I METODI PER L’INDIVIDUALIZZAZIONE DELL’INSEGNAMENTO Gli elementi base del processo di insegnamento-apprendimento Ci sono tre elementi che devono essere presi in considerazione per primi quando si deve mettere a punto un programma individualizzato. Si tratta di elementi che si possono definire esterni nel processo di insegnamento: gli stimoli che si inviano all’allievo, le sue risposte e le informazioni di ritorno in conseguenza delle sue azioni. Tali elementi non esauriscono certo tutto ciò che si può e si deve analizzare in un progetto educativo. Infatti, per esempio, il successo di un programma di apprendimento dipenderà in larga misura anche dalla relazione che si è instaurata tra un allievo e il suo insegnante, ossia da un aspetto che si può definire interno al processo stesso, oppure dalla fiducia che l’allievo ha nelle proprie capacità o anche dalla fiducia che l’insegnante stesso ha nelle capacità dell’allievo e nell’adeguatezza del programma che sta svolgendo. Tuttavia, i cosiddetti tre elementi base del processo di insegnamento (chiamati anche elementi base del ciclo istruzionale) rivestono una tale importanza che meritano di essere esaminati con particolare attenzione, anche perché su di essi si basa un gran numero di metodi per la messa a punto di programmi speciali di insegnamento. Il primo elemento del ciclo istruzionale è lo stimolo. Per stimolo si intende qualunque evento percepibile, più o meno complesso, in grado di provocare una risposta. Il secondo elemento del ciclo istruzionale è la risposta, che possiamo definire come una qualche forma di comportamento, semplice o complesso, che si verifica in seguito a uno stimolo. Dal punto di vista dell’insegnante, la risposta è tutto ciò che un allievo fa: ogni suo comportamento. Il terzo elemento del ciclo istruzionale è la conseguenza. Si tratta dell’ elemento più trascurato nella progettazione degli interventi educativi, ma il più importante. La conseguenza può essere definita come ciò che avviene dopo una risposta e influenza in modo determinante i comportamenti futuri. Questi tre elementi costituiscono un punto essenziale per la stesura di un progetto educativo. Ogni insegnante dovrebbe quindi porsi queste tre domande, prima di cominciare un lavoro con i suoi allievi: - Qual è la risposta (semplice o complessa) che desidero ottenere? Quali stimoli possono facilitare la risposta? Quali conseguenze renderanno più probabile che la risposta si ripeta in futuro? PRIMO ELEMENTO: gli stimoli facilitanti La prima domanda (Qual è la risposta che desidero ottenere ?) si riferisce alla messa a punto degli obiettivi ed è il momento della programmazione degli stimoli. Tutta l’azione educativa e didattica si basa sull’uso di stimoli (le parole dell’insegnante, un disegno fatto alla lavagna, una scheda, ecc.), il problema consiste nel programmare l’uso degli stimoli nel modo più adeguato per le esigenze dell’allievo. Lo stimolo discriminativo E’ quello stimolo in grado di produrre una risposta attesa; l’insegnante dovrebbe porre molta cura nell’analizzare quali sono gli stimoli discriminativi effettivamente utili per le risposte di un certo allievo. PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com Quando di fronte a stimoli diversi (es.: una matita rossa ed una blu) si è in grado di dare risposte diverse , si dice che è stata eseguita una discriminazione. Una grande quantità di apprendimenti (colori, forme, lettura,ecc.) si basa sulla capacità di discriminazione. La generalizzazione Avviene la generalizzazione dello stimolo quando si danno risposte uguali in presenza di stimoli per molti aspetti diversi: una matita, un libro, un semaforo, un’automobile sono stimoli molto diversi tra loro, si può però essere capaci di trovare una caratteristica generale che li accomuna, per esempio il colore. Il controllo degli stimoli ambientali Qualunque situazione ambientale, per esempio le caratteristiche dell’aula, può essere considerata uno stimolo nel momento in cui influenza la produzione di risposte. Per questo motivo è importante, anche nella pratica della stesura di un piano educativo, tenere conto con grande attenzione anche di queste situazioni stimolo globali che possono influenzare le risposte, il comportamento, il rendimento, l’attenzione e la motivazione di un allievo. In particolare, due grandi categorie di situazioni-stimolo generali hanno di solito una grande influenza nel lavoro educativo/didattico: - la situazione fisica dell’ambiente in cui si svolge l’insegnamento - la situazione interpersonale e relazionale (è bene sapere l’importanza che può rivestire per un allievo il numero di compagni dai quali è circondato, la disposizione dei banchi, la scelta di chi far sedere vicino a lui e chi più lontano, il comportamento degli altri membri del gruppo, ecc.). SECONDO ELEMENTO: l’analisi del compito Il secondo elemento del ciclo istruzionale è la risposta, più o meno semplice o complessa, che è in generale l’obiettivo del nostro piano educativo per un determinato allievo. Ogni volta che il progetto educativo prevede l’insegnamento di un compito/obiettivo di una certa difficoltà, questo compito dovrebbe essere analizzato negli elementi più semplici che lo compongono. Questa metodologia si chiama analisi del compito e consiste nel determinare quali passi (o comportamenti più semplici e accessibili alle sue abilità) devono essere compiuti dall’alunno per arrivare ad eseguire un compito in modo corretto. TERZO ELEMENTO: rinforzamento positivo e motivazioni Il terzo elemento del ciclo istruzionale è la conseguenza della risposta; molto spesso dalle conseguenze che una risposta produce deriva la probabilità che quella risposta sia riemessa in futuro. E’ per questo motivo che il terzo elemento del ciclo istruzionale è di importanza capitale: si può infatti fare in modo che i comportamenti di un allievo si ripresentino con sempre maggiore probabilità gestendo bene le loro conseguenze. Quando la conseguenza di una risposta ha come effetto di rinforzare la risposta stessa, rendendola più probabile in futuro, o più frequente, questa conseguenza prende il nome di rinforzatore. Classificazione dei rinforzatori I rinforzatori sono infiniti, tuttavia possono essere raggruppati in un certo numero di categorie: prima di tutto si possono dividere in primari e secondari. I rinforzatori primari sono legati a un bisogno primario, a un bisogno cioè essenziale alla nostra sopravvivenza. Sono rinforzatori primari il cibo e l’acqua, per esempio, e non vengono mai usati in un progetto educativo. I rinforzatori secondari sono legati a bisogni secondari, a cose cioè che ciascuno di noi impara ad apprezzare nel corso della vita e sono diversi per ogni persona, proprio perché ognuno ha una diversa storia. PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com I rinforzatori secondari possono a loro volta essere divisi in sei categorie. 1. Rinforzatori consumatori: sono quelli che si mangiano, come una caramella e rappresentano una categoria che andrebbe evitata perché producono una situazione didattica artificiosa; creano rapidamente sazietà, nel senso che in breve tempo l’allievo è stanco di rinforzatori di questo tipo che perdono dunque la loro efficacia; possono provocare problemi igienici e di salute. 2. Rinforzatori tangibili: sono quelli che si possono toccare, dunque oggetti concreti come le figurine, un’automobilina, ecc. Molte critiche fatte ai rinforzatori consumatori valgono anche per quelli tangibili. 3. Rinforzatori simbolici: sono quelli che traggono il potere rinforzante dal fatto di essere il “simbolo” di qualcosa d’altro. Per esempio, se un’insegnante decide di svolgere un programma nel quale i progressi del suo allievo sono sottolineati e gratificati da un gettone e stabilisce che 10 gettoni possono essere scambiati con un piccolo premio, quell’insegnante ha usato un tipo di rinforzatore simbolico. 4. Rinforzatori dinamici: non sono costituiti da cose che possono essere mangiate o manipolate, ma consistono nella possibilità di fare qualcosa di gradito. 5. Rinforzatori sociali: sono tutte quelle situazioni che hanno il potere rinforzante nell’interazione con altri esseri umani : la vicinanza fisica, un cenno di assenso, un sorriso, una carezza, la lode, l’applauso, ecc. 6. Rinforzatori informativi: essi consistono nella conoscenza, meglio se precisa e immediata, dei risultati prodotti da un’azione (es.”Bene, in 5 minuti sei riuscito a leggere 250 parole ed hai fatto 6 errori”). Collocazione dei rinforzatori Un rinforzatore può essere intrinseco oppure estrinseco. Il rinforzatore estrinseco è costituito da conseguenze esterne al soggetto, ad esempio il denaro, l'elogio che può seguire certi avvenimenti; è anche secondario, e le conseguenze su cui si fonda non sono automaticamente né naturalmente connesse ai nostri comportamenti, in quanto un certo tipo di comportamento potrà essere indifferentemente rinforzato positivamente o negativamente o addirittura punito a seconda della cultura nella quale il soggetto è immerso. Diversamente accade per i rinforzatori intrinseci, che sono conseguenze interne al soggetto, che sono prodotte automaticamente dai comportamenti. Ne sono un esempio la soddisfazione derivante dall'aver portato a termine un compito difficile, indipendentemente dai rinforzatori estrinseci che possono accompagnare quest'evento. Lo sforzo di ogni educatore è volto a far apprezzare le qualità intrinseche; ciò comporta inevitabilmente la graduale diminuzione, fino alla cessazione, dell'erogazione dei rinforzatori estrinseci, i quali generalmente vengono impiegati nelle prime fasi dell'intervento, qualora quelli intrinseci non siano in grado di influenzare positivamente il comportamento della persona". Habitat dei rinforzi Sono detti naturali tutti quei rinforzatori che il soggetto riceve nel contesto usuale di vita, sono invece detti artificiosi i rinforzatori che risultano essere esclusiva di un ambiente particolare. Sarà rinforzo naturale un elogio alla conclusione di un compito (conseguenza normale in ambiente scolastico, per qualsiasi persona), ma sarà un rinforzo artificioso la consegna di una caramella (conseguenza che è propria di un ambiente particolare). Anche in questo caso, obiettivo dell'educatore è quello di usare i rinforzatori artificiosi solo come uno strumento per passare il più velocemente possibile a quelli naturali. Aiuto,attenuazione dell’aiuto e apprendimento senza errori Tutti i metodi per favorire l’emissione di una risposta corretta prendono il nome di aiuti e servono a fare in modo che le risposte corrette si manifestino con la massima rapidità possibile. L’importante è PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com avere sempre presente che in un allievo con difficoltà uno dei primi obiettivi è quello di farlo sbagliare il meno possibile, perché ogni “compito” che produce un errore abbassa la motivazione, aumenta la frustrazione e l’insicurezza. Questo è il motivo per cui si danno gli aiuti: per produrre la maggior quantità possibile di apprendimento con il minor tasso possibile di errori. La guida fisica E’ un aiuto molto forte che dovrebbe essere usato solo quando è assolutamente necessario, perché in pratica consiste nel sostituirsi quasi completamente all’allievo. Non appena l’allievo mostra di essere in grado di fare a meno della mano dell’insegnante, la guida fisica deve essere attenuata e poi completamente sostituita. La guida gestuale Consiste nel mostrare l’azione che si deve eseguire L’aiuto verbale L’insegnante guida e suggerisce con la sua voce le risposte e i comportamenti corretti di un allievo. Uso di materiali-stimolo facilitati e facilitanti Gli aiuti possono essere inseriti nella situazione stimolo, modificando anche profondamente il materiale di insegnamento. Quando a causa delle difficoltà del soggetto, gli stimoli discriminativi sono troppo deboli, essi possono essere enfatizzati, in qualche caso si possono perfino aggiungere stimoli discriminativi nuovi. Apprendimento senza errori e attenuazione degli aiuti I programmi basati sull’uso sistematico di aiuti prendono il nome di apprendimento senza errori: perché, se gli aiuti sono ben scelti e sufficientemente forti, impediscono all’allievo di sbagliare. Inoltre l’apprendimento senza errori si rivela spesso una carta vincente non solo per insegnare nuove abilità, ma anche per ridurre problemi emotivi, di demotivazione e talvolta persino disturbi del comportamento in alunni difficili. Perché ci sia l’apprendimento di una nuova abilità è, però, importante che ci sia l’attenuazione degli aiuti, infatti a mano a mano che l’allievo procede nell’apprendimento gli aiuti devono essere tolti in modo graduale, attenuandoli via via che l’allievo acquista padronanza in un compito. Il modellamento Vedere un modello competente che esegue un’azione può essere un aiuto fortissimo nell’apprendimento di quell’azione particolare. E’ possibile utilizzare questa metologia didattica, detta appunto modellamento, praticamente in ogni circostanza, anche durante programmi molto semplici, come in programmi di autonomia personale; essa diventa sempre più importante a mano a mano che i compiti si fanno più difficili. Abilità e comportamenti complessi non possono essere insegnati solo in teoria, con delle parole, ma devono essere mostrati al ragazzo, poi gli si deve chiedere di imitare quello che l’insegnante fa, infine si devono rinforzare i tentativi di imitazione sufficientemente conformi al modello. Il modellaggio In termini tecnici si può definire il modellaggio quel metodo di insegnamento individualizzato che cerca di costruire una abilità del tutto assente in un individuo, iniziando a rinforzare comportamenti che si avvicinano a quella abilità e continuando a rinforzare le approssimazioni successive di quei comportamenti. In realtà il modellaggio, prima ancora che una tecnica, è una filosofia educativa che ogni insegnante dovrebbe far propria. Quando un allievo non sa far una cosa, non possiamo aspettare PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com che abbia imparato a farla perfettamente per dirgli che siamo contenti di lui. Dobbiamo invece chiederci: cosa c’è di buono che l’allievo sa già fare? Sa avvicinarsi a un banco. Sa prendere in mano la matita. Benissimo: è da qui che si deve partire, dai suoi punti di forza. Si comincerà a gratificarlo per questo; poi, piano piano, quando certe risposte saranno ben consolidate, non ci si accontenterà più e si comincerà a pretendere qualcosa di più. Ci si chiederà qual è l’approssimazione successiva che si può pretendere e si comincerà a lavorare su quella. Quindi il modellaggio si può articolare in cinque fasi: - Scelta dell’obiettivo - Scelta del comportamento iniziale - Scelta dei rinforzatori - Rinforzamento del comportamento iniziale - Rinforzamento delle approssimazioni succesive Il concatenamento Quando gli obiettivi da raggiungere sono costituiti da risposte complesse ed articolate può essere utile programmare il concatenamento delle risposte, cioè l’abilità di eseguirle tutte insieme nell’ordine giusto. Esistono due tipi di concatenamento: - Il concatenamento anterogrado, che consiste nell’insegnare all’allievo, già padrone delle singole risposte necessarie per eseguire un compito, a metterle insieme una dopo l’altra, a partire dalla prima. Quando emette l’ultima risposta e il compito è completo sarà molto facile rinforzarlo in modo naturale. - Il concatenamento retrogrado, che consiste nel partire insegnando prima di tutto ad eseguire l’ultima risposta, poi la penultima e l’ultima insieme, poi la terzultima, la penultima e l’ultima, e così via. La generalizzazione delle abilità acquisite Perché un programma di insegnamento sia valido bisogna che ad un certo punto l’allievo sia capace di dare le risposte corrette anche in assenza di tutti gli stimoli, gli aiuti, i rinforzatori, le speciali accortezze che si sono messe in atto. Dopo aver raggiunto un obiettivo, si deve cercare di lavorare per la sua generalizzazione che è la capacità di emettere la stessa risposta anche in presenza di stimoli un po’ diversi da quelli con i quali è avvenuto l’apprendimento. Per favorire la generalizzazione degli obiettivi raggiunti è utile seguire le seguenti linee guida: - Programmare la generalizzazione - Attenuare gli aiuti - Cambiare le condizioni di insegnamento - Avvicinare le situazioni di insegnamento alla realtà - Insegnare direttamente in situazioni reali PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com I COMPORTAMENTI PROBLEMA GRAVI Affrontare i comportamenti problematici gravi dell’alunno disabile quali: stereotipie invadenti, aggressività, autolesionismo, è sempre un compito difficile e complesso soprattutto se, come spesso accade, l’intervento educativo, oltre ad essere di livello strettamente individuale, è attuato senza comprenderne i significati funzionali. Frequentemente, infatti, vengono considerati manifestazioni intrinseche alla patologia,quindi immodificabili e, con rassegnazione, vissuti come un limite a cui adattarsi. Al contrario, anche questi devono essere intesi come prodotti del bisogno della persona di raggiungere uno stato ottimale di convivenza con se stesso e con il mondo quindi, con funzioni prevalentemente comunicative e interpersonali. Funzioni rilevanti se pensiamo come il comunicare, che sostanzialmente vuol dire costruire un significato insieme ad altri (Bara, Tirassa, 1999), sia così rilevante in quanto “i processi comunicativi sono da sempre parte costitutiva dell’agire dell’uomo”(Glasersfeld, 1989). Un elemento di complessità dell’intervento didattico-educativo sui comportamenti problema gravi è costituito dal fatto che pone all’alunno l’obiettivo di: imparare a non fare una particolare cosa, in quanto ci si prefigge di: eliminare e sostituire. Molta parte della programmazione è costituita da quelli «positivi», che consistono nell’insegnare a fare qualcosa che l’alunno non è ancora in grado di realizzare, o fa in modo non adeguato quali, ad esempio: aumentare i tempi di attenzione; risolvere problemi aritmetici; comprendere il significato di un testo; essere più collaborativo con i compagni. Molti, ancora, ritengono che il soggetto sia “giustificato” nella sua emissione di comportamenti problema in quanto: o non possiede modalità espressive e comunicative normali, o non interessato dalle attività proposte, o vive in un ambiente relazionale che è sfavorevole, punitivo, insensibile. L’insegnante che si trova quotidianamente a lavorare in una classe dove c’è un alunno con gravi problemi di comportamento, sente pressante l’esigenza di intervenire. E’ importante ricordare che ciò coinvolge profondamente il rispetto dell’identità e della libertà di espressione del soggetto, che ha il diritto inviolabile di non essere «modificato» nei suoi comportamenti perché creano disagio o fastidio. Non deve essere dimenticato che anche la persona diversamente abile è soggetto di diritti che la società deve rispettare. “L’uomo, ogni uomo, è concepito come persona a prescindere dal suo stato contingente”; egli “va rispettato in misura della sua pari dignità, nella valorizzazione delle diversità che lo qualificano e lo identificano in termini di unicità irripetibile”(Larocca, 1992). E’ importante ricordare però, che, per garantire il massimo sviluppo possibile della persona in difficoltà, è necessario liberarla dai vincoli che lei stessa si pone con i problemi di comportamento, mettendo in relazione il primato dell’identità e unicità della persona e il dovere che hanno l’operatore e il genitore di intervenire. Quest’ultima considerazione è stata definita, dal punto di vista della persona diversamente abile, come il «diritto a usufruire del trattamento più efficace attualmente disponibile» (Janes, Celi,2001). Tutti coloro che ne hanno la responsabilità educativa dovrebbero decidere se un certo comportamento gli crea un grave problema e farlo avendo presente e ben chiaro il vantaggio e il benessere psicologico e sociale l’alunno in difficoltà che, va sottolineato, è la parte più debole del sistema Ecco, quindi, che anche nel caso degli interventi psico-educativi sui comportamenti problema è importante non decontestualizzarli e non farli oggetto soltanto di procedure che diventano di fatto repressive. E’ necessario far evolvere la relazione educativa proponendo all'alunno modalità sostitutive, più accettabili, di comunicare e, attraverso attività di empowerment socioaffettivo, comunicativo e PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com relazionale, metterlo in grado di esprimere vissuti emotivi, anche forti, senza ricorrere a modalità distruttive. LA DECISIONE DI PROBLEMATICITA’ Per non avere una visone “normalizzante”, quali sono i criteri da utilizzare per decidere se un comportamento è problematico o se fa parte di ciò che si deve tutelate come individualità? Questo è un punto ad alta criticità basti pensare che, spesso, i comportamenti non vengono da tutti letti allo stesso modo. Da cosa parte la percezione di comportamento problema? Da cosa origina? Probabilmente da un nostro disagio o da un vissuto negativo, di pena o di repulsione. Il vissuto psicologico negativo è sufficiente per decidere che un comportamento è problematico? Alla domanda retorica è evidente che la risposta non può che essere negativa. Infatti, dovendo spesso agire pesantemente su una persona per operare il cambiamento l’etica e la deontologia professionale ci impongono di essere legittimati a farlo con lo scopo esclusivo di migliorare la qualità della sua vita e non solo quello della nostra. Quindi dobbiamo decidere se un comportamento che a noi genera fastidio, è veramente problematico per la persona che ne è portatrice. I parametri di giudizio non possono essere soggettivi, riconducibili alle convinzioni morali e pedagogiche o all'umore e al livello di burn-out di chi opera con le persone disabili. Inoltre, dimostrare che un comportamento costituisce un ostacolo per il soggetto può essere decisamente difficile. Si pensi, ad esempio, ad uno che non procuri danno, quindi non autolesionistico o distruttivo ma che, sul piano della stigmatizzazione sociale, sia motivo di emarginazione. In un'ottica pedagogica di riduzione di asimmetria, tale comportamento potrebbe essere considerato un ostacolo allo sviluppo del soggetto e distinto dalle "variazioni di stile" ed espressioni di identità e soggettività particolari. Esistono, poi, dei comportamenti strani che percepiamo come problematici, ma che non causano né danno né ostacoli rilevanti allo sviluppo o socializzazione dell’alunno. Quanto sinora affermato porta ad individuare le prime 2 operazioni da eseguire per l’impostazione dell’intervento educativo: a. chiarificazione oggettiva della situazione comportamentale del soggetto b. valutazione della reale problematicità dei suoi comportamenti Chiarificazione oggettiva della situazione comportamentale del soggetto Dal punto di vista generale della metodologia per rimanere ancorati saldamente ai dati oggettivi, senza lasciarsi trascinare da ipotesi interpretative, infatti, è fondamentale effettuare prima la «DESCRIZIONE NON INTERPETATIVA DEL FENOMENO ». Tutti coloro che, a vario titolo, interagiscono con regolarità con l’alunno: insegnanti, educatori, familiari, terapisti, ecc., dovrebbero collaborare a quella che viene definita: la descrizione operazionale dei comportamenti problema, cioè la più particolareggiata e precisa possibile delle forme di comportamento che si vorrebbero sostituire attraverso un intervento educativo. Pur sussistendo un accordo generico sulla necessità di porre sotto controllo l’aggressività o la «tendenza all’autostimolazione» dell’alunno, è necessario che ognuno specifichi, per iscritto e riferendosi solo ad una descrizione di comportamenti osservabili, cosa intende in quel caso per aggressività e «autostimolazione». Alla fine di questa fase dovrebbe essere disponibile un elenco di quelli ritenuti problematici dalle varie persone, espressi e descritti chiaramente, in modo condiviso ed inequivocabile. Ciò consente di sostituire al termine generico aggressività, espressioni quali: ♦ dare calci, ♦ lanciare sedie, ♦ sputare, ecc. PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com Se su queste descrizioni si è raggiunto un accordo pieno, nel senso che ognuno riconosce che, se pur con frequenze diverse, l’alunno emette qualcuno di essi, possiamo ritenere di aver individuato i comportamenti per lui problematici. Questa parte del percorso di preparazione, che può sembrare pedante e ossessiva, è importante per i seguenti motivi: - è un primo momento di ricerca comune di un punto di accordo da parte di coloro che dovranno lavorare insieme nella stesura e realizzazione del progetto educativo. Questo non è un momento in cui non emergono tra le persone coinvolte nell’osservazione particolari divergenze, in quanto il livello è puramente descrittivo, che saranno assai più probabili quando si cercherà di capire il perché quel soggetto manifesti così frequentemente quei comportamenti problema; - fornisce una base chiara e oggettiva da cui partire per prendere le decisioni su quali saranno gli obiettivi prioritari dell’intervento; - serve a costruire una modalità di osservazione sistematica e di registrazione dei comportamenti adeguata e definita su misura per le specificità di quella situazione. Valutazione della reale problematicità dei comportamenti A questo punto si entra nella seconda fase di questa analisi preliminare, che si può definire: decisione di reale problematicità. E’ un punto di alta criticità in quanto, in queste valutazioni intervengono fattori soggettivi e oggettivi : • soggettivi: quelli che passano attraverso parametri di giudizio che sono costituiti da idee e convinzioni su ciò che è normale e positivo e su ciò che non lo è; • oggettivi: quelli riferiti al benessere e allo sviluppo della persona diversamente abile. Ognuno ha un punto di vista personale che può variare anche per motivi abbastanza futili, quali: lo stato di umore, il livello di soddisfazione lavorativa e simili. Se pensiamo però ai dubbi e alle difficoltà che vivono insegnanti e genitori nel decidere se e come affrontare la masturbazione o i tentativi di approccio omosessuale di un adolescente con ritardo mentale ci rendiamo conto che nella decisione devono intervenire fattori soggettivi ben più importanti, quali: i principi e le convinzioni morali e pedagogiche. Quando viene presa la decisione di problematicità di un comportamento ci deve essere la consapevolezza che questo ci impegna, per deontologia professionale e senso etico, a intervenire in tutti i modi possibili e leciti. È fondamentale che in questa fase tutti dichiarino apertamente le proprie convinzioni, principi e preoccupazioni, per confrontarle a fondo, nella prospettiva di raggiungere un accordo su obiettivi e tecniche di intervento. Ciò viene a costituisce una base solida all’intervento in quanto ne garantisce l’indispensabile coerenza e omogeneità di approccio, e ne moltiplica le possibilità di successo. L’alunno diversamente abile troverà un «fronte unito» di persone che collaborano seriamente condividendo decisioni, obiettivi e metodi. Per arrivare alla decisione di problematicità sono almeno tre i criteri da utilizzare: (Janes, 1992): 1) il danno: il comportamento danneggia in modo significativo: la persona, altri, le cose? Se ciò non è utilizziamo un secondo criterio; 2) l’ostacolo: se il comportamento, nel lungo periodo, impone un ostacolo poiché diventa: danno affettivo, relazionale, per l’accettazione, e un problema per l’integrazione. Se non c’è ostacolo ne utilizziamo un terzo; 3) l’immagine sociale: per agire a tutela della persona debole, dobbiamo porre attenzione alle bizzarrie, che possono danneggiare la sua immagine sociale, poiché chi ha ritardo mentale vive già una “stigma” e non ha grandi strumenti per sostenere questa sua diversità. E’ importante sottolineare che anche il comportamento più grave, più strano ha un suo motivo di esistere. Diventa indispensabile, quindi, capirne la funzione. PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com ANALISI FUNZIONALE DEI COMPORTAMENTI PROBLEMA L’osservazione L'osservazione, finalizzata all'individuazione degli “eventi” (stimoli) antecedenti e di quelli conseguenti l’emissione del comportamento problema, costituisce la fase preliminare dell’analisi funzionale. Può essere effettuata in diversi modi, più o meno strutturati e formalizzati. L’approccio cognitivocomportamentista, parte dalla raccolta sistematica di tutti i dati che dovranno poi essere interpretati nella successiva analisi. Alla base di questo orientamento vi è la convinzione che "è quasi impossibile intervenire su un comportamento problema con buone probabilità di successo e con profondo rispetto della persona se non s è capito perché quella persona si comporta in quel modo"(Ianes, 1992). L’ IPOTESI COMUNICATIVA DEI COMPORTAMENTI PROBLEMA “L’ipotesi interpretativa che si rivela di grande utilità, nel caso di disturbi del comportamento, è la cosiddetta ipotesi comunicativa, secondo la quale molti comportamenti problema sono dei messaggi. Infatti, di solito, questa tipologia di comportamenti problema è più frequente in soggetti molto carenti nelle abilità comunicative; pensiamo ad esempio a comportamenti gravi come l’autolesionismo e le stereotipie, che sono quasi esclusivamente presenti in soggetti che non hanno l’uso del linguaggio.”(Ianes, Celi 2001) Molto importante risulta essere lo studio degli effetti conseguenti il comportamento problema, da cui si possono individuare essenzialmente tre funzioni, due delle quali comunicative: a ) Effetto “arricchimento di stimoli sociali positivi”: ad esempio l’attenzione dell’adulto b) Effetto “ allontanamento di situazioni avversive”: ad esempio una situazione di compito c) Effetto “stimolazione sensoriale”:tipico delle stereotipie L’ipotesi sulla funzione che svolge un comportamento nasce dalla conoscenza che già si possiede, o si può raccogliere da altre fonti, sul soggetto e sulle sue abitudini. Quelle formulate inizialmente andranno poi verificate con una serie ripetuta di osservazioni effettuate proprio nel momento dell’emissione dei comportamenti problema. “…Queste osservazioni, come già si ricordava, dovrebbero confermare o meno l’ipotesi di partenza attraverso la documentazione di «regolarità» di interazione tra i tre elementi base della situazione: gli eventi «antecedenti»al comportamento problema (il contesto di partenza: ad esempio, scarsa stimolazione, richieste di attività che provocano paura, oppure frustrazione di un desiderio, ecc.), il comportamento problema gli eventi «conseguenti» (ciò che accade dopo: ad esempio, tutti accorrono per trattenere e bloccare il soggetto, l’insegnante smette di proporgli attività didattiche, egli riesce finalmente a uscire in giardino, ecc.). Se queste osservazioni ripetute nel tempo riescono a evidenziare un qualche tipo d regolarità, di schema tipco di interazione, ci si potrà avvicinare alla comprensione delle cause di quel comportamento. Nella realtà psicologica e relazionale delle persone con ritardo mentale grave, le cose però non sono mai così semplici, e può sembrare, in qualche caso, che non vi sia nessuna regolarità significativa. Sembra infatti che il soggetto usi quel comportamento per i più svariati motivi: qualche volta per avvicinare l’adulto, altre volte per allontanarlo, altre ancora per autostimolarsi. In questo caso si può ricorrere al metodo dell’osservazione del soggetto in «situazioni analoghe» appostamente costruite. Si cerca cioè di mettere il soggetto per alcune volte in una situazione che si ha modo d ritenere collegata al suo comportamento problema: ad esempio si può frustrare con delle probizoni la sua PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com tendenza a prendere vari oggetti,e si osserva se durante queste «provocazioni» appare con regolarità significativa il suo comportamento probema. In questo caso si possono forzare un po’ le situazioni per raccogliere più in fretta dati osservativi che altrimenti potrebbe essere più dfficile ottenere in tempi contenuti.” (Ianes, Celi, 2001) L’analisi funzionale dovrebbe fornire indicazioni sulle dinamiche che mantengono attivo un comportamento problema e precisamente: 1. Che funzione svolge? (Comunicativa verso altre persone ricercando situazioni gratificanti e positive, evitando e/o fuggendo da situazioni spiacevoli e negative, oppure autostimolatoria e cioè di produzione corporea e non sociale di stimoli gratificanti?) 2. In quali occasioni è più frequente? 3. Quali comportamenti alternativi positivi potrebbero essere usati dal soggetto per svolgere le stesse funzioni? Ne consegue, sul piano pratico, che si dovrà agire in più fasi: 1. OSSERVAZIONE e relativa DESCRIZIONE a. di situazioni stimolo b. dei comportamenti del soggetto c. delle conseguenze ambientali a tali comportamenti 2. ANALISI a. cercare nelle varie osservazioni le ricorrenze tra la situazione stimolo ed il comportamento del soggetto e tra il comportamento del soggetto e le conseguenze b. in base alla conoscenza del soggetto formulare delle ipotesi che configurino “le conseguenze” come rinforzo al comportamento e, quindi, implicitamente, suggeriscano la probabile funzione comunicativa o di richiesta del comportamento stesso (ricerca di stimoli sociali, evitamento della situazione avversiva, autostimolazione). CRITERI METODOLOGICI I criteri metodologici alla base dell'analisi funzionale sono: a. scegliere l'ambito in cui operare b. utilizzare un linguaggio descrittivo c. campionare e misurare il comportamento scelto e descritto d. annotare le variazioni nel tempo e. individuare le variabili in relazione al comportamento (analisi funzionale) L’osservazione, fase preliminare importante di qualsiasi intervento educativo, diventa strumento indispensabile nel caso dei comportamenti problema, in quanto serve a formulare un quadro, il più possibile preciso, dei disturbi dell’alunno aiutando a capire in quali circostanze hanno la maggior o minore frequenza o in quali non compaiono affatto. E’ importante sottolineare che solo attraverso l’osservazione sistematica sarà possibile valutare sulla base di riscontri oggettivi e non su quella di impressioni soggettive, se gli interventi funzionano e se i comportamenti problema dell’alunno diminuiscono. Può essere effettuata in diversi modi, più o meno strutturati e formalizzati; una distinzione va fatta tra osservazione informale e osservazione sistematica, modalità entrambe utili nella fase di preparazione dell’intervento. PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com L’osservazione informale, che non nasce da un progetto preciso, né usa strumenti specifici o luoghi di osservazione preferenziale e non può, quindi, essere considerata un vero e proprio metodo, è molto utile come momento iniziale, perché permette di farsi un’idea della situazione, di decidere che cosa osservare con maggiore precisione e di formulare le prime ipotesi. Attraverso l’osservazione informale si può affermare che: l’alunno è aggressivo. Con quella sistematica si può dire che: dalle dieci alle undici, mentre in classe con la maestra stava facendo esercizi di lettura, l’alunno ha detto per sette volte una parolaccia al suo compagno di banco. L’obiettivo è: osservare alcuni specifici comportamenti problematici e rilevarne la frequenza. Appare evidente che il risultato di un’osservazione casuale è, generalmente, un’etichetta: «aggressivo, iperattivo, autolesionista, ecc», quello di una sistematica è, spesso, un dato numerico contestualizzato e preciso. Le etichette che, peraltro, non danno informazioni utili né sui comportamenti nè sui miglioramenti dell’alunno, in ambito pedagogico e psicologico possono essere causa di giudizi sbagliati e imprecisioni. L’osservazione sistematica può dare risposte a domande quali: • quando è iperattivo, aggressivo, ecc? • durante quali attività? • con quali insegnanti? • con quali compagni? • gli episodi accadono più frequentemente nelle prime o nelle ultime ore? Inoltre è possibile avere un quadro preciso dei miglioramenti dell’alunno e, quindi sull’efficacia del programma. All’interno dell’osservazione sistematica ci sono inoltre molte variabili, parametri ed elementi che vanno attentamente programmati e definiti con la maggior precisione possibile. Come si è visto, a tale scopo è utile descrivere operazionalmente i comportamenti che vengono osservati. Per esempio, si può decidere che uno di questi sia l’aggressività ma come indicatore è ancora troppo generico, infatti, l’alunno può essere aggressivo perché risponde male alla maestra oppure perché picchia un compagno. Allora si può descrivere il comportamento aggressivo in quattro categorie, distinguendo l’aggressività fisica da quella verbale, e indicando se è rivolta agli adulti oppure ai coetanei. Per riuscire a tradurre in dati numerici un’osservazione sistematica è necessario, dopo aver classificato il comportamento, scegliere un parametro di misurazione. Il primo parametro e, forse, il più usato è la frequenza che, peraltro non è sempre quello più significativo. Il secondo è la durata che è fondamentale se dobbiamo osservare comportamenti che si protraggono nel tempo come, per esempio, l’allontanarsi dal banco. Il terzo è l’intensità che, peraltro, è difficile riuscire a osservare con sufficiente precisione e obiettività in quanto, soprattutto nei casi di gravi atti autolesionistici , il nostro vissuto emotivo è così intenso e doloroso da far perdere, magari per pochi istanti, il contatto con la realtà professionale e il compito. Esistono fondamentalmente quattro modi per effettuare quella di un comportamento (Meazzini, 1997): a) ininterrottamente per tutto il giorno; b) per "incidenti critici"; c) fissando arbitrariamente una serie di intervalli di tempo all’interno dei quali alternare i periodi di osservazione; d) privilegiare dei momenti che, a priori, si suppongono più significativi, ad esempio: pranzo, uscita, intervallo. PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com Tutti questi schemi hanno una loro precisa indicazione, per esempio: a) Osservare ininterrottamente per tutto il giorno potrebbe fornire indicazioni preziosissime, ma creare situazioni per poter procedere in questo modo può essere estremamente difficile, per lo meno nella scuola. b) Osservare per incidenti critici è molto utile per comportamenti poco frequenti o molto disturbanti. c) Osservare per intervalli di tempo fissati arbitrariamente garantisce maggiore oggettività. d) Osservare in momenti presunti più significativi può consentire di risparmiare tempo ma può limitare la conoscenza. Generalmente, poiché l’osservazione sistematica richiede uno specifico impegno e, spesso non può essere effettuata contemporaneamente ad altre attività, si può ricorrere al “campionamento a tempo” Non potendo osservare i comportamenti che interessano tutto il giorno e tutti i giorni, lo si farà per periodi di tempo, ponendo attenzione a campionarli in modo che siano rappresentativi di tutta la settimana scolastica dell’alunno. Questa procedura risulta molto utile per dare un minimo di garanzia di obiettività. Si è giunti all’ultimo passo prima dell’intervento che è costituito da quella che viene definita misurazione di base e che è quell’osservazione sistematica che consente di osservare l’alunno in circostanze normali e ci informa sulla situazione di partenza. Dato rilevante per valutare il percorso educativo. <L’osservazione deve poi continuare rigorosamente anche durante la fase di intervento per poter valutare l’efficacia del lavoro che stiamo svolgendo, per andare avanti se i dati ci diranno che il comportamento negativo sta diminuendo, per correggere il tiro se ci accorgiamo che qualcosa non va .> (Janes, Celi,2001). Molte ricerche hanno cercato di valutare l'efficacia delle varie tecniche utilizzabili per ridurre o eliminare i comportamenti problema. L'estinzione, l'uso del rimprovero, il time-out, il costo della risposta ed altre hanno come focus l'eliminazione dei comportamenti problema (in particolare autolesione, aggressività, collera) soprattutto quando questi sono gravi al punto da mettere a repentaglio la salute del bambino o la possibilità di un soddisfacente sviluppo suo e dei pari(Ianes, 1992). Attualmente ricercatori e psicologi clinici sono concordi nel ritenere che l'eliminazione dei problemi comportamentali sia solo un primo passo, seppur essenziale, nel processo terapeutico. Il trattamento, così come è concepito dagli orientamenti attuali, mira non più solo ad eliminare il comportamento problema, ma a sostituirlo con un comportamento adeguato che abbia la stessa funzione. Essenziale diventa, perciò, il rinforzo che segue il manifestarsi del comportamento corretto (rinforzo differenziale). La logica della sostituzione necessita la definizione del "cosa" e "con cosa " sostituire, poiché parte dal presupposto che i comportamenti "servono" al soggetto. Tuttavia, la comprensione fornitaci dall'analisi funzionale dovrebbe essere la guida per impostare correttamente l'azione educativa, che non può avere luogo soltanto in risposta ai comportamenti negativi, ma va pianificata in modo da essere attuata anche al di fuori degli "incidenti critici". Un intervento soltanto reattivo al comportamento problema, infatti, "lascia l'iniziativa in mano al soggetto, con l'operatore che gioca in difesa, continuamente spiazzato dalle mosse del soggetto, e che rincorre quest'ultimo con risposte sempre più punitive"(Ianes, 1992) Il problema più rilevante risulta essere, quindi, individuare quali comportamenti corretti (possibilmente già messi in atto dal soggetto) possano essere "funzionalmente equivalenti" e "fisicamente incompatibili" , cioè rispettivamente adatti ad esprimere lo stesso messaggio ma con modalità socialmente accettabili. Individuare una modalità diretta ed esplicita (verbale) in cui l’alunno già riconosca l'equivalenza funzionale, può non essere semplice. L'ideale, tuttavia, sarebbe individuare delle strategie per PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com incrementare i comportamenti adeguati già preseni nel repertorio dell'allievo, attraverso il rinforzo. Come sottolinea Meazzini (1997), il rinforzo è "un qualsiasi evento che abbia la capacità di modificare le frequenza con cui compare un determinato comportamento, incrementandola". Ma, come già detto, se esistono comportamenti già in repertorio del soggetto, anche se hanno un carattere routinario, potrebbero costituire il punto d'inizio dell'intervento. Come si evidenzia in alcuni studi condotti su situazioni sperimentali , una delle strade percorribili può essere il training di comunicazione funzionale, inizialmente applicata nei comportamenti di grave distruttività, ma estendibile a tutti quei casi in cui l'analisi funzionale abbia fornito come possibile spiegazione riconducibile a richiesta di attenzione o di aiuto ed evitamento di situazione avversive PRESUPPOSTI OPERATIVI DI UN INTERVENTO EDUCATIVO MIRATO AL MIGLIORAMENTO DELLE MANIFESTAZIONI COMPORTAMENTALI Questi i passaggi fondamentali: 1. Comprendere le funzioni comunicative o autostimolatorie del comportamento problema; 2. Centrare il lavoro sulla situazione dell’alunno ponendo particolare attenzione a tutti gli stimoli che potrebbero essere responsabili dell’emissione. 3. Focalizzare attenzione e attività sui suoi aspetti positivi o capacità emergenti. Soprattutto nella fase iniziale, i programmi individualizzati dovrebbero venir strutturati in modo da abbassare nettamente il tasso di probabilità di errore dell’alunno e dunque la sua frustrazione, senso di inadeguatezza, stanchezza, ossia tutti quei fattori che possono indurlo a utilizzare comportamenti problema. Questo consente di poter lavorare in situazioni meno stressanti e concentrare attenzione e risorse emotive sull’intervento educativo dei comportamenti problema senza disperderne in azioni di contenimento, farraginose e fini a se stesse. Molto importante è strutturare la situazione didattica e relazionale in modo da togliere, se possibile, gli stimoli causa del comportamento inadeguato a favore di quelli che tendono a produrne di positivi come l’attenzione e la motivazione al compito. Se, togliere tutti gli stimoli scatenanti, impedisce il procedere nella direzione indicata dal piano educativo individualizzato, è possibile, mantenendo gli obiettivi educativi, modificare il tipo di attività proposta, rendendola più consona alle sue caratteristiche. Una strategia può essere quella di trovare dei collegamenti tra la vita quotidiana degli alunni, i contenuti e i processi di insegnamento; questa modalità ha anche innumerevoli benefici sulla motivazione dell’alunno.(anes .Celi,2001) PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com