Epiteli di rivestimento Un epitelio è definito un tessuto con tali caratteristiche: 1) Costituito da cellule fittamente stipate (giustapposte) e da scarso materiale extracellulare in cui passano i fluidi, i nutrienti e quindi avvengono gli scambi. Inoltre le cellule epiteliali presentano numerose speciali giunzioni, ovvero legami cellula-cellula che permettono, a volte l'adesione, a volte l'occlusione dello spazio, altre volte invece la comunicazione stessa tra le cellule 2) Si riconoscono uno o più strati di cellule che formano una barriera con proprietà specifiche: con un solo strato di cellule l'epitelio si definirà MONOSTRATIFICATO (o semplice) invece quando sono presenti più strati di cellule si definirà PLURISTRATIFICATO (o composto). In questo caso si formerà una barriera, che sarà maggiore, nel caso in cui gli strati sono numerosi e le cellule appiattite, sarà invece inferiore nel caso in cui lo strato è costituito da un'unica fila di cellule, le quali servono soprattutto per gli scambi con l'ambiente esterno, o meglio con il lume che rivestono. 3) Ha sempre una superficie libera esposta verso l'ambiente esterno o verso una cavità o un condotto 4) è privo di vascolarizzazione proprio perché non c'è lo spazio fisico per far passare i vasi sanguigni data la forte giustapposizione delle cellule. Per questo motivo il nutrimento proviene dai vasi che si trovano nel sottostante tessuto connettivo di sostegno, e per DIFFUSIONE passano negli spazi fra le cellule che quindi possono essere nutrite 5) Poggia su di una MEMBRANA BASALE, che è costituita solitamente da uno strato o, in alcuni casi, da più strati, che separa l'epitelio dal connettivo sottostante. Se l'epitelio è monostratificato, tutte le cellule poggeranno sulla membrana basale, se l'epitelio è composto, o pluristratificato, ovviamente solo le cellule dello strato inferiore poggeranno sulla membrana basale. Caratteristiche del tessuto epiteliale: • • • • • Fogli a modulo continuo (come le piastrelle) quindi se consideriamo un epitelio formato da cellule appiattite è simile ad un pavimento, infatti è chiamato PAVIMENTOSO Superficie Apicale: superficie che guarda la parte libera e può avere o meno delle specializzazioni (ciglia, microvilli che formeranno l'orletto a spazzola, oppure tutto l'epitelio può trasformarsi in strato corneo e dunque formare la cheratina. Quindi tutte le cellule epiteliali hanno una superficie superiore che delimita uno spazio aperto conosciuto come LUME Membrana basale: strato continuo di separazione tra l'epitelio e il connettivo sottostante e su cui poggiano tutte le cellule se è epitelio semplice, e invece su cui poggeranno solo quelle dello strato basale se è un epitelio composto Avascolarizzazione: assenza di capillari sanguigni e sono nutriti dal tessuto connettivo per diffusione Rigenerazione e riparazione rapida: ad esempio le cellule dell'epidermide si rigenerano circa ogni 30 giorni tramite un processo chiamato CITOMORFOSI, altre per esempio si rigenerano in un periodo più o meno lungo come quelle del fegato oppure altri tipi cellulari, non epiteliali, hanno una rigenerazione molto più lenta o addirittura quasi inesistente come quella dei neuroni. Di conseguenza più è sviluppata la capacità rigenerativa, più è possibile che in queste rigenerazione capitino degli errori in mitosi, quindi anche nella replicazione del DNA e che possono quindi accendere un focolaio di tipo canceroso. scaricato da www.sunhope.it Questo è un classico epitelio di rivestimento in cui riconosciamo: 1. Sulla superficie apicale troviamo numerosi MICROVILLI 2. Le cellule sono molto alte definite cilindriche (batiprismatiche), e troviamo adese alla superficie basale delle cellule, chiamate di “rimpiazzo” 3. Si nota bene la membrana basale che separa l'epitelio dal connettivo in cui ritroviamo i vasi sanguigni e fibre Anche questo è un epitelio, in particolare un Mesotelio, in questo caso di un Peritoneo scaricato da www.sunhope.it Quindi in caso di Mesotelio si intende un epitelio pavimentoso semplice che riveste pleura, pericardio o peritoneo. Nel caso della figura precedente, le cellule sono talmente piatte che la parte del nucleo risulta la parte più spessa. Al di sotto invece troviamo l'abbondante connettivo in particolare si notano i vasi sanguigni. Funzionalmente i due epiteli sono diversi, infatti, il primo era deputato all'assorbimento di sostanze data la presenza di microvilli, mentre nella seconda immagine, data la morfologia dell'epitelio stesso, molto sottile, sicuramente sarà deputato alla funzione di scambio di sostanze. Principali funzioni dei tessuti epiteliali: 1. Protezione fisica (sicuramente l'epidermide e quello dell'esofago) 2. Scambio di sostanze fra ambiente e tessuti (es. epitelio respiratorio, che serve per lo scambio di sostanze gassose e tanti altri epiteli monostratificati) Alcune localizzazioni di rivestimenti epiteliali: Ad esempio nella pelle con l'epidermide, nelle vie aeree troviamo epiteli pavimentosi semplici deputati fondamentalmente agli scambi, nel canale digerente troviamo un epitelio batiprismatico con funzione assorbente, la cavità del cuore e dei vasi sanguigni che è rivestita da un endotelio, le vie uro-genitali in cui troviamo l'urotelio che è un epitelio particolare data la sua natura a morfologia variabile e infine le cavità sierose (pleura, pericardio e peritoneo). Classificazione degli epiteli • A seconda della morfologia delle cellule: Pavimentosi o squamosi con cellule piatte Cubici o isoprismatici con cellule cubiche in cui il rapporto tra altezza e larghezza è uguale Cilindrici o batiprismatici con cellule con un rapporto altezza maggiore della larghezza • A seconda della stratificazione Semplici: a strato singolo Pluristratificati o composti: due o più strati • Eccezioni sono costituite dagli epiteli: Pseudostratificato o pluriseriato (per i semplici) e da quello a morfologia variabile o di transizione (per i composti) Pseudostratificato: tutte le cellule raggiungono anche con una piccola parte (detta piede) la membrana basale, ma non tutte raggiungono la parte apicale, i nuclei sono disposti ad altezza diversa, dunque lo strato anche essendo unico ma sembra essere a più strati da questo la nomenclatura di Pseudostratificato Morfologia variabile: si modifica a seconda della funzionalità dell'organo (vie uro-genitali) Dunque c'è correlazione tra morfologia e funzione: infatti generalmente gli epiteli pluristratificati sono deputati a funzioni di protezione, integrità e contenimento, mentre quelli monostratificati sono scaricato da www.sunhope.it impegnati in funzioni come la permeabilità, la secrezione e l'assorbimento. Quindi se una struttura è fatta in un certo modo, deve necessariamente assolvere ad una determinata funzione. La superifice apicale inoltre potrà avere determinate specializzazioni, come le ciglia che servono al movimento, i microvilli per l'assorbimento e lo strato cheratinizzato (strato corneo) se si tratta di epidermide. L'endotelio è l'epitelio di rivestimento dei vasi sanguigni, ed è pavimentoso semplice di derivazione mesenchimale. Gli epiteli infatti derivano da tutti e tre i foglietti embrionali primitivi (ectoderma, mesoderma ed endoderma). Per il dettaglio della derivazione vedere pag. 114 Monesi. Un epitelio dunque si definisce anche in base alle cellule che raggiungono la membrana basale, in particolare nel caso degli epiteli pseudostratificati che spesso inoltre, presentano sulla superficie apicale delle ciglia e delle cellule calificormi mucipare che sono muco-secernenti. Nel caso in cui gli strati di cellule sono molto numerosi, come si fa a riconoscere di che tipo di epitelio si sta parlando? Si guardano in particolare gli strati più alti, quindi quelli apicali del tessuto e non bisogna lasciarsi ingannare dalle cellule basali. Quindi bisogna definire un epitelio a più strati guardando gli strati più apicali, come nella figura seguente in cui si può osserva un epitelio pavimentoso pluristratificato non cheratinizzato. Epitelio pavimentoso pluristratificato NON cheratinizzato Andiamo adesso a guardarli nello specifico singolarmente: Epiteli semplici: • • • • • Relativamente sottili e ottimi per l'assorbimento, secrezione e scambi di sostanze Cellule che hanno la stessa polarità ovvero con nucleo nella regione centro-basale e organuli nella parte apicale, dunque i nuclei formano una linea irregolare nella regione al di sopra della membrana basale Sono fragili Rivestono la parete interna degli alveoli, formano i mesoteli (pleura, pericardio e peritoneo) e gli endoteli Ottimo per lo scambio di sostanze data proprio la facilità di passaggio dello strato sottile di cellule, dunque si trovano in regioni protette. Ad esempio nei capillari sanguigni può avvenire DIAPEDESI, ovvero passaggio di cellule e linfociti dal torrente sanguigno al connettivo e ciò avviene grazie al fatto che c'è solo la cellula endoteliale, dunque vi è il passaggio agevole dal circolo sanguigno al connettivo scaricato da www.sunhope.it I nuclei sono leggermente sovraelevati rispetto al resto della cellula ed è questa una delle sue caratteristiche. Inoltre come detto è ottimo per lo scambio di sostanze e per fornire una superficie liscia come nel caso degli alveoli polmonari e dei capillari sanguigni. Le localizzazioni principali dell'epitelio pavimentoso semplice dunque sono sulla superficie respiratoria del polmore, delle cavità corporee (mesotelio) o rivestimento interno di cuore e vasi. Qui sotto si può osservare un esempio di epitelio pavimentoso semplice, in particolare un MESOTELIO (pleura, periocardio, peritoneo) che delimita un lume nella parte centrale. Nel caso degli scambi ossigeno-anidride carbonica, possono avvenire facilmente dato proprio il lieve spessore che troviamo sia sulle pareti dei vasi sanguigni con l'endotelio sia sulle pareti degli alveoli. Nel caso in cui vi sia ad esempio un ispessimento della membrana basale che separa uno dei due endoteli dal connettivo sottostante causa patologie data la difficoltà ad esempio, della CO2 ad uscire. Epitelio cubico semplice: 1. è deputato alla secrezione e all'assorbimento 2. è localizzato a livello degli epiteli ghiandoli come nel pancreas, tiroide, tubuli renali, ovario e ghiandole salivari oppure a livello dei dotti ghiandolari e in alcuni tratti delle vie urinarie 3. hanno una limitata protezione Al di sopra troviamo il glicocalice e subito al di sotto si trova l'epitelio cubico semplice. Qui si tratta della superficie anteriore del cristallino scaricato da www.sunhope.it Quando si parla di epitelio pavimentoso semplice solo la parte del nucleo è più alta e sporgente, ma il citoplasma al di sopra del nucleo non lo troviamo mai, mentre nel cubico semplice lo troviamo e quindi la cellula assume la tipica forma isoprismatica. Epitelio cilindrico semplice: • • • Singolo strato di cellule alte con nuclei circolari ovali; alcune cellule sono ciliate e lo strato può contenere cellule muco-secernenti di ghiandole unicellulari (cellule caliciformi mucipare) Hanno funzione di assorbimento, di secrezione del muco, di enzimi e altre sostanze; le cellule ciliate spingono il muco (o le cellule germinali) per azione ciliare. Infatti le CIGLIA sono sottili ed allungate, separate le une dalle altre e il loro battito favorisce il movimento di sostanze quali muco e cellule germinali in particolare (ovocellula ecc.). I MICROVILLI invece sono tutti uniti tra di loro, sono più bassi e formano il tipico “orletto a spazzola” (es. intestino tenue). Le linee non-ciliate si trovano nella maggior parte del tubo digerente (dallo stomaco al canale anale), le colecisti e dotti escretori di alcune ghiandole; le linee ciliate si trovano nei piccoli bronchi, tube uterine e regioni dell'utero. Nella seguente immagine si può notare una sezione di cistifellea umana ed in particolare l'epitelio cilindrico semplice In alcuni tipi di epiteli cilindrici semplici ciliati possono esserci cellule unicellulari che secernono muco, in questo caso le cellule caliciformi mucipare non sono ciliate proprio perché il loro compito è quello di secernere il muco, mentre il compito di quelle adiacenti ciliate è quello di favorire il movimento del muco stesso lungo il lume della tuba ad esempio nell'epitelio cilindrico semplice dell'ovidotto. Quando il citoplasma delle cellule che formano l'epitelio è trasparente vuol dire che il muco prodotto è un muco neutro (cellule mucoidi) e dunque il nucleo per la produzione di tale muco è situato in posizione basale. Un esempio di produzione di muco neutro lo troviamo nell'epitelio dello stomaco per proteggersi dall'azione dei succhi gastrici che sono fortemente acidi (slide n.60). Il muco, ad esempio, funge da protezione anche a livello delle vie respiratorie. Quando il muco non è neutro, la colorazione è leggermente più scura. L'epitelio della tuba inoltre deve avere le ciglia proprio perché l'ovocellula fecondata deve muoversi e tali specializzazioni facilitano il movimento. scaricato da www.sunhope.it In questo caso infatti, nella figura sopra, vediamo un epitelio cilindrico semplice ciliato, della tuba uterina di topolina, e come detto precedentemente le ciglia sono presenti per spostare l'ovocellula fecondata. Nella figura sottostante invece, ci troviamo davanti ad un epitelio cilindrico semplice con orletto e cellule caliciformi mucipare unicellulari. In particolare è evidente l'unitarietà dei microvilli per creare uno strato unico e quindi nella formazione dell'orletto a spazzola con funzione principalmente di assorbimento, infatti l'immagine sottostante è una sezione di intestino tenue umano ed inoltre rispetto alle ciglia sono sicuramente più bassi e più numerosi (si parla di una media di 1200 microvilli per ogni cellula). scaricato da www.sunhope.it Qui si può notare invece una sezione semifine di un epitelio cilindrico semplice con orletto a spazzola, con un maggiore ingrandimento per mettere in evidenza i singoli microvilli per questo si parla di sezione semifine. Dunque come detto prima possiamo dire che generalmente le linee non ciliate dell'epitelio cilindrico semplice si possono trovare a livello del canale digerente, dotti escretori, colecisti mentre quelle non ciliate a livello delle tube uterine, regioni dell'utero e anche nei piccoli bronchi t . Epitelio pavimentoso stratificato 1. Innanzitutto come detto prima, è la morfologia degli strati più superficiai che fa definire questo epitelio PAVIMENTOSO 2. è resistente, infatti si trova nei siti ove le sollecitazioni meccaniche sono severe (come la lingua, l'esofago e l'epidermide) 3. Gli strati superficiali vengono eliminati con l'accrescimento degli strati profondi tramite il processo di CITOMORFOSI (che dura circa 30 giorni) e di conseguenza dalla base alla superficie le cellule invecchiano 4. I principali epiteli pavimentosi stratificati li troviamo: nell'epidermide in cui è CHERATINIZZATO, nelle mucose in cui però NON è cheratinizzato, e in particolare nelle mucose della bocca, della faringe, dell'esofago, vagina e retto scaricato da www.sunhope.it Preparati personali G.Papaccio Qui si può osservare un epitelio pavimentoso stratificato NON cheratinizzato, in particolare la lingua rt i . Qui invece abbiamo un particolare di un epitelio pavimentoso stratificato NON cheratinizzato, in particolare sezione di vagina. Il particolare che ci fa riconoscere che non c'è cheratinizzazione è dovuto al fatto che vi è la ritenzione dei nuclei anche in superficie, quindi le cellule sono con citoplasma otticamente vuoto ma hanno comunque conservato il nucleo. scaricato da www.sunhope.it In particolare invece nell'EPIDERMIDE (epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzato) si distinguono dalla profondità alla superficie: 1. STRATO BASALE è formato da cellule progenitrici, significa quindi che non sono cellue staminali ma sono già indirizzate a formare solo cellule dell'epidermide ovvero i cheratinociti 2. STRATO SPINOSO è formato da più strati in cui le cellule presentano delle giunzioni dette desmosomi e granuli detti corpi multilamellari contenenti lipidi (glicolipidi) e secernono una sostanza che si chiama involucrina. Inoltre è detto spinoso perché le cellule hanno dei prolungamenti che sembrano spine, e non servono però a farle comunicare tra di loro ma solo a farle aderire perché ci sono i desmosomi 3. STRATO GRANULOSO le cellule sintetizzano cheratoialina contenente fillagrina ( aggrega i tonofilamenti) e loricrina (corazza) che rinforza l'involucro ed è impermeabile all'acqua. Composto da 3-5 strati e salendo i cheratinociti divengono più appiattiti e contengono più cheratina 4. STRATO LUCIDO (lo troviamo soltanto negli epiteli molto spessi, come nel palmo delle mani) le cellule sintetizzano eleidina (gocciole lipidiche) ed è ricco in materiale sigillante extracellulare 5. STRATO CORNEO (citocheratina con ceramidi e lipi interlamellari) formato a sua volta da strato compatto e strato disgiunto. Il primo è uno strato unico, il secondo è quello che perdiamo continuamente Ci sono circa 30 differenti citocheratine=tonofilamenti e tonofibrille e i cheratinociti vanno in apoptosi con trasformazione in lamelle cornee, dunque le stesse cellule passando attraverso i vari strati arrivano allo strato corneo e diventano infarcite di cheratina perdendo il nucleo e staccandosi in “squame”. Qui si può notare una classica sezione di epidermide in cui partendo da sinistra (strato basale) e procedendo verso l'esterno (verso destra) si possono notare lo strato germinativo (o basale) in successione lo strato spinoso, lo strato granuloso, lo strato lucido e infine lo strato corneo con cellule infarcite di cheratina e ormai senza nucleo. Le cellule progenitrici sono pronte a trasformarsi, quando infatti, i cheratinociti raggiungono lo strato granuloso si accumula sempre di più cheratina per questo si appiattiscono e muoiono formando lo strato lucido e infine il corneo formato a sua volta da elementi cellulari morti, privi di nucleo t . e completamente cheratinizzati i scaricato da www.sunhope.it i Qui ancora sopra, un particolare di epidermide umana, dove si notano (anche grazie alle numerazioni) i vari strati e in cui lo strato corneo è meno evidente rispetto alla precedente immagine. Nell'immagine a destra, sempre di epidermide umana, tutti gli strati sono ancora più distinguibili e in particolare anche lo strato corneo in cui si osserva addirittura una parziale desquamazione in atto scaricato da www.sunhope.it Le cellule dell'epidermide: • • • • Cheratinociti, producono cheratina, una proteina fibrosa che dà all'epidermide le sue proprietà protettive. Queste cellule sono strettamente collegate da desmosomi e nascono dallo strato basale. Subiscono continue mitosi e sono spinte verso l'alto diventando sempre più cheratinizzate. Le cellule che si trovano in superficie sono cellule morte. Melanociti: sintetizzato melanina che viene trasferita ai cheratinociti con un meccanismo di citocrinia, ovvero i melanociti (che sono cellule dendritiche con prolungamenti) producono i melanosomi che sono granuli ripieni di melanina che tramite strozzatura dei prolungamenti vengono portati appunto nei cheratinociti per espletare le proprie funzioni, in particolare di protezione contro i raggi UV. Quindi la melanina ha la funzione di preservare il DNA nucleare da eventuale danni, andandosi a porre nella regione sopranucleare del cheratinocito a formare una sorta di ombrello parasole che scherma il DNA nucleare e che quindi assorbe e diffrange i raggi ultravioletti. L'enzima tirosinasi è in grado di convertire l'amminoacido tirosina o monoidrossifenilalanina in melanina, la tirosina se esposta ai raggi ultravioletti si ossida divenendo diidrossifenilalanina o DOPA che funge anch'essa da substrato della tirosinasi. La tirosinasi trasforma la tirosina in melanina molto lentamente, mentre la formazione della melanina a partire da DOPA è molto più veloce. Una volta che è stata prodotta la melanina, i melanociti possono trasferirla attraverso la secrezione citocrina ai cheratinociti dello strato basale e spinoso dell'epidermide. Questo processo avviene nei melanosomi che sono vescicole litimate da membrana. I melanociti sono situati nello strato più profondo dell'epidermide Cellule del Langherans, cellule del sistema immunitario, derivano dal midollo osseo, agiscono come i macrofagi che attivano ill sistema immunitario Cellule del Merkel, cellule delle terminazioni nervose afferenti Qui a destra notiamo i melanociti con la loro tipi struttura dendritica quindi con prolungamenti scaricato da www.sunhope.it Epitelio cubico stratificato • • • è raro fornisce protezione, secrezione e assorbimento si trova a livello del dotto di ghiandole sudoripare, quindi bisogna ricordare che di solito i dotti di queste ghiandole (sudoripare glomerulari) che di solito possiedono due strati, quindi epitelio cubico stratificato Qui troviamo un esempio di epitelio cubico stratificato Epiteli pseudostratificati: 1. Apparentemente formato da più strati cellulari. In realtà tutte le cellule sono a contatto con la membrana ma non tutte invece raggiungono la superficie 2. Riveste la trachea e altre vie respiratorie mentre l'unico tessuto pseudostratificato con stereociglia è l'epididimo 3. Risultano costituiti da un singolo strato di cellule ad altezza diversa, alcune non raggiungono la superficie libera; i nuclei si posizionano quindi ad altezza diversa e possono avere cellule muco-secernenti e ciglia 4. Hanno una funzione di secrezione, in particolare di muco; propulsione di muco per azione ciliare 5. La linea non ciliata riveste i tubuli seminiferi e canali di alcuni ghiandole mentre la linea ciliata, la trachea e nella maggior parte dell'albero respiratorio scaricato da www.sunhope.it Esempio di epitelio pseudostratificato con cellule caliciformi mucipare r it i .li Nell'immagine sottostante invece abbiamo un epitelio particolare, poiché è un epitelio cilindrico pseudostratificato con stereociglia, quindi è sicuramente quello dell'epididimo. Si nota anche grazie al fatto che nel lume sono presenti gli spermatozoi ancora in fase di maturazione. Le stereociglia non sono ciglia, ma bensì sono dei lunghi microvilli e l'unico tessuto che ha un epitelio cilindrico pseudostratificato con stereociglia è l'epididimo che è il canale che porta fino al dotto deferente, trasporta gli spermatozoi che sono stati prodotti nel didimo e grazie alle stereociglia potranno completare la parte finale della loro maturazione scaricato da www.sunhope.it Epitelio di transizione (o a morfologia variabile) • • • • • Il numero di strati varia in relazione allo stato funzionale dell'organo In caso di vescica piena l'epitelio è disteso, in caso di vescica vuota l'epitelio è rilasciato, infatti lo spessore dell'epitelio della vescica urinaria diminuisce con il riempimento di quest'ultima. Con cellule cupoliformi l'epitelio sarà rilasciato, mentre con cellule più piatte l'epitelio sarà disteso, quindi a vescica piena Ovviamente la localizzazione è a livello delle vie uro-genitali (vescisa, ureteri, parte dell'uretra) Urotelio: uroplachine (4 varianti) proteine transmembrana che interagendo reciprocamente si aggregano in cristalli bidimensionali esagonali cui si legano proteine citoscheletriche: formano una barriera impermeabile di difesa Nell'immagine sopra vediamo un epitelio di transizione con le caratteristiche cellule cupoliformi, dunque sarà in stato rilasciato. Nell'immagine sottostante invece vediamo un epitelio di transizione con cellule piatte, quindi in stato disteso. scaricato da www.sunhope.it Giunzioni e specializzazioni Le cellule sono entità dinamiche. Un esempio molto chiaro di tale affermazione si trova nel movimento ameboide, possibile grazie a delle estroflessioni chiamate pseudopodi che sono delle estroflessioni del citoplasma tipiche di cellule fagocitiche, oppure tramite i flagelli alcune cellule riescono a muoversi liberamente. Inoltre ci sono dei movimenti passivi di organuli all'interno della cellula grazie a correnti citoplasmatiche chiamati CICLOSI che trascinano mitocondri, granuli e vacuoli di varia natura e che probabilmente avvengono grazie all'intervento di microtubuli e microfilamenti. Un movimento di ciclosi è anche il movimento dei cromosomi durante la mitosi. Altra dimostrazione dell'intervento dei microtubuli nella ciclosi la troviamo nei melanociti: i melanosomi (granuli contenenti melanina) si spostano secondo linee radiali che coincidono con la posizione dei microtubuli all'interno della cellula. Le cellule epiteliali hanno un citoscheletro particolarmente sviluppato soprattutto per i microfilamenti e i filamenti intermedi (che nelle cellule epiteliali sono detti TONOFILAMENTI e raccolti in fasci sono detti TONOFIBRILLE). Tali strutture citoscheletriche nelle cellule degli epiteli inoltre, sono fondamentali per le giunzioni d'ancoraggio che mettono in rapporto cellula-cellula. Le cellule epiteliali sono fortemente giustapposte tali da lasciare solo piccoli spazi di matrice extracellulare di circa 10 nm in cui passano dei fluidi interstiziali dove avvengono gli scambi metabolici e a livello dei quali troveremo proprio le GIUNZIONI. Tutti gli epiteli poggiano sulla membrana, quindi ci deve essere una connessione tra la parte basale della cellula e la membrana basale stessa (che è fatta da matrice extracellulare) mentre al di sotto della lamina basale vi si trova il tessuto connettivo in cui c'è una ricca vascolarizzazione e dunque il nutrimento può agevolmente passare per diffusione alle cellule epiteliali. In una cellula epiteliale generalmente possiamo distinguere tre parti principali: una parte basale, una parte laterale e la superficie apicale, che sporge verso la superficie libera (delimitando il lume). Quindi i complessi giunzionali saranno a livello della superficie basale e della superficie laterale, mentre per quanto riguarda la superficie apicale si parla di specializzazioni come i microvilli, le ciglia e le stereociglia che sono necessarie affinché ad esempio si producano secrezioni, oppure espletare funzioni di trasporto e mantenere l'integrità strutturale. Un'altra caratteristica fondamentale delle cellule epiteliali è la presenza di una precisa polarità, dunque la superficie apicale è completamente diversa da quella basale a livello di distribuzione di organelli. Per polarità s’intende una differenziazione della morfologia e della funzione dell’estremità apicale (rivolta verso la superficie) di una cellula epiteliale rispetto all’estremità basale (orientata verso il sottostante connettivo). Di conseguenza, anche gli organelli cellulari sono disposti in maniera particolare all’interno della cellula al fine di consentire la specializzazione delle due estremità. La polarità è soprattutto evidente nell’epitelio cilindrico semplice a funzione assorbente e di trasporto dell’intestino e del tubulo renale e nelle ghiandole esocrine. Nell’epitelio cilindrico semplice dell’intestino il margine libero è provvisto di microvilli, il complesso di Golgi è situato in prossimità del polo apicale e i mitocondri tendono ad essere orientati parallelamente all’asse cellulare. Nel tubulo renale prossimale la superficie libera delle cellule è ricoperta da microvilli mentre quella basale presenta invaginazioni o pieghe della membrana plasmatica tra le quali sono allineati i mitocondri. Nelle ghiandole esocrine gli organuli impegnati nel processo di secrezione (complesso di Golgi, sistema reticolare, vacuoli di secrezione) sono disposti regolarmente secondo l’asse funzionale delle cellule. In generale la polarità si può distiunguere in: • morfologica: disposizione a random degli elementi cellulari • funzionale: disposizione degli elementi secondo l'asse funzionale e quindi localizzazione asimmetrica di organelli e specializzazioni di membrana scaricato da www.sunhope.it Per quanto riguarda le cellule epiteliali spesso possiedono una polarizzazione funzionala e, rilevata dal nucleo dislocato in sede basale, il RER e i mitocondri in sede baso-laterale e il Golgi in posizione intermedia e vescicole di secrezione accumulate all'apice della cellula e nella figura sottostante possiamo osservare proprio la tipica polarità di una cellula cilindrica. Al fine di preservare l'integrità meccanica del tessuto le cellule epiteliali devono legarsi le une alle altre per cui osserviamo un diffuso ripiegamento delle membrane cellulari e in particolare i COMPLESSI GIUNZIONALI Tipi di giunzioni fra le cellule • • • • • GIUNZIONE OCCLUDENTE: zonula occludens o TIGHT junction GIUNZIONE ADERENTE INTERMEDIA (o ANCORANTI): zonula adhaerens DESMOSOMA: macula adhaerens EMIDESMOSOMA E CONTATTO FOCALE GIUNZIONE SERRATA: GAP junction scaricato da www.sunhope.it Le giunzioni occludenti, quelle intermedie, desmosoma e giunzione serrata (gap junction) si trovano sulla superficie laterale e dunque mediano il contatto cellula-cellula. In particolare la giunzione GAP è presente anche nel tessuto muscolare cardiaco, nel sistema nervoso e anche nel tessuto osseo. Nella giunzione GAP l'unità strutturale è il connessone che mette in comunicazione i citoplasmi di due cellule adiacenti in cui possono passare ioni e molecole inferiore di 1KDa e sono responsabili della rotazione dei cardomiociti grazie al passaggio proprio degli ioni calcio e dunque dell'accoppiamento elettrico, indispensabili quindi per il metabolismo di tipo trofico. Si è studiato inoltre che un aumento di ioni calcio farebbe aprire il canale delle giunzioni Gap mentre una variazione di PH porterebbe alla chiusura del canale stesso. La giunzione occludente e quella intermedia vanno a formare una sorta di banda intorno alla cellula ed in particolare la zonula occludens non ha alcun rapporto con il citoscheletro. Gli emidesmosomi e i contatti focali invece mediano l'adesione della cellula alla membrana basale e dunque alla matrice extracellulare, inoltre vi è la presenza di integrine, ovvero proteine che fungono da recettori e si vanno a legare alla fibronectina che è uno dei maggiori costituenti della matrice extracellulare nella membrana basale (membrana basale = struttura specializzata della matrice extracellulare). Giunzioni occludenti: le superfici extra cellulari di due membrane plasmatiche adiacenti sono in intimo contatto e non lasciano alcuno spazio tra le membra, inoltre formano una banda intorno all'intera cellula e sigillano le cavità corporee. Vi è una parziale fusione degli strati lipidici come si può vedere dall'immagine e inoltre è la più forte tra le giunzioni, impediscono la diffusione delle molecole organiche (infatti possono lasciare passare soltanto piccoli ioni e acqua) e non sono associate con alcun elemento del citoscheletro. Ci sono delle proteine giunzionali che vanno ad unire le due cellule e che vanno a formare la banda intorno alla cellula. Le giunzioni occludenti sono formate da molecole transmembrana responsabili dell'adesione tra le cellule affrontate e da proteine citoplasmatiche di ancoraggio. Alla prima classe appartengono le JAMS (junctional Adhesion molecules) le CLAUDINE e le OCCLUDINE. Le proteine della prima classe interagiscono con delle proteine citoplasmatiche dette ZONALI (ZO1, ZO2 e ZO3) che sono di ancoraggio e che quindi prendono contatto con le occludine e le claudine e contemporaneamente sono capaci di legare l'actina ma comunque il complesso giunzionale in sé NON ha contatto con il citoscheletro. Giunzioni aderenti intermedie (o ancoranti) Sono costituite da due principali tipi di proteine: • proteine di ancoraggio intracellulare • proteine di adesione transmembrana scaricato da www.sunhope.it Forte struttura che attraversa la membrana ed è attaccata al citoscheletro. Le placche nella giunzione intermedia, come nel desmosoma, mediano il contatto tra il complesso giunzionale e il citoscheletro. Nello spazio in cui avviene la giunzione è presente la CADERINA, ovvero una glicoproteina integrale che media l'adesione cellula in presenza di ioni calcio, che presenta un dominio extracitoplasmatico che si lega al dominio extracitoplasmatico della caderina della cellula adiacente. Il dominio interno, quindi intracitoplasmaetico della caderina si lega alla β-catenina che a sua volta si lega all'α-catenina la quale si associerà al filamento di ACTINA. I filamenti di actina sii legano tra di loro grazie alla specifica mediazione dell'ɑ-actinina. Tutto ciò è mostrato nella figura a lato, in cui vi è uno schema della giunzione intermedia e delle proteine ad essa associata. Desmosoma Giunzione tenace, rinforzata dalla presenza di addensamenti su cui si agganciano abbondanti fasci di filamenti intermedi. Le caderine mediano il legame cellula-cellula ed infatti nei desmosomi che sono giunzioni molto simili alle giunzioni intermedie, sono impegnate particolari caderine dette DESMOGLEINE (con il tipico dominio intra ed extra cellulare delle caderine) e DESMOCOLLINE mentre la placca intracellulare che collega il dominio intracitoplasmatico di desmogleine e desmocoline ai FILAMENTI INTERMEDI (che nelle cellule epiteliali sono costituiti principalmente da cheratina e formano i tonofilamenti), è fornita da desmoplachina, placoglobina e placofilina scaricato da www.sunhope.it Emidesmosoma (metà desmosoma) Struttura asimmetriche, in cui una piastra ancora la parte basale della cellula alla lamina basale. Questa placca intracellulare è formata da desmplachina, mentre filamenti di LAMININA ancorano la piastra alla lamina basale. L'INTEGRINA è praticamente un recettore, ed il suo ligando si trova proprio sulla fibronectina e quindi (importante anche nel meccanismo di diapedesi) media il legame tra la superficie basale e la matrice extracellulare (precisamente proprio con la fibronectina, vedere anche immagine dei contatti focali) mentre da un lato (sulla piastra) e dall'altro si legano i filamenti intermedi. A sua volta la fibronectina si lega alle fibre collagene della matrice extracellulare del connettivo mediando l'adesione integrina-matrice extracellulare (quindi in definitiva si avrà placca emidesmosomica-integrina-fibronectina-fibre della matrice extracelluare, per dettagli vedere anche la spiegazione della fibronectina nella parte del tessuto connettivo) Schema della struttura di un emidesmosoma Contatti focali A lato vediamo lo schema dell'adesione a livello basale, grazie ai contatti focali. Quindi anche i contatti focali, come gli emidesmosomi mediano l'adesione tra la parte basale della cellula e la matrice extracellulare della lamina basale. Quindi vi è la presenza dell'integrina anche in questo caso che si lega alla fibronectina nella matrice extracellulare. Quindi nella matrice extracellulare l'integrina lega la superficie basale della cellulare alla fibronectina, nella cellula epiteliale invece, sempre nella parte basale, l'integrina si lega ai filamenti di actina mediante il complesso proteico formato da TALINA, VINCULINA E α-ACTININA che mediano l'attacco del dominio intracellulare dell'integrina con scaricato da www.sunhope.it i filamenti di actina. Vedere in particolare nell'argomento Tessuti Connettivi, la parte trattata riguardo la fibronectina, laminina e integrina a cui si fa riferimento ai contatti focali. Gap Junction o giunzione comunicante: detta anche giunzione comunicante proprio perché mette in relazione e quindi in contatto i citoplasmi di due cellule adiacenti. L'unità strutturale della giunzione GAP è il connessone, formato da 6 subunità proteiche disposte ad esagono chiamate CONNESSINE, formano al centro un canale permeabile ad acqua, ioni positivi, e molecole di massa inferiore ad 1 Kda. Il canale esiste in due conformazioni, una aperta e una chiusa e il passaggio tra le due avviene anche tramite fosforilazione. Inoltre media il passaggio di ioni calcio, e come detto già precedentemente si trova a livello dei tessuti più importanti per l'organismo come il tessuto osseo, muscolare cardiaco e negli epiteli. Quindi risulta indispensabile per il metabolismo trofico, nell'impulso nervoso o per esempio nella rotazione dei cardiomiociti che a sua volta è dipendente da ioni calcio. Nel caso del tessuto osseo invece le giunzioni comunicanti sono importantissime per far arrivare nutrimento derivante dal canale di Havers o dal canale di Volkmann (che sono i due canali in cui passa il circolo sanguigno) agli osteociti che non sempre si trovano nelle vicinanze dei due canali. L'apertura avviene per scivolamento delle subunità una sull'altra, ed inoltre è stato studiato che l'apertura del connessone sarebbe sensibile all'aumento di ioni calcio e la chiusura, ad una variazione (in particolare una diminuzione) del PH. Specializzazioni delle superficie cellulare Microvillo: caratterizzato da filamenti di actina che decorrono longitudinalmente lungo il microvillo e sono tenuti insieme tra loro da fimbrina e fascina. La miosina lega i filamenti di actina alla membrana plasmatica. I filamenti longitudinali di actina, entrando nella cellula si fondono con la corteccia di actina, detta anche TRAMA TERMINALE. La miosina e l'actina sono proteine contrattili e caratterizzano i microvilli che sono strutture immobili rispetto alle ciglia, infatti, la funzione principale dei microvilli è quella di aumentare la superficie di assorbimento, e possono inoltre formare la caratteristica specializzazione dell'orletto a spazzola quando sono strettamente addossate a creare una struttura unitaria e continua. A lato si può osservare un particolare ingrandimento di una immagine al microscopio elettronico in cui si notano i numerosissimi microvilli. scaricato da www.sunhope.it Ciglia: le ciglia sono mobili e hanno il compito di spostare le sostanze, mentre i microvilli come detto precedentemente sono immobili. I microtubuli sono responsabili del movimento che è diverso dalla contrazione quindi il ciglio che è una struttura mobile sarà caratterizzata da microtubuli. Le ciglia sono formata da 9 coppie di microtubuli con una coppia centrale. I microtubuli sono formati da 13 protofilamenti formati a loro volta da dimeri di tubulina. Dalle coppie di microtubuli si dipartono bracci di DINEINA che sono responsabili del movimento, ciascuna coppia di microtubuli inoltre, sono collegati tramite ponti di NEXINA. La parte interna di un ciglio è detta ASSONEMA (9+2) che corrisponde alla stessa struttura che si trova anche nel flagello. Il movimento vero e proprio delle ciglia quindi è dovuto allo slittamento dei microtubuli grazie alla dineina. Inoltre il battito ciliare consiste in un rapido colpo efficace in cui il ciglio si flette rigidamente alla base, sferzando il liquido circostante, di un colpo di ritorno, in cui il ciglio ritorna alla sua posizione iniziale Stereociglia: sono microvilli modificati più lunghi, e non contengono microtubuli. Possono facilitare l'assorbimento e a livello dell'epididimo le stereociglia sono impegnate nel processo di maturazione degli spermatozoi ma assolutamente non nel loro movimento, poiché gli spermatozoi usano il loro flagello per muoversi. Nell'epitelio dell'epididimo si riconoscono tre classi di cellule: cellule basali con un nucleo rotondeggiante che non sembrano raggiungere la superficie; cellule principali caratterizzate da un nucleo basale con numerose stereociglia; le cellule chiare che hanno un nucleo più chiaro e presentano solo rare stereociglia. In particolare dalle cellule basali dell'epitelio epididimale si estendono sottili prolungamenti citoplasmatici che raggiungono il lume. Su tali prolungamenti ci sono recettori per L'ANGIOTENSINA 2 (AGTR2) a cui si lega proprio L'ANGIOTENSINA 2 presente nel lume dell'epididimo, stimolando la produzione di ossido nitrico (NO). L'ossido nitrico prodotto dalle cellule basali agisce localmente (risposta paracrina) stimolando le cellule chiare a produrre cGMP e a ciò segue il trasferimento sulla membrana di stereociglia di ATPasi che fungendo da pompe protoniche, rilasciano protoni nel fluido epididimale acidificandolo e quindi completando la maturazione degli spermatozoi. scaricato da www.sunhope.it Membrana basale Gli epiteli si poggiano sulla membrana basale, e al di sotto di questa si trova il tessuto connettivo, quindi la membrana basale si interpone tra un epitelio e un tessuto connettivo. Media l'adesione quindi cellula-matrice extracellulare e permette ai nutrienti ed agli scarti di diffondere agevolmente. Nel rene è un filtro particolare per le macromolecole. La membrana basale inoltre va a definire anche la polarizzazione delle cellule (poiché le cellule si legano alla lamina basale tramite giunzioni) ed inoltre nella rigenerazione funziona da “autostrada” per la migrazione cellulare. La membrana basale risulta essere quindi foglietti specializzati di MEC (matrice extracellulare) formato da una LAMINA LUCIDA, LAMINA DENSA E FIBRORETICOLARE con uno spessore di 50-100 nm di spessore. Le cellule epiteliali non producono collagene, ma sono i fibroblasti che producono tale sostanza, solo nel caso della membrana basale troviamo cellule epiteliali che producono collagene perché in pratica la membrana basale è formata dalle cellule epiteliali stesse • Collagene I : Si trova maggiormente a livello dell'osso • Collagene II: a livello della cartilagine • Collagene IV: a livello della membrana basale, serve per dare stabilità e forma estese reti legando le estremità amminiche e carbossiliche. Tali reti sono legate al plasmalemma della cellule mediante la laminina e la nidogenina la quale ultima forma sulla laminina centri di nucleazione per la deposizione del collagene di tipo IV. Quindi la laminina media l'adesione tra la parte basale della cellula e la membrana basale ed inoltre la laminina e l'integrina interagiscono per formare la tipica struttura d'ancoraggio dell'emidesmosoma Quindi adesione cellule-matrice= INTEGRINA Invece adesione cellula-cellula=CADERINE che sono proteine calcio-dipendente e si possono riconoscere E-caderina (nell'epitelio), N-caderina (neuroni, fibroblasti e muscolo scheletrico), Pcaderina (placenta, epidermide, epitelio mammario) e VE-caderina (endotelio vascolare). Meccanismo extravasazione e diapedesi leucocitaria con SELECTINA ED INTEGRINA (vedere nel dettaglio pag.123-124 V. Monesi) scaricato da www.sunhope.it Ghiandole endocrine ed esocrine Le ghiandole sono strutture deputate alla produzione ed escrezione del secreto. Possono essere cellule singole (cioè una cellula corrisponde ad una ghiandola) come nel caso delle esocrine caliciformi mucipare, oppure possono come nel caso delle endocrine in cui, numerose cellule, riversano il loro secreto, direttamente nei capillari sanguigni. Dunque in generale le ghiandole sono cellule singole o organi specializzati nella produzione e secrezione di sostanze che svolgono una varietà di funzioni biologiche nell'organismo. In genere si tratta di epiteli ghiandolari, ma in generale le ghiandole derivano da tutte e tre i foglietti embrionali, quindi non sono sempre degli epiteli. Gli elementi secernenti sono distinti in ADENOMERO O PARENCHIMA (prima tale distinzione era netta e precisamente si adoperava il termine adenomero per le esocrine e parenchima per le endocrine, oggi invece si usano indifferentemente per entrambe) e sono costituiti prevalentemente da cellule epiteliali, tuttavia possono essere costituite anche da altri tessuti, troviamo infatti ghiandole anche di derivazione connettivale o nervosa. Quindi le ghiandole si dividono in : • Esocrine: secrezioni riversate all'interno di un organo cavo o all'esterno dell'organismo e agiscono localmente • Endocrine: le secrezioni riversate nel flusso sanguigno e agiscono su organi “bersaglio” in genere sito a distanza (endocrinia) o nelle vicinanze (paracrinia) o anche autocrinia (stessa cellula) Come originano embriologicamente? Nel caso delle esocrine di origine epiteliale (che nel caso delle esocrine sono la maggior parte, mentre le endocrine possono avere, come detto, più origini) l'epitelio si rivestimento si invagina e quindi si accresce verso la profondità del tessuto connettivo conservando il contatto con l'esterno tramite il dotto escretore. La ghiandola endocrina invece per il contatto con l'esterno, quindi dall'epitelio da cui deriva per invaginazione, perché le cellule del dotto escretore vanno in morte programmata (apoptosi) e quindi le cellule del parenchima endocrino, si vengono a trovare all'interno perdendo il contatto con l'esterno. Dunque le cellule delle ghiandole endocrine per poter riversare il loro prodotto di secrezione, producono una gran quantità di VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) che sono fattori di crescita coinvolti nella vasculogenesi e nell'angiogenesi, creando così numerose cellule endoteliali e quindi vasi veri e proprio, formando di conseguenza reti mirabili di capillari a contatto con tutte le cellule delle ghiandole, che possono, indipendentemente, riversare il proprio secreto nel circolo sanguigno. scaricato da www.sunhope.it Le ghiandole possono essere : 1. Cellule o ghiandole isolate, come nel caso delle esocrine, in particolare delle caliciformi mucipare 2. In alcuni casi qualche epitelio esocrino può essere costituito da una superficie secernente, come ad esempio nel caso dello stomaco poiché produce muco neutro per proteggersi dall'azione dei succhi gastrici altamente acidi 3. Può essere un epitelio esocrino che forma l'adenomero o il parenchima di ghiandole esocrine formando una struttura precisa come nel caso di pancreas, fegato ecc. Inoltre vi è un'ulteriore suddivisione in: • Ghiandole unicellulari: singole cellule secernenti nell'ambito di un tessuto epiteliale (unico caso nelle esocrine: caliciformi mucipare, in cui la forma cambia a seconda dello stato funzionale, infatti nella fase di accumulo si avrà la tipica forma a “calice” ricca del mucinogeno che deve essere riversato, e dopo il rilascio invece, assume una forma molto più sottile ed allungata. Il mucinogeno all'esterno a contatto con l'acqua formerà la mucina che è Pas-positiva) • Ghiandole pluricellulari: veri e propri organi contenenti epiteli ghiandolari in cui vi si trovano acini, tubuli o entrambi Le modalità di secrezione di tali ghiandole inoltre, sono molto diversificate: • • • • Eccrina (=fuori): per trasporto attivo transmembrana e diffusione (es. ghiandole gastriche e sudoripare) Merocrina (=parte): per esocitosi ed è la modalità più comune (es. pancreas e salivari) Apocrina (=superiore): accumulo e perdita della porzione apicale per strozzatura proprio della parte superiore della cellula, che verrà in seguito ricostituita (es. sudoripare apocrine dell'ascella e dell'inguine) Olocrine (=tutto): la cellula va in apoptosi trasformandosi in prodotto interamente di secrezione poiché hanno delle cellule staminali nella parte esterna che rimpiazzano progressivamente le cellule che vanno in morte programmata (es. sebacee) Qui ad esempio ci troviamo di fronte ad un epitelio cilindrico semplice con ghiandole caliciformi mucipare (unicellulari) pronte a secernere e con il particolare orletto a spazzola sulla parte superiore dell'epitelio scaricato da www.sunhope.it Le ghiandole pluricellulari a loro volta, possono dividersi in: • • Intraparietali, ovvero quando le loro dimensioni sono tali da farle entrare all'interno della parete. A loro volta possono essere intraepiteliali se si tratta di veri e propri epiteli ghiandolari o esoepiteliali (non rientrano negli epiteli ghiandolari) quando scendono al di sotto dell'epitelio e quindi vanno a livello del connettivo e saranno coriali quando appartengono al corion, ovvero al primo strato al di sotto dell'epitelio oppure apparterranno alla struttura sottomucosa e quindi saranno esoepiteliali sottomucose (es. ghiandole del Brunner nel duodeno) Extraparietali (es. fegato, pancreas) Nella figura sopra vediamo un esempio chiarissimo di epitelio secernente, in cui è tutto l'epitelio che secerne appunto il secreto. Nell'ambito del viscere, distinguiamo una MUCOSA, una SOTTOMUCOSA, una MUSCOLARE e un MESOTELIO (o avventizia). Quindi a livello dei visceri e in particolare della mucosa troviamo un epitelio che è proprio della mucosa stessa e al di sotto dell'epitelio troviamo il corion che è il connettivo denso che sostiene la mucosa (lamina propria) subito al di sotto troviamo la sottomucosa che è un connettivo lasso, in successione una tonaca muscolare e infine un mesotelio che è, come già detto, un epitelio pavimentoso semplice che riveste le sierose quindi pleura, pericardio e peritoneo, se il viscere è al di fuori di queste tre categorie, allora l'ultimo strato sarà una tonaca avventizia. (vedere anche pag 114 Monesi). Ad esempio le ghiandole del Brunner che sono esoepiteliali sottomucose, comunicano anche con le ghiandole a livello del corion (quindi del connettivo di sostegno dell'epitelio) per poter riversare il loro prodotto data la loro natura esocrina (infatti le ghiandole del Brunner producono una secrezione mucoide con funzione di protezione a livello del duodeno). scaricato da www.sunhope.it Forma dell'adenomero • Adenomero tubulare: ovvero a “dito di guanto” quindi con la forma di un tubicino a fondo cieco • Adenomeri acinosi: adenomero assume l'aspetto di un chicco d'uva con un sottile lume al suo interno e con cellule a forma piramidale con apice rivolto verso il lume ghiandolare • Adenomeri acinosi di tipo alveolare: adenomero presenta un ampio lume che ripete la forma esterna dell'adenomero e cellule abbastanza cubiche si differenziano dal dotto, per la loro forma abbastanza “slargata” • Adenomeri otricolari: alcune ghiandole con adenomeri alveolari hanno alveoli tanto grandi da essere definiti otricolari, che sta ad indicare principalmente due tipi di ghiandole, ovvero la ghiandola mammaria nella donna, e la ghiandola prostatica nell'uomo Classificazione morfologica delle ghiandole esocrine • Semplici: una o più unità secernenti connesse alla superficie dell'epitelio o direttamente o per mezzo di un dotto non ramificato, quindi un solo adenomero con un solo dotto. Inoltre le ghiandole esocrine tubulari semplici possono essere anche “avvolte su se stesse” formando la tubulare semplice a gomitolo o glomerulare che oltre la forma particolare (dovuta anche alla doppia sezione) possiede la parete bistratificta poiché ha anche le cellule mioepiteliali per facilitare il movimento del secreto. scaricato da www.sunhope.it • • Ramificate: posseggono un solo condotto escretore a cui fanno capo due o più adenomeri. Quindi si avranno due o più adenomeri con un solo dotto Composta: ramificazione sia dell'adenomero che del dotto escretore (più dotti con più adenomeri). Quindi il dotto escretore principale si ramifica in condotti di calibro progressivamente decrescente che terminano con l'adenomero (unità secernente). Di solito quando la ghiandola è può possedere sia tubuli che acini. Classificazione sulla base della natura del secreto • • • • • • Sierose: soluzione concetrata di proteine semplici di aspetto fluido come il siero di latte Contengono granulazione con citoplasma basofilo e quindi sono ben colorate con nucleo centro basale con limiti tra le cellule difficilmente distinguibili Mucose: soluzione concentrata di glicoproteine viscose trasparenti. Citoplasma otticamente vuoto e il nucleo è schiacciato alla base con limiti cellulari ben visibili e distinguibili Miste A secrezione lipidica: trigliceridi associati a fosfolipidi e cloesterolo (sebacee e ceruminose) A secrezione iroelettrolitica: acqua e ioni disciolti (gastriche ad HCL e sudoripare eccrine) A parte le mammarie, che producono un alimento completo, il latte: proteico, lipidico, glucidico, idrosalino, ormonale. Nei primi giorni di vita la ghiandola mammaria produce il COLOSTRO (primo latte) che è ricco di anticorpi (immunoglobuline di classe A), sostanze protettive ed infatti le prime difese vengono trasferite dalla madre al feto proprio tramite il colostro Qui a lato si può notare la differenza di colorazione tra una cellula a secrezione mucosa e una cellula a secrezione sierosa scaricato da www.sunhope.it Adesso vediamo un po' di vetrini per il riconoscimento delle varie classi di ghiandole esocrine: Qui vediamo due esempio di ghiandole tubulari semplici, in particolare in quella di destra, più chiara, notiamo benissimo la secrezione mucosa con il tipico citoplasma otticamente vuoto. Nell'immagine invece in basso a sinistra, vediamo la stessa immagine di prima, soltanto, in una sezione trasversale, mentre in basso a destra si nota un altro esempio di ghiandola tubulare sempice con cellule a secrezione mucosa. scaricato da www.sunhope.it Qui invece notiamo (immagine a destra) una sezione più particolare, si vedono infatti alcune sezioni dell'adenomero con parete bistratificata e due dotti escretori in basso. Di conseguenza anche la forma abbastanza particolare, mi induce a dedurre che in tale sezione vi sia una ghiandola tubulare semplice glomerulare (o a gomitolo) Nell'immagine a sinistra invece possiamo sempre notare una sezione di ghiandola tubulare a gomitolo (sudoripara) e tutto il connettivo irregolare intorno, quindi ci troviamo a livello del derma. Nell'immagine sottostante invece abbiamo un esempio di ghiandola acinosa ramificata a secrezione olocrina in particolare della ghiandola sebacea con la presenza vicina del pelo (muscolo erettore del pelo) e del connettivo tutto intorno del derma. Si nota inoltre come gli acini di tale ghiandola siano pieni e al centro, questi diventano sebo che poi viene riversato all'esterno. Il pelo è un'invaginazione dell'epidermide nel derma e quindi ha anche il corneo. scaricato da www.sunhope.it Nella sezione a lato (a destra) possiamo osservare chiaramente una ghiandola acinosa composta, infatti si notano i due dotti perfettamente circolari con tipico epitelio cubico semplice, e tutto intorno gli acini con lume angusto e forma piramidale. I dotti sono due, e quindi sono ramificati, così come tutti gli acini intorno. Da ciò deriva che la ghiandola è acinosa composta. Nella figura in alto a sinistra invece, chiaramente gli acini a forma piramidale, e le sezioni di più dotti, ed inoltre la secrezione è ben colorata dunque si tratta di ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa. Il pancreas esocrino è un tipo di ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa Nell'immagine a destra, come descritto nel titolo vediamo una ghiandola acinosa composta a secrezione mucosa con i tipici nuclei schiacciati alla base e il citoplasma otticamente vuoto, mentre nell'immagine a sinistra notiamo una ghiandola acinosa composta a secrezione mista, poiché notiamo parti, in cui vi è materiale con citoplasma otticamente vuoto, ed altre invece in cui è ben evidente la scaricato da www.sunhope.it colorazione che vanno a formare delle specie di “semilune”, dette appunto SEMILUNE DI GIANNUZZI, che si trovano praticamente solo nelle ghiandole acinose composte a secrezione mista, come in questo caso specifico. Nella figura sottostante (a sinistra), si osserva chiaramente un esempio di ghiandola alveolare composta, diciamo precisamente composta, poiché dati i numerosi alveoli, è molto improbabile che si riferiscano tutti ad un solo dotto, quindi molto probabilmente la ghiandola in figura sarà, come detto, alveolare composta. Nella figura sopra a destra invece notiamo chiaramente una ghiandola alveolare, in particolare otricolare, quindi con lume molto grande, composta. Come detto le uniche otricolari sono, nella donna a livello della ghiandola mammaria e nell'uomo, a livello della prostata. Quando non contiene il latte, quindi a riposo, la ghiandola mammaria è molto piccola rispetto a quando ne contiene, in cui si osserverà una notevole espansione della ghiandola stessa come si può notare in questa immagine scaricato da www.sunhope.it In questa ghiandola possiamo osservare un po' un riassunto, di tutte le categorie citate, infatti vi troviamo la tipica struttura degli acini, con forma a piramide e secrezione prevalentemente sierosa, poi, possiamo notare la presenza di tubuli ramificati a secrezione mucose e la presenza di due dotti. Di conseguenza si può affermare che tale ghiandola è una tubulo-acinosa composta a secrezione mista, che è sicuramente la più complicata della categoria delle esocrine ed in genere sono proprie delle ghiandole salivari, mentre generalmente nella ghiandola sottolinguale si distinguono acini mucosi e semilune sierose. In particolare le ghiandole salivari presentano dotti “striati” dovuti al fatto che una parte del secreto deve essere riassorbita. Il pancreas è una ghiandola mista poiché sia endocrina che esocrina, e in particolare presenta la parte esocrina costituita da una ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa mentre la parte endocrina è costituita dalle isole del Langerhans. Nella figura sottostante vediamo una tipica sezione di pancreas esocrino quindi, come detto, ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa. scaricato da www.sunhope.it Il fegato invece non può essere catalogata assolutamente nelle strutture precedentemente descritte poiché ne possiede una particolare, definita LABIRINTICA. Il fegato è una ghiandola extraparietale ANFICRINA (cioè a secrezione endocrina ed esocrina) ed è costituito da strutturale esagonali al cui centro vi è la vena CENTRO-LOBULARE e sui lati ci sono gli spazi cordali. Alla vena centrolobulare convergono sia i sinusoidi (capillari) sia le cellule che vanno a costituire delle strutture a cordoni che si portano proprio fino al centro della vena. All'apice ci saranno un ramo della vena porta, un rame dell'arteria epatica e un ramo del dotto biliare. Nella sezione della ghiandola si può notare al centro la vena centro-lobulare a cui giungono i sinusoidi e tutte le strutture a cordone e le strutture esagonali dei lobuli epatici oltre alla caratteristica struttura labirintica di questa ghiandola. Vi si possono trovare in alcune sezioni anche cellule del Kupffer che sono essenzialmente cellule del sistema macrofagico e quindi hanno il compito di eliminare sostanze estranee. Lobulo epatico: presenta sei lati e con tre lati guarda i sinusoidi mentre con altri tre guarda gli altri epatociti. I lati che guardano verso i sinusoidi presentano uno spazio, detto spazio del Disse, con capillari fenestrati in cui vi sono anche le cellule del Kupffer. Invece i lati che guardano verso gli altri cordoni epatici, presentano delle tight junctions (giunzioni occludenti) e fra cellula e cellula si riconoscono i canalicoli biliari, cioè, a questo livello quindi, le cellule epatiche riversano la bile che è il principale prodotto di secrezione. La bile viene riversata in queste docciature tra cellula e cellula va scaricato da www.sunhope.it fino al dotto epatico, a questo punto in parte si porta alla cistifellea, oppure raggiunge tramite il coledoco l'ampolla di Vater e qui tramite lo sfintere dell'Oddi riverserà la bile a livello del duodeno per la digestione degli alimenti. Quindi l'epatocita presenta sei lati e per tre ha rapporto con il sangue e dunque ha funzione di tipo endocrino come nella produzione di albumina ecc. Invece con gli altri tre lati ha una funzione di tipo esocrina poiché riversa la bile che è appunto un prodotto esocrino perché si porta in un condotto interno che è il duodeno. Epiteli sensoriali Costituiti da cellule specializzate per la ricezione di stimoli che giungono all'organismo dall'ambiente esterno e sono principalmente quelli delle cellule olfattive, gustative, acustiche e sensoriali dell'apparato vestibolare. A volte possono essere dei veri e proprio neuroni periferici, altre volte invece non lo so, ma tuttavia sono specializzate proprio nella ricezione di stimoli dall'ambiente esterno, e solitamente sono avvolte da espansioni terminali di fibre nervose appartenenti a neuroni di senso il cui corpo cellare ha sede nei gangli cerebro-spinali. Queste particolari cellule sono cellule sensoriali secondarie in quanto prive di prolungamenti proprie dei neuroni periferici, che sono dette proprio per questo cellule sensoriali primarie. Le cellule sensoriali secondarie sono altamente eccitabili, in grado di convertire l'informazione in un segnale da inviare ai centri superiori di elaborazione (miollo spinale, tronco dell'encefalo, corteccia cerebrale e cerebellare). Le cellule olfattive sono proprie di un epitelio che si trova nella parte più alta delle cavità nasali e sono cellule fornite di ciglia molto lunghe. Nell'immagine sottostante si vedono anche tanti neuroni periferici che si portano al nervo olfattivo e quindi al bulbo olfattivo. Quindi possiamo dire che la mucosa del naso ovvero la porzione più elevata, quella a contatto con l'osso etmoide presenta un epitelio sensoriale con numerosi neuroni intercalati tra le cellule epiteliali. Per quanto riguarda l'epitelio gustativo è costituito da cellule che si trovano in particolari corpiccioli che sono i calici gustativi (figura in basso a destra). Questi sono situati soprattutto a livello dell'epitelio della bocca e della lingua e sono formati da cellule più allungate che sono proprio quelle sensoriali che portano alla “via gustativa” tramite i recettori che si trovano su queste cellule. Come già detto, i calici gustativi si trovano all'interno dell'epitelio pavimentoso stratificato della lingua o del palato generalmente. Questi corpiccioli inoltre sono molto frequenti a livello delle papille circumvallate e sono frequenti in altri tipi di papille come quelle di tipo fungiforme. In questo categoria di cellule possiamo distinguere diversi citotipi ed in particolare: cellule del gusto di tipo allungato che sono le vere cellule recettoriali, cellule di sostegno e piccole cellule basali indifferenziate (cellule staminali). Inoltre vi è da dire che possiamo trovare una distribuzione topografica della percezione del gusto. Infatti solitamente il gusto dolce e quello salato sono percepiti prevalentemente sulla punta della lingua, il gusto acido sui margini laterali e il scaricato da www.sunhope.it gusto amaro sulla superficie posteriore della lingua (le gemme gustative sono molto più sensibili ai sapori amari proprio per una sorta di meccanismo di protezione). Con la senescenza le papille gustative diminuiscono e per questo a volte gli anziani non mangiano perché “non sentono il sapore” dunque in questo caso vi sarà una diagnosi di AGEOSIA ovvero assenza delle sensazioni gustative oppure DISGEOSIA, in cui il soggetto avrà soltanto un'alterazione delle sensazioni. Ancora un'ulteriore variazione è la “sindrome della lingua bruciata”. Sotto possiamo notare una sezione in cui si vedono chiaramente (indicati anche con le frecce) i calici gustativi all'interno dell'epitelio pavimentoso stratificato Sopra invece vi è la tipica struttura dell'orecchio interno, con la stimolazione delle cinociglia che sono stimolate a loro volta dal movimento degli otoliti. Ciò porta alla sensazione dell'equilibrio. Sull'orecchio quindi, diciamo poche cose dato che lo studio più approfondito sarà oggetto dell'anatomia microscopica, l'importante è sapere un po' la struttura e l'organizzazione in cinociglia ed otoliti particolarmente importanti come già detto, per la sensazione di equilibrio. Ci sono poi degli epiteli che sono detti particolarmente differenziati poiché appunto il differenziamento è tanto cospicuo da non riuscir a riconoscere la propria derivazione. In particolare parliamo dello smalto del dente, del cristallino (di cui abbiamo visto l'epitelio superficiale) i peli e le scaricato da www.sunhope.it unghie. Il cristallino si sviluppa da una vescicola che formano delle fibre che a loro volta si allungano, tranne quelle dell'epitelio dell'epitelio anteriore. Quindi anteriormente le cellule rimangono epiteliali, le altre invece si trasformano in fibre molto allungate che hanno la caratteristica di essere trasparenti (dovute alla particolare struttura quaternaria delle proteine che le compongono). Notiamo sopra la sezione del cristallino con l'epitelio anteriore chiaramente cubico semplice, ancora più in superficie dell'epitelio troviamo il glicocalice, mentre procedendo verso la porzione centrale vediamo tutte le fibre e man mano i nuclei non li riconosciamo più. Il pelo è un'invaginazione dell'epidermide all'interno del derma: è costituito da un follicolo, abbiamo poi una porzione centrale che è la porzione cornea e poi abbiamo tutti gli strati dell'epidermide. Procedendo dall'esterno verso l'interno abbiamo una membrana vitrea, abbiamo una guaina radicale esterna, poi una guaina radicale interna e infine il pelo vero e proprio formato da midolla, corteccia e cuticola. Chimicamente un pelo consiste in una serie di filamenti di cheratina, una sclero proteina che viene prodotta nel più profondo degli strati dell'epidermide. Partendo da qui, la cheratina migra verso gli strati superiori e va ad addensarsi in cellule specifiche, che perdono ilnucleo e vengono dette cornee. Il pelo nasce da una particolare struttura della pelle, detta follicolo pilifero: qui è presente la vera e propria radice del pelo, la parte viva di esso. Per il resto, il pelo non è composto che di cellule morte stratificate e ricoperte di fitte e sottili scaglie, appunto le cellule cornee di cui sopra. Alla radice del scaricato da www.sunhope.it pelo, irrorata di vasi sanguigni e a contatto con i nervi, sono sempre presenti altre due strutture, cioè una ghiandola sebacea ed un muscolo erettore del pelo; la prima si trova in comunicazione con il follicolo pilifero e, tramite esso, secerne una sostanza grassa e oleosa, il sebo, che ha la funzione di ammorbidire la pelle. Il secondo invece, molto più piccolo dei normali muscoli scheletrici, è connesso direttamente al pelo e contraendosi è capace di causare il fenomeno dell'orripilazione, comunemente chiamato "pelle d'oca". Nella figura sottostante troviamo quindi una ghiandola tubulare glomerulare, immersa all'interno di un connettivo denso e irregolare e poi notiamo il pelo che è un'invaginazione dell'epidermide all'interno del derma sottostante che è caratterizzato appunto dall'epitelio pavimentoso stratificato. Quindi in questo tipo di sezione in cui notiamo la ghiandola sudoripara che è una tubulare a gomitolo, ed intorno ad un connnettivo abbondante se ritroviamo un epitelio pavimentoso stratificato non può essere se non proprio il pelo. Il dotto della ghiandola invece prima di tutto sarebbe stato più circolare, ma inoltre sarebbe stato caratterizzato dalla presenza dell'epitelio cubico semplice Ghiandole endocrine Nella nostra vita siamo continuamente influenzati dagli ormoni, prodotti dalle ghiandole endocrine. Gli ormoni possono essere di varia natura chimica: • • • Peptidica: quindi agiranno grazie a recettori ad attività tirosin-chinasica (RTK) o accoppiati a proteine G oppure a canali ionici a controllo di ligando Steroidea: con recettori citoplasmatici- 3 dominii R, D e M. I recettori per gli ormoni steroidei sono dei fattori di trascrizione e possiedono tre dominii, uno per il legame con il ligando, uno per il legame con il DNA e un altro per l'attivazione della trascrizione. Quando non sono legati al ligando, il dominio per la trascrizione è “coperto” da una classe di proteine chiamate HSP90. Questo può essere il caso degli ormoni prodotti, dalla corticale del surrene (come ad esempio i glucocorticoidi e mineralcorticoidi sotto stimolazione di ACTH che ha come bersaglio la corticale del surrene) Amminica: per esempio gli ormoni della midollare del surrene (adrenalina, noradrenalina) ma anche la serotonina (es. tirosina è un amminoacido polare, precursore di vari ormoni quali la Tiroxina (T4) e le Catecolammine (dopamina, adrenalina e noradrenalina) scaricato da www.sunhope.it L'azione degli ormoni viene definita oligodinamica ed interspecifica su cellule target e quindi hanno un'azione di modulazione, amplificazione o repressione tra di loro. Anche le citochine e i fattori di crescita sono da considerarsi degli ormoni. Gli ormoni inoltre interagiscono anche con il nostro comportamento come per esempio gli estrogeni nelle donne durante il ciclo mestruale, ma anche negli uomini può influire sulle performances. Un esempio classico di ormoni peptidici è il meccanismo glucagone-insulina che regolano il livello di glicemia nel sangue e che sono prodotte a livello delle isole del Langerhans (precisamente le cellule α producono glucagone mentre le cellule β producono insulina) infatti mentre l'insulina ha un'azione ipoglicemizzante, e sarà versata quando i livelli di zucchero nel torrente ematico sono molto elevati (intervengono i trasportatori del glucosio come Glut4 in alcuni tipi cellulari come adipociti e cellule muscolari) mentre il glucagone stimola la glicogenolisi e quindi la formazione di monomeri di glucosio (tramite un meccanismo in cui interviene la via dell'AMP ciclico) che saranno trasportati a livello del circolo sanguigno per alzare il livello di glicemia (intervengono alcuni trasportatori come Glut2) data l'azione iperglicemizzante del glucagone stesso. La cellula che secerne ormoni peptidici è caratterizzata da classici mitocondri e da un'ampia presenza di RER e vi è una secrezione regolata che avviene a mezzo di esocitosi, quindi la vescicola rivestita di clatrina arriva a livello della membrana e riversa il suo secreto all'esterno. La cellula che secerne ormoni steroidei invece ha una grande abbondanza di REL (il precursore degli ormoni steroidei a sua volta è il colesterolo che entra con un meccanismo di endocitosi mediata da recettori per LDL, arriva poi ai lisosomi dove verrà decomplessato per formare i precurosi necessari alla formazione degli ormoni steroidei specifici) che servono per la produzione di ormoni di natura lipidica ed inoltre vi è la presenza di un mitocondrio che non presenta la normale struttura a creste mitocondriali ma invece presenta delle strozzature. L'azione tipica degli ormoni è quella endocrina ovvero per via ematica, quindi le cellule versano indipendentemente il loro secreto all'interno della rete mirabile dei capillari da cui sono irrorati, sarà invece azione paracrina quando l'ormone ha azione nelle immediate vicinanze, e infine autocrina quando l'ormone prodotto agirà sulla cellula stessa che l'ha prodotto. Classificazione morfologica delle ghiandole endocrine 1. Ghiandole endocrine che derivano da tessuti epiteliali: Unicellulari, che sono numerosissime nel nostro corpo e prima veniva dette appartenenti al Sistema Endocrino Diffuso, successivamente furono invece catalogate nel sistema APUD cioè queste cellule sono capaci di captare i precursori amminici e decarbossilarsi Pluricellulari (parenchima ghiandolare): che si possono distinguere in seguito alla loro organizzazione in Follicolari che è soltanto una, ed è proprio la TIROIDE che ha una struttura in follicoli, ovvero ampie cavità che è circondata da un unico strato di cellule che cambia la propria altezza a seconda dello stato funzionale della ghiandola stessa, al centro vi si accumula una sostanza che è la TIROGLOBULINA che poi verrà ricaptata dalle cellule, complessata a formare gli ormoni veri e propri tiroidei che poi verranno secreti sul lato opposto. L'altra categoria è quella delle ghiandole Cordonali che comprende in pratica quasi tutte le altre perché mancano soltanto solo le interstiziali. Diciamo comunque che definire tutte le altre ghiandole cordonali è stata una semplificazione poiché mentre definire cordonale la corticale del surrene è molto semplice, per ghiandole tipo quella dell'ipofisi o le isole del Langerhans risulta già molto più complicato e quasi impossibile risulta per ghiandole come le l'Epifisi che ha una struttura molto complessa. 2. Ghiandole endocrine che NON derivano da tessuti epiteliali e sono ghiandole di natura connettivale comprendenti le interstiziali, in particolare le interstiziali del testicolo nell'uomo che produono testosterone e sono le cellule del Leydig mentre le interstiziali dell'ovario sono le cellule del Berger che producono ormoni i quali facilitano lo stigma, facilitano l'ovulazione scaricato da www.sunhope.it poiché determinano un ispessimento della parete dell'ovario stesso. Ci sono poi ghiandole di natura muscolare che sono presenti a livello dell'arteriola prossimale, a livello del rene che produce una sostanza che è la RENINA, ghiandole di natura nervosa e ghiandole endocrine negli annessi embrionali come la placenta. Vedendo qualche esempio di ghiandola unicellulare e scopriamo che sono numerosissime. Infatti notiamo le cellule C o parafollicolari che sono presenti nella tiroide ma non costituiscono la ghiandola tiroidea nella formazione dei propri ormoni ma vanno a costituire altri ormoni tra cui il più importante è la CALCITONINA il quale è fondamentale nel metabolismo dell'osso poiché fissano il calcio nelle ossa dunque è fondamentale nella fissazione del calcio nelle ossa abbassando la calcemia all'interno del torrente ematico . C'è poi il glucagone che è prodotto a livello, come già detto, delle isole del Langerhans e ha effetti sulla glicemia. Vi è poi la somatostatina che è prodotta dalle cellule D antrali dello stomaco e inibisce le cellule G (a gastrina) regolandone la funzione (le cellue G o a gastrina si trovano nello stomaco e nel pancreas, in particolare nello stomaco regolano la secrezione gastrica) oppure è prodotta nell'asse ipotalamo-ipofisario dove inibisce la secrezione di GH, TSH e ACTH, oppure può essere prodotta a livello delle isole del Langerhans, in particolare dalle cellule δ (delta) ed inibisce la funzione delle altre cellule pancreatiche quali le α e le β che rispettivamente producono Glucagone ed Insulina. Altro esempio di ghiandole unicellulari sono le cellule enteroendocrine che si trovano nell'apparato gastro-enterico oppure le cellule CCK-PZ (colecistochinin-pancreozimina) che regolano la secrezione del succo pancreatico. Nelle due immagini sopra vediamo esempi di ghiandola C o parafollicolare che come già detto producono calcitonina e abbassano la calcemia fissando il calcio alle ossa e abbassano anche la fosfatemia. In particolare nell'immagine a sinistra, quelle parti colorate più chiare (celeste chiaro) corrispondono alle cellule parafollicolari, mentre tutta la struttura, più scura, corrisponde al follicolo con il lume al centro contenente la tiroglobulina. Adesso focalizziamo la nostra attenzione sulla tiroide. La Tiroide è il primo dei parenchimi ghiandoli che noi troviamo, si trova a livello del collo, risulta costituita da due lobi ed un istmo; proviene scaricato da www.sunhope.it dall'intestino faringeo dell'embrione, passa attraverso il bulinguare e scende nel collo. Questa ghiandola presenta i follicoli, cavità sferoidali con parete monostratificata epiteliale piatta cubica o cilindrica a seconda dello stato funzionale della ghiandola. Presenta molti capillari sanguigni, ciascuna cellula presenta un doppio versante, ovvero ha una doppia polarità: una polarità verso il lume, perché i tirociti producono la colloide (tiroglobulina) che accumulano proprio nello spazio delimitato dal lume e un'altra polarità verso l'esterno poiché successivamente tramite gli pseudopodi che sono prolungamenti della cellula, la colloide viene riportata all'interno della cellula per essere complessata tramite enzimi proteolitici e soprattutto ioduri per formare i definitivi ormoni tiroidei (che sono proprio ormoni iodinati) che saranno riversati nel lato dei capillari sangugni. Quindi si dice che la cellula tiroidea è ANFICRINA (cioè da un lato e dall'altro) ovvero il versante apicale e il versante basale presentano una doppia polarità. Nell'immagine sopra vediamo come è marcata la differenza tra i due stati funzionali dei tirociti quando non sono in attività funzionale (II) ovvero hanno già prodotta la colloide che è accumulata nel lume e deve essere solo riversata nei capillari quindi hanno una parete abbastanza piatta, rispetto a quando è in piena attività di accumulo come nel riquadro I in cui le cellule epiteliali della parete sono cilindriche, molto alte testimonianza dell'intensa attività di accumulo che si sta svolgendo. I principali ormoni tiroidei sono la TIROXINA e la TRIIODOTIRONINA più comunemente chiamati T3 E T4 scaricato da www.sunhope.it In una normale analisi oltre a controllare i livelli di T3 e T4 si controllano anche i livelli del TSH che è l'ormone stimolante della tiroide. Gli ormoni tiroidei facilitano la trascrizione di geni responsbili della sintesi proteica; aumentano il metabolismo cellulare e stimolano il metabolismo di carboidrati e grassi; diminuiscono il colesterolo , fosfolipidi e trigliceridi, inoltre aumentano i ritmi cardiaco e respiratorio della contrazione muscolare. Come già detto T3 e T4 vengono sintetizzati sotto forma di precursori glicoproteici (T3 e T4 sono ormoni derivati da amminoacidi, in particolare dalla Tirosina, insieme alle catecolammine) che prima di venire secreti e immagazzinati all'interno del follicolo come tiroglobulina (colloide) vengono iodinati. A seguito della stimolazione da parte di TSH (da parte ipofisaria) si comincia una parziale digestione della tiroglobulina extracellulare accumulata formando T4, successivamente la diestione si sposta all'interno della cellula tramite gli pseudopodi, e le vescicole di tiroglobulina vengono fuse con i lisosomi e le proteine idrolizzate, liberando T3 che verrà riversato insieme a T4 nei capillari perifollicolari del polo basale della cellula. Dunque inizialmente la colloide è complessata con lo iodio (derivante dal circolo sanguigno) a livello del reticolo endoplasmatico e dell'apparato di Golgi per la formazione successiva proprio della Tiroxina e della Triiodotironina. Una carenza di iodio può portare a diverse patologie (es. gozzo). Inoltre la tiroide rappresenta l'unico caso di ghiandola endocrina che possiede la capacità di accumulare il secreto prima di essere versato, in sede extracellulare (a livello del lume) che si accumula sotto forma di colloide. Il TSH (ormone tireostimolante) è prodotto dall'ipofisi ed è sotto l'influenza di TRH prodotto dal'ipotalamo endocrino che a catena aumenta i livelli di ormone tireostimolante per la produzione dunque di T3 e T4. All'interno della tiroide stessa si trovano altre quattro ghiandole, due superiormente e due inferiormente e sono le PARATIROIDI e producono l'ormone paratiroideo (PTH) che ha un'azione perfettamente opposta alla calcitonina, quindi stacca il calcio dalle ossa, aumentando il livello di calcio nel circolo sanguigno. scaricato da www.sunhope.it Questo è uno schema riassuntivo della formazione degli ormoni tiroidei T3 e T4 discusso prima. Ghiandole cordonali A secrezione proteica o glicoproteica (pancreas endocrina quindi isole del Langerhans, adenoipofisi, paratiroidi) • A secrezione amminica (midollare del surrene) • A secrezione steroide (corticale del surrene, corpo luteo) Tutte queste sono ghiandole di natura cordonale ed in particolare vediamo l'ipofisi (o ghiandola pituitaria) che si trova a livello della sella turcina, nella base cranica. Tra le ghiandole cordonai vediamo anche la paratiroide, la ghiandola surrenale e l'epifisi. L'ipofisi può essere divisa in due parti: L'adenoipofisi, più sviluppata, si presenta di colore rossastro e comprende la parte distale (o lobo anteriore), la parte tuberale e la parte intermedia, mentre la neuroipofisi si presenta di colore grigiastro e comprende la parte nervosa e la parte infundibolare. In particolare la neuroipofisi produce essenzialmente due ormoni che sono L'OSSITOCINA che interviene negli istanti terminali del parto e la VASOPRESSINA che interviene ad esempio in caso di disidratazione dell'organismo poiché determina il recupero di fluidi attraverso la formazione di urine più concentrate a livello del tubulo contorto distale. Determina anche un aumento della pressione arteriosa in quanto ha attività di vasocostrittore ed inoltre l'alcool etilico riduce la secrezione di vasopressina e dunque la conseguente riduzione del riassorbimento di acqua del filtrato glomerulare contribuisce l'aumento della diuresi che si osserva in seguito ad ingestione di alcool (per inciso anche gli endoteli possono regolare la pressione arteriosa agendo sulla muscolatura liscia dei vasi, in particolare l'endotelina-1 è un vasocostrittore, mentre l'ossido nitrico è un vasodilatatore. Anche i periciti che sono cellule connettivali con forma particolare che si trovano all'esterno degli endoteli possono essere implicati nel processo di vasocostrizione). • scaricato da www.sunhope.it Qui possiamo osservare una chiara immagine dell'ipofisi nelle sue due parti, una nervosa e una endocrina. Alcuni tra i più importanti prodotti dall'adenoipofisi sono: STH (somatotropina o GH, ormone della crescia), LTH (ormone della prolattina) e ACTH (ormone adrenocorticotropo) che ha come bersaglio la zona corticale della ghiandola surrenale stimolando la produzione di Corticosteroidi. Oppure le gonadoropine FSH (ormone follicolo-stimolante) o LH (ormone luteinizzante) che a loro volta sono stimolate dall'ormone ipotalamico GnRH. Si è visto inoltre che le porzioni laterali contengono molte cellule somatotrope che secernono quindi GH, mentre le cellule corticotrope che secernono ACTH, βlipotropina e β-endorfina sono concentrate nella parte mediana della ghiandola, proprio di fronte all'ipofisi posteriore. Le cellule tireotrope che secernono TSH sono concentrate nella parte anteriore, nelle cellule mammotrope secernenti PRL e le gonadotrope secernenti FSH e LH sono distribuite uniformemente in tutta la ghiandola, frammiste agli altri tipi cellulari. I corticosteroidi sono prodotti dalla corticale surrenale e sono: glucocorticoidi (cortisolo che controlla il metabolismo di grassi, carboidrati e proteine) i mineralcorticoidi (come l'aldosterone che conrolla i scaricato da www.sunhope.it livelli di elettroliti e la quantità di acqua presente nel sangue) e gli androgeni responsabili dei caratteri sessuali secondari; precisamente nei maschi, determinati geni del cromosoma Y, in particolare SRY, controllano lo sviluppo del fenotipo maschile, che comprende la conversione della gonade primordiale bipotente in testicolo. Nei maschi, i cordoni sessuali invadono completamente le gonadi in via di maturazione. Nell’ottava settimana dello sviluppo fetale, le cellule di Leydig compaiono nelle gonadi in via di differenziazione del maschio. Le celluleepiteliali dei cordoni sessuali, derivate dal mesoderma, nei testicoli in via di sviluppo, diventano le cellule del Sertoli, che agiranno promuovendo la formazione delle cellule spermatiche. Tra i tubuli, è presente una popolazione minore di cellule non epiteliali; queste sono le cellule di Leydig, che producono androgeni. Le cellule di Leydig possono essere considerate come producenti gli androgeni che fungono da ormoni paracrini, richiesti dalle cellule del Sertoli per favorire la produzione spermatica. Subito dopo la loro differenziazione, le cellule di Leydig iniziano a produrre androgeni, richiesti per la mascolinizzazione del feto maschile in via di sviluppo (inclusa la formazione del pene e dello scroto. Sotto l'influenza degli androgeni i dotti del Wolff diventano epididimo, dotto deferenze e vescicole seminali. Quest’azione degli androgeni è promossa da un ormone prodotto dalle cellule del Sertoli, l’AMH, (ormone antemulleriano) che previene nell’embrione maschile la trasformazione dei dotti mulleriani embrionari in tube di Falloppio e in altri tessuti dell'apparato riproduttivo femminile. L’AMH e gli androgeni collaborano per consentire il normale spostamento dei testicoli nello scroto.Prima dell’inizio della produzione dell’ormone pituitario LH da parte dell’embrione, verso l’11ª-12ª settimana, la gonadotropina corionica umana (hCG) promuove la differenziazione delle cellule di Leydig e la loro produzione di androgeni. Gli androgeni sono prodotti principalmente quindi proprio a livello delle cellule di Leydig nel testicolo (testosterone) e in minor quantità nelle ghiandole surrenali. FSH e LH inoltre, durante la pubertà, stimolano la spermatogenesi mentre nella donna regolano la produzione di estrogeni durante l'ovulazione; gli estrogeni risultano esser il principale ormone femminile prodotto in parte nelle ghiandole surrenali e principalmente nelle ovaie. Quindi in sostanza FSH (follicolo-stimolante) agisce sul mantenimento d'integrità del follicolo ooforo, mentre nell'uomo agisce a livello del testicolo come detto, sulla spermatogenesi e sulla secrezione degli androgeni a mezzo di LH il quale nelle donne ha azione nell'ovulazione e nella secrezione del progesterone. Nel maschio infatti FSH è detto anche ICSH (interstizio-stimolante) dato che stimola le cellule del Leydig. La prolattina agisce sulla ghiandola mammaria per la secrezione del latte, mentre la somatotropina (o GH) stimola la crescita dell'osso, la crescita muscolare e del tessuto adiposo così come l'ossitocina facilita la contrazione agendo sulle cellule epiteliali del canale del parto e sulla ghiandola mammaria per la contrazione mioepiteliale a seguito della suzione che stimola l'ipofisi stessa per il rilascio di tale ormone necessario per la formazione della porzione terminale dei dotti galattofori. La neuroipofisi propriamente detta e la parte infindibulare hanno la stessa struttura e risultato costituite da fasci di fibre amieliniche tra le quali si trovano elementi gliali, denominati pituiciti (che scaricato da www.sunhope.it hanno una notevole variabilità morfologica e sono gliociti protoplasmatici, presentano molti prolungamenti). Nella pag precedente vediamo la pars nervosa dell'ipofisi con i pituiciti e i corpi di Herring.I corpi di Herring non sono alro che accumuli di materiale neurosecretorio addensati all'interno di diltazione degli assoni i potalamo-ipofisari. In basso notiamo una rappresentazione schematica della ghiandola pituitaria e dei suoi organi bersaglio. scaricato da www.sunhope.it Qui sopra notiamo la sezione di una paratiroide, anch'essa una ghiandola cordonale. Ghiandola surrenale Adesso soffermiamoci sulla ghiandola surrenale, in cui si riconoscono chiaramente i cordoni dato che si differenziano dai tubuli per l'assenza di lume. I cordoni a livello della zona glomerulare sono tutti scaricato da www.sunhope.it avvolti su se stessi, e producono mineralcorticoidi, poi abbiamo la zona fascicolata in cui si producono i glucocorticoidi e infine dalla zona reticolare si producono gli ormoni sessuali maschili e femminili. Quindi la corticale si divide come appena detto in zona reticolare, zona fascicolare e zona glomerulare. Dalla midollare del surrene si formeranno invece l'adrenalina e la noradrenalina che determinano la reazione immediata di allarme. Nelle due immagini sopra vediamo chiaramente la struttura della ghiandola surrenale prima schematicamente e poi in sezione (inoltre nelle slides 66-67 del file sulle ghiandole endocrine c'è un particolare ingrandimento sulla ghiandola cordonale del surrene in cui sono molto evidenti i cordoni). La midollare è formata da una specie di struttura nervosa, ovvero un ganglio enterocromaffine, infatti le cellule cromaffini sono cellue neuroendocrine localizzate nel midollo delle ghiandole surrenali scaricato da www.sunhope.it Questo sopra è uno schema riassuntivo con i prodotti di secrezione sia della corticolare che della midollare del surrene. Un'altra ghiandola cordonale è l'epifisi, che produce la MELATONINA (derivanti da pinealociti) e l'ormone regolatore è la noradrenalina. La melatonina può influenzare non solo il ritmo circadiano ma anche il ciclo dell'attività gonadica non nell'uomo ma negli animali, poiché si trova lungo la via del riflesso fotoneuroendocrino e quest'ultimo atativa e stimola la follicoloenesi. Il riflesso fotoneuroendocrino agisce su un enzima, il 5-HIOMT (5-idrossi-indol-orto-metiltransferasi) a seguito della luce che colpisce l'occhio portando alla finale produzione di melatonina. Il pancreas come già detto precedentemente presenta due porzioni, una esocrina ed una endocrina. La porzione esocrina è una ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa, mentre all'interno questa ghiandola contiene delle zone endocrine dette isole del Langerhans (ghiandola cordonale). Nelle due immagini sottostanti sono ben evidenti (in particolare nella prima in basso a sinistra) entrambe le zone. Nell'immagine a destra vi è un particolare proprio sull'isola pancreatica. scaricato da www.sunhope.it Le isole di Langerhans possono definirsi quasi massarelle solide con organizzazione in strutture ovoidali e al cui interno sono visibili i numerosi capillari sanguigni per la via endocrina circondati da un'abbondanza di connettivo. In ogni caso possiamo dire che tranne per la tiroide, le ghiandole endocrine NON hanno lume. Gli ormoni prodotti dalle isole di Langerhans sono già stati discussi precedentemente e vi si propone qui sotto, uno schema riassuntivo: In realtà nello schema vi è un dato errato, dato che le cellule β hanno una percentuale di circa il 90 % mentre le cellule α sono circa il 6-8 % il resto della percentuale è composto da cellule G, cellule PP e cellule δ I tubuli seminiferi sono parte dell'apparato riproduttore maschile. Nell'adulto i tubuli seminiferi sono formati da un epitelio seminifero e da una sottile tonaca propria, separati dalla membrana basale. L'epitelio seminifero è costituito da due categorie di cellule: le cellule di sostegno o del Sertoli e le cellule germinali. Durante gli ultimi mesi di sviluppo fetale e nel corso della vita prepuberale, le cellule germinali e le cellule di sostegno aumentano notevolmente di numero e vanno incontro ad importanti modificazioni morfologiche, ma la spermatogenesi inizia solo alla pubertà. In tal periodo i cordoni sessuali si canalizzano diventando tubuli seminiferi il cui lume si connette con quello della rete testis che a sua volta si continua nei condotti efferenti, mentre gli elementi di sostegno cessano di dividersi diventando tipiche cellule del Sertoli. Le cellule del Leydig si trovano nello stroma che sostiene i tubuli seminiferi (che sono quindi il vero e proprio parenchima). Le cellule del Sertoli sono cellule di sostegno che si trovano nei tubuli seminiferi dei testicoli. La loro principale funzione è quella di guidare le cellule germinali attraverso i passaggi della spermatogenesi. Sono inoltre responsabili del mantenimento di un certo numero di spermatogoni che, essendo cellule staminali, assicurano sia la propria omeostasi (il mantenimento di un numero fisso di spermatogoni) sia il differenziamento in cellule mature, fino al rilascio degli spermatozoi. Da un punto di vista morfologico si presentano scaricato da www.sunhope.it come cellule allungate che posano sulla membrana limitante il tubulo seminifero e arrivano fino al lume centrale. Hanno forma irregolare poiché ospitano, come incastonate, le cellule germinali nei vari stadi, le più staminali vicino alla base, le più differenziate verso l’apice Sotto vediamo tra i tubuli seminiferi le cellule interstsiziali del Leydig che producono testosterone. All'interno del lume dei tubuli seminiferi (a livello del didimo) vediamo gli spermatozoi in formazione A livello dell'arteriola afferente al glomerulo del rene, le cellule della muscolatura di modificano per produrre RENINA che ha effetto sull'Angiotensina e quindi determina un effetto sulla pressione capsulare e dunque facilita la filtrazione in stretta relazione con la pressione sanguigna, per esempio in forte abbassamento di pressione si può avere un blocco renale (blocco di filtrazione). Sistema renina (prodotto quando la pressione sanguigna si abbassa)-angiotensina-aldosterone per aumento della concentrazione di potassio. Il peptide natriuretico atriale, prodotto dal cuore, inibisce il rilascio di aldosterone con risultato di ridurre il volume del sangue e quindi la pressione sanguigna. Tessuto connettivo Il tessuto connettivo è un tessuto di sostegno, ad esempio come già detto per l'epitelio di rivestimento che si trova sopra di esso, andando a costituire la lamina propria al di sotto dell'epitelio, oppure forma la sottomucosa, quando si tratta di connettivo lasso. Il connettivo forma molti tessuti di sostegno, ma quando si specializza, può formare l'osso, la cartilagine, tessuto adiposo e addirittura il sangue e la linfa quando è nella sua forma liquida, oppure nella forma reticolare forma lo stroma delle ghiandole. Il tessuto connettivo presenta numerosissimi tipi cellulari, diversi tra di loro, ma non sono tanti come numero e quantità, bensì sono numerosi nelle loro diversificazioni, perché principalmente il connettivo è formato per la maggior parte da sostanza extracellulare. Possiamo dire quindi che ci troviamo di fronte ad un tessuto opposto come caratteristiche a quello epitelial, poiché vi sono poche cellule, tutte molto diverse fra di loro e gli spazi tra di queste, occupati dalla matrice extracellulare è nettamente superiore a tutto il complesso di cellule. Di conseguenza vi sarà spazio per numerosissimi vasi sanguigni e varie innervazioni. scaricato da www.sunhope.it La complessità del connettivo è data dalla diversità dei citotipi che lo compongono e dalla sostanza amorfa ripiena di fibre collagene, che si intrecciano fra di loro, vasi e nervi. Il connettivo rappresenta connessione meccanica (es. epitelio-connettivo-muscolare) e ancora i tessuti tra di loro, infatti i tendini sono tessuti connettivi densi, quindi quando il miscolo deve ancorarsi all'osso (che a sua volta è un connettivo specializzato) lo fa tramite l'azione come detto dei tendini. I connettivi hanno funzione di sostenere e proteggere gli organi come nel caso dei legamenti, quindi tramite capsule proprio di origine connettivale, oppure formando strutture come la gabbia toracica e scatola cranica. Questi tessuti ovviamente hanno ancora una connessione di tipo funzionale dato che consentono e facilitano il transito di sostanze per favorire il metabolismo e la nutrizione e anche la difesa immunitaria a mezzo delle cellule come macrofagi, cellule dendritiche, NK. Ovviamente più fibre proteiche, conferiscono stabilità e robustezza spostando “l'equilibrio” verso la connessione meccanica, mentre più abbondante è la sostanza fondmentale idrata, consente la diffusione di sostanze e la migrazione di cellule e sposta “l'equilibrio” verso la connessione funzionale. Classificazione dei tessuti connettivi • Connettivo di tipo embrionale: Mesenchimale (nell'embrione): il mesenchima è un connettivo che troviamo solo nell'embrione Mucoso: nell'adulto troviamo un connettivo simile a quello embrionale come quello della polpa dentaria o la gelatina del Wharton che si trova alla nascita nel cordone ombelicale • Connettivo propriamente detto: Lasso: ( detto anche areolare) si trova a livello soprattutto delle tonache mucose e sottomucose (Le membrane mucose hanno caratteristiche in comune con le membrane sierose, che presentano la stessa struttura generale. Tra una mucosa e una sierosa esistono due differenze sostanziali. La prima riguarda lo strato epiteliale: mentre nelle mucose l'epitelio può essere di varia natura (anche se spesso è cilindrico o cubico), nelle sierose esso è sempre semplice ed è detto mesotelio; la seconda riguarda la sede anatomica, infatti le membrane sierose rivestono cavità che non comunicano con l'esterno. Le principali membrane sierose nell'uomo sono pericardio, pleura e peritoneo.) Lasso vuol dire che c'è un'abbondante sostanza extracellulare amorfa abbastanza liquida, e non c'è una grande quantità fibre (che sono presenti in tutti i tipi) Denso: quando sono molto abbondanti le fibre in particolare quelle collagene, ma sono presenti anche le fibre reticolari o elastiche ad esempio. Il connettivo denso si divide a sua volta in regolare nel caso in cui la disposizione delle fibre collagene risulta essere proprio regolare come nel caso di tendini e legamenti. Risulta essere invece un connettivo denso irregolare quando l'organizzazione delle fibre collagene risulta appunto molto irregolare, cioè non ha un ordine preciso, le fibre non sono disposte secondo file ordinate, ed è questo il caso del derma. Di conseguenza la quantità di matrice extracellulare sarà ridotta rispetto al connettivo lasso, in favore della gran quantità di fibre. Reticolare: nel caso dello stroma, ovvero il connettivo di sostegno delle ghiandole, perché la disposizione delle fibre collagene formerà un vero e proprio reticolo all'interno del quale troviamo le cellule del connettivo. Prevalenza quindi di fibre reticolari. scaricato da www.sunhope.it Elastico: quando sono molto prevalenti le fibre elastiche, in genere infatti nel connettivo elastico, le fibre collagene sono pochissime. Le fibre elastiche sono molto sottili ed allungate e si trovano a livello della tonaca media delle arterie (più grande è l'arteria più sono numerose le fibre elastiche poiché devono mantere il tono del vaso stesso) Adiposo: si trova a livello sottocutaneo ad esempio, o a livello dell'adipe che si raccoglie tra i visceri • Tessuti connettivi specializzati: Nel sostegno: cartilagine e osso, in particolare la cartilagine non è né vascolarizzata né innervata mentre il tessuto osseo è mineralizzato Nel trofismo: sangue e linfa che forniscono il materiale necessario a nutrirsi (liquidi) Con funzione emopoietica ed immunitaria: midollo emopoietico o tessuto mieloide (quindi con funzione ematopoietica) e tessuto linfoide che ha funzione immunitaria ovvero di difenderci da agenti patogeni ed estranei. Entrambi i tessuti hanno prevalenza di cellula sulla matrice Per uno schema ancora più chiaro vedere pag.192 del Monesi Le componenti quindi del tessuto connettivo sono: le cellule che data la grande varietà, ognuna sarà specializzata a svolgere una particolare funzione, ovvero cellule immunitarie, cellule che producono fibre collagene ed elastiche, cellule con funzione fagica ecc. Poi altro componente fondamentale del tessuto connettivo è la matrice extracellulare (ECM) la quale è divisa in una componente organica che comprende le fibre di natura proteica quali collagene, fibre reticolari ed elastiche, oppure componenti organiche non fibrillari quali ad esempio GAGs e proteoglicani, e proteine strutturali adesive. Vi è inoltre nella ECM una componente inorganica che corrisponde al liquido tissutale. Focalizziamo adesso la nostra attenzione sulla componente organica della sostanza fondamentale; nella componente organica troviamo quindi la componente fibrillare organica che sono le fibre collagene, reticolari ed elastiche, in particolare le fibre collagene sono organizzate a formare grossi fasci, le fibre reticolari formano un delicato reticolo che spesso è argentofilo, mentre le fibre elastiche sono molto sottili, allungate e possono essere “stirate”. C'è poi la componente organica non fibrillare composta fondamentalmente da GAGs (glicosaminoglicani) e proteoglicani. I GAGs sono disaccaridi ripetuti centinaia di volte (sempre gli stessi), il più conosciuto è l'acido ialuronico, dermatan solfato, cheratan solfato, condroitin solfato, eparan solfato ecc, mentre i proteoglicani sono delle grandissime strutture formate da un asse proteico, ai cui lati sono presenti numerosi glicosaminoglicani (aggregani e decorina). Compresa nella parte organica della sostanza fondamentale vi sono anche le glicoproteine, la più importante è la fibronectina che funge da recettore con la sua parte glucidica e la laminina. La parte inorganica invece della ECM corrisponde ad amminoacidi ioni e gas disciolti prevalentemente che formmano il liquido tissutale. L'ECM è molto viscosa, caratterizzata dalla presenza di macromolecole a basa di proteine e policassacridi (GAGs e proteoglicani) ed è molto permeabile alla diffusione di metaboliti consente inoltre la migrazione delle cellule immunitarie. La permeabilità della matrice extracellulare dipende dal grado di idratazione che può aumentare notevolmente in caso di edema o infiammazione. I GAGs e i proteoglicani sono sempre fortemente idratabili cioè hanno molte molecole d'acqua, quindi possono essere idratati e di conseguenza sono solubili mentre nel caso della componente fibrillare quest'ultima non è idratabile quindi è insolubile. scaricato da www.sunhope.it Vediamo dunque la composizione del collageno: il collagene è costituito da unità strutturali che è il tropocollagene a sua volta costituito da tre catene avvolte su se stesse nel quale le singolo singole catene sono costituite da tre diversi amminoacidi che noi chiamiamo con le sigle X, Y (di solito prolina e idrossiprolina) e G (che equivale a Glicina) infatti ogni tre amminoacidi vi è una Glicina. Precisamente troviamo la Glicina ogni tre amminoacidi proprio perché, essendo questa l'AA più piccolo, ed essendo tali catene avvolte su se stesse, è molto funzionale in modo da occupare il minor spazio possibile. Sotto vediamo una rappresentazione di una molecola di tropocollagene che unita ad altre molecole uguale, andrà a formare le fibrille e successivamente la fibra finale. Quindi le fibre collagene promuovono la flessibilità tissutale essendo proprio grandi fibre proteiche, non molto ramificate, hanno una notevole resistenza meccanica, sono raccolte in grandi fasci. Inoltre è una delle proteine più abbondanti del corpo umano ed è circa 1/3 delle proteine totali ed è molto abbondante nei tendini (in particolare si disporranno in fasci paralleli per resistere a trazione e carichi, comunque nel tendine vi è anche una grande quantità di elastina per conferire elasticità oltre scaricato da www.sunhope.it che numerosi proteoglicani per l'idratazione), cartilagine osso e pelle. Quindi le funzioni principali del collagene è la migrazione cellulare, l'adesione cellulare, la filtrazione molecolare e la riparazione tissutale. Il collageno ha una struttura quindi a tripla elica contenente tre catene disposte in un superavvolgimento (Collagene I nell'osso, Collagene II nella cartilagine e Collagene IV nella membrana basale, tra i più importanti). Ci sono dei collageni che definiamo fibrillari che non hanno nessuna interruzione nella tripla elica e hanno dispoizione regolare risultante nel caratteristico periodo D di 67 nm L'unità strutturale del collagene è il tropocollagene; più molecole di tropocollagene si uniscono con legami testa-coda tra le estremità N-terminale e C-terminale, lasciando il tipico spazio di 67 nm tra due molecole che forma la caratteristica struttura ad alternanza bande chiare bande scura nel momento in cui passa la luce polarizzata che colpisce appunto alternativamente zone in cui vi è il collagene e altre zone in cui vi è lo spazio e non trova le teste o le code. Le molecole di tropocollagene si uniscono per formare le fibrille di collagene le quali a loro volta si uniranno tra loro in fasci a formare le definitive fibre. Ci sono poi dei collageni che formano un network come collageno IV nella membrana basale oppure collageni fibrillari associati con interruzioni delle triple eliche oppure ancora ci sono i collageni ancoranti come quello di tipo VII che collega l'epitelio allo stroma. Quindi come abbiamo detto le triple catene peptidiche del tropocollageno si allineano longitudinalmente e si associano parallelamente in modo “sfasato” o non in registro e dunque c'è l'alternanza bande chiare e bande scure. Vediamo adesso precisamente come viene sintetizzato il collagene. Il collagene viene sintetizzato nel fibroblasto (blastos= produco) in particolare quest'ultimo si occupa della produzione di tutte le fibre quindi sia collagene, sia reticolari che elastiche. Ovviamente alcuni elementi saranno prodotte nel fibroblasto, ma quest'ultimo non produce il collageno terminale, quello finale, ma produce un pro-collageno che non è ancora pronto a formare le fibre. Il procollageno viene secreto all'esterno, e possiede delle estremità addizionali non ancora assemblate le scaricato da www.sunhope.it quali verranno tagliate da enzimi (taglio dei telopeptidi) ed in seguito verranno assemblate, tutto ciò avviene all'esterno, ovvero nella matrice extracellulare fino alla produzione finale del modello del tropocollagene che si assemblerà con altre molecole per creare prima la fibrilla e poi l'organizzazione in fasci di fibre collagene. Quindi possiamo dire che le singole catene polipeptidiche di collagene sono sintetizzate come molecole precursore di dimensioni maggiori che vengono sottoposte a diverse modifiche prima della secrezione e del montaggio in tripla elica (struttra del tropocollagene che si assemblerà a formare fibrille e poi fibre). In particolare nel fibroblasto vi sarà l'idrossilazione, la glicosilazione e l'aggiunta di peptidi di registro (o telopeptidi) e l'assemblaggio di tre catene pro-alfa; successivamente ci sarà la secrezione nella matrice extracellulare di questo composto, che sarà il procollagene. Nella matrice avverrà la finale maturazione per la formazione del tropocollagene con il taglio dei telopeptidi e quindi l'associazione in fibrille e in fibre finali. Quindi nell'organizzazione delle fibrille collageniche ci sono legami covalenti crociati tra le catene laterali di lisina mentre i gruppi OH dell'idrossiprolina e dell'idrossilina e i resudui di carboidrati sono importanti nella formazione di legami che permettono di formare le triple eliche e di assemblare le molecole di tropocollagene per formare le fibre. Per idrossidare la prolina e la lisina (che avviene all'interno del fibroblasto, come si vede dallo schema sopra) è essenziale l'intervento dell'acido ascorbico (vitamina C). Nell'immagine sottostante vediamo come appare un tessuto connettivo denso irregolare e sono evidenti le fibre collagene tutte disposte in modo disordinato. Si notano pochi nuclei che in gran parte sono fibroblasti e la quantità di matrice extracellulare è ridotta rispetto alle fibre, di conseguenza il connettivo sarà denso irregolare. scaricato da www.sunhope.it Vediamo adesso le fibre reticolari. In realtà le fibre reticolari sono una variente del collageno nel quale l'unica differenza è che l'aggregazione è meno intensa. Ciò significa che le fibre possono un po' staccarsi l'una dall'altra e formare il reticolo, quindi il grado dell'aggrazione è inferiore rispetto alle fibre collagene. Quindi stessa proteina costitutiva del collagene, ma con minore grado di aggregazione, e nell'adulto le fibre reticolari le troviamo a livello della membrana basale degli epiteli, a livello dello stroma degli organi ghiandolari e nello stroma di sostegno degli organi linfoidi e del midollo osseo. Di conseguenza le molecole di tropocollageno tendono ad aggregarsi lateralmente influendo sull'organizzazione tridimensionale di queste molecole. Le reti di fibrille reticolari quindi sono disperse in seno alla sostanza fondamentale. Sotto vediamo le fibre reticolari a livello dello stroma di una ghiandola cordonale, che è la paratiroide. Soffermiamoci adesso sulle fibre elastiche. Le fibre elastiche sono più sottili, molto allungate, un po' ramificate, e più flessibili rispetto alle fibre collagene. Queste fibre sono abbondanti nella tonaca elastica delle arterie, in legamenti e tendini (nei tendini vi è una particolare abbondanza di elastina) e sono formate proprio dalla proteina elastina. Sono prodotte dal fibroblato. Le fibre elastiche sono costituite da microfibrille, le quali sono strutture di sostegno, immerse in una componente amorfa. Le microfibrille sono ricche di una proteina diversa dal collagene che è detta appunto fibrillina, mentre la componente amorfa contiene una molecola ad attività enzimatica, la lisil-ossidasi, alcuni proteoglicani e oltre alla specifica proteina chiama elastina. In particolare mutazioni del gene della fibrillina determinano la sindorme di Marfan con alterazioni vascolari e dell'occhio e articolazioni iper-estensibili. L'elastina è una molecola idrofobica e dà ai tessuti quali vescica, cute e vasi ad esempio, una certa elasticità e resistenza in quanto hanno bisogno di essere forti per funzionare in un ambiente dinamico. L'elasstina deriva dalla polimerizzazione di molecole di tropoelastina, in cui mancano le triplette ripetitive del tipo G-X-Y e non è glicosilata, inoltre ha solo una piccolissima idrossilazione. In genere le fibre elastiche, quando sono stirate, hanno una conformazione “a onda del mare”, mentre quando sono rilasciate hanno una struttura abbastanza avvolta. scaricato da www.sunhope.it Durante l'elastogenesi le fibre elastiche dapprima sono ossitalaniche (in cui vi sono solo microfibrille e quindi manca l'elastina) poi depositandosi l'elastina divengono elauiniche (in cui i depositi di elastina sono meno abbondanti e sparsi fra le microfibrille) e infine divengono fibre elastiche propriamente dette in cui l'elastina amorfa è contornata da microfibrille. Sotto vediamo una schematizzazione della struttura delle fibre elastiche con le microfibrille e l'asse di elastina. Nella sezione dell'aorta notiamo come tutta la struttura sia formata da lamelle elastiche e quindi notiamo la struttura tipica delle fibre elastiche stirate “ad onda del mare”, mentre nel mesentere le fibre elastiche sono molto più strette ed allungate data la natura di connettivo lasso del mesentere stesso. Nell'immagine in basso a destra vediamo invece un connettivo elastico con fibre stirate. scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo invece un particolare di fibre elastiche particolarmente pronunciate con le tipiche ondulazioni. A livello delle arterie di grosso calibro le fibre elastiche le troviamo in questo caratteristico aspetto dato che devono permettere la distensione delle stesse. Sotto ancora vediamo le fibre elastiche (colorate in arancio) mentre le fibre collagene si notano in celeste chiaro, raggruppate in fasci molto più grandi. Glicosaminoglicani I GAGs (mucopolisaccaridi) sono polimeri lineari di disaccaridi ripetuti moltissime volte. I costituenti monosaccaridi tendono ad essere modificati con gruppi acidi e proprio per la presenza di questi ultimi tendono ad essere caricati negativamente. Inoltre i GAGs assorbono grandi quantità e quindi sono idratabili e occupano molto spazio. Quindi i GAGs sono disaccaridi ripetuti contenenti radicali solforici legati alle unità saccaridiche e i più comuni sono condroitin solfato, dermatan solfato, cheratan solfato, eparan solfato ed eparina. Abbiamo un riassunto delle caratteristiche principali nello schema seguente: scaricato da www.sunhope.it L'acido ialuronico è un GAG, ed è il più semplice, inoltre ha una catena molto lunga e manca di zuccheri solfato. Risulta essere costituito dalla ripetizione di un disaccaride formato da acido glucuronico e N-acetil-glucosamina e usualmente non è attaccato a proteine. Il grande numero di dimeri ripetuti e la scarsa flessibilità generano molecole di grande ingombro, inoltre le abbondanti cariche negative richiamano cationi osmoticamente attivi che richiamano grandi quantità d'acqua, di conseguenza il risultato è una pressione di rigonfiamento che genera il turgore e la resistenza alla compressione del tessuto. In sostanza quindi l'acido ialuronico forma un gel viscoso ed idratato, è carico negativamente e mantiene le cellule lontane l'una dall'altra inibendo l'adesione cellula-cellula. Ad esempio batteri patogeni come lo stafilococco aureo secernono l'enzima ialuronidasi che indrolizzando l'acido ialuronico, fluidifica i connettivi facilitando la diffusione dei batteri. Proteoglicani Si trovano nel connettivo e nella matrice oppure annessi alla superficie di molte cellule. Sono responsabili del volume della matrice extracellulare e quindi ogni volta che è presente un edema, vuol dire che molta acqua si è legata a proteoglicani e GAGs. I proteoglicani sono formati da assi proteici da cui sporgono i glicosaminoglicani. scaricato da www.sunhope.it Inoltre i proteoglicani hanno una funzione strutturale, limitano la diffusione di macromolecole e impediscono il passaggio di microorganismi, inoltre agiscono come lubrificanti nelle giunzioni e regolano la motilità cellulare e l'adesione. Inoltre hanno anche funzioni non strutturali, in particolare sequestrano i fattori i crescita e presentano gli ormoni ai recettori cellulari di superficie. I proteoglicani sono quindi macromolecole che possiedono un asse proteico da cui sporgono i glicosaminoglicani. Infatti i GAGs in natura non esistono come molecole libere ma sono sempre legati covalentemente a proteine diverse dl collagene formando enormi aggregati chiamati proprio proteoglicani. Aggregati di proteoglicani invece, formano gli aggrecani. Vediamo adesso come si legano i GAGs all'asse proteico per la formazione proprio dei proteoglicani, come vediamo nell'immagine sopra. Il legame del GAG al proteoglicano è dato dal legame tra un residuo di Serina dell'asse proteico, in particolare al gruppo CH2, e un trisaccaride di legame (a volta anche un tetrasaccaride) costituito per esempio da xilosio, galattosio e galattosio, e dal successivo legame del disaccaride ripetuto che costituisce il glicosamicoglicano, proprio con il trisaccaride di legame legato all'asse proteico, come nell'immagine sopra a destra. Sotto ad esempio possiamo notare la tipica struttura di un proteoglicani in una microfotografia al TEM scaricato da www.sunhope.it Vediamo adesso le glicoproteine strutturali in particolare la fibronectina, la laminina, le integrine e nectine. Ad esempio la fibronectina è una famiglia di proteine transmembrana che si legano a strutture extracellulari, e possiede vari domini e mediano i legami tra collegeno e integrine di superficie (che a loro volta sono fondamentali per l'adesione basale delle cellule alla matrice extracellulare) inoltre connettono le cellule alle fibre collageniche dell'ECM. Le fibronectine possono legarsi a proteoglicani ed altre fibronectine, e giocano un ruolo chiave nella coaugulazione del sangue. Media l'adesione cellula-matrice con la via integrina/RGD che è un dominio che si trova proprio sulla fibronectina. Quindi la fibronectina media il legame integrina/ fibre collagene, come ad esempio negli emidesmosomi in cui troviamo proprio l'integrina che è fondamentalmente un recettore, e troviamo il suo ligando proprio sulla fibronectina (sul dominio RGD) che a sua volta permetterà l'adesione con le fibre collagene che si trovano nella ECM. In generale questo processo vale anche per l'adesione cellula-matrice extracellulare, in cui come detto si forma il complesso integrina (proteina transmembrana con dominio citoplasmatico ancorato al citoscheletro) che si lega con la sua porzione extracellulare al dominio RGD della fibronectina la quale a sua volta media il legame con le fibre della ECM. Quindi in particolare nell'emidesmosoma che si occupa dell'adesione della parte basale delle cellule con la matrice extracellulare del connettivo (o anche nei contatti focali) l'integrina permetterà l'adesione (anche grazie alla laminina) della placca emidesmosomica con le fibre della matrice extracellulare grazie alla via integrina/fibronectina su cui troviamo lo specifico recettore per l'integrina stessa. Molti cambiamenti osservati nei tumori sono stati attribuiti a un decremento dell'espressione della fibronectina o alla degradazione del suo recettore, così come dell'integrica alfa5-beta1. La scaricato da www.sunhope.it fibronectina è implicata nello sviluppo del tumore stesso; nel carcinoma polmonare ad esemio, l'espressione della fibronectina aumenta e di conseguenza l'adesione delle cellule tumorali alla fibronectina aumenta notevolmente la tumorigenicità e conferisce resistenza alle terapie chemioterapiche. Un'altra proteina importante è la laminina che è responsabile del legame delle cellule epiteliali alla membrana basale, quindi, ad esempio, nel caso dei desmosomi, la laminina ancora la piastra emidesmosomica alla membrana basale. Per esempio la fibronectina e la laminina guida le cellule della lamina basale durante lo sviluppo embrionale (come le cellule delle creste neurali). Le cellule grazie alle integrine che delle glicoproteine, ma anche specifici recettori, collegano la cellula (tramite il citoscheletro) alla fibronectina che a sua volta medierà l'adesione con la matrice extracellulare. Le integrine sono anche collegate con il citoscheletro (microfilamenti di actina) e in questo modo l'ancoraggio delle cellule alla matrice risulta meccanicamente resistente. Quindi possiamo dire che l'integrina è il recettore cellulare per il proprio ligando che si trova sulla fibronectina, la porzione intracellulare (essendo una proteina transmembrana) interagisce con gli elementi del citoscheletro, la parte extracellulare si lega con la fibronectina nel suo dominio RGD che a sua volta media il legame con le fibre della matrice extracellulare. scaricato da www.sunhope.it La funzione del complesso “citoscheletro-integrina (porzione intracitoplasmatica ed extracellulare)fibronectina-fibre della matrice extracellulare” è quello di ancorare proprio in modo specifico la cellula alla ECM. Vediamo un'ottima rappresentazione di quello detto ora e anche precedentemente nella immagini precedenti, in particolare vediamo a sinistra il modello dell'integrina e a destra nella formazione del complesso descritto prima. Sotto invece vediamo un'altra immagine in cui vediamo l'azione dei vari elementi nel complesso (vedere in particolare contatti focali e emidesmosomi. In particolare i contatti focali sono quei punti in cui il contatto tra cellula e metaplasma si fa più intimo, stante la presenza di numerose integrine e, di conseguenza, numerosi filamenti di actina all'interno della parete cellulare, e fasci di fibronectina all'esterno.) La sostanza fondamentale amorfa è una soluzione molto viscosa con una quantità variabile di acqua legata ai componenti macromolecolari (proteoglicani). Vi è inoltre acqua libera, gas disciolti, piccole molecole e ioni. I fluidi tissutali sono composti da plasma che esce dai capillari ed entra nel tessuto connettivo, inoltre i fluidi tissutali filtrano attraverso la ECM e rientrano nelle venule e nei capillari linfatici, ed inoltre promuovono il movimento di nutrienti e dei rifiuti prodotti da e per le cellule. Infine troviamo le matricine, la cui attività enzimatica richiede Zn++ e intervengono nel rapido rimaneggiamento della EC e sono importanti nella sostituzione delle cellule cartilaginee con osso, inoltre rimuovono la matrice ed attivano i fattori di crescita come il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor). scaricato da www.sunhope.it Cellule del tessuto connettivo Le cellule del tessuto connettivo derivano tutte, direttamente o indirettamente durante lo sviluppo embrionale, dalla cellula staminale mesenchimale multipotente. Dalla cellula staminale mesenchimale (che deriva dal mesoderma ed è una staminale adulta) derivano tutte le cellule della linea del sangue, fibroblasti, osteoclasti, condrociti, adipociti, le cellule endoteliali, gli osteociti cioè tutte le cellule che vanno a costituire sia i connettivi propriamente detti e quelli specializzati. Le uniche cellule pluripotenti sono quelle embrionali, mentre le mesenchimali sono cellule adulte multipotenti. In base alla capacità differenziativa le cellule staminali si dividono in totipotenti, pluripotenti, multipotenti e unipotenti. La cellula staminale totipotente è solo lo zigote, quindi è in grado di tutti e tre i foglietti embrionali più gli annessi extraembrionali. La cellula staminale embrionale è definita invece pluripotente perché può dare origine a tutti e tre i foglietti embrionali ma non può formare i tessuti extraembrionali. Le cellule staminali adulte possono multipotenti e unipotenti: la staminale adulta multipotente come quella mesenchimale, è definita tale perché è in grado di differenziare in tutti i tessuti appartenenti allo stesso foglietto embrionale, cioè quindi la staminale mesenchimale può differenziare in tessuti che derivano dal mesenchima (tessuto connettivo embrionale derivante dal mesoderma) mentre come indica già il nome, la cellula staminale adulta unipotente, può differenziarsi in un solo tipo di tessuto. Per i connettivi propriamente detti possiamo definire due classi di cellule: cellule fisse residenti nel tessuto connettivo e cellule migranti (un esempio è il linfocita, che circola nel sangue, ma espleta scaricato da www.sunhope.it la sua funzione nel connettivo, poiché dal torrente ematico passa al connettivo). Altri esempi di cellule migranti sono le plasmacellule, macrofagi liberi (poiché ci sono anche quelli fissi) e altre cellule di derivazione ematica. Le cellule fisse invece sono i fibroblasti, cellule come già detto deputate a produrre le fibre collagene, reticolari ed elastiche e tutti i componenti necessari alla matrice extracellulare come proteoglicani e GAGs. Poi ci sono i fibromioblasti che sono fibroblasti nel cui citoplasma sono presenti filamenti di actina associati a miosina non muscolare. Ci sono i periciti, che sono intimamente associati ai vasi di piccolo calibro, quali venule e capillari, che non presentano muscolatura liscia e inoltre sono cellule contrattili capici di determinare vasocostrizione. Tra le cellule fisse troviamo anche i macrofagi, alcuni melanociti, adipociti e poi i mastociti i quali si trovano nel torrente circolatorio e completano il loro sviluppo nel tessuto connettivo. Le cellule staminali mesenchimali permangono anche dopo lo sviluppo in particolari zone di tessuti chiamate NICCHIE. Di solito le cellule che finiscono con “blasto” (fibroblasto, condroblasto, ostoblasto) sono cellule altamente proliferanti che si dividono e producono qualcosa diventando “citi” (osteociti, condrociti, fibrociti) ovvero cellule mature, mentre i “blasti” sono cellule ancora immature. Ad esempio l'osteocita non è altro che la forma matura dell'osteoblasto, così come il condrocita non è altro che la forma matura del condroblasto e la stessa regola vale anche per il fibroblasto e fibrocita. Quando il fibroblasto è in intensa attività è fortemente basofilo, poiché ricco di ribosomi per la produzione delle proteine necessarie ai componenti che deve formare ed assemblare, nella sua forma inattiva è dunque non è basofilo. Il fibroblasto è la cellula più abbondante nel connettivo propriamente detto e costruisce e secerne come detto, le subunità proteiche delle fibre, inoltre secerne GAGs come l'acido ialuronico. Il fibroblasto nella produzione delle fibre, si pone intimamente a contatto con le fibre che sta producendo quindi è evidente soltanto il nucleo in particolare per la colorazione ematossilina-eosina. La forma dei fibroblasti è “fusata” e in generale tutte le cellule mesenchimali vengono definite a “fusal structure” cioè con nucleo centrale e a lato il citoplasma a formare due prolungamenti. Nell'immagine sottostante possiamo vedere bene l'assemblaggio extracellulare del collagene scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo fibroblasti in coltura con la tipica forma fusata e allungata ai lati del citoplasma con nucleo centrale. Sotto invece notiamo la sezione di fibrociti, infatti quando il fibroblasto ha finito di secernere nella matrice extracellulare tutte le sostanze prodotte all'interno, il nucleo diventa schiacciato, quindi un fibroblasto ha il nucleo tondeggiante, mentre il fibrocita ha un nucleo schiacciato. scaricato da www.sunhope.it Vediamo adesso un altro tipo di cellule: i MASTOCITI (spesso situate vicine ai vasi sanguigni) I mastociti, rotondeggiante, nucleo centrale e caratterizzati da granuli basofili per la forte presenza di eparina che è un GAG altamente solfato, con forte carica negativa (ciò spiega la colorazione dei granuli) con azione anticoaugulante. I mastociti quindi sono cellule ripiene di granuli sia di eparina che di istamina (agisce in una reazione allergica) che ha azione vasodilatatrice e aumenta la permeabilità vascolare. Il mastocita viene prodotto dal midollo osseo e entra in circolo nella fase immatura (cioè senza granuli) quando poi si porta a livello del connettivo finisce la sua maturazione e il suo differenziamento con la produzione dei granuli caratteristici. Colorazione ideale per notare i mastociti è sicuramente il blue di toulidina. Possiamo dividere i mastociti in due sottogruppi, ovvero quelli che troviamo a livello del tessuto connettivo dell'epidermide, della sottomucosa intestinale, ghiandola mammaria, linfonodi ascellari che hanno granuli di triptasi (prodotta nelle reazioni infiammatorie, quindi è anche indice di una infiammazione) e chimasi, e poi il gruppo che si trova nei polmoni e nella mucosa intestinale che produce solo granuli di triptasi che aumentano in soggetti colpiti da psoriasi dell'epidermide, infatti i soggetti che soffrono di psoriasi avranno mastociti ripieni di granuli di triptasi. I mastociti non si trovano a livello del cervello e del midollo spinale, per evitare che in questi punti si possano innescare reazioni infiammatorie o allergiche, perché proprio i mastociti intervengono in entrambi i processi. Infatti sulla membrana del mastocita è presente IgE (si approfondirà anche nel sistema immunitario) e nel momento in cui l'antigene attiva il mastocita con il contatto con IgE si avrà l'esocitosi dei granuli presenti all'interno della cellula. Sotto vediamo un esempio di colorazione proprio con blue di toulidina in cui sono evidenti i mastociti con i loro caratteristici granuli. Altra cellula importantissima nel tessuto connettivo è il MACROFAGO (la cellula da cui derivano i macrofagi sono i monoblasti, che si differenziano in monociti e vanno nel torrente ematico. Successivamente i monociti migreranno nei tessuti dove matureranno definitivamente a formare i macrofati, che all'interno del connettivo possono essere distinti in fissi, che sono presenti in condizioni normali nel connettivo e migranti che si trova nel tessuto in caso di danno come nel processo infiammatorio). La principale funzione del macrofago è la fagocitosi, è infatti uno “spazzino cellulare”, inoltre interviene nelle reazioni allergiche e infiammatorie, e anche nell'emocateresi dei globuli rossi perché una volta che gli eritrociti vanno in senescenza, e quindi “smembrato” e la parte non digeribile, viene fagocitata dai macrofagi. Il macrofago ha una forma tondeggiante e un nucleo centrale, possiede un'intensa basofilia perché è in continua attività di sintesi proteica (quindi Golgi molto sviluppato). La cellula macrofagica fissa nasce per differenziazione del monocita circolante, e come detto ha la funzione di fagocitare cellule danneggiate e particelle scaricato da www.sunhope.it estranee, inclusi batteri patogeni, inoltre i materiali ingeriti vengono distrutti principalmente da enzimi lisosomiali; in sostanza reagiscono a stimoli rilasciando sostanze attivanti del sistema immunitario, infatti i macrofagi hanno sulla propria superficie l'HLA (o MHC) di classe 2 che è il complesso maggiore di istocompatibilità, ha il compito di presentare l'antigene e una volta esposto tale antigene, viene riconosciuto dai linfociti T helper (CD4) con produzione di citochine e attivazione della risposta immunitaria. I macrofagi infatti vengono dette anche APC ovvero letteralemente cellule che presentano l'antigene (a questa categoria appartengono anche i linfociti B e le cellule del Langerhans) . I macrofagi liberi hanno la stessa funzione dei macrofagi fissi, ma sono molto mobili e si portano nel connettivo solo nel momento in cui sono attratti da un focolaio di infezione. I LINFOCITI è la cellula mediante della risposta immunitaria e sono divisi in linfociti T e linfociti B, entrambi prodotti a livello del midollo osseo, mentre il linfocita B è prodotto già nella sua forma matura, il linfocita T è prodotto nel midollo osseo ma matura nel timo (organo linfoide). Il linfocita ha il nucleo centrale, e il rapporto nucleo-citoplasma è a favore del nucleo. Quando il linfocita B è attivato, perché vi è un antigene, si trasforma in PLASMACELLULA che quindi non è altro che il linfocita B attivato, caratterizzato da apparato del Golgi e reticolo endoplasmatico rugoso molto abbondante data la produzione di immunoglobuline, al contrario di quanto avviene nella sua forma inattiva. Tra le cellule del tessuto connettivo propriamente detto ci sono anche degli ADIPOCITI, che sono caratterizzati da un grande vacuolo ripieno di una grande gocciola di grasso (otticamente vuoto) e un nucleo molto periferico e un sottilo file di citoplasma. Gli adipociti sono presenti nel connettivo propriamente detto perché forniscono energiano e sono capaci di metabolizzare 3 classi di lipidi, precisamente trigliceridi, fosfogliceridi ed esteri del colesterolo e la molecola segnale che attiva il metabolismo è la leptina. Nelle fasi di maturazione degli adipociti più vacuoli si uniscono a formare un unico grande vacuolo. Il tessuto adiposo si divide in tessuto adiposo bruno e tessuto adiposo bianco; quello bruno lo troviamo soprattutto negli animali che vanno in letargo, è costituito da adipociti multivacuolati, quello bianco invece è costituito da adipociti univacuolate che nella loro formazione erano però multivacuolate. Abbiamo qui sotto l'immagine di un tessuto adiposo univacuolare: In particolare non deve essere confuso con l'epitelio pavimentoso semplice ad esempio dell'alveolo; le differenza sostanziale ovviamente è che nell'epitelio abbiamo più cellule (e dunque nuclei) tutti vicini e giustapposti che delimitano il nucleo rispetto a quelli dell'immagine precedente in cui sono particolarmente isolati, infatti ogni cellula adiposa è caratterizzata da un unico nucleo periferico e un sottilissimo strato di citoplasma, oltre alla gocciola lipidica all'interno che è otticamente vuota. scaricato da www.sunhope.it Tessuti di origine mesenchimale Oltre i connettivi propriamente detti, abbiamo i connettivi di origine mesenchimale, che derivano anch'essi proprio dalla cellula staminale mesenchimale, che dà origine a sua volta a tutte le cellule dei connettivi, anche quelli specializzati. I connettivi propriamente detti e i connettivi in senso lato (di origine mesenchimale e connettivi di origine embrionale come il mucoso) derivano tutti dal medesimo tessuto embrionale che è appunto il MESENCHIMA, e pur avendo notevoli differenze condividono una serie importanti di caratteristiche istologiche, tra cui: l'avere cellule relativamente rade e l'abbondante matrice extracellulare la cui composizione caratterizza il tipo di tessuto. Qui sopra vediamo il MESENCHIMA, e notiamo subito, che rispetto ai tessuti connettivi propriamente detti, che il numero di cellule è maggiore ed inoltre le cellule stesse sono quasi stellate, non proprio fusate. Sopra vediamo invece un connettivo di tipo mucoso, che ritroviamo ad esempio nella gelativa del Wharton, a livello del cordone ombelicale scaricato da www.sunhope.it In sostanza quindi il tessuto connettivo mucoso (detto anche tessuto connettivo embrionale) nell'adulto è un connettivo povero di fibre, molta sostanza fondamentale e che troviamo soltanto a livello dell'umor vitreo dell'occhio e della polpa del dente, mentre il mesenchima, lo troviamo solo nell'embrione (è definito infatti tessuto connettivo embrionale). Tessuto connettivo lasso (o areolare) Dalla parola “lasso” si può comprendere che si tratta di un tessuto connettivo composto da poche fibre e lassamente intrecciate tra di loro a favore proprio della matrice extracellulare. Qui sotto ne abbiamo una descrizione con i vari componenti evidenziati. Si vedono quindi meglio le cellule, proprio per le poche fibre e l'abbondanza della ECM scaricato da www.sunhope.it Tessuto connettivo denso Occupato per la maggior parte da fibre strettamente stipate tra loro e si distiunge in regolare e irregolare a seconda di come le fibre sia disposte, ovvero in maniera uniforme oppure molto più disordinata. Sotto vediamo nell'ambito di una sezione di epidermide, il derma che è un connettivo denso irregolare (lo troviamo anche a livello del PERIOSTIO ovvero il connettivo che circonda il tessuto osseo), rispetto ad un esempio di connettivo denso regolare come per esempio nel tendine (in cui troviamo abbondanza di fibre collagene disposte in fasci paralleli ed elastina per resistere a trazioni e carichi e al tempo stesso conferire elaasticità). Le fibre del connettivo denso regolare sono strettamente impacchettate e allineate e la sua grande resistenza lo rendo adatto a formare tendini, aponeurosi, fasce e legamenti (che mostrano anche abbondanti fibre elastiche). Sotto vediamo ancora un esempio di tessuto connettivo fibroso denso regolare, in cui le fibre sono strettamente stipate e la matrice extracellulare è scarsissima scaricato da www.sunhope.it Questo sopra invece è definito tessuto connettivo denso regolare a fasci paralleli, che si trova precisamente, nella sezione in questione, a livello del PERICONDRIO che è il connettivo che circonda la cartilagine, è fondamentale perché rappresenta il vero nutrimento della cartilagine, la quale è avascolarizzata . In entrambi i casi, ovvero nel caso del derma che presenta un connettivo denso irregolare e della cartilagine che presenta un connettivo denso regolare, la funzione è principalmente trofica dato che, l'epidermide non è vascolarizzata e neanche la cartilagine. Anche se la cartilagine è un tessuto connettivo specializzato ( e i connettivi per definizione hanno anche funzione trofica) essa non è vascolarizzata, a differenza per esempio dell'osso in cui passano vasi, e per questo la cartilagine possiamo definirla una sorta di anomalia all'interno del concetto di connettivo stesso. Anche il sangue è un connettivo e infatti ha funzione trofica e possiede la ECM che non è altro che, nel caso del sangue, il plasma. In realtà il PERICONDRIO è come se fosse formato da due zone: una a contatto con la cartilagine, ricca di condroblasti e un'altra, non a contatto, ricca di fibroblasti come si vede nell'immagine. scaricato da www.sunhope.it La ECM della cartilagine è costituita dall'80% di acqua, di proteoglicani e GAGs proprio perché deve facilitare la diffusione dei nutrienti, essendo avascolarizzata. La cartilagine non è vascolarizzata perché si trova in zone soggette a pressione, per esempio nelle superfici articolari, infatti la cartilagine oltre ad essere avascolarizzata, non è neanche innervata. Il tessuto connettivo fibroso denso si trova anche a livello dei legamenti. Il connettivo denso irregolare si trova nel derma, nel PERIOSTIO, guaine di tendini e nervi, e capsula dibrosa che avvolge gli organi Sopra abbiamo un esempio di tessuto connettivo fibroso denso irregolare, in particolare una sezione del DERMA. Sotto invece troviamo una piccola schematizzazione del tessuto connettivo scaricato da www.sunhope.it Tessuto cartilagineo Nell'individuo adulto, la cartilagine si trova a livello delle superfici articolari, cartilagini costali, orecchio esterno, cartilagini del naso, la laringe e anche in trachea e bronchi. Le principali proprietà della cartilagine sono: avere un tessuto solido più flessibile proprio per la composizione della sua ECM descritto poco più sopra, ma meno duro e resistente dell'osso (che è formato da una matrice calcificata di IDROSSIAPATITE) inoltre la cartilagine non contiene vasi (e la nutrizione avviene per diffusione, per questo motivo il PERICONDRIO risulta essere riccamente vascolarizzato e circonda la cartilagine stessa fornendo il nutrimento necessario). Il tessuto cartilagineo resiste alla compressione, assorbe elasticamente le sollecitazioni meccaniche e riduce gli attriti nelle articolazioni, e proprio per questi motivi non può essere vascolarizzato, inoltre mantiene la pervietà delle vie aeree, e funzione fondamentale, “guida” lo sviluppo dello scheletro osseo nell'embrione, in realtà si forma uno scheletro di tessuto cartilagine che viene sostituito successivamente da tessuto osseo. Troviamo tre tipi di cartilagine: • Ialina (la più diffusa): così detta perché poco colorabile, cioè traslucida bianco-bluastra perché ricca di GAGs, e acqua, per questo assume l'aspetto traslucido, e c'è prevalenza di collagene di tipo II • Elastica : prevalenza di fibre elastiche e di collagene di tipo II, risulta giallastra, opaca e si trova nel padiglione auricolare, è definita anche “ cartilagine cellulare” • Fibrocartilagine: è una cartilagine di transizione tra tessuto connettivo denso e cartilagine ialina e a differenza degli altri due tipi di cartilagine c'è prevalenza di collagene di tipo I e non possiede il PERICONDRIO perché c'è già il connettivo denso che è riccamente vascolarizzato Nel tessuto cartilagineo troviamo tre tipi di cellue: Condroblasti, Condrociti e Condroclasti (così come gli osteoclasti sono un tipo di cellule deputate alla degradazione della matrice e sono di origine monocita-macrofagica quindi dal differenziamento del monocita che poi matura in macrofago, mentre condroblasti e condrociti derivano dal differenziamento della cellula mesenchimale). I condroclasti e gli osteoclasti quindi hanno attività di distruzione e rimodellamento. scaricato da www.sunhope.it I condrociti e condroblasti sono cellule sferiche od ovoidali “sequestrate” all'interno di lacune nella matrice cartilaginea a formare i così detti “gruppi isogeni”. In pratica il condroblasto comincia a produrre tutti gli elementi della matrice extracellulare e così rimane intrappolato in lacune, perché produce la matrice, la cellula si separa gradualmente e operando successive due o tre divisioni, matura in condrocita, anche nell'osso vi è la stessa situzione, infatti un osteoblasto produce tutte le proteine e gli elementi fondamentali per la ECM, rimane intrappolato nella “lacuna ossea” e diventa osteocita. Quindi ogni lacuna contiene una o più cellule Il gruppo isogeno è definito tale perché è formato da 3-5 cellule che derivano da un'unica cellula. scaricato da www.sunhope.it Nel tessuto cartilagineo noi riconosciamo la matrice INTRATERRITORIALE e matrice EXTRATERRITORIALE. Quella intraterritoriale è quella, nell'immagine precedente, colorata in una tonalità più scura e che si trova all'interno del gruppo isogeno, quella invece extraterritoriale è quella che circonda i gruppi isogeni. Qui sopra invece vediamo una bella immagine di come lavora il condroblasto (caratterizzato dal nucleo parzialmente schiacciato) nella produzione di fibre collagene. Inoltre i condroblasti producono anche fibre elastiche che a differenza del collagene si allungano se sottoposte a trazione, inoltre i condroblasti producono anche la cosiddetta “sostanza fondamentale amorfa” una miscela di macromolecole in grado di controllare il livello di idratazione del tessuto, conferendo alla cartilagine il caratteristico stato di “gel solido”. Dunque a livello della ECM troviamo: fibre collagene (prevalentemente collagene di tipo II, e di tipo I nella fibrocartilagine) fibre elastiche, sostanza amorfa (proteoglicani, GAGs) e acqua. Quindi i condroblasti hanno il nucleo intenstamente basofilo perché hanno il RER molto sviluppato proprio perché sono deputati alla produzione degli elementi fondamentali per la matrice extracellulare, a differenza dei condrociti, che sono cellule già mature. Quindi il meccanismo di base è che ad una intensa attività biosintetica corrisponde una maggiore basofilia e quindi abbondanza di ribosomie, RER e Golgi, a differenza della forma matura in cui diminuiscono i ribosomi e gli organelli biosintetici e quindi aumenta l'acidofilia. Cartilagine Ialina Si trova a livello della terminazioni articolari delle ossa lunghe, nel naso esterno, nella laringe, nella trachea e nei bronchi. Le principali caratteristiche sono: la prevalenza di collagene di tipo II, la matrice basofila, l'organizzazione dei condrociti in gruppi isogeni e il PERICONDRIO è sempre presente ad eccezione della cartilagine articolare e dell'epifisi scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo la cartilagine ialina, con i condrociti organizzati in gruppi isogeni e il pericondrio nella parte destra dell'immagine. Nell'immagine sotto invece vediamo in corrispondenza della P il pericondrio, poi subito al di sotto, notiamo i condroblasti a livello della C che si stanno dividendo e che stanno maturando in condrociti, ed infatti non sono ancora organizzati in gruppi isogeni. Ancora sotto vediamo poi i condrociti che caratterizzati dall'organizzazione in gruppi isogeni (IG). Dunque sono i condrociti che derivanti da varie divisioni di un condroblasto rimangono intrappolati in lacune cartilaginee ovvero i gruppi isogeni. In particolare nell'immagine sottostante ci troviamo a livello della TRACHEA caratterizzata dall'epitelio pluriseriato con cellule caliciformi mucipare, dalla cartilagine ialina al di sotto del connettivo. scaricato da www.sunhope.it Cartilagine Elastica La cartilagine elastica ha in comune con la ialina, il collagene di tipo II ed il PERICONDRIO, inoltre è detta elastica per la prevalenza proprio di fibre elastiche. Si trova a livello del padiglione auricolare, del meato uditivo esterno, della tuba uditiva, dell'epiglottide e della cartilagine cuneiforme della laringe. Le principali differenze invece, con la cartilagine ialina sono: il collore giallastro della cartilagine elastica dovuto proprio alle fibre elastiche, e di conseguenza una maggiore flessibilità ed elasticità, inoltre la cartilagine elastica possiede meno sostanza amorfa e un basso contenuto in proteoglicani. Rispetto alla cartilagine ialina ci sono cellule più ravvicinate e quindi vi è minore quantità di sostanza fondamentale. Teoricamente dovrebbe essere meno adatta alla resistenza degli urti poiché tale caratteristica è data proprio dall'abbondanza di proteoglicani che assorbono acqua e quindi creano uno stato di gel solido adatto alla resistenza meccanica, infatti tale cartilagine si trova principalmente in zone non soggette a forti sollecitazioni. Fibrocartilagine Risulta essere una cartilagine di transizione tra tessuto connettivo denso e cartilagine ialina, inoltre risulta essere caratterizzata dalla presenza di collagene di tipo I (che si trova anche nell'osso) e i condrociti sono organizzati in file parallele tra fasci di collagene. Si trova a livello di dischi intervertebrali, vari menischi e labbri articolari, sinfisi pubica, legamento rotondo del femore e zona d'inserzione dell'osso di alcuni tendini. Il collagene di tipo II vi si trova anche nella fibrocartilagine ma è minore rispetto a quello di tipo I per la presenza del tessuto connettivo denso. scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo un esempio di fibrocartilagine in cui sono evidenti i densi e abbondanti fasci di fibre collagene e la poca ECM ma in particolare sopra e sotto il riquadro verde vediamo alcuni condrociti, quindi bisogna prestare attenzione a non scambiare questo tipo di tessuto con un connettivo denso a fasci paralleli. Sopra invece si nota la fibrocartilagine relativa alla sinfisi pubica con i condrociti disposti parallelamente alle fibre collagene scaricato da www.sunhope.it La fibrocartilagine è definita di “transizione” proprio perché è di passaggio tra il connettivo denso e la cartilagine ialina come è possibile vedere bene nell'immagine sopra. In più nell'ambito delle cartilagini si possono trovare tessuto condroide (o pseudocartilagineo), tessuto cordoide (o vascicoloso) e degenerazione asbestiforme. Il tessuto condroide presenta cellule piccole e abbastanza turgide, e si trova raramente nella specie umana ad esempio nelle ossa sesamoidi e in alcuni menischi, il tessuto cordoide invece è composto da grosse cellule vescicolose accostate le une alle altre senza interposizione di sostanza intercellulare, inoltre costituisce la notocorda (o corda dorsale) e nell'uomo è rappresentato dal nucleo polposo del disco intervertebrale. Per quanto riguarda l'istogenesi del tessuto cartilagineo come già detto, si parte da una cellula staminale mesenchimale a cui scompaiono i prolungamenti, vi è l'aggregazione in centri di condrificazione, e i condroblasti iniziano a produrre fibre collagene ed altri elementi della matrice, fino a maturare in condrociti dividendosi più volte, rimanendo intrappolati in lacune cartilaginee. Inoltre per quanto riguarda specificamente la cartilagine, possiamo notare due tipi di accrescimento: • Interstiziale: la cartilagine si espande dall'interno attraverso la divisione dei condrociti e la produzione di nuova matrice • Per apposizione: l'aggiunta di cartilagine sulla superficie esterna tramite la differenziazione di nuovi elementi mesenchimali in condroblasti (per esempio avviene a livello del pericondrio) Con il passare degli anni vi è l'aumento delle proteine non collageniche con diminuzione dei proteoglicani e conseguente perdita della trasparenza, vi possono essere calcificazioni anomale e osteoartrite con usura delle articolazione. La capacità rigenerativa della cartilagine è limitata e di solito quando si parla di rigenerazione vi è un riferimento al pericondrio, in cui vi sono le cellule staminali mesenchimali, dunque ogni tipo di rigenerazione della cartilagine parte sempre dal pericondrio stesso. scaricato da www.sunhope.it Tessuto osseo Il tessuto osseo è un tessuto connettivo specializzato, e come tutti i connettivi è costituito sia da cellule che da matrice, la principale differenza rispetto agli altri connettivi studiati è a proprietà di avere la matrice mineralizzata, quindi calcio e fosfato sono fondamentali per l'osso tanto che quest'ultimo rappresenta il principale organo di accumulazione e di riserva per il calcio, infatti la prima cosa che succede quando si abbassa la calcemia nel livello ematico, è la secrezione di paratormone che “stacca” il calcio dalle osse, agendo con un meccanismo di feedback con la calcitonina che invece “fissa” il calcio alle ossa, abbassando il livello di calcio nel torrente sanguigno. Inoltre il calcio è fondamentale anche per la sintesi del DNA, infatti, quest'ultimo non si duplica se non vi è presenza di calcio quindi si può dedurre come l'osso sia fondamentale per l'omeostasi di tale elemento. La matrice mineralizzata è costituita da calcio e fosfato che vanno a costituire cristalli di idrossiapatite, quindi la differenza principale rispetto a tutti gli altri connettivi è proprio questa matrice mineralizzata. Ci sono due tipi di tessuto osseo, ovvero LAMELLARE E NON LAMELLARE, in particolare si focalizzerà l'attenzione su quello di tipo LAMELLARE, che a sua volta si può dividere COMPATTO E SPUGNOSO (o trabecolare), mentre quello NON LAMELLARE può essere a fibre intrecciate e a fibre non intrecciate. Nel caso del tessuto osseo compatto, si troverà una forte componente di matrice mineralizzata, in quello spugnoso si troveranno numerosi spazi, o trabecole, e quindi vi sarà meno matrice mineralizzata. Le principali funzioni dell'osso sono: il sostegno meccanico, la locomozione, la protezione e la riserva metabolica (sali minerali e omeostasi del calcio e fosfato). Quindi tra le cellule del tessuto osseo troviamo per differenziamento della cellula staminale mesenchimale, dapprima cellule osteoprogenitrici, successivamente osteoblasti e per ulteriore differenziamento gli osteociti, mentre gli osteoclasti derivano dalla linea monicita-macrofagica. Come in tutti gli altri connettivi troviamo la matrice organica composta in questo caso da collageno I, GAGs, proteoglicani e glicoproteine, tale matrice è detta anche OSTEOIDE quando non è mineralizzata. Poi vi sono i sali minerali inorganici ovvero idrossidi di calcio e di fosfato che vanno a formare i cristalli di idrossiapatite. Quindi l'OSTEOIDE è la struttura in cui non è ancora avvenuta la mineralizzazione della matrice, infatti quando quest'ultima si mineralizza si parlerà di OSTEONE del tessuto osseo compattheo lamellare. La struttura base di un osso lungo è composta da una cavità midollare centrale, in cui alloggia proprio il midollo emopoietico, poi troviamo l'osso compatto che compone la diafisi, e le epifisi che sono composte principalmente da osso spugnoso, in cui troviamo trabecole e cavità midollari sedi del midollo emopoietico. La zona in cui vi è l'unione tra diafisi ed epifisi è chiamata metafisi. Il PERIOSTIO è invece, il tessuto connettivo denso irregolare che circonda l'osso. Vi è poi la cartilagine articolare che è l'unico caso di cartilagine in cui non troviamo il PERICONDRIO. Quindi il periostio avvolge tutto l'osso tranne nei punti in cui vi è la cartilagine articolare che è il punto di inserzione per ossa e tendini. Il periostio inoltre risulta fondamentale perché al suo interno vi sono cellule che supportano l'omeostasi tissutale ossea. Immediatamente al di sotto del periostio, soprattutto nella diafisi, vi è l'osso lamellare compatto. Al centro vi è la cavità midollare nella quale è alloggiato il midollo osseo scaricato da www.sunhope.it che produce tutte le cellule del sangue. Nell'epifisi invece, come detto, troviamo osso spugnoso (o trabecolare) che accoglie il midollo osseo. Esternamente quindi abbiamo la diafisi che avvolge l'osso, mentre l'ENDOSTIO delimita la cavità midollare, avvolgendola. Sopra possiamo vedere due immagini dell'organizzazione della struttura del tessuto osseo. Gli OSTEONI sono delle unità circolari costituite da lamelle che si dispongono concentricamente rispetto al canale di Havers il quale contiene vasi e nervi. Oltre al canale centrale vi sono altri canali che sono perpendicolari ai canali di Havers, e sono detti canali di Volkmann. Gli osteociti sono quelle cellule con prolungamenti che si vedono nell'immagine a destra e che si dispongono intorno al canale di Havers e alle lamelle dell'osteone, quindi anche gli osteociti, come l'osteone stesso, hanno una disposizione circonferenziale e prendono contatto con i due canali sanguigni da cui prendono nutrimento tramite i loro prolungamenti. Come vediamo nell'immagine a sinistra, gli osteoni sono delimitati dalla lamella circonferenziale esterna (outer circumferential lamellae) e fra un osteone e l'altra vi sono delle lamelle interstiziali (interstitial lamellae). Inoltre vi è anche una lamella circonferenziale interna (inner curcumferential lamellae) che invece termina proprio con l'ENDOSTIO, che è una sottile lamina di cellule pavimentose che riveste le cavità midollari (sia nelle diafisi delle ossa lunghe sia nell’osso spugnoso) nonché tutte le altre cavità dell’osso (canali di Havers e di Volkmann). È formato da un singolo strato di cellule che durante lo sviluppo e la crescita sono osteoblasti attivi con funzione osteoformativa e si trasformano in osteoblasti quiescenti o cellule osteoprogenitrici con potenzialità osteogeniche nell’adulto. Si notano nell'immagine sotto invece le fibre di Sharpey, le quali sono fibre di collagene, che hanno il compito di tenere attaccato il periostio al tessuto osseo inserendosi perpendicolarmente al sistema circonferenziale esterno (lamella circonferenziale esterna) e alle lamelle interstiziali. Le lamelle sono aggreate in strati paralleli e disposte in maniera circonferenziale, sono costituite da cellule e da sostanza intercellulare (importante collagene di tipo I), inoltre gli osteociti sono accolti in cavità scavate nella matrice calcificata dette lacune ossee. scaricato da www.sunhope.it Gli osteociti si trovano in lacune ossee per lo stesso principio descritto nel caso dei condrociti, infatti gli osteoblasti, conseguentemente alla differenziazione maturano in osteociti, che rimangono intrappolati in lacune, andando a formare la tipica struttura delle lamelle (principalmente composte da collagene di tipo I) e quindi dell'osteone stesso. La matrice organica dell'osso è formata da fibre collagene (di tipo I) disposte in maniera ordinata in ciascuna lamella ed in senso antiparallelo rispetto alle lamelle contigue, inoltre come tutti i connettivi ci sono proteoglicani, GAGs e glicoproteine (in particolare osteopontina, osteocalcina, osteonectina, decorina, osterix, BAPe BSP ovvero proteina sialica dell'osso). La matrice inorganica dell'osso invece, aumenta durante sviluppo e accrescimento fino a raggiungere il 65% del peso secco dell'osso, ed è composta principalmente da fosfato di calcio e carbonato di calcio, sotto forma di aghi sottili (cristalli di idrossiapatite) combinati con le fibrille collagene. scaricato da www.sunhope.it Gli osteociti per prendere contatto con i canali di Havers e di Volkmann, hanno nei loro prolungamenti delle giunzioni GAP, fondamentali per consentire la funzione trofica. Sopra possiamo vedere due immagini di tessuto osseo lamellare compatto, nella tipica struttura degli osteoni, in cui si notano anche i prolungamenti degli osteociti e i sistemi interstiziali scaricato da www.sunhope.it Sotto vediamo invece un esempio di osso spugono con midollo, in cui come detto prima, tra le trabecole alloggia il midollo osso ematopoietico. Le cellule del tessuto osseo sono le stesse, ma non troviamo la disposizione lamellare, ed è questa la principale differenza, bensì troviamo trabecole, per questo motivo, questo tipo di tessuto osseo viene detto anche trabecolare proprio perché le cellule non si dispongono a formare gli osteoni. Come già detto il PERIOSTIO è una membrana connettivale riccamente vascolarizzata che riveste l'osso, e si ancora ad esso ramite delle fibre collagene dette fibre di Sharpey, inoltre è assente sulle superfici articolari e sulle zone di inserzione di tendini e legamenti, l'ENDOSTIO invece è un sottile strato cellulare appiattito incompleto e contiene osteoblasti, preosteoblasti, osteoclasti e cellule staminali e riveste le trabecole dell'osso spugnoso, le cavità midollari, i canali di Havers e i canali di Volkmann. Risulta logico il perché osteoblasti e preosteoblasti si trovino a livello dell'endostio, data la loro natura di cellule immature, che differenziandosi andranno a formare la matrice e le cellule proprie del tessuto osseo, dunque gli osteociti. L'osteoclasto invece derivante dalla linea monicitamacrofagica, interviene nella rigenerazione dell'osso e nell'omeostasi del calcio. Se nell'osso si distrugge la componente organica l'osso conserva la forma e diensione originali ma diventa fragile come porcellana, nel caso in cui si distruggesse la componente inorganica l'osso perderebbe la sua durezza e la rigidità diventando flessibile ma conservando la resistenza alla trazione. Le cellule principali dell'osso sono, le cellule osteoprogenitrici staminali (sono già indirizzate verso l'osso, derivante dalla cellula staminale mesenchimale) osteoblasti, osteociti e osteoclasti (proveniente dalla linea monicita-macrofagica quindi dal midollo osseo). scaricato da www.sunhope.it La cellula staminale mesenchimale nell'immagine si divide in cellule osteoprogenitrici che sono localizzate anche nel PERIOSTIO (e nell'ENDOSTIO), poiché l'accrescimento avviene dall'esterno verso l'interno, e queste cellule osteoprogenitrici possono differenziarsi in osteoblasti che si differenziano poi in osteociti, oppure gli osteoblasti possono differenziarsi in cellule del periostio, il procedimento analogo avviene anche per l'endostio. L'accrescimento dell'osso avviene solo per apposizione. Generalmente nel periostio e nell'endostio infatti, dopo i processi osteoformativi, permangono cellule osteoprogenitrici e quindi cellule con capacità osteogeniche. L'osteoclasto deriva dalla linea monicita-macrofagica, e si differenzia prima in osteoclasto inattivo e poi in osteoclasto attivato. La morfologia è diversa nelle varie cellule poiché è diversa anche la funzione dei vari citotipi: infatti l'osteocita è una cellula con nucleo centrale e prolungamenti schiacciati, l'osteoblasto invece ha una scaricato da www.sunhope.it forma cuboidali, sembra quasi polarizzata, e nel momento in cui deve produrre matrice, forma insieme ad altri osteoblasti, uno strato a “palizzata”, mentre gli osteoclasti hanno forma quasi ovoidale presentano un orletto increspato e si lega alla matrice creando la lacuna di Howship, e poi ci sono le cellule osteoprogenitrici che sono più appiattite con nucleo centrale. Quindi come già ripetuto le cellule osteoprogenitrici derivano dlle cellule staminali mesenchimali e mantengono la capacità di dividersi, gli osteoblasti invece non solo sintetizzano la matrice organica dell'osso ma posseggono anche recettori per l'ormone paratiroideo fondamentale nel meccanismo di regolazione del calcio ematico, infatti quando si abbassa il livello ematico di calcio, la paratiroide produce il paratormone, che andrà a stimolare indirettamente gli osteoclasti attraverso gli osteoblasti poiché non ha i recettori sugli osteoclasti, e favorirà l'attivazione o il differenziamento degli osteoclasti stessi. Il PTH (paratormone) infatti stimola l'osteoclastogenesi tramite gli osteoblasti che hanno sulla propria superficie, il recettore per il PTH stesso (per i dettagli molecolari, pag 287 Monesi). Sopra vediamo un'immagine in cui ci sono gli osteoblasti, nella caratteristica forma cuboidale insieme ad un osteoclasto, il quale è principalmente una cellula polarizzata con una specializzazione di membrana rivolta verso l'osso in assorbimento, formata da un caratteristico orletto detto “ruffled border”. Gli osteoclasti sono sincizi polinucleati e servono al rimodellamento e al riassorbimento osseo tramite pompe protoniche che dissolvono la matrice mineralizzata e enzimi lisosomiali (come la catepsina K) per la degradazione della matrice organica. Nell'immgine possiamo vedere gli osteoblasti nella forma a “palizzata” creando così uno strato epitelioide che è caratteristico nell'osso in formazione, mentre l'alloggio dell'osteoclasto è la caratteristica lacuna di Howship formata proprio dalla sua attività litica. Gli osteociti quindi sono le cellule mature dell'osso derivanti dagli osteoblasti, che rimangono intrappolate nelle loro lacune, sono caratterizzati da prolungamenti (fibre del Tomes) in canalicoli; inoltre i prolungamenti come già detto, presentano giunzioni GAP che hanno il compito di collegare i citoplasmi di cellule adiacenti. scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo l'osteocita con i tipici prolungamenti che si trovano nei canalicoli, mentre il corpo cellulare si trova nella lacuna. Quindi in generale man mano che gli osteoblasti producono matrice, si allontanano reciprocamente, dissolvendo lo strato a “palizzata” differenziandosi in osteociti. Gli osteoclasti invece, sono cellule, come già detto, multinucleate, che derivano da progenitori macrofagici-granulocitici (GM-CFU) ed agiscono nel riassorbimento osseo, inoltre presentano recettori per OPLG (stimolante le colonie) e calcitonina. L'enzima chiave della loro azione litica è un'idrolasi acida lisosomiale ovvero la FOSFATASI ACIDA (molto importante). Il meccanismo d'azione inizia con l'adesione dell'osteoclasto alla matrice bersaglio attraverso recettori integrinici e glicoproteine quali OPNe BSP le quali ancorano gli osteoclasti a livello della “zona sigillante o zona chiara” che è un anello a stretto contatto con la matrice, che si forma nella scaricato da www.sunhope.it zona periferica del sincizio, in cui sono stipate delle strutture puntiformi di adesione cellulare, ricche di actina, i podosomi, che hanno il compito di isolare il microambiente posto nella zona d'azione dell'osteoclasto per creare un vero e proprio lisosoma extracellulare. Nello spazio delimitato dall'anello e dai podosomi, si avrà l'acidificazione con rilascio di Hcl mediato da una pompa protonica e da un canale per lo ione cloro situati nella membrana dell'orletto striato (pag 287-288 Monesi); Per far funzionare gli osteoclasti e quindi i suoi enzimi, bisogna abbassare il PH tramite le pompe protoniche, quindi a partire dall'anidrasi carbonica (presente sul ruffled border) che catalizza la formazione di acido carbonico a partire da acqua ed anidride carbonica, vi sarà la sua dissociazione in H+ e HCO3- successivamente gli ioni bicarbonato ed Na+ attraversano la membrana e vanno nei capillari, mentre la pompa protonica della membrana trasporta gli H+ abbassando il PH in modo che la matrice mineralizzata (cristalli di idrossiapatite) solubilizzi. La lacuna di Howship diventa un vero e proprio “lisosoma extracellulare” e così le idrolasi e metalloproteasi (collagenasi e gelatinasi) secrete dall'osteoclasto degranano anche la componente organica della matrice decalcificata; tali prodotti vengono internalizzati dall'osteoclasto, degradati e versati nel sangue. Il processo si arresta quando la concetrazione del calcio raggiunge i livelli “soglia” nella lacuna per cui si apre il sensore di membrana podosomiale così da favorire il disassemblamento ed il distacco della cellula. Ossificazione Innanzitutto possiamo distinguere due tipi di ossificazione ovvero quella intramembranosa (o diretta) e quella endocondrale (o indiretta). In quella diretta, le cellule staminali mesenchimali si differenziano in cellule osteoprogenitrici e successivamente in osteoblasti, i quali producendo matrice, formano prima il tessuto osseo non mineralizzato, ovvero l'OSTEOIDE, e poi con la mineralizzazione si avrà il tessuto completo. L'ossificazione endocondrale, o indiretta invece, è definita così perché c'è un modello cartilagine che funge da stampo per il tessuto osseo. scaricato da www.sunhope.it In entrambi i casi l'osso origina sempre da un abbozzo di tessuto connettivo embrionale (MESENCHIMA) preesistente. In particolare all'ottava settimana di sviluppo, quando vi è la formazione degli arti, le cellule mesenchimali cominciano ad addensarsi; nel caso dell'ossificazione diretta si differenziano in cellule osteoprogenitrici quindi a produrre il fattore trascrizionale Runx2 o CDFa-1 (in particolare Runx2 è un fattore fondamentale per il differenziamento degli osteoblasti, pag 281 Monesi). Questo il fattore Runx2 o CDFa- viene sintetizzato, la cellula osteoprogenitrice diventa osteoblasto e diviene estremamente basofila, poiché deve sintetizzare le sostanze che andranno a formare il tessuto osteoide come l'osteocalcina, la BAP o sostanze fondamentali per i proteoglicani, successivamente si aggregano per creare lo strato “a palizzata”, ovvero uno strato epitelioide, che ricopre la superficie del tessuto osseo in formazione. Nell'ossificazione indiretta invece, le cellule mesenchimali si addensano, quindi le staminali mesenchimali proliferano e iniziano a produrre collagene di tipo II, che innesca il differenziamento delle staminali mesenchimali in condrociti, andando a formare l'abbozzo di cartilagine ialina; nel momento in cui inizia l'ossificazione endocondrale, i condrociti iniziano a proliferare, ma ad un certo punto terminano la loro proliferazione, e diventano ipertrofici, arricchendosi di glicogeno. L'ipertrofia permette di aumentare il volume delle cellule e di diminuire la matrice, la quale si assottiglia sempre di più e si calcifica per deposizione di ioni calcio. Nel momento in cui il condrocita si ipertrofizza, inizia a produrre il fattore VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor, già nominato a proposito del parenchima delle ghiandole endocrine) e collage di tipo X i quali inducono la formazione di vasi sanguigni a partire dal mesenchima; nel momento in cui si formano tali vasi, arrivano anche una serie di cellule quali mesenchimali, ematopoietiche e osteoclasti, in particolare gli osteoclasti digeriscono le spicole rimanenti della matrice e la parte di cellule mesenchimali si differenziano in osteoblasti, mentre gli osteoblasti già attivi vanno a deporre tessuto osteoide intorno alla trama cartilaginea. Poiché l'ossificazione endocondrale avviene soprattutto nelle ossa lunghe, scaricato da www.sunhope.it successivamente ci sarà un riassorbimento da parte di condroclasti e osteoclasti per favorire la formazione delle cavità midollare, dunque i vasi sanguigni che si creano non solo sono importanti per deporre cellule fondamentali per la formazione della matrice, ma servono anche per formare il tessuto ematopoietico che si troverà nella cavità midollare (tutto ciò avviene per la diafisi); nell'epifisi invece, questo riassorbimento non ci sarà da parte di condroclasti e osteoclasti poiché si formerà la struttura trabecolare dell'osso spugnoso, che verrà rimodellato successivamente. L'ossificazione intramembranosa (o diretta) avviene nelle ossa dermiche, quindi ossa del cranio (in particolare frontale, parietale e squama del temporale e dell'occipitale, e gran parte delle ossa della faccia, come l'osso mascellare, lo zigomatico), mandibola e clavicola (quest'ultima è la prima a formarsi nello sviluppo dell'embrione). Il mesenchima da cui originano le ossa membranose craniofacciali proviene dal 1° e dal 2° arco branchiale (o faringeo). Come si vede nell'immagine a sinistra, vediamo il mesenchima che si addensa, e le sue cellule che iniziano a proliferare, differenziandosi in osteoblasti, formando uno strato epitelioide, che produrrà matrice, e man man che queste cellule producono la matrice, alcuni di esse rimangono intrappolate e vanno a formare gli osteociti. In realtà questo tipo di osso non è né compatto né spugnoso, ma come abbiamo già detto, inizialmente l'osso immaturo ha un'organizzazione che non è lamellare, bensì a fibre intrecciate, in seguito poi ad un secondo rimodellamento avremo poi la formazione di osso maturo di tipo lamellare, o spugnoso o compatto, e come già detto nell'osso compatto le lamelle si disporranno ordinatamente in modo concentrico a formare l'osteoide, mentre nell'osso spugnoso le lamelle andranno a formare un labirinto di trabecole comunicanti tra di loro al cui interno alloggerà il midollo emopoietico. Nell'immagini a destra vediamo una sezione di ossificazione intramembranosa, e quindi come abbiamo già detto vediamo il mesenchima che si addensa nei centri di ossificazione e le sue cellule si differenziano grazie al fattore Runx2 o CDFa-1 , lo strato epitelioide degli osteoblasti (riconoscibile per la forma cuboidale) che produce matrice osteoide e anche alcuni osteociti che sono rimasti intrappolati all'interno della matrice nelle lacune ossee. Inizialmente quindi si forma una sorta di osso spugnoso. scaricato da www.sunhope.it Nell'immagine sopra vediamo in corrispendenza del numero 1 la matrice dell'osso, mentre in corrispondenza del numero 2 vediamo gli osteociti, e del numero 3 il periostio del quale lo strato interno, durante il periodo della morfogenesi dell'osso, è formato proprio da uno strato epitelioide di osteoblasti. Qui si vede un'altra immagine di ossificazione intramembranosa in cui si notano una serie di spicole, o cavità, che nel caso l'osso diventi spugnoso, vengono occupate dal midollo ematopoietico, e verranno rimodellate successivamente, nel caso invece si debba formare osso compatto, il processo continuerà fino a quando non verranno occupate anche tali cavità, con la formazione successiva di canali Haversiani, e rimodellamento con disposizione lamellare delle fibre collagene. scaricato da www.sunhope.it Sopra ancora un'immagine di ossificazione intramembranosa, più schematica, con i vari elementi e anche alcuni vasi sanguigni, oltre allo strato epitelioide di osteoblasti, la matrice ossea e gli osteociti intrappolati nelle lacune. L'osso immaturo come già detto, non ha una disposizione precisa né di vasi né di fibre collagene, quindi si tratta di osso non lamellare a fibre intrecciate, successivamente nel caso di formazione di osso compatto, si dovrà formare la struttura degli osteoni, con un particolare processo che avviene per tutta la vita, grazie alla rigenerazione del tessuto osseo. Gli osteoclasti scavano una cavità che viene invasa da mesenchima e vasi sanguigni; le cellule staminali mesenchimali differenzieranno in osteoblasti che depositeranno nuove lamelle, procedendo dall'esterno verso il centro dell'osteone che andranno a delimitare il vaso sanguigno formando la struttura a lamelle concentriche. L'ossificazione endocondrale (o indiretta) prevede un modello cartilagineo da cui si svilupperà poi il tessuto osseo, ed è tipica dello sviluppo delle ossa degli arti, della colonna vertebrale e del bacino. In questo caso ci concentreremo sull'ossificazione delle ossa lunghe. Per l'ossificazione intramembranosa vi era un unico centro di ossificazione, mentre per quanto riguarda l'ossificazione endocondrale vi sono due centri di ossificazione, ovvero uno primario e uno secondario; quello primario si trova nella parte mediale della diafisi, quello secondario comparirà invece nell'epifisi. In particolare nel centro di ossificazione primario inizia la vascolarizzazione endocondrale nella parte centrale della diafisi e gli osteoblasti secernono matrice formando il manicotto osseo subperiostale mentre i condrociti all'interno della diafisi si ipertrofizzano. Gli osteoclasti aprono cavità nel manicotto permettendo la penetrazione di zaffi osteogenici dal periostio (manicotto subperiostale) e riassorbono successivamente il complesso cartilagine/osso calcificato. Infine il manicotto osseo si ispessisce e comincia ad estendersi verso le epifisi. Quindi, in altre parole, nel centro di ossificazione primaria, le cellule mesenchimali iniziano a produrre collagene di tipo II e si differenzano in condrociti, questi ultimi iniziano a proliferare nel centro di ossificazione primario, ma ad un certo punto smettono di proliferare e si ipertrofizzano e tale ipertrofia porta al riempiemento di glicogeno dei condrociti, ad una diminuzione della matrice tra i condrociti a spese della matrice stessa che si calcifica, e alla produzione di VEGF e collagene di tipo X da parte dei condrociti che porta alla formazione di vasi sanguigni. Una volta formati i vasi, vi è l'arrivo degli osteoclasti che andranno a digerire la matrice calcificata parzialmente, e in parte gli osteoblasti andranno a deporre matrice osteoide sulla matrice calcificata stessa. Poiché si dovrà formare la cavità midollare giungeranno quindi osteoclasti e condroclasti a riassorbire il complesso scaricato da www.sunhope.it cartilagine/osso calcificato. Nei centri di ossificazione secondaria vi sono più o meno gli stessi passaggi, ma vi sono due fondamentali differenze, ovvero i condrociti in queste zone non hanno una precisa direzione di proliferazione, ma vi è una crescita in tutte le direzioni, poiché l'epifisi è la sede dell'osso che subisce forze in tutte le direzioni, quindi non vi è una crescita ordinata della cartilagine, e secondo punto, mentre nella diafisi la cartilagine insieme al tessuto osseo viene distrutta dall'azione di condroclasti e osteoblasti a seguito del rimodellamento, nell'epifisi poiché c'è osso spugnoso, non vi è tale riassorbimento. Inoltre nel punto in cui l'epifisi prende contatto con la diafisi vi è una particolare cartilagine chiamata cartilagine di coniugazione, che sarà responsabile anche dell'allungamento dell'osso. Questa cartilagine di coniugazione verso l'epifisi avrà condrociti che prolifereranno, dall'altra parte, verso la diafisi, ci saranno gli osteoblasti che produrranno la matrice sulla cartilagine calcificata e poi vi sarà l'azione di rimodellamento di condroclasti e osteoclasti per la formazione dell'osso. scaricato da www.sunhope.it Nell'immagine precedente vediamo la cartilagine di accrescimento a livello dei centri di ossificazione primari, in tutte le fasi, prima a riposo, in proliferazione, ipertrofica e infine calcificata; a livello dei centri di ossificazione secondari non si avrebbe una disposizione così ordinata dei condrociti in proliferazione. Nell'immagine sopra vediamo l'apposizione di tessuto osseo sui resti calcificati dello scheletro cartilagineo con le varie didascalie sugli elementi che compongono tale sezione. Come già ripetuto più volte, nel caso in cui si tratti di osso spugnoso le spicole ossee rimaranno per accogliere il midollo emopoietico, nel caso si tratti di diafisi, vi sarà un ampio rimodellamento e un riassorbimento per creare la cavità midollare. scaricato da www.sunhope.it Nelle due immagini con sfondo verde, Ossificazione 1 e Ossificazione 2, vediamo un riassunto schematico dell'ossificazione endocondrale con i vari passaggi che caratterizzano tale processo. Mentre i due centri di ossificazione tendono ad incontrarsi, dal pericondrio che avvolge lo stampo cartilagineo, ci sono delle cellule progenitrici che si differenziano in osteoblasti, e questi ultimi vanno a deporre matrice ossea che sarà circondata da una membrana fibrocellulare che andrà a formare il periostio, e questa struttura viene definita manicotto periostale, che sarà responsabile della larghezza dell'osso, e che andrà a formare tutta la parte dell'osso compatto della diafisi e parte dell'osso compatto dell'epifisi per ossificazione intramembranosa. (Immagine 34 slides ossificazione, particolare di osso periostale e di midollo interno). Gli osteoblasti producono matrice osteoide, cioè una matrice non mineralizzata, quindi affinché si formi osso compatto o spugnoso, la matrice deve mineralizzarsi. La matrice mineralizzata come abbiamo detto, è costituita da cristalli di IDROSSIAPATITE. Nel momento in cui deve avvenire la mineralizzazione, vi deve essere un'elevata concentrazione di ioni calcio extracellulare in modo che questi ioni si accumulino all'interno della matrice da mineralizzare; questo calcio si lega all'osteocalcina (la proteina più abbondante della matrice dopo il collagene, ed è un prodotto scaricato da www.sunhope.it specifico degli osteoblasti) e attiva la FOSFATASI ALCALINA che a sua volta fa aumentare la concentrazione di ioni fosfato extracellulare, i quali portano ad un ulteriore aumento degli ioni calcio. Quando si raggiunge un certo valore, gli osteoblasti secernono per esocitosi le matrix vescicles, in cui è contenuta la fosfatasi alcalina che va attivare il fosfato proveniente da sostanze della matrice extracellulare e poiché questa vescicola contiene canali che permettono il passaggio sia del calcio che del fosfato, questi entrano all'interno della vescicola stessa. All'interno di questa vescicola ci sono le fosfatasi alcaline, che operano tagli e modificazioni di altri componenti provenienti dall'esterno per far accumulare calcio e fosfato all'interno; quando questo accade, si formano microcristalli di idrossiapatite, i quali sono a forma di “aghi” che, una volta saturata la matrix vescicle, la rompono permettendo la fuoriuscita dei cristalli di idrossiapatite che si portano appunto nella matrice extracellulare. Quindi ricapitolando dall'inizio: il processo di mineralizzazione avviene perché la matrice osteoide non è mineralizzata, e nei punti in cui deve avvenire la mineralizzazione nella matrice vi è un accumulo della concentrazione di ioni calcio, che si legano all'osteocalcina, che porta ad un aumento della concentrazione di ioni fosfato, i quali a loro volta portano ad un ulteriore aumento di ioni calcio, quindi è un meccanismo di feedback positivo tra calcio e fosfato. Quando questa concentrazione di calcio e fosfato nella matrice supera un certo limite, vi è una sorta di attivazione dell'osteoblasto che esocita le matrix vescicles, le quali hanno canali sia per il calcio sia per il fosfato, e dunque essendo entrambi in elevati concentrazioni al di fuori della cellula possono entrare all'interno della vescicola in cui vi sono fosfatasi alcalina e pirofosfatasi che vanno ad attivare fosfato da sostanze che possono derivare dall'esterno. Una volta che il fosfato e il calcio sono nella matrix vescicles in elevate concentrazioni, vi può essere la formazione dei cristalli di idrossiapatite (a forma di aghi) che una volta saturata la struttura vescicolare la rompono, facendo uscire il loro contenuto. Sembra che inizialmente questi cristalli entrino in contatto con le fibrille che vanno a formare i fasci di fibre collagene e che il contatto sia mediato dall'osteonectina. Inoltre successivamente i cristalli si posizioneranno tra una fibrilla e l'altra andando a formare la matrice mineralizzata. Ad esempio un difetto di mineralizzazione lo si ritrova in pazienti affetti da OSTEOMALACIA, che porta ad un rammollimento osseo, che provoca tendenza alle fratture, talvolta microscopiche e numerose, causanti dolore osseo, oppure la carenza di vitamina D3 e di calcio può portare ad una mancata mineralizzazione, quindi non vi è la calcificazione della matrice osteoide, invece nella parte organica della matrice, alcune malattie ereditarie possono far produrre collagene difettoso che porta a fragilità ossea (osteogenesi imperfecta). Inoltre tra gli agenti innescanti la mineralizzazione, oltre la fosfatasi alcalina troviamo le BMP (proteina morfogenetica dell'osso) che appartengono alla superfamiglia di proteine regolative TGFβ. Gli osteoclasti sono cellule polinucleate, che derivano dalla fusione di precursori di moniciti, e dunque derivano dalla linea monicita-macrofagica, il loro enzima principale come già detto è la FOSFATASI ACIDA CARTRATO RESISTENTE. Sotto vediamo due immagini di osteoclasti di midollo osseo umano, si notano bene i nuclei numerosi. Quando l'osteoclasta non è attivato, è una cellula non polarizzata, quando invece svolge la sua attività litica, diviene una cellula polarizzata, con un particolare orletto a spazzola chiamato “ruffled border” e delle strutture di adesione ricche di actina, ovvero i podosomi, che servono per isolare la parte di scaricato da www.sunhope.it osso da degradare, per la creazione di un microambiente in cui dovranno agire le idrolasi acide lisosomiali, creando una sorta di lisosoma extracellulare. L'adesione dell'osteoclasta è mediata anche da proteine come BSP (proteina sialica dell'osso) e OPN (osteopontina) oltre che da integrine specifiche. Per quanto riguarda l'aumento di dimensioni dell'osso nel suo diamentro, come detto vi sarà l'apposizione di nuovo osso di origine periostale (osso periostale) e le creste di osso neoformato ingloberanno vasi sanguigni longitudinali, fondendosi intorno ad esso e formando gli osteoni; nell'aumento della lunghezza ossea invece, vi sarà una sostituzione di cartilagine con osso, a livello della metafisi, e il tessuto cartilagineo sul lato epifisario continuerà ad accrescersi mentre quello diafisario viene invaso da nuovo osso (cartilagine di coniugazione che è responsabile dell'allungamento dell'osso). Oltre che nei processi di ossificazione e quindi nel rimodellamento o nella rigenerazione del tessuto osseo, la degradazione ossea può essere attivata in particolare condizioni, come l'abbassamento della calcemia ematica; quindi quando vi è una carenza di calcio nel torrente sanguigno, poiché l'osso costituisce la principale riserva di calcio, gli osteoclasti per ottenere ioni calcio ne degradano la matrice mineralizzata, così da aumentare la calcemia e la fosfatemia nel sangue. Come già detto precedentemente quando si abbassano questi valori nel torrente ematico, la paratiroide produce il PTH o paratormone, che non trova il suo recettore sull'osteoclasta, ma lo trova sull'osteoblasta; in particolare l'ormone paratiroideo provoca un aumento della produzione di RANKL (che si trova sull'osteoblasta e sarebbe il ligando per il recettore RANK che si trova sul macrofago per stimolare l'osteoclastogenesi) e di CSF1 (citochina fondamentale prodotta dagli osteoblasti per l'osteoclastogenesi che si lega al suo recettore CSF1R presente sui precursori degli osteoclasti) che si lega a e una diminuzione di OPG (osteoprotegerina) che è un “finto recettore” solubile per RANKL che si trova sugli osteoblasti (e sulle cellule stromali che modulano l'osteoclastogenesi, pag 287 Monesi) bloccando l'interazione con RANK e quindi inibendo la formazione di osteoclasti. Il bilancio quindi tra RANKL che favorisce l'osteoclastogenesi e OPG che la inibisce, regola il livello di osteoclasti, e infatti il PTH che ha il recettore sull'osteoblata va proprio ad alterare questo equilibrio, aumentando la produzione come detto, di RANKL e di CSF1 e diminuendo quella di osteoprotegerina, aumentando di conseguenza il numero di osteoclasti e quindi anche il livello di calcemia nel sangue. Ricapitolando: RANKL sugli osteoblasti trova il recettore RANK sul precursore degli osteoclasti, attivando il differenziamento degli osteoclasti, l'OPG invece inibisce questo legame, poiché funge da recettore per RANKL, per “proteggere” l'osso (come si può dedurre dalla parola osteoprotegerina) e quindi inibisce il differenziamento. Il bilancio tra RANKL e OPG attiva processi di formazione o di degradazione, infatti quando il calcio, il PTH si lega all'osteoblasta che overesprime RANKL e diminuisce OPG, favorendo il contatto RANKL e RANK che si trova sul precursore degli osteoclasti favorendone il differenziamento. Ad esempio l'osteoporosi si manifesta quando le cellule preposte alla demolizione dell'osso, ovvero gli osteoclasti, sono più attive di quelle che lo devono ricostruire, quindi degli osteoblasti, in particolare le nuove cure contro l'osteoporosi si basano sul blocco delle attività degli osteoclasti o sulla loro eliminazione tramite ad esempio i bifosfonati. L'ormone antagonista del PTH è la CALCITONINA, prodotta dalle cellule parafollicolari della tiroide, quando vi è eccesso di calcemia nel sangue, e quindi andrà a bloccare il riassorbimento o degradazione ossea; inoltre un altro fattore che regola il rimodellamento osseo oltre ai due ormoni già citati, sono la vitamina D, vitamina A e vitamina C. scaricato da www.sunhope.it Il rimodellamento osseo è un processo che avviene durante l'intera vita dovuto all'invecchiamento dell'osso, della sollecitazioni meccaniche, o per processi patologici. Altri elementi che interferiscono con il rimodellamento osseo possono essere la gravidanza, l'allattamento, la menopausa o come già detto varie patologie. Altre funzunzioni fondamentali del calcio sono visibili nella tabella sopra, in verde. Sangue Il sangue è un tessuto connettivo specializzato, a carattere fluido che scorre in un sistema di canali comunicanti (vasi arteriosi e venosi) ed è composto da una parte fluida (plasma) e da cellule definite “globuli”. Il sangue risulta essere quindi un connettivo particolare perché non ha nella matrice altre molecole tipiche di connettivi e soprattutto non viene prodotta da cellule che, a loro volta, nascono al di fuori di questo tessuto (tramite l'emopoiesi, grazie al midollo emopoietico). La funzione del sangue è evidentemente di tipo trofico, quindi è fondamentale per il nutrimento, e se ne trovano circa 5-6 litri nel torrente ematico, ad una temperatura di 38° C con un PH compreso tra 7,2 e 7,4. Le funzioni del sangue sono molteplici: Respirazione, tramite gli eritrociti vi è il trasporto dell'O2 dai polmoni ai tessuti e della CO2 dai tessuti ai polmoni • Nutrizione, quindi distribuzione dei nutrienti a tutte le cellule, sia direttamente tramite il circolo ematico, sia attraverso gli spazi extracellulari • Escrezione, tutto ciò che viene eliminato come scorie metaboliche, raggiunge i reni e qui si ha un'ultrafiltrazione e quindi il passaggio della pre-urina e nuovamente la concentrazione della pre-urina e quindi la formazione dell'urina definitiva, circa 1,5 l al giorno • Regolazione del metabolismo, poiché attraverso il sangue circolano gli ormoni, le vitamine e altre numerosissime sostanze • Regolazione dell'equilibrio acido-base, perché ha i suoi sistema tampone • Regolazione dell'equilibrio idrico, perché continuamente vi sono scambi tra il liquido e la matrice extracellulari per esempio nei connettivi • Regolazione della T corporea, rendendola omogenea in tutte le parti del corpo • Difesa contro le infezioni, grazie al passaggio nel sangue dei globuli bianchi soprattutto linfociti, ma anche granulociti eosinofili, neutrofili ecc Ovviamente il sangue oltre a tali funzioni fisiologiche, possiede anche il lato negativo di essere veicolo di un ingente numero di patologie e di agenti patogeni in generale. • scaricato da www.sunhope.it Nell'immagine sopra vediamo l'ematosi, quindi lo scambio tra ossigeno ed anidride carbonico; l'ossigeno è legato all'emoglobina con un legame estremamente labile, che favorisce lo scambio rapido, ma d'altra parte questa proprietà può causare problemi proprio per il legame stabile che può creare con alcune sostanze dannose come il monossido di carbonio. Il sangue non è una soluzione omogenea ma una sospensione di una fase solida corpuscolata (globuli rossi, globuli bianchi, pistrine) in una fase liquida costituita da proteine, ormoni, lipidi, zuccheri, elettroliti enzimi in mezzo acquoso. La composizione del sangue si divide in tre porzioni fondamentali ovvero il plasma che è quella più leggera (di colore giallo) intorno al 55%, poi abbiamo uno strato sottilissimo (buffy coat) che è formato da globuli bianchi e piastrine ed è intorno all'1%, poi vi è la parte più pesante di colore rosso, intorno al 45%. Il plasma è composto chimicamente al 90 % da acqua, e al 10% di sostanze inorganiche e organiche (es glucidi, lipidi, proteine, colesterolo HDL e LDL, glucosio). Tra i globuli bianchi annoveriamo i granulociti (neutrofili, eosinofili e basofili) i linfociti e i monociti. I granulociti sono dei globuli bianchi che contengono nel loro citoplasma proprio dei “granuli”; se i granuli sono neutri, ovvero sono azzurrofili né ematossilinofili né eosinofili, non si colorano quindi né in blu né in arancio ma si colorano in azzurro poiché non hanno affinità per le colorazioni, si chiameranno neutrofili e sono i più frequenti; avremo poi gli eosinofili ovvero che hanno affinità con l'eosina, quindi i loro granuli si coloreranno in rosa-arancio; i basofili, sono granulociti i cui granuli hanno affinità per i coloranti basici, quindi saranno ematossinilofini dunque colorati di blu intenso, tanto da colorare tutto il citoplasma. I linfociti sono i globuli bianchi per eccellenza, e si dividono in linfociti B e linfociti T, di origine midollare. Poi ci sono i moniciti, che sono delle cellule che sono precursori dei macrofagi, infatti sono formati sempre a livello del midollo, poi vanno nel sangue come monociti in cui hanno una funzione fagica, o di cellula che presenta l'antigene, e successivamente passano per diapedesi nei connettivi dove si trasformano in macrofagi veri e propri. scaricato da www.sunhope.it I macrofagi quindi come già detto hanno la principale funzione di presentare l'antigene e la proprietà di fagocitare. Nella tabella con sfondo blu vediamo alcune delle proteine principali del plasma, in cui troviamo ad esempio l'albumina che è prodotta dal fegato ed è un'importante proteina carrier, ovvero trasporta metaboliti insolubili, infatti il paziente affetto da cirrosi conclamata, o cancrocirrosi, o insufficienza epatica da steatosi epatica per esempio, presenta immediatamente un problema di trasporto delle sostanze, poiché il fegato produce una quantità minore di albumina e di conseguenza vi sarà un'alterazione della pressione colloido-osmotica. Le globuline sono anch'esse prodotte dal fegato, trasportano ioni metallici, legano soprattutto sostanze lipidiche e vitamine liposolubili; le globuline di tipo γ sono prodotte dalle plasmacellule ovvero anticorpi delle difesa immunitaria (linfociti B attivati). Le proteine della coaugulazione come protrombina e fibrinogeno sono anche queste prodotte dal fegato, e quindi in caso di patologia epatica vi sarà una difficoltà di coaugulazione; tra le proteine principali del plasma poi troviamo anche lipoproteine plasmatiche come chilomicromi (trigliceridi al fegato) lipoproteine a densità molto bassa (VLDL, trigliceridi dal fegato alle cellule) o lipoproteine a bassa densità (LDL, colesterolo dal fegato alle cellule). L'emocromo o esame citometrico, è quello che ci indica la quantità dei vari globuli presenti nel sangue, l'ematocrito ovvero la percentuale in volume della parte corpuscolata del sangue separata dal plasma e la quantità di emoglobina, il volume globulare medio (cioè la grandezza media dei globuli rossi) e infine il contenuto medio di emoglobina del globulo e la sua concentrazione media. Qui cominciamo a vedere un esempio di striscio di sangue, in cui tutto intorno notiamo globuli rossi (anche se non sono colorati in rosso, ovviamente dipende dalla colorazione) che sono senza nucleo, infatti la caratteristica principale degli eritrociti è l'assenza del nucleo. Intorno si vedono dei piccolissi elementi che corrispondono alle piastrine e al centro è ben evidente un granulocita neutrofilo; i granulociti prendono anche il nome di cellule polimorfonucleate, ovvero che il loro nucleo è polimorfo, quindi è costituito da più lobature (in particolare quattro nell'immagine sopra), unite tra loro grazie a ponti nucleari. Il granulocita neutrofilo come già detto e come si nota anche dall'immagine è composta da granuli azzurrofili, quindi neutri, ovvero non affini alle colorazioni, ed in particolare l'età del granulocita neutrofilo la distinguiamo in base al numero delle lobature, quindi con due lobature è molto giovane, al contrario con cinque lobature è anziano. scaricato da www.sunhope.it Il globulo rosso ha la tipica forma di “disco biconcavo” data come già detto dalla mancanza del nucleo, infatti è l'unica cellula anucleta umana, e la sua forma aumenta l'efficienza dello scambio di gas fra citoplasma e plasma ematico; la composizione interna dell'eritrocita è composto da un citoplasma omogeneo e privo di organuli. Nel globulo rosso quindi troviamo circa il 66 % di acqua e il 33 % di proteine, di cui il 95 % emoglobina e il 5% di altre proteine; l'emoglobina è responsabile della maggior parte del trasporto di ossigeno e anidride carbonica ed è una proteina-pigmento dal caratteristico colore rosso vivo del sangue arterioso, inoltre strutturalmente è una grossa proteina tetramerica, composta da 4 catene legate covalentemente ad un gruppo Eme. Come già detto è trasportatore dei gas respiratori e troviamo un ossiemoglobina, legata all'ossigeno, carbossiemoglobina legata alla CO2. Vi sono poi nell'emoglobina 4 tipi di globine come vediamo nella tabella sotto: In sostanza quindi ogni molecola di emoglobina è costituita da quattro blocchi di proteine, chiamate globuline (o globine), le principali sono le catene alfa e le catene beta, infatti la più comune HBA1 è formata da due catene alfa e due catene beta, inoltre tutte le catene globuliniche contengono un gruppo non proteinco (o eme) che ha la forma di un anello con uno ione ferro al centro, e l'ossigeno quindi si lega a questi ioni di ferro per il trasporto nel sangue. Ogni molecola di emoglobina ha quattro ioni Fe ed è capace di legare quattro molecole di ossigeno, e come abbiamo già detto, il legame è molto labile per garantire un rapido legame ed un rapido distacco dell'ossigeno all'emoglobina. Durante il differenziamento i globuli rossi oltre al nucleo perdono anche i mitocondri, i ribosomi, il reticolo endoplasmatico, poiché non devono replicarsi essendo continuamente prodotti a livello del midollo, dunque non disponendo di dispositivi di sintesi, vanno rapidamente in senescenza in circa 4 mesi. A livello della milza (organo linfoide secondario) vi è un filtraggio meccanico che rimuove i globuli rossi senescenti (grazie anche all'azione dei macrofagi) e questo processo viene definito emocateresi. La membrana plasmatica degli eritrociti è formata al 95 % da fosfolipidi e colesterolo, da proteine tra cui le più importanti le glicoforine A, B e C ( glicoproteine intregrali, strutturali con la parte glucidica legata ad acido sialico che impedisce l'agglutinazione dei globuli rossi grazie alle cariche negative, e contengono nell'uomo gli antigeni specifici per il sistema MN; inoltre il dominio intracitoplasmatico è legato alle proteine fibrose che costituiscono il cortex cellulare dei globuli rossi, in particolare la spettrina) e proteine della banda 3 (trasportatori di anione). scaricato da www.sunhope.it La disposizione delle proteina sulla membrana del globulo rosso è quella che fa in modo che questo globulo rosso possa modificare la sua membrana plasmatica, nel senso della lunghezza e della verticalità. Il citoscheletro degli eritrociti invece è formato dalla spettrina o spectrina, ancorata alla membrana plasmatica grazie all'ankirina e a proteine della banda 4.1 con l'intermediazione di actina; le glicoforine e le proteine della banda 3 legano la membrana plasmatica alla banda 4.1, dunque il globulo rosso si differenzia dalle altre cellule poiché il citoscheletro forma un g uscio che sostiene la membrana plasmatica ed è unito ad essa in molti punti ed è proprio questa caratteristica che permette all'eritrocita di essere flessibile e di potersi spostare facilmente nei capillari. Quindi si può concludere che la composizione nell'insieme di membrana, citoscheletro e cortex cellulare è fondamentale per la forma dei globuli rossi e infatti otto vediamo una schematizzazione del citoscheletro e delle proteine integrali della membrana dell'eritrocita: Alcune delle alterazioni dei globuli rossi possono essere l'anemia, ovvero una diminuzione di Hb (emoglobina) o dei globuli rossi, ipocromia, quindi variazione del colore dei globuli rossi, microcitosi/macrocitosi, dunque una variazione delle dimensione, anisocitosi che indica una grande varibilità nell'insieme degli eritrociti oppure poichilocitosi ovvero un insieme di forme bizzarre (anemia falciforme per esempio). L'anemia in generale è una condizione patologica in cui la concentrazione di emoglobina è a di sotto del normale: il minor numero di eritrociti può essere associato ad una anemia aplastica, in cui vi è depressione (aplasia) del midollo osseo a causa di tumore, oppure un'anemia emorragica o anemia emolitica nel caso di infezione batterica. Vi possono essere poi anemie associate alla dieta come l'anemia perniciosa quindi vi è un'incapacità ad assorbire la vitamina B12 oppure anemia da deficienza di ferro in caso di sanguinamento prolungato (come nel caso di un sanguinamento interno dovuto per esempio ad un'ulcera duodenale) oppure nel caso di cellule pallide (ipocromiche) e piccole (microcitiche). Vi possono essere patologie associate poi al citoscheletro dei globuli rossi, in particolare la verticalizzazione della membrana come ad esempio la sferocitosi, quindi globuli rossi sferici, con una conseguente perdita di contatto tra la membrana e il citoscheletro a causa della mancanza del legame tra l'anchirina e la spectrina (o spettrina, vedere immagine sopra) e dunque vi sarà perdita di coesione del citoscheletro con strato lipidico soprastante e conseguente perdita di lipidi, riduzione di superficie e assunzione di forma sferica con emolisi cronica oppure patologie che riguardano l'estensione orizzontale quindi la formazione di eritrociti a forma di ellissoide o ellissocitosi. Possiamo dunque definire deficit di proteine del citoscheletro sottostante la membrana, ovvero anchirina, spectrina, proteina 4.1 e proteina 4.2 che determinavano l'allungamento della membrana, oppure vi possono essere deficit della membrana stessa, quindi che riguarda proteine della banda 3; le conseguenze di tali deficit possono essere sferocitosi, ellissocitosi già citate, ma anche ovalocitosi e stomatocitosi (si forma all'interno dei globuli rossi una struttura simile ad uno scaricato da www.sunhope.it “stomaco”). Un'anemia che risulta essere abbastanza comune è l'anemia falciforme o drepanocitosi, cioè con globuli rossi a forma di falce che può portare ad un quadro clinico dominato da problemi vaso-occlusivi, quindi crisi di intenso dolore osseo, toracico o addominali; infarti ossei con necrosi; ulcere trofiche agli arti inferiori o sichemie ed emorragie cerebrali. Sotto vediamo uno striscio di sangue di cellule a forma di falce. I gruppi sanguigni sono numerosissimi, però di solito si fa riferimento soltanto al sistema ABO (che è un esempio di allelia multipla in genetica, infatti vi sono tre alleli al locus AB0 del cromosoma 9 ma solo due codificano per antigeni di membrana ovvero A e B) e a quello Rhesus. Infatti, il soggetto che avrà l'antigene A, avrà gruppo sanguigno A, con l'antigene B, gruppo B, e colui che possiede entrambi gli antigeni, ovvero A e B, avrà gruppo AB (è un caso di codominanza) e sarà un ricevente universale; colui invece che non ha né l'antigene A e né l'antigene B sarà di gruppo 0 e inoltre, un donatore universale. Sulla membrana dei globuli rossi è associato un glicano costituito da tre residui glucidici che sono Nacetilglucosamina, galattosio e glucosio (tutto questo è chiamato antigene 0); a questo glicano viene aggiunto tramite una fucosiltransferasi un residuo di fucosio portando alla formazione dell'antigene H che è la base per le modificazioni che porteranno alla formazione dei diversi antigeni. Quindi partendo dalla sostanza H, se il soggetto sarà di gruppo A esprimerà una Nacetilgalatosamintrasferasi che aggiungerà un residuo di N-acetilgalattosamina alla sostanza H per la formazione dell'antigene A, nel caso invece si abbia gruppo di tipo B, si avrà una galattosiltransferasi tale da aggiungere una molecola di galattosio all'antigene H per la formazione dell'antigene B, mentrre nel caso del gruppo 0 il soggetto codificherà per una transferasi inattiva che quindi non aggiungerà niente alla sostanza H, e di conseguenza non porterà alla formazione di nessun antigene. Molto più rara è la condizione del fenotipo di Bombay, in cui non viene codificata neanche l fucosiltransferasi (condizione di omozigosi recessiva hh sul cromosoma 19 che codifica per la fucosiltransferasi) per la formazione della sostanza H, lasciando solo il glicano di membrana, e facendo apparire quindi, il soggetto come gruppo 0. Adesso concentriamoci sui globuli bianchi o leucociti, che sono cellule preposte alla difesa dell'organismo e sono distinti in: • Granulari (granulociti) ovvero che presentano specifici granuli, i nuclei dei granulociti maturi o quasi maturi sono composti da segmenti diversi, inoltre i granulociti si dividono a loro volta in: neutrofili, eosinofili e basofili • Agranulari (agranulociti) e si distinguono in moniciti e linfociti ovvero non hanno specifici granuli e possiedono un nucleo sferico, ovale o a forma di ferro di cavallo scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo uno schema che indica le percentuali dei diversi globuli bianchi nel corpo umano, e possiamo dire secondo la formula leucocitaria che i globuli bianchi tra 5000 e 10000 mm cubi indicano condizioni normali, mentre entro certi limiti, variazione di numero sono fisiologiche nel bambino (leucocitosi fisiologica) ovvero tra 12000 e 13000, tuttavia tra 20000 e 40000 mm cubi indica la presenza di una infezione. La vita media dei globuli bianchi è molto variabile, può andare ma mesi ad anni a seconda dei tipi, ad esempio neutrofili ed eosinofili vivono meno di una settimana, i basofili circa 1-2 anni, i linfociti possono addirittura andare da mesi ad anni, mentre i monociti vivono pochi giorni, però questi ultimi passando nel connettivo maturano e diventano macrofagi e possono vivere in questo caso anche diversi mesi. Infatti la maggior parte dei leucoti si trova al di fuori del circolo ematico, principalmente nel connettivo lasso e nel tessuto linfatico grazie al processo di diapedesi. Infatti in caso di necessità, i globuli bianchi, attrati da specifici stimoli chimici (chemiotassi) sono in grado di fuoriuscire dal circolo ematico (diapedesi) per migrare nel connettivo grazie le fenestrazione delle cellule endoteliali, e grazie al movimento ameboide raggiungono il sito da diffondere. Quindi possiamo definire come proprietà generali dei leucocoti avere la capacità di movimento ameboide, l'essere attirati da specifici stimoli chimici (come già detto, chemiotassi) per dirigersi verso aree di invasione e lesione, e l'uscire dal circolo per mezzo della diapedesi per portarsi nei tessuti periferici. scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo un'immagine di granulocito neutrofilo, che è costituito da numerosi lobi, quindi è molto anziano, e intorno si notano numerosi globuli rossi. Sotto invece vediamo un granulocita neutrofilo con quattro lobi, e sempre intorno molti globuli rossi. Con la microscopia elettronica, si dimostra che le granulazione sono in realtà vescicole piene di enzimi litici e altre sostanze battericide (lisosomi) inoltre i granulociti sono solo apparantemente polinucleati poiché i lobi sono tutti collegati da ponti, infatti si parla di cellula polimorfonucleata. In generale i granulociti neutrofili hanno una forma abbastanza sferica, il nucleo polilobato e con la presenza o meno del corpo di Barr (che è la seconda X inattivata e quindi si può dedurre se il soggetto sia di sesso maschile o femminile); il citoscheletro è sviluppato e i granuli sono azzurrofili (e corrispondono a lisosomi primari) poi vi sono granuli secondari o specifici che sono più piccoli e numerosi e contengono sostanze ad azione antibatterica come il lisozima. Sono dotati di movimento ameboide, e come già detto quando sono attrati, per chemiotassi positiva migrano per diapedesi nel connettivo, dove liberano batteriostatici e battericidi contenuti nei granuli ed inoltre fagocitano frammenti di tessuto disgregato digerendoli con gli enzimi lisosomiali. Liberano leucotrieni e possiedono recettori di membrana per il frammento Fc delle IgG e per il complemento, quindi partecipano alla difesa immunitaria poiché in questo modo fagocitano batteri ricoperti da anticorpi e infine quando muoiono formano il pus. scaricato da www.sunhope.it I granulociti neutrofili sono cellule molto mobili e sono i primi ad arrivare sul luogo di un'infezione; come tutti i globuli bianchi rispondono a fattori chemiotattici rilasciati da tessuti danneggiati, e lasciano il circolo per penetrare nei tessuti sottostanti grazie alla diapedesi, che comporta l'adesione alle selectine endoteliali delle venule che vengono indotte (IL-1 e TNF) a produrre ICAM-1 a cui si legano le integrine dei neutrofili, e infatti grazie a questi mediatori i granulociti smettono di migrare e si preparano ad entrare nel connettivo. Come già detto prima i granulociti neutrofili producono e rilasciano leucotrieni innescando il processo infiammatorio, e inoltre formano H2O2 potente sostanza citotossica. Sotto vediamo il processo di diapedesi tipico, con le integrine e le selectine, dapprima con il rotolamento e poi la migrazione nei connettivi sottostanti. La neutrofilia (aumento del numero di granulociti neutrofili) può essere di tipo fisiologica (stress, lavoro o esercizio fisico) o dovuta ad un'infezione o necrosi di tessuti come la necrosi da tumore, trauma o dermatite; la neutrofilia può essere causata anche da assunzione di droghe, sostanze chimiche come steroidi, eparina ecc o può essere di tipo metabolica come nel caso dell'ipertiroidismo. Al contrario la neutropenia ovvero una mancanza di granulociti neutrofili, può essere dovuta all'aplasia o parziale scomparsa del midollo osseo che non produce le cellule, oppure alla mancata maturazione delle cellule (morte intramidollare) a causa di depressione del midollo osseo (anemia aplastica, deficienza di vitamina b12) o reazioni a medicinali oppure per un difetto ereditario (sinrome di Kostman o anemia di Fanconi). Concentriamoci adesso sui granulociti eosinofili: in questo caso i granuli sono colorati in rosaarancio quindi saranno acidofili. scaricato da www.sunhope.it Nel caso dei granulociti eosinofili il nucleo non avrà da due a cinque lobi come nel caso dei granulociti neutrofili, ma sempre e solo due lobi; dunque nel granulocita eosinofilo i lobi sono soltanto due. Questo tipo di globuli bianchi partecipano a reazione antiparassitarie, e le caratteristica dei granuli è di avere un cristalloide centrale, molto elettrodenso. Quindi i granulociti acidofili o eosinofili, come già detto, e come si può dedurre anche dal nome, hanno granuli che si colorano con il colorante acido eosina, possiedono un nucleo bilobato, e rimangono in circolo 6-10 ore, poi migrano nel connettivo, dove sopravvivono circa 8-12 giorni ed inoltre, questo tipo di granulociti non si occupa di fagocitare batteri (al contrario dei granulociti eosinofili, in cui il fagocitare batteria è una funzione molto rilevante) ma svolgono invece una funzione anti-parassitaria. I granulociti eosinofili sono associati con le reazioni allergiche e in particolare le coadiuvano, eliminando i complessi antigene-anticorpo formati nel corso di reazioni allergiche le quali sono invece a carico dei granulociti basofili, mentre nel connettivo a carico dei mastociti; inoltre gli eosinofili sono implicati anche nelle infiammazioni croniche. Quindi possiamo definire gli eosinofili come cellule fagocitiche con affinità per i parassiti; il tratto ultrastrutturale più caratteristico dei granulociti eosinofili è un grande granello ovoidale specifico che contiene un cristalloide allungato. I granuli specifici contengono 4 proteine maggiori tra cui MBP (major basic protein) ECP (eosinophil cationic protein) oppure EPO (eosinophil peroxidase) ma anche enximi irolitici (istaminasi) e catepsina; vi possono essere però all'interno dei granulociti eosinofili anche dei granuli non acidofili, e quindi granuli azzurrofili, che contengono lisozima. L'eosinofilia vi può essere per neoplasia, reazioni allerghiche o parassitosi, mentre l'eosinopenia si può riscontrare in caso di stress acuto, infezioni oppure sindrome di Cushing (tale sindrome è la condizione clinica caratterizzata dall'eccesso di ormoni glucocorticoidi nel circolo ematico, infatti i corticosteroidi di minuiscono gli eosinofili nel sangue). Vediamo adesso i granulociti basofili, di cui possiamo vederne un'immagine sotto: Nel granulocita basofilo, al microscopio ottico non si può osservare il nucleo, anche sapendo che quest'ultimo è plurilobato, poiché i granuli hanno la stessa affinità tintoriale del nucleo, che è già basofilo di per sé (principalmente per la presenza degli acidi nucleici) e dunque i granuli stessi lo ricoprono completamente. I granulociti eosfinofili producono eparina ed istamina, infatti sono simili ai mastociti nel connettivo, e per questo motivo, come già detto prima, sono occupati entrambi nelle reazioni allergiche. scaricato da www.sunhope.it Dunque i basofili sono simili ai mastociti (secondo alcuni sarebbero i precursori) e possiedono granuli basofili e metacromatici che spesso corpono il nucleo; questi granuli contengono eparina ed istamina, inoltre tali globuli bianchi possiedono recettori di superficie per il grammento Fc delle IgE e sono dotati di movimento ameboide ma di scarsa attività fagocitaria. In sostanza quindi, i basofili sono occupati in reazioni di ipersensitività immediata (allergie) e sono iniziatori della risposta infiammatoria; infatti possiedono recettori di membrana per le IgE (così come i mastociti) che sono attivati dal legame con le IgE prodotte dalle plasmacellule ma è un secondo incontro, con l'antigene che induce la risposta vera e propria, infatti il legame dell'antigene alle IgE induce il rilascio dai granuli specifici di fosfolipasi, di istamina (che provoca vasodilatazione, contrazione muscolare liscia del respiratorio e alterata permabilità dei vasi sanguigni) e di leucotrieni (effetto simile ad istamina ma più lento e duraturo). Quindi basofilia si riscontra in reazioni di ipersensibilità (come allergie, asma, eczema ecc) o nel caso di ipotiroidismo oppure varicella, invece basopenia in caso di stress, infezioni, e sindrome di Cushing. Vediamo adesso i monociti, sotto possiamo vederne un'immagine: Il monocita si riconosce sia perché è più grande, e sia perché il nucleo ha questa classica “indentatura” o meglio struttura reniforme (o a ferro di cavallo). In generale circolano per 1-4 giorni prima di migrare nel connettivo dove diventano macrofagi liberi, sono quindi cellule fagocitiche “voraci” in grado di fondersi fra loro in una cellula fagocitaria gigante per aggredire particelle di grandi dimensioni (come nel caso degli osteoclasti) e partecipano alla risposta immunitaria “umorale” con la presentazione dell'antigene. Dunque i monociti dopo aver lasciato il circolo si trasformano in MACROFAGI, e sono fagociti molto efficienti, infatti eliminano cellule morte o daneggiate, antigeni e batteri; secernono citochine che attivano la risposta infiammatoria, la proliferazione e la maturazione di altre cellule; e una delle loro funzioni cardine è quella di celluela che presentano l'antigene (o APC) . Le principali regioni in cui funziona il sistema monocitico-macrofagico è a livello della pelle con le cellule del Langerhans, o nell'osso con gli osteoclasti, nel fegato con le cellule di Kuppfer e nel cervello le cellule della microglia. Monocitosi si può avere in caso di infezioni come tubercolosi, sifilide, salmonella, brucellosi, oppure in caso di tumore di Hodgkins (ch colpisce i linfonodi). scaricato da www.sunhope.it Concentriamoci adesso su altri globuli bianchi fondamentali, che sono i linfociti Nel linfocita, il nucleo è molto grande e rotondeggiante, e il rapporto nucleo-citoplasma è tutto a favore del nucleo. Ovviamente dalla microscopia ottica non si può stabilire che tipo di linfocito sia ovvero linfocita B o linfocita T. I linfociti sono cellule del sistema di immunità specifica e hanno una vita lunga, inoltre non sono terminalmente differenziato e sono in grado di trasformarsi in linfoblasti e di assumere nuove funzioni in seguito all'interazione con l'antigene. Quindi i linfociti non svolgono attività in circolo ma nel connettivo; acquisita la competenza migrano nei linfonodi e nell amilza dove formano cellule identiche a se stesse; dopo la stimolazione mediante antigene (ovvero nel momento in cui vengono a contatto per la prima volta con l'antigene) si distinguono in due popolazioni, innanzitutto formano una cellula simile a se stessa, dapprima una cellula “vergine” perché mai a contatto con l'antigene, per trasformarsi in una cellula con memoria (che è la prima popolazione), che ricorderà di che tipo di antigene si tratti per agire, in caso di secondo attacco, molto più velocemente contro di esso m anon partecipa alla risposta immunitaria, oppure possono distinguersi in una seconda popolazione la quale comprende le cellule effettrici, quindi linfociti immunocompetenti che possono essere classificati o come linfoblasto B (e quindi una plasmacellula) con un grande citoplasma ripieno di immunoglobuline che vengono riversate nel torrente circolatorio e agiscono come anticorpi, oppure linfoblasto T che si divide in subcloni T killer, T suppressor, e T helper ed in questo modo si ha la risposta cellulo-mediata. scaricato da www.sunhope.it Vediamo un altro elemento molto importante del sangue, ovvero le piastrine. Le piastrine sono piccoli elementi corpuscolati del sangue periferico, privi di sostanza nucleare, infatti sono una parte del citoplasma del megacariocito, infatti nel midollo c'è una cellula chiamata megacarioblasto che matura poi in megacariocito la quale ha un citoplasma molto grande, all'interno del quale si vengono a formare dei piccoli canalicoli intracitoplasmatici che delimitano delle aree, le quali si staccano completamente. Quindi in sostanza le piastrine sono prodotte nel midollo osseo per frammentazione di grandi elementi cellulari detti megacariociti. Le piastrine hanno un citplasma blu luce, e granuli blu scuro-viola, contengono un citoscheletro sviluppato e ricco di proteine contrattili (actina e miosina) che sono coinvolti nella funzione di retrazione del coagulo ed estrusione dei granuli, inoltre la membrana plasmatica esprime molecole di adesione coinvolte nelle interazione piastriniche, adesione alla matrice extracellulare o al legame di fattori della coaugulazione. I granuli alfa contengono fibrinogeno che è la più importante proteina per la formazione del primo reticolo del coagulo, mentre i granuli delta contiene fattori di aggregazione e vasocrostrizione, mentre i granuli lambda (si possono definire veri e propri lisosomi) contengono enzimi idrolitici importanti per la dissoluzione del coagulo. Dunque in generale le piastrine sono strutture cellulari molto importanti nel fenomeno della coagulazione e nella riparazione di lesioni; la coagulazione è un processo che impedisce l'emorragia in caso di rottura dei vasi, normalmente però l'aggregazione delle piastrine è impedita dalle cellule endoteliali, tramite la produzione di ossido nitrico (NO) e prostaciclina, quando l'endotelio però risulta danneggiato, quest'ultimo rilascia il fattore di Von Willebrand e la Tromboplastina Tissutale, così da far cessare la produzione di inibitori. Già di per sé però, l'endotelio produce un potente vasocostrittore che è l'endotelina, la quale permette di poter iniziare il processo di coagulazione. A questo punto vi è l'attivazione piastrinica, infatti le piastrine aderiscono al collagene subendoteliale rilasciano il contenuto dei loro granuli aderendo le une alle altre, poi grazie al rilascio di trombospondina (glicoproteina contenuta all'interno dei granuli alfa delle piastrine) le piastrine già adese, causano l'adesione e la successiva degranulazione di quelle in circolo. Le piastrine aggregate funzionano da tappo ed esprimono sul plasmalemma il Fattore Piastrinico 3 superficie fosfolipidica adatta per l'assemblaggio dei fattori di coaugulazione e dunque per la scaricato da www.sunhope.it formazione del vero e proprio trombo insieme al rilascio dell'enzima trombina necessario per l'attivazione del fibrinogeno nel processo di coagulazione. Sotto vi è una tabella riassuntiva sull'attivazione dei fattori di coagulazione: Dopo circa un'ora dalla formazione del coagulo, monomeri di actina e miosina formano dei filamenti sottili e spessi che provocano la contrazione del coagulo e dunque la riduzione della lesione e della perdita emorragica. Una volta che il vaso è riparato, le cellule endoteliali rilasciano attivatori del plasminogeno che convertono il plasminogeno circolante in plasmina che insieme ai granuli lambda (lisosomi) delle piastrine, lisano il coagulo. Sotto vediamo invece un'immagine riassunta per il riconoscimento dei principali elementi del sangue Ricapitolazione con molte immagini sulle slides del sangue da 150-171 (vari tipi di leucociti da riconoscere) scaricato da www.sunhope.it Emopoiesi Il midollo osseo è un tessuto connettivo reticolare a funzione emopoietica, e in particolare a livello di questo stroma reticolare il midollo presenta cellule in vari stadi di maturazione e sono quelle delle linee ematopoietiche; ricchissima è la vascolarizzazione poiché una volta formate le cellule del sangue queste devono essere riversate nel circolo ematico, una volta che è stato effettuato il “controllo di qualità” da parte dei macrofagi, che eliminano tutte le cellule che sono stato prodotte con qualche difetto. Il midollo ha un aspetto abbastanza gelatinoso, e si trova nella cavità midollare delle ossa lunghe ma anche tra le trabecole delle ossa corte o dell'epifisi delle ossa lunghe; dunque si definisce il midollo un organo linfoide primario anche se la sua funzione principale è quella ematopoietica (infatti è riccamente provvisto di cellule deputate all'emopoiesi). Quindi il midollo è diviso nello STROMA che è il connettivo reticolare di sostegno, e poi vi è la zona del PARENCHIMA che è quella dove c'è il processo di emopoiesi. Nel midollo osseo a livello della zona parenchimatosa vi sono una serie di cavità compartimentalizzate da trabecole ossee, contenenti cellule adipose (il numero può variare a seconda dell'età), cellule parenchimali proprie (staminali, progenitori, ovvero già committed per formare un'unica linea cellulare, e linee di eritroblasti, granuloblasti, megacariociti ecc) nonché cellule stromali (vi si annoverano anche cellule staminali mesenchimali che si dispongono intorno al seno centrale del midollo). La composizione del midollo varierà molto in funzione dell'età e dunque del suo stato di attività, infatti ci sarà un midollo rosso molto sviluppato quindi in piena attività nei soggetti giovani, per poi andare verso la prevalenza di midollo giallo e poi grigio con l'avanzare dell'età. Vi sarà poi un sistema vascolare abbastanza complesso costituito da vasi arteriosi midollari e corticali, una rete sinusale, e quindi capillare, molto sviluppata ed infine al centro vi è un grosso seno centrale; le cellule ematiche mature potranno passare facilmente perché vi sono dei pori tra le cellule endoteliali della parete sinusale (passaggio per processo “attivo”). Quindi ricapitolando da una parte vi sarà il cotnnettivo reticolare che costituirà lo STROMA dall'altra parte vi sarà il PARENCHIMA, dunque la vera zona di formazione, che a sua volta può essere divisa in una componente cellulare ed una vascolare come già detto; la componente cellulare è composta da una serie di tipi cellulari, che sono interposti tra le strutture trabecolari, e che sono principalmente cellule adipose (aumentano con l'età) cellule parenchimali proprie, e cellule stromali; la componente vascolare è come detto abbastanza complessa ed è costituita da vasi arteriosi midollari e corticali, rete sinusale che confluiscono in una vena longitudinale centrale e poi in vasi in uscita. Tra le maglie di questo comparto vascolare si trovano vere e prorie isole di cellule emopoietiche, cioè degli aggregati di cellule che sono in attiva formazione e proliferazione, che corrisponde ad una fase di differenziamento, e dunque tendono ad aggregarsi in isolotti, e molto spesso in queste zone troviamo macrofagi che sono dei controllori del processo di formazione e di differenziamento. Quindi come già accennato prima, nel neonato vi sarà una prevalenza di midollo rosso per la presenza di numerosissimi eritrociti, dopo i 20 anni (in genere intorno al 20esimo anno d'età vi è anche la saldatura delle metafisi e quindi cessa la crescita delle ossa), nelle diafisi delle ossa lunghe vi sarà un accumulo di grasso che sostituisce i tessuti ematopoietici e quindi aumenterà il midollo giallo. I sinusoidi, sono vasi tappezzati da cellule endoteliali, circondati da sottili fibre reticolari che formano il sostegno insieme alle cellule stromali, e vanno a formare una rete intorno alle cellule ematopoietiche; l'accumulo di grasso nel loro citoplasma le trasforma in cellule adipose e dunque trasforma il midollo da rosso a giallo. Le isole ematopoietiche sono cellule ematiche a diversi stadi di maturazione, e come già detto vi troviamo in queste zone macrofagi deputati al controllo di qualità, all'eliminazione dei nuclei degli eritrociti (che una volta maturi sono anucleati) e infine alla distruzione di cellule difettose. scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo due immagini di midollo osseo a livello dell'epifisi, quindi in presenza di osso spugnoso, e ciò si nota anche per la presenza in entrambe le immagini di trabecole ossee; sicuramente dall'analisi della quantità di adopociti del midollo a sinistra si può dedurre che il soggetto sarà quasi sicuramente più anziano rispetto a quello dell'immagine a destra. Sotto invece si vede un isolotto di metamielociti e di granulociti eosinofili scaricato da www.sunhope.it L'ematopoiesi si divide quindi in due fasi fondamentali che sono la fase proliferativa delle cellule progenitrici proveniente da cellule staminali e la fase differenziativa nelle componenti varie componenti cellulari del sangue. La cellula staminali può avere vari tipi di replicazione infatti: può replicarsi producendo una cellula uguale a se stessa, cercando di evitare tutti gli errori che una mitosi comporta, e un'altra cellula che sarà o multipotente o unipotente o progenitrice ecc, che si differenzierà nella linea prescelta dalle quali derivaranno a loro volta le ulteriori cellule figlie (questa modalità sarà ritrovata anche nella spermatogenesi). Oppure la cellula staminale può decidere di non formare progenie che porterà ad una differenziazione ma semplicemente di reduplicarsi andando ad aumentare il pool di staminali. Infine vi è un'ulteriore modalità in cui la cellula staminale decide di non formare prima un'altra cellula staminale, ma di dar vita direttamente alle cellule figlie che saranno poi i progenitori delle varie linee ematopoietiche e quindi in questo caso non sarà conservato il self-renewal (autorinnovamento) che è una delle caratteristiche fondamentali delle cellule staminali. L'emopoiesi prenatale inizia a livello della parete del sacco vitellino, quindi al di sotto del foglietto didermico e viene detta mesoblastica, perché si forma a livello del mesoderma extra-embrionale del sacco vitellino e della regione aorta-gonado-mesonefrica; successivamente le cellule staminali emopoietiche colonizzano il fegato e quindi avremo l'ematopoeisi epatica, e contemporaneamente a quest'ultima avverrà l'emopoiesi splenica, entrambe continuano per un periodo limitato di tempo e terminano prima della nascita con la definitiva formazione dell'emopoiesi di tipo midollare. Un concetto fondamentale nell'emopoiesi è quello di microambiente: questo è composto da cellule mesenchimali ed emopoietiche che forniscono superfici, importante ad esempio per fare osso, matrice extracellulare fondamentale poiché da essa provengono svariati segnali alle cellule per far avvenire il giusto differenziamento, nel microambiente infatti si annoverano numerosi fattori solubili che in concerto sono responsabili della regolazione e della proliferazione, quiescenza, differenziazione, reclutamento ed accumulo dei progenitori emopoietici e delle cellule staminali. Il microambiente dunque è un grande fattore di influenza nello sviluppo di una cellula della linea emopoietica: ad esempio l'interleuchina 6 che è importantissima per alcuni processi, così come citochine, ormoni, fattori di accrescimento. In sintesi la cellula staminale ha bisogno del microambiente per svolgere tutte le sue funzioni. (Nel concetto di microambiente le cellule stromali del midollo osseo svolgono funzioni importantissime producendo fattori, citochine ecc) La normale funzione del midollo dipende quindi: dal microambiente midollare specifico, dalla normale funzione delle cellule staminali, oltre che da vitamina B12, acido folico, ferro, ormoni, lipidi, zuccheri, citochine ecc. scaricato da www.sunhope.it La cellula staminale emopoietica (CSE) è una cellula staminale multipotente e sono caratterizzate dalla presenza sulla propria membrana dell'antigene CD34 che è un antigene molto comune, che riconosce tutte le cellule della linea emopoietica perché tutte cellule di tale linea lo esprimono e questo può essere molto positivo in caso di trapianto, poiché tramite biglia magnetica si possono “catturare” tutte le cellule e procedere con il trapianto di midollo ad esempio in un paziente con aplasia midollare. In particolare, dato che CD34 è un antigene molto precoce, troviamo che può essere espresso anche in alcune cellule mesenchimali. Per essere più selettivi sempre in caso di un trapianto o una terapia mirata ad esempio, bisogna andare a vedere la coespressione di altri antigeni per concentrarsi sulle varie linee emopoietiche (come per esempio CD117 che è un recettore specifico per le cellule staminali). Un altro concetto fondamentale è quello della gerarchia delle cellule emopoietiche, infatti il compartimento delle cellule staminali è costituito da rare cellule multipotenti (ed anche cellule pluripotenti, quindi negli schemi è probabile trovare anche come cellule staminale “iniziale” una staminale emopoietica definita pluripotente) che sono in grado di trasformarsi in tutte le cellule del sangue e che possono automantenersi (generare cellule identiche). Il processo denominato orientamento comporta la transizione da uno stato di replicazione delle cellule staminali pluri/multipotenti verso cellule denominate progenitori emopoietici che hanno la capacità di differenziarsi verso una linea emopoietica. (elevata capacità mitotica) Le cellule riconoscibili nel midollo sono i precursori; essi hanno scarsa capacità di automantenersi ma elevatissima capacità mitotica. Le cellule staminali ematopoietiche si possono dividere in due sottocategorie, ovvero Long-term HS ovvero staminali ematopoietiche “a lunga gittata” quindi quelle che sono capacità di auto-mantenersi per tutta la vita (e sono CD34-) mentre poi ci sono le Short-term HS che hanno una capacità di automantenimento di circa 6-8 settimane (e sono CD34+) e che possono dividersi nei due progenitori principali che daranno vita a tutti gli elementi figurati del sangue, ovvero Progenitore Linfoide Comune (CLP) e Progenitore Mieloide Comune (CMP). scaricato da www.sunhope.it In particolare vedere schema a pag 372 Monesi. Dalla cellula staminale pluri/multipotente si forma le unità formanti colonie CFU, dapprima dividendosi nel CLP e nel CMP ovvero nel progenitore comune della linea linfoide e quello della linea mieloide (sempre multipotenti ma con più limitazioni differenziative). Da questi si formeranno poi rispettivamente da CMP tutti i progenitori dei granulociti, dei monociti, delle piastrine e degli eritrociti nel caso degli eritrociti prima si formerà l'unità formante eritroici BFU-E, poi si formerà il vero e proprio progenitore degli eritrociti CFU-E, fino alla formazione del precursore ed infine dell'eritrocita finale. Nel caso dei megacarioti i progenitori saranno CFU-Meg, e dei monociti/granulociti neutrofili sarà CFU-GM (sarà quindi un progenitore bipotente) mentre per i granulociti eosinofili e basofili sarà CFU-EoB (progenitore bipotente, vedere pag 372 Monesi, errore nella slide). In realtà CMP si divide in altre due sottocategorie che comprende MEP e GMP sempre staminali multipotenti; la prima è chiamata Progenitore Megacariocita-eritroide ed è interessante notare come da questo progenitore accomuni i due elementi anucleati del sangue, e infatti da questo poi si formeranno CFU-Meg e CFU-E, la seconda categoria è GMP che comprende i progenitori della linea granulocita-monocita che formerà CFU-GM e CFU-EoB a loro volta, come già detto, entrambi progenitori bipotenti. (Per la comprensione generale di questo processo guardare schema Monesi pag 372). Vi sono poi delle proteine adesive (ligandi) ed i loro rispettivi recettori. Nel caso dei ligandi, ricordiamo che sono proteine della superficie cellulare con funzione di trattenere le cellule nel midollo, in particolare ricordiamo ICAM-1 (per l'adesione cellula-cellula) e VCAM-1 che è esposto sulla superficie delle cellule endoteliali su larga scala quando queste sono stimolate da citochine, ed è fondamentale per l'adesione di monociti, linfociti e granulociti ai vasi sanguigni. Ci sono poi recettori adesivi come integrine e selectine che sono importantissime per il processo di diapedesi per esempio, oppure alre come CD34 o CD43 che sono importanti per il processo di homing e di ritenzione delle cellule staminali al midollo. L'ematopoiesi è regolata a diversi livelli: le cellule ematopoietiche innanzitutto hanno capacità maturativa intrinseca, quindi di per sé tali cellule hanno già scritto nel genoma il loro livello differenziativo, svolge un ruolo importante anche la matrice extracellulare insieme agli ormoni, citochine e fattori di crescita come HGF (Hematopoietic Growth Factor). Un esempio del ruolo fondamentale degli ormoni, fattori di crescita ecc, si riscontra nel processo dell'eritropoiesi in cui il rene, in condizioni di ipossia, produce eritropoietina (EPO) un ormone glicoproteico che stimola il scaricato da www.sunhope.it differenziamento di BFU-E precoci, fino alla formazione dei progenitori degli eritrociti CFU-E. Possiamo definire alcuni fattori di crescita che non sono linea-specifici, ed agiscono sulle cellule multi o pluripotenti per l'automantenimento e per il differenziamento come ad esempio Multi-CSF o IL-3 per la formazione e di colonie di granulociti, macrofagi e granulociti, oppure GM-CSF (GM sta per granulociti-monociti), altri fattori sono linea-specifici e quindi agiscono su cellule già “committed” per fare in modo che procedano negli stadi più avanzati come per esempio G-CSF o MCSF oppure Eo-CSF (CSF sta per Colony stimulating factor, mentre G per granulociti, M per monociti e Eo per eosinofili). Molte citochine sono prodotte dalle cellule stromali del midollo, come già detto, e agiscono a livello midollare, spesso inoltre, agiscono in siti ben precisi e specifici. In sintesi i fattori di crescita agiscono inducendo la proliferazione dei proenitori emopoietici, attivando le cellule mature, stimolando le funzioni di queste ultime ed anche la produzione di altri HGF. Concentriamoci adesso sull'eritropoiesi, che è sotto il controllo di alcune citochine quali fattore delle cellule staminali, IL-3 e IL-9 e dell'eritropoietina (o EPO). Vi sonoo due tipi di unità progenitrici eritrocitarie ovvero BFU-E responsabili della maturazione e CFU-E ch formano colonie; l'abbassamento degli eritrociti circolanti infatti, inde ceil rene a produrre eritropoietina che è un ormone fondamentale nella maturazione degli eritrociti, infatti proprio l'EPO insieme all'interleuchina 3, interleuchina 9, il fattore stimolante delle staminali, il CSF-GM (Pag. 375) induce il differenziamento da CFU-S in BFU-E. L'esplosione mitotica di BFU-E produce un elevato numero di CFU-E, in particolare l'eritropoietina stimola la maturazione di CFU-E fino ad arrivare al primo precursore della linea eritroide, ovvero il proeritroblasto. Il proeritroblsto va incontro a numerose divisioni mitotiche prima l'eritroblasto basofilo (basofilo per la presenza di numerosi poliribosomi liberi) successivamente si arriva all'eritroblasto policromatico (colorazione mista dovuta alla reazione per la presenza di emoglobina che risulta acidofila insieme alla basofilia del citoplasma dovuta ad i numerosi ribosomi liberi). Dall'eritroblasto policromatico si passa per gradi allo stadio successivo di eritroblasto ortocromatico (o normoblasto) in cui, negli stadi più avanzati, l'attività mitotica si arresta e il nucleo si fa picnotico, si sposta verso la periferia e viene espulso e successivamente fagocitato dai macrofagi. Gli eritrociti maturi giovani, cioè appena immessi in circolo, conservano per qualche tempo un piccolo numero di ribosomi che danno al citoplasma una leggera sfumatura blu :queste cellule vengono dette reticolociti e conservano la capacità di sintetizzare l'emoglobina. scaricato da www.sunhope.it Sopra vediamo prima uno schema delle varie fasi dell'eritropoiesi, e nell'immagine successiva un riassunto morfologico dei vari stadi maturativi che portano alla formazione dell'eritrocita maturo. Il macrofago coopera nella formazione di eritrociti sostenendo il ruolo di un vero e proprio “controllore” di qualità ed è implicato anche nell'eliminzione dei nuclei espulsi. Vediamo adesso la granulocitopoiesi, ovvero la formazione dei granulociti neutrofili, eosinofili e basofili. La granulocitopoiesi è sotto l'influenza di alcune citochine quali G-CSF, IL-1, IL-5 e IL-6. A partire dal CMP ovvero dal progenitore mieloide comune si forma dapprima GMP che è ancora una cellula dotata di multipotenza, e successivamente quest'ultima può differenziarsi in CFU-GM che è un progenitore bipotente che si può differenziare a sua volta nella linea monocitaria oppure in quella dei granulociti neutrofili, oppure sempre derivante da GMP (progenitore granulociti-macrofagi) vi si può differenziare un altro progenitore bipotente che è CFU-EoB che può dare a sua volta i precursori dei granulociti eosinofili e basofili. In sintesi da un unico precursore multipotente (linea GMP, vedere pag 372 Monesi) possono originare CFU-Eo, CFU-B, e CFU-G (rispettivamente eosinofili, basofili e neutrofili) e gradualmente da questi si formeranno i precursori dei vari elementi cellulari, che sono identici per tutte e tre le linee, e che sono, in successione: mieloblasto, promielocito, mielocito (stadio in cui si definisce la natura dei granuli) metamielocito e granulocito maturo. Vediamo adesso la piastrinopoiesi (o trombocitopoiesi) che è sotto il controllo della trombopoietina, che induce la proliferazione di cellule giganti come megacarioblasti che poi matureranno in megacariociti. Il progenitore unipotente CFU-Meg (derivante sempre da CMP, ovvero progenitore mieloide comune che si differenzia in MEP altra linea sempre multipotente che dà origine ai due elementi anucleati del sangue, ovvero megacariociti ed eritrociti) forma il megacarioblasto (derivante a sua volta dal pro-megacarioblasto) che maturerà in promegacariocito e infine in megacariocita, che si dispone tipicamente vicino ai sinusoidi ed inviano al loro interno dei prolungamenti citoplasmatici. I megacariociti si frammentano in seguito ad invaginazioni del plasmalemma, tramite canali di demarcazione che formano delle vere e proprie segmentazioni favorendo il distacco di pezzi dello stesso citoplasma dando origine a gruppi di propiastrine, che appena rilasciate in circolo maturano in singole piastrine. Ovviamente i residui cellulari vengono fagocitati dai macrofagi. Ora vediamo un altro processo dell'emopoiesi, ovvero la linfocitopoiesi, quindi il processo che porta alla formazione dei linfociti B e linfociti T. scaricato da www.sunhope.it Partendo sempre dalla cellula staminali emopoietica (HSC) come abbiamo già detto più volte questa si divide in due progenitori multipotenti, CLP e CMP, ovvero progenitroce linfoide comune e progenitore mieloide comune; CLP formerà a sua volta due progenitori unipotenti CFU-LyB e CFULyT che daranno rispettivamente vita ai linfociti B e i linfociti T. I linfociti B immunocompetenti si formano nel midollo osseo, esprimendo marker di superficie tipici, infatti la lettera B sta per “bone-marrow derived”, mentre i linfociti T (T sta per timodipendenti) si formano nel midollo osseo, ma ancora non immunocompetenti (quindi non mature) migrano e si portano al timo, infatti la maturazione avviene proprio nel timo in cui vi è una elevata selezione ad opera del timo stesso e dei macrofagi. I linfociti T sono le uniche cellule che migrano dal midollo osseo non ancora completamente mature, infatti la definitiva maturazione del loro specifico recettore TCR avviene proprio nel timo, essendo i linfociti T cellule che agiscono secondo una immunità detta cellulo-mediata. Infine i linfociti migrano negli organi linfoidi secondari, quindi milza e linfonodi (gli organi linfoidi primari sono il timo e il midollo osseo) dove formano cloni di cellule immunocompetenti. In generale TUTTI GLI ELEMENTI DEL SANGUE SI FORMANO NEL MIDOLLO OSSEO. Dai progenitori CFU-LyB, e CFU-LyT si formeranno poi i linfoblasti, che matureranno in prolinfociti e infine in linfociti maturi; per la monocitopoiesi invece, come già detto, i monociti hanno un progenitore bipotente comune con i granulociti neutrofili, ovvero CFU-GM, in seguito questo progenitore diventerà unipotente, ovvero CFU-M, che formerà i precursori della linea monocitaria, in successione, monoblasto, promonocita e monocita maturo (con la classica indentatura del nucleo) che in seguito uscirà dal circolo e maturerà in macrofago nei connettivi. scaricato da www.sunhope.it Tessuto linfoide e sistema immunitario Strettamente legato alla funzione del midollo, che ha una funzione ematopoietica, vi è il tessuto linfoide. In realtà vi sono degli organi linfoidi definiti primari e sono il MIDOLLO E IL TIMO, il primo con funzione di produzioni di elementi figurati del sangue, il secondo con funzione di maturazione dei linfociti T, e vi sono poi degli organi linfoidi definiti secondari, che sono la MILZA, LINFONODI E TESSUTO LINFOIDE DIFFUSO (come anello linfatico del Waldeyer, tonsille palatina, linguale e faringea e le placche di Peyer del tubo digerente ad esempio). IL tessuto linfoide è un tessuto nel quale la struttura è data da un connettivo reticolare (come il midollo che è un organo linfoide) da cellule stromali e da una gran quantità di linfociti, macrofagi e plasmacellule, nel timo abbiamo anche cellule di tipo epiteliale. Il sistema immunitario è formato oltre che dagli organi linfoidi, ma è formato da un insieme di cellule e molecole che ci difendono da microrganismi patogeni, disfuzioni cellulari e particelle estranee. Il sistema immunitario ci protegge contro quattro tipi di patogeni principali quali batteri, i virus, i funghi e i parassiti. Il sistema immunitario è costituitoda organi e tessuti le cui cellule sono altamente specializzate, in grado di comunicare l'una con l'altra e di sintetizzare molecole deputate allo scambio di informazioni; tali cellule espongono in superficie, quindi sulla membrana, gli antigeni per l'interazione con altre cellule aiutando in ultima analisi l'organismo nella difesa da agenti estranei. Ad esempio il macrofago, introita l'antigene e poi l'espone in superficie ( il macrofago funziona quindi da APC ovvero cellula che presenta l'antigene), e segnala alle altre cellule del sistema immunitarie di colpire quel determinato patogeno. I sistemi di difesa dei vertebrati sono suddibisibili in tre linee: • • • Barriere meccanico-chimiche (l'epidermide per esempio) Fattori dell'immunità aspecifica (si intende quella naturale, ovvero promossa ma macrofagi, linfociti Natural Killer, sistema del complemento ecc) Fattori dell'immunità specifica Lo strato esterno della pelle (epidermide) costituisce uno scudo contro l'ingresso di agenti estranei e sostanze chimica, oppure muco e ciglia, che portano verso l'esterno le sostanza estranee. La saliva è un altro elemento importante per il suo contenuto in lisozima, e il suo contenuto chimiche che distruggono i batteri, tuttavia ce ne sono diversi tipi che possono sopravvivere a questi prodotti chimici. I bateri deglutiti sono a loro volta “digeriti” da acidi incredibilmente forti, inoltre lo stomaco deve produrre uno strato di muco altrimenti i succhi gastrici eroderebbero la mucosa. I caratteri principali che condizionano l'immunogenicitià di un antigene sono soprattutto il peso molecolare, la solubilità, la conformazione spaziale, la natura chimica e la disponibilità degli epitopi (Epitopo=determinante antigenico che si lega all'anticorpo. Ovviamente se gli epitopi sono facili da esporre, l'anticorpo lo riconosce facilmente a differenza per esempio, dei virus che si modificano continuamente e trovano nella propria variabilità la loro forza principale) Il sistema immunitario ha due componenti, come già detto, il sistema immunitario aspecifico (innato) ed il sistema immunitario specifico, detto modulabile ovvero che si modifica a seconda dell'antigene. Quindi il sistema innato agisce in maniera aspecifica, sempre al massimo possibile, e non richiede processi di attivazioni precisi, mentre quello specifico ha bisogno di chiari e specifici processi di attivazione, oltre che la presentazione dell'antigene. Il sistema immunitario aspecifico è composto da proteine plasmatiche (circa una ventina) del sistema del complemento insieme ad anticorpi naturali, soprattuto IgM, poi da macrofagi, granulociti neutrofili, linfociti NK (natural killer, che esplicano soprattutto una funzione anti-tumorale, a mezzo di sostanze chiamate poliperforine) e infine citochine. Il sistema immunitario specifico (modulabile) è responsabile, come già detto, dall'eliminazione specifica di agenti estranei, ed inoltre presenta quattro peculiarità: il riconoscimento del self e del scaricato da www.sunhope.it non-self (tolleranza), specificità (questo è legato al fatto che dopo il riconoscimento dell'antigene vi è la produzione di linfociti o anticorpi specifici contro l'agente estraneo), autolimitazione, diversità, e la memoria (produzione da parte dei linfociti B di cellule “con memoria” per attivare in caso di ulteriore attacco, la risposta immunitaria secondaria che risulterà più veloce e più efficace della prima). Quindi in totale tra sistema immunitario innato e quello modulabile agiscono linfociti B, linfociti T, macrofagi, granulociti neutrofili, cellule dendritiche e cellule NK. In sintesi esistsono due tipi di risposte immunitarie: • Risposta umorale, i cui responsabili sono i linfociti B con la produzione delle immunoglobuline • Risposta cellulo-mediata, i cui responsabili sono i linfociti T I linfociti B quindi in generale, una volta attivati dall'interazione con l'antigene presentato dal macrofago si trasforma in plasmacellula e produce una gran quantità di anticorpi, su larga scala; i linfociti T invece si distinguono in T-helper che coadiuvano i B nella risposta umorale (ed è un processo molto importante) poi ci sono i T-citotossici che secernono sostanze che uccidono cellule infettate da virus o cellule estranee e infine ci sono i T-suppressor che inibiscono le risposte degli altri linfociti T e di linfociti B. I linfociti B sono circa 10 milioni diversi, ognuno dei quali ha un diverso anticorpo e la loro grande varietà è causata dalla ricombinazione genica durante lo sviluppo e la formazione delle immunoglobuline; ovviamente vi sono piccoli cloni di ogni tipo di linfociti B. Normalmente i lifociti B non secerno anticorpi, infatti la cellula che secerne gli anticorpi è la plasmacellula, ovvero il linfocita B attivato; dopo il riconoscimento la cellula B si divide rapidamente, ed inoltre come già detto prima, gli antigeni sono presentati dai macrofagi (che funzionano come APC). Gli anticorpi circolano nella linfa, nel sangue e nelle mucose intensinale e respiratoria e di solito permangono nel sangue a lungo. Come già detto alcune cellule B attivate sono cellule con memoria, che si dividono rapidamente, non appena l'antigene è reintrodotto portando alla risposta immunitaria secondaria molto più rapida e forte, infatti in molti casi in cui il patogeno si ripresenti, viene distrutto prima che compaiano i sintomi. La plasmacellula (linfociti B attivati) è una cellula il RE presenta ampie cisterne all'interno del quale vi sono vari tipi di anticorpi (IgM, IgA, IgE, IgG, IgD). scaricato da www.sunhope.it I linfociti T si occupano della risposta cellulo-mediata, ed hanno, nella loro forma matura, recettori con struttura simile agli anticorpi e sono specifici per un solo antigene; le cellule T infatti, una volta prodotte nel midollo, si dirigono nel timo in cui acquisiscono un recettore, il TCR (T cell receptor) che è molto simile alle immunoglobuline secrete dalle cellule B attivate. Le cellule T si attivano quando il recettore viene a contatto con l'antigene che è esposto da un'altra cellula ospite come per esempio sulla membrana di un macrofago che funziona da APC oppure su una cellula estranea. Quindi una differenza la troviamo nel fatto che mentre le immunoglobuline vengono secrete, e quindi il contatto con l'antigene è “esterno” (anche se il macrofago presenta comunque l'antigene, oppure quest'ultimo può essere riconosciuto direttamente dall'immunoglobulina di membrana delle cellule B, vedere Monesi per chiarimento) invece nel caso delle cellule T tramite il loro TCR sono direttamente queste ultime a riconoscere peptidi antigenici di membrana legati al macrofago che funzione da cellula presentante l'antigene. Dopo l'attivazione le cellule T si dividono e formano T-helper cells che secernono citochine le quali aiutano la cellule B a dividersi e stimolano i macrofagi, T suppressor che invece modulano l'azione della risposta e T killer le quali uccidono le cellule che mostrano l'antigene; infine ricordiamo le cellule T con memoria che rimangono nell'organismo. Piccola parentesi sulle APC, cellule presentanti l'antigene, che serve da chiarimento: Le cellule APC (cellule che presentano l'antigene, dall'inglese Antigen-Presenting Cell) sono una classe di cellule del sistema immunitario in grado di esporre antigeni sulla propria superficie di membrana attraverso l'MHC di classe II. Teoricamente, qualsiasi cellula è in grado di esporre antigeni sulla propria membrana utilizzando l'MHC di classe I, e dunque stimolare le cellule CD8+. Tuttavia, quando si parla di APC, si intende in particolare quelle in grado di stimolare l'attivazione dei linfociti CD4+ (i T-helper) vergini.Le cellule dendritiche, i macrofagi e i linfociti B sono tutte cellule che esprimono MCH di classe II e possono presentare l'antigene ai linfociti T CD4+. Per questo motivo sono anche dette APC professionali. Il principale ruolo delle cellule dendritiche è quello di catturare l'antigene nei tessuti e muoversi nei tessuti linfoidi secondari dove si stabilizzano nelle aree T e presentano l'antigene processato ai linfociti T naive (vergini). Il ruolo dei macrofagi è simile a quello delle cellule dendritiche. I Toll-like receptor presenti sulla membrana dei macrofagi sono in grado di legare antigeni e attivare gli stessi ad internalizzare il patogeno per processarlo ed esporlo a tramite MHC di classe II. Questo consentirà scaricato da www.sunhope.it ai linfociti Th1 di attivare i macrofagi stessi a fagocitare e distruggere i patogeni stessi. Anche i linfociti B sono in grado di processare gli antigeni. Il legame anticorpo-antigene può non scatenare una risposta diretta, ma causare solamente l'internalizzazione del complesso attivato. L'antigene all'interno della cellula viene poi processato ed esposto per i linfociti T helper che legandolo attivano a loro volta i linfociti B a produrre dosi massicce di anticorpi causando l'opsonizzazione del patogeno che presenta quell'antigene. Fondamentali sono le classi di proteine MHC di classe I e di classe II, chiamati sistemi maggiori di istocompatibilità; le molecole MHC di classe I, che sono espresse da tutte le cellule nucleate, provvedono a presentare i peptidi alle cellule T citotossiche. I peptidi antigenici derivano dalla degradazione di proteine intracellulari, generalmente proteine virali, dunque i peptidi sono legati alle molecole MHC classe I e trasferiti sulla superficie cellulare. Quando una cellula T citotossica riconosce la presenza di un peptide estraneo associato all'MHC di classe I su una cellula self, la uccide perché a cellula è stata probabilmente infettata da un virus. Il riconoscimento di MHC + peptide coinvolge il complesso multimolecolare costituito dal TCR e dal co-recettore CD8 sulla membrana del linfocito e dall'MHC di classe I + peptide sulla cellula bersaglio. La MHC di classe II sono espresse da un numero limitato di tipi cellulari, principalmente da cellule che presentano l'antigene, le quali dopo il processamento espongono peptidi antigenici sulla membrana, legati alle MHC di classe II, in modo da far riconoscere il complesso MHC classse II + peptidi estranei esposto sulla membrana da un clone di linfociti T helper (di tipo T h2) che possiedono il TCR per quel peptide antigenico in modo da attivare i linfociti B (attivazione B dipendente in caso di riconoscimento tramite helper Th2) oppure T citotossici (nel caso siano rilasciati Th1). Esiste sempre quindi una cooperazione tra linfociti B e linfociti T, ovviamente tutto ciò come è stato esposto, avviene anche grazie all'interazione molto attiva del sistema monocito-macrofagico. Abbiamo quindi nello schema da una parte la linea B, e da un'altra la linea T. La linea B quando non ha avuto il contatto con l'antigene possiede cellule “vergini”, successivamente al contatto formerà da una parte cellule con memoria immunitaria dell'antigene con cui hanno avuto l'incontro, e nel caso si tratti di risposta immunitaria primaria si avrà l'attivazione dei linfociti B con la formazione delle scaricato da www.sunhope.it plasmacellule che si occuperanno di secernere immunoglobuline, intanto il macrofago avrà esposto l'antigene sulla superficie e gli anticorpi potranno andare in contatto con l'antigene esposto. Stessa cosa avverrà nella linea T, in cui avremo cellule T che diventeranno con memoria, e anche in questo caso le T helper vergini a contatto con l'antigene, tramite una APC, stimoleranno o le T citotossiche o le cellule B nella produzione di anticorpi o entrambe, sotto la modulazione fondamentale delle T suppressor. Questo è il classico anticorpo “a forcella” o a “Y”, poiché come si nota dalla figura, le porzioni carbossiterminali e quelle amminoterminali sono ai lati opposti; vi sono due catene pesanti e due catene leggere, una regione cerniera e due regioni variabili che saranno il sito di legame per l'antigene formando il classico complesso multimolecolare antigene-anticorpo. Le regioni variabili possono essere modificate di volta in volta per formare nuovi anticorpi specifici per determinati antigeni, infatti ci sono alcune immunoglobuline con regioni ipervariabili. Tutti gli anticorpi hanno uno scheletro comune, formato da due catene leggere e due catene pesanti, caratterizzate da un dominio immunoglobulinico, e come già detto, l'anticorpo si lega ad una piccola porzione specifica dell'antigene, chiamata determinante o epitopo. Alcuni anticorpi agiscono come “labels” per identificare antigeni per i fagociti, altri funzionano come antitossine, cioè bloccano le tossine che causano ad esempio la difterite ed il tetano, alcuni si attaccano ai flagelli batterici rendendoli meno attivi e più facili da fagocitare oppure causano agglutinazione di batteri per farli diffondere meno. Nell'uomo distinguiamo cinque classi di anticorpi (isotipi): IgG (le più comuni), IgM, IgA, IgD e IgE Si trovano all'interno di tutto il nostro corpo, ad esempio IgG si trovano soprattutto in sangue, pluidi tissutali ma possono anche attraversare la placenta, agendo come agglutinanti, oppure possono aumentare l'attività dei macrofagi (vedere sul Monesi, processo di OPSONIZZAZIONE) oltre che funzione come antitossine; anche le IgM si trovano soprattutto nel sangue e nei fluidi tissutali, portando all'agglutinazione dei battri, oltre che alla forte sollecitazione del sistema del complemento; le IgA invece le troviamo soprattutto nelle secrezioni (saliva, lacrime, nasale, vaginale ecc) e prevengono la formazione di colonie di batteri sulle membrane mucose, infine le IgE, che sono a livello dei tessuti, funzionano nelle risposte contro i parassiti (implicati come ricordiamo anche i scaricato da www.sunhope.it granulociti eosinofili) e attivano i mastociti del connettivo i quali contengono istamina, dunque sono implicati nelle risposte allergiche. I linfociti T possono svolgere la funzione grazie alle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) diviso in due classi, ovvero di classe I e di classe II. La reazione antigene-anticorpo per quanto riguarda i linfociti B è abbastanza semplice e diretta, nel caso dei linfociti T le modalità di legame sono più complesse. Le molecole che sono codificate per la presentazione dei peptidi, quindi degli epitopi, ai linfociti T, sono le molecole del complesso maggiore di istocompatibilità detto MHC I, MHC II oppure HLA I e HLA II. Normalmente tutte le cellule presentano l'MHC I, mentre soltanto le monocitarie presentano l'MHC II. Quindi nel caso dei linfociti T killer (o citotossici) queste riconoscono l'antigene soltanto in maniera combinata al complesso di istocompatibilità di tipo I , infatti quando una cellula T citotossica riconosce la presenza di un peptide estraneo (i peptidi antigenici derivano dalla degradazione di proteine intracellulari generalmente proteine virali, vedere immagine sotto class I MHC pathway), associato all'MHC I la uccide perché la cellula è stata probabilmente infettata da un virus. Nel caso dei T helper agiscono a mezzo della presentazione combinata del sistema MHC II. In particolare le MHC I sono espresse da tutte le cellule nucleate e sono specializzate a riconoscere e presentare gli antigeni virali o tumorali (di sintesi endogena) ai linfociti citotossici, mentre MCH II sono espresse principalmente dai macrofagi e dalle altre APC (tra cui macrofagi, cellule dendritiche e del Langerhans) che sono specializzate a presentare ai linfociti T helper gli antigeni di sintesi esogena cioè di origine batterica o di altri parassiti o comunque extracellulari. Il riconoscimento dell'antigene da parte dei linfociti T, avviene soltanto in modo ASSOCIATIVO, cioè insieme all'espressione e al riconoscimento in superficie del complesso di maggiore di istocompatibilità, di tipo I se si tratta dei linfociti T citotossici, di tipo II se si tratta dei T-helper; perché nel primo tipo, deve sapere che i peptidi legati all'MHC I non sono self, invece nel tipo secondo, l'antigene è riconosciuto dagli helper grazie al sistema monicito-macrofagico, che non solo presenta l'antigene ma ne modula anche la risposta, nel caso debba essere aumentata. scaricato da www.sunhope.it I monociti come già detto, derivano dai monociti, e sono particolarmente abbondanti nel tessuto connettivo lasso; sono più grandi dei granulociti neutrofili, ma si trovano soltanto nei tessuti e non nel sangue infatti nel sangue sono MONOCITI, che poi saranno denominati MACROFAGI quando raggiungono i tessuti. La loro funzione fondamentale per il sistema immunitario oltre quello della fagocitosi classica, è quella di iniziare la risposta immunitaria esponendo gli antigeni dei patogeni per i linfociti, funzionano quindi da APC Nell'immagine sopra vediamo la comunicazione tra il macrofago e la cellula T helper; per l'attivazione della T helper, quest'ultima deve riconoscere l'antigene esposto sulla membrana della cellula macrofagica in associazione all'MHC di tipo II. Una volta avvenuto questo riconoscimento, i linfociti T helper attivati da una parte stimoleranno a mezzo dell'interleuchina 2 il sistema dei linfociti B (attivazione T-dipendente), proprio in virtù della cooperazione che c'è tra cellule B e scaricato da www.sunhope.it cellule T, dall'altra vi sarà la produzione di interferone gamma che andrà ad attivare altri macrofagi. Le APC esprimono sul loro plasmalemma sia MHC I che MHC II e fagocitano, catabolizzano, processano e presentano gli antigeni affinché si possa attivare la risposta di tipo ASSOCIATIVA. Le cellule NK sono cellule importantissime, appartengono il sistema innato (quindi la sua attività non è selettiva, non modulabile, è aspecifica) e sono capaci di produrre POLIPERFORINE, tali da indure lisi batterica, uccidere cellule trasformate da tumori o infettate da virus, così come parassiti e funghi; le cellule NK comunicano con i macrofagi per aumentare le capacità difensive. Generalmente le cellule B che presentano le Ig sono positive al CD5, le NK di solito a CD16, i linfociti T invece sono tutti positivi a CD3, e le sottoclassi a CD4 e CD8 in particolare i linfociti T citotossici sono positivi a CD8 infatti vengono spesso identificati con il nome “cellule CD8”, mentre i T helper e i T suppressor sono entrambi positivi a CD4. (vedere Monesi pag 354-355, in particolare i linfociti B posseggono sulla loro membrana anche MHC II poiché come detto sopra possono funzionare in alcuni casi anche come APC, pag.407) I linfociti T helper possono essere suddivise in due sottogruppi: Th1 e Th2, in particolare Th1 stimolano l'attivazione dei linfociti T citotossici (tramite citochine quali ad esempio IL-2), mentre Th2 sono attivate dopo l'incontro con le cellule B che fungono da APC esponendo sulla loro membrana peptidi antigenici tramite l'MHC II, stimolando la proliferazione dei linfociti B, di cellule con memoria e la maturazione in plasmacellule per il rilascio di immunoglobuline specifiche (attivazione T-dipendente). Sotto vediamo la risposta immunitaria di tipo umorale mediata da cellule Th2 e un'altra mediata da cellule Th1 scaricato da www.sunhope.it L'immunità attiva vi è quando i linfociti sono attivati da antigeni sulla superficie dei patogeni e si parla di immunità attiva naturale, ovvero acquisita a causa dell'infezione, oppure immunità attiva artificiale in cui si annovera la vaccinazione. Si intende immunità passiva invece quando le cellule B e T non sono attivate e le plasmacellule non hanno prodotto anticorpi; l'antigene non è quindi necessario per produrre anticorpi e questi ultimi appaiono immeditamente nel sangue ma la protezione è solo temporanea. L'immunità passiva artificiale è adoperata quando necessita una risposta immunitaria molto rapida, ad esempio dopo infezione tetanica; fornisce comunque una protezione a breve termine, prima che gli anticorpi vengano distrutti dalla mila e dal fegato. L'immunità passiva naturale invece possono essere gli anticorpi della madre che passano attraverso la placenta al feto oppure il colostro (primo latte materno) che contiene molte IgA he restano sulla superficie della parete intestinale del bambino e passano nel sangue. Per allergia invece si intende quando il sistema immunitario risponde ad allergeni che sono sostanze antigeniche spesso “innocue” come per esempio la polvere domestica, pollini, acari ecc. Le IgE infatti si legano con la loro porzione Fc a recettori presenti sulla membrana dei granulociti basofili (implicati come detto nelle reazioni allergiche) e dei mastociti; una volta che si sono localizzate sulla membrana dei basofili e dei mastociti quando interagiscono con gli specifici allergeni in contatti successivi al primo, stimolano la liberazione di m olteplici sostanze vasoattive come istamina (che provoca la dilatazione dei vasi sanguigni), serotonina, leucotrieni, eparina ecc. scaricato da www.sunhope.it Lo sviluppo degli organi linfoidi inizia con la fine della quinta settimana di vita embrionale, ed inizia come una serie di numerose sacche nei punti di giunzione di alcune delle vene embrionali. Queste sacche di linfa sono sviluppate dalla confluenza di numerosi capillari venosi che in un primo momento perdono le loro connessione con il sistema venoso, ma che ritrovano in seguito, con la formazione delle sacche. In un embrione umano le sacche di linfa da cui derivano i vasi linfatici sono in numero di sei: • Due coppie di sacche giugulari, al bivio delle vene giugulari interne e succlavia • Sacca retroperitoneale, alla radice del mesentere dell'intestino, si sviluppa dalla vena cava primitiva e dlle vene mesonefriche • Sacca posteriore, si sviluppa dalle vene iliache I componenti del sistema linfatico: linfa, organi linfoidi primari e secondari, vasi linfatici e tessuti linfatici (si intende il tessuto linfatico diffuso). La linfa è un fluido simile nella composizione al plasma sanguigno, ed è un sistema di liquidi che viene trasudato dalla periferia verso il centro. Gli organi linfatici sono caratterizzati da ammassi di linfociti ed altre cellule quali macrofagi, invischiati in una struttura di brevi fibre di tessuto connettivo reticolare, e come già detto i linfociti originano nel midollo osseo rosso con altri tipi di cellule del sangue e sono trasportati attraverso il sangue, dal midollo agli organi linfatici, in particolare i linfociti T sono coloro che lasciano ancora immaturi il midollo osseo, per completare la loro maturazione all'interno del timo. Gli organi linfatici primari sono il TIMO (che ha funzione come detto di far maturare i linfociti T derivati dal midollo) e il MIDOLLO OSSEO, mentre quelli secondari sono il tessuto linfoide diffuso incapsulato comprendente MILZA E LINFONODI, e il tessuto linfoide diffuso non incapsulato comprendente le tonsille (palatina, linguale e faringea), l'appendice vermiforme, l'anello di Waldeyer, le placche di Peyer a livello del canale digerente. Gli organi linfoidi secondari sono siti dove la risposta immunitaria acquisita inizia, e i vasi linfatici distribuiscono linfa e globuli bianchi dai siti dell'infezione ai tessuti linfoidi secondari (posti in punti strategici per la progressione dell'infezione o attacchi antigenici) dove si sviluppa l'immunità acquisita. Il timo è un organo linfoide primario, come il midollo osseo e rappresenta il sito di maturazione dei linfociti T ed è costituito anche questo come il midollo osseo da un connettivo reticolare, e da cellule reticolari. Il timo è un organo che si può definire linfo-epiteliale ed è formato da due lobi ravvicinati fra loro, e ciascun lobo è avvolto da una capsula connettivale fibrosa da cui si staccano sepimenti che suddividono l'organo in lobuli; ogni lobulo è costituito da una zona periferica intensamente colorata chiamata CORTICALE e da una porzione centrale più chiara detta MIDOLLARE. La corticale è formata da linfociti T addensati, da cellule epiteliali e da macrofagi, mentre la midollare è formata da linfociti T non addensati e da vasi, inoltre anche qui troviamo macrofagi e cellule dendritiche (in particolare al confine tra la midollare e la corticale) scaricato da www.sunhope.it Si notano al centro anche i corpuscoli di Hassal, che probabilmente sono dei residui costituiti da cellule epiteliali pavimentose sempllici che rappresentano lo stato finale di diffusione dell'epitelio midollare. Troviamo nella corticale degli HEV (high endothelial vessel) cioè vasi sanguigni con una parete molto spessa, che non consentono la diapedesi di linfociti immaturi nel torrente ematico affinché entrino in quest'ultimo completamente maturi e compresi di proprio recettore specifico TCR. Il timo si trova nel mediastino anteriore, permane fino alla pubertà e poi comincia la sua regressione con sostituzione del parenchima con tessuto adiposo. Sotto vediamo un corpuscolo di Hassal all'interno della midollare e verso l'esterno, ovvero nella zona più addensata, notiamo la corticale. scaricato da www.sunhope.it I linfociti T immaturi, detti anche precursori, lasciano il midollo osseo e migrano verso il timo, dove maturano; le cellule immature sono denominate timociti. I precursori dei linfociti T immaturi entrano nella corteccia del timo, interagiscono con le cellule residenti (soprattutto con le cellule epiteliali con astuccio, di cui abbiamo 6 classi, 3 nella corteccia e 3 nella midollare) e quindi si ha l'espressione del TCR (T cell receptor) che consiste nel legame dell'antigene al complesso CD3, a questo punto i linfociti T maturi lasciano il timo e possono essere classificati in T helper che esprimono CD4 e linfociti T citotossici che esprimono CD8. La selezione dei timociti può essere di due tipi: positiva e negativa. Le cellule residenti nel timo esprimono il ligando MHC I per il recettore dei linfociti T. Una volta che il recettore dei linfociti T è espresso su timociti in via di slivuppo può interagire con il suo ligando (MHC I) sulle cellule residenti. A questo punto vi è prima una selezione POSITIVA, cioè vi è una identificazione di quei precursori dei linfociti T che esprimono i recettori in grado di legare il self-MHC I e che sono loro stessi in grado di esprimere MHC di classe I. Queste cellule inviano un segnale positivo che le induce a proliferare e a sopravvivere, mentre le cellule che non sono in grado di riconoscere il self-MHC I muoiono nella corteccia. Successivamente vi è una selezione di tipo negativo, in cui tutte i timociti che sono stati selezionati positivamente che si legano bene a MHC di tipo self (e quindi inducono l'autoimmunità, ovvero si legano a cellule dell'organismo proprie riconoscendole come “estranee”) vengono eliminati dal timo stesso o inattivati nel midollo. Meno del 5% dei precursori dei linfociti T che entrano nel timo sovpravvivono alle selezioni. Ricapitolando, i linfociti T originano nel midollo e nello stato di precursori migrano nel timo, qui, a livello della corticale viene costruito il TCR, che interagisce con il ligando MHC espresso sulle cellule residenti per verificare se vi è riconoscimento e quindi se il recettore funziona e se vi si legano con giusta affinità, oltre all'espressione del MHC I (selezione positiva) successivamente nella midollare vengono eliminati i linfociti T che si legano in maniera troppo forte all'MHC di antigeni self presentati dalle cellule dendritiche del timo e che quindi potrebbe causare una reazione autoimmunitaria (selezione negativa). Sulla base della disfunzione di questo meccanismo infatti vi è la patogenesi di molte malattie autoimmuni. scaricato da www.sunhope.it Il nostro organismo ha linfoidi distribuiti lungo tutte le vie linfatiche, questi sono piccole strutture ovoidali, incapsulate, intercalate lungo il decorso dei vasi linfatici per agire da filtro nella rimozione di batteri e di altre sostanze estranee. Quindi possiamo definire un linfodono come un aggregato nodulare di tessuto linfoide situato lungo i vasi linfatici; si distinguono una capsula, uno stroma, un'organizzazione vascolare sanguifera e linfatica. Nei centri germinativi i linfociti B, stimolati dall'antigene, proliferano e maturano producendo anticorpi ad alta affinità, mentre nei manicotti periarteriolari i linfociti T rispondono agli antigeni veicolati per via linfatica, ed avviene a cooperazione tra linfociti B e T. All'interno dei linfonidi si possono distinguere una corticale ed una midollare, nella prima zona vi è un'abbondanza di vasi sanguigni, cordoni linfatici anastomizzati, macrofagi ecc, mentre la corticale è ricca soprattutto di linfociti. I linfonodi sono piccole strutture a forma di fagiolo, di solito inferiore a 2,5 cm e tendono a raggrupparsi nella regione inguinale, ascellare e laterocervicale nel collo. ùNell'immagine sopra si notano bene le due zone midollare e corticale, e in particolare in qu est'ultima si vedono i follicoli linfatici (strutture circolari) con le relative corone che sono zone di addensamento di linfociti; all'interno dei follicoli vi sono i centri germinativi. scaricato da www.sunhope.it La funzione principale dei linfonodi come già detto è quella di filtrare particelle e microorganismi per tenerli fuori dalla circolazione del sangue; l'interazione di antigeni circolanti in linfa con linfociti per avviare la risposta immunitaria; attivazione e proliferazione dei linfociti T e dei linfociti B con relativa produzione di anticorpi. Le cellule residenti nei linfoidi sono le cellule linfoidi, macrofagi ed altre cellule fagocitarie che elaborano l'antigene, cellule endoteliali linfatiche e vascolari e fibroblasti responsabili della struttura di supporto del linfonodo. La milza invece è l'rogano linfatico più grande dell'organismo, è rivestita da una capsula di tessuto connettivo ed è un organo emocateretico. Si trova nel quadrate superiore sinistro dell'addome ovvero nell'ipocondrio di sinistra; il parenchima è accolto entro un dispositivo capsulare e trabecolare. La funzione della milza è simile a quella linfonodale, infatti è il sito principale delle risposte immuni verso antigeni presenti nel torrente circolatorio, mentre i linfonodi verso antigeni nella linfa. La milza è divisa in POLPA BIANCA E POLPA ROSSA; nella seconda vi è prevalenza di globuli rossi e vasi splenici ed è coinvolta principalmente nella degradazione dei globuli rossi senescenti, mentre la seconda è orgaizzata attorno ad arteriole centrali che forniscono sangue e così come per i linfonodi, la polpa bianca della milza è organizzata in regioni ricche di linfociti T (capsula linfatica periarteriolare) e aree ricche di linfociti B (follicoli). La stimolazione antigenica induce la proliferazione dei linfociti B e la formazione dei centri germinativi. Vi sono a livello della milza, oltre alla capsula e la struttura reticolare, anche dei fascetti di muscolatura liscia visto che la milza va incontro a splenocontrazione, necessaria in alcune volte perché immette linfociti e globuli rossi in circolo. La milza è un organo non indispensabile alla vita perché la sua funzione è sostenuta dal fegato, anch'esso ha funzione emocateretica, e dai linfonodi. Le tonsille invece sono aggregati di linfonodi privi di una capsula completa, si trovano lungo le vie di penetrazione degli antigeni che arrivano con l'aria o il cibo, e vanno a formare l'anello linfatico del Waldeyer. Si trovano appena sotto le mucose che rivestono il naso, la bocca e la faringe (gola) e vi sono tre gruppi di tonsille: faringee, palatine e linguali. Forniscono protezione contro le sostanze nocive ed agenti ptogeni che possono penetrare nel corpo attraverso il naso o la bocca. scaricato da www.sunhope.it Nell'immagine sopra si nota la sezione di tonsille palatine, sotto invece vediamo un'immagine di tonsilla faringe Sotto invece vediamo una sezione di tonsilla linguale Infine vi è il tessuto linfoide diffuso (o MALT, mucose associated lymphoid tissue), che troviamo soprattutto a livello della cute, dei bronchi e dell'apparato digerente. I sistemi di tessuto linfoide diffuso si trovano quindi a livello della pelle (SALT, skin associated lymphoid tissue) delle mucose bronchiali (broncus associated lymphoid tissue) e della mucosa intestinale (GALT, gut associated lymphoid tissue, di cui l'anello linfatico di Waldeyer che comprende i tre tipi di tonsile, l'appendice vermiforme e le placche di Peyer, sono gli esempi più studiati di tessuto linfoide diffuso e appartengono al GALT). Queste sedi di tessuto linfoide non presentano una organizzazione strutturata tipica dgli organi linfoidi secondari come milza e linfonodi, infatti possiedono un numero limitato di follicoli linfatici, e in prevalenza linfociti sparsi nel contesto della matrice connettivale o addirittura inseriti tra le cellule degli epiteli di rivestimento (infiltrati linfo-epiteliali). Quando si crea un intimo rapporto tra linfoci e strato epiteliale si assiste molto spesso alla comparsa di modificazione delle cellule epiteliali, le quali grazie alla vicinanza con i linfociti, assumono caratteristiche e proprietà scaricato da www.sunhope.it funzionali simili a quelle delle cellule dotate di attività fagocitaria, un esempio sono le cellule M presenti nei tratti di mucosa intestinali che si trovano in stretto contatto con i follicoli linfatici a livello delle placche di Peyer (nelle quali troviamo anche cellule staminali e cellule con attività enteroendrocrina). Sotto vediamo un esempio di tessuto linfoide diffuso con epiteli con cellule calificormi mucipare scaricato da www.sunhope.it Sbobinature corso Istologia A.A 2012/2013 Facoltà di Medicina e Chirurgia sede di Napoli Autore: Michele Lella scaricato da www.sunhope.it