad operare attraverso la
Unione europea dei pagamenti
per operare, attraverso un
sistema di compensazioni, ai
pagamenti intraeuropei. Infine al
termine del piano la OECE si
trasformò
in
OCSE
Organizzazione
per
la
Cooperazione e lo Sviluppo
Economico con l’immissione di
Canada,
USA,
Giappone,
Australia
e
altri
paesi
occidentali.
Welfare State



Nell’ambito della contrapposizione tra capitalismo e
comunismo in Europa si svilupparono i nuovi sistemi di
Welfare State (Stato del Benessere) dove lo Stato proseguì nel
svolgere un ruolo sempre più preponderante nella gestione di
alcuni servizi.
Parallelamente si procedette ad alcune nazionalizzazioni. In
Francia la Renault. In GB le miniere di carbone e le società
elettriche. Si sviluppò un modello economico ad economia
mista con la presenza di imprese pubbliche e private. In
Germania le miniere di alluminio e carbone mentre in Italia le
produzioni elettriche e la nascita nel 1962 dell’ENEL Ente
nazionale per l’energia elettrica.
Iniziò a nascere l’idea di Programmazione economica.
La Golden Age
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

Gli storici fanno riferimento al periodo che va dal 1950 al 1973 e che
coinvolse tutto il mondo occidentale con tassi di crescita positivi soprattutto
nei paesi che avevano perso la guerra (Germania, Italia e Giappone). Tali
livelli di crecsita finirono per differenziare il mondo in Primo Mondo
occidentale, Secondo Mondo comunista e Terzo Mondo dei paesi
sottosviluppati prevalentemente afro-asiatici.
In appena 10 anni fino al 1963 i tre paesi vinti raddoppiarono il proprio PIL.
Nel 1950 la GB fu superata da Svizzera, Danimarca, Canada e Australia e
successivamente da Francia, Germania, Italia, Svezia e Giappone.
Gli Stati Uniti ormai erano la prima potenzia industriale ed economica
mondiale. La contrapposizione si svolgeva con l’URSS sul piano politico
economico militare e con il Giappone quale vero avversario e competitor
economico.
La crescita riguardò tutti i settori e si sviluppò il consumismo. L’agricoltura si
modernizzò mentre il commercio internazionale si consolidò con i grandi
containers mentre le multinazionali iniziarono a dominare i mercati.
La Golden Age
Le ragioni della crescita:
1)
Disponibilità di nuove tecnologie anche a seguito dello
sforzo bellico;
Il ruolo dello Stato divenuto soggetto programmatore e
2)
controllore;
La cooperazione internazionale anche a seguito delle nuove
3)
istituzioni internazionali;
4)
La formazione del capitale umano con la diffusione
dell’istruzione e i programmi di alfabetizzazione;
La disponibilità di capitali e di movimento;
5)
6)
Un sistema di cambi fissi con il dollaro moneta di
riferimento;
7)
I bassi prezzi delle materie prime;
I bassi salari con l’abbondanza di manodopera.
8)
La crisi degli anni ‘70

All’inizio degli anni ’70 i tassi di crescita del 2,9% a
livello mondiale si contrassero all’1,6%. Il PIL del
Giappone crollò e altresì quello dei paesi europei.
L’età dell’oro era definitivamente finita. La domanda
aumentò lentamente, la produzione ristagnò, il
commercio
internazionale
rallentò,
la
disoccupazione riprese a crescere e altresì
l’inflazione assumendo percentuale registrate solo in
tempo di guerra.

Due eventi che segnano l’inizio del nuovo periodo:
La crisi
degli anni ‘70
-
Il crollo del Sistema Monetario Internazionale. Se all’inizio il
sistema aveva funzionato nella prima metà degli anni sessanta
la Francia cominciò a chiedere il cambio in oro dei dollari
mentre gli Stati Uniti videro ridursi le riserve auree. Molti paesi
non riuscivano a garantire la parità con l’oro delle proprie
monete. Molte monete si svalutarono e anche il dollaro fu
soggetta ad attacchi speculativi. Nel 1971 Nixon dichiarò
l’inconvertibilità del dollaro e nel 1973 malgrado qualche
tentativo di ritorno al Gold exchange standard fu totalmente
abbandonato con il ritorno ad un sistema di cambi flessibili.
La crisi degli anni ‘70

Il secondo evento che segnò l’inizio del nuovo periodo fu:
-
Il primo shock petrolifero. Nel Medio Oriente vi era, fin dal
1948, una certa instabilità a causa dello Stato di Israele e del
conflitto con i palestinesi. Quando scoppiò la quarta guerra
arabo-israelina nel 1973 (la guerra del Kippur) i paesi
produttori di petrolio riuniti nell’OPEC Organization of
Petroleum Exporting Countries decisero di ridurre le
produzione di petrolio per colpire i paesi che avevano
appoggiato Israele. Il prezzo del barile quadruplicò da 3 a 12
dollari al barile. Si trattò di un vero shock con un aumento dei
costi di importazione del greggio fortissimi. Il secondo shock
petrolifero avvenne nel 1979 a seguito della rivoluzione
iraniana con un ulteriore aumento del prezzo del barile a 30
dollari.
La crisi degli anni ‘70

1)
2)
3)
Gli effetti degli shock furono:
La crescita dei costi di produzione e distribuzione dei beni
Si venne a creare una situazione di forte inflazione che a spirale fu
favorita dalle rivendicazioni salariali e dagli aumenti dei salari con
un una situazione di stagflazione e quindi di copresenza di inflazione
e stagnazione economica. Contestualmente il fenomeno della
disoccupazione assunse proporzioni simili al ’29 e si rispose con
flessibilità e precariato. Contestualmente le nuove tecnologie e lo
sviluppo dei servizi riuscì solo in parte ad assorbire tale
disoccupazione.
L’enorme quantità di dollari a disposizione dei paesi esportatori di
petrolio (petrodollari)
La grande quantità di denaro fu depositata presso banche europee ed
americane che finirono per prestarle ai paesi in via di sviluppo. Tutto
ciò finì per favorire l’indebitamento dei PVS per raggiungere nel
1986 la cifra di mille miliardi di dollari. Molti PVS non furono in
grado di rimborsare i prestiti.
La crisi degli anni ‘70



La crisi diede vita ad un nuovo modello fondato dalla crescita
e sviluppo tecnologico e ma dalla mancanza di nuova
occupazione Jobless growth.
Si passò altresì ad un modello di produzione postfordista con
la sostituzione dalla catena di montaggio a produzioni più
snelle (lean production) adatte alla diversificazione dei gusti
e all’utilizzo della nuove tecnologie dell’informatica. Inoltre
il nuovo modello si fonda sulla flessibilità operativa
riducendo le scorte operando just in time.
Si organizza la produzione attraverso un sistema a rete di
decentramento produttivo e di delocalizzazioni delle
produzioni. Molte funzioni finiscono per essere
esternalizzate.
Gli anni dopo la crisi

Contestualmente a queste trasformazioni nell’organizzazione produttiva le
correnti di pensiero keynesiane che avevano ispirato l’azione della politica
economica dalla crisi del’29 agli anni ’70 fu rivista da altri economisti
neoliberisti che proposero il ritorno ad un ruolo dello Stato più contenuto.
Reagan (1981-1989) e la Thatcher (1979-1990) furono i più convinti
sostenitori.

I governi erano molto preoccupati dall’inflazione e quindi proposero una
politica ispirata ai c.d. Monetaristi sul fronte dell’offerta (supply-side) più
che su quella della domanda (Keynesiani). Si favorirono quindi politiche
monetarie restrittive, deregolamentazioni dei mercati, sgravi fiscali ai più
ricchi per favorire gli investimenti. Tutto ciò fini per favorire nuove
speculazioni e disparità sociali. Il ruolo dello Stato si ridusse ma mai sotto
una certa soglia divenuto quasi impossibile ridimensionare alcune
prestazioni sociali e regolamentari.

La ristrutturazione economica e le politiche liberiste di contrasto alla crisi
hanno finito per favorire i processi di globalizzazione.
La globalizzazione

Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita
progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi
ambiti, il cui effetto principale è una decisa convergenza economica e
culturale tra i Paesi del mondo.

Il termine globalizzazione, di uso recente, è stato utilizzato dagli
economisti, a partire dal 1981, per riferirsi prevalentemente agli aspetti
economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende. Il fenomeno invece
va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e
politici, e delle complesse interazioni su scala mondiale che, soprattutto a
partire dagli anni ottanta, in questi ambiti hanno subito una sensibile
accelerazione.

Sebbene molti preferiscano considerare semplicisticamente questo
fenomeno solo a partire dalla fine del XX secolo, osservatori attenti alla
storia parlano di globalizzazione anche nei secoli passati. Ma erano tempi
diversi in cui la globalizzazione si identificava, pressoché essenzialmente,
nell'internazionalizzazione delle attività di produzione e degli scambi
La globalizzazione

In campo economico la globalizzazione denota la forte integrazione degli
scambi commerciali internazionali e la crescente dipendenza dei paesi gli
uni dagli altri. Con la stessa parola si intende anche l'affermazione delle
imprese multinazionali nello scenario dell'economia mondiale: in questo
settore si fa riferimento sia alla produzione spesso incentrata nei paesi del
sud del mondo; sia alla vendita, che vede i prodotti di alcuni marchi molto
sponsorizzati in commercio in quasi tutti i paesi del mondo.

Alcuni economisti affermano che, anche per effetto della tecnologia
informatica, essa può definirsi come "uno straordinario sviluppo delle
possibili relazioni, non soltanto economico-finanziarie, pur preminenti,
tra le diverse aree del globo, con modalità e tempi tali da far sì che ciò
che avviene in un'area si ripercuota anche in tempo reale sulle altre
aree, pure le più lontane, con esiti che i tradizionali modelli
interpretativi dell'economia e della società non sono in grado di valutare
correntemente, anche per la simultaneità tra l'azione ed il cambiamento
che essa produce".
Il secolo americano - L’egemonia degli
Stati Uniti

Gli Stati Uniti uscirono rafforzati dal secondo
conflitto mondiale e la superiorità tecnologica risultò
evidente. Il PIL crebbe del 2,5% in media fino al
1973. Nel mondo si diffuse lo stile di vita americano.
Gli Stati Uniti erano l’unica potenza politica,
militare ed economica del mondo e il dollaro assunse
la funzione di mezzo di pagamento internazionale.
Gli Stati Uniti svolsero la funzione di diffondere la
democrazia e la libertà, il sistema capitalistico e di
mercato. Spesso però finirono, nel quadro della
guerra fredda, per regimi e sistemi autoritari in
Africa ed America latina.
L’egemonia degli Stati Uniti

L’agricoltura fece registrare il forte incremento della produttività e delle
produzioni sostenendo i redditi dei c.d. farmers. Malgrado ciò questi
furono sostenuti dal governo e la sovrapproduzione di frumento fu
destinata all’export.

Nel settore dell’industria si diffusero e ingrandirono le corporations e
nacque l’impresa multudivisione, organizzata in settori e divisioni con
propria autonomia funzionale e gestionale. Si assistette alla separazione
tra proprietà e management, tra i molteplici azionisti e il management
aziendale. Si estese il mercato azionario dove investitori istituzionali
(compagnie di assicurazioni, fondi pensione e fondi comuni di
investimento) cominciarono a vendere/acquistare aziende (azioni ed
obbligazioni). Si svilupparono corporations nei nuovi settori
dell’elettronica e dell’informatica.

A seguito della crisi degli anni ’70 si assistette ad un rallentamento della
crescita e di inflazione.
L’egemonia degli Stati Uniti

A seguito della crisi nel 1980 alle elezioni presidenziali vinse il
repubblicano Ronald Reagan. La nuova politica economica fu
improntata a promuovere politiche monetarie restrittive, deregolamentazioni dei mercati finanziari e del credito, tagli alle
spese assistenziali e sgravi fiscali ai più ricchi e ancora forte
incremento delle spese militari anche per contrastare il blocco
comunista.

Il cambio di rotta nelle decisioni di politica economica si è
accompagnato con il prevalere in campo universitario di tesi
neoliberiste, il cui principale ispiratore era l'economista di
Chicago e premio Nobel Milton Friedman.
L’egemonia degli Stati Uniti

Si racconta in particolare che Reagan venne convinto dall'economista
Laffer che una riduzione dell'imposizione fiscale avrebbe avuto effetti
benefici sia sulla crescita economica che sull'imposizione fiscale,
perché un'eccessiva imposizione fiscale spingeva i lavoratori a
rinunciare a lavorare di più.

Alle scelte fiscali si sono aggiunte politiche di forti liberalizzazioni,
scelte fortemente antisindacali, culminate nel licenziamento di migliaia
di controllori di volo in sciopero, e di forti tagli alla spesa sociale,
controbilanciati tuttavia da un forte aumento della spesa pubblica per
armamenti.

Grazie al taglio della pressione fiscale, la produzione industriale
aumentò decisamente, come del resto l'occupazione. Nonostante ciò è
da sottolineare l'aumento del debito pubblico, dovuto alle politiche di
spesa adottate dal congresso americano. Tutto ciò fini per favorire
nuove speculazioni e disparità sociali.
Reaganomics
Nonostante la crisi borsistica del 1987 a
Wall Street l’economia americana continuò
a crescere per tutti gli anni novanta con
tassi del 4%.
Si procedette alla ristrutturazione delle
imprese a alla delocalizzazione. Gli Stati
Uniti profittarono della globalizzazione e
dopo essere stati creditori del mondo
iniziarono ad indebitarsi e ad importare
capitali ciò al fine di sostenere la crescita e
finanziare il deficit della bilancia dei
pagamenti dovete all’aumento delle
importazioni stimolate dal grande mercato
interno.
La crisi
del 2008-2009

Malgrado gli attentati delle Torri gemelle nel 2001 a New York
la crescita continuò sostenuta a causa della forte espansione
del credito e dallo sviluppo della finanza. Nel corso del 2007
gli Stati Uniti sono entrati in una grave crisi creditizia e
ipotecaria che si è sviluppata a seguito della forte bolla
speculativa immobiliare (la nota vicenda dei mutui subprime a
tasso variabile) e del valore del dollaro molto basso rispetto
all'euro e ad altre valute.
La crisi
del 2007-2008

Dopo diversi mesi di debolezza e perdita di impieghi, il fenomeno è
collassato tra il 2007 e il 2008 causando il fallimento di banche ed entità
finanziarie e determinando una forte riduzione dei valori borsistici e della
capacità di consumo e risparmio della popolazione. A settembre 2008, i
problemi si sono aggravati con la bancarotta di diverse società legate al
credito ed alla finanza immobiliare, come la banca di investimenti
Lehman Brothers, le società di mutui Fannie Mae e Freddie Mac o la
società di assicurazioni AIG.

Il governo nordamericano è intervenuto iniettando liquidità per centinaia
di miliardi di dollari (800 miliardi) con l'obiettivo di salvare alcune di
queste società. Nel frattempo gli indici borsistici delle borse americane,
specchio della salute dell'economia USA, sono letteralmente colati a picco
con perdite che dall'inizio dell'anno hanno superato il 40% del valore.
Variazioni del Prodotto interno
lordo nella recessione del 2009
La Gran Bretagna



La GB a seguito del conflitto mondiale si trovò in gravi
difficoltà e dovette chiedere un prestito di 5 miliardi di dollari
a Stati Uniti e Canada. Il nuovo governo laburista (tra cui
quello di Beveridge propositore del Welfare State)
nazionalizzò diversi settori (trasporti, telecomunicazioni,
Banca di Inghilterra, gas, elettricità, siderurgia), istituì il
Servizio Sanitario Nazionale, un programma di edilizia
pubblica e di assistenza ai lavoratori.
Attraverso questi provvedimenti l’economia inglese riprese a
crescere ma lentamente (a tassi del 2%) dimenticando di
investire su ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e
produttività.
La crisi petrolifera del 1973 fu particolarmente dura con
scioperi dei minatori e conflitti sociali e il PIL in alcuni anni
arretrò.
Margaret
Thatcher


Nel 1979 il partito conservatore
vince le elezioni e viene eletto
primo ministro la Sig. Margaret
Thatcher. La Thatcher rivestirà
la carica di primo ministro per
tre mandati fino al 1990.
Da Primo ministro della GB s'impegnò per rovesciare il declino
economico che interessava il Regno Unito ormai da qualche decennio.
In quanto filo-monetarista incrementò il tasso d'interesse per ridurre
l'inflazione ed aumentò l'IVA, preferendo la tassazione indiretta a
quella diretta; questi interventi colpirono soprattutto l'industria
manifatturiera, e la disoccupazione finì per raddoppiare in poco più di
un anno. Nel 1982 l'inflazione tornò a livelli accettabili ed il tasso
d'interesse fu abbassato ma la disoccupazione aumentò di quattro
volte. LA GB riprese a crescere con tassi del 2,6%.
Margaret Thatcher


Dal 1984 Thatcher si impegnò nell'affrontare il potere dei
sindacati. Il sindacato dei minatori dichiarò lo sciopero ad
oltranza per opporsi alla chiusura di parecchie miniere. In alcuni
casi gli scioperanti fecero azioni di picchettaggio, che la
Thatcher non esitò a reprimere. I metodi della polizia infatti
durante lo sciopero furono molto contestati. Dopo un anno, il
sindacato fu costretto a cedere senza condizioni. Si impegnò a
ridurre l'intervento statale, soprattutto tramite un gran numero di
privatizzazioni e a favorire lo sfruttamento dei giacimenti
petroliferi nel Mare del Nord.
In politica estera accentuò la sua ostilità nei confronti
dell'Europa, opponendosi fermamente al progetto di creare
l'Unione europea; la cosa provocò una prima spaccatura nel
partito. In seguito il Ministro dell'Economia e quello degli Esteri
minacciarono le dimissioni e alla fine gli successe John Major.
La Francia




Al termine del secondo conflitto la Francia presentava delle debolezze
strutturali anche dovute alle distruzioni dell’occupazione militare e alla
chiusura dell’economia. Tuttavia attraverso uno slancio nazionale seppe
recuperare e riprendersi creando un clima di fiducia che diede vita alla c.d.
Golden Age. La ricostruzione du realizzata in tempi record. Nel 1949 la
produzione era tornata ai livelli del 1939.
L’obiettivo fu la modernizzazione dell’economia sotto la guida dello Stato. Si
procedette ad alcune nazionalizzazioni nel quadro di una economia mista.
Grazie a Jean Monnet si procedette alla pianificazione economica e
all’approvazione dei piani quadriennali. L’agricoltura si modernizzò e lo Stato
favorì l’apertura dell’economia verso l’esterno. La costruzione del mercato
comune europeo con Robert Schuman favorì questo processo. La crisi
petrolifera convinse la Francia alla scelta del nucleare.
Successivamente si procedette attraverso fasi alterne tra nazionalizzazioni e
privatizzazioni. I governi socialisti di Mitterand favorirono nazionalizzazioni
spesa pubblica per rilanciare i consumi.
Fino a prima della crisi la Francia aveva un’economia prospera con una
agricoltura poderosa, un’industria ad altissimo livello con una forte presenza
dello Stato e un sistema amministrativo e burocratico di alto livello.
La Germania

La Germania totalmente distrutta dalla guerra rimase priva di un governo
fino al 1949. Gli Alleati, all’inizio, procedettero allo smantellamento
dell’industria pesante e degli armamenti per impedire la ricostruzione del
sistema produttivo che aveva portato a due guerre mondiali.

Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'Unione Sovietica si erano accordati a
Potsdam su un ampio programma di decentralizzazione, trattando la
Germania come una singola entità economica con alcuni dipartimenti
amministrativi centrali. Questo piano si ruppe nel 1948, con l'inizio della
Guerra Fredda. Le potenze occidentali erano preoccupate dal deteriorarsi
della situazione economica nelle loro zone; il Piano Marshall di aiuti
economici americani venne esteso alla Germania occidentale, mentre una
riforma valutaria introdusse il Marco tedesco e fermò l'inflazione
montante. I sovietici non concordarono con la riforma e si ritirarono, nel
marzo 1948, dal corpo governativo a quattro e diedero inizio al Blocco di
Berlino nel giugno 1948, sbarrando tutte le vie di accesso terrestri tra la
Germania Ovest e la città. Le potenze alleate replicarono con il "Ponte
aereo per Berlino", un continuo rifornimento via aria della metà
occidentale della città. I sovietici posero fine al blocco dopo 11 mesi.
La Germania



Il 23 maggio 1949, Stati Uniti, Gran Bretagna e
Francia cedettero la sovranità delle rispettive zone
di occupazione alla neocostituita Repubblica
Federale di Germania. Poco dopo, il 7 ottobre
1949, l'URSS cedeva la sovranità della propria
zona di occupazione alla neocostituita Repubblica
Democratica Tedesca, in tedesco, Deutsche
Demokratische Republik (sigla DDR).
La Repubblica Federale di Germania era alleata con
gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia. Era una
nazione capitalista occidentale ad economia di
mercato e godette di una prolungata crescita
economica a seguito della riforma valutaria del
giugno 1948 e delle sovvenzioni statunitensi
dell'ERP, European Recovery Program (o Piano
Marshall) (1948-1951).
La Repubblica Democratica Tedesca rimase alleata
dell'Unione Sovietica ed entrò a far parte del Patto
di Varsavia alla sua costituzione (maggio 1955).
Stato autoritario con un'economia centralizzata di
tipo socialista, divenne ben presto la più ricca e più
avanzata tra le nazioni del blocco sovietico, ma
molti suoi cittadini guardavano ad ovest per la
libertà politica e la prosperità economica.
La Germania

Nel corso degli anni la Germania dell’ovest visse un vero e
proprio miracolo economico con tassi di crescita del 5%. Il
modello tedesco fu ispirato alla economia sociale di mercato
con una incisiva presenza dello Stato, la cogestione nelle
grandi imprese e una produzione orientata alle esportazioni.
La Germania dell’Ovest si giovò altresì di un notevole flusso
di immigrati sia dell’Est che da altri parti dell’Europa.

Anche la Germani dell’Est fino al 1973 conobbe tassi di
crecsita elevati e rappresentò uno dei Paesi del blocco
sovietico più avanzati. L’industria fu orientata a quella
pesante a discapito dei consumi.
La riunificazione



Durante l'estate del 1989, dei rapidi cambiamenti ebbero luogo nella
Germania Est, che alla fine portarono alla Riunificazione tedesca. Un
numero crescente di tedeschi dell'est emigrava nella Germania Ovest
attraverso l'Ungheria, dopo che gli ungheresi decisero di non usare la
forza per fermarli. L'esodo generò richieste interne alla DDR per un
cambiamento politico, e dimostrazioni di massa con centinaia di migliaia
di persone in diverse città – particolarmente a Lipsia – continuarono a
svolgersi. Il 7 ottobre, il leader sovietico Michail Gorbačëv visitò Berlino
per celebrare il 40º anniversario della fondazione della DDR e fece
pressione sulla dirigenza della DDR per perseguire le riforme, senza
successo.
Il 4 novembre, una dimostrazione a Berlino Est portò in piazza circa un
milione di abitanti. Infine, il 9 novembre 1989, il Muro di Berlino venne
aperto e ai tedeschi dell'est venne consentito di viaggiare liberamente. A
migliaia si riversarono attraverso il muro e nella parte ovest di Berlino.
Il Cancelliere della Germania Ovest Helmut Kohl, delineò un piano in 10
punti per l'unificazione pacifica delle due Germanie, basato su elezioni
libere ad est e sull'unificazione delle due economie.
L’unificazione

L'unione politica formale avvenne il 3 ottobre 1990,
eseguita tecnicamente – non senza critiche – tramite
l'Articolo 23 della costituzione della Repubblica
Federale di Germania, come l'annessione ai cinque
Länder orientali ripristinati. Il 2 dicembre 1990,
delle elezioni in tutta la Germania. La nuova nazione
mantenne il nome Bundesrepublik Deutschland,
utilizzava il "Deutsche Mark" della Germania Ovest,
e il suo sistema legale e le istituzioni vennero estese
a Est.
La Spagna



La spagna non partecipò al secondo conflitto
mondiale avendo sostenuto una guerra civile con la
vittoria di Francisco Franco e la dittatura.
Negli anni ’50 e ’60 la Spagna cominciò a crescere
con tassi elevati fino a raggiungere il 7,3% con un
forte processo di modernizzazione.
La transizione democratica alla morte di Franco
(1975) con la ricostituzione della monarchia e libere
elezioni rafforzò la crescita economica suggellata
con l’entrata della Spagna nella CEE nel 1986.
Il Giappone


Il Giappone si presentò al termine del secondo
conflitto mondiale totalmente distrutto. Le bombe
atomiche di Hiroshima e Nagasaki furono l’epilogo
del conflitto. La produzione agricola era crollata del
40% e il PIL rappresentava appena il 12% di quello
americano.
A partire dal 1950 al 1973 il Giappone ha vissuto il
suo miracolo economico raggiungendo il PIL inglese
e avvicinandosi a quello americano. Gli investimenti
e produttività crebbero vertiginosamente mentre la
disoccupazione scese e le esportazioni aumentarono
di ben 23 volte.
Il Giappone

I fattori dello sviluppo economico:
1.
La guerra di Corea e la divisione della Corea in due stati favorì il
Giappone in quanto testa di ponte per l’impegno militare americano;
L’espansione del commercio internazionale con le costanti esportazioni
giapponesi negli Stati Uniti;
L’affidamento a tecnologie avanzate e a capitale umana qualificato;
L’azione dello Stato che tenne i tassi di interesse bassi, ridusse le tasse
sugli utili e gli investimenti, favorì la creazione di cartelli e stabilì
barriere protezionistiche alle importazioni e infine la riforma agraria
ridistribuendo terra ai contadini espropriandola a quelli passivi.
Il clima di collaborazione tra governo e imprese, tra imprese e tra
imprese e lavoratori che rientra nella tradizione confuciana di rispetto
delle gerarchie. Si garantiva il lavoro ai dipendenti in cambio di fedeltà
e sacrifici.
2.
3.
4.
5.
Il Giappone



Il Giappone risentì molto meno di tutti della crisi del 1973. La
crescita rallentò ma mantenne livelli superiori all’Europa. Si
procedette ad una ristrutturazione produttiva con
l’introduzione dei robot e la creazione di imprese “snelle”. Al
termine, negli anni ’80, il Giappone era la seconda potenza
economica mondiale.
Negli anni ’90 il Giappone vive una crisi finanziaria e
bancaria simile a quella attuale con speculazioni immobiliari
e finanziarie che finiscono per produrre fallimenti e crisi di
liquidità. La bolla scoppiò appunto nel 1990 e la borsa crollò
del 63%. Per combattere la crisi fu previsto un forte
programma di lavori pubblici, interventi protezionistici e
anche di dumping.
Solo nei primi anni del nuovo secolo il Giappone ha segnato
modesti dì segnali di ripresa.
Dall’economie pianificate
all’economia di mercato
L’Unione sovietica e il blocco
comunista
L’Unione sovietica



L’URSS fu quella che subì i maggiori danni dal conflitto.
Dopo la guerra riprese la politica di pianificazione con il
quarto piano quinquennale. Anche l’URSS tuttavia visse
periodi di crescita con tassi intorno al 3,5%. Inoltre l’URSS
costituì un cuscinetto di c.d. “Stati satelliti” dell’Europa
dell’Est accomunati dai regimi comunisti e da una economia
pianificata.
Nacque il COMECON Consiglio di Mutua Assistenza
Economica tra i paesi dell’Est con sede a Mosca e con
l’obiettivo della cooperazione economica e il coordinamento
delle politiche di sviluppo. Fu in verità lo strumento di
controllo delle economie da parte dei russi. In tal senso il
malcontento fu evidente e numerose furono le rivolte contro il
controllo sovietico (Ungheria 1956 – Cecoslovacchia 1968).
La crisi degli anni ’70 non coinvolse i Paesi dell’Est.
I limiti della pianificazione



Tuttavia i limiti della pianificazione centralizzata sovietica iniziarono a
essere evidenti. Il coordinamento tra diverse fabbriche e tra queste e gli
approvvigionamenti diventava complesso e con tempi spesso lunghi.
Inoltre i piani quinquennali stabilivano obiettivi di quantità e non di
qualità. Inoltre la previsione delle quantità spesso era inadeguata alle
esigenze e si creavano sottoproduzioni rispetto alle esigenze. Inoltre
nessuno stimolo era dato alle innovazioni tecnologiche con un
complessivo arretramento delle produzioni.
I prezzi dei beni erano fissati e calmierati con aumento della capacità di
risparmio. La disoccupazione era inesistente in quanto a tutti era garantito
un impiego ma la produttività del lavoro era bassissima. Le fabbriche
avevano un numero di lavoratori eccessivo.
L’agricoltura era molto debole in quanto i contadini preferivano dedicare
molto tempo ai piccoli appezzamenti a discapito delle aziende agricole
collettive dove erano impiegati. L’URSS non era quindi autosufficiente
sul piano alimentare malgrado gli ingenti investimenti.
Michail Gorbaciov





Malgrado numerosi tentativi di riforma il sistema non riuscì a reggere e
solo Gorbaciev mise mano in modo radicale al sistema sovietico.
Promosse la glasnost – trasparenza nella gestione del potere attraverso
forme più democratiche e la perestrojka – ristrutturazione attraverso la
trasformazione del sistema burocratico, favorendo una certa iniziativa
privata e riducendo l’invasività dei funzionari del partito comunista
nell’economia.
Tuttavia le riforme politiche avviate prima di quelle economiche e spesso
in maniera disordinata finirono per favorire il crollo del sistema e la forte
contrapposizione tra conservatori e riformisti.
Inoltre in quegli anni il deficit del bilancio statale era fortemente cresciuto
a causa sui di esigenze eccezionali (terremoto in Armenia, la centrale
nucleare di Chernobyl) sia per il mantenimento di un apparato produttivo
inefficiente.
Le riforme introdotte e una minima liberalizzazione dei prezzi crearono
inflazione e disoccupazione con un crescente malcontento tra la
popolazione e l’inizio della fine.
Il crollo dei regimi comunisti




Nei Paesi dell’Est il comunismo e l’economia pianificata non erano
riusciti a migliorare le condizioni di vita della popolazione e già
esistevano timide riforme di economia di mercato sia nell’agricoltura
che in altri settori (Polonia, Ungheria).
Le riforme avviate da Gorbaciov favorirono le forse di cambiamento
nei vari paesi a cominciare dalla Polonia (Solidarnosc), Ungheria e
Cecoslovacchia. L’anno del cambiamento fu il 1989.
La fine dei regimi comunisti fu segnato dal crollo del Muro di Berlino
il 9 novembre 1989. Tutti i regimi comunisti caddero sotto la pressione
popolare. Alcune in modo pacifico (Bulgaria) altre con rivolte
(Romania). La fine della Jugoslavia con la secessione di Slovenia e
Croazia (1991) diede vita al conflitto nei Balcani.
Le riforme in URSS di Gorbaciov, dopo un fallito colpo di stato,
portarono allo scioglimento dell’Unione Sovietica (1991) e alla nascita
di 15 repubbliche indipendenti.
La Comunità degli Stati Indipendenti «CSI» è una
confederazione composta da nove delle repubbliche dell'ex
Unione Sovietica.
Armenia,Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Russia, Tagikistan,
Turkmenistan, Uzbekistan, Georgia (ritirata nel 2009), Ucraina (ha dichiarato il ritiro)
La transizione al capitalismo



La transizione all’economia di mercato fu lunga e difficile. Il passaggio da
un’economia pianificata a una di mercato non era mai stato sperimentato in
nessuna economia del mondo. Tra il 1990 e il 1998 il PIL della Russia diminuì
del 7%.
La conversione della più grande economia controllata dallo Stato in economia
di mercato sarebbe stata enormemente difficoltosa senza riforme politiche. Gli
obiettivi da perseguire al fine di affrontare tale transizione furono individuati in
(1) liberalizzazione, (2) stabilizzazione e (3) privatizzazione. Tali politiche erano
basate sul neoliberista "Washington Consensus" di IMF, Banca Mondiale e
Dipartimento del Tesoro statunitense.
I programmi relativi alla liberalizzazione e alla stabilizzazione dell'economia
russa furono gestiti da una c.d. "terapia shock". Nel 1992 si sancì la
liberalizzazione dei commerci con l'estero, dei prezzi e della concorrenza. I
risultati della liberalizzazione, abbassando i controlli sui prezzi, portarono
tuttavia a un'inflazione incontrollabile (aggravata dal fatto che la Banca Centrale
decise di stampare nuova cartamoneta per finanziare il debito accumulato) e la
prossima bancarotta di molte imprese russe, il cui modello di produzione era
inadeguato a confrontarsi con il libero mercato globale.
La transizione al capitalismo


Il processo di liberalizzazione comportò vincitori e perdenti.
Alcuni trassero dei benefici dall'aprirsi del paese alla
concorrenza, per altri fu la rovina. Tra i vincitori c'era la
nuova classe di imprenditori (alcuni dei quali dediti al
mercato nero) che si erano formati durante la perestrojka. Ma
la liberalizzazione dei prezzi comportò per gli anziani e per
coloro che avevano uno stipendio fisso un drastico calo dello
stile e della qualità di vita.
La stabilizzazione si concretizzò in un duro regime di
austerity (una severa e inflessibile politica monetaria e
fiscale). Il governo lasciò lievitare gran parte dei prezzi al
consumo, alzò sensibilmente i tassi di interesse, elevò
drasticamente il carico fiscale dei contribuenti e tagliò
recisamente sia ogni sussidio alle industrie e alle imprese
statali che la spesa sociale.
La transizione al capitalismo

Alla fine degli anni ’90 l’economia russa ha ripreso a crescere con tassi
del 7,4% riportandosi ai livelli del 1990. Ciò è stato possibile grazie ai
grandi giacimenti di petrolio e gas e quindi allo sfruttamento delle materie
prime. Lo Stato ha inoltre conservato alcune grandi industrie (vedi
Gazprom) e ha ridimensionato le privatizzazioni. Malgrado la forte
crescita, soprattutto nella regione di Mosca, il PIL della Russia è il 29% di
quello americano.

Anche l’Ucraina, dopo diverse riforme economiche e politiche, ha ripreso
a crescere.

La transizione al capitalismo da parte dei Paesi dell’Est è stata molto più
graduale e in presenza di economia che comunque avevano mantenuto
alcuni caratteri di mercato. Fu comunque necessario ricostruire l’apparato
industriale e bancario. L’entrata nell’Unione Europea nel 2004 e nel 2007
ha rafforzato i processi di transizione al mercato. Negli ultimi anni la
crescita di questi Paesi è stato molto sostenuta (3-4%).
Il caso cinese

L'economia cinese è la seconda maggiore
economia al mondo per PIL (nominale)
prodotto, alle spalle degli Stati Uniti
anche se il PIL (nominale) pro capite è
novantasettesimo (2013).

L’impero cinese della dinastia Quing
termina dopo due guerre civili fra i
nazionalisti filoamericani di Chiang Kaishek (o Jiang Jie-Shi) e i comunisti
di Mao Tse-tung (o Mao Zedong) (19271937
e
1945-1949),
intervallate
dall'invasione giapponese (1937-1945),
termineranno con la proclamazione della
Repubblica Popolare Cinese di Mao, il 1º
ottobre 1949, e della Repubblica
nazionale cinese nell'isola di Formosa.
Il caso cinese
Dalla
nascita
della
Repubblica Popolare, nel
1949, il governo socialista
portò avanti un modello di
economia pianificata in
stile sovietico.
L'agricoltura
venne
collettivizzata
e
la
pianificazione
centrale
avvenne
attraverso
la
definizione
di
Piani
quinquennali.
La Costituzione cinese fino
al 2004 non riconosceva la
proprietà privata.
Il caso cinese

Dopo la morte di Mao (1976), il controllo del Partito Comunista
Cinese fu preso da Deng Xiaoping, che fu il principale fautore della
cosiddetta apertura della Cina al mondo occidentale: migliorò
infatti le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, ma soprattutto
nel 1978 avviò la Cina alla c.d. economia socialista di mercato, un
sistema economico che avrebbe avvicinato l'economia cinese al
modello capitalista, sostituendo gradualmente la pianificazione
centralizzata con un'economia liberale di mercato.

Deng avviò al contempo il programma delle "Quattro
Modernizzazioni" (agricoltura, industria, scienza e tecnologia,
apparato militare). Le terre non furono mai riprivatizzate, ma
affidate ai contadini con contratti di usufrutto pluridecennale, il
controllo centralizzato sui prezzi fu allentato, e venne incoraggiata
la creazione di nuove imprese attraverso la liberalizzazione di
alcuni settori e l'apertura agli investimenti esteri
Il caso cinese

Il forte sviluppo economico cinese degli ultimi tre decenni si è basato
in larga parte sulla grande quantità di manodopera a basso costo
reperibile, che ha attirato la delocalizzazione produttiva di molte
imprese occidentali e giapponesi. La delocalizzazione è stata
incoraggiata anche da un crescente livello delle infrastrutture e dei
trasporti, da una politica governativa favorevole e, a detta di alcuni, da
una svalutazione competitiva dello yaung (Remnbi).

L'enorme sviluppo economico ha trascinato milioni di cinesi fuori dalla
povertà: nel 2009 circa il 10% della popolazione viveva con meno di 1
dollaro al giorno, rispetto al 64% del 1978. L'aspettativa di vita è salita
a 73 anni. La disoccupazione nelle città alla fine del 2007 era scesa al
4%, mentre la disoccupazione media si attesta attorno al 10%. Al
contempo sono cresciuti notevolmente sia la fetta di popolazione
appartenente al ceto che i super ricchi. Tuttavia la crescita economica si
è concentrata nelle regioni industrializzate del sud-est, contribuendo ad
allargare la disparità di reddito tra le diverse regioni della Cina.
Le disuguaglianze tra le nazioni



L’eccezionale sviluppo delle economie occidentali ha
rafforzato il divario tra paesi ricchi e paesi poveri del mondo.
Solo Stati Uniti e Europa rappresentano la gran parte della
ricchezza mondiale. L’Africa arriva ad appena il 5%.
La suddivisione del mondo in Nord e Sud, in funzione del suo
sviluppo economico sociale e l'uso di questi termini per una
descrizione geopolitica venne usata pubblicamente per la
prima volta da Willy Brandt, nel titolo del rapporto della
commissione da lui presieduta sullo sviluppo internazionale,
ed oggi fa parte del linguaggio delle Nazioni Unite.
Le disuguaglianze tra le nazioni

Il sottosviluppo è una condizione di arretratezza sociale ed
economica in cui vive la popolazione di un paese rispetto ai
paesi con sistemi economici più avanzati. I paesi poveri
sottosviluppati o in via di sviluppo, nelle analisi geopolitiche,
erano inizialmente raggruppati nel c.d. Terzo mondo,
contrapposto al Primo mondo, i paesi industrializzati ad
economia capitalista, e al Secondo mondo, i paesi a economia
pianificata dell’Europa socialista.

Nel 1989, la caduta del Muro di Berlino, determinò la fine del
vecchio assetto geopolitico, con la scomparsa del Secondo
mondo. Non essendo più evidente una tripartizione in paesi
con situazioni economiche diverse, il termine Terzo mondo
cadde in disuso e, per parlare dei paesi poveri in via di
sviluppo, si preferì parlare di Sud del mondo, riferendosi alla
posizione geografica della maggior parte di essi.
Le disuguaglianze tra le nazioni

Si considerano come facenti parte del Sud del
mondo, tutta l’Africa, l’America Latina, l’America
centrale, l’India, il Sud-est asiatico e molti paesi del
medio ed estremo Oriente. All’interno di tali paesi
sono distinguibili due tipi di Paesi sottosviluppati:
quelli con risorse e quelli senza. I primi hanno
materie prime all’interno del proprio paese, che
potrebbero permettere uno sviluppo economico; i
secondi, non avendo né capitali, né risorse, hanno
minima possibilità di sviluppo autonomo
indipendente.
Human Development Index (HDI)
Per avere un quadro più preciso del grado di
sviluppo di un paese, nel 1990 l’ONU ha introdotto
l’Isu, l'Indice di sviluppo umano, che si ottiene dalla
combinazione di tre dati: la speranza di vita alla
nascita, il reddito procapite e il tasso di
alfabetizzazione.
Tuttavia, esistono casi che non obbediscono a questa
regola statistica. A conferma del fatto che il Reddito
medio pro-capite non è sufficiente a descrivere le
condizioni di sviluppo.
http://www.worldbankgroup.org/
La decolonizzazione


Come avvenne per i Paesi dell’America latina nel secolo XIX così nel
secolo XX i Paesi dell’Asia e dell’Africa ottennero l’indipendenza sulla
base della Carta delle Nazioni Uniti (1945). Dopo la seconda guerra
mondiale le potenze europee che avevano costituito i loro imperi coloniali
in Africa e Asia non furono più in grado di mantenerne il controllo, infatti
il conflitto mondiale aveva indebolito i francesi e i britannici che
rappresentavano le maggiori potenze coloniali. Inoltre tra le due guerre
erano sorti i primi movimenti o partiti nazionalisti, che aumentarono la
diffusione del sentimento nazionale e del desiderio di indipendenza
stimolato dalla lotta al nazifascismo in difesa della democrazia.
Il processo di decolonizzazione durò circa quarant’anni: in alcuni casi
l’indipendenza fu raggiunta per via pacifica, con trattative tra la
madrepatria e i gruppi dirigenti locali; un esempio di questo tipo di
decolonizzazione è stata la Gran Bretagna, che avviò gradualmente
all’indipendenza le colonie, trasformando l’impero nel Commonwealth. In
altri casi avvenne per via violenta con una guerra di liberazione, ed un
esempio è la Francia che oppose dura resistenza ai movimenti di
liberazione (Algeria e Indocina).
La decolonizzazione
La decolonizzazione

La prima nazione a conseguire l’indipendenza fu l’INDIA.
Seguirono Birmania, Indonesia, Vietnam, Cambogia, Laos e i
Paesi dell’africa settentrionale. Introno agli anni ’60 fu la
volta dell’Africa nera. Il Portogallo, dopo un lungo conflitto
armato, rinunciò nel 1975 a Mozambico e Angola.

Fattore decisivo per lo smantellamento degli imperi coloniali
fu la pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica.
Infatti i due vincitori del secondo conflitto mondiale erano
contrari al colonialismo. Entrambe le superpotenze in realtà
avevano l’obiettivo di allargare le loro zone d’influenza e
fecero pesare in seguito la loro egemonia economica e
politica nei paesi dell’Africa e dell’Asia.
Le strategie di sviluppo dei PVS



I Paesi in Via di Sviluppo provarono a attuare delle strategie
di sviluppo avendo come modelli il sistema della
pianificazione economica e l’economia di mercato.
Elemento significativo fu l’intervento dello Stato attraverso la
nazionalizzazione di interi settori produttivi (servizi pubblici,
banche, distribuzione dei prodotti, ect..) e l’adozione di
misure protezionistiche.
Le politiche di sviluppo furono orientate o:
- Alla sostituzione delle importazioni con produzioni locali
incentivando l’industria locale (Argentina, Brasile, Messico);
- Alla promozione delle esportazioni con produzioni ad alto
contenuto tecnologico (Malaysia, Taiwan, Thailandia, India,
Indonesia) e che divennero i c.d. Paesi di Nuova
Industrializzazione (Newly Industrializing Countries NIC)
Le strategie di sviluppo dei PVS



Un elemento comune fu il ricorso ai Debiti esteri sotto forma di Aiuti
(prestiti dei governi stranieri) o di Prestiti bancari da banche estere.
L’abbondanza di denaro, depositato nelle principali banche internazionali,
dovute ai c.d. petrodollari, causò un abbassamento dei tassi di interesse. A
questo si accompagnò anche una notevole inflazione, dovuta all'aumento
dei costi di produzione per il caro-petrolio. La combinazione di tassi
d'interesse bassi e di inflazione alta portò ad un tasso d'interesse reale
negativo. Con questa condizione, addirittura redditizia per chi s'indebita,
ci fu una vera e propria corsa dei paesi del Sud del mondo a contrarre
debiti con le banche occidentali. Le banche non avevano interesse a tenere
ferme grandi quantità di denaro liquido e così approvarono enormi prestiti
ai PVS senza interessarsi di come questo denaro sarebbe stato speso né di
come sarebbe stato restituito.
Il denaro in parte fu usato nel tentativo di migliorare il livello di benessere
dei paesi del Terzo Mondo, ma gran parte di esso finì direttamente sui
conti bancari dei dittatori locali, largamente sponsorizzati dai paesi
occidentali
Le strategie di sviluppo dei PVS



Nel 1978-79 i tassi di interesse iniziarono a crescere.
Nel 1982 il Messico, oppresso dall'insostenibilità del debito, dichiarò
l'insolvenza. Si temette allora che la sfiducia nel sistema bancario
potesse provocare una crisi simile a quella del 1929 e quindi il ritiro
simultaneo del denaro dalle banche. Per evitare ciò i governi dei paesi
industrializzati, il FMI e la Banca Mondiale decisero di concedere
prestiti ai paesi debitori, a condizione che questi attuassero le
cosiddette "politiche di aggiustamento strutturale": quindi, in un certo
senso, gli stati debitori "pagarono" parte dei loro interessi limitando la
loro sovranità. Si verificò quindi un passaggio, a volte parziale,
dall'indebitamento verso privati a indebitamento verso governi ed enti
pubblici.
Queste "riforme strutturali" imposero misure tali da garantire la
restituzione del prestito ma anche spesso resero l'economia interna
facile preda dei capitali stranieri e dello sfruttamento da parte di
compagnie multinazionali delle risorse locali.
Le strategie di sviluppo dei PVS
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Le politiche strutturali furono improntate alla
liberalizzazione e alla privatizzazione di interi settori
dell’economia. Tutto ciò ha creato situazioni
differenziate di rafforzamento di investimenti esteri
ma anche di forte competizione di settori produttivi
troppo deboli per reggere la concorrenza dei Paesi
industrializzati con evidenti problemi sociali e
occupazionali.
Negli ultimi decenni la globalizzazione ha coinvolto
i PVS. Alcuni di questi ne hanno tratto dei benefici
dovuti ai nuovi flussi di investimenti esteri e alle
rimesse degli emigrati.
L’India
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L’indipendenza dell’India arrivò in
un clima di forte instabilità politica
ed economica che durò almeno
fino alla nascita della Costituzione,
nel 1950. Inoltre l’indipendenza
porta alla nascita dell’India a
prevalenza induista, e al Pakistan a
prevalenza
mussulmana,
con
continui contrasti tra i due paesi a
causa della regione del Kashmir.
L’India
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A caratterizzare la storia dell’India indipendente, fino alla fine degli anni
Ottanta, fu la presenza di un sistema politico-economico e di un’ideologia
dotati di tratti particolari:
la democrazia politica;


la presenza di un partito politico dominante caratterizzato da una vivace
democrazia interna;

il prevalere dell’ideologia laica;
un sistema economico contraddistinto dall’intervento dello stato e dal

protezionismo.

Alcuni di questi elementi furono in tutto o in parte un’eredità del periodo
coloniale; altri furono una più diretta espressione delle convinzioni personali e
dell’azione politica del primo ministro Nehru. Ma fu solo dal 1991 che il
sistema nehruviano venne meno, sia pure con la cruciale eccezione della
democrazia politica. Da quel momento iniziò una fase di liberalizzazioni,
deregolamentazioni e di riduzione dell’intervento dello Stato nell’economia.
L’India
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La politica di Nehru si articolò in tre punti chiave: (1) il potenziamento
dell’intervento statale in economia, non solo aumentando il numero di
settori economici di esclusiva competenza dello stato, ma soprattutto
ponendo con molto rilievo l’obiettivo di creare a tappe forzate
l’industria pesante di base. (2) una radicale ristrutturazione del mondo
rurale che si concludesse in tempi brevi con la socializzazione
dell’agricoltura. (3) il protezionismo dell’industria per assicurare la
crescita dell’industria locale rispetto alla concorrenza estera.
I risultati degli investimenti nell’industria pesante avrebbero portato ad
un aumento della disponibilità di beni di consumo solo nel lungo
termine. La politica di sviluppo voluta da Nehru ebbe quindi una serie
di limiti. Il fallimento più evidente fu la distribuzione della ricchezza,
lungi dall’assumere un aspetto più egalitario, favorì in maniera
crescente una minoranza della popolazione. Ancor più importante fu il
fatto che lo sviluppo pianificato relegò l’istruzione di base al ruolo di
Cenerentola.
L’India
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Dopo Nehru, Indira Gandhi, nazionalizzò il sistema
bancario, con l’opportunità di orientare il credito a
favore della piccola industria e, soprattutto, del
settore rurale.
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Ma è a partire dal 1991 che l’India conosce un
periodo di riforme di liberalizzazione e
deregolamentazione dell’economia nonché la
privatizzazione di interi settori di proprietà pubblica.
Da allora inizia un percorso ininterrotto di crescita
economica con tassi del 6-9%. Tuttavia ancora i
problemi legati all’uguaglianza e alla distribuzione
della ricchezza sono fortemente evidenti.
Le tigri asiatiche
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Le tigri asiatiche è il nome che è stato attribuito verso la fine
degli anni novanta principalmente a 4 paesi asiatici per via del
loro ininterrotto sviluppo degli ultimi decenni, anche se questo
termine si può riferire alla maggioranza dei mercati in rapida
crescita nell'estremo oriente. Il termine di Quattro Dragoni è stato
spesso usato come sinonimo di tigri asiatiche e si riferisce alle
stesse quattro nazioni. Questi paesi sono: Hong Kong, Singapore,
Taiwan, Corea del Sud.
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La definizione di tigri asiatiche con l'uso arrivò a comprendere un
po' tutte le economie emergenti del Sud Est asiatico. Talvolta alle
quattro economie emergenti maggiori dell'area venivano
affiancate le così dette "Tigri minori" o "piccole tigri" ovvero altri
quattro stati: Malaysia, Indonesia, Thailandia, Filippine.
La tigri asiatiche
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Nonostante la distanza in termini economici dalle maggiori
economie dell'area, ma tuttavia grazie al loro sviluppo negli
anni novanta che le allontano dall'economia di pura
sussistenza, anche il Vietnam e la Cambogia saltuariamente
venivano incluse nella definizione di tigri asiatiche.
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Negli anni ’90 alcune di queste economie hanno vissuto una
forte crisi a seguito di un processo troppo accelerato di
liberalizzazione dei mercati finanziari e creditizi, poca
trasparenza nelle transazioni bancarie e speculazioni
finanziarie.
L’Asia
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I GRUPPI OMOGENEI
Le Tigri asiatiche
I Paesi del Medio Oriente
I Grandi Stati in via di
sviluppo (Cina, India)
I Paesi in ritardo di
sviluppo
L’America Latina
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La crisi del ’29 colpì pesantemente l’America Latina e la ripresa fu lenta grazie
solo ai consumi interni e all’intervento dello Stato. Inoltre gli Stati latinoamericani perseguirono una politica protezionistica. Furono nazionalizzati settori
strategici dell’economia (minerario, servizi finanziari, ect..) e le politiche di
sviluppo furono orientate alla sostituzione delle importazioni. Malgrado ciò i
risultati dell’industria furono modesti. Anche nel settore dell’agricoltura le riforme
agrarie non riuscirono a rendere competitiva l’agricoltura.
Gli effetti negativi di queste politiche furono il deterioramento delle finanze
pubbliche e l’inflazione. La situazione peggiorò infatti negli anni ’70. Il continuo
indebitamento e l’aumento dei tassi di interesse rese insostenibile il debito estero.
Nel 1982 il Messico dichiarò l’insolvenza con la fuga dei capitali esteri e il crollo
degli investimenti.
A seguito di ciò furono avviate politiche di liberalizzazione e privatizzazione di
interi settori dell’economia. Le imprese pubbliche furono cedute a capitali locali
ed esteri che spesso però preferirono investimenti speculativi piuttosto che di
lungo termine. Il mercato azionario fu infatti caratterizzato da periodo alterni di
euforia o panico. Le politiche populistiche di deficit spending portarono ad un
aumento dell’indebitamento e della stampa di nuova moneta con la crescita
dell’inflazione e/o dlel’iperinflazione.
L’America Latina
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Negli ultimi decenni la politica protezionistica dei Paesi latino-americani è stata
abbandonata a favore di politiche di apertura al commercio internazionale.
L’adesione al WTO a agli accordi GATT ha favorito l’apertura del commercio con
l’aumento della loro quota di traffici.
Nel 1995 è stato costituito il MERCOSUR (Argentina, Brasile, Uruguay,
Paraguay) a cui recentemente si è aggiunto il Venezuela.
L'economia sudamericana è stata caratterizzata in questi ultimi decenni da una
bassa crescita e una bassa competitività rispetto ai ben più dinamici mercati
emergenti di Cina e India. Tuttavia a partire dal 2004 si è verificato un enorme
aumento della crescita del PIL e anche della competitività. In America latina vi
sono enormi differenze regionali e un'accentuata disparità nella distribuzione del
reddito. La maggior parte della ricchezza è concentrata nelle mani di una
minoranza della popolazione, mentre milioni di individui sperimentano livelli di
privazione che raggiunge, in casi estremi, la povertà assoluta. Il divario
economico tra ricchi e poveri è considerata superiore rispetto alla media dei paesi
degli altri continenti. In Venezuela, Paraguay, Bolivia e molti altri paesi
sudamericani, il 20% della popolazione più ricca detiene più del 60% della
ricchezza nazionale, mentre il 20% della popolazione più povera ne possiede
meno del 5%.
L’America Latina
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Questa realtà però non è omogenea in tutto il
Sudamerica: esiste infatti un gruppo di paesi
chiamati “del Cono Sud” (Argentina, Brasile
meridionale, Cile e Uruguay), che presentano
indicatori socio-economici più positivi e tassi più
elevati di sviluppo umano, tali da classificarli nella
categoria degli stati più sviluppati. I fattori che
ostacolano la crescita dell'economia sudamericana
sono la classe dirigente che sostiene lo status quo,
le interferenze politiche di altri paesi occidentali e
la minore competitività rispetto ai principali
competitori (in primis la Cina).
L'economia sudamericana è ripartita tra le
estrazioni minerarie della regione amazzonica e
l'agricoltura presente in quasi tutti i paesi.
L'industrializzazione è ad un livello medio in varie
regioni, anche se è molto forte la presenza di
gruppi multinazionali. L'estrazione e l'esportazione
di petrolio è importante in Venezuela, che possiede
alcune delle più grandi riserve mondiali. La
Bolivia si distingue per la produzione di gas
naturale.
L’Africa
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L’economia dell’Africa è per certi versi difficile da descrivere. Delle 54 nazioni che
formano il continente 25 appaiono tra i paesi più poveri della terra. Allo stesso
tempo, alcune nazioni hanno livelli di vita paragonabili a quelli occidentali
(Sudafrica, Botswana). Non bisogna poi dimenticare che alcuni paesi dove la
popolazione ha un livello di vita estremamente basso, sono ricchi di risorse
minerarie.
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Le ragioni della povertà di molti paesi africani sono molte e complesse. Il
colonialismo, prima, e il processo di decolonizzazione poi, hanno bloccato lo
sviluppo naturale delle società africane, hanno spesso fatto retrocedere i processi
produttivi, hanno creato barriere al libero movimento di persone e cose. I primi
governi indipendenti hanno inoltre ceduto al dispotismo e alla corruzione rampante,
aggravando la situazione e impedendo l’utilizzo delle risorse, spesso ingenti, che
avrebbero potuto dare una forte spinta allo sviluppo economico. Alcuni economisti
fanno inoltre notare che i processi di miglioramento economico hanno una parte
tecnologica facilmente acquisibile, mentre il fattore umano richiede invece tempi
lunghi per l’assimilazione e il mutamento. L’Africa non avrebbe avuto ancora il
tempo di assimilare processi culturali tali da favorire uno sviluppo rapido.
L’Africa
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Con l’avvento delle indipendenze, vi era la speranza che le nuove nazioni africane
potessero giungere presto all’autosufficienza. Questo non è avvenuto, si è visto
anzi proprio il contrario. Senza un parco industriale moderno ed efficiente, con
un’agricoltura per lo più votata a coprire il fabbisogno locale, con una crescita
demografica senza precedenti, le economie africane sono di fatto retrocesse. Nel
1970, secondo i calcoli della Banca Mondiale, il 10% dei poveri del mondo
vivevano in Africa. Nel 2000 questi erano cresciuti al 50%. Nello stesso periodo la
crescita degli introiti medi è stata negativa (-200 US$ per anno).
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I paesi africani si sono fortemente indebitati, incoraggiati dalle istituzioni
finanziarie controllate dall’ONU. I fondi non sono stati investiti per lo sviluppo, o
non hanno dato i risultati sperati. Agli inizi degli anni 1990 era ormai chiaro che i
paesi africani non erano in grado di ripagare i debiti e che il servizio del debito
stava bloccando la crescita dei vari paesi. Negli ultimi anni, vari paesi africani si
sono visti condonare il debito verso la Banca Mondiale e verso alcuni paesi
occidentali (Club di Parigi). Tuttavia la situazione rimane comunque difficile da
gestire.
L’Africa: le cause del sotto sviluppo
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Cause geografiche: Le barriere geografiche – il più grande e caldo deserto e la seconda
più grande foresta tropicale del mondo sono in Africa – impediscono il libero
movimento di beni e servizi.
Cause legate alla salute: La vastità dell’infezione HIV/AIDS, la difficoltà di superare il
problema posto da malaria e tubercolosi, la poca disponibilità di personale medico ed
infermieristico preparato al di fuori delle grandi zone urbane.
Cause storiche: La spartizione dell’Africa tra le potenze europee ha gravemente influito
sulla mancanza di sviluppo. Molti popoli sono stati divisi fra due-tre stati. Si sono
disturbate le linee di commercio sviluppatesi negli anni e si sono anche introdotte le
tensioni etniche.
Le economie locali sono state organizzate verso l’esportazione di materie prime, e non
sulla loro trasformazione per la vendita di un prodotto finito. Sulla stessa linea, la
produzione di monoculture – sviluppo imposto in epoca coloniale- cotone in Africa
Occidentale, caffè e tè in Africa Orientale, hanno esposto i paesi produttori ai capricci di
mercato.
Cause locali: come i processi decisionali e la disponibilità delle forze politiche a
rispettare la legislazione.
L’aumento demografico.
Guerre: Negli ultimi 15 anni, si sono combattute più guerre in Africa che non nel resto
del mondo.
L’Africa