Epiteli di rivestimento
Un epitelio è definito un tessuto con tali caratteristiche:
1) Costituito da cellule fittamente stipate (giustapposte) e da scarso materiale extracellulare in
cui passano i fluidi, i nutrienti e quindi avvengono gli scambi. Inoltre le cellule epiteliali
presentano numerose speciali giunzioni, ovvero legami cellula-cellula che permettono, a volte
l'adesione, a volte l'occlusione dello spazio, altre volte invece la comunicazione stessa tra le
cellule
2) Si riconoscono uno o più strati di cellule che formano una barriera con proprietà specifiche:
con un solo strato di cellule l'epitelio si definirà MONOSTRATIFICATO (o semplice) invece
quando sono presenti più strati di cellule si definirà PLURISTRATIFICATO (o composto). In
questo caso si formerà una barriera, che sarà maggiore, nel caso in cui gli strati sono numerosi
e le cellule appiattite, sarà invece inferiore nel caso in cui lo strato è costituito da un'unica fila
di cellule, le quali servono soprattutto per gli scambi con l'ambiente esterno, o meglio con il
lume che rivestono.
3) Ha sempre una superficie libera esposta verso l'ambiente esterno o verso una cavità o un
condotto
4) è privo di vascolarizzazione proprio perché non c'è lo spazio fisico per far passare i vasi
sanguigni data la forte giustapposizione delle cellule. Per questo motivo il nutrimento
proviene dai vasi che si trovano nel sottostante tessuto connettivo di sostegno, e per
DIFFUSIONE passano negli spazi fra le cellule che quindi possono essere nutrite
5) Poggia su di una MEMBRANA BASALE, che è costituita solitamente da uno strato o, in
alcuni casi, da più strati, che separa l'epitelio dal connettivo sottostante. Se l'epitelio è
monostratificato, tutte le cellule poggeranno sulla membrana basale, se l'epitelio è composto,
o pluristratificato, ovviamente solo le cellule dello strato inferiore poggeranno sulla
membrana basale.
Caratteristiche del tessuto epiteliale:
•
•
•
•
•
Fogli a modulo continuo (come le piastrelle) quindi se consideriamo un epitelio formato da
cellule appiattite è simile ad un pavimento, infatti è chiamato PAVIMENTOSO
Superficie Apicale: superficie che guarda la parte libera e può avere o meno delle
specializzazioni (ciglia, microvilli che formeranno l'orletto a spazzola, oppure tutto l'epitelio
può trasformarsi in strato corneo e dunque formare la cheratina. Quindi tutte le cellule
epiteliali hanno una superficie superiore che delimita uno spazio aperto conosciuto come
LUME
Membrana basale: strato continuo di separazione tra l'epitelio e il connettivo sottostante e su
cui poggiano tutte le cellule se è epitelio semplice, e invece su cui poggeranno solo quelle
dello strato basale se è un epitelio composto
Avascolarizzazione: assenza di capillari sanguigni e sono nutriti dal tessuto connettivo per
diffusione
Rigenerazione e riparazione rapida: ad esempio le cellule dell'epidermide si rigenerano circa
ogni 30 giorni tramite un processo chiamato CITOMORFOSI, altre per esempio si rigenerano
in un periodo più o meno lungo come quelle del fegato oppure altri tipi cellulari, non
epiteliali, hanno una rigenerazione molto più lenta o addirittura quasi inesistente come quella
dei neuroni. Di conseguenza più è sviluppata la capacità rigenerativa, più è possibile che in
queste rigenerazione capitino degli errori in mitosi, quindi anche nella replicazione del DNA e
che possono quindi accendere un focolaio di tipo canceroso.
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Questo è un classico epitelio di rivestimento in cui riconosciamo:
1. Sulla superficie apicale troviamo numerosi MICROVILLI
2. Le cellule sono molto alte definite cilindriche (batiprismatiche), e troviamo adese alla
superficie basale delle cellule, chiamate di “rimpiazzo”
3. Si nota bene la membrana basale che separa l'epitelio dal connettivo in cui ritroviamo i vasi
sanguigni e fibre
Anche questo è un
epitelio, in particolare
un Mesotelio, in
questo caso di un
Peritoneo
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Quindi in caso di Mesotelio si intende un epitelio pavimentoso semplice che riveste pleura, pericardio
o peritoneo. Nel caso della figura precedente, le cellule sono talmente piatte che la parte del nucleo
risulta la parte più spessa. Al di sotto invece troviamo l'abbondante connettivo in particolare si notano
i vasi sanguigni.
Funzionalmente i due epiteli sono diversi, infatti, il primo era deputato all'assorbimento di sostanze
data la presenza di microvilli, mentre nella seconda immagine, data la morfologia dell'epitelio stesso,
molto sottile, sicuramente sarà deputato alla funzione di scambio di sostanze.
Principali funzioni dei tessuti epiteliali:
1. Protezione fisica (sicuramente l'epidermide e quello dell'esofago)
2. Scambio di sostanze fra ambiente e tessuti (es. epitelio respiratorio, che serve per lo scambio
di sostanze gassose e tanti altri epiteli monostratificati)
Alcune localizzazioni di rivestimenti epiteliali:
Ad esempio nella pelle con l'epidermide, nelle vie aeree troviamo epiteli pavimentosi semplici
deputati fondamentalmente agli scambi, nel canale digerente troviamo un epitelio batiprismatico con
funzione assorbente, la cavità del cuore e dei vasi sanguigni che è rivestita da un endotelio, le vie
uro-genitali in cui troviamo l'urotelio che è un epitelio particolare data la sua natura a morfologia
variabile e infine le cavità sierose (pleura, pericardio e peritoneo).
Classificazione degli epiteli
•
A seconda della morfologia delle cellule:
Pavimentosi o squamosi con cellule piatte
Cubici o isoprismatici con cellule cubiche in cui il rapporto tra altezza e larghezza è uguale
Cilindrici o batiprismatici con cellule con un rapporto altezza maggiore della larghezza
•
A seconda della stratificazione
Semplici: a strato singolo
Pluristratificati o composti: due o più strati
•
Eccezioni sono costituite dagli epiteli: Pseudostratificato o pluriseriato (per i semplici) e da
quello a morfologia variabile o di transizione (per i composti)
Pseudostratificato: tutte le cellule raggiungono anche con una piccola parte (detta piede) la
membrana basale, ma non tutte raggiungono la parte apicale, i nuclei sono disposti ad altezza
diversa, dunque lo strato anche essendo unico ma sembra essere a più strati da questo la
nomenclatura di Pseudostratificato
Morfologia variabile: si modifica a seconda della funzionalità dell'organo (vie uro-genitali)
Dunque c'è correlazione tra morfologia e funzione: infatti generalmente gli epiteli pluristratificati
sono deputati a funzioni di protezione, integrità e contenimento, mentre quelli monostratificati sono
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impegnati in funzioni come la permeabilità, la secrezione e l'assorbimento. Quindi se una struttura è
fatta in un certo modo, deve necessariamente assolvere ad una determinata funzione. La superifice
apicale inoltre potrà avere determinate specializzazioni, come le ciglia che servono al movimento, i
microvilli per l'assorbimento e lo strato cheratinizzato (strato corneo) se si tratta di epidermide.
L'endotelio è l'epitelio di rivestimento dei vasi sanguigni, ed è pavimentoso semplice di derivazione
mesenchimale. Gli epiteli infatti derivano da tutti e tre i foglietti embrionali primitivi (ectoderma,
mesoderma ed endoderma). Per il dettaglio della derivazione vedere pag. 114 Monesi.
Un epitelio dunque si definisce anche in base alle cellule che raggiungono la membrana basale, in
particolare nel caso degli epiteli pseudostratificati che spesso inoltre, presentano sulla superficie
apicale delle ciglia e delle cellule calificormi mucipare che sono muco-secernenti.
Nel caso in cui gli strati di cellule sono molto numerosi, come si fa a riconoscere di che tipo di
epitelio si sta parlando? Si guardano in particolare gli strati più alti, quindi quelli apicali del tessuto e
non bisogna lasciarsi ingannare dalle cellule basali. Quindi bisogna definire un epitelio a più strati
guardando gli strati più apicali, come nella figura seguente in cui si può osserva un epitelio
pavimentoso pluristratificato non cheratinizzato.
Epitelio pavimentoso
pluristratificato NON
cheratinizzato
Andiamo adesso a guardarli nello specifico singolarmente:
Epiteli semplici:
•
•
•
•
•
Relativamente sottili e ottimi per l'assorbimento, secrezione e scambi di sostanze
Cellule che hanno la stessa polarità ovvero con nucleo nella regione centro-basale e organuli
nella parte apicale, dunque i nuclei formano una linea irregolare nella regione al di sopra della
membrana basale
Sono fragili
Rivestono la parete interna degli alveoli,
formano i mesoteli (pleura, pericardio e
peritoneo) e gli endoteli
Ottimo per lo scambio di sostanze data
proprio la facilità di passaggio dello strato
sottile di cellule, dunque si trovano in regioni
protette. Ad esempio nei capillari sanguigni
può avvenire DIAPEDESI, ovvero passaggio
di cellule e linfociti dal torrente sanguigno al
connettivo e ciò avviene grazie al fatto che c'è
solo la cellula endoteliale, dunque vi è il
passaggio agevole dal circolo sanguigno al connettivo
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I nuclei sono leggermente sovraelevati rispetto al resto della cellula ed è questa una delle sue
caratteristiche. Inoltre come detto è ottimo per lo scambio di sostanze e per fornire una superficie
liscia come nel caso degli alveoli polmonari e dei capillari sanguigni.
Le localizzazioni principali dell'epitelio pavimentoso semplice dunque sono sulla superficie
respiratoria del polmore, delle cavità corporee (mesotelio) o rivestimento interno di cuore e vasi.
Qui sotto si può osservare un esempio di epitelio pavimentoso semplice, in particolare un
MESOTELIO (pleura, periocardio, peritoneo) che delimita un lume nella parte centrale.
Nel caso degli scambi ossigeno-anidride carbonica, possono avvenire facilmente dato proprio il lieve
spessore che troviamo sia sulle pareti dei vasi sanguigni con l'endotelio sia sulle pareti degli alveoli.
Nel caso in cui vi sia ad esempio un ispessimento della membrana basale che separa uno dei due
endoteli dal connettivo sottostante causa patologie data la difficoltà ad esempio, della CO2 ad uscire.
Epitelio cubico semplice:
1. è deputato alla secrezione e all'assorbimento
2. è localizzato a livello degli epiteli ghiandoli come nel pancreas, tiroide, tubuli renali, ovario e
ghiandole salivari oppure a livello dei dotti ghiandolari e in alcuni tratti delle vie urinarie
3. hanno una limitata protezione
Al di sopra troviamo
il glicocalice e subito
al di sotto si trova
l'epitelio cubico
semplice. Qui si tratta
della superficie
anteriore del cristallino
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Quando si parla di epitelio pavimentoso semplice solo la parte del nucleo è più alta e sporgente, ma il
citoplasma al di sopra del nucleo non lo troviamo mai, mentre nel cubico semplice lo troviamo e
quindi la cellula assume la tipica forma isoprismatica.
Epitelio cilindrico semplice:
•
•
•
Singolo strato di cellule alte con nuclei circolari ovali; alcune cellule sono ciliate e lo strato
può contenere cellule muco-secernenti di ghiandole unicellulari (cellule caliciformi mucipare)
Hanno funzione di assorbimento, di secrezione del muco, di enzimi e altre sostanze; le cellule
ciliate spingono il muco (o le cellule germinali) per azione ciliare. Infatti le CIGLIA sono
sottili ed allungate, separate le une dalle altre e il loro battito favorisce il movimento di
sostanze quali muco e cellule germinali in particolare (ovocellula ecc.). I MICROVILLI
invece sono tutti uniti tra di loro, sono più bassi e formano il tipico “orletto a spazzola” (es.
intestino tenue).
Le linee non-ciliate si trovano nella maggior parte del tubo digerente (dallo stomaco al canale
anale), le colecisti e dotti escretori di alcune ghiandole; le linee ciliate si trovano nei piccoli
bronchi, tube uterine e regioni dell'utero.
Nella seguente
immagine si può
notare una sezione
di cistifellea umana
ed in particolare
l'epitelio cilindrico
semplice
In alcuni tipi di epiteli cilindrici semplici ciliati possono esserci cellule unicellulari che secernono
muco, in questo caso le cellule caliciformi mucipare non sono ciliate proprio perché il loro compito è
quello di secernere il muco, mentre il compito di quelle adiacenti ciliate è quello di favorire il
movimento del muco stesso lungo il lume della tuba ad esempio nell'epitelio cilindrico semplice
dell'ovidotto. Quando il citoplasma delle cellule che formano l'epitelio è trasparente vuol dire che il
muco prodotto è un muco neutro (cellule mucoidi) e dunque il nucleo per la produzione di tale muco
è situato in posizione basale. Un esempio di produzione di muco neutro lo troviamo nell'epitelio dello
stomaco per proteggersi dall'azione dei succhi gastrici che sono fortemente acidi (slide n.60). Il
muco, ad esempio, funge da protezione anche a livello delle vie respiratorie.
Quando il muco non è neutro, la colorazione è leggermente più scura. L'epitelio della tuba inoltre
deve avere le ciglia proprio perché l'ovocellula fecondata deve muoversi e tali specializzazioni
facilitano il movimento.
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In questo caso infatti, nella figura sopra, vediamo un epitelio cilindrico semplice ciliato, della tuba
uterina di topolina, e come detto precedentemente le ciglia sono presenti per spostare l'ovocellula
fecondata.
Nella figura sottostante invece, ci troviamo davanti ad un epitelio cilindrico semplice con orletto e
cellule caliciformi mucipare unicellulari. In particolare è evidente l'unitarietà dei microvilli per creare
uno strato unico e quindi nella formazione dell'orletto a spazzola con funzione principalmente di
assorbimento, infatti l'immagine sottostante è una sezione di intestino tenue umano ed inoltre rispetto
alle ciglia sono sicuramente più bassi e più numerosi (si parla di una media di 1200 microvilli per
ogni cellula).
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Qui si può notare invece una
sezione semifine di un epitelio
cilindrico semplice con orletto
a spazzola, con un maggiore
ingrandimento per mettere in
evidenza i singoli microvilli
per questo si parla di sezione
semifine.
Dunque come detto prima
possiamo dire che generalmente
le linee non ciliate dell'epitelio
cilindrico semplice si possono
trovare a livello del canale
digerente, dotti escretori, colecisti
mentre quelle non ciliate a livello
delle tube uterine, regioni
dell'utero e anche nei piccoli
bronchi
t
.
Epitelio pavimentoso stratificato
1. Innanzitutto come detto prima, è la morfologia degli strati più superficiai che fa definire
questo epitelio PAVIMENTOSO
2. è resistente, infatti si trova nei siti ove le sollecitazioni meccaniche sono severe (come la
lingua, l'esofago e l'epidermide)
3. Gli strati superficiali vengono eliminati con l'accrescimento degli strati profondi tramite il
processo di CITOMORFOSI (che dura circa 30 giorni) e di conseguenza dalla base alla
superficie le cellule invecchiano
4. I principali epiteli pavimentosi stratificati li troviamo: nell'epidermide in cui è
CHERATINIZZATO, nelle mucose in cui però NON è cheratinizzato, e in particolare nelle
mucose della bocca, della faringe, dell'esofago, vagina e retto
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Preparati personali
G.Papaccio
Qui si può osservare un epitelio
pavimentoso stratificato
NON cheratinizzato, in
particolare la lingua
rt
i
.
Qui invece abbiamo un particolare di un
epitelio pavimentoso stratificato NON
cheratinizzato, in particolare sezione di
vagina. Il particolare che ci fa riconoscere
che non c'è cheratinizzazione è dovuto al
fatto che vi è la ritenzione dei nuclei anche
in superficie, quindi le cellule sono
con citoplasma otticamente vuoto ma
hanno comunque conservato il nucleo.
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In particolare invece nell'EPIDERMIDE (epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzato) si
distinguono dalla profondità alla superficie:
1. STRATO BASALE è formato da cellule progenitrici, significa quindi che non sono cellue
staminali ma sono già indirizzate a formare solo cellule dell'epidermide ovvero i cheratinociti
2. STRATO SPINOSO è formato da più strati in cui le cellule presentano delle giunzioni dette
desmosomi e granuli detti corpi multilamellari contenenti lipidi (glicolipidi) e secernono una
sostanza che si chiama involucrina. Inoltre è detto spinoso perché le cellule hanno dei
prolungamenti che sembrano spine, e non servono però a farle comunicare tra di loro ma solo
a farle aderire perché ci sono i desmosomi
3. STRATO GRANULOSO le cellule sintetizzano cheratoialina contenente fillagrina ( aggrega i
tonofilamenti) e loricrina (corazza) che rinforza l'involucro ed è impermeabile all'acqua.
Composto da 3-5 strati e salendo i cheratinociti divengono più appiattiti e contengono più
cheratina
4. STRATO LUCIDO (lo troviamo soltanto negli epiteli molto spessi, come nel palmo delle
mani) le cellule sintetizzano eleidina (gocciole lipidiche) ed è ricco in materiale sigillante
extracellulare
5. STRATO CORNEO (citocheratina con ceramidi e lipi interlamellari) formato a sua volta da
strato compatto e strato disgiunto. Il primo è uno strato unico, il secondo è quello che
perdiamo continuamente
Ci sono circa 30 differenti citocheratine=tonofilamenti e tonofibrille e i cheratinociti vanno in
apoptosi con trasformazione in lamelle cornee, dunque le stesse cellule passando attraverso i vari
strati arrivano allo strato corneo e diventano infarcite di cheratina perdendo il nucleo e staccandosi in
“squame”.
Qui si può notare una
classica sezione di
epidermide in cui partendo
da sinistra (strato basale)
e procedendo verso
l'esterno (verso destra)
si possono notare
lo strato germinativo (o
basale) in successione
lo strato spinoso, lo strato
granuloso, lo strato
lucido e infine lo strato corneo
con cellule infarcite di cheratina
e ormai senza nucleo.
Le cellule progenitrici sono
pronte a trasformarsi, quando
infatti, i cheratinociti
raggiungono lo strato
granuloso si accumula sempre
di più cheratina per questo
si appiattiscono e muoiono
formando lo strato lucido
e infine il corneo formato
a sua volta da elementi
cellulari morti, privi di nucleo
t
.
e completamente cheratinizzati
i
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i
Qui ancora sopra, un particolare di epidermide umana, dove si notano (anche grazie alle numerazioni)
i vari strati e in cui lo strato corneo è meno evidente rispetto alla precedente immagine.
Nell'immagine a destra, sempre di
epidermide umana, tutti gli strati sono
ancora più distinguibili e in particolare
anche lo strato corneo in cui si osserva
addirittura una parziale desquamazione
in atto
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Le cellule dell'epidermide:
•
•
•
•
Cheratinociti, producono cheratina, una proteina fibrosa che dà all'epidermide le sue proprietà
protettive. Queste cellule sono strettamente collegate da desmosomi e nascono dallo strato
basale. Subiscono continue mitosi e sono spinte verso l'alto diventando sempre più
cheratinizzate. Le cellule che si trovano in superficie sono cellule morte.
Melanociti: sintetizzato melanina che viene trasferita ai cheratinociti con un meccanismo di
citocrinia, ovvero i melanociti (che sono cellule dendritiche con prolungamenti) producono i
melanosomi che sono granuli ripieni di melanina che tramite strozzatura dei prolungamenti
vengono portati appunto nei cheratinociti per espletare le proprie funzioni, in particolare di
protezione contro i raggi UV. Quindi la melanina ha la funzione di preservare il DNA nucleare
da eventuale danni, andandosi a porre nella regione sopranucleare del cheratinocito a formare
una sorta di ombrello parasole che scherma il DNA nucleare e che quindi assorbe e diffrange i
raggi ultravioletti. L'enzima tirosinasi è in grado di convertire l'amminoacido tirosina o
monoidrossifenilalanina in melanina, la tirosina se esposta ai raggi ultravioletti si ossida
divenendo diidrossifenilalanina o DOPA che funge anch'essa da substrato della tirosinasi. La
tirosinasi trasforma la tirosina in melanina molto lentamente, mentre la formazione della
melanina a partire da DOPA è molto più veloce. Una volta che è stata prodotta la melanina, i
melanociti possono trasferirla attraverso la secrezione citocrina ai cheratinociti dello strato
basale e spinoso dell'epidermide. Questo processo avviene nei melanosomi che sono vescicole
litimate da membrana. I melanociti sono situati nello strato più profondo dell'epidermide
Cellule del Langherans, cellule del sistema immunitario, derivano dal midollo osseo, agiscono
come i macrofagi che attivano ill sistema immunitario
Cellule del Merkel, cellule delle terminazioni nervose afferenti
Qui a destra notiamo i melanociti
con la loro tipi struttura dendritica
quindi con prolungamenti
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Epitelio cubico stratificato
•
•
•
è raro
fornisce protezione, secrezione e assorbimento
si trova a livello del dotto di ghiandole sudoripare, quindi bisogna ricordare che di solito i
dotti di queste ghiandole (sudoripare glomerulari) che di solito possiedono due strati, quindi
epitelio cubico stratificato
Qui troviamo
un esempio di
epitelio
cubico
stratificato
Epiteli pseudostratificati:
1. Apparentemente formato da più strati cellulari. In realtà tutte le cellule sono a contatto con la
membrana ma non tutte invece raggiungono la superficie
2. Riveste la trachea e altre vie respiratorie mentre l'unico tessuto pseudostratificato con
stereociglia è l'epididimo
3. Risultano costituiti da un singolo strato di cellule ad altezza diversa, alcune non raggiungono
la superficie libera; i nuclei si posizionano quindi ad altezza diversa e possono avere cellule
muco-secernenti e ciglia
4. Hanno una funzione di secrezione, in particolare di muco; propulsione di muco per azione
ciliare
5. La linea non ciliata riveste i tubuli seminiferi e canali di alcuni ghiandole mentre la linea
ciliata, la trachea e nella maggior parte dell'albero respiratorio
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Esempio di
epitelio
pseudostratificato
con cellule
caliciformi
mucipare
r it
i
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Nell'immagine sottostante invece abbiamo un epitelio particolare, poiché è un epitelio cilindrico
pseudostratificato con stereociglia, quindi è sicuramente quello dell'epididimo. Si nota anche grazie
al fatto che nel lume sono presenti gli spermatozoi ancora in fase di maturazione. Le stereociglia non
sono ciglia, ma bensì sono dei lunghi microvilli e l'unico tessuto che ha un epitelio cilindrico
pseudostratificato con stereociglia è l'epididimo che è il canale che porta fino al dotto deferente,
trasporta gli spermatozoi che sono stati prodotti nel didimo e grazie alle stereociglia potranno
completare la parte finale della loro maturazione
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Epitelio di transizione (o a morfologia variabile)
•
•
•
•
•
Il numero di strati varia in relazione allo stato funzionale dell'organo
In caso di vescica piena l'epitelio è disteso, in caso di vescica vuota l'epitelio è rilasciato,
infatti lo spessore dell'epitelio della vescica urinaria diminuisce con il riempimento di
quest'ultima.
Con cellule cupoliformi l'epitelio sarà rilasciato, mentre con cellule più piatte l'epitelio sarà
disteso, quindi a vescica piena
Ovviamente la localizzazione è a livello delle vie uro-genitali (vescisa, ureteri, parte
dell'uretra)
Urotelio: uroplachine (4 varianti) proteine transmembrana che interagendo reciprocamente si
aggregano in cristalli bidimensionali esagonali cui si legano proteine citoscheletriche:
formano una barriera impermeabile di difesa
Nell'immagine sopra vediamo un epitelio di transizione con le caratteristiche cellule cupoliformi,
dunque sarà in stato rilasciato.
Nell'immagine sottostante invece vediamo un epitelio di transizione con cellule piatte, quindi in stato
disteso.
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Giunzioni e specializzazioni
Le cellule sono entità dinamiche. Un esempio molto chiaro di tale affermazione si trova nel
movimento ameboide, possibile grazie a delle estroflessioni chiamate pseudopodi che sono delle
estroflessioni del citoplasma tipiche di cellule fagocitiche, oppure tramite i flagelli alcune cellule
riescono a muoversi liberamente. Inoltre ci sono dei movimenti passivi di organuli all'interno della
cellula grazie a correnti citoplasmatiche chiamati CICLOSI che trascinano mitocondri, granuli e
vacuoli di varia natura e che probabilmente avvengono grazie all'intervento di microtubuli e
microfilamenti. Un movimento di ciclosi è anche il movimento dei cromosomi durante la mitosi.
Altra dimostrazione dell'intervento dei microtubuli nella ciclosi la troviamo nei melanociti: i
melanosomi (granuli contenenti melanina) si spostano secondo linee radiali che coincidono con la
posizione dei microtubuli all'interno della cellula. Le cellule epiteliali hanno un citoscheletro
particolarmente sviluppato soprattutto per i microfilamenti e i filamenti intermedi (che nelle cellule
epiteliali sono detti TONOFILAMENTI e raccolti in fasci sono detti TONOFIBRILLE).
Tali strutture citoscheletriche nelle cellule degli epiteli inoltre, sono fondamentali per le giunzioni
d'ancoraggio che mettono in rapporto cellula-cellula.
Le cellule epiteliali sono fortemente giustapposte tali da lasciare solo piccoli spazi di matrice
extracellulare di circa 10 nm in cui passano dei fluidi interstiziali dove avvengono gli scambi
metabolici e a livello dei quali troveremo proprio le GIUNZIONI. Tutti gli epiteli poggiano sulla
membrana, quindi ci deve essere una connessione tra la parte basale della cellula e la membrana
basale stessa (che è fatta da matrice extracellulare) mentre al di sotto della lamina basale vi si trova il
tessuto connettivo in cui c'è una ricca vascolarizzazione e dunque il nutrimento può agevolmente
passare per diffusione alle cellule epiteliali. In una cellula epiteliale generalmente possiamo
distinguere tre parti principali: una parte basale, una parte laterale e la superficie apicale, che sporge
verso la superficie libera (delimitando il lume). Quindi i complessi giunzionali saranno a livello della
superficie basale e della superficie laterale, mentre per quanto riguarda la superficie apicale si parla
di specializzazioni come i microvilli, le ciglia e le stereociglia che sono necessarie affinché ad
esempio si producano secrezioni, oppure espletare funzioni di trasporto e mantenere l'integrità
strutturale. Un'altra caratteristica fondamentale delle cellule epiteliali è la presenza di una precisa
polarità, dunque la superficie apicale è completamente diversa da quella basale a livello di
distribuzione di organelli. Per polarità s’intende una differenziazione della morfologia e della
funzione dell’estremità apicale (rivolta verso la superficie) di una cellula epiteliale rispetto
all’estremità basale (orientata verso il sottostante connettivo). Di conseguenza, anche gli organelli
cellulari sono disposti in maniera particolare all’interno della cellula al fine di consentire la
specializzazione delle due estremità. La polarità è soprattutto evidente nell’epitelio cilindrico
semplice a funzione assorbente e di trasporto dell’intestino e del tubulo renale e nelle ghiandole
esocrine.
Nell’epitelio cilindrico semplice dell’intestino il margine libero è provvisto di microvilli, il
complesso di Golgi è situato in prossimità del polo apicale e i mitocondri tendono ad essere orientati
parallelamente all’asse cellulare.
Nel tubulo renale prossimale la superficie libera delle cellule è ricoperta da microvilli mentre quella
basale presenta invaginazioni o pieghe della membrana plasmatica tra le quali sono allineati i
mitocondri.
Nelle ghiandole esocrine gli organuli impegnati nel processo di secrezione (complesso di Golgi,
sistema reticolare, vacuoli di secrezione) sono disposti regolarmente secondo l’asse funzionale delle
cellule.
In generale la polarità si può distiunguere in:
• morfologica: disposizione a random degli elementi cellulari
• funzionale: disposizione degli elementi secondo l'asse funzionale e quindi localizzazione
asimmetrica di organelli e specializzazioni di membrana
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Per quanto riguarda le cellule epiteliali spesso possiedono una polarizzazione funzionala e, rilevata
dal nucleo dislocato in sede basale, il RER e i mitocondri in sede baso-laterale e il Golgi in posizione
intermedia e vescicole di secrezione accumulate all'apice della cellula e nella figura sottostante
possiamo osservare proprio la tipica polarità di una cellula cilindrica.
Al fine di preservare l'integrità meccanica del
tessuto le cellule epiteliali devono legarsi
le une alle altre per cui osserviamo un diffuso
ripiegamento delle membrane cellulari e in
particolare i COMPLESSI GIUNZIONALI
Tipi di giunzioni fra le cellule
•
•
•
•
•
GIUNZIONE OCCLUDENTE: zonula occludens o TIGHT junction
GIUNZIONE ADERENTE INTERMEDIA (o ANCORANTI): zonula adhaerens
DESMOSOMA: macula adhaerens
EMIDESMOSOMA E CONTATTO FOCALE
GIUNZIONE SERRATA: GAP junction
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Le giunzioni occludenti, quelle intermedie, desmosoma e giunzione serrata (gap junction) si trovano
sulla superficie laterale e dunque mediano il contatto cellula-cellula. In particolare la giunzione GAP
è presente anche nel tessuto muscolare cardiaco, nel sistema nervoso e anche nel tessuto osseo.
Nella giunzione GAP l'unità strutturale è il connessone che mette in comunicazione i citoplasmi di
due cellule adiacenti in cui possono passare ioni e molecole inferiore di 1KDa e sono responsabili
della rotazione dei cardomiociti grazie al passaggio proprio degli ioni calcio e dunque
dell'accoppiamento elettrico, indispensabili quindi per il metabolismo di tipo trofico. Si è studiato
inoltre che un aumento di ioni calcio farebbe aprire il canale delle giunzioni Gap mentre una
variazione di PH porterebbe alla chiusura del canale stesso.
La giunzione occludente e quella intermedia vanno a formare una sorta di banda intorno alla cellula
ed in particolare la zonula occludens non ha alcun rapporto con il citoscheletro.
Gli emidesmosomi e i contatti focali invece mediano l'adesione della cellula alla membrana basale e
dunque alla matrice extracellulare, inoltre vi è la presenza di integrine, ovvero proteine che fungono
da recettori e si vanno a legare alla fibronectina che è uno dei maggiori costituenti della matrice
extracellulare nella membrana basale (membrana basale = struttura specializzata della matrice
extracellulare).
Giunzioni occludenti:
le superfici extra cellulari di due
membrane plasmatiche adiacenti sono
in intimo contatto e non lasciano alcuno
spazio tra le membra, inoltre formano
una banda intorno all'intera cellula e
sigillano le cavità corporee. Vi è una
parziale fusione degli strati lipidici
come si può vedere dall'immagine e
inoltre è la più forte tra le giunzioni,
impediscono la diffusione delle
molecole organiche (infatti possono
lasciare passare soltanto piccoli ioni e
acqua) e non sono associate con alcun
elemento del citoscheletro.
Ci sono delle proteine giunzionali
che vanno ad unire le due cellule e che
vanno a formare la banda intorno alla
cellula.
Le giunzioni occludenti sono formate
da molecole transmembrana responsabili
dell'adesione tra le cellule affrontate e da proteine citoplasmatiche di ancoraggio. Alla prima classe
appartengono le JAMS (junctional Adhesion molecules) le CLAUDINE e le OCCLUDINE. Le
proteine della prima classe interagiscono con delle proteine citoplasmatiche dette ZONALI (ZO1,
ZO2 e ZO3) che sono di ancoraggio e che quindi prendono contatto con le occludine e le claudine e
contemporaneamente sono capaci di legare l'actina ma comunque il complesso giunzionale in sé
NON ha contatto con il citoscheletro.
Giunzioni aderenti intermedie (o ancoranti)
Sono costituite da due principali tipi di proteine:
• proteine di ancoraggio intracellulare
• proteine di adesione transmembrana
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Forte struttura che attraversa la membrana ed è attaccata al citoscheletro.
Le placche nella giunzione intermedia,
come nel desmosoma, mediano il contatto
tra il complesso giunzionale e il
citoscheletro. Nello spazio in cui avviene
la giunzione è presente la CADERINA,
ovvero una glicoproteina integrale che
media l'adesione cellula in presenza
di ioni calcio, che presenta un dominio
extracitoplasmatico che si lega al dominio
extracitoplasmatico della caderina della
cellula adiacente. Il dominio interno,
quindi intracitoplasmaetico della caderina
si lega alla β-catenina che a sua volta
si lega all'α-catenina la quale si associerà
al filamento di ACTINA. I filamenti di
actina sii legano tra di loro
grazie alla specifica mediazione
dell'ɑ-actinina. Tutto ciò è mostrato nella
figura a lato, in cui vi è uno schema
della giunzione intermedia e delle proteine
ad essa associata.
Desmosoma
Giunzione tenace, rinforzata dalla presenza di addensamenti su cui si agganciano abbondanti fasci di
filamenti intermedi. Le caderine mediano il legame cellula-cellula ed infatti nei desmosomi che sono
giunzioni molto simili alle giunzioni intermedie, sono impegnate particolari caderine dette
DESMOGLEINE (con il tipico dominio intra ed extra cellulare delle caderine) e DESMOCOLLINE
mentre la placca intracellulare che collega il dominio intracitoplasmatico di desmogleine e
desmocoline ai FILAMENTI INTERMEDI (che nelle cellule epiteliali sono costituiti principalmente
da cheratina e formano i tonofilamenti), è fornita da desmoplachina, placoglobina e placofilina
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Emidesmosoma (metà desmosoma)
Struttura asimmetriche, in cui una piastra ancora la parte basale della cellula alla lamina basale.
Questa placca intracellulare è formata da desmplachina, mentre filamenti di LAMININA ancorano la
piastra alla lamina basale. L'INTEGRINA è praticamente un recettore, ed il suo ligando si trova
proprio sulla fibronectina e quindi (importante anche nel meccanismo di diapedesi) media il legame
tra la superficie basale e la matrice extracellulare (precisamente proprio con la fibronectina, vedere
anche immagine dei contatti focali) mentre da un lato (sulla piastra) e dall'altro si legano i filamenti
intermedi. A sua volta la fibronectina si lega alle fibre collagene della matrice extracellulare del
connettivo mediando l'adesione integrina-matrice extracellulare (quindi in definitiva si avrà placca
emidesmosomica-integrina-fibronectina-fibre della matrice extracelluare, per dettagli vedere anche la
spiegazione della fibronectina nella parte del tessuto connettivo)
Schema della struttura di un
emidesmosoma
Contatti focali
A lato vediamo lo schema dell'adesione a
livello basale, grazie ai contatti focali. Quindi
anche i contatti focali, come gli emidesmosomi
mediano l'adesione tra la parte basale della
cellula e la matrice extracellulare della lamina
basale. Quindi vi è la presenza dell'integrina
anche in questo caso che si lega alla
fibronectina nella matrice extracellulare.
Quindi nella matrice extracellulare
l'integrina lega la superficie basale della
cellulare alla fibronectina, nella cellula
epiteliale invece, sempre nella parte basale,
l'integrina si lega ai filamenti di actina
mediante il complesso proteico formato
da TALINA, VINCULINA E
α-ACTININA che mediano l'attacco del
dominio intracellulare dell'integrina con
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i filamenti di actina. Vedere in particolare nell'argomento Tessuti Connettivi, la parte trattata
riguardo la fibronectina, laminina e integrina a cui si fa riferimento ai contatti focali.
Gap Junction o giunzione comunicante:
detta anche giunzione comunicante proprio perché mette in relazione e quindi in contatto i citoplasmi
di due cellule adiacenti. L'unità strutturale della giunzione GAP è il connessone, formato da 6
subunità proteiche disposte ad esagono chiamate CONNESSINE, formano al centro un canale
permeabile ad acqua, ioni positivi, e molecole di massa inferiore ad 1 Kda. Il canale esiste in
due conformazioni, una aperta
e una chiusa e il passaggio tra
le due avviene anche tramite
fosforilazione. Inoltre media
il passaggio di ioni calcio, e come
detto già precedentemente si
trova a livello dei tessuti più
importanti per l'organismo come
il tessuto osseo, muscolare
cardiaco e negli epiteli. Quindi
risulta indispensabile per il
metabolismo trofico, nell'impulso
nervoso o per esempio nella
rotazione dei cardiomiociti che
a sua volta è dipendente da ioni
calcio. Nel caso del tessuto osseo
invece le giunzioni comunicanti
sono importantissime per far arrivare nutrimento derivante dal canale di Havers o dal canale di
Volkmann (che sono i due canali in cui passa il circolo sanguigno) agli osteociti che non sempre si
trovano nelle vicinanze dei due canali.
L'apertura avviene per scivolamento delle subunità una sull'altra, ed inoltre è stato studiato che
l'apertura del connessone sarebbe sensibile all'aumento di ioni calcio e la chiusura, ad una variazione
(in particolare una diminuzione) del PH.
Specializzazioni delle superficie cellulare
Microvillo: caratterizzato da filamenti di actina che decorrono longitudinalmente lungo il microvillo
e sono tenuti insieme tra loro da fimbrina e fascina. La miosina lega i filamenti di actina alla
membrana plasmatica. I filamenti longitudinali di actina, entrando nella cellula si fondono con la
corteccia di actina, detta anche TRAMA TERMINALE.
La miosina e l'actina sono proteine contrattili e caratterizzano i microvilli che sono strutture immobili
rispetto alle ciglia, infatti, la funzione principale dei microvilli è quella di aumentare la superficie di
assorbimento, e possono inoltre formare
la caratteristica specializzazione
dell'orletto a spazzola quando sono
strettamente addossate a creare una
struttura unitaria e continua.
A lato si può osservare un particolare
ingrandimento di una immagine al
microscopio elettronico in cui si notano
i numerosissimi microvilli.
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Ciglia: le ciglia sono mobili e hanno il compito di spostare le sostanze, mentre i microvilli come
detto precedentemente sono immobili. I microtubuli sono responsabili del movimento che è diverso
dalla contrazione quindi il ciglio che è una struttura mobile sarà caratterizzata da microtubuli.
Le ciglia sono formata da 9 coppie di microtubuli con una coppia centrale. I microtubuli sono formati
da 13 protofilamenti formati a loro volta da dimeri di tubulina. Dalle coppie di microtubuli si
dipartono bracci di DINEINA che sono responsabili del movimento, ciascuna coppia di microtubuli
inoltre, sono collegati tramite ponti di NEXINA. La parte interna di un ciglio è detta ASSONEMA
(9+2) che corrisponde alla stessa struttura che si trova anche nel flagello. Il movimento vero e proprio
delle ciglia quindi è dovuto allo slittamento dei microtubuli grazie alla dineina. Inoltre il battito
ciliare consiste in un rapido colpo efficace in cui il ciglio si flette rigidamente alla base, sferzando il
liquido circostante, di un colpo di ritorno, in cui il ciglio ritorna alla sua posizione iniziale
Stereociglia: sono microvilli modificati più lunghi, e non contengono microtubuli. Possono facilitare
l'assorbimento e a livello dell'epididimo le stereociglia sono impegnate nel processo di maturazione
degli spermatozoi ma assolutamente non nel loro movimento, poiché gli spermatozoi usano il loro
flagello per muoversi. Nell'epitelio dell'epididimo si riconoscono tre classi di cellule: cellule basali
con un nucleo rotondeggiante che non sembrano raggiungere la superficie; cellule principali
caratterizzate da un nucleo basale con numerose stereociglia; le cellule chiare che hanno un nucleo
più chiaro e presentano solo rare stereociglia. In particolare dalle cellule basali dell'epitelio
epididimale si estendono sottili prolungamenti citoplasmatici che raggiungono il lume. Su tali
prolungamenti ci sono recettori per L'ANGIOTENSINA 2 (AGTR2) a cui si lega proprio
L'ANGIOTENSINA 2 presente nel lume dell'epididimo, stimolando la produzione di ossido nitrico
(NO). L'ossido nitrico prodotto dalle cellule basali agisce localmente (risposta paracrina) stimolando
le cellule chiare a produrre cGMP e a ciò segue il trasferimento sulla membrana di stereociglia di
ATPasi che fungendo da pompe protoniche, rilasciano protoni nel fluido epididimale acidificandolo e
quindi completando la maturazione degli spermatozoi.
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Membrana basale
Gli epiteli si poggiano sulla membrana basale, e al di sotto di questa si trova il tessuto connettivo,
quindi la membrana basale si interpone tra un epitelio e un tessuto connettivo. Media l'adesione
quindi cellula-matrice extracellulare e permette ai nutrienti ed agli scarti di diffondere agevolmente.
Nel rene è un filtro particolare per le macromolecole. La membrana basale inoltre va a definire anche
la polarizzazione delle cellule (poiché le cellule si legano alla lamina basale tramite giunzioni) ed
inoltre nella rigenerazione funziona da “autostrada” per la migrazione cellulare. La membrana basale
risulta essere quindi foglietti specializzati di MEC (matrice extracellulare) formato da una LAMINA
LUCIDA, LAMINA DENSA E FIBRORETICOLARE con uno spessore di 50-100 nm di spessore.
Le cellule epiteliali non producono collagene, ma sono i fibroblasti che producono tale sostanza, solo
nel caso della membrana basale troviamo cellule epiteliali che producono collagene perché in pratica
la membrana basale è formata dalle cellule epiteliali stesse
• Collagene I : Si trova maggiormente a livello dell'osso
• Collagene II: a livello della cartilagine
• Collagene IV: a livello della membrana basale, serve per dare stabilità e forma estese reti
legando le estremità amminiche e carbossiliche. Tali reti sono legate al plasmalemma della
cellule mediante la laminina e la nidogenina la quale ultima forma sulla laminina centri di
nucleazione per la deposizione del collagene di tipo IV. Quindi la laminina media l'adesione
tra la parte basale della cellula e la membrana basale ed inoltre la laminina e l'integrina
interagiscono per formare la tipica struttura d'ancoraggio dell'emidesmosoma
Quindi adesione cellule-matrice= INTEGRINA
Invece adesione cellula-cellula=CADERINE che sono proteine calcio-dipendente e si possono
riconoscere E-caderina (nell'epitelio), N-caderina (neuroni, fibroblasti e muscolo scheletrico), Pcaderina (placenta, epidermide, epitelio mammario) e VE-caderina (endotelio vascolare).
Meccanismo extravasazione e diapedesi leucocitaria con SELECTINA ED INTEGRINA (vedere nel
dettaglio pag.123-124 V. Monesi)
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Ghiandole endocrine ed esocrine
Le ghiandole sono strutture deputate alla produzione ed escrezione del secreto. Possono essere cellule
singole (cioè una cellula corrisponde ad una ghiandola) come nel caso delle esocrine caliciformi
mucipare, oppure possono come nel caso delle endocrine in cui, numerose cellule, riversano il loro
secreto, direttamente nei capillari sanguigni. Dunque in generale le ghiandole sono cellule singole o
organi specializzati nella produzione e secrezione di sostanze che svolgono una varietà di funzioni
biologiche nell'organismo.
In genere si tratta di epiteli ghiandolari, ma in generale le ghiandole derivano da tutte e tre i foglietti
embrionali, quindi non sono sempre degli epiteli. Gli elementi secernenti sono distinti in
ADENOMERO O PARENCHIMA (prima tale distinzione era netta e precisamente si adoperava il
termine adenomero per le esocrine e parenchima per le endocrine, oggi invece si usano
indifferentemente per entrambe) e sono costituiti prevalentemente da cellule epiteliali, tuttavia
possono essere costituite anche da altri tessuti, troviamo infatti ghiandole anche di derivazione
connettivale o nervosa.
Quindi le ghiandole si dividono in :
• Esocrine: secrezioni riversate all'interno di un organo cavo o all'esterno dell'organismo e
agiscono localmente
• Endocrine: le secrezioni riversate nel flusso sanguigno e agiscono su organi “bersaglio” in
genere sito a distanza (endocrinia) o nelle vicinanze (paracrinia) o anche autocrinia (stessa
cellula)
Come originano embriologicamente? Nel caso delle esocrine di origine epiteliale (che nel caso delle
esocrine sono la maggior parte, mentre le endocrine possono avere, come detto, più origini) l'epitelio
si rivestimento si invagina e quindi si accresce verso la profondità del tessuto connettivo conservando
il contatto con l'esterno tramite il dotto escretore.
La ghiandola endocrina invece per il contatto con l'esterno, quindi dall'epitelio da cui deriva per
invaginazione, perché le cellule del dotto escretore vanno in morte programmata (apoptosi) e quindi
le cellule del parenchima endocrino, si vengono a trovare all'interno perdendo il contatto con
l'esterno. Dunque le cellule delle ghiandole endocrine per poter riversare il loro prodotto di
secrezione, producono una gran quantità di VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) che sono
fattori di crescita coinvolti nella vasculogenesi e nell'angiogenesi, creando così numerose cellule
endoteliali e quindi vasi veri e proprio, formando di conseguenza reti mirabili di capillari a contatto
con tutte le cellule delle ghiandole, che possono, indipendentemente, riversare il proprio secreto nel
circolo sanguigno.
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Le ghiandole possono essere :
1. Cellule o ghiandole isolate, come nel caso delle esocrine, in particolare delle caliciformi
mucipare
2. In alcuni casi qualche epitelio esocrino può essere costituito da una superficie secernente,
come ad esempio nel caso dello stomaco poiché produce muco neutro per proteggersi
dall'azione dei succhi gastrici altamente acidi
3. Può essere un epitelio esocrino che forma l'adenomero o il parenchima di ghiandole esocrine
formando una struttura precisa come nel caso di pancreas, fegato ecc.
Inoltre vi è un'ulteriore suddivisione in:
• Ghiandole unicellulari: singole cellule secernenti nell'ambito di un tessuto epiteliale (unico
caso nelle esocrine: caliciformi mucipare, in cui la forma cambia a seconda dello stato
funzionale, infatti nella fase di accumulo si avrà la tipica forma a “calice” ricca del
mucinogeno che deve essere riversato, e dopo il rilascio invece, assume una forma molto più
sottile ed allungata. Il mucinogeno all'esterno a contatto con l'acqua formerà la mucina che è
Pas-positiva)
• Ghiandole pluricellulari: veri e propri organi contenenti epiteli ghiandolari in cui vi si
trovano acini, tubuli o entrambi
Le modalità di secrezione di tali ghiandole inoltre, sono molto diversificate:
•
•
•
•
Eccrina (=fuori): per trasporto attivo transmembrana e diffusione (es. ghiandole gastriche e
sudoripare)
Merocrina (=parte): per esocitosi ed è la modalità più comune (es. pancreas e salivari)
Apocrina (=superiore): accumulo e perdita della porzione apicale per strozzatura proprio
della parte superiore della cellula, che verrà in seguito ricostituita (es. sudoripare apocrine
dell'ascella e dell'inguine)
Olocrine (=tutto): la cellula va in apoptosi trasformandosi in prodotto interamente di
secrezione poiché hanno delle cellule staminali nella parte esterna che rimpiazzano
progressivamente le cellule che vanno in morte programmata (es. sebacee)
Qui ad esempio ci troviamo di fronte ad un epitelio cilindrico semplice con ghiandole caliciformi
mucipare (unicellulari) pronte a secernere e con il particolare orletto a spazzola sulla parte superiore
dell'epitelio
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Le ghiandole pluricellulari a loro volta, possono dividersi in:
•
•
Intraparietali, ovvero quando le loro dimensioni sono tali da farle entrare all'interno della
parete. A loro volta possono essere intraepiteliali se si tratta di veri e propri epiteli ghiandolari
o esoepiteliali (non rientrano negli epiteli ghiandolari) quando scendono al di sotto
dell'epitelio e quindi vanno a livello del connettivo e saranno coriali quando appartengono al
corion, ovvero al primo strato al di sotto dell'epitelio oppure apparterranno alla struttura
sottomucosa e quindi saranno esoepiteliali sottomucose (es. ghiandole del Brunner nel
duodeno)
Extraparietali (es. fegato, pancreas)
Nella figura sopra vediamo un esempio chiarissimo di epitelio secernente, in cui è tutto l'epitelio che
secerne appunto il secreto.
Nell'ambito del viscere, distinguiamo una MUCOSA, una SOTTOMUCOSA, una MUSCOLARE e
un MESOTELIO (o avventizia). Quindi a livello dei visceri e in particolare della mucosa troviamo un
epitelio che è proprio della mucosa stessa e al di sotto dell'epitelio troviamo il corion che è il
connettivo denso che sostiene la mucosa (lamina propria) subito al di sotto troviamo la sottomucosa
che è un connettivo lasso, in successione una tonaca muscolare e infine un mesotelio che è, come già
detto, un epitelio pavimentoso semplice che riveste le sierose quindi pleura, pericardio e peritoneo,
se il viscere è al di fuori di queste tre categorie, allora l'ultimo strato sarà una tonaca avventizia.
(vedere anche pag 114 Monesi). Ad esempio le ghiandole del Brunner che sono esoepiteliali
sottomucose, comunicano anche con le ghiandole a livello del corion (quindi del connettivo di
sostegno dell'epitelio) per poter riversare il loro prodotto data la loro natura esocrina (infatti le
ghiandole del Brunner producono una secrezione mucoide con funzione di protezione a livello del
duodeno).
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Forma dell'adenomero
•
Adenomero tubulare: ovvero a “dito di guanto” quindi con la forma di un tubicino a fondo
cieco
•
Adenomeri acinosi: adenomero assume l'aspetto di un chicco d'uva con un sottile lume al suo
interno e con cellule a forma piramidale con apice rivolto verso il lume ghiandolare
•
Adenomeri acinosi di tipo alveolare: adenomero presenta un ampio
lume che ripete la forma esterna dell'adenomero e cellule abbastanza cubiche
si differenziano dal dotto, per la loro forma abbastanza “slargata”
•
Adenomeri otricolari: alcune ghiandole con adenomeri
alveolari hanno alveoli tanto grandi da essere definiti otricolari, che sta ad indicare
principalmente due tipi di ghiandole, ovvero la ghiandola mammaria nella donna, e la
ghiandola prostatica nell'uomo
Classificazione morfologica delle ghiandole esocrine
•
Semplici: una o più unità secernenti connesse alla superficie dell'epitelio o direttamente o per
mezzo di un dotto non ramificato, quindi un solo adenomero con un solo dotto. Inoltre le
ghiandole esocrine tubulari semplici possono essere anche “avvolte su se stesse” formando la
tubulare semplice a gomitolo o glomerulare che oltre la forma particolare (dovuta anche alla
doppia sezione) possiede la parete bistratificta poiché ha anche le cellule mioepiteliali per
facilitare il movimento del secreto.
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•
•
Ramificate: posseggono un solo condotto escretore a cui fanno capo due o più adenomeri.
Quindi si avranno due o più adenomeri con un solo dotto
Composta: ramificazione sia dell'adenomero che del dotto escretore (più dotti con più
adenomeri). Quindi il dotto escretore principale si ramifica in condotti di calibro
progressivamente decrescente che terminano con l'adenomero (unità secernente). Di solito
quando la ghiandola è può possedere sia tubuli che acini.
Classificazione sulla base della natura del secreto
•
•
•
•
•
•
Sierose: soluzione concetrata di proteine semplici di aspetto fluido come il siero di latte
Contengono granulazione con citoplasma basofilo e quindi sono ben colorate con nucleo
centro basale con limiti tra le cellule difficilmente distinguibili
Mucose: soluzione concentrata di glicoproteine viscose trasparenti. Citoplasma otticamente
vuoto e il nucleo è schiacciato alla base con limiti cellulari ben visibili e distinguibili
Miste
A secrezione lipidica: trigliceridi associati a fosfolipidi e cloesterolo (sebacee e ceruminose)
A secrezione iroelettrolitica: acqua e ioni disciolti (gastriche ad HCL e sudoripare eccrine)
A parte le mammarie, che producono un alimento completo, il latte: proteico, lipidico,
glucidico, idrosalino, ormonale. Nei primi giorni di vita la ghiandola mammaria produce il
COLOSTRO (primo latte) che è ricco di anticorpi (immunoglobuline di classe A), sostanze
protettive ed infatti le prime difese vengono trasferite dalla madre al feto proprio tramite il
colostro
Qui a lato si può notare la differenza di colorazione tra una cellula a secrezione mucosa e una cellula
a secrezione sierosa
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Adesso vediamo un po' di vetrini per il riconoscimento delle varie classi di ghiandole esocrine:
Qui vediamo due esempio di ghiandole tubulari semplici, in particolare in quella di destra, più chiara,
notiamo benissimo la secrezione mucosa con il tipico citoplasma otticamente vuoto. Nell'immagine
invece in basso a sinistra, vediamo la stessa immagine di prima, soltanto, in una sezione trasversale,
mentre in basso a destra si nota un altro esempio di ghiandola tubulare sempice con cellule a
secrezione mucosa.
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Qui invece notiamo (immagine a destra) una sezione più particolare, si vedono infatti alcune sezioni
dell'adenomero con parete bistratificata e due dotti escretori in basso. Di conseguenza anche la forma
abbastanza particolare, mi induce a dedurre che in tale sezione vi sia una ghiandola tubulare semplice
glomerulare (o a gomitolo)
Nell'immagine a sinistra invece possiamo sempre notare una sezione di ghiandola tubulare a gomitolo
(sudoripara) e tutto il connettivo irregolare intorno, quindi ci troviamo a livello del derma.
Nell'immagine sottostante invece abbiamo un esempio di ghiandola acinosa ramificata a secrezione
olocrina in particolare della ghiandola sebacea con la presenza vicina del pelo (muscolo erettore del
pelo) e del connettivo tutto intorno del derma. Si nota inoltre come gli acini di tale ghiandola siano
pieni e al centro, questi diventano sebo che poi viene riversato all'esterno. Il pelo è un'invaginazione
dell'epidermide nel derma e quindi ha anche il corneo.
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Nella sezione a lato (a destra) possiamo osservare chiaramente una ghiandola acinosa composta,
infatti si notano i due dotti perfettamente circolari con tipico epitelio cubico semplice, e tutto intorno
gli acini con lume angusto e forma piramidale. I dotti sono due, e quindi sono ramificati, così come
tutti gli acini intorno. Da ciò deriva che la ghiandola è acinosa composta.
Nella figura in alto a sinistra invece, chiaramente gli acini a forma piramidale, e le sezioni di più
dotti, ed inoltre la secrezione è ben colorata dunque si tratta di ghiandola acinosa composta a
secrezione sierosa. Il pancreas esocrino è un tipo di ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa
Nell'immagine a destra, come descritto nel titolo vediamo una ghiandola acinosa composta a
secrezione mucosa con i tipici nuclei schiacciati alla base e il citoplasma otticamente vuoto, mentre
nell'immagine a sinistra notiamo una ghiandola acinosa composta a secrezione mista, poiché notiamo
parti, in cui vi è materiale con citoplasma otticamente vuoto, ed altre invece in cui è ben evidente la
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colorazione che vanno a formare delle specie di “semilune”, dette appunto SEMILUNE DI
GIANNUZZI, che si trovano praticamente solo nelle ghiandole acinose composte a secrezione mista,
come in questo caso specifico.
Nella figura sottostante (a sinistra), si osserva chiaramente un esempio di ghiandola alveolare
composta, diciamo precisamente composta, poiché dati i numerosi alveoli, è molto improbabile che si
riferiscano tutti ad un solo dotto, quindi molto probabilmente la ghiandola in figura sarà, come detto,
alveolare composta.
Nella figura sopra a destra invece notiamo chiaramente una ghiandola alveolare, in particolare
otricolare, quindi con lume molto grande, composta. Come detto le uniche otricolari sono, nella
donna a livello della ghiandola mammaria e nell'uomo, a livello della prostata. Quando non contiene
il latte, quindi a riposo, la ghiandola mammaria è molto piccola rispetto a quando ne contiene, in cui
si osserverà una notevole espansione della ghiandola stessa come si può notare in questa immagine
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In questa ghiandola possiamo osservare un po' un riassunto, di tutte le categorie citate, infatti vi
troviamo la tipica struttura degli acini, con forma a piramide e secrezione prevalentemente sierosa,
poi, possiamo notare la presenza di tubuli ramificati a secrezione mucose e la presenza di due dotti.
Di conseguenza si può affermare che tale ghiandola è una tubulo-acinosa composta a secrezione
mista, che è sicuramente la più complicata della categoria delle esocrine ed in genere sono proprie
delle ghiandole salivari, mentre generalmente nella ghiandola sottolinguale si distinguono acini
mucosi e semilune sierose. In particolare le ghiandole salivari presentano dotti “striati” dovuti al fatto
che una parte del secreto deve essere riassorbita.
Il pancreas è una ghiandola mista poiché sia endocrina che esocrina, e in particolare presenta la parte
esocrina costituita da una ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa mentre la parte endocrina
è costituita dalle isole del Langerhans. Nella figura sottostante vediamo una tipica sezione di
pancreas esocrino quindi, come detto, ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa.
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Il fegato invece non può essere catalogata assolutamente nelle strutture precedentemente descritte
poiché ne possiede una particolare, definita LABIRINTICA. Il fegato è una ghiandola extraparietale
ANFICRINA (cioè a secrezione endocrina ed esocrina) ed è costituito da strutturale esagonali al cui
centro vi è la vena CENTRO-LOBULARE e sui lati ci sono gli spazi cordali. Alla vena centrolobulare convergono sia i sinusoidi (capillari) sia le cellule che vanno a costituire delle strutture a
cordoni che si portano proprio fino al centro della vena. All'apice ci saranno un ramo della vena
porta, un rame dell'arteria epatica e un ramo del dotto biliare.
Nella sezione della ghiandola si può notare al centro la vena centro-lobulare a cui giungono i
sinusoidi e tutte le strutture a cordone e le strutture esagonali dei lobuli epatici oltre alla caratteristica
struttura labirintica di questa ghiandola. Vi si possono trovare in alcune sezioni anche cellule del
Kupffer che sono essenzialmente cellule del sistema macrofagico e quindi hanno il compito di
eliminare sostanze estranee.
Lobulo epatico: presenta sei lati e con tre lati guarda i sinusoidi mentre con altri tre guarda gli altri
epatociti. I lati che guardano verso i sinusoidi presentano uno spazio, detto spazio del Disse, con
capillari fenestrati in cui vi sono anche le cellule del Kupffer. Invece i lati che guardano verso gli altri
cordoni epatici, presentano delle tight junctions (giunzioni occludenti) e fra cellula e cellula si
riconoscono i canalicoli biliari, cioè, a questo livello quindi, le cellule epatiche riversano la bile che è
il principale prodotto di secrezione. La bile viene riversata in queste docciature tra cellula e cellula va
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fino al dotto epatico, a questo punto in parte si porta alla cistifellea, oppure raggiunge tramite il
coledoco l'ampolla di Vater e qui tramite lo sfintere dell'Oddi riverserà la bile a livello del duodeno
per la digestione degli alimenti. Quindi l'epatocita presenta sei lati e per tre ha rapporto con il sangue
e dunque ha funzione di tipo endocrino come nella produzione di albumina ecc. Invece con gli altri
tre lati ha una funzione di tipo esocrina poiché riversa la bile che è appunto un prodotto esocrino
perché si porta in un condotto interno che è il duodeno.
Epiteli sensoriali
Costituiti da cellule specializzate per la ricezione di stimoli che giungono all'organismo dall'ambiente
esterno e sono principalmente quelli delle cellule olfattive, gustative, acustiche e sensoriali
dell'apparato vestibolare. A volte possono essere dei veri e proprio neuroni periferici, altre volte
invece non lo so, ma tuttavia sono specializzate proprio nella ricezione di stimoli dall'ambiente
esterno, e solitamente sono avvolte da espansioni terminali di fibre nervose appartenenti a neuroni di
senso il cui corpo cellare ha sede nei gangli cerebro-spinali. Queste particolari cellule sono cellule
sensoriali secondarie in quanto prive di prolungamenti proprie dei neuroni periferici, che sono dette
proprio per questo cellule sensoriali primarie. Le cellule sensoriali secondarie sono altamente
eccitabili, in grado di convertire l'informazione in un segnale da inviare ai centri superiori di
elaborazione (miollo spinale, tronco dell'encefalo, corteccia cerebrale e cerebellare). Le cellule
olfattive sono proprie di un epitelio che si trova nella parte più alta delle cavità nasali e sono cellule
fornite di ciglia molto lunghe. Nell'immagine sottostante si vedono anche tanti neuroni periferici che
si portano al nervo olfattivo e quindi al bulbo olfattivo. Quindi possiamo dire che la mucosa del naso
ovvero la porzione più elevata, quella a contatto con l'osso etmoide presenta un epitelio sensoriale
con numerosi neuroni intercalati tra le cellule epiteliali. Per quanto riguarda l'epitelio gustativo è
costituito da cellule che si trovano in particolari corpiccioli che sono i calici gustativi (figura in basso
a destra). Questi sono situati soprattutto a livello dell'epitelio della bocca e della lingua e sono formati
da cellule più allungate che sono proprio quelle sensoriali che portano alla “via gustativa” tramite i
recettori che si trovano su queste cellule. Come già detto, i calici gustativi si trovano all'interno
dell'epitelio pavimentoso stratificato della lingua o del palato generalmente. Questi corpiccioli inoltre
sono molto frequenti a livello delle papille circumvallate e sono frequenti in altri tipi di papille come
quelle di tipo fungiforme. In questo categoria di cellule possiamo distinguere diversi citotipi ed in
particolare: cellule del gusto di tipo allungato che sono le vere cellule recettoriali, cellule di sostegno
e piccole cellule basali indifferenziate (cellule staminali). Inoltre vi è da dire che possiamo trovare
una distribuzione topografica della percezione del gusto. Infatti solitamente il gusto dolce e quello
salato sono percepiti prevalentemente sulla punta della lingua, il gusto acido sui margini laterali e il
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gusto amaro sulla superficie posteriore della lingua (le gemme gustative sono molto più sensibili ai
sapori amari proprio per una sorta di meccanismo di protezione).
Con la senescenza le papille gustative diminuiscono e per questo a volte gli anziani non mangiano
perché “non sentono il sapore” dunque in questo caso vi sarà una diagnosi di AGEOSIA ovvero
assenza delle sensazioni gustative oppure DISGEOSIA, in cui il soggetto avrà soltanto un'alterazione
delle sensazioni. Ancora un'ulteriore variazione è la “sindrome della lingua bruciata”. Sotto possiamo
notare una sezione in cui si vedono chiaramente (indicati anche con le frecce) i calici gustativi
all'interno dell'epitelio pavimentoso stratificato
Sopra invece vi è la tipica struttura dell'orecchio interno, con la stimolazione delle cinociglia che
sono stimolate a loro volta dal movimento degli otoliti. Ciò porta alla sensazione dell'equilibrio.
Sull'orecchio quindi, diciamo poche cose dato che lo studio più approfondito sarà oggetto
dell'anatomia microscopica, l'importante è sapere un po' la struttura e l'organizzazione in cinociglia
ed otoliti particolarmente importanti come già detto, per la sensazione di equilibrio.
Ci sono poi degli epiteli che sono detti particolarmente differenziati poiché appunto il
differenziamento è tanto cospicuo da non riuscir a riconoscere la propria derivazione. In particolare
parliamo dello smalto del dente, del cristallino (di cui abbiamo visto l'epitelio superficiale) i peli e le
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unghie. Il cristallino si sviluppa da una vescicola che formano delle fibre che a loro volta si
allungano, tranne quelle dell'epitelio dell'epitelio anteriore. Quindi anteriormente le cellule
rimangono epiteliali, le altre invece si trasformano in fibre molto allungate che hanno la caratteristica
di essere trasparenti (dovute alla particolare struttura quaternaria delle proteine che le compongono).
Notiamo sopra la sezione del cristallino con l'epitelio anteriore chiaramente cubico semplice, ancora
più in superficie dell'epitelio troviamo il glicocalice, mentre procedendo verso la porzione centrale
vediamo tutte le fibre e man mano i nuclei non li riconosciamo più.
Il pelo è un'invaginazione dell'epidermide all'interno del derma: è costituito da un follicolo, abbiamo
poi una porzione centrale che è la porzione cornea e poi abbiamo tutti gli strati dell'epidermide.
Procedendo dall'esterno verso l'interno abbiamo una membrana vitrea, abbiamo una guaina radicale
esterna, poi una guaina radicale interna e infine il pelo vero e proprio formato da midolla, corteccia e
cuticola. Chimicamente un pelo consiste in una serie di filamenti di cheratina, una sclero proteina che
viene prodotta nel più profondo degli strati dell'epidermide. Partendo da qui, la cheratina migra verso
gli strati superiori e va ad addensarsi in cellule specifiche, che perdono ilnucleo e vengono dette
cornee.
Il pelo nasce da una particolare struttura della pelle, detta follicolo pilifero: qui è presente la vera e
propria radice del pelo, la parte viva di esso. Per il resto, il pelo non è composto che di cellule morte
stratificate e ricoperte di fitte e sottili scaglie, appunto le cellule cornee di cui sopra. Alla radice del
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pelo, irrorata di vasi sanguigni e a contatto con i nervi, sono sempre presenti altre due strutture, cioè
una ghiandola sebacea ed un muscolo erettore del pelo; la prima si trova in comunicazione con il
follicolo pilifero e, tramite esso, secerne una sostanza grassa e oleosa, il sebo, che ha la funzione di
ammorbidire la pelle. Il secondo invece, molto più piccolo dei normali muscoli scheletrici, è
connesso direttamente al pelo e contraendosi è capace di causare il fenomeno dell'orripilazione,
comunemente chiamato "pelle d'oca".
Nella figura sottostante troviamo quindi una ghiandola tubulare glomerulare, immersa all'interno di
un connettivo denso e irregolare e poi notiamo il pelo che è un'invaginazione dell'epidermide
all'interno del derma sottostante che è caratterizzato appunto dall'epitelio pavimentoso stratificato.
Quindi in questo tipo di sezione in cui notiamo la ghiandola sudoripara che è una tubulare a
gomitolo, ed intorno ad un connnettivo abbondante se ritroviamo un epitelio pavimentoso stratificato
non può essere se non proprio il pelo. Il dotto della ghiandola invece prima di tutto sarebbe stato più
circolare, ma inoltre sarebbe stato caratterizzato dalla presenza dell'epitelio cubico semplice
Ghiandole endocrine
Nella nostra vita siamo continuamente influenzati dagli ormoni, prodotti dalle ghiandole endocrine.
Gli ormoni possono essere di varia natura chimica:
•
•
•
Peptidica: quindi agiranno grazie a recettori ad attività tirosin-chinasica (RTK) o accoppiati a
proteine G oppure a canali ionici a controllo di ligando
Steroidea: con recettori citoplasmatici- 3 dominii R, D e M. I recettori per gli ormoni
steroidei sono dei fattori di trascrizione e possiedono tre dominii, uno per il legame con il
ligando, uno per il legame con il DNA e un altro per l'attivazione della trascrizione. Quando
non sono legati al ligando, il dominio per la trascrizione è “coperto” da una classe di proteine
chiamate HSP90. Questo può essere il caso degli ormoni prodotti, dalla corticale del surrene
(come ad esempio i glucocorticoidi e mineralcorticoidi sotto stimolazione di ACTH che ha
come bersaglio la corticale del surrene)
Amminica: per esempio gli ormoni della midollare del surrene (adrenalina, noradrenalina)
ma anche la serotonina (es. tirosina è un amminoacido polare, precursore di vari ormoni quali
la Tiroxina (T4) e le Catecolammine (dopamina, adrenalina e noradrenalina)
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L'azione degli ormoni viene definita oligodinamica ed interspecifica su cellule target e quindi hanno
un'azione di modulazione, amplificazione o repressione tra di loro. Anche le citochine e i fattori di
crescita sono da considerarsi degli ormoni. Gli ormoni inoltre interagiscono anche con il nostro
comportamento come per esempio gli estrogeni nelle donne durante il ciclo mestruale, ma anche
negli uomini può influire sulle performances. Un esempio classico di ormoni peptidici è il
meccanismo glucagone-insulina che regolano il livello di glicemia nel sangue e che sono prodotte a
livello delle isole del Langerhans (precisamente le cellule α producono glucagone mentre le cellule β
producono insulina) infatti mentre l'insulina ha un'azione ipoglicemizzante, e sarà versata quando i
livelli di zucchero nel torrente ematico sono molto elevati (intervengono i trasportatori del glucosio
come Glut4 in alcuni tipi cellulari come adipociti e cellule muscolari) mentre il glucagone stimola la
glicogenolisi e quindi la formazione di monomeri di glucosio (tramite un meccanismo in cui
interviene la via dell'AMP ciclico) che saranno trasportati a livello del circolo sanguigno per alzare il
livello di glicemia (intervengono alcuni trasportatori come Glut2) data l'azione iperglicemizzante del
glucagone stesso.
La cellula che secerne ormoni peptidici è caratterizzata da classici mitocondri e da un'ampia presenza
di RER e vi è una secrezione regolata che avviene a mezzo di esocitosi, quindi la vescicola rivestita
di clatrina arriva a livello della membrana e riversa il suo secreto all'esterno.
La cellula che secerne ormoni steroidei invece ha una grande abbondanza di REL (il precursore degli
ormoni steroidei a sua volta è il colesterolo che entra con un meccanismo di endocitosi mediata da
recettori per LDL, arriva poi ai lisosomi dove verrà decomplessato per formare i precurosi necessari
alla formazione degli ormoni steroidei specifici) che servono per la produzione di ormoni di natura
lipidica ed inoltre vi è la presenza di un mitocondrio che non presenta la normale struttura a creste
mitocondriali ma invece presenta delle strozzature.
L'azione tipica degli ormoni è quella endocrina ovvero per via ematica, quindi le cellule versano
indipendentemente il loro secreto all'interno della rete mirabile dei capillari da cui sono irrorati, sarà
invece azione paracrina quando l'ormone ha azione nelle immediate vicinanze, e infine autocrina
quando l'ormone prodotto agirà sulla cellula stessa che l'ha prodotto.
Classificazione morfologica delle ghiandole endocrine
1. Ghiandole endocrine che derivano da tessuti epiteliali:
Unicellulari, che sono numerosissime nel nostro corpo e prima veniva dette appartenenti al
Sistema Endocrino Diffuso, successivamente furono invece catalogate nel sistema APUD cioè
queste cellule sono capaci di captare i precursori amminici e decarbossilarsi
Pluricellulari (parenchima ghiandolare): che si possono distinguere in seguito alla loro
organizzazione in Follicolari che è soltanto una, ed è proprio la TIROIDE che ha una struttura
in follicoli, ovvero ampie cavità che è circondata da un unico strato di cellule che cambia la
propria altezza a seconda dello stato funzionale della ghiandola stessa, al centro vi si
accumula una sostanza che è la TIROGLOBULINA che poi verrà ricaptata dalle cellule,
complessata a formare gli ormoni veri e propri tiroidei che poi verranno secreti sul lato
opposto. L'altra categoria è quella delle ghiandole Cordonali che comprende in pratica quasi
tutte le altre perché mancano soltanto solo le interstiziali. Diciamo comunque che definire
tutte le altre ghiandole cordonali è stata una semplificazione poiché mentre definire cordonale
la corticale del surrene è molto semplice, per ghiandole tipo quella dell'ipofisi o le isole del
Langerhans risulta già molto più complicato e quasi impossibile risulta per ghiandole come le
l'Epifisi che ha una struttura molto complessa.
2. Ghiandole endocrine che NON derivano da tessuti epiteliali e sono ghiandole di natura
connettivale comprendenti le interstiziali, in particolare le interstiziali del testicolo nell'uomo
che produono testosterone e sono le cellule del Leydig mentre le interstiziali dell'ovario sono
le cellule del Berger che producono ormoni i quali facilitano lo stigma, facilitano l'ovulazione
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poiché determinano un ispessimento della parete dell'ovario stesso. Ci sono poi ghiandole di
natura muscolare che sono presenti a livello dell'arteriola prossimale, a livello del rene che
produce una sostanza che è la RENINA, ghiandole di natura nervosa e ghiandole endocrine
negli annessi embrionali come la placenta.
Vedendo qualche esempio di ghiandola unicellulare e scopriamo che sono numerosissime. Infatti
notiamo le cellule C o parafollicolari che sono presenti nella tiroide ma non costituiscono la
ghiandola tiroidea nella formazione dei propri ormoni ma vanno a costituire altri ormoni tra cui il più
importante è la CALCITONINA il quale è fondamentale nel metabolismo dell'osso poiché fissano il
calcio nelle ossa dunque è fondamentale nella fissazione del calcio nelle ossa abbassando la calcemia
all'interno del torrente ematico . C'è poi il glucagone che è prodotto a livello, come già detto, delle
isole del Langerhans e ha effetti sulla glicemia. Vi è poi la somatostatina che è prodotta dalle cellule
D antrali dello stomaco e inibisce le cellule G (a gastrina) regolandone la funzione (le cellue G o a
gastrina si trovano nello stomaco e nel pancreas, in particolare nello stomaco regolano la secrezione
gastrica) oppure è prodotta nell'asse ipotalamo-ipofisario dove inibisce la secrezione di GH, TSH e
ACTH, oppure può essere prodotta a livello delle isole del Langerhans, in particolare dalle cellule δ
(delta) ed inibisce la funzione delle altre cellule pancreatiche quali le α e le β che rispettivamente
producono Glucagone ed Insulina.
Altro esempio di ghiandole unicellulari sono le cellule enteroendocrine che si trovano nell'apparato
gastro-enterico oppure le cellule CCK-PZ (colecistochinin-pancreozimina) che regolano la secrezione
del succo pancreatico.
Nelle due immagini sopra vediamo esempi di ghiandola C o parafollicolare che come già detto
producono calcitonina e abbassano la calcemia fissando il calcio alle ossa e abbassano anche la
fosfatemia. In particolare nell'immagine a sinistra, quelle parti colorate più chiare (celeste chiaro)
corrispondono alle cellule parafollicolari, mentre tutta la struttura, più scura, corrisponde al follicolo
con il lume al centro contenente la tiroglobulina.
Adesso focalizziamo la nostra attenzione sulla tiroide. La Tiroide è il primo dei parenchimi ghiandoli
che noi troviamo, si trova a livello del collo, risulta costituita da due lobi ed un istmo; proviene
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dall'intestino faringeo dell'embrione, passa attraverso il bulinguare e scende nel collo. Questa
ghiandola presenta i follicoli, cavità sferoidali con parete monostratificata epiteliale piatta cubica o
cilindrica a seconda dello stato funzionale della ghiandola. Presenta molti capillari sanguigni,
ciascuna cellula presenta un doppio versante, ovvero ha una doppia polarità: una polarità verso il
lume, perché i tirociti producono la colloide (tiroglobulina) che accumulano proprio nello spazio
delimitato dal lume e un'altra polarità verso l'esterno poiché successivamente tramite gli pseudopodi
che sono prolungamenti della cellula, la colloide viene riportata all'interno della cellula per essere
complessata tramite enzimi proteolitici e soprattutto ioduri per formare i definitivi ormoni tiroidei
(che sono proprio ormoni iodinati) che saranno riversati nel lato dei capillari sangugni. Quindi si dice
che la cellula tiroidea è ANFICRINA (cioè da un lato e dall'altro) ovvero il versante apicale e il
versante basale presentano una doppia polarità.
Nell'immagine sopra vediamo come è marcata la differenza tra i due stati funzionali dei tirociti
quando non sono in attività funzionale (II) ovvero hanno già prodotta la colloide che è accumulata
nel lume e deve essere solo riversata nei capillari quindi hanno una parete abbastanza piatta, rispetto
a quando è in piena attività di accumulo come nel riquadro I in cui le cellule epiteliali della parete
sono cilindriche, molto alte testimonianza dell'intensa attività di accumulo che si sta svolgendo. I
principali ormoni tiroidei sono la TIROXINA e la TRIIODOTIRONINA più comunemente chiamati
T3 E T4
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In una normale analisi oltre a controllare i livelli di T3 e T4 si controllano anche i livelli del TSH che
è l'ormone stimolante della tiroide. Gli ormoni tiroidei facilitano la trascrizione di geni responsbili
della sintesi proteica; aumentano il metabolismo cellulare e stimolano il metabolismo di carboidrati e
grassi; diminuiscono il colesterolo , fosfolipidi e trigliceridi, inoltre aumentano i ritmi cardiaco e
respiratorio della contrazione muscolare. Come già detto T3 e T4 vengono sintetizzati sotto forma di
precursori glicoproteici (T3 e T4 sono ormoni derivati da amminoacidi, in particolare dalla Tirosina,
insieme alle catecolammine) che prima di venire secreti e immagazzinati all'interno del follicolo
come tiroglobulina (colloide) vengono iodinati. A seguito della stimolazione da parte di TSH (da
parte ipofisaria) si comincia una parziale digestione della tiroglobulina extracellulare accumulata
formando T4, successivamente la diestione si sposta all'interno della cellula tramite gli pseudopodi, e
le vescicole di tiroglobulina vengono fuse con i lisosomi e le proteine idrolizzate, liberando T3 che
verrà riversato insieme a T4 nei capillari perifollicolari del polo basale della cellula. Dunque
inizialmente la colloide è complessata con lo iodio (derivante dal circolo sanguigno) a livello del
reticolo endoplasmatico e dell'apparato di Golgi per la formazione successiva proprio della Tiroxina e
della Triiodotironina. Una carenza di iodio può portare a diverse patologie (es. gozzo). Inoltre la
tiroide rappresenta l'unico caso di ghiandola endocrina che possiede la capacità di accumulare il
secreto prima di essere versato, in sede extracellulare (a livello del lume) che si accumula sotto forma
di colloide. Il TSH (ormone tireostimolante) è prodotto dall'ipofisi ed è sotto l'influenza di TRH
prodotto dal'ipotalamo endocrino che a catena aumenta i livelli di ormone tireostimolante per la
produzione dunque di T3 e T4.
All'interno della tiroide stessa si trovano altre quattro ghiandole, due superiormente e due
inferiormente e sono le PARATIROIDI e producono l'ormone paratiroideo (PTH) che ha un'azione
perfettamente opposta alla calcitonina, quindi stacca il calcio dalle ossa, aumentando il livello di
calcio nel circolo sanguigno.
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Questo è uno schema riassuntivo della formazione degli ormoni tiroidei T3 e T4 discusso prima.
Ghiandole cordonali
A secrezione proteica o glicoproteica (pancreas endocrina quindi isole del Langerhans,
adenoipofisi, paratiroidi)
• A secrezione amminica (midollare del surrene)
• A secrezione steroide (corticale del surrene, corpo luteo)
Tutte queste sono ghiandole di natura cordonale ed in particolare vediamo l'ipofisi (o ghiandola
pituitaria) che si trova a livello della sella turcina, nella base cranica. Tra le ghiandole cordonai
vediamo anche la paratiroide, la ghiandola surrenale e l'epifisi. L'ipofisi può essere divisa in due
parti:
L'adenoipofisi, più sviluppata, si presenta di colore rossastro e comprende la parte distale (o lobo
anteriore), la parte tuberale e la parte intermedia, mentre la neuroipofisi si presenta di colore
grigiastro e comprende la parte nervosa e la parte infundibolare. In particolare la neuroipofisi produce
essenzialmente due ormoni che sono L'OSSITOCINA che interviene negli istanti terminali del parto e
la VASOPRESSINA che interviene ad esempio in caso di disidratazione dell'organismo poiché
determina il recupero di fluidi attraverso la formazione di urine più concentrate a livello del tubulo
contorto distale. Determina anche un aumento della pressione arteriosa in quanto ha attività di
vasocostrittore ed inoltre l'alcool etilico riduce la secrezione di vasopressina e dunque la conseguente
riduzione del riassorbimento di acqua del filtrato glomerulare contribuisce l'aumento della diuresi che
si osserva in seguito ad ingestione di alcool (per inciso anche gli endoteli possono regolare la
pressione arteriosa agendo sulla muscolatura liscia dei vasi, in particolare l'endotelina-1 è un
vasocostrittore, mentre l'ossido nitrico è un vasodilatatore. Anche i periciti che sono cellule
connettivali con forma particolare che si trovano all'esterno degli endoteli possono essere implicati
nel processo di vasocostrizione).
•
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Qui possiamo osservare una chiara immagine dell'ipofisi nelle sue due parti, una nervosa e una
endocrina.
Alcuni tra i più importanti prodotti dall'adenoipofisi sono: STH (somatotropina o GH, ormone della
crescia), LTH (ormone della prolattina) e ACTH (ormone adrenocorticotropo) che ha come bersaglio
la zona corticale della ghiandola surrenale stimolando la produzione di Corticosteroidi. Oppure le
gonadoropine FSH (ormone follicolo-stimolante) o LH (ormone luteinizzante) che a loro volta sono
stimolate dall'ormone ipotalamico GnRH. Si è visto inoltre che le porzioni laterali contengono molte
cellule somatotrope che secernono quindi GH, mentre le cellule corticotrope che secernono ACTH, βlipotropina e β-endorfina sono concentrate nella parte mediana della ghiandola, proprio di fronte
all'ipofisi posteriore. Le cellule tireotrope che secernono TSH sono concentrate nella parte anteriore,
nelle cellule mammotrope secernenti PRL e le gonadotrope secernenti FSH e LH sono distribuite
uniformemente in tutta la ghiandola, frammiste agli altri tipi cellulari.
I corticosteroidi sono prodotti dalla corticale surrenale e sono: glucocorticoidi (cortisolo che controlla
il metabolismo di grassi, carboidrati e proteine) i mineralcorticoidi (come l'aldosterone che conrolla i
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livelli di elettroliti e la quantità di acqua presente nel sangue) e gli androgeni responsabili dei
caratteri sessuali secondari; precisamente nei maschi, determinati geni del cromosoma Y, in
particolare SRY, controllano lo sviluppo del fenotipo maschile, che comprende la conversione della
gonade primordiale bipotente in testicolo. Nei maschi, i cordoni sessuali invadono completamente le
gonadi in via di maturazione.
Nell’ottava settimana dello sviluppo fetale, le cellule di Leydig compaiono nelle gonadi in via di
differenziazione del maschio. Le celluleepiteliali dei cordoni sessuali, derivate dal mesoderma, nei
testicoli in via di sviluppo, diventano le cellule del Sertoli, che agiranno promuovendo la formazione
delle cellule spermatiche. Tra i tubuli, è presente una popolazione minore di cellule non epiteliali;
queste sono le cellule di Leydig, che producono androgeni. Le cellule di Leydig possono essere
considerate come producenti gli androgeni che fungono da ormoni paracrini, richiesti dalle cellule del
Sertoli per favorire la produzione spermatica. Subito dopo la loro differenziazione, le cellule di
Leydig iniziano a produrre androgeni, richiesti per la mascolinizzazione del feto maschile in via di
sviluppo (inclusa la formazione del pene e dello scroto. Sotto l'influenza degli androgeni i dotti del
Wolff diventano epididimo, dotto deferenze e vescicole seminali. Quest’azione degli androgeni è
promossa da un ormone prodotto dalle cellule del Sertoli, l’AMH, (ormone antemulleriano) che
previene nell’embrione maschile la trasformazione dei dotti mulleriani embrionari in tube di
Falloppio e in altri tessuti dell'apparato riproduttivo femminile. L’AMH e gli androgeni collaborano
per consentire il normale spostamento dei testicoli nello scroto.Prima dell’inizio della produzione
dell’ormone pituitario LH da parte dell’embrione, verso l’11ª-12ª settimana, la gonadotropina
corionica umana (hCG) promuove la differenziazione delle cellule di Leydig e la loro produzione di
androgeni. Gli androgeni sono prodotti principalmente quindi proprio a livello delle cellule di Leydig
nel testicolo (testosterone) e in minor quantità nelle ghiandole surrenali.
FSH e LH inoltre, durante la pubertà, stimolano la spermatogenesi mentre nella donna regolano la
produzione di estrogeni durante l'ovulazione; gli estrogeni risultano esser il principale ormone
femminile prodotto in parte nelle ghiandole surrenali e principalmente nelle ovaie. Quindi in sostanza
FSH (follicolo-stimolante) agisce sul mantenimento d'integrità del follicolo ooforo, mentre nell'uomo
agisce a livello del testicolo come detto, sulla spermatogenesi e sulla secrezione degli androgeni a
mezzo di LH il quale nelle donne ha azione nell'ovulazione e nella secrezione del progesterone. Nel
maschio infatti FSH è detto anche ICSH (interstizio-stimolante) dato che stimola le cellule del
Leydig. La prolattina agisce sulla ghiandola mammaria per la secrezione del latte, mentre la
somatotropina (o GH) stimola la crescita dell'osso, la crescita muscolare e del tessuto adiposo così
come l'ossitocina facilita la contrazione agendo sulle cellule epiteliali del canale del parto e sulla
ghiandola mammaria per la contrazione mioepiteliale a seguito della suzione che stimola l'ipofisi
stessa per il rilascio di tale ormone necessario per la formazione della porzione terminale dei dotti
galattofori.
La neuroipofisi propriamente detta e la parte infindibulare hanno la stessa struttura e risultato
costituite da fasci di fibre amieliniche tra le quali si trovano elementi gliali, denominati pituiciti (che
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hanno una notevole variabilità morfologica e sono gliociti protoplasmatici, presentano molti
prolungamenti). Nella pag precedente vediamo la pars nervosa dell'ipofisi con i pituiciti e i corpi di
Herring.I corpi di Herring non sono alro che accumuli di materiale neurosecretorio addensati
all'interno di diltazione degli assoni i potalamo-ipofisari.
In basso notiamo una rappresentazione schematica della ghiandola pituitaria e dei suoi organi
bersaglio.
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Qui sopra notiamo la sezione di una paratiroide, anch'essa una ghiandola cordonale.
Ghiandola surrenale
Adesso soffermiamoci sulla ghiandola surrenale, in cui si riconoscono chiaramente i cordoni dato che
si differenziano dai tubuli per l'assenza di lume. I cordoni a livello della zona glomerulare sono tutti
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avvolti su se stessi, e producono mineralcorticoidi, poi abbiamo la zona fascicolata in cui si
producono i glucocorticoidi e infine dalla zona reticolare si producono gli ormoni sessuali maschili e
femminili. Quindi la corticale si divide come appena detto in zona reticolare, zona fascicolare e zona
glomerulare. Dalla midollare del surrene si formeranno invece l'adrenalina e la noradrenalina che
determinano la reazione immediata di allarme.
Nelle due immagini sopra vediamo chiaramente la struttura della ghiandola surrenale prima
schematicamente e poi in sezione (inoltre nelle slides 66-67 del file sulle ghiandole endocrine c'è un
particolare ingrandimento sulla ghiandola cordonale del surrene in cui sono molto evidenti i cordoni).
La midollare è formata da una specie di struttura nervosa, ovvero un ganglio enterocromaffine, infatti
le cellule cromaffini sono cellue neuroendocrine localizzate nel midollo delle ghiandole surrenali
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Questo sopra è uno schema riassuntivo con i prodotti di secrezione sia della corticolare che della
midollare del surrene.
Un'altra ghiandola cordonale è l'epifisi, che produce la MELATONINA (derivanti da pinealociti) e
l'ormone regolatore è la noradrenalina. La melatonina può influenzare non solo il ritmo circadiano ma
anche il ciclo dell'attività gonadica non nell'uomo ma negli animali, poiché si trova lungo la via del
riflesso fotoneuroendocrino e quest'ultimo atativa e stimola la follicoloenesi. Il riflesso
fotoneuroendocrino agisce su un enzima, il 5-HIOMT (5-idrossi-indol-orto-metiltransferasi) a seguito
della luce che colpisce l'occhio portando alla finale produzione di melatonina.
Il pancreas come già detto precedentemente presenta due porzioni, una esocrina ed una endocrina. La
porzione esocrina è una ghiandola acinosa composta a secrezione sierosa, mentre all'interno questa
ghiandola contiene delle zone endocrine dette isole del Langerhans (ghiandola cordonale).
Nelle due immagini sottostanti sono ben evidenti (in particolare nella prima in basso a sinistra)
entrambe le zone. Nell'immagine a destra vi è un particolare proprio sull'isola pancreatica.
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Le isole di Langerhans possono definirsi quasi massarelle solide con organizzazione in strutture
ovoidali e al cui interno sono visibili i numerosi capillari sanguigni per la via endocrina circondati da
un'abbondanza di connettivo. In ogni caso possiamo dire che tranne per la tiroide, le ghiandole
endocrine NON hanno lume.
Gli ormoni prodotti dalle isole di Langerhans sono già stati discussi precedentemente e vi si propone
qui sotto, uno schema riassuntivo:
In realtà nello schema vi è un dato errato, dato che le cellule β hanno una percentuale di circa il 90 %
mentre le cellule α sono circa il 6-8 % il resto della percentuale è composto da cellule G, cellule PP e
cellule δ
I tubuli seminiferi sono parte dell'apparato riproduttore maschile. Nell'adulto i tubuli seminiferi
sono formati da un epitelio seminifero e da una sottile tonaca propria, separati dalla membrana
basale. L'epitelio seminifero è costituito da due categorie di cellule: le cellule di sostegno o del
Sertoli e le cellule germinali.
Durante gli ultimi mesi di sviluppo fetale e nel corso della vita prepuberale, le cellule germinali e le
cellule di sostegno aumentano notevolmente di numero e vanno incontro ad importanti modificazioni
morfologiche, ma la spermatogenesi inizia solo alla pubertà. In tal periodo i cordoni sessuali si
canalizzano diventando tubuli seminiferi il cui lume si connette con quello della rete testis che a sua
volta si continua nei condotti efferenti, mentre gli elementi di sostegno cessano di dividersi
diventando tipiche cellule del Sertoli. Le cellule del Leydig si trovano nello stroma che sostiene i
tubuli seminiferi (che sono quindi il vero e proprio parenchima). Le cellule del Sertoli sono cellule di
sostegno che si trovano nei tubuli seminiferi dei testicoli. La loro principale funzione è quella di
guidare le cellule germinali attraverso i passaggi della spermatogenesi. Sono inoltre responsabili del
mantenimento di un certo numero di spermatogoni che, essendo cellule staminali, assicurano sia la
propria omeostasi (il mantenimento di un numero fisso di spermatogoni) sia il differenziamento in
cellule mature, fino al rilascio degli spermatozoi. Da un punto di vista morfologico si presentano
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come cellule allungate che posano sulla membrana limitante il tubulo seminifero e arrivano fino al
lume centrale. Hanno forma irregolare poiché ospitano, come incastonate, le cellule germinali nei
vari stadi, le più staminali vicino alla base, le più differenziate verso l’apice
Sotto vediamo tra i tubuli seminiferi le cellule interstsiziali del Leydig che producono testosterone.
All'interno del lume dei tubuli seminiferi (a livello del didimo) vediamo gli spermatozoi in
formazione
A livello dell'arteriola afferente al glomerulo del rene, le cellule della muscolatura di modificano per
produrre RENINA che ha effetto sull'Angiotensina e quindi determina un effetto sulla pressione
capsulare e dunque facilita la filtrazione in stretta relazione con la pressione sanguigna, per esempio
in forte abbassamento di pressione si può avere un blocco renale (blocco di filtrazione).
Sistema renina (prodotto quando la pressione sanguigna si abbassa)-angiotensina-aldosterone per
aumento della concentrazione di potassio. Il peptide natriuretico atriale, prodotto dal cuore, inibisce il
rilascio di aldosterone con risultato di ridurre il volume del sangue e quindi la pressione sanguigna.
Tessuto connettivo
Il tessuto connettivo è un tessuto di sostegno, ad esempio come già detto per l'epitelio di rivestimento
che si trova sopra di esso, andando a costituire la lamina propria al di sotto dell'epitelio, oppure forma
la sottomucosa, quando si tratta di connettivo lasso. Il connettivo forma molti tessuti di sostegno, ma
quando si specializza, può formare l'osso, la cartilagine, tessuto adiposo e addirittura il sangue e la
linfa quando è nella sua forma liquida, oppure nella forma reticolare forma lo stroma delle ghiandole.
Il tessuto connettivo presenta numerosissimi tipi cellulari, diversi tra di loro, ma non sono tanti come
numero e quantità, bensì sono numerosi nelle loro diversificazioni, perché principalmente il
connettivo è formato per la maggior parte da sostanza extracellulare. Possiamo dire quindi che ci
troviamo di fronte ad un tessuto opposto come caratteristiche a quello epitelial, poiché vi sono poche
cellule, tutte molto diverse fra di loro e gli spazi tra di queste, occupati dalla matrice extracellulare è
nettamente superiore a tutto il complesso di cellule. Di conseguenza vi sarà spazio per numerosissimi
vasi sanguigni e varie innervazioni.
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La complessità del connettivo è data dalla diversità dei citotipi che lo compongono e dalla sostanza
amorfa ripiena di fibre collagene, che si intrecciano fra di loro, vasi e nervi.
Il connettivo rappresenta connessione meccanica (es. epitelio-connettivo-muscolare) e ancora i
tessuti tra di loro, infatti i tendini sono tessuti connettivi densi, quindi quando il miscolo deve
ancorarsi all'osso (che a sua volta è un connettivo specializzato) lo fa tramite l'azione come detto dei
tendini.
I connettivi hanno funzione di sostenere e proteggere gli organi come nel caso dei legamenti, quindi
tramite capsule proprio di origine connettivale, oppure formando strutture come la gabbia toracica e
scatola cranica.
Questi tessuti ovviamente hanno ancora una connessione di tipo funzionale dato che consentono e
facilitano il transito di sostanze per favorire il metabolismo e la nutrizione e anche la difesa
immunitaria a mezzo delle cellule come macrofagi, cellule dendritiche, NK.
Ovviamente più fibre proteiche, conferiscono stabilità e robustezza spostando “l'equilibrio” verso la
connessione meccanica, mentre più abbondante è la sostanza fondmentale idrata, consente la
diffusione di sostanze e la migrazione di cellule e sposta “l'equilibrio” verso la connessione
funzionale.
Classificazione dei tessuti connettivi
•
Connettivo di tipo embrionale:
Mesenchimale (nell'embrione): il mesenchima è un connettivo che troviamo solo
nell'embrione
Mucoso: nell'adulto troviamo un connettivo simile a quello embrionale come quello della
polpa dentaria o la gelatina del Wharton che si trova alla nascita nel cordone ombelicale
•
Connettivo propriamente detto:
Lasso: ( detto anche areolare) si trova a livello soprattutto delle tonache mucose e
sottomucose (Le membrane mucose hanno caratteristiche in comune con le membrane
sierose, che presentano la stessa struttura generale. Tra una mucosa e una sierosa esistono due
differenze sostanziali. La prima riguarda lo strato epiteliale: mentre nelle mucose l'epitelio
può essere di varia natura (anche se spesso è cilindrico o cubico), nelle sierose esso è sempre
semplice ed è detto mesotelio; la seconda riguarda la sede anatomica, infatti le membrane
sierose rivestono cavità che non comunicano con l'esterno. Le principali membrane sierose
nell'uomo sono pericardio, pleura e peritoneo.)
Lasso vuol dire che c'è un'abbondante sostanza extracellulare amorfa abbastanza liquida, e
non c'è una grande quantità fibre (che sono presenti in tutti i tipi)
Denso: quando sono molto abbondanti le fibre in particolare quelle collagene, ma sono
presenti anche le fibre reticolari o elastiche ad esempio. Il connettivo denso si divide a sua
volta in regolare nel caso in cui la disposizione delle fibre collagene risulta essere proprio
regolare come nel caso di tendini e legamenti. Risulta essere invece un connettivo denso
irregolare quando l'organizzazione delle fibre collagene risulta appunto molto irregolare, cioè
non ha un ordine preciso, le fibre non sono disposte secondo file ordinate, ed è questo il caso
del derma. Di conseguenza la quantità di matrice extracellulare sarà ridotta rispetto al
connettivo lasso, in favore della gran quantità di fibre.
Reticolare: nel caso dello stroma, ovvero il connettivo di sostegno delle ghiandole, perché la
disposizione delle fibre collagene formerà un vero e proprio reticolo all'interno del quale
troviamo le cellule del connettivo. Prevalenza quindi di fibre reticolari.
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Elastico: quando sono molto prevalenti le fibre elastiche, in genere infatti nel connettivo
elastico, le fibre collagene sono pochissime. Le fibre elastiche sono molto sottili ed allungate
e si trovano a livello della tonaca media delle arterie (più grande è l'arteria più sono numerose
le fibre elastiche poiché devono mantere il tono del vaso stesso)
Adiposo: si trova a livello sottocutaneo ad esempio, o a livello dell'adipe che si raccoglie tra i
visceri
•
Tessuti connettivi specializzati:
Nel sostegno: cartilagine e osso, in particolare la cartilagine non è né vascolarizzata né
innervata mentre il tessuto osseo è mineralizzato
Nel trofismo: sangue e linfa che forniscono il materiale necessario a nutrirsi (liquidi)
Con funzione emopoietica ed immunitaria: midollo emopoietico o tessuto mieloide (quindi
con funzione ematopoietica) e tessuto linfoide che ha funzione immunitaria ovvero di
difenderci da agenti patogeni ed estranei. Entrambi i tessuti hanno prevalenza di cellula sulla
matrice
Per uno schema ancora più chiaro vedere pag.192 del Monesi
Le componenti quindi del tessuto connettivo sono: le cellule che data la grande varietà, ognuna sarà
specializzata a svolgere una particolare funzione, ovvero cellule immunitarie, cellule che producono
fibre collagene ed elastiche, cellule con funzione fagica ecc. Poi altro componente fondamentale del
tessuto connettivo è la matrice extracellulare (ECM) la quale è divisa in una componente organica
che comprende le fibre di natura proteica quali collagene, fibre reticolari ed elastiche, oppure
componenti organiche non fibrillari quali ad esempio GAGs e proteoglicani, e proteine strutturali
adesive. Vi è inoltre nella ECM una componente inorganica che corrisponde al liquido tissutale.
Focalizziamo adesso la nostra attenzione sulla componente organica della sostanza fondamentale;
nella componente organica troviamo quindi la componente fibrillare organica che sono le fibre
collagene, reticolari ed elastiche, in particolare le fibre collagene sono organizzate a formare grossi
fasci, le fibre reticolari formano un delicato reticolo che spesso è argentofilo, mentre le fibre elastiche
sono molto sottili, allungate e possono essere “stirate”. C'è poi la componente organica non
fibrillare composta fondamentalmente da GAGs (glicosaminoglicani) e proteoglicani. I GAGs
sono disaccaridi ripetuti centinaia di volte (sempre gli stessi), il più conosciuto è l'acido ialuronico,
dermatan solfato, cheratan solfato, condroitin solfato, eparan solfato ecc, mentre i proteoglicani sono
delle grandissime strutture formate da un asse proteico, ai cui lati sono presenti numerosi
glicosaminoglicani (aggregani e decorina). Compresa nella parte organica della sostanza
fondamentale vi sono anche le glicoproteine, la più importante è la fibronectina che funge da
recettore con la sua parte glucidica e la laminina. La parte inorganica invece della ECM corrisponde
ad amminoacidi ioni e gas disciolti prevalentemente che formmano il liquido tissutale. L'ECM è
molto viscosa, caratterizzata dalla presenza di macromolecole a basa di proteine e policassacridi
(GAGs e proteoglicani) ed è molto permeabile alla diffusione di metaboliti consente inoltre la
migrazione delle cellule immunitarie. La permeabilità della matrice extracellulare dipende dal grado
di idratazione che può aumentare notevolmente in caso di edema o infiammazione. I GAGs e i
proteoglicani sono sempre fortemente idratabili cioè hanno molte molecole d'acqua, quindi possono
essere idratati e di conseguenza sono solubili mentre nel caso della componente fibrillare quest'ultima
non è idratabile quindi è insolubile.
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Vediamo dunque la composizione del collageno: il collagene è costituito da unità strutturali che è il
tropocollagene a sua volta costituito da tre catene avvolte su se stesse nel quale le singolo singole
catene sono costituite da tre diversi amminoacidi che noi chiamiamo con le sigle X, Y (di solito
prolina e idrossiprolina) e G (che equivale a Glicina) infatti ogni tre amminoacidi vi è una Glicina.
Precisamente troviamo la Glicina ogni tre amminoacidi proprio perché, essendo questa l'AA più
piccolo, ed essendo tali catene avvolte su se stesse, è molto funzionale in modo da occupare il minor
spazio possibile. Sotto vediamo una rappresentazione di una molecola di tropocollagene che unita ad
altre molecole uguale, andrà a formare le fibrille e successivamente la fibra finale.
Quindi le fibre collagene promuovono la flessibilità tissutale essendo proprio grandi fibre proteiche,
non molto ramificate, hanno una notevole resistenza meccanica, sono raccolte in grandi fasci. Inoltre
è una delle proteine più abbondanti del corpo umano ed è circa 1/3 delle proteine totali ed è molto
abbondante nei tendini (in particolare si disporranno in fasci paralleli per resistere a trazione e
carichi, comunque nel tendine vi è anche una grande quantità di elastina per conferire elasticità oltre
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che numerosi proteoglicani per l'idratazione), cartilagine osso e pelle. Quindi le funzioni principali
del collagene è la migrazione cellulare, l'adesione cellulare, la filtrazione molecolare e la riparazione
tissutale. Il collageno ha una struttura quindi a tripla elica contenente tre catene disposte in un
superavvolgimento (Collagene I nell'osso, Collagene II nella cartilagine e Collagene IV nella
membrana basale, tra i più importanti).
Ci sono dei collageni che definiamo fibrillari che non hanno nessuna interruzione nella tripla elica e
hanno dispoizione regolare risultante nel caratteristico periodo D di 67 nm
L'unità strutturale del collagene è il tropocollagene; più molecole di tropocollagene si uniscono con
legami testa-coda tra le estremità N-terminale e C-terminale, lasciando il tipico spazio di 67 nm tra
due molecole che forma la caratteristica struttura ad alternanza bande chiare bande scura nel
momento in cui passa la luce polarizzata che colpisce appunto alternativamente zone in cui vi è il
collagene e altre zone in cui vi è lo spazio e non trova le teste o le code. Le molecole di
tropocollagene si uniscono per formare le fibrille di collagene le quali a loro volta si uniranno tra loro
in fasci a formare le definitive fibre.
Ci sono poi dei collageni che formano un network come collageno IV nella membrana basale oppure
collageni fibrillari associati con interruzioni delle triple eliche oppure ancora ci sono i collageni
ancoranti come quello di tipo VII che collega l'epitelio allo stroma.
Quindi come abbiamo detto le triple catene peptidiche del tropocollageno si allineano
longitudinalmente e si associano parallelamente in modo “sfasato” o non in registro e dunque c'è
l'alternanza bande chiare e bande scure.
Vediamo adesso precisamente come viene sintetizzato il collagene.
Il collagene viene sintetizzato nel fibroblasto (blastos= produco) in particolare quest'ultimo si
occupa della produzione di tutte le fibre quindi sia collagene, sia reticolari che elastiche. Ovviamente
alcuni elementi saranno prodotte nel fibroblasto, ma quest'ultimo non produce il collageno terminale,
quello finale, ma produce un pro-collageno che non è ancora pronto a formare le fibre. Il procollageno viene secreto all'esterno, e possiede delle estremità addizionali non ancora assemblate le
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quali verranno tagliate da enzimi (taglio dei telopeptidi) ed in seguito verranno assemblate, tutto ciò
avviene all'esterno, ovvero nella matrice extracellulare fino alla produzione finale del modello del
tropocollagene che si assemblerà con altre molecole per creare prima la fibrilla e poi l'organizzazione
in fasci di fibre collagene. Quindi possiamo dire che le singole catene polipeptidiche di collagene
sono sintetizzate come molecole precursore di dimensioni maggiori che vengono sottoposte a diverse
modifiche prima della secrezione e del montaggio in tripla elica (struttra del tropocollagene che si
assemblerà a formare fibrille e poi fibre). In particolare nel fibroblasto vi sarà l'idrossilazione, la
glicosilazione e l'aggiunta di peptidi di registro (o telopeptidi) e l'assemblaggio di tre catene pro-alfa;
successivamente ci sarà la secrezione nella matrice extracellulare di questo composto, che sarà il procollagene. Nella matrice avverrà la finale maturazione per la formazione del tropocollagene con il
taglio dei telopeptidi e quindi l'associazione in fibrille e in fibre finali.
Quindi nell'organizzazione delle fibrille collageniche ci sono legami covalenti crociati tra le catene
laterali di lisina mentre i gruppi OH dell'idrossiprolina e dell'idrossilina e i resudui di carboidrati sono
importanti nella formazione di legami che permettono di formare le triple eliche e di assemblare le
molecole di tropocollagene per formare le fibre. Per idrossidare la prolina e la lisina (che avviene
all'interno del fibroblasto, come si vede dallo schema sopra) è essenziale l'intervento dell'acido
ascorbico (vitamina C).
Nell'immagine sottostante vediamo come appare un tessuto connettivo denso irregolare e sono
evidenti le fibre collagene tutte disposte in modo disordinato. Si notano pochi nuclei che in gran parte
sono fibroblasti e la quantità di matrice extracellulare è ridotta rispetto alle fibre, di conseguenza il
connettivo sarà denso irregolare.
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Vediamo adesso le fibre reticolari. In realtà le fibre reticolari sono una variente del collageno nel
quale l'unica differenza è che l'aggregazione è meno intensa. Ciò significa che le fibre possono un po'
staccarsi l'una dall'altra e formare il reticolo, quindi il grado dell'aggrazione è inferiore rispetto alle
fibre collagene. Quindi stessa proteina costitutiva del collagene, ma con minore grado di
aggregazione, e nell'adulto le fibre reticolari le troviamo a livello della membrana basale degli epiteli,
a livello dello stroma degli organi ghiandolari e nello stroma di sostegno degli organi linfoidi e del
midollo osseo. Di conseguenza le molecole di tropocollageno tendono ad aggregarsi lateralmente
influendo sull'organizzazione tridimensionale di queste molecole. Le reti di fibrille reticolari quindi
sono disperse in seno alla sostanza fondamentale. Sotto vediamo le fibre reticolari a livello dello
stroma di una ghiandola cordonale, che è la paratiroide.
Soffermiamoci adesso sulle fibre elastiche. Le fibre elastiche sono più sottili, molto allungate, un po'
ramificate, e più flessibili rispetto alle fibre collagene. Queste fibre sono abbondanti nella tonaca
elastica delle arterie, in legamenti e tendini (nei tendini vi è una particolare abbondanza di elastina) e
sono formate proprio dalla proteina elastina. Sono prodotte dal fibroblato.
Le fibre elastiche sono costituite da microfibrille, le quali sono strutture di sostegno, immerse in una
componente amorfa. Le microfibrille sono ricche di una proteina diversa dal collagene che è detta
appunto fibrillina, mentre la componente amorfa contiene una molecola ad attività enzimatica, la
lisil-ossidasi, alcuni proteoglicani e oltre alla specifica proteina chiama elastina. In particolare
mutazioni del gene della fibrillina determinano la sindorme di Marfan con alterazioni vascolari e
dell'occhio e articolazioni iper-estensibili. L'elastina è una molecola idrofobica e dà ai tessuti quali
vescica, cute e vasi ad esempio, una certa elasticità e resistenza in quanto hanno bisogno di essere
forti per funzionare in un ambiente dinamico. L'elasstina deriva dalla polimerizzazione di molecole di
tropoelastina, in cui mancano le triplette ripetitive del tipo G-X-Y e non è glicosilata, inoltre ha solo
una piccolissima idrossilazione.
In genere le fibre elastiche, quando sono stirate, hanno una conformazione “a onda del mare”, mentre
quando sono rilasciate hanno una struttura abbastanza avvolta.
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Durante l'elastogenesi le fibre elastiche dapprima sono ossitalaniche (in cui vi sono solo
microfibrille e quindi manca l'elastina) poi depositandosi l'elastina divengono elauiniche (in cui i
depositi di elastina sono meno abbondanti e sparsi fra le microfibrille) e infine divengono fibre
elastiche propriamente dette in cui l'elastina amorfa è contornata da microfibrille. Sotto vediamo
una schematizzazione della struttura delle fibre elastiche con le microfibrille e l'asse di elastina.
Nella sezione dell'aorta notiamo come tutta la struttura sia formata da lamelle elastiche e quindi
notiamo la struttura tipica delle fibre elastiche stirate “ad onda del mare”, mentre nel mesentere le
fibre elastiche sono molto più strette ed allungate data la natura di connettivo lasso del mesentere
stesso. Nell'immagine in basso a destra vediamo invece un connettivo elastico con fibre stirate.
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Sopra vediamo invece un particolare di fibre elastiche particolarmente pronunciate con le tipiche
ondulazioni. A livello delle arterie di grosso calibro le fibre elastiche le troviamo in questo
caratteristico aspetto dato che devono permettere la distensione delle stesse.
Sotto ancora vediamo le fibre elastiche (colorate in arancio) mentre le fibre collagene si notano in
celeste chiaro, raggruppate in fasci molto più grandi.
Glicosaminoglicani
I GAGs (mucopolisaccaridi) sono polimeri lineari di disaccaridi ripetuti moltissime volte. I
costituenti monosaccaridi tendono ad essere modificati con gruppi acidi e proprio per la presenza di
questi ultimi tendono ad essere caricati negativamente. Inoltre i GAGs assorbono grandi quantità e
quindi sono idratabili e occupano molto spazio. Quindi i GAGs sono disaccaridi ripetuti contenenti
radicali solforici legati alle unità saccaridiche e i più comuni sono condroitin solfato, dermatan
solfato, cheratan solfato, eparan solfato ed eparina.
Abbiamo un riassunto delle caratteristiche principali nello schema seguente:
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L'acido ialuronico è un GAG, ed è il più semplice, inoltre ha una catena molto lunga e manca di
zuccheri solfato. Risulta essere costituito dalla ripetizione di un disaccaride formato da acido
glucuronico e N-acetil-glucosamina e usualmente non è attaccato a proteine. Il grande numero di
dimeri ripetuti e la scarsa flessibilità generano molecole di grande ingombro, inoltre le abbondanti
cariche negative richiamano cationi osmoticamente attivi che richiamano grandi quantità d'acqua, di
conseguenza il risultato è una pressione di rigonfiamento che genera il turgore e la resistenza alla
compressione del tessuto. In sostanza quindi l'acido ialuronico forma un gel viscoso ed idratato, è
carico negativamente e mantiene le cellule lontane l'una dall'altra inibendo l'adesione cellula-cellula.
Ad esempio batteri patogeni come lo stafilococco aureo secernono l'enzima ialuronidasi che
indrolizzando l'acido ialuronico, fluidifica i connettivi facilitando la diffusione dei batteri.
Proteoglicani
Si trovano nel connettivo e nella matrice oppure annessi alla superficie di molte cellule. Sono
responsabili del volume della matrice extracellulare e quindi ogni volta che è presente un edema,
vuol dire che molta acqua si è legata a proteoglicani e GAGs.
I proteoglicani sono formati da assi proteici da cui sporgono i glicosaminoglicani.
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Inoltre i proteoglicani hanno una funzione strutturale, limitano la diffusione di macromolecole e
impediscono il passaggio di microorganismi, inoltre agiscono come lubrificanti nelle giunzioni e
regolano la motilità cellulare e l'adesione. Inoltre hanno anche funzioni non strutturali, in particolare
sequestrano i fattori i crescita e presentano gli ormoni ai recettori cellulari di superficie.
I proteoglicani sono quindi macromolecole che possiedono un asse proteico da cui sporgono i
glicosaminoglicani. Infatti i GAGs in natura non esistono come molecole libere ma sono sempre
legati covalentemente a proteine diverse dl collagene formando enormi aggregati chiamati proprio
proteoglicani. Aggregati di proteoglicani invece, formano gli aggrecani.
Vediamo adesso come si legano i GAGs all'asse proteico per la formazione proprio dei proteoglicani,
come vediamo nell'immagine sopra.
Il legame del GAG al proteoglicano è dato dal legame tra un residuo di Serina dell'asse proteico, in
particolare al gruppo CH2, e un trisaccaride di legame (a volta anche un tetrasaccaride) costituito per
esempio da xilosio, galattosio e galattosio, e dal successivo legame del disaccaride ripetuto che
costituisce il glicosamicoglicano, proprio con il trisaccaride di legame legato all'asse proteico, come
nell'immagine sopra a destra. Sotto ad esempio possiamo notare la tipica struttura di un proteoglicani
in una microfotografia al TEM
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Vediamo adesso le glicoproteine strutturali in particolare la fibronectina, la laminina, le integrine e
nectine.
Ad esempio la fibronectina è una famiglia di proteine transmembrana che si legano a strutture
extracellulari, e possiede vari domini e mediano i legami tra collegeno e integrine di superficie (che a
loro volta sono fondamentali per l'adesione basale delle cellule alla matrice extracellulare) inoltre
connettono le cellule alle fibre collageniche dell'ECM. Le fibronectine possono legarsi a
proteoglicani ed altre fibronectine, e giocano un ruolo chiave nella coaugulazione del sangue. Media
l'adesione cellula-matrice con la via integrina/RGD che è un dominio che si trova proprio sulla
fibronectina. Quindi la fibronectina media il legame integrina/ fibre collagene, come ad esempio
negli emidesmosomi in cui troviamo proprio l'integrina che è fondamentalmente un recettore, e
troviamo il suo ligando proprio sulla fibronectina (sul dominio RGD) che a sua volta permetterà
l'adesione con le fibre collagene che si trovano nella ECM. In generale questo processo vale anche
per l'adesione cellula-matrice extracellulare, in cui come detto si forma il complesso integrina
(proteina transmembrana con dominio citoplasmatico ancorato al citoscheletro) che si lega con la sua
porzione extracellulare al dominio RGD della fibronectina la quale a sua volta media il legame con le
fibre della ECM. Quindi in particolare nell'emidesmosoma che si occupa dell'adesione della parte
basale delle cellule con la matrice extracellulare del connettivo (o anche nei contatti focali) l'integrina
permetterà l'adesione (anche grazie alla laminina) della placca emidesmosomica con le fibre della
matrice extracellulare grazie alla via integrina/fibronectina su cui troviamo lo specifico recettore per
l'integrina stessa.
Molti cambiamenti osservati nei tumori sono stati attribuiti a un decremento dell'espressione della
fibronectina o alla degradazione del suo recettore, così come dell'integrica alfa5-beta1. La
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fibronectina è implicata nello sviluppo del tumore stesso; nel carcinoma polmonare ad esemio,
l'espressione della fibronectina aumenta e di conseguenza l'adesione delle cellule tumorali alla
fibronectina aumenta notevolmente la tumorigenicità e conferisce resistenza alle terapie
chemioterapiche.
Un'altra proteina importante è la laminina che è responsabile del legame delle cellule epiteliali alla
membrana basale, quindi, ad esempio, nel caso dei desmosomi, la laminina ancora la piastra
emidesmosomica alla membrana basale. Per esempio la fibronectina e la laminina guida le cellule
della lamina basale durante lo sviluppo embrionale (come le cellule delle creste neurali).
Le cellule grazie alle integrine che delle glicoproteine, ma anche specifici recettori, collegano la
cellula (tramite il citoscheletro) alla fibronectina che a sua volta medierà l'adesione con la matrice
extracellulare. Le integrine sono anche collegate con il citoscheletro (microfilamenti di actina) e in
questo modo l'ancoraggio delle cellule alla matrice risulta meccanicamente resistente. Quindi
possiamo dire che l'integrina è il recettore cellulare per il proprio ligando che si trova sulla
fibronectina, la porzione intracellulare (essendo una proteina transmembrana) interagisce con gli
elementi del citoscheletro, la parte extracellulare si lega con la fibronectina nel suo dominio RGD che
a sua volta media il legame con le fibre della matrice extracellulare.
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La funzione del complesso “citoscheletro-integrina (porzione intracitoplasmatica ed extracellulare)fibronectina-fibre della matrice extracellulare” è quello di ancorare proprio in modo specifico la
cellula alla ECM. Vediamo un'ottima rappresentazione di quello detto ora e anche precedentemente
nella immagini precedenti, in particolare vediamo a sinistra il modello dell'integrina e a destra nella
formazione del complesso descritto prima. Sotto invece vediamo un'altra immagine in cui vediamo
l'azione dei vari elementi nel complesso (vedere in particolare contatti focali e emidesmosomi. In
particolare i contatti focali sono quei punti in cui il contatto tra cellula e metaplasma si fa più intimo,
stante la presenza di numerose integrine e, di conseguenza, numerosi filamenti di actina all'interno
della parete cellulare, e fasci di fibronectina all'esterno.)
La sostanza fondamentale amorfa è una soluzione molto viscosa con una quantità variabile di acqua
legata ai componenti macromolecolari (proteoglicani). Vi è inoltre acqua libera, gas disciolti, piccole
molecole e ioni. I fluidi tissutali sono composti da plasma che esce dai capillari ed entra nel tessuto
connettivo, inoltre i fluidi tissutali filtrano attraverso la ECM e rientrano nelle venule e nei capillari
linfatici, ed inoltre promuovono il movimento di nutrienti e dei rifiuti prodotti da e per le cellule.
Infine troviamo le matricine, la cui attività enzimatica richiede Zn++ e intervengono nel rapido
rimaneggiamento della EC e sono importanti nella sostituzione delle cellule cartilaginee con osso,
inoltre rimuovono la matrice ed attivano i fattori di crescita come il VEGF (Vascular Endothelial
Growth Factor).
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Cellule del tessuto connettivo
Le cellule del tessuto connettivo derivano tutte, direttamente o indirettamente durante lo sviluppo
embrionale, dalla cellula staminale mesenchimale multipotente.
Dalla cellula staminale mesenchimale (che deriva dal mesoderma ed è una staminale adulta) derivano
tutte le cellule della linea del sangue, fibroblasti, osteoclasti, condrociti, adipociti, le cellule
endoteliali, gli osteociti cioè tutte le cellule che vanno a costituire sia i connettivi propriamente detti e
quelli specializzati.
Le uniche cellule pluripotenti sono quelle embrionali, mentre le mesenchimali sono cellule adulte
multipotenti. In base alla capacità differenziativa le cellule staminali si dividono in totipotenti,
pluripotenti, multipotenti e unipotenti.
La cellula staminale totipotente è solo lo zigote, quindi è in grado di tutti e tre i foglietti embrionali
più gli annessi extraembrionali. La cellula staminale embrionale è definita invece pluripotente perché
può dare origine a tutti e tre i foglietti embrionali ma non può formare i tessuti extraembrionali. Le
cellule staminali adulte possono multipotenti e unipotenti: la staminale adulta multipotente come
quella mesenchimale, è definita tale perché è in grado di differenziare in tutti i tessuti appartenenti
allo stesso foglietto embrionale, cioè quindi la staminale mesenchimale può differenziare in tessuti
che derivano dal mesenchima (tessuto connettivo embrionale derivante dal mesoderma) mentre come
indica già il nome, la cellula staminale adulta unipotente, può differenziarsi in un solo tipo di tessuto.
Per i connettivi propriamente detti possiamo definire due classi di cellule: cellule fisse residenti
nel tessuto connettivo e cellule migranti (un esempio è il linfocita, che circola nel sangue, ma espleta
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la sua funzione nel connettivo, poiché dal torrente ematico passa al connettivo). Altri esempi di
cellule migranti sono le plasmacellule, macrofagi liberi (poiché ci sono anche quelli fissi) e altre
cellule di derivazione ematica. Le cellule fisse invece sono i fibroblasti, cellule come già detto
deputate a produrre le fibre collagene, reticolari ed elastiche e tutti i componenti necessari alla
matrice extracellulare come proteoglicani e GAGs. Poi ci sono i fibromioblasti che sono fibroblasti
nel cui citoplasma sono presenti filamenti di actina associati a miosina non muscolare. Ci sono i
periciti, che sono intimamente associati ai vasi di piccolo calibro, quali venule e capillari, che non
presentano muscolatura liscia e inoltre sono cellule contrattili capici di determinare vasocostrizione.
Tra le cellule fisse troviamo anche i macrofagi, alcuni melanociti, adipociti e poi i mastociti i
quali si trovano nel torrente circolatorio e completano il loro sviluppo nel tessuto connettivo. Le
cellule staminali mesenchimali permangono anche dopo lo sviluppo in particolari zone di tessuti
chiamate NICCHIE.
Di solito le cellule che finiscono con “blasto” (fibroblasto, condroblasto, ostoblasto) sono cellule
altamente proliferanti che si dividono e producono qualcosa diventando “citi” (osteociti, condrociti,
fibrociti) ovvero cellule mature, mentre i “blasti” sono cellule ancora immature. Ad esempio
l'osteocita non è altro che la forma matura dell'osteoblasto, così come il condrocita non è altro che la
forma matura del condroblasto e la stessa regola vale anche per il fibroblasto e fibrocita.
Quando il fibroblasto è in intensa attività è fortemente basofilo, poiché ricco di ribosomi per la
produzione delle proteine necessarie ai componenti che deve formare ed assemblare, nella sua forma
inattiva è dunque non è basofilo. Il fibroblasto è la cellula più abbondante nel connettivo
propriamente detto e costruisce e secerne come detto, le subunità proteiche delle fibre, inoltre secerne
GAGs come l'acido ialuronico. Il fibroblasto nella produzione delle fibre, si pone intimamente a
contatto con le fibre che sta producendo quindi è evidente soltanto il nucleo in particolare per la
colorazione ematossilina-eosina.
La forma dei fibroblasti è “fusata” e in generale tutte le cellule mesenchimali vengono definite a
“fusal structure” cioè con nucleo centrale e a lato il citoplasma a formare due prolungamenti.
Nell'immagine sottostante possiamo vedere bene l'assemblaggio extracellulare del collagene
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Sopra vediamo fibroblasti in coltura con la tipica forma fusata e allungata ai lati del citoplasma con
nucleo centrale.
Sotto invece notiamo la sezione di fibrociti, infatti quando il fibroblasto ha finito di secernere nella
matrice extracellulare tutte le sostanze prodotte all'interno, il nucleo diventa schiacciato, quindi un
fibroblasto ha il nucleo tondeggiante, mentre il fibrocita ha un nucleo schiacciato.
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Vediamo adesso un altro tipo di cellule: i MASTOCITI (spesso situate vicine ai vasi sanguigni)
I mastociti, rotondeggiante, nucleo centrale e caratterizzati da granuli basofili per la forte presenza di
eparina che è un GAG altamente solfato, con forte carica negativa (ciò spiega la colorazione dei
granuli) con azione anticoaugulante. I mastociti quindi sono cellule ripiene di granuli sia di eparina
che di istamina (agisce in una reazione allergica) che ha azione vasodilatatrice e aumenta la
permeabilità vascolare. Il mastocita viene prodotto dal midollo osseo e entra in circolo nella fase
immatura (cioè senza granuli) quando poi si porta a livello del connettivo finisce la sua maturazione e
il suo differenziamento con la produzione dei granuli caratteristici. Colorazione ideale per notare i
mastociti è sicuramente il blue di toulidina.
Possiamo dividere i mastociti in due sottogruppi, ovvero quelli che troviamo a livello del tessuto
connettivo dell'epidermide, della sottomucosa intestinale, ghiandola mammaria, linfonodi ascellari
che hanno granuli di triptasi (prodotta nelle reazioni infiammatorie, quindi è anche indice di una
infiammazione) e chimasi, e poi il gruppo che si trova nei polmoni e nella mucosa intestinale che
produce solo granuli di triptasi che aumentano in soggetti colpiti da psoriasi dell'epidermide, infatti i
soggetti che soffrono di psoriasi avranno mastociti ripieni di granuli di triptasi. I mastociti non si
trovano a livello del cervello e del midollo spinale, per evitare che in questi punti si possano
innescare reazioni infiammatorie o allergiche, perché proprio i mastociti intervengono in entrambi i
processi. Infatti sulla membrana del mastocita è presente IgE (si approfondirà anche nel sistema
immunitario) e nel momento in cui l'antigene attiva il mastocita con il contatto con IgE si avrà
l'esocitosi dei granuli presenti all'interno della cellula. Sotto vediamo un esempio di colorazione
proprio con blue di toulidina in cui sono evidenti i mastociti con i loro caratteristici granuli.
Altra cellula importantissima nel tessuto connettivo è il MACROFAGO (la cellula da cui derivano i
macrofagi sono i monoblasti, che si differenziano in monociti e vanno nel torrente ematico.
Successivamente i monociti migreranno nei tessuti dove matureranno definitivamente a formare i
macrofati, che all'interno del connettivo possono essere distinti in fissi, che sono presenti in
condizioni normali nel connettivo e migranti che si trova nel tessuto in caso di danno come nel
processo infiammatorio). La principale funzione del macrofago è la fagocitosi, è infatti uno
“spazzino cellulare”, inoltre interviene nelle reazioni allergiche e infiammatorie, e anche
nell'emocateresi dei globuli rossi perché una volta che gli eritrociti vanno in senescenza, e quindi
“smembrato” e la parte non digeribile, viene fagocitata dai macrofagi. Il macrofago ha una forma
tondeggiante e un nucleo centrale, possiede un'intensa basofilia perché è in continua attività di sintesi
proteica (quindi Golgi molto sviluppato). La cellula macrofagica fissa nasce per differenziazione del
monocita circolante, e come detto ha la funzione di fagocitare cellule danneggiate e particelle
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estranee, inclusi batteri patogeni, inoltre i materiali ingeriti vengono distrutti principalmente da
enzimi lisosomiali; in sostanza reagiscono a stimoli rilasciando sostanze attivanti del sistema
immunitario, infatti i macrofagi hanno sulla propria superficie l'HLA (o MHC) di classe 2 che è il
complesso maggiore di istocompatibilità, ha il compito di presentare l'antigene e una volta esposto
tale antigene, viene riconosciuto dai linfociti T helper (CD4) con produzione di citochine e
attivazione della risposta immunitaria. I macrofagi infatti vengono dette anche APC ovvero
letteralemente cellule che presentano l'antigene (a questa categoria appartengono anche i linfociti B e
le cellule del Langerhans) . I macrofagi liberi hanno la stessa funzione dei macrofagi fissi, ma sono
molto mobili e si portano nel connettivo solo nel momento in cui sono attratti da un focolaio di
infezione.
I LINFOCITI è la cellula mediante della risposta immunitaria e sono divisi in linfociti T e linfociti
B, entrambi prodotti a livello del midollo osseo, mentre il linfocita B è prodotto già nella sua
forma matura, il linfocita T è prodotto nel midollo osseo ma matura nel timo (organo linfoide). Il
linfocita ha il nucleo centrale, e il rapporto nucleo-citoplasma è a favore del nucleo.
Quando il linfocita B è attivato, perché vi è un antigene, si trasforma in PLASMACELLULA che
quindi non è altro che il linfocita B attivato, caratterizzato da apparato del Golgi e reticolo
endoplasmatico rugoso molto abbondante data la produzione di immunoglobuline, al contrario di
quanto avviene nella sua forma inattiva.
Tra le cellule del tessuto connettivo propriamente detto ci sono anche degli ADIPOCITI, che sono
caratterizzati da un grande vacuolo ripieno di una grande gocciola di grasso (otticamente vuoto) e un
nucleo molto periferico e un sottilo file di citoplasma. Gli adipociti sono presenti nel connettivo
propriamente detto perché forniscono energiano e sono capaci di metabolizzare 3 classi di lipidi,
precisamente trigliceridi, fosfogliceridi ed esteri del colesterolo e la molecola segnale che attiva il
metabolismo è la leptina. Nelle fasi di maturazione degli adipociti più vacuoli si uniscono a formare
un unico grande vacuolo. Il tessuto adiposo si divide in tessuto adiposo bruno e tessuto adiposo
bianco; quello bruno lo troviamo soprattutto negli animali che vanno in letargo, è costituito da
adipociti multivacuolati, quello bianco invece è costituito da adipociti univacuolate che nella loro
formazione erano però multivacuolate. Abbiamo qui sotto l'immagine di un tessuto adiposo
univacuolare:
In particolare non deve essere confuso con l'epitelio pavimentoso semplice ad esempio dell'alveolo;
le differenza sostanziale ovviamente è che nell'epitelio abbiamo più cellule (e dunque nuclei) tutti
vicini e giustapposti che delimitano il nucleo rispetto a quelli dell'immagine precedente in cui sono
particolarmente isolati, infatti ogni cellula adiposa è caratterizzata da un unico nucleo periferico e un
sottilissimo strato di citoplasma, oltre alla gocciola lipidica all'interno che è otticamente vuota.
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Tessuti di origine mesenchimale
Oltre i connettivi propriamente detti, abbiamo i connettivi di origine mesenchimale, che derivano
anch'essi proprio dalla cellula staminale mesenchimale, che dà origine a sua volta a tutte le cellule dei
connettivi, anche quelli specializzati.
I connettivi propriamente detti e i connettivi in senso lato (di origine mesenchimale e connettivi di
origine embrionale come il mucoso) derivano tutti dal medesimo tessuto embrionale che è appunto
il MESENCHIMA, e pur avendo notevoli differenze condividono una serie importanti di
caratteristiche istologiche, tra cui: l'avere cellule relativamente rade e l'abbondante matrice
extracellulare la cui composizione caratterizza il tipo di tessuto.
Qui sopra vediamo il MESENCHIMA, e notiamo subito, che rispetto ai tessuti connettivi
propriamente detti, che il numero di cellule è maggiore ed inoltre le cellule stesse sono quasi stellate,
non proprio fusate.
Sopra vediamo invece un connettivo di tipo mucoso, che ritroviamo ad esempio nella gelativa del
Wharton, a livello del cordone ombelicale
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In sostanza quindi il tessuto connettivo mucoso (detto anche tessuto connettivo embrionale)
nell'adulto è un connettivo povero di fibre, molta sostanza fondamentale e che troviamo soltanto a
livello dell'umor vitreo dell'occhio e della polpa del dente, mentre il mesenchima, lo troviamo solo
nell'embrione (è definito infatti tessuto connettivo embrionale).
Tessuto connettivo lasso (o areolare)
Dalla parola “lasso” si può comprendere che si tratta di un tessuto connettivo composto da poche
fibre e lassamente intrecciate tra di loro a favore proprio della matrice extracellulare. Qui sotto ne
abbiamo una descrizione con i vari componenti evidenziati.
Si vedono quindi meglio le cellule, proprio per le poche fibre e l'abbondanza della ECM
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Tessuto connettivo denso
Occupato per la maggior parte da fibre strettamente stipate tra loro e si distiunge in regolare e
irregolare a seconda di come le fibre sia disposte, ovvero in maniera uniforme oppure molto più
disordinata. Sotto vediamo nell'ambito di una sezione di epidermide, il derma che è un connettivo
denso irregolare (lo troviamo anche a livello del PERIOSTIO ovvero il connettivo che circonda il
tessuto osseo), rispetto ad un esempio di connettivo denso regolare come per esempio nel tendine (in
cui troviamo abbondanza di fibre collagene disposte in fasci paralleli ed elastina per resistere a
trazioni e carichi e al tempo stesso conferire elaasticità).
Le fibre del connettivo denso regolare sono strettamente impacchettate e allineate e la sua grande
resistenza lo rendo adatto a formare tendini, aponeurosi, fasce e legamenti (che mostrano anche
abbondanti fibre elastiche).
Sotto vediamo ancora un esempio di tessuto connettivo fibroso denso regolare, in cui le fibre sono
strettamente stipate e la matrice extracellulare è scarsissima
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Questo sopra invece è definito tessuto connettivo denso regolare a fasci paralleli, che si trova
precisamente, nella sezione in questione, a livello del PERICONDRIO che è il connettivo che
circonda la cartilagine, è fondamentale perché rappresenta il vero nutrimento della cartilagine, la
quale è avascolarizzata . In entrambi i casi, ovvero nel caso del derma che presenta un connettivo
denso irregolare e della cartilagine che presenta un connettivo denso regolare, la funzione è
principalmente trofica dato che, l'epidermide non è vascolarizzata e neanche la cartilagine. Anche se
la cartilagine è un tessuto connettivo specializzato ( e i connettivi per definizione hanno anche
funzione trofica) essa non è vascolarizzata, a differenza per esempio dell'osso in cui passano vasi, e
per questo la cartilagine possiamo definirla una sorta di anomalia all'interno del concetto di
connettivo stesso. Anche il sangue è un connettivo e infatti ha funzione trofica e possiede la ECM che
non è altro che, nel caso del sangue, il plasma. In realtà il PERICONDRIO è come se fosse formato
da due zone: una a contatto con la cartilagine, ricca di condroblasti e un'altra, non a contatto, ricca di
fibroblasti come si vede nell'immagine.
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La ECM della cartilagine è costituita dall'80% di acqua, di proteoglicani e GAGs proprio perché
deve facilitare la diffusione dei nutrienti, essendo avascolarizzata.
La cartilagine non è vascolarizzata perché si trova in zone soggette a pressione, per esempio
nelle superfici articolari, infatti la cartilagine oltre ad essere avascolarizzata, non è neanche
innervata.
Il tessuto connettivo fibroso denso si trova anche a livello dei legamenti.
Il connettivo denso irregolare si trova nel derma, nel PERIOSTIO, guaine di tendini e nervi, e
capsula dibrosa che avvolge gli organi
Sopra abbiamo un esempio di tessuto connettivo fibroso denso irregolare, in particolare una sezione
del DERMA. Sotto invece troviamo una piccola schematizzazione del tessuto connettivo
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Tessuto cartilagineo
Nell'individuo adulto, la cartilagine si trova a livello delle superfici articolari, cartilagini costali,
orecchio esterno, cartilagini del naso, la laringe e anche in trachea e bronchi.
Le principali proprietà della cartilagine sono: avere un tessuto solido più flessibile proprio per la
composizione della sua ECM descritto poco più sopra, ma meno duro e resistente dell'osso (che è
formato da una matrice calcificata di IDROSSIAPATITE) inoltre la cartilagine non contiene vasi (e la
nutrizione avviene per diffusione, per questo motivo il PERICONDRIO risulta essere riccamente
vascolarizzato e circonda la cartilagine stessa fornendo il nutrimento necessario). Il tessuto
cartilagineo resiste alla compressione, assorbe elasticamente le sollecitazioni meccaniche e riduce gli
attriti nelle articolazioni, e proprio per questi motivi non può essere vascolarizzato, inoltre mantiene
la pervietà delle vie aeree, e funzione fondamentale, “guida” lo sviluppo dello scheletro osseo
nell'embrione, in realtà si forma uno scheletro di tessuto cartilagine che viene sostituito
successivamente da tessuto osseo.
Troviamo tre tipi di cartilagine:
• Ialina (la più diffusa): così detta perché poco colorabile, cioè traslucida bianco-bluastra
perché ricca di GAGs, e acqua, per questo assume l'aspetto traslucido, e c'è prevalenza di
collagene di tipo II
• Elastica : prevalenza di fibre elastiche e di collagene di tipo II, risulta giallastra, opaca e si
trova nel padiglione auricolare, è definita anche “ cartilagine cellulare”
• Fibrocartilagine: è una cartilagine di transizione tra tessuto connettivo denso e
cartilagine ialina e a differenza degli altri due tipi di cartilagine c'è prevalenza di collagene
di tipo I e non possiede il PERICONDRIO perché c'è già il connettivo denso che è riccamente
vascolarizzato
Nel tessuto cartilagineo troviamo tre tipi di cellue: Condroblasti, Condrociti e Condroclasti (così
come gli osteoclasti sono un tipo di cellule deputate alla degradazione della matrice e sono di origine
monocita-macrofagica quindi dal differenziamento del monocita che poi matura in macrofago,
mentre condroblasti e condrociti derivano dal differenziamento della cellula mesenchimale). I
condroclasti e gli osteoclasti quindi hanno attività di distruzione e rimodellamento.
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I condrociti e condroblasti sono cellule sferiche od ovoidali “sequestrate” all'interno di lacune nella
matrice cartilaginea a formare i così detti “gruppi isogeni”. In pratica il condroblasto comincia a
produrre tutti gli elementi della matrice extracellulare e così rimane intrappolato in lacune, perché
produce la matrice, la cellula si separa gradualmente e operando successive due o tre divisioni,
matura in condrocita, anche nell'osso vi è la stessa situzione, infatti un osteoblasto produce tutte le
proteine e gli elementi fondamentali per la ECM, rimane intrappolato nella “lacuna ossea” e diventa
osteocita. Quindi ogni lacuna contiene una o più cellule
Il gruppo isogeno è definito tale perché è formato da 3-5 cellule che derivano da un'unica cellula.
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Nel tessuto cartilagineo noi riconosciamo la matrice INTRATERRITORIALE e matrice
EXTRATERRITORIALE. Quella intraterritoriale è quella, nell'immagine precedente, colorata in una
tonalità più scura e che si trova all'interno del gruppo isogeno, quella invece extraterritoriale è quella
che circonda i gruppi isogeni.
Qui sopra invece vediamo una bella immagine di come lavora il condroblasto (caratterizzato dal
nucleo parzialmente schiacciato) nella produzione di fibre collagene. Inoltre i condroblasti producono
anche fibre elastiche che a differenza del collagene si allungano se sottoposte a trazione, inoltre i
condroblasti producono anche la cosiddetta “sostanza fondamentale amorfa” una miscela di
macromolecole in grado di controllare il livello di idratazione del tessuto, conferendo alla cartilagine
il caratteristico stato di “gel solido”. Dunque a livello della ECM troviamo: fibre collagene
(prevalentemente collagene di tipo II, e di tipo I nella fibrocartilagine) fibre elastiche, sostanza
amorfa (proteoglicani, GAGs) e acqua.
Quindi i condroblasti hanno il nucleo intenstamente basofilo perché hanno il RER molto sviluppato
proprio perché sono deputati alla produzione degli elementi fondamentali per la matrice
extracellulare, a differenza dei condrociti, che sono cellule già mature. Quindi il meccanismo di
base è che ad una intensa attività biosintetica corrisponde una maggiore basofilia e quindi
abbondanza di ribosomie, RER e Golgi, a differenza della forma matura in cui diminuiscono i
ribosomi e gli organelli biosintetici e quindi aumenta l'acidofilia.
Cartilagine Ialina
Si trova a livello della terminazioni articolari delle ossa lunghe, nel naso esterno, nella laringe, nella
trachea e nei bronchi. Le principali caratteristiche sono: la prevalenza di collagene di tipo II, la
matrice basofila, l'organizzazione dei condrociti in gruppi isogeni e il PERICONDRIO è sempre
presente ad eccezione della cartilagine articolare e dell'epifisi
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Sopra vediamo la cartilagine ialina, con i condrociti organizzati in gruppi isogeni e il pericondrio
nella parte destra dell'immagine. Nell'immagine sotto invece vediamo in corrispondenza della P il
pericondrio, poi subito al di sotto, notiamo i condroblasti a livello della C che si stanno dividendo e
che stanno maturando in condrociti, ed infatti non sono ancora organizzati in gruppi isogeni. Ancora
sotto vediamo poi i condrociti che caratterizzati dall'organizzazione in gruppi isogeni (IG). Dunque
sono i condrociti che derivanti da varie divisioni di un condroblasto rimangono intrappolati in
lacune cartilaginee ovvero i gruppi isogeni. In particolare nell'immagine sottostante ci troviamo a
livello della TRACHEA caratterizzata dall'epitelio pluriseriato con cellule caliciformi mucipare, dalla
cartilagine ialina al di sotto del connettivo.
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Cartilagine Elastica
La cartilagine elastica ha in comune con la ialina, il collagene di tipo II ed il PERICONDRIO, inoltre
è detta elastica per la prevalenza proprio di fibre elastiche. Si trova a livello del padiglione auricolare,
del meato uditivo esterno, della tuba uditiva, dell'epiglottide e della cartilagine cuneiforme della
laringe. Le principali differenze invece, con la cartilagine ialina sono: il collore giallastro della
cartilagine elastica dovuto proprio alle fibre elastiche, e di conseguenza una maggiore flessibilità ed
elasticità, inoltre la cartilagine elastica possiede meno sostanza amorfa e un basso contenuto in
proteoglicani. Rispetto alla cartilagine ialina ci sono cellule più ravvicinate e quindi vi è minore
quantità di sostanza fondamentale. Teoricamente dovrebbe essere meno adatta alla resistenza degli
urti poiché tale caratteristica è data proprio dall'abbondanza di proteoglicani che assorbono acqua e
quindi creano uno stato di gel solido adatto alla resistenza meccanica, infatti tale cartilagine si trova
principalmente in zone non soggette a forti sollecitazioni.
Fibrocartilagine
Risulta essere una cartilagine di transizione tra tessuto connettivo denso e cartilagine ialina, inoltre
risulta essere caratterizzata dalla presenza di collagene di tipo I (che si trova anche nell'osso) e i
condrociti sono organizzati in file parallele tra fasci di collagene. Si trova a livello di dischi
intervertebrali, vari menischi e labbri articolari, sinfisi pubica, legamento rotondo del femore e zona
d'inserzione dell'osso di alcuni tendini. Il collagene di tipo II vi si trova anche nella fibrocartilagine
ma è minore rispetto a quello di tipo I per la presenza del tessuto connettivo denso.
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Sopra vediamo un esempio di fibrocartilagine in cui sono evidenti i densi e abbondanti fasci di fibre
collagene e la poca ECM ma in particolare sopra e sotto il riquadro verde vediamo alcuni condrociti,
quindi bisogna prestare attenzione a non scambiare questo tipo di tessuto con un connettivo denso a
fasci paralleli.
Sopra invece si nota la fibrocartilagine relativa alla sinfisi pubica con i condrociti disposti
parallelamente alle fibre collagene
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La fibrocartilagine è definita di “transizione” proprio perché è di passaggio tra il connettivo denso e
la cartilagine ialina come è possibile vedere bene nell'immagine sopra.
In più nell'ambito delle cartilagini si possono trovare tessuto condroide (o pseudocartilagineo),
tessuto cordoide (o vascicoloso) e degenerazione asbestiforme.
Il tessuto condroide presenta cellule piccole e abbastanza turgide, e si trova raramente nella specie
umana ad esempio nelle ossa sesamoidi e in alcuni menischi, il tessuto cordoide invece è composto
da grosse cellule vescicolose accostate le une alle altre senza interposizione di sostanza intercellulare,
inoltre costituisce la notocorda (o corda dorsale) e nell'uomo è rappresentato dal nucleo polposo del
disco intervertebrale.
Per quanto riguarda l'istogenesi del tessuto cartilagineo come già detto, si parte da una cellula
staminale mesenchimale a cui scompaiono i prolungamenti, vi è l'aggregazione in centri di
condrificazione, e i condroblasti iniziano a produrre fibre collagene ed altri elementi della matrice,
fino a maturare in condrociti dividendosi più volte, rimanendo intrappolati in lacune cartilaginee.
Inoltre per quanto riguarda specificamente la cartilagine, possiamo notare due tipi di accrescimento:
• Interstiziale: la cartilagine si espande dall'interno attraverso la divisione dei condrociti e la
produzione di nuova matrice
• Per apposizione: l'aggiunta di cartilagine sulla superficie esterna tramite la differenziazione di
nuovi elementi mesenchimali in condroblasti (per esempio avviene a livello del pericondrio)
Con il passare degli anni vi è l'aumento delle proteine non collageniche con diminuzione dei
proteoglicani e conseguente perdita della trasparenza, vi possono essere calcificazioni anomale e
osteoartrite con usura delle articolazione. La capacità rigenerativa della cartilagine è limitata e di
solito quando si parla di rigenerazione vi è un riferimento al pericondrio, in cui vi sono le cellule
staminali mesenchimali, dunque ogni tipo di rigenerazione della cartilagine parte sempre dal
pericondrio stesso.
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Tessuto osseo
Il tessuto osseo è un tessuto connettivo specializzato, e come tutti i connettivi è costituito sia da
cellule che da matrice, la principale differenza rispetto agli altri connettivi studiati è a proprietà di
avere la matrice mineralizzata, quindi calcio e fosfato sono fondamentali per l'osso tanto che
quest'ultimo rappresenta il principale organo di accumulazione e di riserva per il calcio, infatti la
prima cosa che succede quando si abbassa la calcemia nel livello ematico, è la secrezione di
paratormone che “stacca” il calcio dalle osse, agendo con un meccanismo di feedback con la
calcitonina che invece “fissa” il calcio alle ossa, abbassando il livello di calcio nel torrente
sanguigno. Inoltre il calcio è fondamentale anche per la sintesi del DNA, infatti, quest'ultimo non si
duplica se non vi è presenza di calcio quindi si può dedurre come l'osso sia fondamentale per
l'omeostasi di tale elemento.
La matrice mineralizzata è costituita da calcio e fosfato che vanno a costituire cristalli di
idrossiapatite, quindi la differenza principale rispetto a tutti gli altri connettivi è proprio questa
matrice mineralizzata.
Ci sono due tipi di tessuto osseo, ovvero LAMELLARE E NON LAMELLARE, in particolare si
focalizzerà l'attenzione su quello di tipo LAMELLARE, che a sua volta si può dividere COMPATTO
E SPUGNOSO (o trabecolare), mentre quello NON LAMELLARE può essere a fibre intrecciate e a
fibre non intrecciate.
Nel caso del tessuto osseo compatto, si troverà una forte componente di matrice mineralizzata, in
quello spugnoso si troveranno numerosi spazi, o trabecole, e quindi vi sarà meno matrice
mineralizzata.
Le principali funzioni dell'osso sono: il sostegno meccanico, la locomozione, la protezione e la
riserva metabolica (sali minerali e omeostasi del calcio e fosfato).
Quindi tra le cellule del tessuto osseo troviamo per differenziamento della cellula staminale
mesenchimale, dapprima cellule osteoprogenitrici, successivamente osteoblasti e per ulteriore
differenziamento gli osteociti, mentre gli osteoclasti derivano dalla linea monicita-macrofagica.
Come in tutti gli altri connettivi troviamo la matrice organica composta in questo caso da collageno I,
GAGs, proteoglicani e glicoproteine, tale matrice è detta anche OSTEOIDE quando non è
mineralizzata. Poi vi sono i sali minerali inorganici ovvero idrossidi di calcio e di fosfato che vanno a
formare i cristalli di idrossiapatite.
Quindi l'OSTEOIDE è la struttura in cui non è ancora avvenuta la mineralizzazione della matrice,
infatti quando quest'ultima si mineralizza si parlerà di OSTEONE del tessuto osseo compattheo
lamellare.
La struttura base di un osso lungo è composta da una cavità midollare centrale, in cui alloggia
proprio il midollo emopoietico, poi troviamo l'osso compatto che compone la diafisi, e le epifisi che
sono composte principalmente da osso spugnoso, in cui troviamo trabecole e cavità midollari sedi del
midollo emopoietico. La zona in cui vi è l'unione tra diafisi ed epifisi è chiamata metafisi.
Il PERIOSTIO è invece, il tessuto connettivo denso irregolare che circonda l'osso. Vi è poi la
cartilagine articolare che è l'unico caso di cartilagine in cui non troviamo il PERICONDRIO.
Quindi il periostio avvolge tutto l'osso tranne nei punti in cui vi è la cartilagine articolare che è
il punto di inserzione per ossa e tendini.
Il periostio inoltre risulta fondamentale perché al suo interno vi sono cellule che supportano
l'omeostasi tissutale ossea. Immediatamente al di sotto del periostio, soprattutto nella diafisi, vi è
l'osso lamellare compatto. Al centro vi è la cavità midollare nella quale è alloggiato il midollo osseo
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che produce tutte le cellule del sangue. Nell'epifisi invece, come detto, troviamo osso spugnoso (o
trabecolare) che accoglie il midollo osseo. Esternamente quindi abbiamo la diafisi che avvolge l'osso,
mentre l'ENDOSTIO delimita la cavità midollare, avvolgendola.
Sopra possiamo vedere due immagini dell'organizzazione della struttura del tessuto osseo. Gli
OSTEONI sono delle unità circolari costituite da lamelle che si dispongono concentricamente
rispetto al canale di Havers il quale contiene vasi e nervi. Oltre al canale centrale vi sono altri canali
che sono perpendicolari ai canali di Havers, e sono detti canali di Volkmann. Gli osteociti sono quelle
cellule con prolungamenti che si vedono nell'immagine a destra e che si dispongono intorno al canale
di Havers e alle lamelle dell'osteone, quindi anche gli osteociti, come l'osteone stesso, hanno una
disposizione circonferenziale e prendono contatto con i due canali sanguigni da cui prendono
nutrimento tramite i loro prolungamenti. Come vediamo nell'immagine a sinistra, gli osteoni sono
delimitati dalla lamella circonferenziale esterna (outer circumferential lamellae) e fra un osteone e
l'altra vi sono delle lamelle interstiziali (interstitial lamellae).
Inoltre vi è anche una lamella circonferenziale interna (inner curcumferential lamellae) che invece
termina proprio con l'ENDOSTIO, che è una sottile lamina di cellule pavimentose che riveste le
cavità midollari (sia nelle diafisi delle ossa lunghe sia nell’osso spugnoso) nonché tutte le altre cavità
dell’osso (canali di Havers e di Volkmann). È formato da un singolo strato di cellule che durante lo
sviluppo e la crescita sono osteoblasti attivi con funzione osteoformativa e si trasformano in
osteoblasti quiescenti o cellule osteoprogenitrici con potenzialità osteogeniche nell’adulto.
Si notano nell'immagine sotto invece le fibre di Sharpey, le quali sono fibre di collagene, che hanno il
compito di tenere attaccato il periostio al tessuto osseo inserendosi perpendicolarmente al sistema
circonferenziale esterno (lamella circonferenziale esterna) e alle lamelle interstiziali.
Le lamelle sono aggreate in strati paralleli e disposte in maniera circonferenziale, sono costituite da
cellule e da sostanza intercellulare (importante collagene di tipo I), inoltre gli osteociti sono accolti in
cavità scavate nella matrice calcificata dette lacune ossee.
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Gli osteociti si trovano in lacune ossee per lo stesso principio descritto nel caso dei condrociti, infatti
gli osteoblasti, conseguentemente alla differenziazione maturano in osteociti, che rimangono
intrappolati in lacune, andando a formare la tipica struttura delle lamelle (principalmente composte
da collagene di tipo I) e quindi dell'osteone stesso.
La matrice organica dell'osso è formata da fibre collagene (di tipo I) disposte in maniera ordinata in
ciascuna lamella ed in senso antiparallelo rispetto alle lamelle contigue, inoltre come tutti i connettivi
ci sono proteoglicani, GAGs e glicoproteine (in particolare osteopontina, osteocalcina,
osteonectina, decorina, osterix, BAPe BSP ovvero proteina sialica dell'osso).
La matrice inorganica dell'osso invece, aumenta durante sviluppo e accrescimento fino a
raggiungere il 65% del peso secco dell'osso, ed è composta principalmente da fosfato di calcio e
carbonato di calcio, sotto forma di aghi sottili (cristalli di idrossiapatite) combinati con le
fibrille collagene.
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Gli osteociti per prendere contatto con i canali di Havers e di Volkmann, hanno nei loro
prolungamenti delle giunzioni GAP, fondamentali per consentire la funzione trofica.
Sopra possiamo vedere due immagini di tessuto osseo lamellare compatto, nella tipica struttura degli
osteoni, in cui si notano anche i prolungamenti degli osteociti e i sistemi interstiziali
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Sotto vediamo invece un esempio di osso spugono con midollo, in cui come detto prima, tra le
trabecole alloggia il midollo osso ematopoietico. Le cellule del tessuto osseo sono le stesse, ma non
troviamo la disposizione lamellare, ed è questa la principale differenza, bensì troviamo trabecole, per
questo motivo, questo tipo di tessuto osseo viene detto anche trabecolare proprio perché le cellule
non si dispongono a formare gli osteoni.
Come già detto il PERIOSTIO è una membrana connettivale riccamente vascolarizzata che riveste
l'osso, e si ancora ad esso ramite delle fibre collagene dette fibre di Sharpey, inoltre è assente sulle
superfici articolari e sulle zone di inserzione di tendini e legamenti, l'ENDOSTIO invece è un sottile
strato cellulare appiattito incompleto e contiene osteoblasti, preosteoblasti, osteoclasti e cellule
staminali e riveste le trabecole dell'osso spugnoso, le cavità midollari, i canali di Havers e i canali di
Volkmann. Risulta logico il perché osteoblasti e preosteoblasti si trovino a livello dell'endostio, data
la loro natura di cellule immature, che differenziandosi andranno a formare la matrice e le cellule
proprie del tessuto osseo, dunque gli osteociti. L'osteoclasto invece derivante dalla linea monicitamacrofagica, interviene nella rigenerazione dell'osso e nell'omeostasi del calcio.
Se nell'osso si distrugge la componente organica l'osso conserva la forma e diensione originali ma
diventa fragile come porcellana, nel caso in cui si distruggesse la componente inorganica l'osso
perderebbe la sua durezza e la rigidità diventando flessibile ma conservando la resistenza alla
trazione.
Le cellule principali dell'osso sono, le cellule osteoprogenitrici staminali (sono già indirizzate verso
l'osso, derivante dalla cellula staminale mesenchimale) osteoblasti, osteociti e osteoclasti
(proveniente dalla linea monicita-macrofagica quindi dal midollo osseo).
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La cellula staminale mesenchimale nell'immagine si divide in cellule osteoprogenitrici che sono
localizzate anche nel PERIOSTIO (e nell'ENDOSTIO), poiché l'accrescimento avviene
dall'esterno verso l'interno, e queste cellule osteoprogenitrici possono differenziarsi in osteoblasti che
si differenziano poi in osteociti, oppure gli osteoblasti possono differenziarsi in cellule del periostio,
il procedimento analogo avviene anche per l'endostio. L'accrescimento dell'osso avviene solo per
apposizione. Generalmente nel periostio e nell'endostio infatti, dopo i processi osteoformativi,
permangono cellule osteoprogenitrici e quindi cellule con capacità osteogeniche.
L'osteoclasto deriva dalla linea monicita-macrofagica, e si differenzia prima in osteoclasto inattivo e
poi in osteoclasto attivato.
La morfologia è diversa nelle varie cellule poiché è diversa anche la funzione dei vari citotipi: infatti
l'osteocita è una cellula con nucleo centrale e prolungamenti schiacciati, l'osteoblasto invece ha una
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forma cuboidali, sembra quasi polarizzata, e nel momento in cui deve produrre matrice, forma
insieme ad altri osteoblasti, uno strato a “palizzata”, mentre gli osteoclasti hanno forma quasi
ovoidale presentano un orletto increspato e si lega alla matrice creando la lacuna di Howship, e poi ci
sono le cellule osteoprogenitrici che sono più appiattite con nucleo centrale. Quindi come già ripetuto
le cellule osteoprogenitrici derivano dlle cellule staminali mesenchimali e mantengono la capacità di
dividersi, gli osteoblasti invece non solo sintetizzano la matrice organica dell'osso ma posseggono
anche recettori per l'ormone paratiroideo fondamentale nel meccanismo di regolazione del calcio
ematico, infatti quando si abbassa il livello ematico di calcio, la paratiroide produce il paratormone,
che andrà a stimolare indirettamente gli osteoclasti attraverso gli osteoblasti poiché non ha i recettori
sugli osteoclasti, e favorirà l'attivazione o il differenziamento degli osteoclasti stessi. Il PTH
(paratormone) infatti stimola l'osteoclastogenesi tramite gli osteoblasti che hanno sulla propria
superficie, il recettore per il PTH stesso (per i dettagli molecolari, pag 287 Monesi).
Sopra vediamo un'immagine in cui ci sono gli osteoblasti, nella caratteristica forma cuboidale
insieme ad un osteoclasto, il quale è principalmente una cellula polarizzata con una specializzazione
di membrana rivolta verso l'osso in assorbimento, formata da un caratteristico orletto detto “ruffled
border”. Gli osteoclasti sono sincizi polinucleati e servono al rimodellamento e al riassorbimento
osseo tramite pompe protoniche che dissolvono la matrice mineralizzata e enzimi lisosomiali (come
la catepsina K) per la degradazione della matrice organica. Nell'immgine possiamo vedere gli
osteoblasti nella forma a “palizzata” creando così uno strato epitelioide che è caratteristico nell'osso
in formazione, mentre l'alloggio dell'osteoclasto è la caratteristica lacuna di Howship formata proprio
dalla sua attività litica.
Gli osteociti quindi sono le cellule mature dell'osso derivanti dagli osteoblasti, che rimangono
intrappolate nelle loro lacune, sono caratterizzati da prolungamenti (fibre del Tomes) in canalicoli;
inoltre i prolungamenti come già detto, presentano giunzioni GAP che hanno il compito di collegare i
citoplasmi di cellule adiacenti.
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Sopra vediamo l'osteocita con i tipici prolungamenti che si trovano nei canalicoli, mentre il corpo
cellulare si trova nella lacuna. Quindi in generale man mano che gli osteoblasti producono matrice, si
allontanano reciprocamente, dissolvendo lo strato a “palizzata” differenziandosi in osteociti.
Gli osteoclasti invece, sono cellule, come già detto, multinucleate, che derivano da progenitori
macrofagici-granulocitici (GM-CFU) ed agiscono nel riassorbimento osseo, inoltre presentano
recettori per OPLG (stimolante le colonie) e calcitonina. L'enzima chiave della loro azione litica è
un'idrolasi acida lisosomiale ovvero la FOSFATASI ACIDA (molto importante).
Il meccanismo d'azione inizia con l'adesione dell'osteoclasto alla matrice bersaglio attraverso
recettori integrinici e glicoproteine quali OPNe BSP le quali ancorano gli osteoclasti a livello della
“zona sigillante o zona chiara” che è un anello a stretto contatto con la matrice, che si forma nella
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zona periferica del sincizio, in cui sono stipate delle strutture puntiformi di adesione cellulare, ricche
di actina, i podosomi, che hanno il compito di isolare il microambiente posto nella zona d'azione
dell'osteoclasto per creare un vero e proprio lisosoma extracellulare. Nello spazio delimitato
dall'anello e dai podosomi, si avrà l'acidificazione con rilascio di Hcl mediato da una pompa
protonica e da un canale per lo ione cloro situati nella membrana dell'orletto striato (pag 287-288
Monesi);
Per far funzionare gli osteoclasti e quindi i suoi enzimi, bisogna abbassare il PH tramite le pompe
protoniche, quindi a partire dall'anidrasi carbonica (presente sul ruffled border) che catalizza la
formazione di acido carbonico a partire da acqua ed anidride carbonica, vi sarà la sua dissociazione in
H+ e HCO3- successivamente gli ioni bicarbonato ed Na+ attraversano la membrana e vanno nei
capillari, mentre la pompa protonica della membrana trasporta gli H+ abbassando il PH in modo che
la matrice mineralizzata (cristalli di idrossiapatite) solubilizzi. La lacuna di Howship diventa un vero
e proprio “lisosoma extracellulare” e così le idrolasi e metalloproteasi (collagenasi e gelatinasi)
secrete dall'osteoclasto degranano anche la componente organica della matrice decalcificata; tali
prodotti vengono internalizzati dall'osteoclasto, degradati e versati nel sangue. Il processo si arresta
quando la concetrazione del calcio raggiunge i livelli “soglia” nella lacuna per cui si apre il sensore di
membrana podosomiale così da favorire il disassemblamento ed il distacco della cellula.
Ossificazione
Innanzitutto possiamo distinguere due tipi di ossificazione ovvero quella intramembranosa (o
diretta) e quella endocondrale (o indiretta).
In quella diretta, le cellule staminali mesenchimali si differenziano in cellule osteoprogenitrici e
successivamente in osteoblasti, i quali producendo matrice, formano prima il tessuto osseo non
mineralizzato, ovvero l'OSTEOIDE, e poi con la mineralizzazione si avrà il tessuto completo.
L'ossificazione endocondrale, o indiretta invece, è definita così perché c'è un modello cartilagine che
funge da stampo per il tessuto osseo.
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In entrambi i casi l'osso origina sempre da un abbozzo di tessuto connettivo embrionale
(MESENCHIMA) preesistente.
In particolare all'ottava settimana di sviluppo, quando vi è la formazione degli arti, le cellule
mesenchimali cominciano ad addensarsi; nel caso dell'ossificazione diretta si differenziano in cellule
osteoprogenitrici quindi a produrre il fattore trascrizionale Runx2 o CDFa-1 (in particolare Runx2 è
un fattore fondamentale per il differenziamento degli osteoblasti, pag 281 Monesi).
Questo il fattore Runx2 o CDFa- viene sintetizzato, la cellula osteoprogenitrice diventa osteoblasto e
diviene estremamente basofila, poiché deve sintetizzare le sostanze che andranno a formare il tessuto
osteoide come l'osteocalcina, la BAP o sostanze fondamentali per i proteoglicani, successivamente si
aggregano per creare lo strato “a palizzata”, ovvero uno strato epitelioide, che ricopre la superficie
del tessuto osseo in formazione.
Nell'ossificazione indiretta invece, le cellule mesenchimali si addensano, quindi le staminali
mesenchimali proliferano e iniziano a produrre collagene di tipo II, che innesca il differenziamento
delle staminali mesenchimali in condrociti, andando a formare l'abbozzo di cartilagine ialina; nel
momento in cui inizia l'ossificazione endocondrale, i condrociti iniziano a proliferare, ma ad un certo
punto terminano la loro proliferazione, e diventano ipertrofici, arricchendosi di glicogeno.
L'ipertrofia permette di aumentare il volume delle cellule e di diminuire la matrice, la quale si
assottiglia sempre di più e si calcifica per deposizione di ioni calcio. Nel momento in cui il
condrocita si ipertrofizza, inizia a produrre il fattore VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor, già
nominato a proposito del parenchima delle ghiandole endocrine) e collage di tipo X i quali inducono
la formazione di vasi sanguigni a partire dal mesenchima; nel momento in cui si formano tali vasi,
arrivano anche una serie di cellule quali mesenchimali, ematopoietiche e osteoclasti, in particolare gli
osteoclasti digeriscono le spicole rimanenti della matrice e la parte di cellule mesenchimali si
differenziano in osteoblasti, mentre gli osteoblasti già attivi vanno a deporre tessuto osteoide intorno
alla trama cartilaginea. Poiché l'ossificazione endocondrale avviene soprattutto nelle ossa lunghe,
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successivamente ci sarà un riassorbimento da parte di condroclasti e osteoclasti per favorire la
formazione delle cavità midollare, dunque i vasi sanguigni che si creano non solo sono importanti per
deporre cellule fondamentali per la formazione della matrice, ma servono anche per formare il tessuto
ematopoietico che si troverà nella cavità midollare (tutto ciò avviene per la diafisi); nell'epifisi
invece, questo riassorbimento non ci sarà da parte di condroclasti e osteoclasti poiché si formerà la
struttura trabecolare dell'osso spugnoso, che verrà rimodellato successivamente.
L'ossificazione intramembranosa (o diretta) avviene nelle ossa dermiche, quindi ossa del cranio (in
particolare frontale, parietale e squama del temporale e dell'occipitale, e gran parte delle ossa della
faccia, come l'osso mascellare, lo zigomatico), mandibola e clavicola (quest'ultima è la prima a
formarsi nello sviluppo dell'embrione). Il mesenchima da cui originano le ossa membranose
craniofacciali proviene dal 1° e dal 2° arco branchiale (o faringeo).
Come si vede nell'immagine a sinistra, vediamo il mesenchima che si addensa, e le sue cellule che
iniziano a proliferare, differenziandosi in osteoblasti, formando uno strato epitelioide, che produrrà
matrice, e man man che queste cellule producono la matrice, alcuni di esse rimangono intrappolate e
vanno a formare gli osteociti. In realtà questo tipo di osso non è né compatto né spugnoso, ma come
abbiamo già detto, inizialmente l'osso immaturo ha un'organizzazione che non è lamellare, bensì a
fibre intrecciate, in seguito poi ad un secondo rimodellamento avremo poi la formazione di osso
maturo di tipo lamellare, o spugnoso o compatto, e come già detto nell'osso compatto le lamelle si
disporranno ordinatamente in modo concentrico a formare l'osteoide, mentre nell'osso spugnoso le
lamelle andranno a formare un labirinto di trabecole comunicanti tra di loro al cui interno alloggerà il
midollo emopoietico.
Nell'immagini a destra vediamo una sezione di ossificazione intramembranosa, e quindi come
abbiamo già detto vediamo il mesenchima che si addensa nei centri di ossificazione e le sue cellule si
differenziano grazie al fattore Runx2 o CDFa-1 , lo strato epitelioide degli osteoblasti (riconoscibile
per la forma cuboidale) che produce matrice osteoide e anche alcuni osteociti che sono rimasti
intrappolati all'interno della matrice nelle lacune ossee. Inizialmente quindi si forma una sorta di osso
spugnoso.
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Nell'immagine sopra vediamo in corrispendenza del numero 1 la matrice dell'osso, mentre in
corrispondenza del numero 2 vediamo gli osteociti, e del numero 3 il periostio del quale lo strato
interno, durante il periodo della morfogenesi dell'osso, è formato proprio da uno strato epitelioide di
osteoblasti.
Qui si vede un'altra immagine di ossificazione intramembranosa in cui si notano una serie di spicole,
o cavità, che nel caso l'osso diventi spugnoso, vengono occupate dal midollo ematopoietico, e
verranno rimodellate successivamente, nel caso invece si debba formare osso compatto, il processo
continuerà fino a quando non verranno occupate anche tali cavità, con la formazione successiva di
canali Haversiani, e rimodellamento con disposizione lamellare delle fibre collagene.
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Sopra ancora un'immagine di ossificazione intramembranosa, più schematica, con i vari elementi e
anche alcuni vasi sanguigni, oltre allo strato epitelioide di osteoblasti, la matrice ossea e gli osteociti
intrappolati nelle lacune.
L'osso immaturo come già detto, non ha una disposizione precisa né di vasi né di fibre collagene,
quindi si tratta di osso non lamellare a fibre intrecciate, successivamente nel caso di formazione di
osso compatto, si dovrà formare la struttura degli osteoni, con un particolare processo che avviene
per tutta la vita, grazie alla rigenerazione del tessuto osseo. Gli osteoclasti scavano una cavità che
viene invasa da mesenchima e vasi sanguigni; le cellule staminali mesenchimali differenzieranno in
osteoblasti che depositeranno nuove lamelle, procedendo dall'esterno verso il centro dell'osteone che
andranno a delimitare il vaso sanguigno formando la struttura a lamelle concentriche.
L'ossificazione endocondrale (o indiretta) prevede un modello cartilagineo da cui si svilupperà poi il
tessuto osseo, ed è tipica dello sviluppo delle ossa degli arti, della colonna vertebrale e del bacino. In
questo caso ci concentreremo sull'ossificazione delle ossa lunghe.
Per l'ossificazione intramembranosa vi era un unico centro di ossificazione, mentre per quanto
riguarda l'ossificazione endocondrale vi sono due centri di ossificazione, ovvero uno primario e uno
secondario; quello primario si trova nella parte mediale della diafisi, quello secondario comparirà
invece nell'epifisi. In particolare nel centro di ossificazione primario inizia la vascolarizzazione
endocondrale nella parte centrale della diafisi e gli osteoblasti secernono matrice formando il
manicotto osseo subperiostale mentre i condrociti all'interno della diafisi si ipertrofizzano. Gli
osteoclasti aprono cavità nel manicotto permettendo la penetrazione di zaffi osteogenici dal periostio
(manicotto subperiostale) e riassorbono successivamente il complesso cartilagine/osso calcificato.
Infine il manicotto osseo si ispessisce e comincia ad estendersi verso le epifisi.
Quindi, in altre parole, nel centro di ossificazione primaria, le cellule mesenchimali iniziano a
produrre collagene di tipo II e si differenzano in condrociti, questi ultimi iniziano a proliferare nel
centro di ossificazione primario, ma ad un certo punto smettono di proliferare e si ipertrofizzano e
tale ipertrofia porta al riempiemento di glicogeno dei condrociti, ad una diminuzione della matrice tra
i condrociti a spese della matrice stessa che si calcifica, e alla produzione di VEGF e collagene di
tipo X da parte dei condrociti che porta alla formazione di vasi sanguigni. Una volta formati i vasi, vi
è l'arrivo degli osteoclasti che andranno a digerire la matrice calcificata parzialmente, e in parte gli
osteoblasti andranno a deporre matrice osteoide sulla matrice calcificata stessa. Poiché si dovrà
formare la cavità midollare giungeranno quindi osteoclasti e condroclasti a riassorbire il complesso
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cartilagine/osso calcificato. Nei centri di ossificazione secondaria vi sono più o meno gli stessi
passaggi, ma vi sono due fondamentali differenze, ovvero i condrociti in queste zone non hanno una
precisa direzione di proliferazione, ma vi è una crescita in tutte le direzioni, poiché l'epifisi è la sede
dell'osso che subisce forze in tutte le direzioni, quindi non vi è una crescita ordinata della cartilagine,
e secondo punto, mentre nella diafisi la cartilagine insieme al tessuto osseo viene distrutta dall'azione
di condroclasti e osteoblasti a seguito del rimodellamento, nell'epifisi poiché c'è osso spugnoso, non
vi è tale riassorbimento. Inoltre nel punto in cui l'epifisi prende contatto con la diafisi vi è una
particolare cartilagine chiamata cartilagine di coniugazione, che sarà responsabile anche
dell'allungamento dell'osso. Questa cartilagine di coniugazione verso l'epifisi avrà condrociti che
prolifereranno, dall'altra parte, verso la diafisi, ci saranno gli osteoblasti che produrranno la matrice
sulla cartilagine calcificata e poi vi sarà l'azione di rimodellamento di condroclasti e osteoclasti per la
formazione dell'osso.
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Nell'immagine precedente vediamo la cartilagine di accrescimento a livello dei centri di ossificazione
primari, in tutte le fasi, prima a riposo, in proliferazione, ipertrofica e infine calcificata; a livello dei
centri di ossificazione secondari non si avrebbe una disposizione così ordinata dei condrociti in
proliferazione.
Nell'immagine sopra vediamo l'apposizione di tessuto osseo sui resti calcificati dello scheletro
cartilagineo con le varie didascalie sugli elementi che compongono tale sezione. Come già ripetuto
più volte, nel caso in cui si tratti di osso spugnoso le spicole ossee rimaranno per accogliere il
midollo emopoietico, nel caso si tratti di diafisi, vi sarà un ampio rimodellamento e un riassorbimento
per creare la cavità midollare.
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Nelle due immagini con sfondo verde, Ossificazione 1 e Ossificazione 2, vediamo un riassunto
schematico dell'ossificazione endocondrale con i vari passaggi che caratterizzano tale processo.
Mentre i due centri di ossificazione tendono ad incontrarsi, dal pericondrio che avvolge lo stampo
cartilagineo, ci sono delle cellule progenitrici che si differenziano in osteoblasti, e questi ultimi vanno
a deporre matrice ossea che sarà circondata da una membrana fibrocellulare che andrà a formare il
periostio, e questa struttura viene definita manicotto periostale, che sarà responsabile della larghezza
dell'osso, e che andrà a formare tutta la parte dell'osso compatto della diafisi e parte dell'osso
compatto dell'epifisi per ossificazione intramembranosa. (Immagine 34 slides ossificazione,
particolare di osso periostale e di midollo interno).
Gli osteoblasti producono matrice osteoide, cioè una matrice non mineralizzata, quindi affinché si
formi osso compatto o spugnoso, la matrice deve mineralizzarsi. La matrice mineralizzata come
abbiamo detto, è costituita da cristalli di IDROSSIAPATITE. Nel momento in cui deve avvenire la
mineralizzazione, vi deve essere un'elevata concentrazione di ioni calcio extracellulare in modo che
questi ioni si accumulino all'interno della matrice da mineralizzare; questo calcio si lega
all'osteocalcina (la proteina più abbondante della matrice dopo il collagene, ed è un prodotto
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specifico degli osteoblasti) e attiva la FOSFATASI ALCALINA che a sua volta fa aumentare la
concentrazione di ioni fosfato extracellulare, i quali portano ad un ulteriore aumento degli ioni calcio.
Quando si raggiunge un certo valore, gli osteoblasti secernono per esocitosi le matrix vescicles, in
cui è contenuta la fosfatasi alcalina che va attivare il fosfato proveniente da sostanze della matrice
extracellulare e poiché questa vescicola contiene canali che permettono il passaggio sia del calcio che
del fosfato, questi entrano all'interno della vescicola stessa.
All'interno di questa vescicola ci sono le fosfatasi alcaline, che operano tagli e modificazioni di altri
componenti provenienti dall'esterno per far accumulare calcio e fosfato all'interno; quando questo
accade, si formano microcristalli di idrossiapatite, i quali sono a forma di “aghi” che, una volta
saturata la matrix vescicle, la rompono permettendo la fuoriuscita dei cristalli di idrossiapatite che si
portano appunto nella matrice extracellulare. Quindi ricapitolando dall'inizio: il processo di
mineralizzazione avviene perché la matrice osteoide non è mineralizzata, e nei punti in cui deve
avvenire la mineralizzazione nella matrice vi è un accumulo della concentrazione di ioni calcio, che
si legano all'osteocalcina, che porta ad un aumento della concentrazione di ioni fosfato, i quali a loro
volta portano ad un ulteriore aumento di ioni calcio, quindi è un meccanismo di feedback positivo tra
calcio e fosfato. Quando questa concentrazione di calcio e fosfato nella matrice supera un certo
limite, vi è una sorta di attivazione dell'osteoblasto che esocita le matrix vescicles, le quali hanno
canali sia per il calcio sia per il fosfato, e dunque essendo entrambi in elevati concentrazioni al di
fuori della cellula possono entrare all'interno della vescicola in cui vi sono fosfatasi alcalina e
pirofosfatasi che vanno ad attivare fosfato da sostanze che possono derivare dall'esterno. Una volta
che il fosfato e il calcio sono nella matrix vescicles in elevate concentrazioni, vi può essere la
formazione dei cristalli di idrossiapatite (a forma di aghi) che una volta saturata la struttura
vescicolare la rompono, facendo uscire il loro contenuto. Sembra che inizialmente questi cristalli
entrino in contatto con le fibrille che vanno a formare i fasci di fibre collagene e che il contatto sia
mediato dall'osteonectina. Inoltre successivamente i cristalli si posizioneranno tra una fibrilla e l'altra
andando a formare la matrice mineralizzata. Ad esempio un difetto di mineralizzazione lo si ritrova in
pazienti affetti da OSTEOMALACIA, che porta ad un rammollimento osseo, che provoca tendenza
alle fratture, talvolta microscopiche e numerose, causanti dolore osseo, oppure la carenza di vitamina
D3 e di calcio può portare ad una mancata mineralizzazione, quindi non vi è la calcificazione della
matrice osteoide, invece nella parte organica della matrice, alcune malattie ereditarie possono far
produrre collagene difettoso che porta a fragilità ossea (osteogenesi imperfecta). Inoltre tra gli agenti
innescanti la mineralizzazione, oltre la fosfatasi alcalina troviamo le BMP (proteina morfogenetica
dell'osso) che appartengono alla superfamiglia di proteine regolative TGFβ.
Gli osteoclasti sono cellule polinucleate, che derivano dalla fusione di precursori di moniciti, e
dunque derivano dalla linea monicita-macrofagica, il loro enzima principale come già detto è la
FOSFATASI ACIDA CARTRATO RESISTENTE. Sotto vediamo due immagini di osteoclasti di
midollo osseo umano, si notano bene i nuclei numerosi.
Quando l'osteoclasta non è attivato, è una cellula non polarizzata, quando invece svolge la sua attività
litica, diviene una cellula polarizzata, con un particolare orletto a spazzola chiamato “ruffled border”
e delle strutture di adesione ricche di actina, ovvero i podosomi, che servono per isolare la parte di
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osso da degradare, per la creazione di un microambiente in cui dovranno agire le idrolasi acide
lisosomiali, creando una sorta di lisosoma extracellulare.
L'adesione dell'osteoclasta è mediata anche da proteine come BSP (proteina sialica dell'osso) e OPN
(osteopontina) oltre che da integrine specifiche.
Per quanto riguarda l'aumento di dimensioni dell'osso nel suo diamentro, come detto vi sarà
l'apposizione di nuovo osso di origine periostale (osso periostale) e le creste di osso neoformato
ingloberanno vasi sanguigni longitudinali, fondendosi intorno ad esso e formando gli osteoni;
nell'aumento della lunghezza ossea invece, vi sarà una sostituzione di cartilagine con osso, a livello
della metafisi, e il tessuto cartilagineo sul lato epifisario continuerà ad accrescersi mentre quello
diafisario viene invaso da nuovo osso (cartilagine di coniugazione che è responsabile
dell'allungamento dell'osso).
Oltre che nei processi di ossificazione e quindi nel rimodellamento o nella rigenerazione del tessuto
osseo, la degradazione ossea può essere attivata in particolare condizioni, come l'abbassamento della
calcemia ematica; quindi quando vi è una carenza di calcio nel torrente sanguigno, poiché l'osso
costituisce la principale riserva di calcio, gli osteoclasti per ottenere ioni calcio ne degradano la
matrice mineralizzata, così da aumentare la calcemia e la fosfatemia nel sangue. Come già detto
precedentemente quando si abbassano questi valori nel torrente ematico, la paratiroide produce il
PTH o paratormone, che non trova il suo recettore sull'osteoclasta, ma lo trova sull'osteoblasta; in
particolare l'ormone paratiroideo provoca un aumento della produzione di RANKL (che si trova
sull'osteoblasta e sarebbe il ligando per il recettore RANK che si trova sul macrofago per stimolare
l'osteoclastogenesi) e di CSF1 (citochina fondamentale prodotta dagli osteoblasti per
l'osteoclastogenesi che si lega al suo recettore CSF1R presente sui precursori degli osteoclasti) che si
lega a e una diminuzione di OPG (osteoprotegerina) che è un “finto recettore” solubile per RANKL
che si trova sugli osteoblasti (e sulle cellule stromali che modulano l'osteoclastogenesi, pag 287
Monesi) bloccando l'interazione con RANK e quindi inibendo la formazione di osteoclasti. Il bilancio
quindi tra RANKL che favorisce l'osteoclastogenesi e OPG che la inibisce, regola il livello di
osteoclasti, e infatti il PTH che ha il recettore sull'osteoblata va proprio ad alterare questo equilibrio,
aumentando la produzione come detto, di RANKL e di CSF1 e diminuendo quella di
osteoprotegerina, aumentando di conseguenza il numero di osteoclasti e quindi anche il livello di
calcemia nel sangue.
Ricapitolando: RANKL sugli osteoblasti trova il recettore RANK sul precursore degli osteoclasti,
attivando il differenziamento degli osteoclasti, l'OPG invece inibisce questo legame, poiché funge da
recettore per RANKL, per “proteggere” l'osso (come si può dedurre dalla parola osteoprotegerina) e
quindi inibisce il differenziamento. Il bilancio tra RANKL e OPG attiva processi di formazione o di
degradazione, infatti quando il calcio, il PTH si lega all'osteoblasta che overesprime RANKL e
diminuisce OPG, favorendo il contatto RANKL e RANK che si trova sul precursore degli osteoclasti
favorendone il differenziamento. Ad esempio l'osteoporosi si manifesta quando le cellule preposte
alla demolizione dell'osso, ovvero gli osteoclasti, sono più attive di quelle che lo devono ricostruire,
quindi degli osteoblasti, in particolare le nuove cure contro l'osteoporosi si basano sul blocco delle
attività degli osteoclasti o sulla loro eliminazione tramite ad esempio i bifosfonati.
L'ormone antagonista del PTH è la CALCITONINA, prodotta dalle cellule parafollicolari della
tiroide, quando vi è eccesso di calcemia nel sangue, e quindi andrà a bloccare il riassorbimento o
degradazione ossea; inoltre un altro fattore che regola il rimodellamento osseo oltre ai due ormoni già
citati, sono la vitamina D, vitamina A e vitamina C.
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Il rimodellamento osseo è un processo che avviene durante l'intera vita dovuto all'invecchiamento
dell'osso, della sollecitazioni meccaniche, o per processi patologici. Altri elementi che interferiscono
con il rimodellamento osseo possono essere la gravidanza, l'allattamento, la menopausa o come già
detto varie patologie.
Altre funzunzioni fondamentali del calcio sono visibili nella tabella sopra, in verde.
Sangue
Il sangue è un tessuto connettivo specializzato, a carattere fluido che scorre in un sistema di canali
comunicanti (vasi arteriosi e venosi) ed è composto da una parte fluida (plasma) e da cellule definite
“globuli”. Il sangue risulta essere quindi un connettivo particolare perché non ha nella matrice altre
molecole tipiche di connettivi e soprattutto non viene prodotta da cellule che, a loro volta, nascono al
di fuori di questo tessuto (tramite l'emopoiesi, grazie al midollo emopoietico).
La funzione del sangue è evidentemente di tipo trofico, quindi è fondamentale per il nutrimento, e se
ne trovano circa 5-6 litri nel torrente ematico, ad una temperatura di 38° C con un PH compreso tra
7,2 e 7,4.
Le funzioni del sangue sono molteplici:
Respirazione, tramite gli eritrociti vi è il trasporto dell'O2 dai polmoni ai tessuti e della CO2
dai tessuti ai polmoni
• Nutrizione, quindi distribuzione dei nutrienti a tutte le cellule, sia direttamente tramite il
circolo ematico, sia attraverso gli spazi extracellulari
• Escrezione, tutto ciò che viene eliminato come scorie metaboliche, raggiunge i reni e qui si ha
un'ultrafiltrazione e quindi il passaggio della pre-urina e nuovamente la concentrazione della
pre-urina e quindi la formazione dell'urina definitiva, circa 1,5 l al giorno
• Regolazione del metabolismo, poiché attraverso il sangue circolano gli ormoni, le vitamine e
altre numerosissime sostanze
• Regolazione dell'equilibrio acido-base, perché ha i suoi sistema tampone
• Regolazione dell'equilibrio idrico, perché continuamente vi sono scambi tra il liquido e la
matrice extracellulari per esempio nei connettivi
• Regolazione della T corporea, rendendola omogenea in tutte le parti del corpo
• Difesa contro le infezioni, grazie al passaggio nel sangue dei globuli bianchi soprattutto
linfociti, ma anche granulociti eosinofili, neutrofili ecc
Ovviamente il sangue oltre a tali funzioni fisiologiche, possiede anche il lato negativo di essere
veicolo di un ingente numero di patologie e di agenti patogeni in generale.
•
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Nell'immagine sopra vediamo l'ematosi, quindi lo scambio tra ossigeno ed anidride carbonico;
l'ossigeno è legato all'emoglobina con un legame estremamente labile, che favorisce lo scambio
rapido, ma d'altra parte questa proprietà può causare problemi proprio per il legame stabile che può
creare con alcune sostanze dannose come il monossido di carbonio.
Il sangue non è una soluzione omogenea ma una sospensione di una fase solida corpuscolata
(globuli rossi, globuli bianchi, pistrine) in una fase liquida costituita da proteine, ormoni, lipidi,
zuccheri, elettroliti enzimi in mezzo acquoso.
La composizione del sangue si divide in tre porzioni fondamentali ovvero il plasma che è quella più
leggera (di colore giallo) intorno al 55%, poi abbiamo uno strato sottilissimo (buffy coat) che è
formato da globuli bianchi e piastrine ed è intorno all'1%, poi vi è la parte più pesante di colore rosso,
intorno al 45%.
Il plasma è composto chimicamente al 90 % da acqua, e al 10% di sostanze inorganiche e organiche
(es glucidi, lipidi, proteine, colesterolo HDL e LDL, glucosio).
Tra i globuli bianchi annoveriamo i granulociti (neutrofili, eosinofili e basofili) i linfociti e i
monociti.
I granulociti sono dei globuli bianchi che contengono nel loro citoplasma proprio dei “granuli”; se i
granuli sono neutri, ovvero sono azzurrofili né ematossilinofili né eosinofili, non si colorano quindi
né in blu né in arancio ma si colorano in azzurro poiché non hanno affinità per le colorazioni, si
chiameranno neutrofili e sono i più frequenti; avremo poi gli eosinofili ovvero che hanno affinità
con l'eosina, quindi i loro granuli si coloreranno in rosa-arancio; i basofili, sono granulociti i cui
granuli hanno affinità per i coloranti basici, quindi saranno ematossinilofini dunque colorati di blu
intenso, tanto da colorare tutto il citoplasma.
I linfociti sono i globuli bianchi per eccellenza, e si dividono in linfociti B e linfociti T, di origine
midollare.
Poi ci sono i moniciti, che sono delle cellule che sono precursori dei macrofagi, infatti sono formati
sempre a livello del midollo, poi vanno nel sangue come monociti in cui hanno una funzione fagica, o
di cellula che presenta l'antigene, e successivamente passano per diapedesi nei connettivi dove si
trasformano in macrofagi veri e propri.
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I macrofagi quindi come già detto hanno la principale funzione di presentare l'antigene e la proprietà
di fagocitare. Nella tabella con sfondo blu vediamo alcune delle proteine principali del plasma, in cui
troviamo ad esempio l'albumina che è prodotta dal fegato ed è un'importante proteina carrier, ovvero
trasporta metaboliti insolubili, infatti il paziente affetto da cirrosi conclamata, o cancrocirrosi, o
insufficienza epatica da steatosi epatica per esempio, presenta immediatamente un problema di
trasporto delle sostanze, poiché il fegato produce una quantità minore di albumina e di conseguenza
vi sarà un'alterazione della pressione colloido-osmotica. Le globuline sono anch'esse prodotte dal
fegato, trasportano ioni metallici, legano soprattutto sostanze lipidiche e vitamine liposolubili; le
globuline di tipo γ sono prodotte dalle plasmacellule ovvero anticorpi delle difesa immunitaria
(linfociti B attivati). Le proteine della coaugulazione come protrombina e fibrinogeno sono anche
queste prodotte dal fegato, e quindi in caso di patologia epatica vi sarà una difficoltà di
coaugulazione; tra le proteine principali del plasma poi troviamo anche lipoproteine plasmatiche
come chilomicromi (trigliceridi al fegato) lipoproteine a densità molto bassa (VLDL, trigliceridi dal
fegato alle cellule) o lipoproteine a bassa densità (LDL, colesterolo dal fegato alle cellule).
L'emocromo o esame citometrico, è quello che ci indica la quantità dei vari globuli presenti nel
sangue, l'ematocrito ovvero la percentuale in volume della parte corpuscolata del sangue separata dal
plasma e la quantità di emoglobina, il volume globulare medio (cioè la grandezza media dei globuli
rossi) e infine il contenuto medio di emoglobina del globulo e la sua concentrazione media.
Qui cominciamo a vedere un esempio di striscio di sangue, in cui tutto intorno notiamo globuli rossi
(anche se non sono colorati in rosso, ovviamente dipende dalla colorazione) che sono senza nucleo,
infatti la caratteristica principale degli eritrociti è l'assenza del nucleo.
Intorno si vedono dei piccolissi elementi che corrispondono alle piastrine e al centro è ben evidente
un granulocita neutrofilo; i granulociti prendono anche il nome di cellule polimorfonucleate,
ovvero che il loro nucleo è polimorfo, quindi è costituito da più lobature (in particolare quattro
nell'immagine sopra), unite tra loro grazie a ponti nucleari. Il granulocita neutrofilo come già detto e
come si nota anche dall'immagine è composta da granuli azzurrofili, quindi neutri, ovvero non affini
alle colorazioni, ed in particolare l'età del granulocita neutrofilo la distinguiamo in base al numero
delle lobature, quindi con due lobature è molto giovane, al contrario con cinque lobature è anziano.
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Il globulo rosso ha la tipica forma di “disco biconcavo” data come già detto dalla mancanza del
nucleo, infatti è l'unica cellula anucleta umana, e la sua forma aumenta l'efficienza dello scambio di
gas fra citoplasma e plasma ematico; la composizione interna dell'eritrocita è composto da un
citoplasma omogeneo e privo di organuli.
Nel globulo rosso quindi troviamo circa il 66 % di acqua e il 33 % di proteine, di cui il 95 %
emoglobina e il 5% di altre proteine; l'emoglobina è responsabile della maggior parte del trasporto di
ossigeno e anidride carbonica ed è una proteina-pigmento dal caratteristico colore rosso vivo del
sangue arterioso, inoltre strutturalmente è una grossa proteina tetramerica, composta da 4 catene
legate covalentemente ad un gruppo Eme. Come già detto è trasportatore dei gas respiratori e
troviamo un ossiemoglobina, legata all'ossigeno, carbossiemoglobina legata alla CO2. Vi sono poi
nell'emoglobina 4 tipi di globine come vediamo nella tabella sotto:
In sostanza quindi ogni molecola di emoglobina è costituita da quattro blocchi di proteine, chiamate
globuline (o globine), le principali sono le catene alfa e le catene beta, infatti la più comune HBA1 è
formata da due catene alfa e due catene beta, inoltre tutte le catene globuliniche contengono un
gruppo non proteinco (o eme) che ha la forma di un anello con uno ione ferro al centro, e l'ossigeno
quindi si lega a questi ioni di ferro per il trasporto nel sangue. Ogni molecola di emoglobina ha
quattro ioni Fe ed è capace di legare quattro molecole di ossigeno, e come abbiamo già detto, il
legame è molto labile per garantire un rapido legame ed un rapido distacco dell'ossigeno
all'emoglobina.
Durante il differenziamento i globuli rossi oltre al nucleo perdono anche i mitocondri, i ribosomi, il
reticolo endoplasmatico, poiché non devono replicarsi essendo continuamente prodotti a livello del
midollo, dunque non disponendo di dispositivi di sintesi, vanno rapidamente in senescenza in circa 4
mesi. A livello della milza (organo linfoide secondario) vi è un filtraggio meccanico che rimuove i
globuli rossi senescenti (grazie anche all'azione dei macrofagi) e questo processo viene definito
emocateresi.
La membrana plasmatica degli eritrociti è formata al 95 % da fosfolipidi e colesterolo, da proteine tra
cui le più importanti le glicoforine A, B e C ( glicoproteine intregrali, strutturali con la parte glucidica
legata ad acido sialico che impedisce l'agglutinazione dei globuli rossi grazie alle cariche negative, e
contengono nell'uomo gli antigeni specifici per il sistema MN; inoltre il dominio intracitoplasmatico
è legato alle proteine fibrose che costituiscono il cortex cellulare dei globuli rossi, in particolare la
spettrina) e proteine della banda 3 (trasportatori di anione).
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La disposizione delle proteina sulla membrana del globulo rosso è quella che fa in modo che questo
globulo rosso possa modificare la sua membrana plasmatica, nel senso della lunghezza e della
verticalità. Il citoscheletro degli eritrociti invece è formato dalla spettrina o spectrina, ancorata alla
membrana plasmatica grazie all'ankirina e a proteine della banda 4.1 con l'intermediazione di actina;
le glicoforine e le proteine della banda 3 legano la membrana plasmatica alla banda 4.1, dunque il
globulo rosso si differenzia dalle altre cellule poiché il citoscheletro forma un g uscio che sostiene la
membrana plasmatica ed è unito ad essa in molti punti ed è proprio questa caratteristica che permette
all'eritrocita di essere flessibile e di potersi spostare facilmente nei capillari. Quindi si può concludere
che la composizione nell'insieme di membrana, citoscheletro e cortex cellulare è fondamentale per la
forma dei globuli rossi e infatti otto vediamo una schematizzazione del citoscheletro e delle proteine
integrali della membrana dell'eritrocita:
Alcune delle alterazioni dei globuli rossi possono essere l'anemia, ovvero una diminuzione di Hb
(emoglobina) o dei globuli rossi, ipocromia, quindi variazione del colore dei globuli rossi,
microcitosi/macrocitosi, dunque una variazione delle dimensione, anisocitosi che indica una grande
varibilità nell'insieme degli eritrociti oppure poichilocitosi ovvero un insieme di forme bizzarre
(anemia falciforme per esempio).
L'anemia in generale è una condizione patologica in cui la concentrazione di emoglobina è a di sotto
del normale: il minor numero di eritrociti può essere associato ad una anemia aplastica, in cui vi è
depressione (aplasia) del midollo osseo a causa di tumore, oppure un'anemia emorragica o anemia
emolitica nel caso di infezione batterica. Vi possono essere poi anemie associate alla dieta come
l'anemia perniciosa quindi vi è un'incapacità ad assorbire la vitamina B12 oppure anemia da
deficienza di ferro in caso di sanguinamento prolungato (come nel caso di un sanguinamento interno
dovuto per esempio ad un'ulcera duodenale) oppure nel caso di cellule pallide (ipocromiche) e
piccole (microcitiche). Vi possono essere patologie associate poi al citoscheletro dei globuli rossi, in
particolare la verticalizzazione della membrana come ad esempio la sferocitosi, quindi globuli rossi
sferici, con una conseguente perdita di contatto tra la membrana e il citoscheletro a causa della
mancanza del legame tra l'anchirina e la spectrina (o spettrina, vedere immagine sopra) e dunque vi
sarà perdita di coesione del citoscheletro con strato lipidico soprastante e conseguente perdita di
lipidi, riduzione di superficie e assunzione di forma sferica con emolisi cronica oppure patologie che
riguardano l'estensione orizzontale quindi la formazione di eritrociti a forma di ellissoide o
ellissocitosi. Possiamo dunque definire deficit di proteine del citoscheletro sottostante la membrana,
ovvero anchirina, spectrina, proteina 4.1 e proteina 4.2 che determinavano l'allungamento della
membrana, oppure vi possono essere deficit della membrana stessa, quindi che riguarda proteine
della banda 3; le conseguenze di tali deficit possono essere sferocitosi, ellissocitosi già citate, ma
anche ovalocitosi e stomatocitosi (si forma all'interno dei globuli rossi una struttura simile ad uno
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“stomaco”). Un'anemia che risulta essere abbastanza comune è l'anemia falciforme o drepanocitosi,
cioè con globuli rossi a forma di falce che può portare ad un quadro clinico dominato da problemi
vaso-occlusivi, quindi crisi di intenso dolore osseo, toracico o addominali; infarti ossei con necrosi;
ulcere trofiche agli arti inferiori o sichemie ed emorragie cerebrali. Sotto vediamo uno striscio di
sangue di cellule a forma di falce.
I gruppi sanguigni sono numerosissimi, però di solito si fa riferimento soltanto al sistema ABO (che
è un esempio di allelia multipla in genetica, infatti vi sono tre alleli al locus AB0 del cromosoma 9
ma solo due codificano per antigeni di membrana ovvero A e B) e a quello Rhesus. Infatti, il soggetto
che avrà l'antigene A, avrà gruppo sanguigno A, con l'antigene B, gruppo B, e colui che possiede
entrambi gli antigeni, ovvero A e B, avrà gruppo AB (è un caso di codominanza) e sarà un ricevente
universale; colui invece che non ha né l'antigene A e né l'antigene B sarà di gruppo 0 e inoltre, un
donatore universale.
Sulla membrana dei globuli rossi è associato un glicano costituito da tre residui glucidici che sono Nacetilglucosamina, galattosio e glucosio (tutto questo è chiamato antigene 0); a questo glicano viene
aggiunto tramite una fucosiltransferasi un residuo di fucosio portando alla formazione dell'antigene H
che è la base per le modificazioni che porteranno alla formazione dei diversi antigeni. Quindi
partendo dalla sostanza H, se il soggetto sarà di gruppo A esprimerà una Nacetilgalatosamintrasferasi che aggiungerà un residuo di N-acetilgalattosamina alla sostanza H per la
formazione dell'antigene A, nel caso invece si abbia gruppo di tipo B, si avrà una galattosiltransferasi
tale da aggiungere una molecola di galattosio all'antigene H per la formazione dell'antigene B,
mentrre nel caso del gruppo 0 il soggetto codificherà per una transferasi inattiva che quindi non
aggiungerà niente alla sostanza H, e di conseguenza non porterà alla formazione di nessun antigene.
Molto più rara è la condizione del fenotipo di Bombay, in cui non viene codificata neanche l
fucosiltransferasi (condizione di omozigosi recessiva hh sul cromosoma 19 che codifica per la
fucosiltransferasi) per la formazione della sostanza H, lasciando solo il glicano di membrana, e
facendo apparire quindi, il soggetto come gruppo 0.
Adesso concentriamoci sui globuli bianchi o leucociti, che sono cellule preposte alla difesa
dell'organismo e sono distinti in:
• Granulari (granulociti) ovvero che presentano specifici granuli, i nuclei dei granulociti
maturi o quasi maturi sono composti da segmenti diversi, inoltre i granulociti si dividono a
loro volta in: neutrofili, eosinofili e basofili
• Agranulari (agranulociti) e si distinguono in moniciti e linfociti ovvero non hanno specifici
granuli e possiedono un nucleo sferico, ovale o a forma di ferro di cavallo
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Sopra vediamo uno schema che indica le percentuali dei diversi globuli bianchi nel corpo umano, e
possiamo dire secondo la formula leucocitaria che i globuli bianchi tra 5000 e 10000 mm cubi
indicano condizioni normali, mentre entro certi limiti, variazione di numero sono fisiologiche nel
bambino (leucocitosi fisiologica) ovvero tra 12000 e 13000, tuttavia tra 20000 e 40000 mm cubi
indica la presenza di una infezione.
La vita media dei globuli bianchi è molto variabile, può andare ma mesi ad anni a seconda dei tipi, ad
esempio neutrofili ed eosinofili vivono meno di una settimana, i basofili circa 1-2 anni, i linfociti
possono addirittura andare da mesi ad anni, mentre i monociti vivono pochi giorni, però questi ultimi
passando nel connettivo maturano e diventano macrofagi e possono vivere in questo caso anche
diversi mesi. Infatti la maggior parte dei leucoti si trova al di fuori del circolo ematico,
principalmente nel connettivo lasso e nel tessuto linfatico grazie al processo di diapedesi.
Infatti in caso di necessità, i globuli bianchi, attrati da specifici stimoli chimici (chemiotassi) sono in
grado di fuoriuscire dal circolo ematico (diapedesi) per migrare nel connettivo grazie le
fenestrazione delle cellule endoteliali, e grazie al movimento ameboide raggiungono il sito da
diffondere. Quindi possiamo definire come proprietà generali dei leucocoti avere la capacità di
movimento ameboide, l'essere attirati da specifici stimoli chimici (come già detto, chemiotassi) per
dirigersi verso aree di invasione e lesione, e l'uscire dal circolo per mezzo della diapedesi per portarsi
nei tessuti periferici.
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Sopra vediamo un'immagine di granulocito neutrofilo, che è costituito da numerosi lobi, quindi è
molto anziano, e intorno si notano numerosi globuli rossi. Sotto invece vediamo un granulocita
neutrofilo con quattro lobi, e sempre intorno molti globuli rossi.
Con la microscopia elettronica, si dimostra che le granulazione sono in realtà vescicole piene di
enzimi litici e altre sostanze battericide (lisosomi) inoltre i granulociti sono solo apparantemente
polinucleati poiché i lobi sono tutti collegati da ponti, infatti si parla di cellula polimorfonucleata.
In generale i granulociti neutrofili hanno una forma abbastanza sferica, il nucleo polilobato e con la
presenza o meno del corpo di Barr (che è la seconda X inattivata e quindi si può dedurre se il
soggetto sia di sesso maschile o femminile); il citoscheletro è sviluppato e i granuli sono azzurrofili
(e corrispondono a lisosomi primari) poi vi sono granuli secondari o specifici che sono più piccoli e
numerosi e contengono sostanze ad azione antibatterica come il lisozima. Sono dotati di movimento
ameboide, e come già detto quando sono attrati, per chemiotassi positiva migrano per diapedesi nel
connettivo, dove liberano batteriostatici e battericidi contenuti nei granuli ed inoltre fagocitano
frammenti di tessuto disgregato digerendoli con gli enzimi lisosomiali. Liberano leucotrieni e
possiedono recettori di membrana per il frammento Fc delle IgG e per il complemento, quindi
partecipano alla difesa immunitaria poiché in questo modo fagocitano batteri ricoperti da anticorpi e
infine quando muoiono formano il pus.
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I granulociti neutrofili sono cellule molto mobili e sono i primi ad arrivare sul luogo di un'infezione;
come tutti i globuli bianchi rispondono a fattori chemiotattici rilasciati da tessuti danneggiati, e
lasciano il circolo per penetrare nei tessuti sottostanti grazie alla diapedesi, che comporta l'adesione
alle selectine endoteliali delle venule che vengono indotte (IL-1 e TNF) a produrre ICAM-1 a cui si
legano le integrine dei neutrofili, e infatti grazie a questi mediatori i granulociti smettono di migrare e
si preparano ad entrare nel connettivo. Come già detto prima i granulociti neutrofili producono e
rilasciano leucotrieni innescando il processo infiammatorio, e inoltre formano H2O2 potente sostanza
citotossica. Sotto vediamo il processo di diapedesi tipico, con le integrine e le selectine, dapprima
con il rotolamento e poi la migrazione nei connettivi sottostanti.
La neutrofilia (aumento del numero di granulociti neutrofili) può essere di tipo fisiologica (stress,
lavoro o esercizio fisico) o dovuta ad un'infezione o necrosi di tessuti come la necrosi da tumore,
trauma o dermatite; la neutrofilia può essere causata anche da assunzione di droghe, sostanze
chimiche come steroidi, eparina ecc o può essere di tipo metabolica come nel caso
dell'ipertiroidismo. Al contrario la neutropenia ovvero una mancanza di granulociti neutrofili, può
essere dovuta all'aplasia o parziale scomparsa del midollo osseo che non produce le cellule, oppure
alla mancata maturazione delle cellule (morte intramidollare) a causa di depressione del midollo
osseo (anemia aplastica, deficienza di vitamina b12) o reazioni a medicinali oppure per un difetto
ereditario (sinrome di Kostman o anemia di Fanconi).
Concentriamoci adesso sui granulociti eosinofili: in questo caso i granuli sono colorati in rosaarancio quindi saranno acidofili.
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Nel caso dei granulociti eosinofili il nucleo non avrà da due a cinque lobi come nel caso dei
granulociti neutrofili, ma sempre e solo due lobi; dunque nel granulocita eosinofilo i lobi sono
soltanto due. Questo tipo di globuli bianchi partecipano a reazione antiparassitarie, e le caratteristica
dei granuli è di avere un cristalloide centrale, molto elettrodenso.
Quindi i granulociti acidofili o eosinofili, come già detto, e come si può dedurre anche dal nome,
hanno granuli che si colorano con il colorante acido eosina, possiedono un nucleo bilobato, e
rimangono in circolo 6-10 ore, poi migrano nel connettivo, dove sopravvivono circa 8-12 giorni ed
inoltre, questo tipo di granulociti non si occupa di fagocitare batteri (al contrario dei granulociti
eosinofili, in cui il fagocitare batteria è una funzione molto rilevante) ma svolgono invece una
funzione anti-parassitaria. I granulociti eosinofili sono associati con le reazioni allergiche e in
particolare le coadiuvano, eliminando i complessi antigene-anticorpo formati nel corso di reazioni
allergiche le quali sono invece a carico dei granulociti basofili, mentre nel connettivo a carico dei
mastociti; inoltre gli eosinofili sono implicati anche nelle infiammazioni croniche.
Quindi possiamo definire gli eosinofili come cellule fagocitiche con affinità per i parassiti; il tratto
ultrastrutturale più caratteristico dei granulociti eosinofili è un grande granello ovoidale specifico che
contiene un cristalloide allungato. I granuli specifici contengono 4 proteine maggiori tra cui MBP
(major basic protein) ECP (eosinophil cationic protein) oppure EPO (eosinophil peroxidase) ma
anche enximi irolitici (istaminasi) e catepsina; vi possono essere però all'interno dei granulociti
eosinofili anche dei granuli non acidofili, e quindi granuli azzurrofili, che contengono lisozima.
L'eosinofilia vi può essere per neoplasia, reazioni allerghiche o parassitosi, mentre l'eosinopenia si
può riscontrare in caso di stress acuto, infezioni oppure sindrome di Cushing (tale sindrome è la
condizione clinica caratterizzata dall'eccesso di ormoni glucocorticoidi nel circolo ematico, infatti i
corticosteroidi di minuiscono gli eosinofili nel sangue).
Vediamo adesso i granulociti basofili, di cui possiamo vederne un'immagine sotto:
Nel granulocita basofilo, al microscopio ottico non si può osservare il nucleo, anche sapendo che
quest'ultimo è plurilobato, poiché i granuli hanno la stessa affinità tintoriale del nucleo, che è già
basofilo di per sé (principalmente per la presenza degli acidi nucleici) e dunque i granuli stessi lo
ricoprono completamente.
I granulociti eosfinofili producono eparina ed istamina, infatti sono simili ai mastociti nel connettivo,
e per questo motivo, come già detto prima, sono occupati entrambi nelle reazioni allergiche.
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Dunque i basofili sono simili ai mastociti (secondo alcuni sarebbero i precursori) e possiedono
granuli basofili e metacromatici che spesso corpono il nucleo; questi granuli contengono eparina ed
istamina, inoltre tali globuli bianchi possiedono recettori di superficie per il grammento Fc delle IgE
e sono dotati di movimento ameboide ma di scarsa attività fagocitaria.
In sostanza quindi, i basofili sono occupati in reazioni di ipersensitività immediata (allergie) e sono
iniziatori della risposta infiammatoria; infatti possiedono recettori di membrana per le IgE (così come
i mastociti) che sono attivati dal legame con le IgE prodotte dalle plasmacellule ma è un secondo
incontro, con l'antigene che induce la risposta vera e propria, infatti il legame dell'antigene alle IgE
induce il rilascio dai granuli specifici di fosfolipasi, di istamina (che provoca vasodilatazione,
contrazione muscolare liscia del respiratorio e alterata permabilità dei vasi sanguigni) e di leucotrieni
(effetto simile ad istamina ma più lento e duraturo).
Quindi basofilia si riscontra in reazioni di ipersensibilità (come allergie, asma, eczema ecc) o nel caso
di ipotiroidismo oppure varicella, invece basopenia in caso di stress, infezioni, e sindrome di
Cushing.
Vediamo adesso i monociti, sotto possiamo vederne un'immagine:
Il monocita si riconosce sia perché è più grande, e sia perché il nucleo ha questa classica
“indentatura” o meglio struttura reniforme (o a ferro di cavallo).
In generale circolano per 1-4 giorni prima di migrare nel connettivo dove diventano macrofagi liberi,
sono quindi cellule fagocitiche “voraci” in grado di fondersi fra loro in una cellula fagocitaria gigante
per aggredire particelle di grandi dimensioni (come nel caso degli osteoclasti) e partecipano alla
risposta immunitaria “umorale” con la presentazione dell'antigene.
Dunque i monociti dopo aver lasciato il circolo si trasformano in MACROFAGI, e sono fagociti
molto efficienti, infatti eliminano cellule morte o daneggiate, antigeni e batteri; secernono citochine
che attivano la risposta infiammatoria, la proliferazione e la maturazione di altre cellule; e una delle
loro funzioni cardine è quella di celluela che presentano l'antigene (o APC) .
Le principali regioni in cui funziona il sistema monocitico-macrofagico è a livello della pelle con le
cellule del Langerhans, o nell'osso con gli osteoclasti, nel fegato con le cellule di Kuppfer e nel
cervello le cellule della microglia. Monocitosi si può avere in caso di infezioni come tubercolosi,
sifilide, salmonella, brucellosi, oppure in caso di tumore di Hodgkins (ch colpisce i linfonodi).
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Concentriamoci adesso su altri globuli bianchi fondamentali, che sono i linfociti
Nel linfocita, il nucleo è molto grande e rotondeggiante, e il rapporto nucleo-citoplasma è tutto a
favore del nucleo. Ovviamente dalla microscopia ottica non si può stabilire che tipo di linfocito sia
ovvero linfocita B o linfocita T.
I linfociti sono cellule del sistema di immunità specifica e hanno una vita lunga, inoltre non sono
terminalmente differenziato e sono in grado di trasformarsi in linfoblasti e di assumere nuove
funzioni in seguito all'interazione con l'antigene.
Quindi i linfociti non svolgono attività in circolo ma nel connettivo; acquisita la competenza migrano
nei linfonodi e nell amilza dove formano cellule identiche a se stesse; dopo la stimolazione mediante
antigene (ovvero nel momento in cui vengono a contatto per la prima volta con l'antigene) si
distinguono in due popolazioni, innanzitutto formano una cellula simile a se stessa, dapprima una
cellula “vergine” perché mai a contatto con l'antigene, per trasformarsi in una cellula con memoria
(che è la prima popolazione), che ricorderà di che tipo di antigene si tratti per agire, in caso di
secondo attacco, molto più velocemente contro di esso m anon partecipa alla risposta immunitaria,
oppure possono distinguersi in una seconda popolazione la quale comprende le cellule effettrici,
quindi linfociti immunocompetenti che possono essere classificati o come linfoblasto B (e quindi una
plasmacellula) con un grande citoplasma ripieno di immunoglobuline che vengono riversate nel
torrente circolatorio e agiscono come anticorpi, oppure linfoblasto T che si divide in subcloni T killer,
T suppressor, e T helper ed in questo modo si ha la risposta cellulo-mediata.
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Vediamo un altro elemento molto importante del sangue, ovvero le piastrine. Le piastrine sono
piccoli elementi corpuscolati del sangue periferico, privi di sostanza nucleare, infatti sono una parte
del citoplasma del megacariocito, infatti nel midollo c'è una cellula chiamata megacarioblasto che
matura poi in megacariocito la quale ha un citoplasma molto grande, all'interno del quale si vengono
a formare dei piccoli canalicoli intracitoplasmatici che delimitano delle aree, le quali si staccano
completamente. Quindi in sostanza le piastrine sono prodotte nel midollo osseo per frammentazione
di grandi elementi cellulari detti megacariociti.
Le piastrine hanno un citplasma blu luce, e granuli blu scuro-viola, contengono un citoscheletro
sviluppato e ricco di proteine contrattili (actina e miosina) che sono coinvolti nella funzione di
retrazione del coagulo ed estrusione dei granuli, inoltre la membrana plasmatica esprime molecole di
adesione coinvolte nelle interazione piastriniche, adesione alla matrice extracellulare o al legame di
fattori della coaugulazione.
I granuli alfa contengono fibrinogeno che è la più importante proteina per la formazione del primo
reticolo del coagulo, mentre i granuli delta contiene fattori di aggregazione e vasocrostrizione, mentre
i granuli lambda (si possono definire veri e propri lisosomi) contengono enzimi idrolitici importanti
per la dissoluzione del coagulo. Dunque in generale le piastrine sono strutture cellulari molto
importanti nel fenomeno della coagulazione e nella riparazione di lesioni; la coagulazione è un
processo che impedisce l'emorragia in caso di rottura dei vasi, normalmente però l'aggregazione delle
piastrine è impedita dalle cellule endoteliali, tramite la produzione di ossido nitrico (NO) e
prostaciclina, quando l'endotelio però risulta danneggiato, quest'ultimo rilascia il fattore di Von
Willebrand e la Tromboplastina Tissutale, così da far cessare la produzione di inibitori. Già di per sé
però, l'endotelio produce un potente vasocostrittore che è l'endotelina, la quale permette di poter
iniziare il processo di coagulazione. A questo punto vi è l'attivazione piastrinica, infatti le piastrine
aderiscono al collagene subendoteliale rilasciano il contenuto dei loro granuli aderendo le une alle
altre, poi grazie al rilascio di trombospondina (glicoproteina contenuta all'interno dei granuli alfa
delle piastrine) le piastrine già adese, causano l'adesione e la successiva degranulazione di quelle in
circolo.
Le piastrine aggregate funzionano da tappo ed esprimono sul plasmalemma il Fattore Piastrinico 3
superficie fosfolipidica adatta per l'assemblaggio dei fattori di coaugulazione e dunque per la
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formazione del vero e proprio trombo insieme al rilascio dell'enzima trombina necessario per
l'attivazione del fibrinogeno nel processo di coagulazione.
Sotto vi è una tabella riassuntiva sull'attivazione dei fattori di coagulazione:
Dopo circa un'ora dalla formazione del coagulo, monomeri di actina e miosina formano dei filamenti
sottili e spessi che provocano la contrazione del coagulo e dunque la riduzione della lesione e della
perdita emorragica. Una volta che il vaso è riparato, le cellule endoteliali rilasciano attivatori del
plasminogeno che convertono il plasminogeno circolante in plasmina che insieme ai granuli lambda
(lisosomi) delle piastrine, lisano il coagulo.
Sotto vediamo invece un'immagine riassunta per il riconoscimento dei principali elementi del sangue
Ricapitolazione con molte immagini sulle slides del sangue da 150-171 (vari tipi di leucociti da
riconoscere)
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Emopoiesi
Il midollo osseo è un tessuto connettivo reticolare a funzione emopoietica, e in particolare a livello di
questo stroma reticolare il midollo presenta cellule in vari stadi di maturazione e sono quelle delle
linee ematopoietiche; ricchissima è la vascolarizzazione poiché una volta formate le cellule del
sangue queste devono essere riversate nel circolo ematico, una volta che è stato effettuato il
“controllo di qualità” da parte dei macrofagi, che eliminano tutte le cellule che sono stato prodotte
con qualche difetto. Il midollo ha un aspetto abbastanza gelatinoso, e si trova nella cavità midollare
delle ossa lunghe ma anche tra le trabecole delle ossa corte o dell'epifisi delle ossa lunghe; dunque si
definisce il midollo un organo linfoide primario anche se la sua funzione principale è quella
ematopoietica (infatti è riccamente provvisto di cellule deputate all'emopoiesi).
Quindi il midollo è diviso nello STROMA che è il connettivo reticolare di sostegno, e poi vi è la zona
del PARENCHIMA che è quella dove c'è il processo di emopoiesi.
Nel midollo osseo a livello della zona parenchimatosa vi sono una serie di cavità
compartimentalizzate da trabecole ossee, contenenti cellule adipose (il numero può variare a seconda
dell'età), cellule parenchimali proprie (staminali, progenitori, ovvero già committed per formare
un'unica linea cellulare, e linee di eritroblasti, granuloblasti, megacariociti ecc) nonché cellule
stromali (vi si annoverano anche cellule staminali mesenchimali che si dispongono intorno al seno
centrale del midollo). La composizione del midollo varierà molto in funzione dell'età e dunque del
suo stato di attività, infatti ci sarà un midollo rosso molto sviluppato quindi in piena attività nei
soggetti giovani, per poi andare verso la prevalenza di midollo giallo e poi grigio con l'avanzare
dell'età.
Vi sarà poi un sistema vascolare abbastanza complesso costituito da vasi arteriosi midollari e
corticali, una rete sinusale, e quindi capillare, molto sviluppata ed infine al centro vi è un grosso seno
centrale; le cellule ematiche mature potranno passare facilmente perché vi sono dei pori tra le
cellule endoteliali della parete sinusale (passaggio per processo “attivo”).
Quindi ricapitolando da una parte vi sarà il cotnnettivo reticolare che costituirà lo STROMA dall'altra
parte vi sarà il PARENCHIMA, dunque la vera zona di formazione, che a sua volta può essere divisa
in una componente cellulare ed una vascolare come già detto; la componente cellulare è composta da
una serie di tipi cellulari, che sono interposti tra le strutture trabecolari, e che sono principalmente
cellule adipose (aumentano con l'età) cellule parenchimali proprie, e cellule stromali; la componente
vascolare è come detto abbastanza complessa ed è costituita da vasi arteriosi midollari e corticali, rete
sinusale che confluiscono in una vena longitudinale centrale e poi in vasi in uscita. Tra le maglie di
questo comparto vascolare si trovano vere e prorie isole di cellule emopoietiche, cioè degli aggregati
di cellule che sono in attiva formazione e proliferazione, che corrisponde ad una fase di
differenziamento, e dunque tendono ad aggregarsi in isolotti, e molto spesso in queste zone troviamo
macrofagi che sono dei controllori del processo di formazione e di differenziamento.
Quindi come già accennato prima, nel neonato vi sarà una prevalenza di midollo rosso per la
presenza di numerosissimi eritrociti, dopo i 20 anni (in genere intorno al 20esimo anno d'età vi è
anche la saldatura delle metafisi e quindi cessa la crescita delle ossa), nelle diafisi delle ossa lunghe
vi sarà un accumulo di grasso che sostituisce i tessuti ematopoietici e quindi aumenterà il midollo
giallo.
I sinusoidi, sono vasi tappezzati da cellule endoteliali, circondati da sottili fibre reticolari che
formano il sostegno insieme alle cellule stromali, e vanno a formare una rete intorno alle cellule
ematopoietiche; l'accumulo di grasso nel loro citoplasma le trasforma in cellule adipose e dunque
trasforma il midollo da rosso a giallo.
Le isole ematopoietiche sono cellule ematiche a diversi stadi di maturazione, e come già detto vi
troviamo in queste zone macrofagi deputati al controllo di qualità, all'eliminazione dei nuclei degli
eritrociti (che una volta maturi sono anucleati) e infine alla distruzione di cellule difettose.
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Sopra vediamo due immagini di midollo osseo a livello dell'epifisi, quindi in presenza di osso
spugnoso, e ciò si nota anche per la presenza in entrambe le immagini di trabecole ossee; sicuramente
dall'analisi della quantità di adopociti del midollo a sinistra si può dedurre che il soggetto sarà quasi
sicuramente più anziano rispetto a quello dell'immagine a destra.
Sotto invece si vede un isolotto di metamielociti e di granulociti eosinofili
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L'ematopoiesi si divide quindi in due fasi fondamentali che sono la fase proliferativa delle cellule
progenitrici proveniente da cellule staminali e la fase differenziativa nelle componenti varie
componenti cellulari del sangue.
La cellula staminali può avere vari tipi di replicazione infatti: può replicarsi producendo una cellula
uguale a se stessa, cercando di evitare tutti gli errori che una mitosi comporta, e un'altra cellula che
sarà o multipotente o unipotente o progenitrice ecc, che si differenzierà nella linea prescelta dalle
quali derivaranno a loro volta le ulteriori cellule figlie (questa modalità sarà ritrovata anche nella
spermatogenesi). Oppure la cellula staminale può decidere di non formare progenie che porterà ad
una differenziazione ma semplicemente di reduplicarsi andando ad aumentare il pool di staminali.
Infine vi è un'ulteriore modalità in cui la cellula staminale decide di non formare prima un'altra
cellula staminale, ma di dar vita direttamente alle cellule figlie che saranno poi i progenitori delle
varie linee ematopoietiche e quindi in questo caso non sarà conservato il self-renewal
(autorinnovamento) che è una delle caratteristiche fondamentali delle cellule staminali.
L'emopoiesi prenatale inizia a livello della parete del sacco vitellino, quindi al di sotto del foglietto
didermico e viene detta mesoblastica, perché si forma a livello del mesoderma extra-embrionale del
sacco vitellino e della regione aorta-gonado-mesonefrica; successivamente le cellule staminali
emopoietiche colonizzano il fegato e quindi avremo l'ematopoeisi epatica, e contemporaneamente a
quest'ultima avverrà l'emopoiesi splenica, entrambe continuano per un periodo limitato di tempo e
terminano prima della nascita con la definitiva formazione dell'emopoiesi di tipo midollare.
Un concetto fondamentale nell'emopoiesi è quello di microambiente: questo è composto da cellule
mesenchimali ed emopoietiche che forniscono superfici, importante ad esempio per fare osso,
matrice extracellulare fondamentale poiché da essa provengono svariati segnali alle cellule per far
avvenire il giusto differenziamento, nel microambiente infatti si annoverano numerosi fattori solubili
che in concerto sono responsabili della regolazione e della proliferazione, quiescenza,
differenziazione, reclutamento ed accumulo dei progenitori emopoietici e delle cellule staminali. Il
microambiente dunque è un grande fattore di influenza nello sviluppo di una cellula della linea
emopoietica: ad esempio l'interleuchina 6 che è importantissima per alcuni processi, così come
citochine, ormoni, fattori di accrescimento. In sintesi la cellula staminale ha bisogno del
microambiente per svolgere tutte le sue funzioni. (Nel concetto di microambiente le cellule stromali
del midollo osseo svolgono funzioni importantissime producendo fattori, citochine ecc)
La normale funzione del midollo dipende quindi: dal microambiente midollare specifico, dalla
normale funzione delle cellule staminali, oltre che da vitamina B12, acido folico, ferro, ormoni,
lipidi, zuccheri, citochine ecc.
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La cellula staminale emopoietica (CSE) è una cellula staminale multipotente e sono caratterizzate
dalla presenza sulla propria membrana dell'antigene CD34 che è un antigene molto comune, che
riconosce tutte le cellule della linea emopoietica perché tutte cellule di tale linea lo esprimono e
questo può essere molto positivo in caso di trapianto, poiché tramite biglia magnetica si possono
“catturare” tutte le cellule e procedere con il trapianto di midollo ad esempio in un paziente con
aplasia midollare. In particolare, dato che CD34 è un antigene molto precoce, troviamo che può
essere espresso anche in alcune cellule mesenchimali. Per essere più selettivi sempre in caso di un
trapianto o una terapia mirata ad esempio, bisogna andare a vedere la coespressione di altri antigeni
per concentrarsi sulle varie linee emopoietiche (come per esempio CD117 che è un recettore
specifico per le cellule staminali).
Un altro concetto fondamentale è quello della gerarchia delle cellule emopoietiche, infatti il
compartimento delle cellule staminali è costituito da rare cellule multipotenti (ed anche cellule
pluripotenti, quindi negli schemi è probabile trovare anche come cellule staminale “iniziale” una
staminale emopoietica definita pluripotente) che sono in grado di trasformarsi in tutte le cellule del
sangue e che possono automantenersi (generare cellule identiche).
Il processo denominato orientamento comporta la transizione da uno stato di replicazione delle
cellule staminali pluri/multipotenti verso cellule denominate progenitori emopoietici che hanno la
capacità di differenziarsi verso una linea emopoietica. (elevata capacità mitotica)
Le cellule riconoscibili nel midollo sono i precursori; essi hanno scarsa capacità di automantenersi
ma elevatissima capacità mitotica.
Le cellule staminali ematopoietiche si possono dividere in due sottocategorie, ovvero Long-term HS
ovvero staminali ematopoietiche “a lunga gittata” quindi quelle che sono capacità di auto-mantenersi
per tutta la vita (e sono CD34-) mentre poi ci sono le Short-term HS che hanno una capacità di
automantenimento di circa 6-8 settimane (e sono CD34+) e che possono dividersi nei due progenitori
principali che daranno vita a tutti gli elementi figurati del sangue, ovvero Progenitore Linfoide
Comune (CLP) e Progenitore Mieloide Comune (CMP).
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In particolare vedere schema a pag 372 Monesi.
Dalla cellula staminale pluri/multipotente si forma le unità formanti colonie CFU, dapprima
dividendosi nel CLP e nel CMP ovvero nel progenitore comune della linea linfoide e quello della
linea mieloide (sempre multipotenti ma con più limitazioni differenziative). Da questi si formeranno
poi rispettivamente da CMP tutti i progenitori dei granulociti, dei monociti, delle piastrine e degli
eritrociti nel caso degli eritrociti prima si formerà l'unità formante eritroici BFU-E, poi si formerà il
vero e proprio progenitore degli eritrociti CFU-E, fino alla formazione del precursore ed infine
dell'eritrocita finale. Nel caso dei megacarioti i progenitori saranno CFU-Meg, e dei
monociti/granulociti neutrofili sarà CFU-GM (sarà quindi un progenitore bipotente) mentre per i
granulociti eosinofili e basofili sarà CFU-EoB (progenitore bipotente, vedere pag 372 Monesi, errore
nella slide). In realtà CMP si divide in altre due sottocategorie che comprende MEP e GMP sempre
staminali multipotenti; la prima è chiamata Progenitore Megacariocita-eritroide ed è interessante
notare come da questo progenitore accomuni i due elementi anucleati del sangue, e infatti da questo
poi si formeranno CFU-Meg e CFU-E, la seconda categoria è GMP che comprende i progenitori della
linea granulocita-monocita che formerà CFU-GM e CFU-EoB a loro volta, come già detto, entrambi
progenitori bipotenti. (Per la comprensione generale di questo processo guardare schema Monesi pag
372).
Vi sono poi delle proteine adesive (ligandi) ed i loro rispettivi recettori. Nel caso dei ligandi,
ricordiamo che sono proteine della superficie cellulare con funzione di trattenere le cellule nel
midollo, in particolare ricordiamo ICAM-1 (per l'adesione cellula-cellula) e VCAM-1 che è esposto
sulla superficie delle cellule endoteliali su larga scala quando queste sono stimolate da citochine, ed è
fondamentale per l'adesione di monociti, linfociti e granulociti ai vasi sanguigni. Ci sono poi recettori
adesivi come integrine e selectine che sono importantissime per il processo di diapedesi per esempio,
oppure alre come CD34 o CD43 che sono importanti per il processo di homing e di ritenzione delle
cellule staminali al midollo.
L'ematopoiesi è regolata a diversi livelli: le cellule ematopoietiche innanzitutto hanno capacità
maturativa intrinseca, quindi di per sé tali cellule hanno già scritto nel genoma il loro livello
differenziativo, svolge un ruolo importante anche la matrice extracellulare insieme agli ormoni,
citochine e fattori di crescita come HGF (Hematopoietic Growth Factor). Un esempio del ruolo
fondamentale degli ormoni, fattori di crescita ecc, si riscontra nel processo dell'eritropoiesi in cui
il rene, in condizioni di ipossia, produce eritropoietina (EPO) un ormone glicoproteico che stimola il
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differenziamento di BFU-E precoci, fino alla formazione dei progenitori degli eritrociti CFU-E.
Possiamo definire alcuni fattori di crescita che non sono linea-specifici, ed agiscono sulle cellule
multi o pluripotenti per l'automantenimento e per il differenziamento come ad esempio Multi-CSF o
IL-3 per la formazione e di colonie di granulociti, macrofagi e granulociti, oppure GM-CSF (GM sta
per granulociti-monociti), altri fattori sono linea-specifici e quindi agiscono su cellule già
“committed” per fare in modo che procedano negli stadi più avanzati come per esempio G-CSF o MCSF oppure Eo-CSF (CSF sta per Colony stimulating factor, mentre G per granulociti, M per
monociti e Eo per eosinofili).
Molte citochine sono prodotte dalle cellule stromali del midollo, come già detto, e agiscono a livello
midollare, spesso inoltre, agiscono in siti ben precisi e specifici. In sintesi i fattori di crescita
agiscono inducendo la proliferazione dei proenitori emopoietici, attivando le cellule mature,
stimolando le funzioni di queste ultime ed anche la produzione di altri HGF.
Concentriamoci adesso sull'eritropoiesi, che è sotto il controllo di alcune citochine quali fattore delle
cellule staminali, IL-3 e IL-9 e dell'eritropoietina (o EPO).
Vi sonoo due tipi di unità progenitrici eritrocitarie ovvero BFU-E responsabili della maturazione e
CFU-E ch formano colonie; l'abbassamento degli eritrociti circolanti infatti, inde ceil rene a produrre
eritropoietina che è un ormone fondamentale nella maturazione degli eritrociti, infatti proprio l'EPO
insieme all'interleuchina 3, interleuchina 9, il fattore stimolante delle staminali, il CSF-GM (Pag.
375) induce il differenziamento da CFU-S in BFU-E. L'esplosione mitotica di BFU-E produce un
elevato numero di CFU-E, in particolare l'eritropoietina stimola la maturazione di CFU-E fino ad
arrivare al primo precursore della linea eritroide, ovvero il proeritroblasto.
Il proeritroblsto va incontro a numerose divisioni mitotiche prima l'eritroblasto basofilo (basofilo
per la presenza di numerosi poliribosomi liberi) successivamente si arriva all'eritroblasto
policromatico (colorazione mista dovuta alla reazione per la presenza di emoglobina che risulta
acidofila insieme alla basofilia del citoplasma dovuta ad i numerosi ribosomi liberi). Dall'eritroblasto
policromatico si passa per gradi allo stadio successivo di eritroblasto ortocromatico (o
normoblasto) in cui, negli stadi più avanzati, l'attività mitotica si arresta e il nucleo si fa picnotico, si
sposta verso la periferia e viene espulso e successivamente fagocitato dai macrofagi. Gli eritrociti
maturi giovani, cioè appena immessi in circolo, conservano per qualche tempo un piccolo numero di
ribosomi che danno al citoplasma una leggera sfumatura blu :queste cellule vengono dette
reticolociti e conservano la capacità di sintetizzare l'emoglobina.
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Sopra vediamo prima uno schema delle varie fasi dell'eritropoiesi, e nell'immagine successiva un
riassunto morfologico dei vari stadi maturativi che portano alla formazione dell'eritrocita maturo.
Il macrofago coopera nella formazione di eritrociti sostenendo il ruolo di un vero e proprio
“controllore” di qualità ed è implicato anche nell'eliminzione dei nuclei espulsi.
Vediamo adesso la granulocitopoiesi, ovvero la formazione dei granulociti neutrofili, eosinofili e
basofili. La granulocitopoiesi è sotto l'influenza di alcune citochine quali G-CSF, IL-1, IL-5 e IL-6.
A partire dal CMP ovvero dal progenitore mieloide comune si forma dapprima GMP che è ancora una
cellula dotata di multipotenza, e successivamente quest'ultima può differenziarsi in CFU-GM che è
un progenitore bipotente che si può differenziare a sua volta nella linea monocitaria oppure in quella
dei granulociti neutrofili, oppure sempre derivante da GMP (progenitore granulociti-macrofagi) vi si
può differenziare un altro progenitore bipotente che è CFU-EoB che può dare a sua volta i precursori
dei granulociti eosinofili e basofili. In sintesi da un unico precursore multipotente (linea GMP, vedere
pag 372 Monesi) possono originare CFU-Eo, CFU-B, e CFU-G (rispettivamente eosinofili, basofili e
neutrofili) e gradualmente da questi si formeranno i precursori dei vari elementi cellulari, che sono
identici per tutte e tre le linee, e che sono, in successione: mieloblasto, promielocito, mielocito
(stadio in cui si definisce la natura dei granuli) metamielocito e granulocito maturo.
Vediamo adesso la piastrinopoiesi (o trombocitopoiesi) che è sotto il controllo della trombopoietina,
che induce la proliferazione di cellule giganti come megacarioblasti che poi matureranno in
megacariociti. Il progenitore unipotente CFU-Meg (derivante sempre da CMP, ovvero progenitore
mieloide comune che si differenzia in MEP altra linea sempre multipotente che dà origine ai due
elementi anucleati del sangue, ovvero megacariociti ed eritrociti) forma il megacarioblasto
(derivante a sua volta dal pro-megacarioblasto) che maturerà in promegacariocito e infine in
megacariocita, che si dispone tipicamente vicino ai sinusoidi ed inviano al loro interno dei
prolungamenti citoplasmatici. I megacariociti si frammentano in seguito ad invaginazioni del
plasmalemma, tramite canali di demarcazione che formano delle vere e proprie segmentazioni
favorendo il distacco di pezzi dello stesso citoplasma dando origine a gruppi di propiastrine, che
appena rilasciate in circolo maturano in singole piastrine. Ovviamente i residui cellulari vengono
fagocitati dai macrofagi.
Ora vediamo un altro processo dell'emopoiesi, ovvero la linfocitopoiesi, quindi il processo che porta
alla formazione dei linfociti B e linfociti T.
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Partendo sempre dalla cellula staminali emopoietica (HSC) come abbiamo già detto più volte questa
si divide in due progenitori multipotenti, CLP e CMP, ovvero progenitroce linfoide comune e
progenitore mieloide comune; CLP formerà a sua volta due progenitori unipotenti CFU-LyB e CFULyT che daranno rispettivamente vita ai linfociti B e i linfociti T.
I linfociti B immunocompetenti si formano nel midollo osseo, esprimendo marker di superficie tipici,
infatti la lettera B sta per “bone-marrow derived”, mentre i linfociti T (T sta per timodipendenti) si formano nel midollo osseo, ma ancora non immunocompetenti (quindi non mature)
migrano e si portano al timo, infatti la maturazione avviene proprio nel timo in cui vi è una elevata
selezione ad opera del timo stesso e dei macrofagi. I linfociti T sono le uniche cellule che migrano
dal midollo osseo non ancora completamente mature, infatti la definitiva maturazione del loro
specifico recettore TCR avviene proprio nel timo, essendo i linfociti T cellule che agiscono secondo
una immunità detta cellulo-mediata. Infine i linfociti migrano negli organi linfoidi secondari, quindi
milza e linfonodi (gli organi linfoidi primari sono il timo e il midollo osseo) dove formano cloni di
cellule immunocompetenti.
In generale TUTTI GLI ELEMENTI DEL SANGUE SI FORMANO NEL MIDOLLO OSSEO.
Dai progenitori CFU-LyB, e CFU-LyT si formeranno poi i linfoblasti, che matureranno in
prolinfociti e infine in linfociti maturi; per la monocitopoiesi invece, come già detto, i monociti
hanno un progenitore bipotente comune con i granulociti neutrofili, ovvero CFU-GM, in seguito
questo progenitore diventerà unipotente, ovvero CFU-M, che formerà i precursori della linea
monocitaria, in successione, monoblasto, promonocita e monocita maturo (con la classica
indentatura del nucleo) che in seguito uscirà dal circolo e maturerà in macrofago nei connettivi.
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Tessuto linfoide e sistema immunitario
Strettamente legato alla funzione del midollo, che ha una funzione ematopoietica, vi è il tessuto
linfoide. In realtà vi sono degli organi linfoidi definiti primari e sono il MIDOLLO E IL TIMO, il
primo con funzione di produzioni di elementi figurati del sangue, il secondo con funzione di
maturazione dei linfociti T, e vi sono poi degli organi linfoidi definiti secondari, che sono la MILZA,
LINFONODI E TESSUTO LINFOIDE DIFFUSO (come anello linfatico del Waldeyer, tonsille
palatina, linguale e faringea e le placche di Peyer del tubo digerente ad esempio).
IL tessuto linfoide è un tessuto nel quale la struttura è data da un connettivo reticolare (come il
midollo che è un organo linfoide) da cellule stromali e da una gran quantità di linfociti, macrofagi e
plasmacellule, nel timo abbiamo anche cellule di tipo epiteliale.
Il sistema immunitario è formato oltre che dagli organi linfoidi, ma è formato da un insieme di cellule
e molecole che ci difendono da microrganismi patogeni, disfuzioni cellulari e particelle estranee.
Il sistema immunitario ci protegge contro quattro tipi di patogeni principali quali batteri, i virus, i
funghi e i parassiti.
Il sistema immunitario è costituitoda organi e tessuti le cui cellule sono altamente specializzate, in
grado di comunicare l'una con l'altra e di sintetizzare molecole deputate allo scambio di informazioni;
tali cellule espongono in superficie, quindi sulla membrana, gli antigeni per l'interazione con altre
cellule aiutando in ultima analisi l'organismo nella difesa da agenti estranei. Ad esempio il
macrofago, introita l'antigene e poi l'espone in superficie ( il macrofago funziona quindi da APC
ovvero cellula che presenta l'antigene), e segnala alle altre cellule del sistema immunitarie di
colpire quel determinato patogeno.
I sistemi di difesa dei vertebrati sono suddibisibili in tre linee:
•
•
•
Barriere meccanico-chimiche (l'epidermide per esempio)
Fattori dell'immunità aspecifica (si intende quella naturale, ovvero promossa ma macrofagi,
linfociti Natural Killer, sistema del complemento ecc)
Fattori dell'immunità specifica
Lo strato esterno della pelle (epidermide) costituisce uno scudo contro l'ingresso di agenti estranei e
sostanze chimica, oppure muco e ciglia, che portano verso l'esterno le sostanza estranee. La saliva è
un altro elemento importante per il suo contenuto in lisozima, e il suo contenuto chimiche che
distruggono i batteri, tuttavia ce ne sono diversi tipi che possono sopravvivere a questi prodotti
chimici. I bateri deglutiti sono a loro volta “digeriti” da acidi incredibilmente forti, inoltre lo stomaco
deve produrre uno strato di muco altrimenti i succhi gastrici eroderebbero la mucosa.
I caratteri principali che condizionano l'immunogenicitià di un antigene sono soprattutto il peso
molecolare, la solubilità, la conformazione spaziale, la natura chimica e la disponibilità degli epitopi
(Epitopo=determinante antigenico che si lega all'anticorpo. Ovviamente se gli epitopi sono facili da
esporre, l'anticorpo lo riconosce facilmente a differenza per esempio, dei virus che si modificano
continuamente e trovano nella propria variabilità la loro forza principale)
Il sistema immunitario ha due componenti, come già detto, il sistema immunitario aspecifico
(innato) ed il sistema immunitario specifico, detto modulabile ovvero che si modifica a seconda
dell'antigene. Quindi il sistema innato agisce in maniera aspecifica, sempre al massimo possibile, e
non richiede processi di attivazioni precisi, mentre quello specifico ha bisogno di chiari e specifici
processi di attivazione, oltre che la presentazione dell'antigene.
Il sistema immunitario aspecifico è composto da proteine plasmatiche (circa una ventina) del
sistema del complemento insieme ad anticorpi naturali, soprattuto IgM, poi da macrofagi, granulociti
neutrofili, linfociti NK (natural killer, che esplicano soprattutto una funzione anti-tumorale, a mezzo
di sostanze chiamate poliperforine) e infine citochine.
Il sistema immunitario specifico (modulabile) è responsabile, come già detto, dall'eliminazione
specifica di agenti estranei, ed inoltre presenta quattro peculiarità: il riconoscimento del self e del
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non-self (tolleranza), specificità (questo è legato al fatto che dopo il riconoscimento dell'antigene vi
è la produzione di linfociti o anticorpi specifici contro l'agente estraneo), autolimitazione, diversità,
e la memoria (produzione da parte dei linfociti B di cellule “con memoria” per attivare in caso di
ulteriore attacco, la risposta immunitaria secondaria che risulterà più veloce e più efficace della
prima). Quindi in totale tra sistema immunitario innato e quello modulabile agiscono linfociti B,
linfociti T, macrofagi, granulociti neutrofili, cellule dendritiche e cellule NK.
In sintesi esistsono due tipi di risposte immunitarie:
• Risposta umorale, i cui responsabili sono i linfociti B con la produzione delle
immunoglobuline
• Risposta cellulo-mediata, i cui responsabili sono i linfociti T
I linfociti B quindi in generale, una volta attivati dall'interazione con l'antigene presentato dal
macrofago si trasforma in plasmacellula e produce una gran quantità di anticorpi, su larga scala; i
linfociti T invece si distinguono in T-helper che coadiuvano i B nella risposta umorale (ed è un
processo molto importante) poi ci sono i T-citotossici che secernono sostanze che uccidono cellule
infettate da virus o cellule estranee e infine ci sono i T-suppressor che inibiscono le risposte degli
altri linfociti T e di linfociti B.
I linfociti B sono circa 10 milioni diversi, ognuno dei quali ha un diverso anticorpo e la loro grande
varietà è causata dalla ricombinazione genica durante lo sviluppo e la formazione delle
immunoglobuline; ovviamente vi sono piccoli cloni di ogni tipo di linfociti B. Normalmente i lifociti
B non secerno anticorpi, infatti la cellula che secerne gli anticorpi è la plasmacellula, ovvero il
linfocita B attivato; dopo il riconoscimento la cellula B si divide rapidamente, ed inoltre come già
detto prima, gli antigeni sono presentati dai macrofagi (che funzionano come APC). Gli anticorpi
circolano nella linfa, nel sangue e nelle mucose intensinale e respiratoria e di solito permangono nel
sangue a lungo. Come già detto alcune cellule B attivate sono cellule con memoria, che si dividono
rapidamente, non appena l'antigene è reintrodotto portando alla risposta immunitaria secondaria
molto più rapida e forte, infatti in molti casi in cui il patogeno si ripresenti, viene distrutto prima che
compaiano i sintomi. La plasmacellula (linfociti B attivati) è una cellula il RE presenta ampie
cisterne all'interno del quale vi sono vari tipi di anticorpi (IgM, IgA, IgE, IgG, IgD).
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I linfociti T si occupano della risposta cellulo-mediata, ed hanno, nella loro forma matura, recettori
con struttura simile agli anticorpi e sono specifici per un solo antigene; le cellule T infatti, una volta
prodotte nel midollo, si dirigono nel timo in cui acquisiscono un recettore, il TCR (T cell receptor)
che è molto simile alle immunoglobuline secrete dalle cellule B attivate.
Le cellule T si attivano quando il recettore viene a contatto con l'antigene che è esposto da un'altra
cellula ospite come per esempio sulla membrana di un macrofago che funziona da APC oppure su
una cellula estranea. Quindi una differenza la troviamo nel fatto che mentre le immunoglobuline
vengono secrete, e quindi il contatto con l'antigene è “esterno” (anche se il macrofago presenta
comunque l'antigene, oppure quest'ultimo può essere riconosciuto direttamente dall'immunoglobulina
di membrana delle cellule B, vedere Monesi per chiarimento) invece nel caso delle cellule T tramite il
loro TCR sono direttamente queste ultime a riconoscere peptidi antigenici di membrana legati al
macrofago che funzione da cellula presentante l'antigene.
Dopo l'attivazione le cellule T si dividono e formano T-helper cells che secernono citochine le quali
aiutano la cellule B a dividersi e stimolano i macrofagi, T suppressor che invece modulano l'azione
della risposta e T killer le quali uccidono le cellule che mostrano l'antigene; infine ricordiamo le
cellule T con memoria che rimangono nell'organismo.
Piccola parentesi sulle APC, cellule presentanti l'antigene, che serve da chiarimento: Le cellule
APC (cellule che presentano l'antigene, dall'inglese Antigen-Presenting Cell) sono una classe
di cellule del sistema immunitario in grado di esporre antigeni sulla propria superficie di membrana
attraverso l'MHC di classe II.
Teoricamente, qualsiasi cellula è in grado di esporre antigeni sulla propria membrana utilizzando
l'MHC di classe I, e dunque stimolare le cellule CD8+. Tuttavia, quando si parla di APC, si intende in
particolare quelle in grado di stimolare l'attivazione dei linfociti CD4+ (i T-helper) vergini.Le cellule
dendritiche, i macrofagi e i linfociti B sono tutte cellule che esprimono MCH di classe II e possono
presentare l'antigene ai linfociti T CD4+. Per questo motivo sono anche dette APC professionali. Il
principale ruolo delle cellule dendritiche è quello di catturare l'antigene nei tessuti e muoversi nei
tessuti linfoidi secondari dove si stabilizzano nelle aree T e presentano l'antigene processato ai
linfociti T naive (vergini). Il ruolo dei macrofagi è simile a quello delle cellule dendritiche. I Toll-like
receptor presenti sulla membrana dei macrofagi sono in grado di legare antigeni e attivare gli stessi
ad internalizzare il patogeno per processarlo ed esporlo a tramite MHC di classe II. Questo consentirà
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ai linfociti Th1 di attivare i macrofagi stessi a fagocitare e distruggere i patogeni stessi. Anche i
linfociti B sono in grado di processare gli antigeni. Il legame anticorpo-antigene può non scatenare
una risposta diretta, ma causare solamente l'internalizzazione del complesso attivato. L'antigene
all'interno della cellula viene poi processato ed esposto per i linfociti T helper che legandolo attivano
a loro volta i linfociti B a produrre dosi massicce di anticorpi causando l'opsonizzazione del patogeno
che presenta quell'antigene. Fondamentali sono le classi di proteine MHC di classe I e di classe II,
chiamati sistemi maggiori di istocompatibilità; le molecole MHC di classe I, che sono espresse da
tutte le cellule nucleate, provvedono a presentare i peptidi alle cellule T citotossiche. I peptidi
antigenici derivano dalla degradazione di proteine intracellulari, generalmente proteine virali, dunque
i peptidi sono legati alle molecole MHC classe I e trasferiti sulla superficie cellulare. Quando una
cellula T citotossica riconosce la presenza di un peptide estraneo associato all'MHC di classe I su una
cellula self, la uccide perché a cellula è stata probabilmente infettata da un virus. Il riconoscimento di
MHC + peptide coinvolge il complesso multimolecolare costituito dal TCR e dal co-recettore CD8
sulla membrana del linfocito e dall'MHC di classe I + peptide sulla cellula bersaglio. La MHC di
classe II sono espresse da un numero limitato di tipi cellulari, principalmente da cellule che
presentano l'antigene, le quali dopo il processamento espongono peptidi antigenici sulla membrana,
legati alle MHC di classe II, in modo da far riconoscere il complesso MHC classse II + peptidi
estranei esposto sulla membrana da un clone di linfociti T helper (di tipo T h2) che possiedono il
TCR per quel peptide antigenico in modo da attivare i linfociti B (attivazione B dipendente in caso di
riconoscimento tramite helper Th2) oppure T citotossici (nel caso siano rilasciati Th1). Esiste sempre
quindi una cooperazione tra linfociti B e linfociti T, ovviamente tutto ciò come è stato esposto,
avviene anche grazie all'interazione molto attiva del sistema monocito-macrofagico.
Abbiamo quindi nello schema da una parte la linea B, e da un'altra la linea T. La linea B quando non
ha avuto il contatto con l'antigene possiede cellule “vergini”, successivamente al contatto formerà da
una parte cellule con memoria immunitaria dell'antigene con cui hanno avuto l'incontro, e nel caso si
tratti di risposta immunitaria primaria si avrà l'attivazione dei linfociti B con la formazione delle
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plasmacellule che si occuperanno di secernere immunoglobuline, intanto il macrofago avrà esposto
l'antigene sulla superficie e gli anticorpi potranno andare in contatto con l'antigene esposto. Stessa
cosa avverrà nella linea T, in cui avremo cellule T che diventeranno con memoria, e anche in questo
caso le T helper vergini a contatto con l'antigene, tramite una APC, stimoleranno o le T citotossiche o
le cellule B nella produzione di anticorpi o entrambe, sotto la modulazione fondamentale delle T
suppressor.
Questo è il classico anticorpo “a forcella” o a “Y”, poiché come si nota dalla figura, le porzioni
carbossiterminali e quelle amminoterminali sono ai lati opposti; vi sono due catene pesanti e due
catene leggere, una regione cerniera e due regioni variabili che saranno il sito di legame per l'antigene
formando il classico complesso multimolecolare antigene-anticorpo. Le regioni variabili possono
essere modificate di volta in volta per formare nuovi anticorpi specifici per determinati antigeni,
infatti ci sono alcune immunoglobuline con regioni ipervariabili. Tutti gli anticorpi hanno uno
scheletro comune, formato da due catene leggere e due catene pesanti, caratterizzate da un dominio
immunoglobulinico, e come già detto, l'anticorpo si lega ad una piccola porzione specifica
dell'antigene, chiamata determinante o epitopo. Alcuni anticorpi agiscono come “labels” per
identificare antigeni per i fagociti, altri funzionano come antitossine, cioè bloccano le tossine che
causano ad esempio la difterite ed il tetano, alcuni si attaccano ai flagelli batterici rendendoli meno
attivi e più facili da fagocitare oppure causano agglutinazione di batteri per farli diffondere meno.
Nell'uomo distinguiamo cinque classi di anticorpi (isotipi): IgG (le più comuni), IgM, IgA, IgD e IgE
Si trovano all'interno di tutto il nostro corpo, ad esempio IgG si trovano soprattutto in sangue, pluidi
tissutali ma possono anche attraversare la placenta, agendo come agglutinanti, oppure possono
aumentare l'attività dei macrofagi (vedere sul Monesi, processo di OPSONIZZAZIONE) oltre che
funzione come antitossine; anche le IgM si trovano soprattutto nel sangue e nei fluidi tissutali,
portando all'agglutinazione dei battri, oltre che alla forte sollecitazione del sistema del complemento;
le IgA invece le troviamo soprattutto nelle secrezioni (saliva, lacrime, nasale, vaginale ecc) e
prevengono la formazione di colonie di batteri sulle membrane mucose, infine le IgE, che sono a
livello dei tessuti, funzionano nelle risposte contro i parassiti (implicati come ricordiamo anche i
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granulociti eosinofili) e attivano i mastociti del connettivo i quali contengono istamina, dunque sono
implicati nelle risposte allergiche.
I linfociti T possono svolgere la funzione grazie alle molecole del complesso maggiore di
istocompatibilità (MHC) diviso in due classi, ovvero di classe I e di classe II. La reazione
antigene-anticorpo per quanto riguarda i linfociti B è abbastanza semplice e diretta, nel caso dei
linfociti T le modalità di legame sono più complesse. Le molecole che sono codificate per la
presentazione dei peptidi, quindi degli epitopi, ai linfociti T, sono le molecole del complesso
maggiore di istocompatibilità detto MHC I, MHC II oppure HLA I e HLA II. Normalmente tutte le
cellule presentano l'MHC I, mentre soltanto le monocitarie presentano l'MHC II.
Quindi nel caso dei linfociti T killer (o citotossici) queste riconoscono l'antigene soltanto in maniera
combinata al complesso di istocompatibilità di tipo I , infatti quando una cellula T citotossica
riconosce la presenza di un peptide estraneo (i peptidi antigenici derivano dalla degradazione di
proteine intracellulari generalmente proteine virali, vedere immagine sotto class I MHC pathway),
associato all'MHC I la uccide perché la cellula è stata probabilmente infettata da un virus. Nel caso
dei T helper agiscono a mezzo della presentazione combinata del sistema MHC II. In particolare le
MHC I sono espresse da tutte le cellule nucleate e sono specializzate a riconoscere e presentare
gli antigeni virali o tumorali (di sintesi endogena) ai linfociti citotossici, mentre MCH II sono
espresse principalmente dai macrofagi e dalle altre APC (tra cui macrofagi, cellule dendritiche
e del Langerhans) che sono specializzate a presentare ai linfociti T helper gli antigeni di sintesi
esogena cioè di origine batterica o di altri parassiti o comunque extracellulari.
Il riconoscimento dell'antigene da parte dei linfociti T, avviene soltanto in modo ASSOCIATIVO,
cioè insieme all'espressione e al riconoscimento in superficie del complesso di maggiore di
istocompatibilità, di tipo I se si tratta dei linfociti T citotossici, di tipo II se si tratta dei T-helper;
perché nel primo tipo, deve sapere che i peptidi legati all'MHC I non sono self, invece nel tipo
secondo, l'antigene è riconosciuto dagli helper grazie al sistema monicito-macrofagico, che non solo
presenta l'antigene ma ne modula anche la risposta, nel caso debba essere aumentata.
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I monociti come già detto, derivano dai monociti, e sono particolarmente abbondanti nel tessuto
connettivo lasso; sono più grandi dei granulociti neutrofili, ma si trovano soltanto nei tessuti e non
nel sangue infatti nel sangue sono MONOCITI, che poi saranno denominati MACROFAGI quando
raggiungono i tessuti. La loro funzione fondamentale per il sistema immunitario oltre quello della
fagocitosi classica, è quella di iniziare la risposta immunitaria esponendo gli antigeni dei patogeni per
i linfociti, funzionano quindi da APC
Nell'immagine sopra vediamo la comunicazione tra il macrofago e la cellula T helper; per
l'attivazione della T helper, quest'ultima deve riconoscere l'antigene esposto sulla membrana della
cellula macrofagica in associazione all'MHC di tipo II. Una volta avvenuto questo riconoscimento, i
linfociti T helper attivati da una parte stimoleranno a mezzo dell'interleuchina 2 il sistema dei
linfociti B (attivazione T-dipendente), proprio in virtù della cooperazione che c'è tra cellule B e
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cellule T, dall'altra vi sarà la produzione di interferone gamma che andrà ad attivare altri macrofagi.
Le APC esprimono sul loro plasmalemma sia MHC I che MHC II e fagocitano, catabolizzano,
processano e presentano gli antigeni affinché si possa attivare la risposta di tipo ASSOCIATIVA.
Le cellule NK sono cellule importantissime, appartengono il sistema innato (quindi la sua attività non
è selettiva, non modulabile, è aspecifica) e sono capaci di produrre POLIPERFORINE, tali da indure
lisi batterica, uccidere cellule trasformate da tumori o infettate da virus, così come parassiti e funghi;
le cellule NK comunicano con i macrofagi per aumentare le capacità difensive.
Generalmente le cellule B che presentano le Ig sono positive al CD5, le NK di solito a CD16, i
linfociti T invece sono tutti positivi a CD3, e le sottoclassi a CD4 e CD8 in particolare i linfociti T
citotossici sono positivi a CD8 infatti vengono spesso identificati con il nome “cellule CD8”, mentre
i T helper e i T suppressor sono entrambi positivi a CD4. (vedere Monesi pag 354-355, in particolare
i linfociti B posseggono sulla loro membrana anche MHC II poiché come detto sopra possono
funzionare in alcuni casi anche come APC, pag.407)
I linfociti T helper possono essere suddivise in due sottogruppi: Th1 e Th2, in particolare Th1
stimolano l'attivazione dei linfociti T citotossici (tramite citochine quali ad esempio IL-2), mentre
Th2 sono attivate dopo l'incontro con le cellule B che fungono da APC esponendo sulla loro
membrana peptidi antigenici tramite l'MHC II, stimolando la proliferazione dei linfociti B, di cellule
con memoria e la maturazione in plasmacellule per il rilascio di immunoglobuline specifiche
(attivazione T-dipendente). Sotto vediamo la risposta immunitaria di tipo umorale mediata da cellule
Th2 e un'altra mediata da cellule Th1
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L'immunità attiva vi è quando i linfociti sono attivati da antigeni sulla superficie dei patogeni e si
parla di immunità attiva naturale, ovvero acquisita a causa dell'infezione, oppure immunità attiva
artificiale in cui si annovera la vaccinazione.
Si intende immunità passiva invece quando le cellule B e T non sono attivate e le plasmacellule non
hanno prodotto anticorpi; l'antigene non è quindi necessario per produrre anticorpi e questi ultimi
appaiono immeditamente nel sangue ma la protezione è solo temporanea.
L'immunità passiva artificiale è adoperata quando necessita una risposta immunitaria molto rapida, ad
esempio dopo infezione tetanica; fornisce comunque una protezione a breve termine, prima che gli
anticorpi vengano distrutti dalla mila e dal fegato. L'immunità passiva naturale invece possono essere
gli anticorpi della madre che passano attraverso la placenta al feto oppure il colostro (primo latte
materno) che contiene molte IgA he restano sulla superficie della parete intestinale del bambino e
passano nel sangue.
Per allergia invece si intende quando il sistema immunitario risponde ad allergeni che sono sostanze
antigeniche spesso “innocue” come per esempio la polvere domestica, pollini, acari ecc.
Le IgE infatti si legano con la loro porzione Fc a recettori presenti sulla membrana dei granulociti
basofili (implicati come detto nelle reazioni allergiche) e dei mastociti; una volta che si sono
localizzate sulla membrana dei basofili e dei mastociti quando interagiscono con gli specifici
allergeni in contatti successivi al primo, stimolano la liberazione di m olteplici sostanze vasoattive
come istamina (che provoca la dilatazione dei vasi sanguigni), serotonina, leucotrieni, eparina ecc.
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Lo sviluppo degli organi linfoidi inizia con la fine della quinta settimana di vita embrionale, ed inizia
come una serie di numerose sacche nei punti di giunzione di alcune delle vene embrionali. Queste
sacche di linfa sono sviluppate dalla confluenza di numerosi capillari venosi che in un primo
momento perdono le loro connessione con il sistema venoso, ma che ritrovano in seguito, con la
formazione delle sacche. In un embrione umano le sacche di linfa da cui derivano i vasi linfatici sono
in numero di sei:
•
Due coppie di sacche giugulari, al bivio delle vene giugulari interne e succlavia
•
Sacca retroperitoneale, alla radice del mesentere dell'intestino, si sviluppa dalla vena cava
primitiva e dlle vene mesonefriche
•
Sacca posteriore, si sviluppa dalle vene iliache
I componenti del sistema linfatico: linfa, organi linfoidi primari e secondari, vasi linfatici e tessuti
linfatici (si intende il tessuto linfatico diffuso).
La linfa è un fluido simile nella composizione al plasma sanguigno, ed è un sistema di liquidi che
viene trasudato dalla periferia verso il centro. Gli organi linfatici sono caratterizzati da ammassi di
linfociti ed altre cellule quali macrofagi, invischiati in una struttura di brevi fibre di tessuto
connettivo reticolare, e come già detto i linfociti originano nel midollo osseo rosso con altri tipi di
cellule del sangue e sono trasportati attraverso il sangue, dal midollo agli organi linfatici, in
particolare i linfociti T sono coloro che lasciano ancora immaturi il midollo osseo, per completare la
loro maturazione all'interno del timo.
Gli organi linfatici primari sono il TIMO (che ha funzione come detto di far maturare i linfociti T
derivati dal midollo) e il MIDOLLO OSSEO, mentre quelli secondari sono il tessuto linfoide diffuso
incapsulato comprendente MILZA E LINFONODI, e il tessuto linfoide diffuso non incapsulato
comprendente le tonsille (palatina, linguale e faringea), l'appendice vermiforme, l'anello di Waldeyer,
le placche di Peyer a livello del canale digerente. Gli organi linfoidi secondari sono siti dove la
risposta immunitaria acquisita inizia, e i vasi linfatici distribuiscono linfa e globuli bianchi dai siti
dell'infezione ai tessuti linfoidi secondari (posti in punti strategici per la progressione dell'infezione o
attacchi antigenici) dove si sviluppa l'immunità acquisita.
Il timo è un organo linfoide primario, come il midollo osseo e rappresenta il sito di maturazione dei
linfociti T ed è costituito anche questo come il midollo osseo da un connettivo reticolare, e da cellule
reticolari.
Il timo è un organo che si può definire linfo-epiteliale ed è formato da due lobi ravvicinati fra loro,
e ciascun lobo è avvolto da una capsula connettivale fibrosa da cui si staccano sepimenti che
suddividono l'organo in lobuli; ogni lobulo è costituito da una zona periferica intensamente colorata
chiamata CORTICALE e da una porzione centrale più chiara detta MIDOLLARE. La corticale è
formata da linfociti T addensati, da cellule epiteliali e da macrofagi, mentre la midollare è formata da
linfociti T non addensati e da vasi, inoltre anche qui troviamo macrofagi e cellule dendritiche (in
particolare al confine tra la midollare e la corticale)
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Si notano al centro anche i corpuscoli di Hassal, che probabilmente sono dei residui costituiti da
cellule epiteliali pavimentose sempllici che rappresentano lo stato finale di diffusione dell'epitelio
midollare. Troviamo nella corticale degli HEV (high endothelial vessel) cioè vasi sanguigni con una
parete molto spessa, che non consentono la diapedesi di linfociti immaturi nel torrente ematico
affinché entrino in quest'ultimo completamente maturi e compresi di proprio recettore specifico TCR.
Il timo si trova nel mediastino anteriore, permane fino alla pubertà e poi comincia la sua regressione
con sostituzione del parenchima con tessuto adiposo.
Sotto vediamo un corpuscolo di Hassal all'interno della midollare e verso l'esterno, ovvero nella zona
più addensata, notiamo la corticale.
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I linfociti T immaturi, detti anche precursori, lasciano il midollo osseo e migrano verso il timo, dove
maturano; le cellule immature sono denominate timociti. I precursori dei linfociti T immaturi entrano
nella corteccia del timo, interagiscono con le cellule residenti (soprattutto con le cellule epiteliali con
astuccio, di cui abbiamo 6 classi, 3 nella corteccia e 3 nella midollare) e quindi si ha l'espressione del
TCR (T cell receptor) che consiste nel legame dell'antigene al complesso CD3, a questo punto i
linfociti T maturi lasciano il timo e possono essere classificati in T helper che esprimono CD4 e
linfociti T citotossici che esprimono CD8.
La selezione dei timociti può essere di due tipi: positiva e negativa. Le cellule residenti nel timo
esprimono il ligando MHC I per il recettore dei linfociti T.
Una volta che il recettore dei linfociti T è espresso su timociti in via di slivuppo può interagire con il
suo ligando (MHC I) sulle cellule residenti. A questo punto vi è prima una selezione POSITIVA, cioè
vi è una identificazione di quei precursori dei linfociti T che esprimono i recettori in grado di legare il
self-MHC I e che sono loro stessi in grado di esprimere MHC di classe I. Queste cellule inviano un
segnale positivo che le induce a proliferare e a sopravvivere, mentre le cellule che non sono in grado
di riconoscere il self-MHC I muoiono nella corteccia. Successivamente vi è una selezione di tipo
negativo, in cui tutte i timociti che sono stati selezionati positivamente che si legano bene a MHC di
tipo self (e quindi inducono l'autoimmunità, ovvero si legano a cellule dell'organismo proprie
riconoscendole come “estranee”) vengono eliminati dal timo stesso o inattivati nel midollo. Meno del
5% dei precursori dei linfociti T che entrano nel timo sovpravvivono alle selezioni. Ricapitolando, i
linfociti T originano nel midollo e nello stato di precursori migrano nel timo, qui, a livello della
corticale viene costruito il TCR, che interagisce con il ligando MHC espresso sulle cellule residenti
per verificare se vi è riconoscimento e quindi se il recettore funziona e se vi si legano con giusta
affinità, oltre all'espressione del MHC I (selezione positiva) successivamente nella midollare
vengono eliminati i linfociti T che si legano in maniera troppo forte all'MHC di antigeni self
presentati dalle cellule dendritiche del timo e che quindi potrebbe causare una reazione
autoimmunitaria (selezione negativa).
Sulla base della disfunzione di questo meccanismo infatti vi è la patogenesi di molte malattie
autoimmuni.
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Il nostro organismo ha linfoidi distribuiti lungo tutte le vie linfatiche, questi sono piccole strutture
ovoidali, incapsulate, intercalate lungo il decorso dei vasi linfatici per agire da filtro nella rimozione
di batteri e di altre sostanze estranee. Quindi possiamo definire un linfodono come un aggregato
nodulare di tessuto linfoide situato lungo i vasi linfatici; si distinguono una capsula, uno stroma,
un'organizzazione vascolare sanguifera e linfatica. Nei centri germinativi i linfociti B, stimolati
dall'antigene, proliferano e maturano producendo anticorpi ad alta affinità, mentre nei manicotti periarteriolari i linfociti T rispondono agli antigeni veicolati per via linfatica, ed avviene a cooperazione
tra linfociti B e T.
All'interno dei linfonidi si possono distinguere una corticale ed una midollare, nella prima zona vi è
un'abbondanza di vasi sanguigni, cordoni linfatici anastomizzati, macrofagi ecc, mentre la corticale è
ricca soprattutto di linfociti.
I linfonodi sono piccole strutture a forma di fagiolo, di solito inferiore a 2,5 cm e tendono a
raggrupparsi nella regione inguinale, ascellare e laterocervicale nel collo.
ùNell'immagine sopra si notano bene le due zone midollare e corticale, e in particolare in qu
est'ultima si vedono i follicoli linfatici (strutture circolari) con le relative corone che sono zone di
addensamento di linfociti; all'interno dei follicoli vi sono i centri germinativi.
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La funzione principale dei linfonodi come già detto è quella di filtrare particelle e microorganismi per
tenerli fuori dalla circolazione del sangue; l'interazione di antigeni circolanti in linfa con linfociti per
avviare la risposta immunitaria; attivazione e proliferazione dei linfociti T e dei linfociti B con
relativa produzione di anticorpi. Le cellule residenti nei linfoidi sono le cellule linfoidi, macrofagi ed
altre cellule fagocitarie che elaborano l'antigene, cellule endoteliali linfatiche e vascolari e fibroblasti
responsabili della struttura di supporto del linfonodo.
La milza invece è l'rogano linfatico più grande dell'organismo, è rivestita da una capsula di tessuto
connettivo ed è un organo emocateretico. Si trova nel quadrate superiore sinistro dell'addome ovvero
nell'ipocondrio di sinistra; il parenchima è accolto entro un dispositivo capsulare e trabecolare. La
funzione della milza è simile a quella linfonodale, infatti è il sito principale delle risposte immuni
verso antigeni presenti nel torrente circolatorio, mentre i linfonodi verso antigeni nella linfa. La milza
è divisa in POLPA BIANCA E POLPA ROSSA; nella seconda vi è prevalenza di globuli rossi e vasi
splenici ed è coinvolta principalmente nella degradazione dei globuli rossi senescenti, mentre la
seconda è orgaizzata attorno ad arteriole centrali che forniscono sangue e così come per i linfonodi, la
polpa bianca della milza è organizzata in regioni ricche di linfociti T (capsula linfatica periarteriolare)
e aree ricche di linfociti B (follicoli). La stimolazione antigenica induce la proliferazione dei linfociti
B e la formazione dei centri germinativi. Vi sono a livello della milza, oltre alla capsula e la struttura
reticolare, anche dei fascetti di muscolatura liscia visto che la milza va incontro a splenocontrazione,
necessaria in alcune volte perché immette linfociti e globuli rossi in circolo. La milza è un organo
non indispensabile alla vita perché la sua funzione è sostenuta dal fegato, anch'esso ha funzione
emocateretica, e dai linfonodi.
Le tonsille invece sono aggregati di linfonodi privi di una capsula completa, si trovano lungo le vie di
penetrazione degli antigeni che arrivano con l'aria o il cibo, e vanno a formare l'anello linfatico del
Waldeyer. Si trovano appena sotto le mucose che rivestono il naso, la bocca e la faringe (gola) e vi
sono tre gruppi di tonsille: faringee, palatine e linguali. Forniscono protezione contro le sostanze
nocive ed agenti ptogeni che possono penetrare nel corpo attraverso il naso o la bocca.
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Nell'immagine sopra si nota la sezione di tonsille palatine, sotto invece vediamo un'immagine di
tonsilla faringe
Sotto invece vediamo una sezione di tonsilla linguale
Infine vi è il tessuto linfoide diffuso (o MALT, mucose associated lymphoid tissue), che troviamo
soprattutto a livello della cute, dei bronchi e dell'apparato digerente. I sistemi di tessuto linfoide
diffuso si trovano quindi a livello della pelle (SALT, skin associated lymphoid tissue) delle mucose
bronchiali (broncus associated lymphoid tissue) e della mucosa intestinale (GALT, gut associated
lymphoid tissue, di cui l'anello linfatico di Waldeyer che comprende i tre tipi di tonsile, l'appendice
vermiforme e le placche di Peyer, sono gli esempi più studiati di tessuto linfoide diffuso e
appartengono al GALT). Queste sedi di tessuto linfoide non presentano una organizzazione strutturata
tipica dgli organi linfoidi secondari come milza e linfonodi, infatti possiedono un numero limitato di
follicoli linfatici, e in prevalenza linfociti sparsi nel contesto della matrice connettivale o addirittura
inseriti tra le cellule degli epiteli di rivestimento (infiltrati linfo-epiteliali). Quando si crea un intimo
rapporto tra linfoci e strato epiteliale si assiste molto spesso alla comparsa di modificazione delle
cellule epiteliali, le quali grazie alla vicinanza con i linfociti, assumono caratteristiche e proprietà
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funzionali simili a quelle delle cellule dotate di attività fagocitaria, un esempio sono le cellule M
presenti nei tratti di mucosa intestinali che si trovano in stretto contatto con i follicoli linfatici a
livello delle placche di Peyer (nelle quali troviamo anche cellule staminali e cellule con attività
enteroendrocrina).
Sotto vediamo un esempio di tessuto linfoide diffuso con epiteli con cellule calificormi mucipare
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Sbobinature corso Istologia
A.A 2012/2013
Facoltà di Medicina e Chirurgia
sede di Napoli
Autore: Michele Lella
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