Atti del 1° Convegno EAN - European Astrosky Network

Manifestazioni di Astronomia
Cervarezza Terme
(10-11-12 ottobre 2008)
Atti del 1° Convegno dell’European Astrosky Team
a cura di Rodolfo Calanca e Angelo Angeletti
COMUNE DI BUSANA (RE)
2009
La locandina della manifestazione è opera di Enzo Rossi, al quale va
il nostro più sentito ringraziamento
1
Atti del 1° Convegno dell’European Astrosky Team
Cervarezza Terme, 10-11-12 Ottobre 2008
a cura di Rodolfo Calanca e Angelo Angeletti
2
Il Sindaco di Busana Alessandro Govi ed il Presidente del GADAR Pietro
Campani durante la cerimonia del taglio del nastro all’inaugurazione
dell’Osservatorio astronomico di Cervarezza Terme (10 ottobre 2008).
Il telescopio riflettore di 60cm dell’Osservatorio di Cervarezza Terme
3
INDICE
Rodolfo Calanca ed Angelo Angeletti, Prefazione
Rodolfo Calanca, L’Osservatorio di Cervarezza Terme
Atti del Convegno
Convegno: i relatori
Angelo Angeletti, Breve storia dell’Associazione Astrofili
“Crab Nebula” di Tolentino e descrizione delle attività
Angelo Angeletti, L’osservazione dei transiti dei pianeti
extrasolari: un anno di attività dell’European Astrosky Team
Paolo Bacci, A.p.A. asteroidi per astrofili
Rodolfo Calanca, Il progetto European Astrosky Network
Rodolfo Calanca, EANweb: alcuni progetti culturali e
scientifici per l’Anno Internazionale dell’Astronomia 2009
Fabrizio Ciabattari, Sauro Donati, Emiliano Mazzoni, Misura
della parallasse di Cerere, una esperienza didattica
Fabrizio Ciabattari, Sauro Donati, Emiliano Mazzoni,
L’automazione dell’Osservatorio astronomico di Monte Agliale
Vittorio Lovato, Spettroscopio a prisma per il telescopio da
500mm della AAAV
Angelo Piemontese, Perché “caso” riferito all’evento
Tunguska?
Chiara Riedo, Progetto ‘RA’: la spettroscopia astronomica
amatoriale con strumenti realizzati in proprio
Enzo Rossi, Il progetto e la costruzione del telescopio ‘Urano’
Alberto Villa, Spettrografia amatoriale, esperienze con lo
spettrografo autocostruito del Centro astronomico di Libbiano
Alberto Villa, La gestione di un Osservatorio pubblico,
l’esperienza del Centro astronomico di Libbiano
Alberto Villa, 1° agosto 2008: eclisse totale di Sole
Fabio Zucconi, Problematiche ottiche nella rilevazione di
transiti di pianeti extrasolari
Ringraziamenti
4
p.
p.
6
8
p. 16
p. 20
p. 36
p. 52
p. 58
p. 64
p. 82
p. 88
p. 96
p. 102
p. 126
p. 140
p. 148
p. 162
p. 172
p. 194
p. 202
5
Prefazione
In questo volume abbiamo raccolto gli atti del 1° Convegno
dell’European Astrosky Network (EAN, una community culturale e
scientifica, attiva prevalentemente sul Web attraverso un proprio portale,
www.eanweb.net), svoltosi a Cervarezza Terme nei giorni 11 e 12 ottobre
2008.
Il Convegno ha avuto luogo nell’ambito delle Manifestazioni di
Astronomia, patrocinate dal Comune di Busana, che si sono tenute nella
bella località dell’Appennino Reggiano in occasione dell’inaugurazione del
locale Osservatorio astronomico. Questa pregevole realizzazione, tra le più
interessanti dell’astronomia non professionale a livello nazionale, ha
richiesto ben dieci anni di lavoro ed il costante impegno del Comune di
Busana, proprietario della struttura, del GADAR, il locale gruppo astrofili,
ed il contributo di numerosi Enti pubblici e privati.
Nel corso del Convegno sono state formulate diverse proposte, culturali
e scientifiche, ma anche dei progetti di ricerca già in corso o che dovrebbero
prendere l’avvio in concomitanza con l’Anno Internazionale
dell’Astronomia 2009 che è anche l’occasione per celebrare il quarto
centenario del primo utilizzo scientifico del cannocchiale da parte di Galileo
Galilei.
L'astronomia, la più antica delle scienze, ha avuto un ruolo importante in
quasi tutte le culture e questo fatto stimola tutti coloro che ad essa dedicano
energie e passione affinché i cittadini del mondo riscoprano il loro posto
nell’universo attraverso l'osservazione del cielo e facendo in modo che tutti
possano provare l'indescrivibile emozione della scoperta personale degli
oggetti celesti.
In quest’ottica di conoscenza e di riscoperta condivisa si muovono i
progetti divulgativi proposti dall’EAN e qui ampiamente illustrati: “Caccia
alla cometa” e “Alla scoperta dei libri che hanno caratterizzato la
rivoluzione astronomica: l’Astronomia Nova e la Dioptrice di Kepler ed il
Sidereus Nuncius di Galileo”.
Durante il Convegno sono state anche descritte le importanti esperienze
di gestione degli Osservatori astronomici di Libbiano – Peccioli e di Monte
d’Aria di Serrapetrona (rispettivamente illustrate da Alberto Villa e Angelo
Angeletti) che hanno tra i loro scopi primari la divulgazione
dell’astronomia.
In un dominio più tecnico, sono risultati di particolare rilievo i
contributi di Chiara Riedo, Alberto Villa e Vittorio Lovato, che hanno
descritto in dettaglio i rispettivi progetti di spettroscopi autocostruiti,
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strumenti di grande utilità didattica per lo studio della composizione
chimica dei corpi celesti più luminosi.
In conclusione di questo parziale elenco, che non esaurisce gli argomenti
trattati nella due giorni del Convegno, accenniamo all’importante progetto
dell’EAN, attivo dalla metà del 2007, e relativo all’osservazione dei transiti
di pianeti extrasolari che Angelo Angeletti ha riassunto in un suo intervento
dal quale emerge l’intrinseca qualità della proposta accolta con particolare
favore da numerosi amatori non solo italiani.
Non vogliamo chiudere questa nota senza citare il lavoro illustrato da
Fabio Zucconi che ha parlato di importanti aspetti legati allo studio dei
transiti di pianeti extrasolari. Fabio si è recentemente laureato in fisica con
una tesi che, nel corso del suo concepimento, forse ha tratto ispirazione dal
progetto EAN sui transiti condotto da Angeletti. E’ per noi una grande
soddisfazione pensare di aver motivato, in una qualche misura, un giovane
e brillante ricercatore ad intraprendere lo studio di un’area dell’astronomia
tra le più importanti ed innovative.
Con la speranza che si possa presto ripetere un altro incontro così ricco
di contributi, presentiamo con particolare piacere gli Atti del Convegno
ringraziando tutti coloro che vi parteciparono.
Rodolfo Calanca e Angelo Angeletti
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Rodolfo Calanca
L’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI CERVAREZZA TERME
Descrizione delle strutture
L’Osservatorio Astronomico di Cervarezza Terme (RE), di proprietà del
Comune di Busana (RE), sorge ad una quota di 1000 metri in una località
pianeggiante e dominante le vallate del Secchia e del Ramisetano. Esso è
facilmente raggiungibile sia dalla sottostante Strada Statale 63 che dalla via
delle fonti di Santa Lucia, con la possibilità di parcheggio.
Lo strumento principale è un riflettore Reginato di 60cm, f/3.6
equipaggiato con un CCD di qualità professionale. L’Osservatorio è
collocato in una delle zone astronomicamente più favorevoli
dell’Appennino emiliano per l’ottima trasparenza dell’atmosfera ed il basso
inquinamento luminoso.
8
Un adeguato numero di notti scure nel corso dell’anno
In Emilia-Romagna due terzi della popolazione ha perso la possibilità di
vedere la Via Lattea dal luogo dove vive e ciò a causa dell’inquinamento
luminoso. Per inquinamento luminoso intendiamo quella alterazione della
quantità naturale presente nell’ambiente notturno provocata dall’immissione
di luce artificiale. La luce artificiale inquina quando altera la quantità di luce
naturale.
Un elevato inquinamento luminoso altera sia il rapporto con l’ambiente
in cui viviamo, sia la percezione del “mondo” attorno a noi e ciò comporta
un danno culturale incalcolabile perché provoca la sparizione di quel cielo
stellato che è da sempre fondamentale stimolo alla cultura, sia umanistica
sia scientifica. Non dobbiamo poi dimenticare che l’inquinamento luminoso
ha documentati effetti negativi sull’ambiente e sulla salute degli esseri
viventi, che vanno dall’alterazione delle abitudini di vita degli animali e, per
l’uomo, abbagliamento, miopia e possibili alterazioni ormonali.
L’Osservatorio di Cervarezza Terme (RE)
Il riflettore Reginato di 60cm di
diametro, f/3.6
La prima valutazione delle aree inquinate da un eccesso di illuminazione
artificiale venne fatta nel 1971 all’Università di Padova, mentre la prima
mappa della brillanza artificiale del cielo in Italia uscì due anni dopo grazie
ad uno studio eseguito da alcuni astronomi della Specola Vaticana. Gli studi
attuali, basati sull’analisi dei dati satellitari, confrontati con quelli ottenuti
negli anni ’70, mostrano che la crescita attuale dell’inquinamento luminoso,
in Italia, è dell’ordine del 10% annuo.
9
nero
<0.1
0.1-0.2
0.2-0.4
0.4-0.6
0.6-0.8
0.8-1.0
1.0-1.2
1.2-1.4
1.4-1.6
1.6-1.8
1.8-2.0
>2.0
porpora
viola
blu
blu chiaro
verde
giallo-oro
giallo
arancio
rosso
rosa intenso
rosa
Cartina del degrado della visibilità delle stelle ad occhio nudo nella Penisola. A fianco, la
corrispondenza tra i colori ed il degrado della magnitudine. La cartina indica il
decadimento della capacità di percepire le stelle da parte della popolazione; gli effetti
dell’inquinamento luminoso sono chiaramente visibili anche nelle montagne. L’Osservatorio
di Cervarezza (pallino bianco) si trova in una zona di colore viola, che sta ad indicare un
degrado contenuto, compreso tra 0.2 e 0.4 magnitudini.
L’Osservatorio astronomico di Cervarezza Terme sorge in un’area
all’interno della quale l’inquinamento è assai contenuto (si veda la cartina
qui sotto), con un degrado minimo della visibilità stellare, inferiore a 0.4
magnitudini. Con queste caratteristiche, che dovranno essere preservate
anche nei decenni futuri attraverso un’oculata gestione dell’illuminazione
artificiale, l’Osservatorio può costituire un punto di riferimento sia per una
concreta serie di attività scientifiche di prim’ordine sia per una didattica
qualificata rivolta alle scuole di ogni ordine e grado.
Sotto il profilo dell’immagine, l’intervento viene quindi ad assumere una
valenza culturale di sicuro prestigio non solo per la comunità di Busana –
Cervarezza Terme – ma per l’intero Appennino Reggiano in quanto unica
struttura esistente.
Valutazioni sull’utilizzo dell’Osservatorio
Le attività dell’osservatorio si inseriscono nella realtà già consolidata e
in espansione del Parco, ora Parco Nazionale che da tempo promuove la
valorizzazione e la conoscenza dell’ambiente nel territorio del Parco e
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costituiscono una peculiarità di tipo prettamente culturale, rivolto ad un
turismo alternativo e non convenzionale.
L’uso dell’osservatorio è esteso a tutto il corso dell’anno a
potenziamento sia dell’attività turistica estiva sia a supporto di quella
sciistica invernale in quanto sia l’osservazione dei fenomeni del sistema
solare, sia del cielo profondo ha carattere di continuità.
Per eseguire una valutazione attendibile sulle possibilità di utilizzo
dell’Osservatorio ci possiamo senz’altro riferire alle condizioni
meteorologiche rilevate presso l’Osservatorio professionale di Loiano,
nell’Appennino bolognese, a 800 metri sul livello del mare, nel periodo
2000-2005. L’orografia e le caratteristiche climatiche di Loiano e
Cervarezza sono molto simili e confrontabili.
STATISTICA DELLE NOTTI ALL’OSSERVATORIO DI LOIANO
(tratto da: INAF, Relazione sulla Stazione osservativa di Loiano, p. 5,
marzo 2006)
Dai dati della tabella si può congetturare che anche a Cervarezza il 50%
delle notti dovrebbero essere interamente o parzialmente utilizzabili. Anche
il seeing medio a Cervarezza è simile a quello rilevato a Loiano. La tabella
qui sotto, che si riferisce al periodo 2001-2005, mostra che il seeing medio è
di 2”, con punte di 1.5”, nella tarda primavera o in autunno.
In conclusione, possiamo certamente sostenere che il sito
dell’Osservatorio di Cervarezza è di buona qualità, con numerose notti
serene e caratterizzato minime variazioni di temperatura, specialmente
durante le ore notturne e da un basso tasso di umidità.
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Osservatorio di Loiano (BO)
Anno
Seeing medio
(FWHM)
2001
2.1”
2002
2.0”
2003
1.8”
2004
2.0”
2005
1.9”
Attività didattiche e divulgative
L'astronomia d’osservazione si pone un po’ a metà strada fra le scienze
naturali, con la loro preminente impostazione descrittiva, e le scienze quali
la fisica, in cui il momento deduttivo ed interpretativo dei fenomeni, in
termini di leggi generali, è nettamente prevalente. Per queste ragioni la
scienza del cielo è uno strumento particolarmente adatto ad una corretta
educazione alla scienza, sia per un pubblico in età scolare sia per una
generale utenza, che si mostra sempre sensibile all’innegabile presa emotiva
che gli astri esercitano sullo spirito dell’uomo.
L’Osservatorio di Cervarezza è potenzialmente in grado di costituire un
importante punto di riferimento per le scuole dell’intera provincia, senza
trascurare il fatto che anche il pubblico generico, inserito in attività di
educazione permanente, potrà avvicinarsi consapevolmente alle meraviglie
del cielo attraverso attività di divulgazione ed esperienze osservative mirate.
In Osservatorio sarà infatti possibile l’osservazione guidata e programmata
dei principali corpi celesti, Sole: Luna, pianeti, comete, galassie e nebulose.
Esso costituirà un autentico centro di aggregazione e di riferimento
culturale per la diffusione e la conoscenza scientifica.
Le visite notturne in Osservatorio avranno poi un fascino unico e
costituiranno un'esperienza importante sia emotivamente sia culturalmente.
Non si deve dimenticare che la struttura non promuoverà soltanto le
attività astronomiche ma avrà anche caratteristiche interdisciplinari e
multidisciplinari, con incontri e lezioni di interesse scientifico-naturalistico,
su temi riguardanti l’ambiente, le energie alternative, ecc. Inoltre, non va
dimenticato che la funzione di traino culturale che potrà assumere questo
centro scientifico indubbiamente contribuirà ad accrescere il prestigio e
l’immagine dell’intera comunità. Più in dettaglio, poniamo l’accento sulle
principali finalità divulgative e didattiche:
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
Promuovere fra la popolazione e gli studenti delle scuole, di ogni
ordine e grado, la conoscenza dell’astronomia in ogni suo aspetto;

Sviluppare negli studenti capacità di comprensione dei fenomeni
naturali attraverso esperienze di osservazione diretta e attitudini a
effettuare misure e correlare grandezze fisiche diverse;

Incentivare le capacità di organizzazione e di elaborazione delle
informazioni ricavate dalle esperienze osservative da cui elaborare
deduzioni e plausibili ipotesi scientifiche;

Coinvolgere a diversi livelli gli studenti che fruiranno dell’Osservatorio
Astronomico nello svolgimento di progetti di ricerca (ad esempio, lo
studio delle macchie solari attraverso la raccolta di dati tramite i
telescopi dell’Osservatorio).
Si prevede la realizzazione delle seguenti attività:





Lezioni mirate di astronomia per gli studenti della scuola dell’obbligo e
superiore.
Corsi di aggiornamento per docenti
Corsi di astronomia per il pubblico
Organizzazione di congressi e convegni anche a livello nazionale
Conferenze pubbliche, mostre, ecc.
Attività di ricerca scientifica
L’osservatorio sarà a disposizione di singoli ricercatori o gruppi che
volessero svolgere programmi concordati di studio e di ricerca con gli
strumenti e le attrezzature in esso presenti. In particolare, i progetti di
ricerca riguarderanno le supernovae, i pianeti extrasolari e la fotometria di
stelle variabili peculiari.
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CONVEGNO EUROPEAN ASTROSKY TEAM
RELAZIONI E INTERVENTI
14
15
I RELATORI DEL CONVEGNO
Angelo ANGELETTI
coordinatore EAT, vice-direttore editoriale EAN,
presidente Associazione Crab Nebula, Tolentino – MC,
co-organizzatore del Convegno
Paolo BACCI
socio AAVV, Osservatorio Astronomico
Peccioli, PI
Libbiano-
Luigi BIGNAMI
giornalista scientifico, lavora per Repubblica,
Panorama, Focus, Orione, Meridiani Montagne,
Radio24, Telegiornali Reti Mediaset,
ha tenuto la conferenza inaugurale
Rodolfo CALANCA
Coordinatore EAT, direttore editoriale EAN,
organizzatore del Convegno
Stefano CAMPANI
Responsabile tecnico Osservatorio
Cervarezza Terme (RE)
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astronomico
di
Fabrizio CIABATTARI
Docente, Gruppo Ricerche Astronomiche (GRA) Borgo a
Mozzano - Lucca
Mauro DOLCI
Astronomo all’Osservatorio di Collurania (Teramo),
ha tenuto una conferenza in diretta web durante
l’inaugurazione dell’Osservatorio
Cristian FATTINNANZI
Astroimager tra i migliori d’Europa
Vittorio LOVATO
Ingegnere, Presidente Onorario della A.A.T. - Ass.ne
Astrofili Tethys di Voghera (PV) e socio onorario della
A.A.A.V
Angelo PIEMONTESE
Giornalista scientifico
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Gimmi RATTO
Direttore Laboratorio di Neuroscienze CNR/Scuola
Normale Superiore di Pisa, esperto di fotografia astronomica
digitale
Chiara RIEDO
Chimico e astroimager
Enzo ROSSI
Vice-presidente AAVV, Centro Astronomico
Libbiano-Peccioli, PI
Romano SERRA
Dipartimento di Fisica Univ. Bologna; Museo del Cielo e
della Terra, S. Giovanni Persiceto (BO)
Alberto VILLA
Presidente Ass. Astrofili Alta Valdera
Peccioli (PI)
Fabio ZUCCONI
Fisico, socio Osservatorio Lodigiano
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Angelo Angeletti
BREVE STORIA
DELL’ASSOCIAZIONE ASTROFILI “CRAB NEBULA”
DI TOLENTINO E DESCRIZIONE DELLE ATTIVITA’
L'Associazione Astrofili Crab Nebula nasce ufficialmente il 31 marzo
1993 con la sottoscrizione dell'atto costitutivo del gruppo all’epoca formato
da: Cleto Rimatori (presidente), Alfredo Trombetta (vicepresidente),
Maurizio Pieroni (segretario), Antonio Francioni (tesoriere) e Franco
Barabucci. Nei mesi successivi diventano soci: Giovanni Paolucci, Manlio
Bellesi, Angelo Angeletti e Marco Santecchia.
L'Associazione si prefigge tre obiettivi:
- costruire un Osservatorio Astronomico,
- divulgare le conoscenze scientifiche in campo astronomico;
- fare osservazioni e ricerca.
LA COSTRUZIONE DELL’OSSERVATORIO
La costruzione dell'Osservatorio è iniziata nella seconda metà degli anni
'80 quando Cleto, che già a metà anni '70 aveva edificato presso un casolare
nelle campagne di Tolentino un piccolo Osservatorio (con tanto di cupola
per proteggere un telescopio autocostruito di 25 cm), progetta un telescopio
più grande ed inizia la costruzione di uno specchio di 41 cm di diametro e
180 cm di focale che realizza tra il 1985 e il 1986.
Il progetto rischia però di rimanere tale perché la spesa per la
realizzazione è eccessiva per le finanze di cui dispone Cleto e le
amministrazioni pubbliche non l'aiutano. Solo per caso verso la fine degli
anni ottanta incontra varie volte Alfredo Trombetta e Antonio Francioni,
anch'essi appassionati di Astronomia, e comincia a prendere forma l'idea di
un gruppo per la costruzione di un Osservatorio.
Inizia quindi la costruzione del telescopio: tra il novembre del 1991 e il
febbraio del 1992, nelle officine della Nuova OMEC di Piediripa di
Macerata, la montatura dello strumento prende forma. Vengono realizzati il
basamento, la forcella, il portatubo e gli assi (12 cm quello di A.R. e 8 cm
quello di declinazione); sono circa 900 kg di acciaio, lavorato a regola d'arte
dagli operai della ditta sotto la costante supervisione di Cleto.
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Le fasi di assemblaggio del
telescopio
Particolare del sistema
ruota dentata e vite senza fine
Chi ha scrutato il cielo qualche volta sa che ormai dalle nostre città, per
colpa dell'inquinamento luminoso, è difficile avere una buona visione della
volta celeste e, per fare buone osservazioni (specialmente fotografie),
bisogna spostarsi in montagna. La notte, specie d'inverno quando il cielo è
più limpido e le condizioni ottimali, fa spesso molto freddo!!! E' opportuno
quindi, per uno strumento tipo quello che si sta costruendo, trovare un sito
adatto.
La ricerca porta ad individuare il Monte d'Aria (per la precisione
Località Case Sparse di Villa d'Aria), nel comune di Serrapetrona (MC),
come posto ideale per la costruzione dell'Osservatorio. La zona infatti
racchiude in sé tre aspetti importanti: è abbastanza in alto (830 m), è
sufficientemente buio ed è facilmente raggiungibile (20 minuti da Tolentino
o da Camerino e 40 minuti da Macerata). Viene trovato un terreno e si
avviano le pratiche necessarie per la costruzione; problemi burocratici con il
Comune di Serrapetrona bloccano però il progetto di costruire la struttura
dalle fondamenta.
Nella stessa zona, poche centinaia di metri più a monte, si trovano due
casolari in vendita che potrebbero essere adattati con relativa facilità, sono
due chalet di 28 m2 di superficie ognuno, frutto di un tentativo di
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urbanizzazione turistica della montagna miseramente fallito. La loro
acquisizione è però onerosa e probabilmente la cosa finirebbe lì se non
entrasse nel gruppo Maurizio Pieroni ad anticipare il denaro necessario. Un
paio di settimane prima dell'acquisto delle case viene costituito legalmente
il gruppo e per restituire i soldi a Maurizio viene acquisito un mutuo da una
Banca.
Lo chalet più a monte ospiterà la cupola e il telescopio, l’altro sarà
adibito a foresteria e saletta per le conferenze in cui possono essere ospitate
una ventina di persone.
Il telescopio installato in cupola (19971998).
Il C11 che è stato il nostro telescopio tra il
1998 e il 2004.
All'epoca della costituzione del gruppo, Manlio Bellesi ed Angelo
Angeletti (insegnanti di Matematica e Fisica al Liceo Scientifico di
Macerata) stavano pensando di acquistare insieme un telescopio. Mentre
valutavano le occasioni Manlio incontra Cleto che conosceva da molti anni
ma che aveva perso di vista (in effetti in Cleto la passione per l'Astronomia
era nata agli inizi degli anni '70, quando d'estate, a Belforte, osservava il
cielo con il rifrattore da 60 mm di Manlio). Dopo pochi mesi ed alcuni
incontri con Cleto anch'essi entrano nel gruppo.
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Nell'estate del '93, presso il capannone di Talamonti di Tolentino,
affittato per l'occasione, inizia la costruzione di una cupola di 4 m che verrà
terminata agli inizi del '95.
Nell'estate del '94 anche Marco Santecchia entra nel gruppo e iniziano
anche i lavori per riadattare lo chalet che ospiterà il telescopio.
Sabato 8 aprile 1995 viene issata la cupola. E' una festa!!! Erroneamente
si pensava di essere prossimi alla fine dei lavori, invece nel portare a
termine la costruzione del telescopio (nel garage di Marco) si sono
incontrate molte difficoltà, specie per quanto riguarda l'elettronica per la
guida dei motori di ascensione retta e di declinazione.
La reinstallazione in cupola del telescopio dopo la ristrutturazione di Marcon.
Settembre 2004
Sabato 8 febbraio 1997 anche il telescopio viene istallato all'interno della
cupola. Il primo oggetto che viene osservato, la sera stessa (una serata
eccezionale in quanto a trasparenza del cielo o forse eccezionale in quanto
nessuno di noi aveva mai visto dentro un 41 cm), è la nebulosa di Orione
(M42). E' uno spettacolo che ci lascia senza fiato. Il telescopio ha però il
grosso handicap che non possiede un sistema di motori efficace e non
insegue molto bene: è sufficiente per l’osservazione visuale, ma è
impossibile effettuare delle foto.
23
Alla fine del 1998 il telescopio presenta anche dei problemi con le
ottiche e dal 1998 al 2004 viene sostituito egregiamente con uno C11 su
LX200 acquistato a rate dal socio Di Iorio (che nel frattempo era subentrato
a Marco Santecchia) e successivamente montato su una Losmandy G11 con
il sistema goto. Durante questo periodo viene acquistato anche uno C8 e un
rifrattore Pentax 75.
Il 2000 è un anno importante per l’associazione. All’inizio dell’anno ci
sono stati degli avvicendamenti: Franco Barabucci, che già da tempo si era
allontanato dal gruppo ha lasciato il suo posto a Giuseppe Vella, mentre
Marco Santecchia ha lasciato il posto a Giorgio Di Iorio.
Il telescopio oggi
Viene stilato un nuovo statuto che permette di snellire la vita
dell’associazione e c’è un avvicendamento alla presidenza del gruppo. I
nuovi soci portano nuova spinta al gruppo e in lunghe e serrate discussioni
viene alimentata la speranza di riuscire un giorno a rimettere in funzione il
vecchio 41 cm [1].
[1] Durante questo periodo Peppe Vella comincia a chiamare il 41 cm “lu madonnu”
ed è con tale nomignolo che ancora oggi chiamiamo il nostro telescopio principale.
Tra l’altro sulla scia abbiamo preso l’abitudine di dare nomignoli a quasi tutti gli
strumenti che abbiamo…
24
A tal fine si comincia a fare richieste di contributi a vari organismi e
finalmente grazie al contributo della FONDAZIONE CARIMA DI
MACERATA, alla vendita del C11 e della Losmandy e al contributo dei
soci, nel 2004 è stato possibile concretizzare la nostra speranza. Revisionato
da Marcon e dotato del sistema di puntamento automatico FS2, nel
settembre del 2004 il 41 cm è stato reinstallato in cupola e nel dicembre
dello stesso anno è stato acquistato un rifrattore MEADE APO 178 che è
stato posto sopra il riflettore.
La Canon 20Da
Il ccd Apogee Alta U9000
Sempre nel 2000 il secondo chalet viene in parte ristrutturato per
ricavare la saletta conferenze. Dal 20 giugno 2001 siamo inscritti nel
Registro Regionale delle Associazioni di Volontariato.
Nel 2002 è entrato il socio Francesco Barabucci, nel 2006 Gianclaudio
Ciampechini; sempre nel 2006 Alessandro Cecchi ha sostituito Giorgio Di
Iorio.
Un altro importante tassello nella realizzazione dell’Osservatorio è stato
posto nell’estate del 2007. Grazie all'apporto tecnico dell'amico Giampaolo
Mattioli (cugino di Gianclaudio) e a quello operativo di Fabiano Barabucci
(fratello di Francesco) che ha realizzato il software di gestione ed ha
assemblato il tutto, è stato possibile mettere a punto il controllo remoto della
cupola che ora segue il moto del telescopio. Oggi possiamo controllare tutto
da una saletta posta sotto il telescopio e si evita di stare al freddo.
Ora disponiamo di un'attrezzatura di tutto rispetto, anche tenendo conto
che nel 2006 abbiamo acquistato una digicam 20Da e nel 2007 una camera
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CCD APOGEE U9000, grazie ad un contributo del Ministero della Ricerca
Scientifica.
L’osservatorio sotto la neve
L’Osservatorio oggi
LE ATTIVITA’
Una volta installata la cupola, anche se dentro non c’era ancora il
telescopio, il gruppo iniziò a cresce rapidamente nelle competenze e nelle
capacità utilizzando i telescopi personali. Alfredo Trombetta è un buon
fotografo di oggetti celesti (fotografia chimica ancora!!!) e in questa sua
attività si tira dietro Daniele Crudeli, un giovane con un'innata passione per
l'astronomia, allora ai primi anni di liceo, poi studente di astronomia a
Padova. Già dall’estate del ’94 vengono intraprese iniziative per far
conoscere il gruppo; tra queste hanno riscosso maggiore successo le serate
osservative per il pubblico con i nostri strumenti personali portati nelle
piazze dei paesi e delle città della nostra provincia.
Nella primavera del '96 a Macerata viene tenuto il primo corso di
Astronomia (un successo strepitoso, circa 130 partecipanti). Ciò, ci ha
spinto a proporre altri corsi: nell'autunno del '96 a Tolentino, nella
primavera del '97 a Camerino, nell'inverno '97/'98 a Macerata, alla fine del
'98 a Tolentino, nella primavera del '99 a Macerata, tra gennaio e febbraio
2000 a Civitanova e nell'autunno 2000 a Macerata in collaborazione con
l'Associazione IDEA88 che è diventato il nostro principale collaboratore per
i corsi che abbiamo tenuto a Macerata negli anni successivi (autunno 2002,
autunno 2003, inizio 2006). Un’altra sede per noi importante è Tolentino
dove abbiamo tenuto corsi nell’autunno 2001 e l’ultimo nell’autunno 2007.
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Del primo corso abbiamo realizzato una dispensa di circa 70 pagine che
veniva data ai partecipanti, sostituita nel 2003 da un cd-rom contenente le
presentazioni delle lezioni e degli appunti da noi prodotti.
Dopo i primi anni in sordina, piano piano siamo diventati un riferimento
in provincia di Macerata. In diverse occasioni siamo stati intervistati da
radio e televisioni locali e spesso siamo chiamati a tenere lezioni nelle
scuole o in circoli culturali. Si sono accorti di noi anche all’Università di
Camerino dove, nel 1998 e nel 1999, siamo stati chiamati a tenere una parte
del corso di geografia (la parte della geografia astronomica) agli studenti del
corso di laurea in scienze svolgendo sia lezioni teoriche sia lezioni pratiche
presso l’Osservatorio.
Nel 1999 il gruppo è anche diventato delegazione territoriale UAI e,
sempre in collaborazione con l'UAI e il Ministero della Pubblica Istruzione
abbiamo tenuto un corso di formazione per insegnanti e studenti.
Nell'agosto del 1999 abbiamo organizzato una riuscitissima missione in
Austria in occasione dell'Eclisse Totale di Sole. Siamo stati ospiti di una
scuola di Pinkfeld, proprio al centro della fascia di totalità, che ci ha messo
a disposizione un prato e delle prese di corrente elettrica per i nostri
strumenti. E' stata un'esperienza importante per l'Associazione.
Nel 2001 l’Associazione viene iscritta tra le associazioni di volontariato,
nel settore cultura e formazione, della Regione Marche.
Tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000 sono stati organizzati
diversi Star Party specie per la Maratona Messier con alterni successi legati
alle condizioni meteo.
Dopo circa dieci anni di duro lavoro, finalmente le amministrazioni
pubbliche cominciano ad accorgersi del nostro lavoro: un paio di volte la
Comunità Montana dei Monti Azzurri ci elargisce dei contributi a fronte di
attività didattiche nelle scuole, ma i contributi più importante sono da parte
della FONDAZIONE CARIMA di MACERATA nel 2004 e da parte del
Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel 2006.
Nel settembre del 2005 l'UAI ci ha conferito un riconoscimento come
una della più attive associazioni astrofili d'Italia per il 2004, regalandoci un
telescopio Newton da 200 mm che utilizziamo nelle serate di osservazione
pubblica.
Un altro momento importante per la nostra associazione è stato quando,
nell'assemblea dei soci dell'11 ottobre 2005, all'unanimità è stato deliberato
di intitolare l'Osservatorio a Padre Francesco De Vico (Macerata 1805 Londra 1848) nel bicentenario della nascita, celebrato con un convegno di
rilevanza internazionale di cui siamo stati tra i principali promotori e
organizzatori.
27
Oggi il gruppo gode di un discreto seguito tra la gente della nostra
provincia; specie d'estate quando ci ritroviamo nelle piazze dei paesi per
delle serate di osservazione del cielo. Queste iniziative avvicinano
all'Astronomia attiva molte persone e, fatto molto importante, anche molti
giovani. Ciò ha contribuito notevolmente allo sviluppo delle nostre attività
che dall'estate del 2007 ci vede in prima linea nelle osservazioni dei transiti
di pianeti extrasolari. Il nostro Osservatorio era uno dei due recapiti del
Planetary Research Team ed ora lo è dell’European Astrosky Team, libere
associazioni di astrofili.
La sala controllo del telescopio e della cupola
La nostra visibilità in campo nazionale è notevolmente aumentata grazie
alla pubblicazione di alcuni articoli in cui veniamo citati per il contributo
che stiamo dando alla ricerca in campo amatoriale e ad alcune nostre
pubblicazioni. In particolare vorrei ricordare che molto del materiale
prodotto per la serata di osservazione pubblica del transito del pianeta
extrasolare XO-2b del 27 febbraio e dell’11 marzo 2008 sono stati prodotti
da noi. Notevole è il software per la realizzazione in diretta del transito
realizzato da Fabiano Barabucci.
Fondamentale è stato anche il nostro contributo tecnico per le dirette da
Collurania del 27 dicembre 2007 e del 26 gennaio 2008 e per questo
Convegno.
28
Un altro contributo alla visibilità viene dal fatto che sempre più
frequentemente mandiamo sul web le nostre conferenze e dalla nostra
presenza, ormai fissa, alla Fiera dell'Astronomia di Forlì e a quella
dell'Elettronica di Macerata.
Infine Angeletti e Bellesi da alcuni anni sono i responsabili scientifici
della Scuola Estiva di Astronomia che si tiene a Montalto Uffugo (CS).
LA STRUTTURA DELL’ASSOCIAZIONE
L’associazione è strutturata con dei soci (Angeletti Angelo (presidente),
Barabucci Francesco (segretario), Bellesi Manlio, Cecchi Alessandro,
Ciampechini Gianclaudio, Francioni Antonio (tesoriere), Paolucci Giovanni,
Pieroni Maurizio, Rimatori Cleto, Trombetta Alfredo, Vella Giuseppe) e un
numero variabile di tesserati (alcune decine) che a fronte del pagamento di
una quota annua partecipano a tutte le attività dell’associazione tranne che
alla sua gestione.
STRUTTURA DEL CORSO
La struttura tipica dei nostri corsi prevede 8 lezioni teoriche della durata
di 1 ora e 30 minuti e 3 lezioni pratiche presso l’Osservatorio (la prima di
un paio d’ore, la seconda e la terza tutta la notte!!!).
Lezioni Teoriche:
1) Introduzione all’Astronomia. Un carrellata sui temi dell’astronomia e
sui principi fisici su cui si fonda l’osservazione del cielo.
2) Breve storia dell’Astronomia (dagli antichi greci a Galileo e Newton).
Alcuni aspetti dell’evoluzione delle conoscenze in ambito astronomico
a partire dalla preistoria, attraverso le prime civiltà mesopotamiche e
mediterranee fino ai filosofi greci e al modello tolemaico, per arrivare
alla teoria copernicana, alle leggi di Keplero, alle osservazioni di
Galileo e alla legge di Newton. In alcuni corsi è stato fatta una lezione
sull’archeoastronomia.
3) Elementi di Ottica. I principi fisici dell’ottica geometrica e dell’ottica
fisica vengono dedotti da semplici attività sperimentali con lenti e
specchi.
4) Le costellazioni. Una carrellata delle principali costellazioni facendo
uso di un planetario virtuale, dell’astrolabio e di foto. Questa lezione è
in genere contemporanea alla prima lezione pratica.
29
5) Gli strumenti per l’osservazione (dall’occhio alle camere ccd): A partire
dall’occhio e dal suo funzionamento si passano in rassegna gli strumenti
per l’osservazione (binocolo e vari tipi di telescopi) e le loro
caratteristiche principali. Si passa quindi ad una breve esposizione delle
tecniche di ripresa con fotocamera (ora digitale), webcam, ccd. La
seconda e la terza lezione pratica vengono svolte dopo questa lezione.
6) Le stelle: struttura ed evoluzione. Si illustra la struttura delle stelle e il
loro funzionamento, quindi si analizza la loro evoluzione in funzione
della massa.
7) Il Sistema Solare: l’origine e l’evoluzione del sole e dei suoi pianeti.
Dopo aver illustrato la struttura del sole si passano in rassegna i pianeti
del Sistema Solare analizzandone le principali caratteristiche. Si
illustrano anche le lune dei vari pianeti e i corpi minori del Sistema
Solare.
8) L’Universo: dalle galassie al big bang. Dopo avere descritto e
classificato le galassie, se ne illustrano le ipotesi di formazione e di
evoluzione fino alla descrizione delle attuali ipotesi sulla struttura
dell’Universo. Alla fine si fa un po’ di storia delle teorie sull’origine
dell’Universo con una descrizione dei primi attimi di vita dell’Universo.
A quelle illustrate, che costituiscono la base del corso, ogni tanto
vengono aggiunte una o due lezioni tra: l’archeoastronomia; la vita
nell’Universo; un’altra lezione di storia dell’astronomia che copre il periodo
tra Newton ed Einstein; una doppia lezione sulle costellazioni (Inizialmente
la lezione sulle costellazioni era divisa addirittura in 5 parti in cui venivano
illustrate con delle cartine e delle foto le costellazioni circumpolari nord, le
costellazioni primaverili, quelle estive, quelle autunnali e quelle invernali); i
pianeti extrasolari; la Luna; le eclissi; le comete.
Lezioni pratiche
1) – Osservazione del cielo ad occhio nudo e con il binocolo
2) – Osservazione del cielo con il telescopio
3) – Fotografia di alcuni oggetti celesti.
Se le condizioni meteo lo consentono la lezione 1) viene divisa in due
parti: la prima osservazione ad occhio nudo e la seconda osservazione al
binocolo. In genere il numero degli iscritti al corso si aggira intorno alle 20
persone, ma non tutte partecipano alle attività pratiche. Per le osservazioni
al binocolo disponiamo di una decina di binocoli 10x50 che ci consentono
l’osservazioni simultanea per tutto il gruppo.
30
Per la lezione 2) utilizziamo altri telescopi più piccoli dell’associazione (un
C8 su Losmandy G11, uno Sky Watcher da 200 e un Konus pure da 200) e
in caso di necessità alcuni telescopi portatili dei soci (C8 e C11). Ai corsisti
viene illustrato il montaggio del telescopio e successivamente vengono
invitati a puntare alcuni oggetti, prima facili (luna e/o pianeti) e poi più
difficili (oggetti di profondo cielo non visibili a occhio nudo).
Per la lezione 3) sulla fotografia i corsisti seguono una serata di riprese
sia fotografiche (digitali) sia ccd e provando direttamente in prima persona
tutte le fasi principali della procedura: inizialmente con correzione
dell’inseguimento manuale, successivamente con l’autoguida.
STRUTTURA DEGLI INTERVENTI NELLE SCUOLE
Gli interventi nelle scuole sono in media una ventina ogni anno e hanno
strutture diverse a seconda del tipo di scuola.
Nelle scuole elementari in genere ci si rivolge a ragazzini di quinta, si
propone un gioco in cui vengono distribuiti dei pettorali con le costellazioni
dello zodiaco e i bambini vengono fatti mettere in circolo con al centro un
bambino con un disegno del sole. Attorno al sole viene fatto girare un
bambino con la Terra e così facendo si spiega il perché durante l’anno sono
visibili costellazioni diverse, il giorno e la notte, l’alternarsi delle stagioni e
così via. In una eventuale seconda lezione si costruisce il sistema solare (in
scala per quanto possibile) cercando di far comprendere le enormi distanze
che separano i vari pianeti.
Nelle scuole medie l’intervento in genere prevede la descrizione del
sistema solare o comunque di quei temi che l’insegnante richiede. In alcuni
casi è stato concordato un intervento su tre lezioni: una sui moti del cielo
(utilizzando un planetario virtuale), una sul sistema solare e una sulle stelle
e sull’universo.
Gli interventi nelle scuole superiori in genere ricalcano quelli delle
scuole medie, ma viene utilizzato un linguaggio un po’ più tecnico.
Nei casi in cui successivamente è prevista la visita all’osservatorio si
approfondisce la descrizione di quegli oggetti che poi saranno osservati.
ATTIVITA’ ALL’OSSERVATORIO
Fin dall’installazione del telescopio l’Osservatorio è aperto al pubblico
l’ultimo sabato di ogni mese e in occasione di particolari eventi astronomici.
Su prenotazione e dietro pagamento di un contributo vengono organizzate
serate personalizzate per gruppi (in genere scolaresche).
31
La serata tipo dell’ultimo sabato del mese ha inizio a partire dalle ore
21.30 e prosegue fino alle 2.00 o fino a che c’è gente (d’estate non di rado si
arriva all’alba). Poiché lo spazio intorno al telescopio principale è ridotto, si
permette l’accesso in cupola a non più di 10–12 mentre altrettante possono
sostate nell’ingresso dell’osservatorio (dal quale si può vedere il piano del
telescopio) e comunque seguire le spiegazioni che vengono date. Nel caso di
accesso molto numeroso (ciò capita in occasione di particolari eventi, molto
pubblicizzati dai mass–media), negli spazi antistanti l’osservatorio vengono
piazzati altri telescopi. Durante la serata alcuni di noi illustrano le principali
stelle e costellazioni, mentre altri guidano l’osservazione al telescopio
facendo osservare i principali oggetti celesti visibili nella serata e dando
spiegazioni sulla loro struttura fisica e sulla loro evoluzione. Ogni anno, c’è
un ultimo sabato dedicato all’osservazione della Luna, di Giove e di Saturno
(e di Marte quando è in opposizione), durante la serata l’osservazione è
supportata da una lezione.
Grande successo hanno riscosso alcune serate organizzate in occasione
di particolari eventi astronomici. I più importanti (che ci hanno messo anche
in difficoltà per il grande afflusso di gente) sono stati il passaggio della
cometa Hale Bopp nella primavera del 1997 e la Grande Opposizione di
Marte a fine agosto 2003.
Gran parte dei gruppi che visitano l’Osservatorio sono scolaresche dalle
elementari all’università. I più piccoli sono in genere accompagnati dai
propri docenti e dai genitori (non di rado è capitato di avere 60 – 70
persone). L’organizzazione della serata è molto simile a quella generale
dell’ultimo sabato del mese, anche se, a seconda del livello di
scolarizzazione, si usa un linguaggio sempre scientificamente corretto, ma
più o meno divulgativo, con maggiori o minori riferimenti alle conoscenze
scolastiche degli studenti. In genere con gli studenti non si va mai oltre le
ore 24.00. In alcuni casi, su richiesta degli insegnanti, il gruppo è stato
diviso in due parti e mentre una seguiva, nella saletta conferenze, una
presentazione dell’Osservatorio e degli oggetti celesti che si sarebbero
osservati, l’altra, in cupola, effettuava l’osservazione diretta di una serie di
oggetti celesti scelti ad hoc. Dandosi poi il cambio.
Sono state anche organizzate delle serate speciali presso l’Osservatorio
destinate ai soci e ai tesserati con l’obiettivo di conoscere meglio il cielo nei
vari periodi dell’anno. Ogni mese, per un anno solare, sono state scelte le
zone del cielo meglio visibili e sono state analizzate studiandone gli oggetti
più appariscenti.
32
LE SERATE IN PIAZZA
Più volte sono state organizzate delle serate in piazza: sia su richiesta di
organizzazioni locali sia organizzate da noi. In questo caso vengono portati
alcuni telescopi (non meno di tre) e un binocolone (20x80 o 22x100);
quando è possibile si effettua anche una proiezione di diapositive che
illustrano gli oggetti celesti che si osserveranno e che aiutano anche a
comprenderne la natura.
L’ATTIVITA’ SCIENTIFICA
Per lungo tempo non è stato possibile portare avanti una attività
scientifica legata all’osservazione e alle riprese a causa dei problemi con il
telescopio, comunque sono stati portati avanti lo stesso alcuni temi quali:
- lo studio della struttura dei telescopi (quando si costruiva l’Osservatorio)
- lo studio teorico e pratico delle tecniche di ripresa fotografica prima
chimica, poi digitale con webcam, digicam e ccd
- storia dell’astronomia: specie in occasione del convegno per il
bicentenario della nascita di padre Francesco De Vico
L’attività di ricerca è decollata quando abbiamo aderito ai progetti
proposti dal Planetary Team e dall’EAN; ci siamo trovati in prima linea nei
progetti:
o Caratterizzazione delle camere digitali
o Progetto Vesta
o Progetto extrasolari
o Progetto cometa
PROGETTI FUTURI
Sono sempre più numerose le richieste di visita all'Osservatorio e di
interventi nelle scuole della provincia e non (specie per il 2009, anno
internazionale dell’Astronomia). Ciò rende le nostre strutture inadeguate a
soddisfare tutte le richieste, ampliarle è il nostro obiettivo per i prossimi
anni; è infatti nostra intenzione per prima cosa di avere una connessione
veloce ad internet in modo da poter trasmettere in diretta in rete le nostre
attività, quindi vorremmo realizzare:
33
1) robotizzazione completa dell’osservatorio
2) una struttura con tetto apribile per alloggiare un paio di telescopi
automatizzati da utilizzare sia per le ricerche, sia per la didattica e
da mettere a disposizione degli appassionati;
3) una struttura con tetto apribile per installare un telescopio più
moderno e più grande (almeno 50 cm di diametro) da dedicare
esclusivamente alle ricerca;
4) ampliare la struttura che attualmente utilizziamo come sala
conferenze (ed altro), per realizzarne una migliore e più
confortevole, una piccola foresteria, una saletta per il controllo di
tutti i sistemi, servizi e un magazzino.
Il progetto è ambizioso e anche costoso, ma abbiamo dimostrato che con
il tempo le cose, se lo si vuole veramente, possono essere realizzate e ormai
la nostra notorietà e le nostre attività sono così diffuse che speriamo di poter
avere maggior credito presso quelle amministrazioni che possono aiutarci a
realizzare il nostro progetto.
34
35
Angelo Angeletti
L’OSSERVAZIONE DEI PIANETI EXTRASOLARI: UN ANNO
DI ATTIVITÁ DELL’EUROPEAN ASTROSKY TEAM
Nel luglio del 2007, Rodolfo Calanca, all’epoca coordinatore del
Planetary Reseach Team e vicedirettore di COELUM Astronomia, con la
circolare n. 11 del Team lancia il progetto Exoplanets Transit - Search the
Sky! Tale progetto, che riprendeva alcune idee del progetto RATS, aveva
come obiettivo la messa a punto delle tecniche di ripresa e di rielaborazione
in grado di rilevare i transiti di pianeti extrasolari con strumentazioni
amatoriali.
Fig. 1 – La geometria di un transito: T è la Terra e S è
la stella, 1 è un pianeta che transita davanti alla stella,
2 no. La scala non è realistica.
Fig. 2 – Pianeta in transito davanti
alla propria stella.
Si parla di transito di un
pianeta extrasolare quando
l’allineamento tra la Terra,
la stella attorno alla quale
orbita il pianeta e il pianeta
stesso è tale da realizzare
una piccola eclisse, un
piccolo calo di luminosità
della stella che può essere
rilevato.
Se L* è la luminosità
della stella, R* il suo Fig. 3 – La curva di luce di HD 209458: il primo transito
raggio e RP il raggio del
planetario osservato.
pianeta, la variazione di luminosità ΔL è data dalla relazione:
36
L  RP 

L*  R* 
2
Gli istanti principali di un transito sono dati nella figura 4 e nella figura 5
una schematizzazione della curva di luce della stella.
Fig. 4 – (a) Primo contatto, inizio del transito, istante 1 – (b) Secondo contatto, istante 2 –
(c) Terzo contatto, istante 3 – (d) Quarto contatto, fine del transito, istante 4
La durata del transito (l’intervallo di tempo tra gli istanti 1 e 4), la
profondità del transito (la diminuzione del flusso luminoso tra gli istanti 1 e
2) e l’ampiezza (l’intervallo di tempo tra gli istanti 2 e 3) dipendono dalle
dimensioni della stella e del pianeta dalla loro distanza; la loro misura
permette di determinare diversi parametri fisici del pianeta altrimenti non
valutabili.
Fig. 5 – Schematizzazione della curva di luce di una stella durante un transito.
Con semplici calcoli si può dimostrare che la variazione di luminosità
che avrebbe il Sole a causa del transito della Terra sarebbe ΔL/L* = 8,4·10-5,
mentre nel caso che fosse Giove a transitargli davanti si avrebbe ΔL/L* =
1,1·10-2; calcoli più precisi dimostrano che il limite per l’osservazione di
pianeti di tipo terrestre è ΔL/L* ≈ 8·10-4. Tenendo conto che il Sole, nei
tempi scala tipici di un transito (che va da poche ore a un giorno), ha
37
variazioni di luminosità ΔL/L* ≈ 10-5, si capisce come non è possibile, con
strumentazione amatoriale, rilevare transiti di pianeti di tipo terrestre,
mentre si possono rilevare transiti di pianeti di tipo gioviano.
Le tecniche di ripresa e le procedure per la riduzione dei dati furono
proposte a partire dalle prime indicazioni di Rodolfo Calanca con la già
citata circolare n. 11 del 10 luglio 2007 dell’allora Planetary Reseach
Team; nelle successive circolari nn. 13, 14, 15, 16 tali procedure furono
messe a punto anche grazie a numerose prove sul campo compiute da
diversi astrofili. Le circolari possono essere scaricate da sito dell’EAN e da
quello del Crab Nebula.
Diamo ora brevemente le operazioni da eseguire per la ripresa del
transito di un pianeta extrasolare.
Per la determinazione della corretta esposizione si consiglia di effettuare
tutte le procedura in una notte precedente il transito.
A. Stabilizziamo termicamente la strumentazione.
B. Puntiamo il telescopio sul campo della stella (le informazioni sul
pianeta e la sua stella e la carta stellare di riferimento per i transiti
vengono comunicate con le circolari dell’EAN).
C. Inseriamo l’autoguida: è fondamentale perché riduce l’errore
fotometrico introdotto dal “mosso” stellare. Si ricordi che è necessario
misurare variazioni di luce di qualche centesimo di magnitudine e che
quindi è necessario avere immagini con errori fotometrici molto
ridotti, intorno a 1 – 2 millesimi di magnitudine.
D. Individuata la stella, impostiamo il tempo di integrazione: è
fortemente sconsigliato scendere al di sotto di 60” qualunque sia il
telescopio od il CCD impiegato. Tale valore è il tempo minimo
consigliato per ogni singola esposizione e ad esso corrisponde, per un
telescopio amatoriale, un valore ragionevolmente contenuto della
scintillazione atmosferica che risulta essere la maggior fonte di errore
fotometrico[2]. Determinare la massa d’aria istante per istante non è
banale, noi abbiamo realizzato ed utilizzato le seguenti tabelle:
[2] Una stima dell’errore di scintillazione S può essere ottenuta utilizzando la relazione:
 S  0.09
A1.75
D
0.66
, dove A è la massa d’aria che è funzione della distanza zenitale z (o
2t
dell’altezza h) dell’oggetto che si osserva; D è il dimetro del telescopio in centimetri e t il
tempo di esposizione in secondi.
38
Tabella 1
S dovuto dalla scintillazione atmosferica in funzione del diametro del telescopio e
del tempo d’esposizione per A = 1
(valido con buona approssimazione per un stella la cui altezza è compresa tra 45° e
lo zenit)
t (secondi)
20 cm
25 cm
30 cm
40 cm
50 cm
10
0,0028
0,0024
0,0021
0,0018
0,0015
20
0,0020
0,0017
0,0015
0,0012
0,0011
30
0,0016
0,0014
0,0012
0,0010
0,0009
40
0,0014
0,0012
0,0011
0,0009
0,0008
50
0,0012
0,0011
0,0010
0,0008
0,0007
60
0,0011
0,0010
0,0009
0,0007
0,0006
Tabella 2
S dovuto dalla scintillazione atmosferica in funzione del diametro del telescopio e
del tempo d’esposizione per A = 2
(valido con buona approssimazione per un stella la cui altezza è compresa tra 25° e
45°)
t (secondi)
20 cm
25 cm
30 cm
40 cm
50 cm
10
0,0083
0,0071
0,0063
0,0052
0,0045
20
0,0058
0,0050
0,0045
0,0037
0,0032
30
0,0048
0,0041
0,0037
0,0030
0,0026
40
0,0041
0,0036
0,0032
0,0026
0,0023
50
0,0037
0,0032
0,0028
0,0023
0,0020
60
0,0034
0,0029
0,0026
0,0021
0,0018
E. FONDAMENTALE: LA STELLA CON IL PIANETA IN
TRANSITO NON DEVE AVERE PIXEL SATURI. Questa è una
delle condizioni chiave affinché la precisione fotometrica sia
sufficiente per rilevare con chiarezza il transito: il livello ADU del
pixel più luminoso della stella deve essere intorno a 25000 – 30000
(per una camera CCD a 16 bit). Nel caso in cui la luminosità della
stella fosse troppo elevata, si potrà interporre un filtro (R oppure V) o,
in alternativa, si potrà anche sfocare l’immagine stellare anche di
molto, e comunque almeno 2 o 3 volte la FWHM.
Nella notte in cui avviene il transito:
1. Stabilizziamo termicamente la strumentazione prima di iniziare le
riprese. Apriamo la cupola o il tetto scorrevole alcune ore prima
dell’inizio del transito (anche se ancora non fa buio).
39
2.
3.
4.
5.
Accendiamo il CCD e attendiamo il raggiungimento della temperatura
d’esercizio. RICORDATE CHE LE RIPRESE DOVRANNO
COMINCIARE ALMENO 30 MINUTI PRIMA DELL’INIZIO DEL
TRANSITO E TERMINARE 30 MINUTI DOPO LA FINE.
Se utilizziamo la procedura TRel o qualunque altra procedura che
prevede la realizzazione della curva di luce del transito in diretta, la
stabilizzazione termica della strumentazione va fatta MOLTO prima
dell’inizio dell’evento. È infatti indispensabile avere a disposizione i
bias, dark, e i flat field necessari per calibrare le immagini man mano
che vengono prese. Realizziamo quindi i bias (almeno una ventina), i
dark (tra 20 e 40) ed i flat field (il loro numero deve essere di diverse
decine). La qualità del FLAT FIELD incide in modo determinante
sull’accuratezza delle misure fotometriche e più se ne fanno e più si
riduce l’errore di Poisson sul master mediano del FLAT[3]. Le stesse
considerazioni valgono per i dark e i bias: realizzandone molti si
abbatterà il contributo del Poisson Noise. Questa fase può essere
MOLTO lunga, per cui è buona norma provvedere da prima (almeno i
dark e i bias). Quando il tempo di integrazione del flat è di alcuni
secondi si applicano dark e bias anche ai flat.
Puntiamo il telescopio sul campo della stella con il pianeta in transito,
un’ora prima dell’evento. Inseriamo l’autoguida che, per l’intera durata
dell’evento, non dovrà mai essere disattivata.
UN CONTROLLO UTILE MA NON INDISPENSABILE: una volta
determinata l’esposizione, eseguiremo alcune riprese di test, e con
Astroart o MaxIm verificheremo, con il tempo di integrazione
determinato, il rapporto S/N [4] della stella con pianeta in transito e
delle stelle di confronto.
[3] L’errore di Poisson è dato da:  P 
1
, dove N è il numero totale di fotoelettroni
N
raccolti nell’area di misura. Affinché l’accuratezza sia dell’ordine di 0.002 magnitudini N
deve essere intorno a 25000. Si ricordi che N è dato da G·I dove G è il guadagno del ccd e I
è l’intensità della stella espressa in ADU.
[4] Il rapporto S/N produce il cosiddetto errore stocastico standard:  ST 
1.09
e
S / N 
affinché l’accuratezza delle misure sia sull’ordine di pochi millesimi di magnitudine S/N
dovrà essere almeno pari a 500. Abbiamo potuto rilevare che il modo di calcolare S/N di
Astroart e di MAXIM non è dei più accurati; per essere significativo il valore fornito da
questi software dovrà essere circa il doppio del valore indicato: S/N > 1000 (Per i dettagli sul
calcolo di S/N si veda l’articolo di Rodolfo Calanca pubblicato su COELUM n. 105, pp. 60-
40
A questo punto possiamo avviare la sessione di ripresa che, a seconda
della durata del transito, può durare anche diverse ore.
Per la riduzione delle immagini i passi sono pochi e tutti automatici.
-
Allineamento delle immagini
Calibrazione delle immagini
Fotometria
L’allineamento delle immagini viene fatto in automatico da qualunque
software di analisi (MaxIm DL, Astroart, Iris, ecc) ed è sempre opportuno
farlo, anche se si ha un sistema di guida molto preciso. L’intervallo di
tempo tra le prime riprese e le ultime, come ricordato, può essere anche di
diverse ore e qualche problema di allineamento ci può sempre essere.
La calibrazione delle immagini avviene anch’essa in automatico
utilizzando i software sopra indicati. Una guida a questa operazione può
essere trovata nel Tutorial di “TRel” o nell’ottimo Manuale delle procedure
messo a punto all'Osservatorio di Libbiano per l’acquisizione delle
immagini fotometriche di un transito extrasolare. Questi materiali sono stati
prodotti da astrofili per chi vuol cimentarsi con i transiti e sono reperibili nel
sito della Crab Nebula: www.crabnebula.it. Sostanzialmente bisogna
crearsi: un MASTER BIAS facendo la mediana dei Bias e un MASTER
DARK FLAT facendo la mediana dei dark fatti con i tempi dei flat.
Calibrare i Flat con i MASTER appena creati e quindi creare un MASTER
FLAT facendo la mediana dei Flat. Creare quindi un MASTER DARK
IMAGE mediando i dark fatti con i tempi delle immagini. Applicare il
MASTER DARK IMAGE, il MASTER FLAT e il MASTER BIAS a tutte
le immagini.
La fotometria può essere fatta con un qualsiasi software di analisi. La
procedura di MaxIm (che è quella da noi utilizzata) permette di avere
rapidamente la curva di luce. Maggiori informazioni sulle misure fatte sulla
stella si possono ottenere utilizzando uno script che contiene la funzione di
MaxIm “Document.CalcInformation”.
Per riprendere i transiti, all’Osservatorio di Monte d’Aria
(dell’Associazione Astrofili Crab Nebula di Tolentino) si era costituito un
65). Nel caso che S/N non raggiunga il valore indicato, non aspettiamoci una precisione
fotometrica molto elevata.
41
Team formato da Angelo Angeletti, Fabiano e Francesco Barabucci e
Gianclaudio Ciampechini (vedi figura 6) che aveva studiato le procedure
indicate e che la sera del 26 luglio 2007 era pronto ad iniziare con il transito
di TrES-2. Approfittando di una bella serata all’Osservatorio c’era un bel
gruppo di gente, tra cui anche Rodolfo Calanca; abbiamo fatto una cena
all’aperto, ma l’attenzione era tutta per le riprese che devono iniziare alle
22:21 UT.
Fig. 6 – Il Team dell’Osservatorio di Monte d’Aria all’opera per preparare il telescopio, da
sinistra Angelo Angeletti, Francesco Barabucci, Fabiano Barabucci, Gianclaudio
Ciampechini.
Dopo avere fatto i preparativi la sera prima, iniziamo alle 21:00 circa, ma
come spesso succede non tutto fila liscio e impieghiamo più tempo del
previsto ad avviare la procedura di acquisizione e non riusciamo a
riprendere la prima fase del transito. Il ritardo fu dovuto al fatto che
provammo a riprendere sia con la 20DA sul riflettore da 410 mm sia con il
ccd ST7-XME, di Gianclaudio, sul rifrattore MAEDE da 178 mm che fece
anche da autoguida. Il risultato fu deludente con la 20DA, ma estremamente
esaltante col ccd (vedi figura 7), si perse l’inizio del transito, ma la fine è
molto evidente.
Questo risultato fu la molla che ci spinse a passare tutta l’estate a cercare
di migliorare, anche grazie al confronto con altri amici sparsi per l’Italia. La
42
sera del 26 luglio ripresero il transito (secondo una email di Calanca del 28
luglio): Federico Manzini, Daniele Gasparri, Claudio Lopresti, Roberto
Pellin, Valentino Luppi e Gilberto Forni. Alla stessa email era allegata la
curva di luce ottenuta da Daniele Gasparri con un riflettore Newton
Skywatcher 25 cm f4.8 (1200 mm) ed una camera ccd ST7-XME (vedi
figura 8).
Fig. 7 – Curva di luce del transito di TrES-2 del 26 luglio 2007 ottenuta all’Osservatorio di
Monte d’Aria (MC)
Queste prime curve di luce sono la dimostrazione che l’obiettivo si può
raggiungere, si possono realizzare curve di luce di un transito anche con
strumentazione amatoriale. Durante il mese di agosto e la prima metà di
settembre si susseguono osservazioni che portano a realizzare curve di luce
sempre più precise ed altri amici (tra cui spicca il gruppo di Remanzacco) si
aggiungono al gruppo.
Ai primi di ottobre nasce l’idea di effettuare una serata di osservazione
di un transito in contemporanea in diversi osservatori d’Italia, il progetto
denominato Extrasolari Live! viene presentato il 31 ottobre 2007 in un
conferenza pubblica a Tolentino e per la prima volta viene mandata in
diretta web dal sito dell’Associazione Astrofili Crab Nebula.
Si stabilisce di osservare il transito del pianeta extrasolare XO-2b del 27
febbraio 2008 (si tiene l’11 marzo come data di riserva); XO-2b è un
pianeta scoperto nel 2007 da un gruppo internazionale di ricercatori, tra i
quali due italiani F. Mallia e G. Masi.
43
Fig. 8 – Curva di luce del transito di TrES-2 del 26 luglio 2007 ottenuta da Daniele Gasparri
Intanto continuano le osservazioni di transiti al fine di coinvolgere
sempre più osservatori e il progetto diventa internazionale, infatti il transito
di WASP 1 del 6 novembre 2007 viene registrato anche dal francese Hubert
Boussier da Avignone utilizzando uno SC Meade 10", riduttore f 6.3, un
CCD Atik 16HR, su montatura ZX4 Trassud, autoguida Guidemaster con
webcam Philips TouCam su rifrattore 70x700mm.
Fig. 9 – Logo del
progetto Extrasolari
Live!
Fig. 10 – Schermata del programma Trel con la curva di luce del
transito del pianeta HD189733b del 26 agosto 2008 ottenuta al
Centro Astronomico di Libbiano - Peccioli.
44
A causa della posizione della sua postazione osservativa, non ha potuto
riprendere la parte finale del transito, ma l’inizio è molto chiaro.
Un altro gruppo che inizia a fare riprese di transiti è quello
dell’Associazione Astrofili Alta Valdera dall’Osservatorio di Libbiano (PI);
il loro primo tentativo, fatto la sera del 21 dicembre 2007, è un ottimo
risultato; Alberto Villa, Enzo Rossi, Emilio Rossi e Paolo Bacci, hanno
infatti ripreso con successo il transito di XO-2b.
Intanto il progetto Extrasolari Live! assume una forma definitiva: si
stabilisce infatti di realizzare anche delle dirette web da quei siti osservativi
per i quali è possibile farlo. A tal fine, a Monte d’Aria, per opera
principalmente di Fabiano Barabucci, mettiamo a punto un software di
acquisizione e di rielaborazione che consente di realizzare immediatamente
la curva di luce del transito. Il software viene chiamato Trel e viene
distribuito a partire dai primi di gennaio 2008 allo scopo di testarlo sul
campo. Viene realizzato e messo a disposizione di coloro che
parteciperanno al progetto e che comunque vorranno cimentarsi con i
transiti di pianeti extrasolari molto altro materiale[5].
Durante gennaio e febbraio vengono effettuati quindi diversi test per
provare il software e le dirette web. Cito quello del 26 gennaio 2008 svolto
in condizioni meteo decenti e al quale hanno partecipato, inviando curve di
luce: Monte d’Aria, il Centro Astronomico di Libbiano, Paolo Bacci da
Capannoli (PI), Gimmi Ratto da Pisa, l’Osservatorio Astronomico
dell’Università di Siena (A. Borsi, M. Conti, A. Marchini, F. Marchini),
Riccardo Papini da Carpione, Gilberto Forni e Valentino Luppi
dall’Osservatorio S.Giovanni in Persiceto (BO) (che hanno provato anche
con la fotocamera digitale 20DA) e Fabio Zucconi, Gianluca Manenti,
Enrico Tamagni, Tiziano Coccoli del Gruppo Astrofili M42 di Mairago
(LO).
Altri test sono stati svolti il 6 febbraio 2008 in condizioni meteo brutte,
gran parte dell’Italia era sotto le nuvole: hanno ottenuto curve Hubert
Bousseir, dall’Osservatorio di St Saturnin-les-Avignon in Francia, Gilberto
Forni e Valentino Luppi dall’Osservatorio di San Giovanni in Persiceto
(BO); Fabio Zucconi con gli amici Gianluca Manenti, Tiziano Ceccoli,
Angelo Marconi del GAM42 dell’Osservatorio Astronomico di Mairago
(LO); Elisabetta e Gerardo Sbarufatti da Caselle Landi (LO). In questa
occasione si è provata anche la trasmissione in diretta sul web dal Centro
Astronomico di Libbiano, il cielo coperto non ha permesso di effettuare un
[5] Tale materiale è reperibile nel sito dell’Associazione Astrofili Crab Nebula:
www.crabnebula.it
45
test di acquisizione, ma Alberto Villa e gli amici di Peccioli hanno
comunque fatto il test di trasmissione.
Il 14 febbraio 2008 viene fatto l’ultimo test con la partecipazione di
Antonello Ruocco da Sorrento, Fabio Zucconi e Luca Manenti del GAM42
dell’Osservatorio Astronomico di Mairago (LO), Elisabetta e Gerardo
Sbarufatti e il gruppo di Libbiano che finalmente riesce a mandare in diretta
la curva di luce del transito mentre si forma, ma non riesce e far funzionare
l’audio della trasmissione.
A pochi giorni dal transito eravamo a conoscenza di 24 siti nei quali
sarebbe stato ripreso il transito e organizzata una serata aperta al pubblico
dedicata ai pianeti extrasolari e in 5 di questi si sarebbe effettuata la diretta
web. In diretta web dal sito di Coelum Astronomia lo scopritore Gianluca
Masi avrebbe commentato l’evento.
Il 27 febbraio però le condizioni meteo sono state pessime in tutta
Europa e riescono solo la diretta di Joan Genebriera, che trasmette
dall’Osservatorio Tacande a La Palma (Isole Canarie), e di Salvo Massaro
dall’Osservatorio INAF di Palermo.
Nel tentativo dell’11 marzo le cose sono andate meglio; le condizioni
meteo, però, hanno ancora una volta condizionato le riprese: il nord Europa
era sotto le nuvole, in Italia le condizioni sono state variabili, mentre alle
Canarie in intenso corpo nuvoloso ha obbligato all’interruzione a metà
transito. Nonostante il meteo e l’orario non proprio ottimale (il transito è
iniziato alle 22.49 UT con la stella a 57° sull’orizzonte ed è terminato alle
1.35 UT del 12 con la stella ormai a soli 32° sull’orizzonte con conseguenti
problemi di ripresa) l’evento ha riscosso notevole successo (nei vari siti che
trasmettevano in diretta si sono contati almeno un migliaio di contatti).
Dal sito di Coelum Astronomia è stato molto apprezzato il lavoro di
presentazione e di commento, nonché la ripresa del transito, di Gianluca
Masi e Franco Mallia (co-scopritori di XO-2b); Oscar Straniero e Mauro
Dolci hanno trasmesso la diretta dall'Osservatorio del’INAF di Collurania
(TE) e insieme allo staff dell’osservatorio hanno realizzato una curva di luce
del transito con il mitico rifrattore Cooke[6]; ottimo il lavoro del bravissimo
team del Centro Astronomico di Libbiano-Peccioli, diretto da Alberto Villa.
Molto attesa era anche la curva di luce di Joan Genebreira e John Mills del
Tecande Observatory di La Palma, specie per gli amici spagnoli, ma, come
detto, a metà transito hanno dovuto interrompere per la copertura nuvolosa.
Anche da Monte d’Aria abbiamo provato a trasmettere dal sito della
Crab Nebula la curva di luce del transito, ma problemi tecnici prima e meteo
[6] Quello con cui Vincenzo Cerulli fece le osservazioni di Marte.
46
poi non ci hanno permesso di portare a termine la ripresa.
Fig. 11 – La curva di luce del transito del pianeta extrasolare TrES-2b del 26 giugno 2008
effettuata da Giorgio Corfini.
In questa occasione vanno citati anche Elisabetta e Gerardo Sbarufatti;
Rigoni dell’Associazione Astronomica Tethys di Voghera (PV); Fabio
Salvaggio (PI), Giuseppe Marino e lo staff Skylive/GAC/UAI; Gilberto
Forni e Valentino Luppi da S. Giovanni in Persiceto.
Dopo il successo del progetto Exoplanet Live! ci sono un paio di mesi di
pausa: termina la sua funzione il Planetary Team e nasce l’European
Astrosky Team che con la circolare n. 2 del 6 maggio 2008 lancia un nuovo
programma di monitoraggio dei transiti di pianeti extrasolari.
Il maltempo però condiziona le osservazioni fino alla metà di giugno,
anche se qualche spiraglio tra le nuvole ha permesso a vecchi e nuovi amici
di cimentarsi in qualche ripresa.
I primi a realizzare una curva di luce, anche se parziale, sono stati
Elisabetta e Gerardo Sbarufatti che hanno ripreso il transito di TrES-2b il 10
maggio con un C8 e una Canon EOS 350D non modificata.
La seconda curva di luce pervenuta è quella di Antonello Medugno
relativa al transito di TrES-3b del 23 maggio. È la sua prima curva:
Antonello inizia le riprese con Trel, ma problemi di inseguimento, dovuti ad
uno stazionamento frettoloso causa condizioni meteo sfavorevoli fino a
pochi istanti dall’inizio del transito, non gli hanno permesso di riprendere
tutto il transito con tale programma. Ha poi utilizzato MaximDL per la
fotometria. Ha effettuato le riprese con un telescopio Intes Micro M603 f/10
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(EFL=1500mm) e una camera StarlightXpres SXV-H9 guidato da un
rifrattore Borg60ED (EFL=1000mm) con la Starlight Guider. Il tutto su una
montatura EQ6Pro; non ha utilizzato filtri.
Fig. 12 – La curva di luce del transito del pianeta extrasolare TrES-3b del 5 luglio 2008
effettuata da Antonello Medugno.
Per un mese non è stato possibile effettuare riprese, le successive
risalgono infatti alla notte del 22 giugno, quando, tra l’altro, abbiamo
effettuato una diretta web del transito di TrES-3b. Salvo Massaro,
dall’Osservatorio INAF di Palermo ha inviato in rete la curva di luce man
mano che si formava, mentre io, da Macerata, commentavo le immagini.
Oltre alle immagini di Salvo sono pervenute anche le osservazioni di
Antonello Medugno e di Elisabetta e Gerardo Sbarufatti.
E veniamo ad un risultato decisamente sorprendente e che mette in
evidenza che una buona tecnica applicata anche a una semplicissima
attrezzatura può date ottimi risultati; Giorgio Corfini ha infatti realizzato la
sua curva di luce del transito di TrES-2b del 26 giugno 2008 con
attrezzatura decisamente semplice e artigianale. In una email inviataci
scrive: “Le invio il report ed il diagramma della curva di luce relativo
all'osservazione del transito di Tres-2b del giorno 26/06/2008. Quello che
può essere interessante sottolineare, visto che i dati di per sé non sono
molto significativi, è la particolarità dell'attrezzatura utilizzata. Si tratta di
strumentazione davvero “entry level” visto che il telescopio è un Newton
48
114/900, la camera è la CCD-UAI autocostruita e la montatura, con
relativa elettronica di controllo, è una equatoriale in legno compensato
pensata e realizzata in proprio. Insomma un “setup” da poche centinaia di
euro. In allegato, oltre alla curva di luce, la fotografia della mia postazione
con gli strumenti utilizzati.”
Fig. 13 – La curva di luce del transito del pianeta extrasolare TrES-3b del 5 luglio 2008
effettuata da Valentino Luppi e Gilberto Forni all’Osservatorio di San Giovanni in Persiceto.
La particolarità sta nel fatto che le immagini sono state riprese con una fotocamera digitale
(Canon EOS 20DA).
La stessa sera anche Antonello Medugno ha effettuato la ripresa del
transito di TrES-2b.
Un altro transito registrato è stato quello di HD189733-b del 27 giugno
2008. Questa volta sono stati i “vecchi” amici dell’Associazione Astrofili
Alta Valdera; loro utilizzano un telescopio riflettore Ritchey-Chretien da
500mm f/6 con in parallelo un rifrattore apocromatico A&M da 180mm, f/9;
ccd principale Finger Lakes FLI IMG con sensore Kodak KAF 1001E
classe 1, 1024x1024 pixels da 24 m e CCD di guida Starlight SXVF-H5
(al fuoco diretto del rifrattore); software: Maxim DL, The Sky, Robofocus e
TRel. Attrezzatura decisamente notevole!
Sulla base dei risultati ottenuti da Antonello Medugno il 26 giugno, si è
deciso di effettuare una nuova diretta web per il transito di XO-1b del 4
luglio 2008. Antonello dal suo Osservatorio (sul terrazzo di casa a Capua)
ha inviato sul sito della Crab Nebula la curva di luce man mano che si
49
andava formando ed io da Macerata ho commentato i risultati ed ho
illustrato il metodo dei transiti e le procedure per ottenere una curva di luce.
Le nuvole hanno fortemente condizionato le riprese che hanno subito varie
interruzioni; nonostante ciò la diretta, con un buon ascolto, è andata avanti
dalle 22.00 alle 1.30.
Purtroppo l’estate e le ferie hanno fatto rallentare l’attività: sono arrivati
report osservativi da Antonello Medugno e da S.Giovanni in Persiceto per il
transito di TrES-3b del 5 luglio, da Corfini per il transito di TrES-3b del 6
luglio, dal Centro Astronomico di Libbiano e da Nello Ruocco per il transito
di TrES-1b dell’11 luglio.
Alla fine di agosto l’attività ha ripreso vita grazie a due dirette web di
due transiti realizzata dagli astrofili dell’Alta Valdera da Libbiano il 26
agosto e del 6 settembre per i transiti di HD139733. La prima è andata a
buon fine, la seconda no causa maltempo.
I risultati di questo anno di attività hanno dimostrato ampiamente quanto
si voleva provare: ANCHE CON UN’ATTREZZATURA MODESTA, UNA
BUONA TECNICA PERMETTE DI OTTENERE RISULTATI
SORPRENDENTI SUI TRANSITI DI PIANETI EXTRASOLARI.
50
51
Paolo Bacci
A.p.A. ASTEROIDI PER ASTROFILI
Gli astrofili
La programmazione dello studio dei corpi minori del sistema solare da
parte degli astrofili non può prescindere da alcune considerazioni sulle sue
potenzialità strumentali e del sito osservativo, che di norma, dovrebbe
essere costituito da un piccolo osservatorio in postazione fissa che deve
possedere il “codice osservatorio” del Minor Planet Center.
L’equipaggiamento indispensabile per uno studio dei piccoli corpi
interplanetari deve essere composto da un telescopio di almeno 15 cm di
diametro, montatura motorizzata (preferibilmente equatoriale), sistema di
autoguida, dispositivo per l'acquisizione di immagini con sensori CCD o
CMOS.
Sulla base di questi fattori l'astrofilo può dare un importante scientifico
sia dal punto di vista astrometrico sia fotometrico. La ricerca rivolta a
scoprire un nuovo oggetto è in genere riservata ad osservatori dotati di un
telescopio di almeno 40 cm di diametro, oppure in grado di raggiungere la
magnitudine 19 in tempi sufficientemente brevi (dell’ordine di alcuni minuti
di esposizione). Gli astrofili in possesso di un equipaggiamento modesto
hanno comunque la possibilità di effettuare una serie di importati attività in
questo settore.
Fig. 1 – l’asteroide Itokawa ripreso dalla sonda
Hayabusa Spacecraft 2005.
52
Programmi Osservativi
NEOCP
Di particolare interesse sono i programmi di conferma dei NEOCP
(Near Earth Object Confirmation Page). Questi oggetti con orbita
peculiare, di norma scoperti dalle survey, vengono inseriti in un apposita
pagina web del Minor Planet Center7. reperibile all'url:
http://cfa-www.harvard.edu/iau/NEO/ToConfirm.html
Fig. 2 – La cometa C2008 Q1 è inserita tra gli oggetti NEOCP la cui conferma è stata
ottenuta dall’Autore con il telescopio S-C di 25cm dell’Osservatorio B09 - Capannoli
Al momento della loro pubblicazione sul sito si hanno a disposizione
solo poche misure, per cui l’orbita è molto incerta. Qui entra in gioco il
contributo osservativo degli astrofili.
Di norma, le survey professionali non ritornano ad osservare quella zona
di cielo, per cui sono necessarie ulteriori misure di conferma. Gli astrofili
possono quindi dare inizio ad una vera e propria caccia all'oggetto che, in
caso di successo, può essere premiata con la pubblicazione delle loro
osservazioni
sulla circolare M.P.E.C8 sulla quale appariranno le
informazioni e i dati osservativi concernenti la scoperta del nuovo oggetto.
7
M.P.C. centro unico mondiale che archivia i dati relativi agli asteroidi e comete.
M.P.E.C. Minor Planet Electronic Circulars contengono informazioni su particolari
tipologia di asteroidi, e delle comete
8
53
Con una certa frequenza capita di individuare tra questi oggetti,
inizialmente classificati come asteroidi, una cometa, la cui natura viene
segnalata dagli astrofili a seguito di un’attenta analisi delle immagini riprese
ed in base alla tipologia dell’ orbita.
FOLLOW-UP
Una volta che l'asteroide è stato scoperto è necessario seguirlo, al fine di
ottenere una precisa determinazione degli elementi orbitali. Anche in questo
caso l'apporto degli astrofili è determinate; ogni anno vengono scoperti
centinai di nuovi oggetti, che per lo più vengono misurati dagli astrofili. E'
tutt'altro che raro che le osservazioni effettuate dagli amatori permettano di
migliorare in modo considerevole l'incertezza dell'orbita di un asteroide.
RECOVER
In pratica ritrovare oggetti che non sono stati osservati da un certo periodo
di tempo; o che ritornano all'opposizione.
Asteroidi T3
Sono oggetti che hanno caratteristiche orbitali simili alle comete.
Potrebbero essere comete dormienti per cui può essere utile ed interessante
segurli nel tempo. Già diversi oggetti classificati come asteroidi grazie a
questa attività svolta da astrofili sono risultati essere in realtà delle comete.
Fig. 3 – L’orbita dell’asteroide 2008 HW1 con caratteristiche T3
54
CURVE di LUCE
Monitorare l'andamento fotometrico dell'asteroide per ricavarne il
periodo di rotazione e l'orientamento polare è un’attività principalmente
svolta dagli astrofili.
Le osservazioni prolungate nel tempo consentono di ricavare le
informazioni morfologiche dell'oggetto, quali la forma, le dimensioni,
nonché il periodo di rotazione e l'orientamento dell’asse di rotazione.
Fig. 4 – Da una serie di curve di luce dell’asteroide, ottenute in un ampio periodo di tempo, è
possibile ricavare la sua forma approssimativa
OCCULTAZIONI
Quando un asteroide occulta una stella, si parla di occultazione
asteroidale. L'osservazione di questo fenomeno permette di ricavare
importanti informazioni circa le dimensioni e la forma dell'oggetto, in
particolare se gli osservatori sono numerosi e dislocati lungo la linea di
visibilità.
Le occultazioni asteroidali di norma durano pochi secondi, è pertanto
fondamentale che la registrazione del fenomeno raggiunga una precisione
temporale dell'ordine di qualche decimo di secondo. L'osservazione può
55
essere fatta sia in visuale che utilizzando telecamere,
camere CCD o reflex digitali CMOS.
webcam, oppure
Fig. 9 – L’asteroide 1998 Uo1 occulta una stella, foto dell’Autore (Osservatorio B09
Capannoli)
PARALLASSE
Misurando un asteroide, nello stesso istante, da due osservatori distanti
tra loro è possibile ricavare la parallasse che permette di misurare in modo
approssimativo la distanza dell'asteroide.
CONCLUSIONI
L'astrofilo, grazie al livello tecnologico della strumentazione attualmente
disponibile, può fattivamente contribuire allo studio “scientifico” dei corpi
minori del sistema solare senza che ciò comporti un eccessivo investimento
economico. Questo è un settore che offre una vasta gamma di programmi di
ricerca, sovente premiati da buoni risultanti, tanto che l’astrofilo può
permettersi di scegliere l'attività in relazione alla strumentazione posseduta
ed al tempo effettivamente a disposizione per poterla svolgere con profitto.
56
57
Rodolfo Calanca
IL PROGETTO EUROPEAN ASTROSKY NETWORK
CONSIDERAZIONI GENERALI ED IDEA DI FONDO
Oggi l’astronomia nazionale, professionistica ed amatoriale, è
profondamente in crisi, di immagine, di idee, di obiettivi.
L’INAF, il massimo ente astronomico nazionale, parla di cancellarne la
storia e la tradizione plurisecolare attraverso la scellerata chiusura degli
Osservatori astronomici statali nel volgere di pochi anni: un patrimonio
inestimabile di strumenti che rischia di essere dimenticato, dissipato, sepolto
in polverose stanze dei musei!
La stessa INAF ha assistito, con la massima indifferenza e senza
minimamente
intervenire,
alla
cancellazione
dell’insegnamento
dell’astronomia dalla scuola media superiore. Pur essendo il depositario
istituzionale della cultura astronomica, l’Istituto non svolge alcun ruolo
divulgativo, se non attraverso inutili e miserevoli iniziative, come i
comunicati stampa che non interessano a nessuno perché chiaramente
autoreferenziali ed autocelebrativi.
Di riflesso, l’astronomia amatoriale soffre in modo grave di questa crisi
di valori che trascina verso il basso anche il piccolo “mercato” astronomico:
l’editoria, le ditte produttrici e commerciali.
L’UAI, che dovrebbe essere il “motore” nazionale dell’astronomia
amatoriale, latitata in modo clamoroso e disattende i suoi stessi compiti
istituzionali, comportandosi come un piccolo centro di potere più vicino alle
esigenze di valorizzazione dell’immagine dei “dirigenti” e dell’apparato che
non ai reali problemi dei propri associati.
Le sezioni di ricerca UAI, che fino ad una decina di anni fa svolgevano
un lavoro dignitoso oggi, salvo rare eccezioni,
sono in genere
inadeguatamente attive e con uno scarso potere di coinvolgimento.
Per il non professionista non ci sono più punti di riferimento, modelli ai
quali ispirarsi o stimoli capaci di riaccendere un entusiasmo ormai soffocato
da una allarmante banalità di obiettivi.
La situazione è ancor più grave perché la crisi coinvolge pesantemente
gli Osservatori astronomici pubblici gestiti da amatori, il cui numero è
elevato, in particolare al centro-nord.
58
Le strutture pubbliche (essenzialmente di proprietà comunale) superano
infatti le 50 unità, ma una parte troppo consistente di esse, un prezioso
patrimonio non solo strumentale ed immobiliare, ma, soprattutto di uomini e
di idee, è ampiamente sotto utilizzato sia in ambito divulgativo sia nella
ricerca.
Se poi guardiamo all’intero parco strumentale nazionale, ci accorgiamo
con sgomento che migliaia di telescopi (del costo complessivo di diversi
milioni di euro) lavorano pochissimo e quasi sempre senza obiettivi, con
scarsi risultati e soddisfazione nulla.
La domanda è allora la seguente: come fare per dare un contribuito alla
soluzione di questo stato di crisi?
Per quanto ci riguarda, il nostro concreto apporto può essere espresso
attraverso un modo nuovo di fare volgarizzazione, divulgazione e didattica
astronomica. Oggi non ci si può più affidare alla sola carta stampata,
occorre fare un salto tecnologico significativo e sfruttare le straordinarie
risorse del web. In altre parole, una delle possibili chiavi per affrontare e
risolvere la crisi appena descritta sta, a mio parere, nell’uso intelligente e
diversificato di Internet, attraverso una proposta assolutamente innovativa
per il settore astronomico.
OBIETTIVO DEL PROGETTO
Innanzitutto è bene chiarire che la proposta EAN riguarda un progetto a
tempo indeterminato. L’obiettivo è la creazione di un network in grado di
sfruttare le potenzialità, a basso costo, del web, per fornire ad un ampio
bacino di utenza un’informazione di qualità, corretta e avvincente, in ambito
astronomico. I servizi informativi si basano essenzialmente sull’uso della
diretta, realizzata in economia e facilmente fruibile dall’utente, per
documentare e commentare eventi astronomici di ogni specie ordinari o
straordinari (eclissi, transiti, occultazioni, ecc.), promuovere corsi in
videoconferenza e notiziari informativi anche con trasmissioni a cadenza
giornaliera.
Si creeranno archivi di documenti e di filmati ai quali si potrà attingere
prevalentemente in modo gratuito, anche se alcuni servizi, per il loro non
trascurabile costo, dovranno essere a pagamento.
Si individueranno aree di intervento appositamente studiate per poter
fornire agli amatori le conoscenze di base per portare avanti alcune tipologie
di ricerca, ad esempio: ricerca supernove, extrasolari, pianeti in alta
risoluzione, asteroidi, ecc.
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A CHE PUNTO SIAMO?
L’idea qui illustrata nasce come conseguenza del notevole successo del
progetto Extrasolari Live! (l’osservazione pubblica di alcuni transiti
extrasolari del pianeta XO-2b, che ha avuto il suo svolgimento tra l’ottobre
2007 ed il marzo 2008) realizzato dal Planetary Team in collaborazione con
Coelum, al quale hanno fattivamente aderito numerosi Osservatori
astronomici non solo italiani.
Alcuni dei passaggi più significativi del progetto sono avvenuti
attraverso alcune dirette web, seguitissime e di notevole successo. Il
progetto extrasolari ha dimostrato che il momento è favorevole per lanciare
una iniziativa coinvolgente ed innovativa come quella di un network
astronomico europeo sul web.
INIZIATIVE, PALINSESTO E IDEE VINCENTI
Le idee vincenti del progetto sono così riassumibili:
1) Servizi informativi e promozione di progetti, basati essenzialmente
sull’uso di trasmissioni in diretta, diffuse via web, realizzate in
economia e facilmente fruibili dall’utente possessore di ADSL. Lo
scopo è di documentare e commentare eventi astronomici di ogni
specie, ordinari o straordinari (eclissi, transiti, occultazioni, comete,
ecc.). Tali servizi si avvalgono del determinante contributo degli
amatori e degli Osservatori professionali. Un esempio significativo di
questa modalità di servizio lo abbiamo sperimentato, con un successo
insperato, con il progetto Extrasolari Live! che, come ben sappiamo, ha
riscosso un grande successo sul sito di Coelum e dell’Associazione
Astrofili Alta Valdera.
2) Promuovere iniziative, coinvolgenti e di forte impatto, rivolte agli
amatori, agli studenti ed agli insegnanti, in videoconferenza. Un
esempio: corsi di base e di approfondimento, generalmente a
pagamento.
3) Notiziari giornalieri di informazione astronomica, proposti con un
taglio giornalistico, per diffondere annunci e comunicati di interesse sia
nazionale che europeo.
60
4) Accogliere filmati astronomici prodotti dagli utenti con webcam,
ovvero: creiamo una sorta di YOU TUBE dell’astronomia.
STRUTTURA DEL SITO
Si creeranno archivi di documenti e di filmati ai quali si potrà attingere
prevalentemente in modo gratuito, anche se alcuni servizi, per il loro non
trascurabile costo, dovranno essere a pagamento.
L’archivio documenti può inizialmente essere costituito dai documenti
prodotti dai singoli partecipanti al progetto e già presenti nei loro siti.
Ad esempio: il materiale prodotto per Extrasolari Live!; dal mio sito
personale e di quello di Gimmi Ratto, Crab Nebula, AAAV, ecc.
Si individueranno aree di intervento appositamente studiate per poter fornire
agli amatori le conoscenze di base per portare avanti alcune tipologie di
ricerca, ad esempio: ricerca supernove, extrasolari, pianeti in alta
risoluzione, asteroidi, ecc.
IPOTESI PER UN PALINSESTO
Nel seguito riporto alcune idee di attività e progetti che possono
costituire l’ossatura di un palinsesto di trasmissioni.
Scorrendo le possibili iniziative che si potrebbero attuare, è facile notare che
spunti ed idee abbondano ma che, soprattutto, stiamo acquisendo la
consapevolezza di offrire qualcosa di assolutamente nuovo ed inedito, non
solo per l’Italia, ma per l’intera comunità astronomica internazionale.
Ecco che cosa si potrebbe trovare nel portale, quando funzionerà a pieno
regime:



Un notiziario giornaliero di taglio giornalistico, da trasmettere intorno
alle 21, con numerose repliche. Le notizie e gli eventuali filmati sono
fornite dagli stessi utenti, in occasione di convegni professionali od
amatoriali, Star Party, conferenze, osservazioni di eventi eccezionali,
Maratona Messier, ecc. Il tutto funzionerà sulla raccolta di
informazioni che le Associazioni, i singoli e gli Osservatori forniranno
ad una Redazione appositamente costituita.
Il Sole in diretta da alcuni Osservatori astronomici.
Proposte di progetti osservativi sorretti da forti motivazioni, ecco
alcuni esempi illuminanti:
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Progetto “Caccia alla cometa”: si attivano gli amatori italiani ed
europei per una caccia alle comete con mezzi amatoriali semplici
(teleobiettivi, CCD o digicam, ecc.), e con premi sponsorizzati per gli
scopritori. Il premio agli scopritori è un’antica tradizione che risale al
Settecento, noi dobbiamo enfatizzarla;
Mappiamo il cielo settentrionale con filtri a banda stretta: un progetto
curato e condotto da Gimmi Ratto. Gimmi impartisce delle lezioni in
diretta web e promuove il progetto;
Anno mondiale dell’astronomia 2009: osserviamo i satelliti medicei
con il cannocchiale di Galileo;
Osservazioni astronomiche in diretta:











Serate in diretta dagli Osservatori astronomici amatoriali e
professionali, sul tema: come si lavora in un Osservatorio?
(esempio:
10
serate
in
altrettanti
Osservatori
amatoriali/professionali…);
Osservazioni simultanee, trasmesse dal portale, di transiti
extrasolari;
Osservazioni commentate di eclissi di Sole e di Luna, di
comete (es.: già in Mongolia si potrebbe fare l’eclisse?;
verificare…);
Corsi di astronomia sul web: sono rivolti agli amatori,
insegnanti, studenti. Alcuni dei docenti fanno già parte attiva di
questo Team: A. Angeletti, G. Ratto, A. Villa, E. Rossi, ….
Progetti di ricerca: saranno tra gli assi portanti del network.
Uno di questi, sulla caccia alle comete, è già stato illustrato.
Eccone alcuni altri, con a fianco i nomi di coloro che
dovrebbero promuoverli:
Pianeti in alta risoluzione (C. Fattinnanzi)
Ricerca supernovae (M. Villi)
Ricerca extrasolari (A. Angeletti)
Ricerca asteroidi (P. Bacci)
Profondo cielo (G. Ratto)
Ricerca comete (R. Calanca)
62

Circolari informative, anche in formato cartaceo, sul modello di quelle
del Planetary Research Team;
PERSONE CHE CONDUCONO IL PROGETTO
In questa fase, i componenti del team che partecipano attivamente
all’attuazione del progetto sono i seguenti:
Rodolfo Calanca,
Angelo Angeletti, Antonello Medugno, Fabiano
Barabucci, Francesco Barabucci, Gianclaudio Ciampechini, Cristian
Fattinnanzi, Alberto Villa, Enzo Rossi, Emilio Rossi, Paolo Piludu, Paolo
Bacci, Gimmi Ratto, Gilberto Forni, Valentino Luppi, Mirco Villi.
DESTINATARI E UTENTI
Siamo perfettamente consapevoli che il nostro “bacino di utenza” è di
nicchia. Non è detto che questa sia, per forza di cose, una condizione
negativa: un vantaggio sta nel fatto che è abbastanza semplice capire e
soddisfare le esigenze di un campione umano omogeneo e ridotto. In Italia
esso è costituito da alcune migliaia di appassionati di astronomia, lo zoccolo
duro dell’astrofilia nazionale. Sporadicamente, ed in occasione di eventi
straordinari (comete, eclissi, ecc.), i fruitori potranno aumentare fino a
diverse decine di migliaia.
Il successo completo del progetto sarà sancito nel momento in cui il
network avrà assunto una dimensione europea, alla quale corrisponderà
un’utenza “stabile” di alcune decine di migliaia di persone. Nostro compito
sarà di valutare ed utilizzare tutti gli strumenti che ci possano consentire di
ampliare il bacino d’utenza del network.
SINERGIE
In questo progetto le sinergie e le capacità di cooperazione svolgono un
ruolo fondamentale, perché chi realizzerà concretamente le iniziative,
pensate in seno al team, saranno tutte quelle strutture astronomiche,
pubbliche e private, che si prenderanno a carico le dirette.
Ciò significa che dovremo dare un fortissimo impulso a tutte le iniziative
mirate al coinvolgimento diretto ed alla valorizzazione di contributi degli
amatori e dei professionisti, italiani ed europei.
63
Rodolfo Calanca
EANWEB: ALCUNI PROGETTI CULTURALI E SCIENTIFICI
PER L’ANNO INTERNAZIONALE 2009
2009: Anno Internazionale dell'Astronomia e celebrazione galileiana
dell'invenzione del cannocchiale
Il 20 dicembre 2007 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, su proposta
dell'UNESCO, ha proclamato il 2009 Anno Mondiale dell'astronomia, anno
che ha un profondo significato per la Scienza, perché ricorre il IV°
centenario del primo utilizzo astronomico del cannocchiale di Galileo .
Il coordinamento internazionale della manifestazione (alla quale hanno
già aderito oltre 100 Paesi) è affidato ad UNESCO, affiancato dall’Unione
Astronomica Internazionale (IAU), nonché dall’European Southern
Observatory (ESO). La cerimonia di apertura dell'Anno Mondiale si terrà
nel gennaio 2009 a Parigi nella sede UNESCO, mentre la chiusura mondiale
della manifestazione, il 9 gennaio 2010, sarà ospitata dall'Italia.
L'INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), dal proprio sito, dichiara così
gli obiettivi delle diverse manifestazioni: "La visione elaborata per
l’IYA2009 consiste nel tentativo di aiutare il pubblico di tutto il mondo a
riscoprire il proprio posto e ruolo nell’Universo attraverso una ritrovata
consuetudine con il cielo, osservato sia al dì che la notte. Lo spirito è quello
di spronare specialmente i giovani a riavvicinarsi, tramite l’Astronomia, alla
grande ed affascinante avventura della Scienza, con un percorso personale
che porti a riconsiderare l’importanza e l’impatto dell’Astronomia stessa,
ma anche della altre scienze di base, nella nostra vita di ogni giorno".
UN PROGETTO EAN: "CACCIA ALLA COMETA”
Tra le molte iniziative che si possono proporre per celebrare degnamente
l'Anno Mondiale dell'Astronomia, una, a nostro parere, coglie in pieno lo
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spirito della manifestazione per l'elevato livello di coinvolgimento culturale
e scientifico: la "caccia" alla cometa di Galileo che, una volta scoperta (in
un periodo di tempo compreso tra la metà del 2008 e la fine del 2009)
diventi emblematica dell'Anno Galileiano (qui, Galileiano è sinonimo e
paradigma di Astronomia).
Con il termine “caccia” intendiamo la ricerca intenzionale e
programmata di cometa/e attraverso la consueta pratica della ricerca non
professionale (ovviamente, gli astronomi di professione sarebbero esclusi) .
Contrariamente a quanto di solito si è portati a pensare, anche in
un'epoca ad alta tecnologia come la nostra non manca lo spazio per scoperte
astronomiche individuali , con mezzi anche modesti, che siano il frutto della
pura osservazione del cielo e della pazienza e perseveranza che nel passato
premiava, spesso in modo copioso, i grandi astronomi e i "dilettanti" in
quasi egual misura. Ci basta ricordare alcuni nomi: Charles Messier,
William Herschel, Jean-Louis Pons, Giovanni Battista Donati, Edward
Barnard e, molto più recentemente, Alan Hale, Thomas Bopp….
Così, potrebbe bastare un binocolo oppure un piccolo telescopio, per
intraprendere, con qualche possibilità di successo, la ricerca di questi
affascinanti oggetti.
Ovviamente, la caccia è aperta anche a tutti quegli amatori dotati di
strumentazione evoluta, quali camere CCD o digicam e telescopi anche di
dimensioni ragguardevoli.
IL SAGGIATORE: GALILEO E LE COMETE
PERCHÉ IL PREMIO GALILEO ALLO SCOPRITORE/I DI UNA COMETA?
Ricordiamo che alle comete è legato uno dei momenti più importanti
della vicenda galileiana. La disputa nella quale Galileo si fece coinvolgere,
con esiti che si rivelarono in seguito assolutamente disastrosi (l'abiura del
1632), riguardava le comete osservate nel 1618.
L'occasione fu la pubblicazione del De tribus cometis anni 1618
disputatio astronomica del gesuita Orazio Grassi, lettore di matematica
presso il Collegio Romano, opera nella quale furono raccolte e commentate,
in chiave anticopernicana, le osservazioni (le prime in assoluto con il
cannocchiale) delle tre comete osservate verso la fine di quell'anno. Orazio
Grassi sosteneva, a ragione, che le comete erano oggetti celesti orbitanti
oltre la Luna, in quanto non presentavano alcun effetto di parallasse e che, a
causa, della distanza, neppure il cannocchiale consentiva di distinguerne in
dettaglio la forma e la struttura. Al libello del Grassi, letto come un
tentativo di argomentare contro il sistema copernicano, si contrappose, nel
65
giugno 1619, il Discorso delle comete del galileiano Mario Guiducci (in
realtà, in Discorso fu in gran parte scritto dallo stesso Galileo) nel quale si
avanzava l'ipotesi alternativa (ma errata) che le comete fossero
addensamenti di vapori terrestri giunti negli strati elevati dell'atmosfera.
Nell'ottobre dello stesso anno, Grassi replicò a sua volta con lo
pseudonimo di Lorario Sarsi, Libra astronomica. La Libra, ricca di dati
osservativi, attaccava duramente Galileo, il quale, come risposta, fece
uscire, alcuni anni dopo, il Saggiatore. Qui la polemica fu trasferita su di un
piano diverso, non più la natura delle comete ma la fisica dei fenomeni
sensibili. Galileo avanzava ipotesi di tipo corpuscolare, subito giudicate
incompatibili col dogma della transustanziazione e pericolosamente
denunciate, in forma anonima, alla congregazione dell'Indice. Il Saggiatore
è fondamentale per la formulazione di idee sulla conoscenza scientifica.
Galileo affermava che “l’universo è scritto in lingua matematica, e i
caratteri sono triangoli, cerchi, e altre figure geometriche”.
DUE SECOLI DI PREMI E RICONOSCIMENTI AGLI SCOPRITORI DI NUOVE COMETE
Per oltre due secoli la scoperta di nuove comete ha prodotto
riconoscimenti tangibili per gli scopritori. Qui ripercorriamo brevemente la
storia richiamando alla memoria quanto accadde nel 1799. In quell'anno, il
più famoso ed estroverso astronomo francese del tempo, Joseph Jérôme de
Lalande (1732-1807), per conto del Bureau des Longitudes, aveva
depositato presso un notaio la bella somma di 600 franchi quale premio a
favore dello scopritore della prima cometa del nuovo secolo, premio
riscosso da Jean-Louis Pons (1761-1831), il quale, l'11 luglio 1801, a
Marsiglia, scoprì uno di questi corpi celesti tra la costellazione della Giraffa
e l'Orsa Maggiore (si veda: Histoire Abrégée de l’Astronomie di Lalande,
p. 849, Paris 1803).
La tradizione prosegue per tutto l'Ottocento. Il re di Danimarca Federico
VI, tra il 1831 ed il 1847, conferiva agli scopritori delle preziose medaglie
d’oro e la stessa cosa, fino al 1900, faceva l’Accademia delle Scienze di
Vienna.
Alla fine dell’Ottocento si affacciarono sulla scena astronomica i grandi
magnati americani dell’industria. Tra questi H.H. Warner che, dal 1880,
offrì una somma cospicua, 200 dollari, a qualunque americano scoprisse una
cometa.
Nel 1881 un giovane e povero fotografo, E. E. Barnard, appassionato di
astronomia e, successivamente divenuto uno dei maggior astronomi in
66
attività tra l'Otto-Novecento, pensò bene di farsi strada scoprendo comete
per poter guadagnare il premio di Warner.
Barnard in seguito scrisse, con una buona dose di humor, in occasione
della scoperta della sua prima cometa, queste parole: “La fedele cometa,
come una gallina dalle uova d’oro, calcolò con precisione la sua apparizione
per farla coincidere con l’arrivo delle terribili polizze di pagamento che
dovevo estinguere [si riferisce al mutuo della casa]. Pertanto io e mia
moglie abbiamo concluso che questa casa è stata veramente costruita grazie
alle comete. Questo fatto prova ulteriormente il grande errore di coloro i
quali pensano che dopotutto una cometa non è per niente un buon affare. E’
vero, furono necessarie parecchie comete [ne scoprì in tutto 19] di
considerevole grandezza, ma quel che conta è che la casa fu realizzata”.
Nel 1998 l’International Astronomical Union (IAUC 6936) ha istituito
un premio di 20 000 $ annui (Edgar Wilson Award) a favore di quegli
amatori che hanno scoperto comete. Il premio è intitolato all’uomo d’affari
americano E. Wilson che ha creato un lascito perenne a tale scopo.
PROGETTO EAN: GLI ASTROFILI DETECTIVE DELLA
SCIENZA
Gli appassionati di storia dell’astronomia di tutt’Europa entrano nelle
biblioteche e negli archivi alla ricerca di tre opere fondamentali che hanno
profondamente segnato la Rivoluzione astronomica
L’European Astrosky Network (EAN) ha in programma alcuni
importanti progetti culturali per l’Anno Internazionale dell’Astronomia
2009, rivolti ad un pubblico di astrofili e di appassionati di storia
dell’astronomia, tra i quali spicca quello descritto nel seguito e che porta il
titolo: “Gli astrofili detective della scienza: alla ricerca dei libri che quattro
secoli fa hanno rivoluzionato l’astronomia”.
I libri ai quali mi riferisco, elencati in ordine di data di pubblicazione,
sono l’Astronomia Nova, il Sidereus Nuncius e la Dioptrice. Il primo e
l’ultimo, pubblicati rispettivamente nel 1609 e 1611, sono stati scritti da
Joannes Kepler, una delle maggiori figure dell’astronomia di ogni tempo. Il
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Sidereus, invece, testo capostipite dell’astronomia telescopica, fu pubblicato
da Galileo il 12 marzo 1610. Esso è anche il punto di arrivo della sua prima
tornata di osservazioni celesti e delle rivoluzionarie scoperte sulla natura
della Luna e della sconvolgente esistenza dei satelliti di Giove. Tra l’altro,
l’Anno Internazionale dell’Astronomia intende celebrare i primi 400 anni
del cannocchiale, la cui invenzione anche se non può essere ascritta a
Galileo, egli ebbe però lo straordinario merito di averlo rivolto al cielo,
primo tra i suoi contemporanei, con la piena consapevolezza delle sue
enormi potenzialità scientifiche.
L’EAN vuole dar vita ad un’autentica, straordinaria “caccia al tesoro”,
trasformando gli appassionati di storia dell’astronomia in detective della
cultura, facendoli entrare nelle biblioteche e negli archivi europei sulle
tracce delle copie ancora esistenti di queste opere fondamentali della cultura
scientifica occidentale.
Nelle sue linee guida generali, il progetto si ispira al lavoro di ricerca che
da oltre trent’anni uno dei maggiori storici dell’astronomia viventi, Owen
Gingerich, professore emerito ad Harvard, svolge sul De Revolutionibus
Orbium Coelestium di Copernico, del quale si è posto l’obiettivo di censire
tutte le copie esistenti. Gingerich è ben noto per essere stato il presidente
della
Commissione dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU) che, nel
2007, a Praga, ha ridefinito il significato del termine “pianeta”.
Questa sua caccia instancabile ad uno dei libri che hanno segnato un’epoca
rivoluzionaria per la scienza, ha prodotto uno dei più affascinanti saggi
divulgativi pubblicati negli ultimi anni: “Alla ricerca del libro perduto”,
edito in Italia nel 2004, la cui lettura è altamente consigliata a tutti gli
amanti della scienza e della cultura.
Perché uno studioso del calibro di Gingerich ha speso molti anni in una,
apparentemente futile, caccia che si è svolta prevalentemente tra gli scaffali
polverosi di vecchie biblioteche di mezzo mondo?
E perché riproporre ora la stessa tipologia di ricerca per individuare le copie
delle prime edizioni di altri tre classici della scienza?
Agli inizi della sua carriera di studioso, Gingerich era rimasto affascinato
da un memorabile libro dello scrittore Arthur Koestler, I sonnambuli: storia
delle concezioni dell’universo, nel quale il De Revolutionibus era battezzato
come “il libro che nessuno ha mai letto”. Quando il volume di Koestler uscì
“nessuno era in grado di dimostrare la verità o la falsità della sua
affermazione”, come sottolinea Gingerich stesso. Per una seria fortuita di
circostanze, lo studioso di Harvard poté però consultare all’Osservatorio di
Edimburgo una copia dell’opera di Copernico appartenuta al noto
68
astronomo tedesco Erasmus Reinhold (1511-1553), autore delle
fortunatissime Tavole Pruteniche che per quasi un secolo furono utilizzate
per la composizione delle effemeridi planetarie. Il De Revolutionibus
appartenuto a Reinhold era zeppo di annotazioni e di diagrammi a margine
che forniva un indizio inaspettato sul fatto che, nonostante i numerosi ed
astrusi dettagli matematici e geometrici, l’opera copernicana fu analizzata
con estrema attenzione da almeno un grande studioso del Cinquecento. La
successiva scoperta di un consistente numero di copie fittamente annotate,
dimostra che numerosi altri astronomi, soprattutto in Europa centrale ed in
Inghilterra, nella seconda metà del XVI secolo, studiarono a fondo
Copernico.
E’ evidente che Koestler aveva torto e Gingerich può ora affermare che:
“gli esemplari [del De Revolutionibus] appartenuti agli astronomi gettano
luce sul lungo processo di accettazione della cosmologia eliocentrica come
descrizione reale del mondo fisico”.
Riproporre una ricerca che consenta, attraverso le copie ancora
conservate di tre opere fondamentali, di comprendere meglio ciò che è
avvenuto nei primi anni del Seicento (perché, in quei pochi anni, qualcosa di
assolutamente straordinario è davvero avvenuto) è certamente
un’operazione culturale di ampio respiro.
Non ho l’inopportuna pretesa che lo studio del materiale raccolto sia un
compito che si deve assumere l’amatore o lo studente; il loro contributo si
dovrebbe invece esplicare nella segnalazione dell’esistenza dell’opera in
una determinata biblioteca e ad un suo primo esame per appurare la
presenza di note a margine o di appartenenza. Tutto il materiale, raccolto e
schedato con le modalità indicate più avanti in questo articolo, dovrebbe
costituire la base di un censimento delle tre opere, di indubbio interesse per
gli studiosi che in futuro vorranno esaminare in dettaglio il percorso e che
potranno così orientare la loro ricerca attraverso i meandri delle
numerosissime biblioteche europee.
Solo facendo riferimento all’Italia, l’ultimo censimento di cui sono a
conoscenza riporta qualcosa come 15000 biblioteche presenti sul territorio
nazionale, tra pubbliche e private. Una stima grossolana per l’intero
territorio europeo non dovrebbe indicarne un numero inferiore a 80000 con
un patrimonio di libri e periodici complessivamente stimato in almeno 2,5
miliardi di pezzi!
E’ innegabile che esistono ancora degli interrogativi storici che non
hanno avuto una risposta adeguata e che sono fortemente connessi alle tre
opere di cui qui ci occupiamo. Lo studio delle annotazioni a margine e dei
rimandi, riuscire ad attribuire la corretta appartenenza delle opere nel corso
69
del Seicento, oppure, stimolare semplicemente il risveglio di interesse
intorno alle opere scientifiche del primo ventennio di quel secolo, tutto ciò
potrebbe contribuire a risolvere problemi come i seguenti: quando fu
finalmente inteso che l’Astronomia Nova apriva nuovi orizzonti alla
comprensione delle cause fisiche dei moti planetari? Oppure, come ha fatto
Galileo a realizzare in pochissimi giorni un cannocchiale perfettamente
funzionante e che migliorava grandemente le prestazioni ottiche di tutti
quegli esemplari che circolavano, numerosi, in Europa? Oppure, un’altra
domanda cruciale: in realtà, cosa utilizzava Galileo per misurare le distanze
angolari tra Giove ed i suoi satelliti nelle numerose ed accurate osservazioni
illustrate nel Sidereus Nuncius?
Ponendo l’occhio al cannocchiale galileiano, e dovendo
contemporaneamente fare un raffronto tra l’immagine telescopica ed una
mira, non è affatto facile stimare la separazione angolare dei satelliti
medicei, a causa della sua scarsa luminosità e di un campo di vista
estremamente ridotto!
Infine, un altro importante interrogativo: perché, nonostante Kepler
abbia fornito nella Dioptrice la teoria completa del cannocchiale
astronomico, con tanto di disegno dei percorsi dei raggi attraverso le lenti,
occorsero poi molti anni prima che qualcuno ne costruisse un esemplare
funzionante? La Dioptrice non è stata letta? Era troppo complessa, troppo
tecnica?
Ribadisco che se il censimento europeo che qui proponiamo avrà
successo, forse si potrà sperare di far maggiore luce su di uno dei momenti
cruciali della Rivoluzione Astronomica. Ma una precisazione è
indispensabile: il progetto del citato censimento è limitato all’Europa per il
semplice motivo che non avendo il supporto di enti o strutture istituzionali,
per noi diventa impossibile estendere tale ricerca su scala planetaria!
Diamo ora brevi cenni sulle grandi figure scientifiche di Kepler e Galileo ed
una succinta descrizione delle tre opere, seguendo l’ordine cronologico di
pubblicazione.
Kepler, Astronomia Nova (1609)
Il giovanissimo ed appassionato Giacomo Leopardi, nella sua Storia
dell’Astronomia, con trasporto scriveva: “[Kepler] fu un uomo grande, un
uomo meraviglioso; e il titolo brillante di Padre dell’astronomia è appena
sufficiente a rimunerarlo de’ benefizi inestimabili che egli ha fatti a questa
scienza”.
70
Johannes Kepler, il Padre dell’astronomia moderna, è senza alcun
dubbio una delle menti più brillanti, ma anche tra le più tormentate,
dell’intera storia dell’astronomia. Il noto divulgatore scientifico francese
Nicolas Witkowski dice che “il suo semplice nome basta a far impallidire
gli adepti del positivismo, a far rischiare il colpo apoplettico ai sostenitori di
un progresso scientifico lineare e a far tossire imbarazzati i fautori del
sacrosanto metodo scientifico”.
Kepler scrive di essere stato concepito nell’anno 1571, il sedici maggio
alle 4 e 37 e che la sua nascita prematura, a trentadue settimane, dopo
duecentoventiquattro giorni e dieci ore (curioso: la sua gestazione
corrisponde al periodo di rivoluzione siderale di Venere, quando si dice che
il destino è letteralmente scritto nelle stelle!), era avvenuta il 27 dicembre
1571 a Weil-der-Stadt, un paesino del Württemberg da una famiglia di
agricoltori con un passato di piccola nobiltà decaduta, ormai impoveritisi sia
economicamente che spiritualmente.
I suoi studi primari furono irregolari e, addirittura, interrotti per due anni,
durante i quali fu costretto a lavorare duramente per mantenersi. Nel 1589
godette di una sovvenzione statale che gli consentì di iscriversi ai corsi della
facoltà delle arti dell’università di Tubinga e, in breve tempo, divenne uno
degli allievi prediletti del famoso astronomo Michael Maestlin, un
copernicano assai apprezzato negli ambienti scientifici dell’Europa del
tempo.
Nel 1593 fu invitato ad insegnare matematica alla scuola luterana di
Gratz, in Stiria, in verità un modesto impiego, che Kepler, accettò riluttante.
In quella sorta di esilio nella più profonda provincia austriaca, vide la luce il
suo primo lavoro astronomico, preludio ad un’opera ancora più vasta, il
Mysterium Cosmographicum. Di chiarissima impronta platonico-pitagorica,
il Mysterium si basava sull’idea, del tutto falsa, che la struttura del cosmo è
costruita su rigorose figure geometriche.
L’importanza di quest’opera giovanile non sta, certamente, nell’illusoria
convinzione di aver finalmente trovato l’arcana struttura dell’universo.
Molto più importanti per gli sviluppi futuri delle sue ricerche planetarie,
sono invece alcune domande che nessuno, prima di lui, si era posto: esiste
un rapporto matematico tra la distanza che separa un pianeta dal Sole e il
tempo della sua rivoluzione completa?
Oppure, perché Copernico, come aiuto al calcolo e per non confondere il
lettore allontanandosi troppo da Tolomeo, aveva riferito ogni cosa non al
centro del Sole, ma al centro dell’orbita terrestre?
71
Nel Mysterium, rispondendo a quest’ultimo quesito, egli adottò come
nuovo centro del mondo il centro del Sole e i mutamenti nelle orbite
risultarono notevolissimi.
La prima domanda invece, richiese alcuni decenni di ricerche per avere
una risposta corretta, sfociata nell’enunciazione della sua terza legge
planetaria.
Subito dopo la pubblicazione del Mysterium, egli entrò in contatto con
Tycho Brahe, il più grande astronomo osservatore del tempo, al quale ne
aveva inviato un esemplare, chiedendogli di commentarla.
Per Kepler, il giudizio di Tycho, che fu ampiamente positivo, significava
molto.
Nel ricevere il primo scritto di questo promettente neofita, l’astronomo
danese, che nel frattempo meditava di abbandonare l’isola di Hven ed il suo
meraviglioso osservatorio, comprese di trovarsi di fronte ad un giovane di
straordinario talento, anche se dal carattere ombroso e difficile, che forse
aveva le capacità matematiche e la caparbietà necessarie per condurre in
porto l’agognato progetto di una riforma dell’astronomia basata sul suo
sistema cosmologico, quello che portava il suo nome. Per questo motivo,
dopo essere entrato al servizio dell’imperatore Rodolfo II, Tycho gli offrì il
posto di suo assistente.
Nei primi mesi del 1600 Kepler accettò di malagrazia l’offerta, a causa
di alcuni ridicoli screzi e malintesi sorti ancor prima di conoscersi
personalmente. Nel nuovo Osservatorio nei pressi di
Praga, Tycho gli affidò lo studio dell’orbita di Marte. Da qui prese
l’avvio un’odissea intellettuale di straordinaria importanza scientifica:
quella lotta contro Marte che un entusiasta Kepler dichiarava di poter
vincere in otto giorni, richiese invece otto lunghi e durissimi anni di lavoro.
Nel frattempo, a restituirgli un’inaspettata autonomia di ricerca
intervenne la morte di Tycho il 24 ottobre 1601. Questi, dal letto di morte
mormorava, rivolto al suo recalcitrante assistente, che io non sembri aver
vissuto invano, cercando di strappargli la vana promessa che la progettata
riforma dell’astronomia, coronamento della sua intera carriera di studioso,
avrebbe avuto come cardine il suo sistema, a spese di quello copernicano.
Il trentenne astronomo, al quale l’imperatore Rodolfo II conferì subito
dopo l’altisonante titolo di astronomo imperiale, si buttò, con il consueto
accanimento, sul problema del moto di Marte, facendo inizialmente uso
delle opposizioni del pianeta rosso degli anni 1587, 1591, 1593 e 1595.
Nel 1602 trovò, come primo parziale risultato dei suoi lunghissimi
calcoli, che il pianeta percorreva un’orbita ovale, ma il 1603 lo dedicò alla
stesura del suo primo straordinario libro di ottica, i Paralipomena. Riprese i
72
calcoli su Marte solo nei primi mesi del 1604, mentre, di pari passo
proseguiva la stesura dell’altro suo capolavoro nel quale descriveva, con
un’incredibile dovizia di particolari, il difficilissimo lavoro che gli fu
necessario per addomesticare il pianeta rosso: l’Astronomia Nova (il titolo
completo è: Nuova Astronomia Causativa ovvero Fisica Celeste, tratta dai
commentari dei movimenti di Marte, sulla base delle osservazioni di G.V.
Tycho Brahe).
Nel 1606, per la stampa dell’opera, che vide la luce solo nel 1609,
l’imperatore Rodolfo II promise un contributo di 400 fiorini che, fatto
tutt’altro che usuale, fu regolarmente pagato dalle casse statali.
Nell’Astronomia Nova, dopo una premessa assai poco promettente scritta
da Franz Tengnagel, genero di Tycho che difendeva gli interessi della
famiglia e che si apre con un ammonimento al lettore a non lasciarsi
convincere dalla “libertà di Kepler nel dissentire da Tycho in alcune cose,
particolarmente con le sue argomentazioni fisiche”, troviamo la
formulazione delle due prime leggi di Kepler. La prima, le orbite dei pianeti
sono ellittiche, e la seconda, che il raggio vettore che congiunge il Sole al
pianeta descrive aree uguali in tempi uguali (l’ordine delle scoperte è però
inverso: prima enunciò la legge delle aree e successivamente quella delle
orbite ellittiche).
Questi enunciati, precisi e descrivibili in rigorosi termini matematici,
costituiscono le prime leggi naturali; per Arthur Koestler queste due leggi
separarono l’astronomia dalla teologia, per unirla alla fisica.
L’accoglienza all’Astronomia Nova, deludendo le trepidanti attese del
suo autore, non fu per nulla trionfale. Le due leggi, dal contenuto così
estraneo allo spirito geometrico sia dell’astronomia tolemaica sia a quello
copernicano, non trovarono un pubblico pronto ad accettare la distruzione di
uno dei millenari dogmi dell’astronomia classica: la circolarità delle orbite.
Ne è una chiara riprova la risposta dell’amico David Fabricius, un colto
pastore luterano, ad una lettera di Kepler, nella quale il grande astronomo
gli illustrava la prima legge: “con la vostra ellisse voi abolite la circolarità e
l’uniformità dei movimenti [dei pianeti], cosa che più ci rifletto più mi
sembra assurda”.
Nel Seicento, tra tutti i paesi europei, è in Inghilterra che le idee
kepleriane trovarono terreno fertile ed un’ampia accettazione. Grandi figure
di pensatori e di filosofi naturali, quali Thomas Harriot, Jeremiah Horrocks,
il poeta John Donne e Isaac Newton, compresero la portata rivoluzionaria e
le profonde implicazioni filosofiche e scientifiche delle scoperte
dell’astronomo imperiale.
73
Newton fu fortemente suggestionato da due idee fisiche formulate
nell’Astronomia Nova, la prima, che i pianeti si potevano considerare alla
stregua di masse materiali, e non quintessenze eteree aristoteliche dotate di
una naturale tendenza al moto. Infatti, Kepler ipotizzava una sorta di inerzia
planetaria che doveva essere vinta da una forza esistente nel Sole. La
spiegazione che diede della natura di tale forza era chiaramente influenzata
dalle idee di Gilbert sul magnetismo (De magnete, 1600): il Sole in
rotazione emette una sorta di filamenti magnetici che mantenevano in moto
i pianeti. La seconda, riguardava l’introduzione del concetto di gravità,
inteso come mutua tendenza dei corpi ad unirsi o a congiungersi.
Galileo Galilei e la genesi del Sidereus Nuncius (1610)
Corre l’anno 1592 e l’università padovana offre al giovane Galileo una
cattedra, ma non di “prima” grandezza. Le autorità della Repubblica hanno
semplicemente bisogno di un matematico con una forte propensione
“tecnologica” che non gli costi troppo ma che sia dotato di un sicuro talento
per la progettazione e la costruzione di strumenti scientifici e di macchine.
Nella sfarzosa società lagunare, ormai inesorabilmente avviata al declino
(uno splendido tramonto, cinto com’è dalla magnifica aura crepuscolare che
riverbera tra i suoi palazzi e le sue calli), il suo non è certamente considerato
un incarico di grande prestigio. Galileo non riceve mai inviti “politici”
prestigiosi, anche se ha amici influenti, tra i quali, stimatissimo, il servita
Paolo Sarpi, storico e uomo politico di vastissima cultura. Queste amicizie,
sia pur preziose, non lo hanno però quasi mai messo in contatto con i centri
del vero potere dell’ultima potenza marinara europea rimasta nel
Mediterraneo.
Galileo è consultato, sicuramente fin troppo spesso, dai “tecnici” della
Repubblica per problemi di natura pratica, legati ai commerci, alla
navigazione ed alle necessità militari. In una lettera si lamenta di essere
sottoposto ad un continuo bombardamento di richieste da parte
dell’Università, dall’Arsenale, dalle vetrerie di Murano, che lo distraggono
dai suoi studi prediletti.
Ma i frutti del suo impegno nel laboratorio al piano terreno della sua
abitazione sono comunque tangibili. Inventa, infatti, una speciale “bilancia”
e un compasso “geometrico militare”. Quest’ultimo gli crea però non pochi
grattacapi legati alla sua primogenitura, perché, con la sua solita irruenza, si
fa trascinare in una acrimoniosa disputa con Baldassarre Capra.
Per arrotondare lo stipendio, che è solo una frazione di quello dei docenti
più acclamati, è anche costretto ad ospitare in casa sua studenti di diverso
74
lignaggio e a tenere sempre attivo il laboratorio nel quale, tra l’altro,
fabbrica occhiali da vista su ordinazione.
Nel 1609 è ancora talmente oppresso da problemi economici (deve finire di
pagare la dote per una sorella, mantenere altri cinque fratelli, la madre, tre
figli nati fuori dal matrimonio, ecc.) che, quando scopre che in Europa
stanno circolando degli “occhiali” capaci di avvicinare gli oggetti e ne
comprende immediatamente le potenzialità, non esita ad avventurarsi in un
gioco azzardato, che sembra quasi dettato da una sorta di ansiosa
disperazione.
Grazie alla sua competenza nella fabbricazione di lenti per correggere la
vista, in pochi giorni realizza un esemplare di “occhiale” perfettamente
funzionante e, senza por tempo, con l’aiuto di alcuni nobili amici veneziani,
ottiene un’udienza davanti al Senato della Repubblica. Con una indubbia
faccia tosta, annuncia al Doge, e a tutti i notabili riuniti, che il cannocchiale,
frutto di sue, non meglio precisate, speculazioni “fondate sulla dottrina delle
rifrazioni”, ha una grande importanza militare. Segue una magistrale
dimostrazione delle potenzialità dello strumento dal campanile di S. Marco.
E’ chiaro anche ai suoi contemporanei, testimoni diretti degli
avvenimenti, che il gioco di Galileo non è proprio limpidissimo perché a
Venezia già si sono visti degli “occhiali” francesi, anche se di qualità assai
inferiore a quelli da lui fabbricati. Il Senato, pur consapevole di non trovarsi
di fronte ad una vera “invenzione”, non ha alcuna esitazione a raddoppiargli
lo stipendio.
E’ da questo momento, cruciale per la sua vita non solo professionale,
che Galileo rinsalda l’intenzione di tornare a Firenze. Immagina che
l’infallibile veicolo che finalmente gli spalancherà le porte di palazzo Pitti,
accolto da due ali di folla, sarà proprio “l’occhiale”, uno strumento che,
nonostante la sua dimostrata efficacia, è ancora erroneamente considerato
alla stregua di un curioso, divertente, giocattolo perché composto da due
semplici “lenticchie” di vetro levigate, montate alle estremità di un volgare
tubo di piombo e dal funzionamento sconosciuto.
Nella seconda metà di quell’anno memorabile, con un accanimento ed
una perseveranza assolutamente sbalorditivi (in una lettera ad un suo
corrispondente dichiara di aver strenuamente lavorato, in quei pochi mesi,
decine e decine di lenti, conservando solamente le quattro o cinque
migliori), Galileo perfeziona lo strumento e, finalmente, lo rivolge al cielo.
La fretta è giustificata dal fatto che teme di essere preceduto nella
scoperta di quelle “novità celesti” che, ne è certo, sono alla portata del suo
eccellente cannocchiale.
75
Sarebbe poi inammissibile perdere quel vantaggio che sa di aver
acquisito grazie alla sua abilità di fabbricante di lenti. E’ un timore, questo,
che ben presto si rivela privo di fondamento. E’ vero che in quei mesi alcuni
tra i più spregiudicati “filosofi naturali” d’Europa rivolgono il cannocchiale
verso il cielo, ma è altrettanto vero che nessuno di essi accetta
incondizionatamente il responso fornito dallo strumento, spesso considerato
alla stregua di una semplice curiosità, come le tante che il noto “stregone”
napoletano, Giovanni Battista della Porta, ha disseminato nella sua favolosa
Magia Naturale.
Ma il genio si manifesta, anche e soprattutto, nella fantastica capacità di
saper spiccare, in perfetta solitudine, un salto intellettuale e psicologico di
una portata vertiginosa.
Nel corso di poche notti serene di un freddo e brumoso inverno padano,
durante le quali Galileo, con l’occhio incollato al cannocchiale, scruta
sbalordito la volta stellata, l’intero castello dell’astronomia e della
cosmologia aristotelico-tolemaica, dopo un lungo dominio durato quasi
1500 anni, crolla rovinosamente.
Con il successo pressoché immediato, la grande avventura, umana e
scientifica di Galileo sembra finalmente imboccare una strada che porta a
mete di cui non si intravedono i confini. Non è più un ragazzino ma un
battagliero (quasi) cinquantenne di inarrivabile talento. D’ora in avanti, la
sua personale, straordinaria parabola conoscerà lampi di gloria e
riconoscimenti senza pari, ma sarà anche tormentata da rivalità, amarezze e
dolori indicibili. Indubbiamente, il momento di maggior afflizione sarà
raggiunto nel corso del tristemente famoso “processo” del 1632.
Il 12 marzo 1610 esce a Venezia il “Sidereus Nuncius”, nel quale Galileo
annuncia, in un latino asciutto e misurato, che la sfera celeste, vista
attraverso il suo potente “cannone”, è assai diversa da quella percepita dagli
occhi degli antichi e così indegnamente assecondata dai suoi sprovveduti
contemporanei.
La Luna non è formata da una sostanza eterea, ma ha montagne ed
enormi crateri; Giove ha quattro satelliti; la Via Lattea è tutta un pullulare di
stelle. Prende inaspettatamente corpo l’immagine di un sistema del mondo
eliocentrico, esattamente quello che un oscuro prete polacco, tre quarti di
secolo prima, ha ripreso, riformulandole, vecchie idee di ormai dimenticati
filosofi greci.
Lungi dall’essere un semplice modello matematico utile per i calcoli
astronomici, la centralità di un Sole circondato da pianeti orbitanti,
acquisisce, di colpo, conferma e indubbia attendibilità.
76
E’ convinzione comune che il “Sidereus”, che fin dal suo apparire ebbe
una risonanza vastissima, sia una delle pietre miliari della “nuova” scienza.
Kepler e la nuova ottica: Dioptrice (1611)
Alla fine del 1610, Kepler così scrive a Galileo: “Ti rendo noto che nel
passato mese di agosto e settembre ho scritto la Dioptrice, che consta di 149
proposizioni e assiomi promiscuamente numerati. L’ho consegnata
all’Elettore di Colonia. Il lavoro per definire le cause è stato forte, ma non
minore tuttavia è stato il piacere di trovarlo di quello che puoi aver provato
tu nello scoprire i Pianeti medicei o la figura di Saturno”.
Da tutti i punti di vista la Dioptrice, pubblicata ad Augsburg nel marzo
1611, 12 mesi dopo il Sidereus, è la vera risposta di Kepler al libretto
galileiano, ne conferma i contenuti osservativi attraverso una compiuta
teoria matematica del cannocchiale. La Dioptrice trasforma i fenomeni
osservati con il cannocchiale da pura e semplice “magia naturale” in dati
scientifici oggettivamente verificabili.
Anche lo stile, asciutto ed essenziale, mostra quanto sia stata ampia
l’influenza esercitata da Galileo su Kepler. In effetti, non solamente non vi
si trovano quei tratti autobiografici, le confidenze personali e neppure le
solite disquisizioni metafisiche che costellano le opere precedenti
(l’Astronomia Nova ne è letteralmente piena), bensì, ogni enunciato è
rigorosamente presentato e dimostrato con una concisione sorprendente.
La lunghissima prefazione è considerata uno dei più notevoli testi di
storia e di filosofia della scienza mai scritti. Nella prima parte troviamo
un’ampia discussione sul ruolo dell’ottica nella scienza.
Dopo aver demolito le basi del meccanismo della visione secondo gli
antichi e aver confermato ciò che egli stesso avevo costruito nella sua
precedente opera di ottica, i Paralipomena del 1604, nella seconda parte
sono trattati i più recenti e spettacolari sviluppi dell’astronomia conseguenti
alla pubblicazione del Sidereus Nuncius e dei motivi che lo hanno indotto ad
elaborare una teoria del cannocchiale.
L’opera è articolata in 11 commentari e in 12 parti; nella prima parte
Kepler tratta della rifrazione (la cui legge generale non era però ancora nota)
e formula un assioma importante (Dioptrice, p. 3, assioma VII) che suona
così: “le rifrazioni del vetro sono proporzionali sensibilmente alle
inclinazioni fino a 30°”.
Nella seconda parte Kepler fornisce la definizione fondamentale di punto
radiante, il punto da cui escono i raggi luminosi sotto forma di cono che ha
per base la pupilla dell’occhio. Definisce poi l’ottica delle lenti concave e
77
convesse e del fuoco dei raggi che arrivano parallelamente all’asse sopra
una lente piano convessa. Una delle definizioni chiave della Dioptrice
riguarda la spiegazione kepleriana del funzionamento del cristallino
dell’occhio, della miopia e della presbiopia, nonché l’azione delle lenti
correttrici usate come occhiali.
Lo studio delle lenti convesse e delle loro combinazioni gli consente di
definire la struttura del cannocchiale a oculare convesso, oggi noto con i
nomi di cannocchiale kepleriano o astronomico. Ne accenna però in
un’unica proposizione, la 86, per poi passare subito allo studio della
proiezione di figure su schermi con due lenti convesse. Nelle pagine
successive fornisce la teoria ottica completa del cannocchiale galileiano, che
era poi l’obiettivo primario di questo suo lavoro.
La Dioptrice è un’opera di straordinaria importanza sia perché in essa è
formulata una teoria ottica molto moderna, sia per le puntuali considerazioni
sui meccanismi della visione.
Nonostante i suoi aspetti autenticamente rivoluzionari ed avanzatissimi,
essa non sembra però aver inciso in modo profondo sulle conoscenze ottiche
dei suoi contemporanei.
Lo stesso cannocchiale kepleriano, tecnicamente molto più avanzato di
quello galileiano, allora dominante, è trattato solamente di sfuggita in due
pagine ed è supportato da due schemi grafici assai esplicativi, senza per
altro stimolare neppure lo stesso Kepler a costruirne un esemplare
funzionante. Questo cannocchiale diventerà di uso comune solamente un
trentennio dopo la pubblicazione della Dioptrice.
Le edizioni secentesche delle tre opere
L’Astronomia Nova non ebbe altre edizioni nel corso del Seicento, la
Dioptrice invece, dopo la prima edizione del 1611, fu ristampata a Londra
nel 1653 e nel 1683, insieme al Sidereus ed all’Institutio astronomica di
Pierre Gassendi.
Il Sidereus Nuncius uscì il 12 marzo 1610 dalla tipografia di Tommaso
Baglioni, a Venezia, in 550 esemplari (ce lo dice lo stesso Galileo) e tutta la
tiratura fu esaurita in meno di due settimane. Nello stesso anno ne uscì una
seconda edizione a Francoforte. Bisogna attendere poi il 1653 per quella
londinese sopra citata ed il 1656, quando videro la luce le Opere di Galileo
dell’edizione bolognese. Ricordiamo inoltre la traduzione francese del 1681,
Le messager céleste, Paris, a cura dell’Académie des Nouvelles
Decouvertes de Médecine.
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Quanti esemplari di queste tre opere sono state complessivamente
stampate nel corso del Seicento? Occorre premettere che in quel secolo non
era usuale che l’editore rendesse pubblico il numero delle copie stampate di
un’opera. Si può dire, con una certa attendibilità, che difficilmente il
numero degli esemplari di una tiratura superasse le mille unità. Una tiratura
media, infatti, si aggirava tra le 400 e le 800 copie. L’Astronomia Nova,
nell’unica edizione del 1609, probabilmente non superò le 500 copie; la
Dioptrice, nelle sue tre edizioni, probabilmente non ha superato una tiratura
complessiva di 1500-2000. Mentre il Sidereus, nelle cinque edizioni
secentesche (compresa la traduzione francese), fu probabilmente stampato
in circa 4000 copie.
Tutte queste edizioni saranno oggetto del nostro censimento, anche se, di
ogni opera, quella di maggior interesse storico è la cosiddetta editio
princeps, ovvero la prima ad essere stata pubblicata, perché è generalmente
su di esse che i contemporanei, e le generazioni immediatamente successive,
studiarono il pensiero dei due grandi Maestri.
Infine, quante copie di esse, presumibilmente, sono ancora esistenti nelle
biblioteche pubbliche e private d’Europa?
E’ una domanda che allo stato attuale non ha una risposta certa, essa
dipende dai molti fattori che incidono sulla conservazione dei volumi. Ad
esempio, il Sidereus, negli ultimi cento anni, è stato oggetto di furti ripetuti
in molte biblioteche pubbliche, ma anche altri grandi nemici ne hanno
sicuramente decimato o disperso le copie: le guerre, il fuoco e l’acqua, che
in assoluto sembra essere la peggior causa di danneggiamento e distruzione
del libro antico. E’ probabile perciò che della princeps del Sidereus, se ne
possano reperire un centinaio di esemplari.
Dell’Astronomia Nova forse ne esisteranno ancora, in tutto il mondo,
150-200 copie; della prima edizione della Dioptrice, invece, credo non ne
siano sopravvissuti più di un centinaio di esemplari. E’ ovvio che tutti questi
numeri vanno presi cum grano salis e che potranno essere eventualmente
confermati solamente alla conclusione del progetto!
Come procedere nella ricerca
Voglio ancora una volta ricordare a chi legge che l’obiettivo di questo
progetto è di creare un censimento, esteso al continente europeo, delle tre
opere sopra indicate. Tale censimento non ha affatto la pretesa di costituire,
in sé, uno studio analitico; la sua funzione è, più semplicemente, quella di
fornire un primo strumento di ricerca e di orientamento per gli studiosi e gli
storici. Per gli appassionati, gli studenti e gli insegnanti, partecipare a
79
questo progetto può essere una buona occasione per accostarsi alla storia
dell’astronomia, entrare nelle biblioteche ed assaporare in senso quasi
letterale, il Tempo. Ma non solo, toccare con le proprie mani pagine vecchie
di secoli, nelle quali le grandi idee che stanno alla base della
Rivoluzione astronomica scorrono ancora pienamente vitali, può essere
un’emozione unica ed assolutamente indescrivibile!
La necessità di recarsi personalmente nelle biblioteche, in Italia e in
Europa, è dettata dal fatto che la grande maggioranza di esse non ha i propri
cataloghi disponibili nel web.
Spesso tali cataloghi sono sotto forma di schedari o di volumi
manoscritti e la ricerca deve essere pazientemente condotta senza
dimenticare di chiedere il preziosissimo aiuto dei bibliotecari che possono
dare un orientamento alla ricerca. Una volta reperito il volume (o i volumi)
ed averlo richiesto per la consultazione, esso va trattato con estrema cura.
Lo si sfogli delicatamente pagina per pagina, controllando che non vi siano
parti mancanti e si cerchino eventuali annotazioni manoscritte, firme, date,
ecc.
Quando possibile si chieda l’autorizzazione, a scopo di studio, per la
riproduzione fotografica del frontespizio e delle note più estese. Foto
digitale in formato JPG, leggibili, vanno benissimo!
E’ importante segnalare all’autore ([email protected]) anche l’esito di
una visita infruttuosa, in modo da tenere una traccia dell’insieme delle
biblioteche visitate. Riassumendo, ecco le informazioni che si dovrebbero
raccogliere:
* Nome della biblioteca e collocazione dell’opera;
* Foto del frontespizio e di eventuali annotazioni, date, ecc.
* accertarsi dell’integrità fisica dell’opera; segnalare eventuali pagine
mancanti (scorrendo la numerazione delle pagine)
* prendere le esatte dimensioni delle pagine del libro
* indicare il periodo, anche approssimato, della rilegatura. Se non si ha
esperienza, chiedere la collaborazione di un bibliotecario esperto.
* se è indicata la provenienza (proprietario, ecc.) specificare dove essa
appare: Ad esempio, se sul frontespizio, scrivete: tp, oppure se è nell’altra
facciata, usare la sigla convenzionale: c<2>.
La scheda da compilare, relativa ad ogni opera rintracciata, può essere
scaricata dal portale EAN: www.eanweb.net
80
81
Fabrizio Ciabattari, Sauro Donati, Emiliano Mazzoni
MISURA DELLA PARALLASSE DI CERERE,
UN’ESPERIENZA DIDATTICA
La trigonometria e le tecniche di misura di distanze basate su effetti di
parallasse vengono normalmente affrontate nei corsi di Matematica e Fisica
degli istituti scolastici superiori, ma quasi sempre in forma teorica, con
scarse possibilità di sperimentazione per gli studenti. Ci è parsa, pertanto,
interessante l’iniziativa promossa dal Planetary Research Team dedicata alla
misura della parallasse di asteroidi in opposizione. I risultati descritti nel
numero 109 di Coelum, a proposito della misura della distanza di Vesta
nell’opposizione di giugno 2007, ci hanno indotto a tentare un’esperienza
simile, per mostrare a studenti di istituti scolastici superiori un’applicazione
diretta e concreta di tali metodologie.
Grazie alla cortese collaborazione di Rodolfo Calanca, è stato possibile
coinvolgere Jacky Françoise, nell’isola di Reunion, per la realizzazione di
riprese digitali di Cerere, la sera del 14/12/2007. Operando dall’osservatorio
astronomico di Monte Agliale di Borgo a Mozzano (Lucca), sono state
riprese immagini di Cerere per mezzo di una Canon 30D applicata al fuoco
di una Baker-Schmidt da 25 cm di apertura f/3. Purtroppo le condizioni
meteorologiche non sono state eccezionali e delle cinque foto programmate
solo una, quella scattata alle ore 21.33 TU, è risultata utilizzabile per la
riduzione dei dati. Jacky Françoise, che adoperava un’ottica da 600 mm di
focale e una Canon 350D, ha avuto più fortuna, visto che ha potuto godere
di un cielo sereno per tutta l’esperienza. Tramite internet sono pervenute le
sue immagini e in particolare quella scattata alle ore 21.33 TU.
Dall’analisi delle due foto riprese in simultanea è stato ricavato un valore
di parallasse di Cerere pari a 5’’ con un’incertezza di 0.8’’, in accordo con
le effemeridi valide per la data del 14/12/2007.
Fabrizio Ciabattari, docente di Matematica presso il Liceo Scientifico
Barsanti e Matteucci di Viareggio, ha organizzato il materiale (foto, calcoli,
schemi, ecc) in una presentazione Power Point che è stata illustrata e
commentata, nel mese di febbraio 2008, a diverse decine di studenti,
appartenenti a classi del biennio e del triennio, con interventi di circa due –
tre ore. Molti di loro sono apparsi interessati, soprattutto gli studenti del
biennio che, seppur non ancora provvisti di tutte le necessaire conoscenze
matematiche, hanno espresso una particolare partecipazione.
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Nella prima parte dell’esposizione, sono stati richiamati i concetti
fondamentali inerenti i moti dei pianeti e le configurazioni orbitali, ponendo
l’accento sull’importanza del momento di opposizione di un pianeta esterno
qualora si intenda misurarne la distanza dalla Terra. Sono state quindi
descritte le caratteristiche orbitali di Cerere, ponendo l’accento sulle
relazioni cinematiche esistenti tra periodo sinodico e periodo siderale, oltre
che alle peculiarità dell’opposizione del novembre 2007.
Figura 1: le immagini di Cerere riprese simultaneamente da Monte Agliale (sinistra) e
dall’isola di Reunion (destra) la notte del 14/12/2007 alle ore 21.33 TU
Per questo ultimo scopo è stato utile l’uso del software planetario
TheSky6, che ha permesso sia di mostrare l’aspetto del cielo, in quella data,
sia di simulare le disposizioni dei corpi celesti all’interno del Sistema
Solare. E’ stato introdotto matematicamente il metodo della parallasse,
facendo i dovuti richiami di trigonometria e di geometria euclidea,
sottolineando la necessità di adoperare una base quanto più lunga possibile,
visto che la distanza da misurare era appunto “astronomica”.
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E’ stata sottolineata la necessità di una collaborazione fra appassionati
che, da parti quasi diametralmente opposte del mondo, avrebbero dovuto
accordarsi per riprendere simultaneamente l’asteroide. Importante era la
simultaneità delle riprese, giacché pochi secondi di differenza tra gli scatti
eseguiti nei due siti avrebbero inficiato i risultati, a causa del moto proprio
dell’asteroide.
Sono state mostrate agli studenti alcune e-mail scambiate con Jacky
Françoise per evidenziare l’importanza dell’aspetto organizzativo e come il
semplice uso della posta elettronica e di internet permetta la realizzazione di
simili collaborazioni. Sono stati quindi illustrati gli strumenti ottici
utilizzati: in questo contesto molti studenti hanno potuto ritrovare, calate in
situazioni concrete, le proprietà e le leggi dell’ottica geometrica che
studiano nel corso di Fisica.
Sono state commentate le immagini riprese da Monte Agliale: in
particolare, nello scatto delle 21.33 TU si distinguono chiaramente
l’asteroide Cerere, il più luminoso, e varie stelle di campo, utili per la
successiva analisi. Proiettando l’immagine di Jacky Françoise, ottenuta alle
21.33 TU, sono state spiegate le difficoltà nello scorgere una differenza
prospettica nelle posizioni dell’asteroide, sulle due foto, dal momento che
le immagini non sono immediatamente confrontabili, in quanto ottenute con
strumenti ottici e fotografici diversi: le scale sul piano focale ed i campi
inquadrati differiscono sensibilmente; non è quindi ragionevole pretendere
di “accorgersi” di un fenomeno di parallasse con un semplice sguardo.
La discussione di questo aspetto ha rappresentato un esempio delle
complicazioni a cui si va incontro quando si passa dalla teoria alla pratica.
La prova più concreta dell’effetto di parallasse terrestre di Cerere, mostrata
agli studenti, è stata ottenuta mediante il “blink” di due immagini,
precedentemente rielaborate in modo da essere perfettamente sovrapponibili
(figura 1). Mediante il blink, realizzato per mezzo del programma CCDSoft,
è risultato evidente lo spostamento prospettico della posizione dell’asteroide
rispetto alle stelle di campo.
Nella seconda parte della presentazione sono stati illustrati gli aspetti
quantitativi e matematici. Gli obiettivi erano quelli di misurare l’angolo di
parallasse di Cerere (a partire dalle immagini digitali riprese da Monte
Agliale e da Reunion), la distanza tra i due siti di osservazione e, con i
risultati precedenti, la distanza di Cerere dalla Terra.
Per la determinazione della parallasse di Cerere è stato indispensabile
procedere con una digressione inerente le tecniche astrometriche e l’uso dei
cataloghi stellari. Adoperando i programmi CCDSoft e TheSky6, sono stati
mostrati agli studenti esempi di “image link” tra foto e cataloghi stellari
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(quali il GSC e l’UCAC2). Dalle soluzioni astrometriche delle due foto,
sono state ricavate le corrispondenti coordinate celesti di Cerere (in termini
di Ascensione Retta e Declinazione - figura 2): la spiegazione della
differenza nei valori sta proprio nell’effetto prospettico, rispetto alle stelle di
campo, conseguente l’osservazione da due punti diversi della Terra. Dalle
differenze delle coordinate celesti è stato ricavato un valore di parallasse
pari a circa 5 secondi di arco.
Figura 2: la “slide” illustra le soluzioni astrometriche delle due immagini da cui è stato
possibile ricavare l’angolo di parallasse di Cerere
Per la determinazione della lunghezza della corda terrestre Monte
Agliale – isola di Reunion, è stato utilizzato Google Earth, che ha permesso
di misurare l’arco di cerchio massimo tra le due località, con il quale, con
semplici proporzioni e considerazioni trigonometriche, è stato immediato
ricavare la distanza Monte Agliale – Reunion, misurata lungo la corda
terrestre. Alternativamente, è stata mostrata agli studenti anche una
trattazione che fa uso delle sole coordinate geografiche dei due luoghi, per
la determinazione della misura della corda, mediante formule di
trigonometria sferica.
Utilizzando i valori di parallasse di 5 secondi di arco e una distanza fra i
due siti pari a 7895 km è stata ricavata, quale distanza di Cerere dalla Terra,
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un valore pari a 326 milioni di km, contro i 296 attesi dalle effemeridi
fornite dal “Minor Planet Ephemeris Service”.
L’errore, pari a circa il 10%, è riconducibile alle incertezze nelle
soluzioni astrometriche delle due immagini e alle assunzioni semplicistiche
adottate nel procedimento, comunque soddisfacente per il conseguimento
delle finalità didattiche stabilite inizialmente.
Thierry Payet (a sinistra) e Jacky Françoise sono due amatori della bellissima isola di La
Reunion (Oceano Indiano, 700 Km ad est dalle coste del Madagascar). Jacky ha collaborato
al progetto per la misura della parallasse di Cerere. Nella foto lo Sky Watcher 80ED, F/D =
7.5, F = 600mm con il quale sono state eseguite le riprese digitali dell’asteroide.
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87
Fabrizio Ciabattari, Sauro Donati, Emiliano Mazzoni
AUTOMAZIONE DELL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO
DI MONTE AGLIALE
L’AUTOMAZIONE
L’Osservatorio Astronomico di Monte Agliale (Borgo a Mozzano,
Lucca, sito web: www.oama.it) è stato trasformato in una struttura
completamente automatica, capace di eseguire intere sessioni osservative in
piena autonomia, senza alcun controllo di operatori in situ né on line. Il
telescopio adoperato è un Newton da 51 cm di apertura, f/4.5 (figura 1). E’
motorizzato con il sistema di puntamento elettronico FS2 ed equipaggiato
con camera CCD SBIG ST6. Il telescopio è pilotato attraverso il software
planetario TheSky6 mentre la camera CCD è controllata con MaxIm DL.
Per l’esecuzione delle procedure astrometriche viene, infine, adoperato
CCDSoft.
Figura 1 - Il telescopio da 51 cm di apertura f/4.5.
88
Grazie all’integrazione delle librerie di funzioni, è possibile gestire i tre
applicativi all’interno di progetti Visual Basic (VB). Ciò ha permesso la
realizzazione
di
programmi
VB
personalizzati,
finalizzati
all’implementazione di tutte le procedure. Altri interventi fondamentali sono
stati la motorizzazione del tetto scorrevole dell’osservatorio e l’acquisto
della scheda IOADR810, prodotta dalla National Control Devices,
fondamentale per l’utilizzo dei diversi dispositivi: sensori di presenze, di
pioggia, di continuità elettrica, comandi di apertura/chiusura del tetto
scorrevole, controllo dei fine corsa movimento tetto e telescopio, controllo
dell’alimentatore principale.
La scheda IOADR810 (gestita mediante programmazione in VB) è un
dispositivo ibrido, dotato di otto reed relays e tre porte I/O analogico-digitali
(figura 2). Una ulteriore scheda d’interfaccia autocostruita, provvista di
altrettanti relays e disaccoppiatori ottici, ha permesso il cablaggio di tutti gli
apparati. Un cellulare installato in osservatorio consente il videocontrollo
dell’edificio rispondendo ed effettuando chiamate automatiche.
Figura 2: Il dispositivo IOADR810 che ha permesso l'interfacciamento dei diversi apparati
installati in osservatorio.
Il software skydaemon, sviluppato in VB, sovrintende alla gestione
dell’osservatorio. Gli eventi che si susseguono durante l’avvio di una
sessione automatica sono: controllo posizione dei fine corsa movimento
tetto, apertura tetto, verifica posizione fine corsa movimento tetto,
accensione dell’alimentatore camera CCD + sistema puntamento elettronico
FS2, raffreddamento della camera CCD, sincronizzazione iniziale del
89
telescopio, verifica della posizione iniziale dai dati astrometrici relativi alla
prima immagine, avvio dell’applicativo masacas (che provvede alla
conduzione della sessione osservativa, come illustrato in seguito). Durante
l’attività osservativa, skydaemon monitora periodicamente i diversi sensori
e segnali: controlla i sensori di rilevamento presenze all’esterno
dell’osservatorio, il sensore di pioggia, il limite orario imposto inizialmente,
la presenza dell’energia di rete (in assenza di energia elettrica un gruppo di
continuità assicura l’alimentazione per un tempo adeguato a completare lo
shutdown), eventuali allarmi dovuti a cielo nuvoloso o trasmessi tramite
internet.
Al termine della sessione vengono eseguite le procedure inverse: il
telescopio si sposta in posizione di “parcheggio”, vengono disattivati i link
con la camera CCD ed il sistema di puntamento FS2, viene spento
l’alimentatore principale: il telescopio si ferma e vengono memorizzati i
valori di angolo orario e di declinazione impostati, permettendo il riavvio
automatico la volta successiva. Il tetto scorrevole dell’osservatorio viene
infine chiuso.
Come detto sopra, skydaemon “lancia” masacas, un ulteriore applicativo,
anch’esso sviluppato in VB. Masacas è il software deputato alla effettiva
realizzazione del programma osservativo: itera le diverse fasi che vanno dal
puntamento del telescopio (secondo un programma predefinito) fino alla
realizzazione della ripresa digitale e al salvataggio del file in formato FIT,
attraverso l’esecuzione dell’astrometria e la conseguente sincronizzazione
del telescopio sul punto della volta celeste effettivamente inquadrato.
Sebbene non sia troppo complicato realizzare routine che automatizzino
una serie di compiti piuttosto elementari, quali il puntamento di un
telescopio, la ripresa dell’immagine ed il successivo salvataggio, più
difficile è riuscire a movimentare uno strumento con un campo inquadrato
di una decina di primi di arco in modo affidabile e per centinaia di volte in
una notte, senza interventi correttivi da parte di operatori e non disponendo
di montature di estrema precisione.
L'espediente che ci ha permesso di superare le difficoltà derivanti da un
puntamento imperfetto è costituito dalla possibilità di effettuare
automaticamente l’astrometria su ogni immagine realizzata: sfruttando la
funzione di ”image link” tra l’immagine acquisita dalla camera CCD ed il
database stellare gestito dal software planetario, si ottiene una soluzione
astrometrica, con una precisione inferiore al secondo di arco (adoperando,
ad esempio, il GSC o, ancora meglio, l’UCAC 2/USNO B, quali cataloghi
di riferimento). L’informazione astrometrica acquisita viene adoperata per
“risincronizzare” il telescopio sul punto della volta celeste effettivamente
90
inquadrato. Il successivo puntamento sarà dunque immune da errori
accumulati nei precedenti movimenti. Il software può anche apportare
correzioni, nel caso che un puntamento venga effettuato con un errore
superiore ad un valore prefissato. Il software è cioè in grado di
autocorreggere un puntamento errato. Infine, nel caso in cui dall’astrometria
non risultino presenti stelle nell’immagine ripresa, può significare una sola
cosa: il cielo sta annuvolandosi.
RICERCA SUPERNOVAE
Per indagare l’affidabilità del sistema abbiamo intrapreso un programma
di ricerca di Supernovae (SN), mirando quindi a massimizzare il numero di
campi fotografati nel periodo osservativo disponibile. Scegliendo un tempo
di esposizione pari a 60 secondi (che con i nostri strumenti consente di
“scendere” fino ad una magnitudine limite V ~ 20) e tenendo conto dei
lunghi tempi di digitalizzazione e scaricamento del CCD SBIG ST6 (circa
40 secondi) si ottiene, in media, una immagine ogni due minuti. Opportuni
file di log descrivono la successione delle procedure effettuate dai software
skydaemon e masacas.
Durante ogni “run” di masacas viene anche aggiornato un file testo che
riporta, per ogni immagine salvata, i diversi parametri caratterizzanti la
ripresa: le coordinate del centro del campo fotografato (con precisione
astrometrica), la massa d’aria (secZ) ed il tempo siderale al momento
dell'esposizione, la durata della ripresa digitale, la temperatura della camera
CCD, la rotazione del campo inquadrato rispetto al reticolo equatoriale,
eventuali filtri adoperati e note.
Il file target.txt contiene la lista dei "bersagli" da fotografare e viene
fornito come parametro di ingresso al programma masacas: ogni record
consiste di alcuni campi tra cui il nome del soggetto principale (una galassia
del catalogo PGC), le coordinate equatoriali del soggetto, il tempo di
esposizione da adoperare nella ripresa CCD, la precisione da assicurare nel
puntamento del telescopio, il numero di copie da effettuare. Il file target.txt,
i cui campi sono opportunamente formattati per essere interpretati dal
programma masacas, viene generato con macro VBA da un file Excel dal
nome catalogo.xls. Catalog.xls (figura 3) contiene i dati identificativi, tra
cui le coordinate celesti, delle principali galassie del catalogo PGC, con
declinazione maggiore di –10 °. E’ stato preparato interrogando il database
di TheSky6 e consiste di oltre 42000 record. Attraverso semplici query, è
possibile filtrare la lista per ottenere un sottoinsieme di alcune centinaia di
galassie da fotografare notte per notte (si ottiene il file target.txt).
91
Figura 3: Una schermata del file catalogo.xls.
Al termine della sessione osservativa, masacas provvede ad aggiornare il
file catalogo.xls aggiungendo, per ogni campo di galassie fotografato,
informazioni sulla data e sulla directory contenente i file immagine,
effettuate in quella sessione. In questo modo è possibile risalire velocemente
a qualunque file archiviato e tenere traccia del numero di riprese effettuate
per ogni galassia catalogata.
Per consentire l’analisi, finalizzata alla ricerca di Supernovae, sono state
sviluppate ulteriore routine per reperire le immagini di confronto: al termine
dell’aggiornamento del file catalogo.xls, una procedura automatica (ancora
sviluppata in VB) si collega al sito STScI e provvede all’interrogazione del
database, scaricando un’immagine di confronto per ogni immagine
realizzata nella sessione osservativa appena conclusasi. Sfruttando i
parametri ricavati dall’astrometria, il programma scarica un’immagine
perfettamente sovrapponibile a quella realizzata dal nostro telescopio (in
termini di centro del campo inquadrato, estensione del campo e rotazione
del campo).
Al termine della procedura, l’intera directory, contenente le immagini
realizzate nella sessione osservativa ed i confronti scaricati via internet,
92
viene caricata su un opportuno server, per permetterne la condivisione in
rete. Una mail automatica avvisa i membri del gruppo della presenza di
nuovi dati da analizzare.
Lo scaricamento dei file per la successiva analisi viene realizzato
comodamente da casa. Attualmente i “controllori” procedono attraverso
semplici operazioni di “blink”: l’attività è agevole e procede abbastanza
speditamente proprio per la quasi perfetta sovrapponibilità dell’immagine
realizzata dal nostro telescopio con quella di confronto, scaricata dagli
archivi on line (figura 4).
Figura 4: L’immagine di sinistra è quella ottenuta durante una sessione osservativa effettuata
il 03/09/2008; quella di destra (relativa alla Survey POSS2 red) è stata scaricata
automaticamente dal sito STScI. La perfetta sovrapponibilità delle due immagini permette la
realizzazione di operazioni di “blink”, senza alcun passaggio intermedio.
Il completamento della gestione remota/robotica è reso possibile da un
ulteriore software che permette il controllo via internet di tutte le
fondamentali procedure: è possibile avviare, in remoto, la sessione
osservativa fornendo i parametri d’ingresso a skydaemon ed il file dei
bersagli per masacas (target.txt).
93
E’ possibile scaricare, in tempo reale, i file immagine, intervenire sulla
lista dei bersagli, controllare l’andamento della sessione ed, eventualmente,
interromperla. La sessione può, comunque, procedere anche in modalità
automatica, fino all’orario impostato (in genere l’alba) o finché un eventuale
segnale di allarme non la interrompa.
Se non si verificano inconvenienti sulla rete internet, al mattino si
trovano disponibili sul server le immagini scattate nella notte, assieme a
quelle di confronto scaricate dal sito STScI: tutto è pronto per iniziare
l’analisi da parte dei “controllori”.
RISULTATI
Una versione ridotta del pacchetto di routine sviluppato per
l’osservatorio di Monte Agliale è stata esportata su altri sistemi privati. Il
primo risultato significativo è così arrivato con la scoperta della SN 2007ru
(27/11/2007) per opera di Donati e Ciabattari, effettuata con il telescopio
privato di Donati, dai sobborghi di Lucca.
Successivamente sono state scoperte le Supernovae 2008ap (13/02/2008,
Ciabattari e Mazzoni) e 2008ei (23/07/2008, Ciabattari e Mazzoni) da
Monte Agliale, sfruttando pienamente l’automazione appena implementata.
In particolare la SN 2008ei è stata scoperta e confermata, nelle notti
successive, per mezzo di sessioni remote e automatiche, gestite dal
Trentino, durante un periodo di vacanza.
SVILUPPI
Confidando nella sostituzione dell’attuale camera CCD con una più
moderna, provvista anche di ruota portafiltri, potranno essere pianificate
anche sessioni fotometriche automatiche.
Nell’ambito del progetto di ricerca di Supernovae, è in fase di analisi un
software che acceleri le procedure di controllo, provvedendo ad una prima
“scrematura” delle immagini mediante riconoscimento automatico dei
sospetti. In questo contesto si auspica il coinvolgimento di ulteriori
collaboratori, sia nella fase di analisi dati, sia per la costituzione di nuovi
sistemi osservativi automatici.
94
95
Vittorio Lovato
SPETTROSCOPIO A PRISMA
PER IL TELESCOPIO DA 500mm DELLA AAAV9
Generalità
Lo strumento qui descritto (fig. 1) è uno spettroscopio ad
autocollimazione, a dispersione medio-bassa, che utilizza un prisma di
quarzo come elemento disperdente. Il prisma ha una base equivalente di
63mm e quindi un potere risolutivo di tutto rispetto, limitato in pratica
dall’apertura della fenditura e dalle dimensioni dei pixel del sensore, se si
usa un sistema di rivelazione a CCD. Uno specchio sferico del diametro di
60mm e focale di 200mm funge ad un tempo da collimatore e da obiettivo
del dispositivo di rivelazione.
Lo strumento è stato progettato per funzionare montato sul focheggiatore
da 2" di un riflettore tipo Cassegrain da 500mm f/8. Pertanto, anche il
rapporto focale effettivo dello spettroscopio risulta essere pari a f/8,
(estensibile a f/6).
Per agevolare le operazioni di messa a fuoco e il riconoscimento delle
righe spettrali, lo strumento è dotato di una sorgente luminosa ausiliaria, in
grado di fornire uno spettro di confronto formato da righe di emissione di
lunghezza d'onda nota.
Fig. 1 - Vista d'assieme
9
AAAV, Associazione Astrofili Alta Valdera.
96
Lo schema ottico adottato è del tipo a "W", come si vede in fig. 2. Il peso
complessivo dello strumento (escluso il sensore) è di circa 1,4 Kg.
La lunghezza dello spettro prodotto dallo strumento sul piano focale del
sensore è di circa 15mm, nell'intervallo di lunghezze d'onda da 3900 a 7600
Angstrom ( Å ). La dispersione inversa associata ad una video camera o
camera CCD con pixel da 10µm è di 2,5 Å/pixel nella riga Hγ dell'idrogeno
(λ = 4340 Å). Data la ben nota non-linearità della risposta di un prisma,
dispersione e risoluzione variano con la lunghezza d’onda della luce
incidente.
L'estensione dello spettro fornito dallo strumento può eccedere
l’ampiezza del sensore. In tal caso, per poterne osservare le varie parti, lo si
deve far scorrere longitudinalmente variando l’angolo d’incidenza del
prisma. A ciò provvede un’apposita manopola di campo a tale scopo
predisposta all’esterno dello spettroscopio: lo spettro scorrerà verso il rosso
o verso il blu, mostrando così la porzione di spettro che si desidera
osservare e/o registrare.
Fig. 2 - Schema ottico dello spettroscopio da 200mm
Caratteristiche dello spettroscopio
Le caratteristiche principali dello strumento sono le seguenti:
Massa: 1,4 Kg al netto dei dispositivi di ripresa.
97
Collimatore: specchio sferico da 60mm e focale di 200mm.
Sorgente di confronto: lampada fluorescente , 220V, 1W.
Fenditura: regolabile da 0 a 2mm
Elemento disperdente: Prisma di quarzo tipo Littrow, con angolo di
rifrazione di 31,6° e base di 63mm (equivalente); faccia posteriore
alluminata e protetta. Per quanto riguarda dispersione cromatica, potere
disperdente e indice di rifrazione del quarzo si vedano i relativi grafici. Il
prisma di quarzo estende l'ampiezza dello spettro ben al di là del violetto.
Potere risolutivo "PR". E’ definito come capacità dello strumento di
separare tra loro due righe vicine. Poiché lo spettro è costituito dalla
sequenza delle immagini della fenditura riprodotte nelle varie lunghezze
d’onda, il PR dipende principalmente dalla larghezza della fenditura la
quale però non può essere ridotta al di sotto di un certo limite che dipende,
in gran parte, dalla luminosità dell’oggetto osservato. Tuttavia anche con
una fenditura infinitamente sottile il PR, che è definito dal rapporto

d
assume un valore finito perché interviene il fenomeno della diffrazione a
dare spessore alla riga. Per un prisma di base b, il PR è dato dall’espressione
dn
dn
, dove il rapporto
dipende a sua volta dalla lunghezza
d
d
d’onda  ; una faccenda un po’ complicata, come si vede. Tuttavia, nel caso
PR = b
specifico, essendo b = 63mm, il PR dello spettroscopio vale circa 1500 nel
rosso; 2400 nel giallo/verde e 6400 nel blu/violetto. La risoluzione, vale a
dire la discriminazione d che lo strumento è capace di operare tra due
righe adiacenti, è data dall’espressione d 

. Nel rosso, d vale
PR
dunque circa 4,3 Å; nel giallo/verde 2,2 Å e nel blu/violetto 0,6 Å .
Occorre tener presente che si tratta pur sempre di valori puramente teorici,
che tengono conto solamente dell’influenza della diffrazione, nell’ipotesi
che la fenditura sia infinitamente sottile. In pratica, la risoluzione effettiva è
decisamente determinata dalle dimensioni lineari dei pixel del sensore e, più
ancora, dalla fenditura quando la sua apertura supera quelle dimensioni.
Per quanto riguarda la dispersione operata dallo strumento, sappiamo che
essa varia con la lunghezza d'onda della luce, ma dipende anche dal tipo di
sensore utilizzato. Tanto per fissare le idee, con pixel da 10 micron e
λ=5000Å la dispersione vale teoricamente circa 3 Å/pixel. Ciò assumendo
98
che l’apertura della fenditura sia uguale o minore di 10µm (la dimensione
dei pixel).
Il più delle volte la fenditura è più aperta di 10µm ed in tal caso è essa a
determinare la risoluzione dello spettroscopio. Vi è poi un altro aspetto da
considerare e cioè la relazione tra apertura della fenditura e dischetto di
diffrazione o centrica , dell’immagine stellare (disco di Airy ). Per un
telescopio aperto a f/8, il diametro della centrica si aggira sui 7µm. Si
potrebbe quindi fare a meno della fenditura. La realtà è che a causa
dell’agitazione atmosferica, sempre presente, la centrica è in continuo
caotico movimento attorno ad una posizione centrale per cui, alla fine,
l’area interessata può diventare fino a 10 volte più ampia, con notevole
riduzione della risoluzione spettrale teorica.
L'impiego della fenditura trova in tal caso una sua precisa indicazione.
Fig. 3 - Spettro (parziale) della sorgente di confronto (parte superiore)
Fig. 4 - Indice di rifrazione del quarzo
99
Fig. 5 - Specchio sferico collimatore D=60mm ; f = 200mm
Fig. 6 - Assemblaggio del prisma
100
Fig. 7 - Attacco da 2" lato telescopio, Fig. 8 - Assemblaggio specchi piani di
completo di fenditura regolabile (a sinistra) e rinvio.
raccordo da 1,25" (a destra) per la camera
CCD.
Fig. 9 - Relazione Ingresso/Uscita dello spettroscopio. La lunghezza dello spettro è dato
In unita arbitrarie (lo 0 corrisponde alla riga A di Fraunhofer e il 10 alla riga H del CaII°)
101
Angelo Piemontese
PERCHE’ “CASO” RIFERITO ALL’EVENTO TUNGUSKA?
Martedì 30 giugno 1908. Ore 7:14 locali. Sull’Altopiano della Tunguska,
una remota regione della Siberia centrale, Podkamennaja Tunguska, la
Tunguska Pietrosa, fiume di quasi duemila chilometri a sud dell’Altopiano
che poi si getta nello Enisej. Una palla di fuoco attraversa il cielo da sudest
a nordovest, una scia infuocata di gas e polveri «un cielo che si divide in
due». Oltre duemila chilometri quadrati di foresta siberiana vengono
investiti da una micidiale ondata di calore, seguita da una terribile onda
d’urto e da una nube di polveri che si alza in quota per decine di chilometri,
Sessanta milioni di alberi vengono abbattuti al suolo come birilli altri,
completamente privati di rami e foglie, restano in piedi come spettrali pali
del telegrafo Gli effetti della deflagrazione si avvertono fino a diverse
centinaia di chilometri di distanza. A 200 Km dall’epicentro, un fattore sta
arando il suo terreno, quando sente improvvisamente dei colpi simili a quelli
di cannone. Pochi istanti dopo è investito da un vento così forte da
costringerlo ad abbassarsi sulle ginocchia e a cercare appiglio con le mani al
terreno per non essere scaraventato via. Sulla scia di un sensazionalismo
mediatico, anche i giornali locali danno ampio spazio ai racconti dei
testimoni oculari: La “cosa” ha la forma di un cilindro. Il cielo è privo di
nubi.
COINCIDENZE
NOTTI BIANCHE NEI CIELI D’EUROPA
La notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 1908 verrà ricordata, in diverse
regioni della Siberia, della Russia e dell’Europa del Nord per la sua
eccezionale luminosità Dalla Siberia al Caucaso i giornali parlano di
«grandi nubi argentee e scintillanti, visibili nel cielo notturno».
In Europa viene osservato in tutti gli stati del Nord. A Glasgow, in
Scozia, i giornali locali scrivono Dello strano fenomeno si parla anche
all’altro capo del mondo, dove il «New York Times» del 3 luglio riporta
“Inghilterra, Belgio e Germania”. Gli eccezionali chiarori notturni
dureranno diverse notti, scemando lentamente e scomparendo soltanto verso
la fine di luglio. In alcune regioni del Caucaso, come racconta Apostov,
direttore dell’Ufficio Meteorologico dell’Istituto Caucasico di Tiflis, si
102
ritornerà alla normalità soltanto alla fine di agosto. Causa del fenomeno: è
forse legato all’evento di Tunguska e se sì come? Nel caso fosse legato alla
caduta di un asteroide perché questa luminosità del cielo? Le risposte più
avanti.
EFFETTI
EFFETTI BAROMETRICI, MAGNETICI E TELLURICI
Un’onda sismica di media intensità viene registrata dalla Gran Bretagna
alle regioni settentrionali del Caucaso. L’onda d’urto generata dà origine, a
livello planetario, a variazioni della pressione atmosferica tanto più durature
quanto più distante dall’epicentro è il punto di misurazione. Ovunque si
torna ai valori normali nel giro di un’ora. Le anomalie magnetiche vengono
registrate in tutto il mondo a 1.000 Km di distanza dall’epicentro le bussole
restano inutilizzabili per diverso tempo. La tempesta dura quattro ore:
comincia all’incirca 7 minuti dopo l’esplosione, raggiunge il picco nelle due
ore successive e poi va scemando lentamente. Successivamente si scoprirà
che il sisma aveva magnitudine 5 (misurato in Siberia, GB, Germania)
Sebbene registrati in diverse parti del mondo, questi effetti – ottici,
barometrici, magnetici e tellurici – saranno collegati all’esplosione della
Tunguska solo molti anni dopo, quando gli scienziati cominceranno a
indagare sull’evento.
ALLA RICERCA DI UNA SPIEGAZIONE DELL’ENIGMA
KULIK E LE PRIME SPEDIZIONI SCIENTIFICHE
Il minerologo Leonid Alekseevič Kulik è il primo scienziato che
organizza la prima spedizione. Febbraio 1927. È il 13 aprile quando il
gruppo giunge sul luogo. Eppure non si riesce a trovare alcun frammento di
meteorite.
La seconda spedizione. Aprile 1928. A effettuare scavi su un’area di
100 Km2. Si tratta di un’impresa mastodontica. Tornato a Leningrado, Kulik
spiega agli scienziati riuniti presso il Museo Mineralogico la sua teoria su
come devono essersi svolti i fatti la mattina del 30 giugno 1908,
giustificando come segue l’apparente insuccesso della sua spedizione: «[…]
Il masso cosmico comincia a disintegrarsi nel momento in cui penetra
nell’atmosfera terrestre. Viaggiando ad alta velocità, si dissolve in
molecole di materia, convertendosi allo stato gassoso, dissolvendosi e
103
proiettando frammenti, oppure si frantuma a bassa quota formando molti
piccoli crateri nella palude. Il meteorite non ha dato origine ad alcun
cratere di notevoli dimensioni perché è esploso sopra il terreno […]».
Il filmato di Strukov sulla spedizione suscita grande eco a livello
internazionale e, in un certo senso, “costringe” l’Accademia a
sponsorizzare, di lì a poco, una nuova spedizione.
La terza spedizione. Febbraio del 1929. Intanto gli scienziati occidentali
vengono a conoscenza dell’evento di Tunguska e collegano ad esso alcuni
dati registrati il 30 giugno 1908. Scavano: Ancora una volta non si ottiene
alcuna traccia di materiale extraterrestre. Lo scavo prosegue fino a 34 m di
profondità, poi la resa. È il 1° marzo 1930.
La quarta e ultima spedizione. Nel 1937 un “rinnovato” Kulik tenta una
ripresa aerea della Palude Meridionale, un’area a pochi chilometri dal
cratere Suslov, l’aereo cade ma Kulik si salva. Nel 1938 una nuova
esplorazione aerea della Palude Meridionale: si realizzano le prime riprese
fotografiche aeree su un’area di circa 300 Km2.
Estate del 1939: ha inizio la quarta spedizione. Perforazioni; la ricerca di
frammenti di origine meteoritica risulta vana. Guerra: Kulik infermiere
nell’ospedale di un campo di prigionia tedesco, dove contrae il tifo e muore
nel 42. Arriva Stalin, e nel 1951, l’accademico V.A. Obruchev pubblicherà
un articolo sostenendo il carattere naturale della palude e nessuna altra
ricerca di frammenti a grande profondità verrà mai effettuata.
LE SPEDIZIONI DOPO KULIK
La prima spedizione guidata da un accademico
Su invito dell’Accademia delle Scienze, il geochimico russo K.P.
Florenskij, organizza nel 1954 una ricognizione aerea della regione della
Tunguska interessata dall’esplosione. Nel 1958 è lo stesso Florenskij a
guidare la prima spedizione scientifica del dopoguerra: viene accertato che
tutte le cavità studiate da Kulik non hanno una natura da impatto, ma molto
più semplicemente sono state generate dal ciclico scioglimento dei ghiacci,
fenomeno tipico della zona. Tutto ciò porta Florenskij ad escludere, in via
definitiva, l’ipotesi dell’impatto meteoritico.
Verso l’ipotesi cometaria
La mancanza di un cratere da impatto visibile, simile al Meteor Crater in
Arizona, sin dagli anni Trenta suggerisce una ipotesi alternativa per il caso
Tunguska: quella dell’impatto cometario. Tra i primi ad avanzarla vi è
l’astronomo inglese Francis J.W. Whipple Secondo lo scienziato, lo sbalzo
104
termico generato nell’impatto della cometa con l’atmosfera terrestre avrebbe
determinato la completa disintegrazione in quota del nucleo, mentre la coda
di polveri e gas intrappolati negli alti strati atmosferici avrebbe provocato
gli eccezionali fenomeni luminosi riportati dalle cronache di mezzo mondo.
Nel dopoguerra, gli studiosi si divideranno sostanzialmente in due gruppi:
quelli a favore dell’ipotesi meteoritica e quelli a favore dell’ipotesi
cometaria.
Nello stesso periodo, l’astronomo e accademico V.G. Fesenkov presenta
ai colleghi dell’Accademia delle Scienze un dettagliato modello in cui una
cometa raggiunge la Terra frontalmente e, attraversando l’atmosfera in una
manciata di secondi, perde massa fino a frantumarsi in più pezzi; di questi,
il principale si surriscalda al punto tale da disintegrarsi, provocando una
violenta esplosione in quota. La teoria di Fesenkov è accreditata dalla
velocità dell’onda di pressione registrata presso l’Osservatorio Geodetico di
Potsdam il 30 giugno 1908 e dalla rapida diffusione di particelle cosmiche
nell’atmosfera: sarebbe stato quest’ultimo fenomeno a generare, in diverse
regioni dell’Europa, la spettacolare luminosità delle notti successive
all’esplosione nella Tunguska.
L’ipotesi cometaria prende sempre più corpo, fino ai primi anni Novanta.
Nel 1975, lo scienziato israeliano Ari Ben-Menahem confronta i dati
registrati il 30 giugno 1908 da quattro stazioni sismiche con quelli di alcuni
test nucleari sovietici e cinesi effettuati in quota. Il tutto lo porta alla
conclusione che «[…] l’esplosione è avvenuta alle 7:14 (ora locale) a causa
di una cometa disintegratasi a una quota di 8,5 Km e ha liberato un’energia
pari a 12,5 Megaton10.»
Nel 1976, a chi obietta che a nessun osservatorio astronomico sarebbe
potuta passare inosservata una cometa in rotta di collisione con la Terra,
l’astronomo britannico D. Hughens risponde con un lavoro in cui calcola le
dimensioni del nucleo della cometa: appena 40 m di diametro, troppo pochi
per rendere l’oggetto visibile se non pochi secondi prima dell’impatto.
(Effettivamente, ancora oggi, a distanza di un secolo e con il notevole
sviluppo della tecnologia avutosi nel frattempo, i telescopi addetti alla
sorveglianza dei nostri cieli non sono in grado di identificare oggetti con
diametro inferiore ai 110 m – oggetti, cioè, di magnitudine media 22, la cui
luminosità è insufficiente a renderli “visibili” dai telescopi - ). Pochi anni
10
Il Megaton è una unità di misura dell’energia liberata dall’esplosione di un
ordigno, generalmente nucleare. Equivale all’energia sprigionata nell'esplosione di
un milione di tonnellate di tritolo.
105
dopo, lo scienziato slovacco L. Krésak arriva a ipotizzare che il nucleo
cometario esploso nei cieli siberiani sia stato un frammento della cometa
periodica Encke.
ALTRE TUNGUSKA
Foresta amazzonica – Confine nordoccidentale tra Brasile e Perù
13 agosto 1930, 8:00 ora locale
Guyana britannica – Regione di Rapunumi
11 dicembre 1935
1921
Il minerologo Leonid Alekseevič Kulik è incaricato dal Museo
Mineralogico e Geologico dell’Accademia delle Scienze di Pietrogrado di
raccogliere e studiare i meteoriti caduti sul territorio russo. Nel corso di una
delle sue indagini, viene a conoscenza di un corpo cosmico caduto nella
Tunguska nel 1908.
1925
A.V. Voznesenskij (già direttore dell’Osservatorio Geomagnetico e
Meteorologico di Irkutsk) collega l’evento della Tunguska con le onde
sismiche registrate dal suo osservatorio il 30 giugno 1908.
1927
A capo della prima spedizione scientifica, Kulik raggiunge l’epicentro
dell’esplosione. In una regione ancora visibilmente devastata dopo
diciannove anni dall’evento, Kulik trova quelli che crede essere crateri da
impatto di un meteorite. Cerca i possibili frammenti del corpo impattato al
suolo, ma inutilmente.
1928
A poco più di un anno dalla prima spedizione, Kulik raggiunge per la
seconda volta la Tunguska. La missione è seguita dalla stampa americana e
britannica. Ancora una volta non si trovano i frammenti del meteorite.
1929
Terza spedizione di Kulik. Nessuna traccia dei frammenti del meteorite.
1930
106
Scienziati britannici collegano l’evento della Tunguska con le onde aeree
registrate in Inghilterra il 30 giugno 1908 e i bagliori notturni osservati in
gran parte dell’Europa nelle notti successive.
1934
Viene avanzata l’ipotesi dell’impatto di una cometa. I sostenitori sono gli
scienziati russi I.S. Astapovič e V. Vernadskij e lo scienziato britannico
F.J.W. Whipple.
1938
Kulik effettua la prima ricognizione fotografica aerea sulla regione
interessata dall’evento.
1939
Quarta e ultima spedizione di Kulik. Ancora una volta non si trovano i
frammenti del meteorite.
1942
14 aprile: Kulik muore, prigioniero in un campo di lavoro tedesco. Ha 58
anni.
1958
K.P. Florenskij guida la prima spedizione del dopoguerra, condotta
ufficialmente dall’Accademia delle Scienze di Leningrado. L’obiettivo è la
ricerca dei resti del meteorite, ma l’esito è ancora una volta negativo. Dal
1958, e quasi ogni anno successivo, vengono organizzate spedizioni di
entusiasti delle università di Tomsk e di Krasnoyarsk.
1960
Florenskij sostiene la teoria dell’impatto cometario.
1961
Florenskij torna nella Tunguska con una nuova spedizione scientifica.
1975
Lo scienziato israeliano Ari Ben-Menahem conclude che il disastro della
Tunguska è dovuto a una cometa e che l’esplosione, a circa 8 Km di quota,
ha liberato energia pari a 12 Megaton.
1978
107
Lo scienziato slovacco Lubar Krésak suggerisce che il corpo caduto sulla
Tunguska è un pezzo della cometa Encke.
1989
Prima spedizione aperta a gruppi di ricerca internazionali. Si valuta che
l’atmosfera sia in grado di impedire l’impatto al suolo di corpi fino a 40 m
di diametro se sono di natura metallica, fino a 200 m se sono rocciosi o ad
alta porosità.
Ma andando indietro negli anni si trovano diversi altri casi di pericolosi
avvicinamenti, il 22 marzo 1989 l’asteroide 4581 Asclepius (340 m di
diametro) di tipo Apollo transitò infatti nell’esatto punto dove era la Terra
solo sei ore prima. Se ci fosse stato l’impatto, la conseguente esplosione
sarebbe stata ben peggiore di quella della Tunguska.
Anche oggetti più piccoli si sono avvicinati al nostro pianeta, come
l’asteroide 2008 T3 Catalina in Sudan il 7 ottobre 2008 di soli tre metri.
LA SONDA GALILEO
La prima sonda ad avvicinarsi a un asteroide è stata la Galileo della
NASA, durante il suo viaggio verso Giove, obiettivo primario della
missione. Il 29 ottobre 1991 la sonda è passata a soli 1.600 Km da Gaspra,
un asteroide asimmetrico di 12x16 Km. Le osservazioni della sonda hanno
permesso di stabilire la sua veloce rotazione – meno di sette ore per
compiere un intero giro su se stesso – e hanno rivelato la presenza di molti
crateri da impatto sulla sua superficie. Inoltre è stato misurato un fortissimo
campo magnetico, fenomeno che gli scienziati attribuiscono a una massiccia
presenza di ferro e nichel nel nucleo dell’asteroide.
Il 28 agosto 1993 è stata la volta di 243 Ida, un asteroide di 52 Km di
diametro. La sonda Galileo lo ha avvicinato fino a una distanza di 2.400
Km. Analizzando i dati inviati dalla sonda, gli astrofisici hanno scoperto che
a circa 70 Km da Ida gravita un piccolo asteroide di soli 1,5 Km di
diametro. Battezzato Dactilo, è il primo satellite scoperto intorno a un corpo
asteroidale.
LA SONDA NEAR
Scoperto nel 1898, Eros è situato nella Fascia Principale e appartiene
alla famiglia Amor – quindi la sua orbita non incrocia quella terrestre – ha
un perielio di 1,1 UA e si avvicina periodicamente alla Terra. NEAR ha
108
impiegato circa tre anni per giungere in prossimità dell’asteroide, dove era
previsto il rendez-vous. Durante il suo viaggio, nel giugno del 1997, NEAR
è passata a meno di 1.200 Km dall’asteroide della Fascia Principale 253
Mathilde, ne ha misurato massa e volume e ha trasmesso immagini ad alta
risoluzione riprese durante il sorvolo.
Il primo tentativo di avvicinamento a Eros, però, nel dicembre del 1998,
è fallito a causa della mancata accensione del motore che doveva rallentare
la sonda. L’operazione è stata ripetuta, questa volta con successo, il 14
febbraio 2000. La superficie di Eros è stata così analizzata da appena 35 Km
di distanza e si è scoperto che è ricoperta di crateri e da uno strato di detriti.
Dopo un anno passato a orbitare attorno a Eros, il 12 febbraio 2001 la
sonda NEAR è stata fatta atterrare sul fianco dell’asteroide. Oltre a ottenere
immagini ad altissima risoluzione della superficie, l’obiettivo era quello di
scoprire se Eros è composto da un unico blocco di roccia solida o da una
massa di piccoli frammenti tenuti insieme dalla gravità. I dati raccolti dalla
sonda suggeriscono che si tratta di un grosso pezzo di roccia, risultato di un
impatto tra due corpi maggiori.
MISSIONE HAYABUSA
La missione più interessante è senza dubbio quella della sonda
Hayabusa, che porta la firma congiunta dell’ente spaziale nipponico JAXA
e della NASA. Il nome dato alla missione è significativo e scelto non a caso:
“Hayabusa” in giapponese significa “falco”, e proprio come un rapace la
sonda avrebbe dovuto planare sull’asteroide Itokawa, “carpire” dei
campioni di rocce e riportarli sulla Terra per un’analisi diretta.
Lanciato nel 2003, il falco spaziale ha raggiunto l’asteroide Itokawa nel
novembre 2005, dopo un viaggio di quasi 300 milioni di chilometri. Tra
peripezie ed imprevisti, la sonda è atterrata sulla superficie rocciosa e forse
è riuscita a prelevare alcuni campioni significativi. Il forse è d’obbligo,
poiché a tutt’oggi non è ben chiaro se l’operazione di raccolta sia andata a
buon fine: malconcia per i vari tentativi di abbordaggio all’asteroide, con le
batterie scariche e il carburante quasi esaurito, la sonda rientrerà sulla Terra
nel 2010 anziché, come previsto dal piano di volo, nel 2007.
Nell’attesa, gli scienziati possono ritenersi comunque soddisfatti: lo
spettrometro a infrarossi a bordo di Hayabusa ha identificato la
composizione mineralogica di Itokawa e la sua struttura superficiale. Oltre a
olivina e pirosseni, lo strato esterno dell’asteroide sembra essere in parte
costituito anche da ferro metallico e plagioclasio, una roccia di silicati e
alluminio mescolati a sodio e calcio. Per fugare ogni dubbio, gli scienziati si
109
sono rivolti a Takahiro Hiroi, ricercatore al Dipartimento di Scienze
Geologiche della Brown University, uno dei massimi esperti mondiali di
asteroidi e meteoriti impattati sul suolo terrestre. Comparando i dati spettrali
forniti da Hayabusa con quelli di alcuni campioni di meteoriti conservati in
vari musei, Hiroi è riuscito a determinare la composizione mineralogica
della superficie di Itokawa, che si è rivelata essere molto simile a quella
delle condriti LL, un tipo di meteorite molto comune sulla Terra e
caratterizzato appunto dall’abbondante presenza di minerali come olivina e
plagioclasio e dalla scarsa presenza di ferro. LL significa infatti Low (total)
iron, Low metal: indica cioè che la percentuale totale di ferro è intorno al
20% e quella di ferro metallico non supera il 3%. Questo risultato ha
consentito di stabilire il probabile luogo di origine di Itokawa, cioè la fascia
più interna della cintura di asteroidi tra Giove e Marte.
I dati spettrali forniti da Hayabusa hanno inoltre permesso agli scienziati
di analizzare meglio la superficie del piccolo asteroide, lungo un po’ meno
di 500 m. Ne risulta un suolo per la maggior parte ricoperto da sassi e pietre,
ma esiste anche una vasta area relativamente piatta, battezzata Mare delle
Muse. Questa struttura così diversificata sarebbe il risultato di più concause:
tempeste meteoritiche, precedenti scontri con altri asteroidi più piccoli,
azione erosiva di vento solare e particelle di polvere interplanetaria. C’è di
più. I grandi asteroidi, come il già citato 433 Eros, sono completamente
coperti da regolite, uno strato di sassi e rocce generato dall’aggregazione
gravitazionale dei residui degli impatti con altri corpi rocciosi. «Nel caso di
Itokawa – spiega Hiroi – la regolite è ancora in uno stato intermedio di
formazione e i massi sulla sua superficie sono davvero simili a molti
meteoriti terrestri.» Quindi, secondo lo scienziato, in questo caso «stiamo
osservando una delle prime fasi evolutive di un asteroide dello stesso genere
di quelli che hanno colpito la Terra in passato.»
SENTINELLE
Come cautelarsi dunque? La cosa migliore, come accade spesso per la
maggior parte degli eventi naturali, è la prevenzione. Infatti, se un corpo
potenzialmente pericoloso fosse scoperto con un certo margine di anticipo,
si avrebbe sicuramente il tempo di mettere in atto delle difese e delle azioni
tali da evitare possibili catastrofi. Pensate di guidare la vostra auto lungo
una strada rettilinea e di stare per incrociare un’altra vettura che procede con
la stessa velocità sulla corsia opposta. Se negli ultimi dieci metri prima di
incrociarvi vi accorgete che l’altra auto ha invaso la vostra corsia,
purtroppo, non resta nulla da fare per evitare lo schianto. Ma se ve ne
110
accorgete cento, duecento o cinquecento metri prima, è possibile evitare lo
schianto, ad esempio spostandosi. Ecco, nel caso di un impatto tra il nostro
pianeta e un asteroide le cose funzionerebbero grossolanamente allo stesso
modo. Ovviamente non è possibile mutare la traiettoria della Terra, ma
quella degli asteroidi sì: l’importante è avvistarli in un tempo sufficiente ad
approntare gli adeguati sistemi difensivi. A questo scopo sono state create
delle vere e proprie “sentinelle spaziali”, delle stazioni di monitoraggio con
il preciso compito di tenere sotto controllo il maggior numero possibile di
NEO e di seguirne la rotta per determinare al meglio la loro orbita. In questo
modo si possono studiare gli oggetti davvero pericolosi, distinguerli da
quelli innocui e accorgersi repentinamente di ogni nuovo NEO che potrebbe
diventate un PHA.
PROGETTO LINEAR
Torniamo ai principali programmi di osservazione. Si cominciò a parlare
di un sito per le osservazioni preventive di asteroidi già nel 1972, ma fu solo
a partire dal 1980 che il primo prototipo di “telescopio-sentinella” venne
messo in cantiere.
Così, dal 1996 è diventato operativo LINEAR, un progetto nato dalla
cooperazione tra l’Aviazione Statunitense, la NASA e il Lincoln Laboratory
del MIT (Massachussets Institute of Technology). Situato nel New Messico,
in principio LINEAR era dotato di un solo telescopio completamente
robotizzato da 1 m di apertura, il GEODSS (Ground-based Electro-Optical
Deep Space Surveillance); in seguito, le camere CCD11 sono state potenziate
e nel 1999 è stato dotato di un secondo telescopio, sempre da 1 m di
diametro. Nel 2002 è stato aggiunto un terzo telescopio da 0,5 m, in
aggiunta a un CCD da 2.560x1.960 pixel.
LINEAR è in grado di sorvegliare una data porzione di cielo ben cinque
volte in una stessa notte e la rapida elaborazione dei dati consente di
tracciare repentinamente le traiettorie dei nuovi NEO, principalmente quelli
che giacciono sul piano dell’eclittica. Attualmente, con 1.622 NEO e 142
comete scoperte a partire dal 1998, è il principale strumento usato per la
caccia agli asteroidi.
11
Il CCD è un sensore che trasforma un segnale luminoso in un segnale elettrico,
che a sua volta viene elaborato per poter essere registrato e/o rielaborato.
111
PROGETTO NEAT
Anche il progetto NEAT è nato da una collaborazione tra la NASA e
l’Aviazione Statunitense. È dotato anch’esso di un telescopio GEODSS,
situato nella base di Haleakala Maui nelle Hawaii, a cui è applicato un
sensore CCD da 4096x4096 pixel, in grado di visualizzare una porzione di
cielo di 1,2x1,6 gradi.
NEAT ha iniziato a sorvegliare il cielo nel 1995, con una frequenza di
dodici notti al mese (sei prima e sei dopo la Luna nuova, quando il cielo è
più buio). Nel 2000 il telescopio GEODSS originario è stato sostituito con
un nuovo telescopio da 1,2 m di apertura, che può essere operativo per un
numero maggiore di notti al mese. Infine, nel 2001 il progetto è stato
ulteriormente rafforzato, grazie al supporto del telescopio dell’Osservatorio
di Monte Palomar, in California, uno Schmidt da 1,2 m con una matrice di
tre camere CCD da 4.096x4.096 pixel.
Un sistema computerizzato, chiamato SkyMorph, analizza le oltre
40.000 immagini finora immagazzinate nell’archivio di NEAT, come
metodo di pre-avvistamento; in questo modo, si verifica la presenza di
eventuali oggetti anomali e, se necessario, si allertano i sistemi di
puntamento per seguirne la traccia e non perderli di vista.
PROGETTO LONEOS
Il LONEOS, situato a Flagstaff in Arizona, utilizza un telescopio
Schmidt da 0,6 m e un CCD da 4.000x4.000 pixel. Realizzato nel 1993,
oggi è in grado di effettuare ogni mese quattro scansioni complete
dell’intera volta celeste e di individuare oggetti fino alla magnitudine 19.
PROGETTO CATALINA SKY SURVEYS
I sistemi telescopici per l’individuazione dei NEO non sono presenti solo
negli Stati Uniti. Il Catalina Sky Surveys, per esempio, è una rete
osservativa costituita da tre strumenti che lavorano insieme, ma situati agli
antipodi: lo Schmidt da 0,7 m dello Steward Observatory Catalina Station
(2.510 m di altitudine) e quello da 1,5 m (3.000 m di altitudine), entrambi a
Tucson in Arizona, e lo Schmidt da 0,5 m del Siding Spring Survey (1.150
m di altitudine), nei pressi della città di Coonabarabran in Australia.
112
I PROGETTI GIAPPONESI
Anche nel Paese del sol levante non sono rimasti con le mani in mano.
La Japan’s National Space Development Agency (NASDA), il National
Aeronautic Laboratory e la Space and Technology Agency nipponica hanno
creato un progetto per l’individuazione e lo studio dei NEO.
Il sito osservativo, vicino alla cittadina di Bisei, in Giappone appunto, si
avvale di un telescopio Cassegrain da 1 m con un campo visivo di tre gradi,
connesso a un insieme di dieci CCD da quasi 4.000x4.000 pixel ciascuno.
Nel 2000 è stato aggiunto un secondo telescopio, più piccolo, per facilitare
le misure astronomiche.
LE DUE SENTINELLE ITALIANE: ADAS E CINEOS
E in Italia? Dal 2001, all’INAF-Osservatorio Astronomico di Asiago è
attivo ADAS (Asiago DLR Asteroid Survey), nato da una collaborazione tra
il Dipartimento di Astronomia di Asiago, l’INAF-Osservatorio Astronomico
di Padova e lo Space Sensor Technology and Planetary Exploration di
Berlino. ADAS utilizza un telescopio Schmidt da 0,6 m di apertura abbinato
a un CCD da 2.000x2.000 pixel e il suo compito principale è quello di
cercare e monitorare oggetti di tipo Aten nel Sistema solare interno, vale a
dire asteroidi con orbite completamente interne a quella terrestre.
Inoltre, in Italia è stato sviluppato NEODyS (Near Earth Objects
Dynamic Site), un sistema informatico per l’analisi delle traiettorie e dei
potenziali impatti dei NEO, attualmente in uso all’Università di Pisa e a
quella di Valladolid, in Spagna.
Il secondo centro di controllo italiano sorge a Campo Imperatore, a una
quota di oltre 2.100 m sul Gran Sasso. Il CINEOS (Campo Imperatore Near
Earth Object Survey) è nato da una collaborazione tra l’INAF-Osservatorio
Astronomico di Roma e l’Istituto di Fisica Spaziale del CNR, e a partire dal
1996 coinvolge anche l’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino.
Anch’esso operativo dal 2001, utilizza un telescopio Schmidt da 90 cm con
CCD da 2.000x2.000 pixel, situato nell’INAF-Osservatorio di Campo
Imperatore. Come il connazionale di Asiago, si occupa principalmente dello
studio degli Aten e degli asteroidi che orbitano nel Sistema solare interno.
LA RETE DI CONTROLLO GLOBALE SPACEGUARD SURVEY
I centri di osservazione visti finora, sparsi praticamente in tutto il mondo,
vanno a costituire un network globale che opera nell’ambito dello
113
Spaceguard Survey. Questo progetto, lanciato nel 1998 dalla NASA con i
fondi del Congresso degli Stati Uniti, si pone l’obiettivo di individuare
asteroidi di diametro superiore al chilometro. Ogni nuovo oggetto scoperto
da questa rete globale è subito seguito e analizzato, in modo da poter
determinare la sua orbita. Grazie a questa azione di osservazione preventiva
coordinata, gli scienziati ritengono di poter individuare un corpo di
dimensioni chilometriche in rotta di collisione con il nostro pianeta con un
anticipo di decenni o addirittura secoli. Infatti, tutti gli oggetti di queste
dimensioni sinora scoperti dal sistema Spaceguard non sembrano
rappresentare una minaccia per la Terra, almeno nei prossimi cento anni.
Dunque, grazie a Spaceguard Survey l’umanità intera può dormire sonni
tranquilli? Non è proprio così. Per quanto accurato, anche questo sistema di
controllo – come tutti i sistemi di misura – non è infallibile, a causa di un sia
pur piccolo margine di imprecisione nel calcolo e nella determinazione delle
orbite. Non è quindi escluso che qualche NEO possa in realtà passare molto
più vicino al pianeta di quanto stimato. Questo problema di
indeterminazione si pone soprattutto per i corpi di “piccola” taglia, cioè di
dimensioni dell’ordine del centinaio di metri (un oggetto di questo tipo, se
impattasse, potrebbe provocare un’esplosione al suolo tra 100 e 600
Megaton, tale cioè da distruggere un’area metropolitana come New York o
Tokyo). Per questo motivo, è in programma un aggiornamento del progetto
Spaceguard, che nei prossimi decenni verrà potenziato con telescopi in
grado di monitorare esattamente anche l’orbita dei circa centomila NEO di
piccola taglia che si stima attraversino l’orbita del nostro pianeta.
SCALE
Si può determinare il grado di pericolosità di questi oggetti? La risposta
è affermativa. Gli astrofisici hanno elaborato a questo scopo delle scale di
valutazione, molto simili a quelle Richter e Mercalli utilizzate per misurare
l’intensità dei terremoti.
La Scala Palermo è tecnicamente un po’ complicata, poiché definisce in
una scala logaritmica un fattore di rischio ottenuto dalla combinazione di
più variabili, come la probabilità di impatto, l’energia che verrebbe
sprigionata da quest’ultimo e la gravità dei danni causati. Omettendo per
semplicità formule ed equazioni, si evince che ponendo come zero della
scala il rischio medio di impatto, un valore 2 rappresenta un oggetto con
rischio di impatto cento volte maggiore, La scala Torino è invece di
maggior comprensione anche per un pubblico meno esperto. In questo caso
il fattore di rischio viene espresso su una scala lineare, che va da 0 (pericolo
114
nullo) a 10 (impatto certo); a questi valori viene associato anche un codice
di colori
99942 APOPHIS: UNO SCENARIO APOCALITTICO FUTURIBILE?
“99942 Apophis, l’asteroide-killer della Pasqua 2036”. Così titolava un
noto quotidiano nazionale in un articolo del dicembre 2005. Il titolo, reso
ancor più incisivo – semmai ce ne fosse stato bisogno – dai caratteri
cubitali, faceva da cappello a un lungo pezzo dai toni alquanto allarmistici
sulla possibilità che l’asteroide 99942 Apophis impatti sulla Terra nell’anno
2036. E non è tutto. Ligio al dovere, e quanto mai rispettoso della consueta
e dannosa regola che “bisogna dare più risalto ai catastrofismi anziché alle
verità scientifiche fondate”, l’autore del pezzo proseguiva impietoso
sottolineando come al danno si aggiungesse la beffa. Sì, perché la predetta
apocalisse, prevista per il 13 aprile 2036, avrebbe una particolarità: quella di
verificarsi proprio la domenica di Pasqua!
Si sa, molto spesso – non sempre, per fortuna – i media si lasciano
trasportare da facili sensazionalismi; con categorica superficialità,
respingono il pensiero di quelle che potrebbero essere le reazioni del
pubblico di fronte ad affermazioni di un certo peso. Il “bravo” giornalista
succitato concludeva il suo pezzo con sibillina maestria: «[…] solo venerdì
13 aprile 2029, quando Apophis […] passerà a soli 36.350 Km dal nostro
pianeta, si avrà la sicurezza se la Pasqua del 2036 sarà il giorno
dell’Apocalisse oppure se il Giorno del Giudizio sarà rimandato a data da
destinarsi.» Tentativo finale di smorzare i facili allarmismi? O desiderio di
creare una suspence a lungo termine?
Di 99942 Apophis e del suo possibile impatto nel 2036 si parla ormai da
tempo. Dal 24 dicembre 2004, data in cui gli scienziati hanno lanciato per la
prima volta l’allarme, si è detto di tutto e di più. Calcoli si sono succeduti ad
altri calcoli, nuove dichiarazioni si sono succedute a vecchie smentite e, in
tutto questo, l’immaginario collettivo ha cominciato a partorire fantasmi di
apocalittici “impatti pasquali”. Ma cosa c’è di vero e, soprattutto, di
realmente rischioso nella vicenda Apophis? Vediamo di fare un po’ di
chiarezza, partendo da una breve cronaca della scoperta.
L’allarme scatta la vigilia di Natale del 2004. Secondo i calcoli elaborati
dal “Near Earth Object Search Program” della NASA, l’asteroide 2004 MN4
potrebbe colpire la Terra il giorno venerdì 13 aprile 2029. Le stime reali
parlano di una probabilità di impatto di 1 su 233; l’asteroide ottiene quindi
una valutazione di pericolosità pari al livello 2 della Scala Torino, primo in
assoluto a raggiungere un livello superiore a 1. Sempre secondo le stime
115
degli esperti, l’impatto sprigionerebbe un’energia di 870 Megaton: 66.000
volte quella emessa dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima il 6 agosto
1945, 60 volte quella sprigionata nel già disastroso evento della Tunguska.
La notizia finisce subito in pasto ai media, che la divulgano al mondo
intero. Intanto, gli scienziati continuano freneticamente i loro calcoli sulla
traiettoria dell’asteroide. Lo stesso 24 dicembre, sulla base di 64
osservazioni successive, si riesce a valutarne grossolanamente le
dimensioni, circa 400 m, e ad aggiornare le valutazioni sulla probabilità di
impatto: 1 su 67, cioè l’1,5%. Il livello di rischio sulla Scala Torino salta
così al valore record di 4: mai nessun asteroide o cometa ha raggiunto un
grado di pericolosità così elevato.
Ma facciamo un passo indietro di pochi mesi, fino al 19 giugno 2004.
Roy Tucker e David Tholen, del Kitt Peak National Observatory, in
Arizona, scoprono un nuovo asteroide e lo battezzano temporaneamente
2004 MN4 (in seguito verrà chiamato con il nome definitivo 99942
Apophis). I due astronomi riescono a seguire l’asteroide per due notti, poi ne
perdono le tracce prima di riuscire a determinarne i parametri orbitali.
L’oggetto viene rintracciato nuovamente solo qualche mese più tardi,
precisamente in data 18 dicembre, da Gordon Garradd dal Siding Spring
Observatory, in Australia: le osservazioni rivelano che si tratta proprio dello
stesso NEO sfuggito all’inseguimento dei telescopi del Kitt Peak. Da questo
momento iniziano i calcoli per determinarne i parametri orbitali, fino a che
si giunse al fatidico 24 dicembre, quando tutte le indicazioni raccolte
sembrano confermare una elevata probabilità di collisione per il 13 aprile
2029.
Nei giorni seguenti si scatena una vera e propria caccia all’asteroide.
Oltre 100 osservazioni condotte la notte di Natale portano la probabilità di
collisione a 1 su 45 (2,2%); il giorno seguente, altre 160 osservazioni
consentono anche di effettuare una prima stima della massa, calcolata
intorno ai 100 milioni di tonnellate. E la probabilità di impatto è in continuo
crescendo: il 27 dicembre è già salita al 2,7%, cioè 1 su 37. A questo punto
si ritiene necessario disporre di più dati per poter tracciare un percorso
orbitale preciso, ma le osservazioni di soli dieci giorni non consentono di
determinare con esattezza la rotta dell’asteroide. Ci vuole una copertura
temporale più ampia. Così Jeff Larsen e Anne Descour cominciano a
spulciare l’archivio di immagini dello Spacewatch Observatory (in Tucson,
Arizona), ritrovando 2004 MN4 in un’immagine ripresa il 15 marzo 2004.
L’arco temporale di osservazione aumenta così a 288 giorni e, grazie alla
definizione più precisa dell’orbita, l’oggetto crolla al livello zero della Scala
Torino, con una probabilità di impatto dello 0,004%. Il pericolo di scontro
116
con la Terra per venerdì 13 aprile 2029 viene definitivamente scongiurato.
Successive osservazioni, condotte fino alla fine di gennaio 2005 e
nell’agosto dello stesso anno con i radar dell’Osservatorio di Arecibo, in
Cile, confermano l’inconsistenza del pericolo.
Nel giugno 2005, essendo stata determinata con maggior precisione la
sua orbita, l’asteroide viene catalogato come 99942 e, un mese dopo, viene
battezzato Apophis, dal nome greco del dio dell’Antico Egitto Apòfi, detto
“il Distruttore”. Una scelta azzeccata, considerando che per gli antichi egizi
Apòfi era il nemico del dio Sole, che tentava ripetutamente di distruggere
ogni notte. In contrasto con questa versione ufficiale sulla scelta del nome,
un curioso aneddoto attribuirebbe invece la scelta ai due scopritori
dell’asteroide, Tholen e Tucker: fan accaniti di “Stargate SG-1”, fortunata
serie televisiva fantascientifica degli anni Novanta, i due avrebbero dato
all’asteroide il nome dell’alieno che, nel telefilm, sbarca sulla Terra con
l’intento di distruggerla.
Qualunque sia la vera origine del suo nome, oggi sappiamo che 99942
Apophis effettuerà un passaggio ravvicinato al nostro pianeta il 13 aprile
2029, a circa 37.000 Km dalla sua superficie, un’altitudine pari a quella dei
satelliti per le telecomunicazioni. Di conseguenza, sarà visibile a occhio
nudo come un puntino luminoso di magnitudine 3,3 (con telescopi molto
potenti sarà anche possibile risolverne l’immagine), che attraverserà il cielo
a una velocità angolare di 42 gradi all’ora.
Dunque, il pericolo di impatto è stato sventato una volta per tutte? Non è
proprio così. Nel 2005 sono state eseguite nuove osservazioni, che se da un
lato hanno permesso agli astronomi una valutazione più accurata delle
caratteristiche di Apophis – un diametro di 320 m, una massa di 45 milioni
di tonnellate, un periodo orbitale di 322 giorni che lo porta a incrociare
l’orbita terrestre due volte l’anno – dall’altro hanno innalzato il livello di
guardia relativamente al passaggio che si avrà nel 2036. Secondo i calcoli,
l’interazione gravitazionale di Luna e Terra durante il passaggio ravvicinato
del 2029 dovrebbe avere come effetto un’alterazione dell’orbita
dell’asteroide e il passaggio dalla classe Aten, in cui è collocato
attualmente, a quella Apollo; di conseguenza, la probabilità di impatto con
la Terra nell’anno 2036 dovrebbe essere non trascurabile. Tutto questo ha
riportato Apophis al livello 1 della Scala Torino, appunto per il passaggio
del 13 aprile 2036. Il problema è che, al momento, gli astronomi non hanno
sufficienti informazioni per determinare quali saranno le variazioni orbitali
causate dal passaggio del 2029. Secondo l’ex astronauta Rusty Schweickart,
c’è la possibilità che Apophis entri in un corridoio orbitale che, benché
stretto solo 600 m, lo potrebbe esporre a un fenomeno di risonanza
117
gravitazionale, che a sua volta gli farebbe aumentare la probabilità di
impatto con il nostro pianeta nel passaggio del 2036. Questa ipotesi,
avanzata per la prima volta nel 2005, è stata rilanciata dallo stesso ex
astronauta con rinnovato vigore nel febbraio 2007, portandolo ad annunciare
che «la minaccia che Apophis colpisca la Terra il 13 aprile 2036, sta
diventando così concreta che le Nazioni Unite saranno invitate ad assumere
il coordinamento di una missione spaziale internazionale per deviare la
rotta dell’asteroide.» Un’affermazione abbastanza inquietante; tanto da
indurre addirittura, nello stesso anno, la Planetary Society of Pasadina,
un’associazione fondata dallo scomparso astronomo Carl Sagan, a indire un
concorso che assegnava un premio di 50.000 dollari a chi fosse stato in
grado di presentare un concreto progetto per monitorare la rotta di Apophis
con una precisione dell’ordine di pochi metri. E non è tutto. Schweickart,
guarda caso, è anche il presidente della fondazione B612, che, come
vedremo tra breve, è finanziata per un obiettivo specifico: allestire una
missione sperimentale per testare la possibilità di rimorchiare asteroidi
utilizzando navicelle spaziali.
Qual è la verità dunque? L’asteroide rischia seriamente di schiantarsi
sulla Terra nel 2036? La risposta, purtroppo, non può essere immediata. Jon
Giorgini, del Jet Propulsion Laboratory della NASA, ritiene che «solo alla
prossima occasione favorevole a osservazioni radar, nel passaggio del
2013, dovremmo poter predire la posizione di Apophis almeno fino al
2070.» Per il momento, Apophis continua a rimanere al livello 1 della Scala
Torino.
CONTROMISURE
E per gli asteroidi più grandi? Le soluzioni prese al vaglio si basano
sostanzialmente su due alternative: applicare al corpo in rotta di collisione
una forza di breve durata ma intensa, oppure esercitare una forza debole ma
costante e duratura nel tempo.
I progetti basati sulla prima alternativa prevedono la detonazione di
ordigni nucleari direttamente contro l’asteroide o in prossimità di esso. Le
esplosioni dirette sulla superficie, però, potrebbero avere degli effetti
collaterali imprevedibili: ad esempio, la frantumazione dell’oggetto in altri
piccoli corpi, che potrebbero comunque impattare sulla Terra e creare un
effetto simile a un bombardamento termonucleare su scala globale. Molto
più sicure delle precedenti, le esplosioni in prossimità dell’asteroide
avrebbero l’effetto di produrre un riscaldamento su un lato dell’oggetto, così
intenso da vaporizzarne parte della superficie. Il getto emesso di particelle
118
sublimate dall’esplosione funzionerebbe alla stregua di un motore di un
aereo: per il principio di azione e reazione, produrrebbe una spinta contraria
al getto stesso, con il risultato di spostare l’asteroide dalla rotta di collisione.
Il metodo del bombardamento nucleare, diretto o indiretto, sarebbe l’unico
attualmente utilizzabile, dato che esiste già la tecnologia – purtroppo o per
fortuna – per effettuare lanci missilistici con testate termonucleari. In più,
sarebbe anche il più rapido da attuare: basterebbero pochi mesi per
approntare e realizzare il progetto. Richiederebbe, però, la cooperazione di
tutte le nazioni attualmente in possesso della tecnologia nucleare e
missilistica, impresa non così semplicemente scontata quanto possa
sembrare.
Inoltre, come detto, si tratta di un metodo rozzo e mai sperimentato, che
potrebbe risolversi in un fallimento: cosa succederebbe, infatti, se
l’esplosione frantumasse l’asteroide in più pezzi senza deviarlo o se la
spinta prodotta non fosse sufficiente a modificarne la traiettoria? Non ci
sarebbe materialmente il tempo per approntare una nuova missione di
correzione. Allora, un altro metodo di difesa potrebbe consistere nello
scagliare contro l’oggetto in collisione una o più navicelle spaziali, come gli
Shuttle, alla massima velocità possibile. L’impatto ad alta velocità potrebbe
deviare un asteroide di medie dimensioni, ma anche in questo caso alcune
incognite rendono questa via rischiosa e poco praticabile: oltre al già citato
pericolo della frammentazione multipla, se lo scontro non avvenisse nel
modo e nel punto corretto, potrebbe avere come unica conseguenza quella di
far ruotare l’asteroide su se stesso senza modificarne la rotta.
La seconda alternativa sarebbe quella di far atterrare sull’asteroide un
veicolo robotizzato in grado di prelevare materiale roccioso dalla superficie
e scagliarlo nello spazio. Sempre in accordo col principio di azione e
reazione, una simile azione, ripetuta continuamente e per un certo periodo,
potrebbe far muovere l’asteroide nella direzione opposta a quella in cui il
materiale viene scagliato. Questa tecnica, sicuramente più ingegnosa della
precedente, lascia però un po’ dubbiosi gli stessi addetti ai lavori: visti i
risultati incerti della missione Hayabusa, questa soluzione non si ritiene al
momento attuabile.
Parallelamente alle due possibilità di intervento fin qui analizzate, sono
state prese in esame altre missioni che utilizzano navicelle spaziali, però
senza farle schiantare o far lanciare testate esplosive. Una possibilità
sarebbe far procedere parallelamente all’asteroide un veicolo spaziale,
dotato di un laser o di uno specchio solare per deflettere la luce e
concentrarla su un lato dell’oggetto. In questo modo si creerebbe un
surriscaldamento localizzato, con conseguente vaporizzazione ed emissione
119
di particelle che, come già descritto, potrebbe modificare la traiettoria del
corpo. Oppure, la navicella spaziale potrebbe spruzzare una vernice
altamente riflettente su un lato dell’asteroide: in questo caso sarebbe la
pressione di radiazione, dovuta al riscaldamento solare, a spostare
l’asteroide. Come si può facilmente intuire, anche queste metodologie,
teoricamente molto promettenti, sono difficilmente realizzabili nella pratica.
In definitiva, tutte le soluzioni fin qui esaminate si rivelano inefficaci a
impedire impatti di grossi NEO
L’ESA ha sviluppato il progetto Don Quijote per cercare di valutare
concretamente la fattibilità e soprattutto i risultati di una missione che faccia
uso di sonde spaziali interagenti con asteroidi NEO, di dimensioni medio
piccole come Apophis. Vediamolo.
MISSIONE DON QUIJOTE
Sebbene sia ancora in fase di progettazione – i lavori sono iniziati
ufficialmente nel 2005 – la missione Don Quijote si presenta ambiziosa:
prevede l’utilizzo di due navicelle spaziali, lanciate separatamente e con
traiettorie interplanetarie diverse, allo scopo di testare la possibilità di
deviare la traiettoria di un NEO “bersaglio” di taglia medio-piccola, cioè
intorno ai 500 m di diametro.
Le due sonde avranno compiti completamente diversi. La prima, Sancho,
sarà messa in orbita con lo scopo di avvicinarsi al NEO e inserirsi nella sua
orbita. A quel punto comincerà a misurare con strumenti accuratissimi le
principali caratteristiche dell’asteroide: massa, forma, forza gravitazionale,
in modo da poterne prevedere la posizione molti mesi prima dell’arrivo
della seconda sonda. Quest’ultima, Hidalgo, riceverà dalla compagna i dati
sulla traiettoria e, una volta giunta in prossimità dell’asteroide, riceverà
anche le informazioni su un punto ben preciso su cui schiantarsi. La sonda
“kamikaze” cercherà di colpire il NEO in modo del tutto autonomo, guidata
da una telecamera ad alta definizione che la piloterà verso il luogo stabilito
per lo schianto, con un margine di errore non superiore a 50 m, secondo i
dati forniti dalla prima sonda. A distanza, Sancho misurerà con estrema
accuratezza la deviazione dell’asteroide risultante dall’impatto.
È previsto che Hidalgo colpisca l’asteroide alla velocità di 10 Km/sec.
Per questo motivo, dovrà essere equipaggiata con i più sofisticati sistemi
automatizzati di navigazione ed essere progettata per funzionare senza
ingombranti antenne e pannelli solari, che potrebbero influire sulla
manovrabilità durante la fase dello schianto. Hidalgo inoltre dovrebbe
rimanere per quasi tutto il suo viaggio in uno stato “dormiente”, cioè con
120
tutti gli strumenti impostati alle minime funzionalità, e “risvegliarsi” pochi
giorni prima dell’approccio all’asteroide: solo allora, in vista dell’obiettivo,
il computer di bordo riavvierà in automatico tutti i sistemi. La sonda dovrà
quindi essere progettata con un altissimo livello di affidabilità: il mancato
riavvio della strumentazione di bordo equivarrebbe al fallimento dell’intera
missione.
Dunque, se la futura missione Don Quijote dovesse avere successo,
avremmo a disposizione un valido sistema di difesa, usato
complementarmente alla rete Spaceguard Survey, contro il rischio di
impatto di oggetti di grandezza medio-piccola. Il sistema potrebbe essere
usato, all’occorrenza, nel caso di Apophis.
TRATTORE
In definitiva, tutte le soluzioni fin qui esaminate si rivelano inefficaci a
impedire impatti di grossi NEO. Nell’ottobre del 2001, il ricercatore Piet
Hut e il già citato Rusty Schweickart si sono incontrati al NASA Johnson
Space Center di Houston per discutere, assieme al ricercatore ed ex
astronauta Edward Lu, un metodo alternativo alla deflessione tramite
esplosione o impatti. L’idea che ne è nata è quella di costruire un “trattore
spaziale”, in grado di agganciare e rimorchiare asteroidi. Un anno dopo, alla
stregua di questo progetto, è nata la fondazione B612, capitanata dallo
stesso Lu e composta da una ventina di ricercatori di vari istituti e università
americane. L’obiettivo della fondazione è la realizzazione, entro il 2015, di
una missione dimostrativa in grado di trainare e modificare la rotta di un
piccolo asteroide di prova, di circa 200 m di diametro, tramite una sonda
spaziale. Se la missione sarà realizzata e avrà successo, aprirà la strada allo
sviluppo di un sistema di difesa basato su rimorchiatori spaziali sempre più
potenti, che potrebbero difenderci anche da corpi con dimensioni superiori
al chilometro.
Ma come funzionerebbe questo sistema? La strategia elaborata da Lu e
soci consiste nello spingere l’asteroide o nella direzione del suo moto
orbitale (accelerandolo) o in quella opposta (decelerandolo), alterando così
la sua orbita. Gli asteroidi hanno un moto di rivoluzione intorno al Sole che
può incrociare quello della Terra: se entrambi i corpi celesti si trovano nello
stesso momento nel punto di incrocio, allora l’impatto è ovviamente
inevitabile. La velocità di rivoluzione del nostro pianeta è circa 30 Km/sec,
il che significa che impiega 3 minuti e 35 secondi per muoversi di una
lunghezza pari al suo raggio (6.400 Km). Poiché non è possibile spostare il
pianeta, se un NEO fosse in rotta di collisione con il centro della Terra
121
basterebbe spostarlo lungo la sua traiettoria, ritardandolo o anticipandolo di
quei fatidici tre minuti e mezzo che eviterebbero lo scontro: in questo modo,
l’asteroide passerebbe proprio a pelo del nostro pianeta, ma l’impatto
verrebbe scongiurato.
Secondo i ricercatori, la spinta da applicare all’asteroide tramite il
rimorchiatore dovrebbe essere di bassa intensità ma costante nel tempo,
piuttosto che breve e potente: questo per evitare la frantumazione del corpo
in altri piccoli minacciosi oggetti. Una volta agganciato l’asteroide, al
rimorchiatore sarebbe quindi sufficiente applicare una forza, ad esempio
deceleratrice, in grado di ridurre la velocità del NEO di un solo centimetro
al secondo: stando ai calcoli – per non tediare il lettore li omettiamo –
questa sarebbe sufficiente, per un corpo con un periodo di rivoluzione di
due anni, a farne aumentare il periodo orbitale di 45 secondi.
Se applicata dieci anni prima dell’impatto previsto con la Terra,
basterebbe per far accumulare all’asteroide un ritardo pari a 3 minuti e 45
secondi, facendolo passare a 6.700 Km dal centro del pianeta.
Analogamente, applicando al NEO una forza acceleratrice tale da
aumentarne la velocità di rivoluzione di un centimetro al secondo, dopo
dieci anni il corpo si troverebbe nel punto di incontro con 3 minuti e 45
secondi in anticipo rispetto alla Terra: un battito di ciglia se paragonato ai
tempi cosmologici, ma un tempo che vale un’eternità per il genere umano.
Come spesso accade, il passaggio dalla visione teorica di un progetto alla
sua applicazione pratica comporta qualche difficoltà. La difficoltà principale
che la missione B612 (omonima della fondazione che la sta programmando)
dovrà affrontare, sulla quale i ricercatori hanno lavorato – e continuano a
farlo – per fornire appropriate soluzioni, è la questione del carburante. La
navicella spaziale che fungerebbe da trattore dovrebbe disporre, infatti, di
ingenti quantità di combustibile: prima di tutto per poter raggiungere
l’asteroide ed agganciarlo, poi per applicarvi la forza necessaria a trainarlo
per il tempo programmato. Il carburante per tutte queste operazioni non può
essere imbarcato su una navicella lanciata da un solo razzo vettore, incapace
di mettere in orbita un simile peso. Il rimorchiatore dovrebbe quindi essere
montato nello spazio, assemblando vari componenti messi in orbita da
altrettanti vettori. Ma ci sarebbe una soluzione più semplice: anziché
utilizzare il consueto propellente chimico delle sonde tradizionali, la nave
della missione B612 potrebbe essere equipaggiata con motori a ioni, allora
potrebbe essere lanciata anche da un normale vettore come il razzo europeo
Ariane. Qual è la differenza tra motori convenzionali e motori a ioni? I
primi miscelano un combustibile e un comburente chimico in una camera di
combustione, dalla quale scaturisce il getto di gas incandescenti che dà la
122
spinta alla sonda; da qui deriva la notevole quantità di carburante da portare
in orbita. Invece i motori a ioni, come quelli utilizzati per la prima volta nel
1998 sulla sonda Deep Space 1, necessitano di molto meno combustibile, in
quanto il getto propellente è ottenuto mediante motori elettrici che ionizzano
il gas che viene poi espulso ad altissime velocità. Utilizzando questo tipo di
motori, il peso totale della navicella spaziale per la missione B612 sarebbe
inferiore alle venti tonnellate, una massa che può essere facilmente lanciata
da un razzo convenzionale.
L’utilizzo dei motori a ioni da un lato elimina il problema del peso
eccessivo, ma dall’altro apre la via a un’altra difficoltà: la potenza di spinta
inferiore rispetto a quella fornita dai motori convenzionali. Sarebbe dunque
necessario montare sulla navicella molti motori, che avrebbero bisogno di
una potenza totale superiore a qualche centinaio di chilowatt: ma l’elettricità
per produrre tale potenza richiederebbe a sua volta pannelli solari di
dimensioni enormi, facendo di nuovo aumentare il peso del rimorchiatore
oltre la soglia critica delle venti tonnellate.
La soluzione proposta dai ricercatori della fondazione B612 è quindi
quella di equipaggiare la navicella con un piccolo reattore nucleare, dal peso
contenuto, in grado di fornire la potenza necessaria ad alimentare i motori a
ioni durante tutte le fasi della missione. Un’obiezione sorge spontanea: non
è rischioso lanciare da terra un veicolo con combustibile nucleare? Gli
esperti ci rassicurano: il reattore nucleare sarebbe lanciato spento e, quindi,
le pericolose scorie derivanti dalla fissione atomica dell’uranio sarebbero
rilasciate nello spazio, una volta attivata a distanza l’accensione del reattore;
inoltre, un ipotetico danno ambientale causato da un incidente sarebbe
minimo: anche se tutto l’uranio imbarcato si disperdesse nell’atmosfera a
causa di un’improbabile esplosione in fase di lancio, la radioattività
rilasciata «sarebbe inferiore al totale contenuto nelle mura della Stazione
Centrale di New York». Un dato che farebbe zittire anche gli ambientalisti
più radicali.
Infine, uno dei problemi più critici: la modifica della rotazione
dell’asteroide. Come abbiamo visto, gli asteroidi compiono veloci rotazioni
attorno a un loro asse che non è necessariamente, anzi non lo è quasi mai,
parallelo alla direzione del moto del corpo. Per poter trainare l’oggetto,
quindi, il rimorchiatore spaziale dovrebbe prima modificarne l’angolo
dell’asse di rotazione, allo scopo di mantenere la direzione della spinta
parallela al moto orbitale. Un’impresa tutt’altro che semplice. Infatti, se la
navicella spaziale agganciasse l’asteroide all’equatore e spingesse fino ad
arrestarne la rotazione - la soluzione più facile - si correrebbe il rischio di
sgretolare l’oggetto. Anche una forza minima, applicata però in quel punto,
123
potrebbe causare un’alterazione degli equilibri delle forze gravitazionali che
tengono uniti gli ammassi rocciosi di cui sono composti gli asteroidi.
Nel migliore dei casi, quindi, potrebbe verificarsi un piccolo sisma nella
struttura del corpo asteroidale, che sbalzerebbe lontano la navicellarimorchiatore. Nel caso peggiore, come detto, l’asteroide potrebbe
frantumarsi e l’esperimento risulterebbe vano. La soluzione migliore risulta
essere l’aggancio dell’asteroide a uno dei sui poli, parallelamente all’asse di
rotazione, e l’applicazione di una forza costante sufficiente a modificare
gradualmente l’inclinazione dell’asse fino a renderlo parallelo alla direzione
del moto.
Per la messa in pratica di questa soluzione nella missione B612, gli
scienziati vorrebbero scegliere un asteroide di “prova” che compie quattro
rotazioni al giorno sul suo asse e dimostrare che è possibile modificarne
gradualmente l’inclinazione dai cinque ai dieci gradi applicando una piccola
forza costante (2,5 Newton) per un paio di mesi. È ovvio che, per
manipolare completamente la rotazione e la direzione di un asteroide,
occorrono ben più di pochi mesi, decine di anni forse. Comunque, lo scopo
dichiarato della fondazione B612 è appunto riuscire ad allestire, entro il
2015, una missione dimostrativa che confermi la validità e la fattibilità del
progetto, in modo da poterlo poi applicare in caso di future concrete
minacce. I ricercatori sostengono che, a tal fine, basterebbe investire nei
prossimi anni una cifra dell’ordine di alcuni miliardi di dollari.
Certo, la somma è considerevole per quella che potrebbe rivelarsi
soltanto una missione destinata al fallimento. Ma a ben rifletterci: in quanti
modi e per quante cause di minore importanza vengono scialacquati i fondi
pubblici? Ci sono molte cose su cui si potrebbe, si dovrebbe “serrare il
portafogli”, ma altre, come la salvezza del genere umano, indubbiamente
non hanno prezzo.
124
125
Chiara Riedo
PROGETTO “RA”: LA SPETTROSCOPIA ASTRONOMICA
AMATORIALE CON STRUMENTI REALIZZATI IN PROPRIO
Nel campo dell’astronomia amatoriale la spettroscopia è ancora un
campo poco indagato, probabilmente perché i pochi strumenti alla portata
dell’astrofilo hanno ancora prezzi paragonabili a quelli di telescopi di buona
qualità.
E’ possibile però realizzare in proprio ed in economia uno spettroscopio
e questo è lo scopo del Progetto Ra (da Ra, divinità del sole dell’antico
Egitto). Prerogativa irrinunciabile del progetto è l’utilizzo di materiale per
lo più di recupero e quindi di contenimento delle spese.
INTRODUZIONE
La spettroscopia è un metodo di indagine della materia basato sulla
scomposizione della radiazione elettromagnetica, più nota nella sua parte
visibile all’occhio umano come luce. Attraverso la spettroscopia è possibile
indagare la composizione chimica e le condizioni fisiche di sorgenti poste
anche a grandi distanze ed è per questo che la spettroscopia riveste un ruolo
fondamentale nello studio dei corpi celesti.
La spettroscopia fonda la sua teoria sulla duplice natura ondulatoria e
corpuscolare della luce. Molte proprietà della luce possono essere descritte
per mezzo del modello classico ondulatorio attraverso i parametri quali la
lunghezza d’onda, la frequenza, la velocità e l’ampiezza.
Il modello ondulatorio non è però in grado di spiegare fenomeni connessi
all’assorbimento e all’emissione ed in questi casi è necessario invocare un
modello corpuscolare in cui la luce viene rappresentata come un flusso di
particelle discrete detti fotoni, la cui energia risulta proporzionale alla
frequenza della radiazione (E= h). Questa visione duale della luce non è
mutuamente esclusiva, ma risulta essere piuttosto spesso complementare.
Per capire la struttura degli spettri sono rilevanti sia l’aspetto
corpuscolare (emissione e assorbimento) che quello ondulatorio
(propagazione). Per capire come funziona la strumentazione e come si
origina lo spettro l’aspetto rilevante è quello ondulatorio (ottica classica).
Senza entrare nei dettagli della fisica è sufficiente sapere che gli atomi di
cui si compone la materia sono costituiti da livelli elettronici discreti con
126
energie ben determinate. Quando l’energia della radiazione elettromagnetica
è esattamente la stessa che separa due livelli essa viene assorbita e
l’elettrone del livello più basso viene promosso al livello superiore :
l’atomo passa dallo stato fondamentale a quello eccitato e lo spettro
presenta una riga di assorbimento.
Fig. 1
Quando l’elettrone decade dallo stato eccitato viene emessa una
radiazione elettromagnetica di energia esattamente identica a quella che era
stata necessaria per la promozione e lo spettro presenta una riga di
emissione. Poiché ogni atomo è caratterizzato da un numero di elettroni
disposti in livelli dalle energie ben definite ogni atomo avrà uno spettro di
emissione/assorbimento caratteristico che permette di identificarlo in modo
univoco.
Il tipo di spettro che si può ottenere non dipende solo dalla natura
chimica del corpo, ma anche dallo stato fisico in cui si trova, come si può
osservare nello schema riportato in figura 1.
127
In campo astronomico è molto frequente imbattersi in spettri di
assorbimento: lo spettro sarà composto da un continuo di fondo, dovuto
all’emissione della parte della fotosfera (comparabile all’emissione del
corpo nero di temperatura prossima a quella della stella), mentre le righe di
assorbimento derivano dai gas rarefatti e relativamente più freddi presenti
nella cromosfera. Alcuni tipi di stelle, particolarmente giovani e massicce,
hanno temperature sufficientemente alte da poter eccitare gli atomi dei gas
rarefatti più esterni e quindi i loro spettri mostrano delle righe di emissione.
Fig. 2
Fig. 3
Gli strumenti per la spettroscopia, dai più semplici ai più sofisticati,
hanno il compito di raccogliere e scomporre la luce delle fonti da studiare in
uno spettro. Il più semplice, ma non meno spettacolare esempio di spettro
che la natura ci offre è costituito dall’arcobaleno, che altro non è che lo
spettro del Sole ottenuto grazie alla diffrazione provocata dalle molecole
d’acqua.
Un passo avanti verso la scomposizione della luce si ottiene attraverso
l’ausilio di un prisma di vetro, come per primo fece Newton. Attualmente la
maggior parte degli spettroscopi utilizza come mezzo disperdente un
reticolo di diffrazione, che può essere di tipo a trasmissione o riflessione. Il
tipo di reticolo più utilizzato grazie alle sue maggiori prestazioni è il reticolo
in riflessione, fondamentalmente costituito da una superficie su cui vengono
incise a distanza regolare migliaia di righe. L’immagine in figura 2 mostra il
funzionamento del reticolo in riflessione, basato sull’equazione
fondamentale
n = d (sen i + sen i’)
128
dove n è l’ordine dello spettro, d la distanza tra i singoli gradini (o linee), i
l’angolo di incidenza e i’ l’angolo di diffrazione. La figura 3 mostra come
da un singolo raggio incidente abbiano origine più spettri di ordine diverso,
compreso lo spettro di ordine zero che altro non è che l’immagine della
sorgente di radiazione.
Solitamente un reticolo in riflessione è ottimizzato per concentrare la
maggior parte della luce nello spettro di ordine 1 ad una determinata
lunghezza e questo è un parametro di cui occorrerà tener conto nella
progettazione di uno spettroscopio. Come si vedrà in seguito occorrerà
anche tener conto che ad un maggior numero di linee/millimetro
corrisponde una maggior dispersione e una distanza maggiore tra i vari
ordini spettrali.
Gli strumenti realizzati in questo lavoro sono di due tipi e utilizzano
rispettivamente un reticolo in trasmissione e un reticolo in riflessione. A
prescindere dal tipo di reticolo e dalla focale delle ottiche le parti
fondamentali dei due strumenti sono analoghe, mentre è differente la
geometria ottica, come si può vedere in figura 4 e figura 5.
Figura 4 - schema di spettrografo con reticolo in riflessione
129
Figura 5 - schema di spettrografo con reticolo in trasmissione
1° fase : spettrografo con reticolo in trasmissione
Il primo strumento realizzato è uno spettroscopio in trasmissione, dalle
prestazioni modeste, ma molto valido specialmente dal punto di vista
didattico. Lo strumento è stato costruito utilizzando materiale
esclusivamente di recupero a parte i reticoli. I reticoli in trasmissione sono
del tipo a film olografico e sono stati acquistati presso Edmund Optics
scegliendo due differenti rapporti linee/millimetro (500 e 1000 l/mm). I
reticoli non sono ottimizzati per una particolare lunghezza.
Le ottiche sono costituite da una lente recuperata da un proiettore per
diapositive, la cui focale si aggira intorno ai 100 mm e da un vecchio
obiettivo fotografico da 45 mm. L’obiettivo fotografico funge da
collimatore, mentre la lente del proiettore è stata utilizzata come ottica
dell’obiettivo. Il collimatore è montato su un supporto unito al corpo dello
spettroscopio con una vite che ne permette la messa a fuoco tramite
scorrimento.
La fenditura non è regolabile ed è stata realizzata accostando due lame
smontate da una lametta da barba usa e getta. Il barilotto di un oculare
montato a valle della fenditura serve per l’accoppiamento al telescopio,
mentre davanti all’obiettivo è stato montato un porta oculari che può
ospitare un oculare per l’osservazione diretta dello spettro o una webcam
per la ripresa e può essere messo a fuoco grazie al semplice scorrimento e
bloccato con una vite.
I reticoli olografici vengono venduti già montati in un telaietto tipo
diapositiva, pertanto il fissaggio di fronte al collimatore è ottenuto tramite
semplice fissaggio con un paio di mollette da ufficio.
Poiché l’accoppiamento delle ottiche con i due tipi di reticolo utilizzati da
origine ad uno spettro abbastanza disperso e quindi non osservabile
130
interamente nel campo dell’oculare è stato necessario realizzare uno snodo
che consenta di far ruotare l’obiettivo rispetto al reticolo.
La realizzazione di questo strumento non è stata preceduta da un vero e
proprio progetto ed è basata piuttosto su prove empiriche in fase di
costruzione. Le varie parti sono state dimensionate e posizionate in modo da
avere il minimo ingombro possibile. Con il reticolo da 500 l/mm si ottiene
uno spettro nell’ordine 1 disperso su un angolo di circa 10°, mentre con il
reticolo da 1000 l/mm lo spettro risulta di circa 24°, considerando un
intervallo di lunghezze d’onda compreso tra 3800 e 7300 A.
Applicazione: valutazione della temperatura della fotosfera
Lo spettro presentato in queste pagine è stato ottenuto con lo spettrografo
auto costruito dotato di un reticolo a trasmissione a 500 l/mm. Precedenti
prove con un reticolo a 1000 l/mm non sono andate a buon fine in quanto
con una maggiore dispersione la quantità di luce che giunge al sensore è
inferiore ed è praticamente impossibile la messa a fuoco delle righe di
assorbimento.
Per uno strumento a maggior dispersione occorre una costruzione
meccanica più accurata e delle ottiche di qualità maggiore di quelle
utilizzate, in modo da ridurre il più possibile le perdite di luce lungo il
percorso ottico. Lo spettrografo con il reticolo da 500 l/mm è stato montato
al fuoco diretto del rifrattore acromatico Konus Vista 80/400, puntato in
direzione di una zona di cielo a pochi gradi dal Sole.
Le immagini sono state acquisite con una webcam Toucam Pro. Ogni
ripresa consente di inquadrare una zona dello spettro solare ampia circa 750
angstrom. Per coprire tutto lo spettro nel visibile ( più piccole porzioni di
UV e IR ) occorrono circa 5 immagini da 640 x 480 pixel, qualcuna di più
se si tiene conto che occorrono riprese con delle linee in comune per la
sovrapposizione.
Ogni immagine è stata ottenuta dalla media di 100 frames effettuata con
Iris ed è stata elaborata per rendere più nitide le righe di assorbimento.
L'immagine seguente rappresenta un mosaico ottenuto da 9 immagini
riprese il 10 aprile 2005, che copre lo spettro da 3800 a 7300 angstrom
circa.
131
Per effettuare il riconoscimento delle righe di assorbimento e uno studio
sulla temperatura della fotosfera è necessario calibrare lo spettro in
lunghezza d'onda e sulla risposta spettrale del sensore utilizzato. A questo
scopo è stato utilizzato il programma Visual Spec.
Poiché nella sovrapposizione delle immagini per realizzare il mosaico è
possibile che vi siano dei piccoli errori di allineamento che potrebbero
falsare la calibrazione, si è scelto di lavorare sulle singole immagini. I dati
sono stati quindi estratti da 6 immagini scelte tra le 9 acquisite. La
calibrazione in lunghezza d'onda è stata effettuata identificando in ogni
immagine due linee note.
Per calibrare il profilo sulla risposta del sensore si è operato con i
seguenti passaggi, che si descrivono in sintesi:




ricerca nel database dello spettro tipo del Sole (G2V)
rapporto tra lo spettro grezzo e lo spettro tipo
estrazione del continuo dal rapporto : il risultato è la curva di risposta
del sensore.
rapporto tra lo spettro grezzo e la curva di risposta
Dopo quest'ultimo passaggio il profilo che si ottiene è lo spettro calibrato
sulla risposta del sensore. Su questo spettro si può effettuare il
riconoscimento delle righe di assorbimento e tramite l'utilizzo della
distribuzione di Plank e della legge dello spostamento di Wien si può
valutare la temperatura della fotosfera.
Il grafico che segue rappresenta il profilo dello spettro del Sole calibrato,
ottenuto con lo spettrografo auto costruito, messo in confronto con il profilo
teorico della classe spettrale G2V.
I dati sono stati ottenuti estraendoli da ciascuna delle sei immagini,
quindi unendole in un unico grafico con l'ausilio di Excel. La
corrispondenza dei dati sperimentali con quelli teorici è notevole,
considerando che lo strumento utilizzato è stato costruito praticamente a
costo zero. Dallo spettro sperimentale è stata infine possibile una
valutazione della temperatura della fotosfera. Con l'opportuno comando in
Visual Spec è stato estratto il profilo del continuo dai dati sperimentali e da
questa è stata ricavata la lunghezza d'onda a cui corrisponde il massimo di
emissione .
λ max  5011 Å
132
Spettro del Sole
1,25
1,15
1,05
0,95
U.A.
0,85
0,75
0,65
0,55
0,45
0,35
3800
4300
4800
5300
5800
6300
6800
7300
angstrom
E' quindi stata applicata la formula inversa della legge dello spostamento di
Wien:
λ max T  2.90x10 3 mK
T
2.90x10 3
K
λ max
Inserendo la lunghezza d’onda al massimo di emissione nella formula si è
ottenuto un valore di temperatura : T 
2.90x10 3
 5787
5011x10 10
La temperatura ricavata, di 5787 K, è perfettamente compatibile con il
dato in letteratura sulla temperatura della fotosfera, calcolata essere
prossima ai 5800 K. Ad ulteriore conferma si può confrontare il profilo
dello spettro continuo estratto dai dati sperimentali con il profilo di Plank
per un corpo nero che emette alla temperatura di 5800 K. Il grafico seguente
mostra che la corrispondenza è molto buona. Inoltre la lunghezza d'onda per
il massimo di emissione del corpo nero a 5800 K risulta essere di 4996 A,
dato confrontabile con il valore di 5011 A ottenuto dai dati sperimentali.
133
1,2
Spettro del Sole
1,1
Continuo
Profilo di Plank a 5800 K
U.A.
1
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
3600
4100
4600
5100
5600
6100
6600
7100
angstrom
2° fase : spettrografo con reticolo in riflessione
In seguito ai risultati incoraggianti ottenuti per mezzo dello strumento
con reticolo in trasmissione è stato progettato e realizzato uno spettroscopio
basato su reticolo a riflessione. I calcoli e la teoria necessari alla
progettazione sono stati acquisiti dal web, in particolare sono stati di
particolare aiuto i fogli di calcolo Excel realizzati da Christian Buil
(www.astrosurf.com/buil). Il foglio di calcolo è stato modificato e
semplificato ed ha permesso di verificare se le ottiche di recupero reperite
fossero adatte alla realizzazione e compatibili con il tipo di telescopio da
utilizzare in accoppiamento allo spettroscopio.
La tabella sotto riportata mostra i risultati dei calcoli comparati con le
caratteristiche delle ottiche a disposizione e riguardano le dimensioni dei
fasci in entrata ed in uscita dalle varie parti dello strumento. La non
concordanza dei valori calcolati con quelli effettivi può provocare
vignettatura e relativa perdita di luce.
Il reticolo preso in considerazione è un reticolo in riflessione da 1200
l/mm ottimizzato per la lunghezza d’onda di 500 nm nel 1° ordine. Le
caratteristiche costruttive del reticolo lo rendono adatto ad una geometria
con un angolo totale di 38°. L’allontanamento da questo valore può
provocare delle distorsioni nell’immagine dello spettro, ma come si vedrà
più avanti è un buon compromesso, accettabile per lavorare anche nel 2°
ordine o con reticoli con un differente numero di linee/millimetro.
134
Effettivo
Valore minimo
calcolato per
telescopio f/8
Valore minimo
calcolato per
telescopio f/5
Valore minimo
calcolato per
telescopio f/4
Fc
Dc
fc
Fo
Do
Fo
100
mm
-
25 mm
4
50 mm
3,6
12,5
mm
8
180
mm
-
Lato
reticolo
30 mm
15,7
-
15,7
-
20 mm
5
-
25,2 mm
-
25,2 mm
-
25 mm
4
-
31,5 mm
-
31,5 mm
E’ possibile osservare che prendendo in considerazione un telescopio
con rapporto focale f/8 i parametri calcolati rientrano ampiamente nelle
caratteristiche effettive delle ottiche considerate. Con un telescopio a f/5 il
fascio in uscita è di maggiori dimensioni, ma i valori rientrano ancora in
quelli effettivi.
Per un telescopio più aperto (f/4) il diametro e la focale del collimatore
coincidono con il minimo necessario, mentre il reticolo risulta essere troppo
piccolo per contenere il fascio in uscita dal collimatore. Un telescopio f/4
può essere però utile nel caso di riprese di spettri stellari, in questo caso un
reticolo da 1200 l/mm, come quello considerato, potrebbe essere troppo
dispersivo ed un reticolo di 600 l/mm montato con la medesima geometria
farebbe rientrare tutti i parametri entro quelli effettivi.
In base ai calcoli effettuati è stato preparato un disegno in scala 1:1 dello
schema ottico dello spettroscopio sulla quale ci si è basati per realizzare le
varie parti.
Il collimatore è stato ricavato dall’ottica di un piccolo binocolo, già
intubata e munita del proprio dispositivo di messa a fuoco. L’obiettivo è un
doppietto acromatico proveniente da un cercatore. A differenza del
precedente modello con reticolo in trasmissione la fenditura è stata
acquistata a meno di 15 euro su Internet ed anche se la sua lavorazione non
è di precisione consente comunque di regolarne l’apertura. Tutte le parti di
supporto delle ottiche e la scatola esterna dello spettroscopio sono realizzate
con fibra MD a 4 mm di spessore. La lente dell’obiettivo, non essendo
intubata è tenuta in posizione da 3 barre filettate fissate anch’esse su
supporti in MD. Il sistema di messa a fuoco dell’obiettivo è costituito da due
tubi di teflon scorrevoli in cui può essere alloggiato un oculare o una
webcam. A monte della fenditura regolabile è stato montato un anello T2 di
135
recupero in modo da poter accoppiare lo spettroscopio con qualsiasi tipo di
telescopio.
Una parte particolarmente importante e delicata è risultato essere il
supporto del reticolo, che deve consentire di ruotare il medesimo con
sufficiente precisione e in modo che non si muova dalla posizione
selezionata. La soluzione è stata trovata in un cuscinetto a sfere (anch’esso
di recupero e di ignota provenienza!). Due barrette filettate chiuse da un
tassello orizzontale tengono in posizione il reticolo mentre il perno che va
ad inserirsi nel cuscinetto è molto banalmente il tappo di un pennarello,
risultato essere di diametro idoneo.
Tutta la struttura è stata montata su una base in fibra MD, quindi dopo i
primi test positivi si è proceduto a chiudere lo strumento con pareti e
coperchio. Ulteriori dettagli sono stati aggiunti in seguito, quali due fori per
l’accesso alla messa a fuoco del collimatore e la regolazione della fenditura
e una vite che permetta di montare lo strumento su un cavalletto fotografico.
Un particolare importante è la presenza di una finestra posta dietro il
reticolo, dalla quale, ruotando il medesimo, è possibile osservare
l’immagine della fenditura attraverso il collimatore. Servendosi di un
cannocchiale messo a fuoco sull’infinito l’immagine della fenditura
aatrverso il collimatore deve risultare a fuoco, in caso contrario occorre
agire sulla regolazione di messa a fuoco del collimatore. Questa è l’unica
regolazione preliminare che occorre operare sullo spettroscopio prima
dell’utilizzo.
Lo strumento una volta completato risulta essere molto compatto e di
peso contenuto entro il chilogrammo, adatto quindi ad essere montato al
fuoco di qualsiasi telescopio.
136
Le prime prove, effettuate su una lampada al neon, hanno dimostrato che
le prestazioni in termini di risoluzione e nitidezza delle righe sono
nettamente superiori a quelle dello strumento con reticolo a trasmissione.
Allo stato dell’arte lo spettroscopio è stato utilizzato solo sul Sole e
senza l’accoppiamento d un telescopio, ma puntando direttamente la
fenditura verso l’astro. La molteplicità e la finezza di righe che è possibile
osservare negli spettri del 1° ordine, all’oculare e ancora di più sulle
immagini ottenute con la webcam è notevole.
Si riportano di seguito alcune immagini ottenute dalla media di più
frames (fig 6: doppietto del sodio; fig. 7: ossigeno atmosferico; fig. 8: zona
del tripletto del magnesio). Dall’immagine originale è stata selezionata una
sola riga di pixel, quindi “stirata” per ottenere un’immagine leggibile.
Ciascuna immagine, in scala 1:1, copre un range di poco più di 100 A.
Per coprire tutto lo spettro visibile occorrerebbero circa 35 immagini,
contro le 6 necessarie per lo spettroscopio con reticolo in trasmissione. La
finezza spettrale in queste immagini è di circa 1 A e il potere risolutivo
spettrale dato dalla formula R=/ è di circa 5000. Il valore è stato
calcolato valutando la finezza spettrale sulle immagini. Per confronto lo
spettroscopio con reticolo in trasmissione mostrava una finestra spettrale di
circa 40 A e il valore di R era stimato di 125.
137
Fig. 6
Fig. 7
Fig. 8
Nonostante il reticolo sia ottimizzato per lavorare nel 1° ordine e anche
la geometria dello strumento sia ottimizzata per questo ordine è possibile
ruotare il reticolo a sufficienza per intercettare il 2° ordine spettrale, che con
il Sole è ancora molto luminoso. Il 2° ordine permette di andare molto in
profondità nella struttura spettrale, raggiungendo una finezza spettrale
stimata inferiore a 0,5 A. La seguente immagine rappresenta la zona
centrata sul tripletto del magnesio ed è stata acquisita come per i precedenti
spettri.
Si lascia ai lettori il compito di operare il confronto di questa immagine con
quella ottenuta nel 1° ordine e con quelle dello spettroscopio con reticolo in
riflessione!
138
Conclusioni
Le prove con lo spettroscopio con reticolo in riflessione sono
naturalmente solo preliminari. L’utilizzo del reticolo a 1200 l/mm nel 2°
ordine apre le porte a studi come la valutazione dell’effetto Zeeman o
l’effetto Doppler, per cui è necessaria un’alta risoluzione. A risoluzioni più
basse, ottenibili montando reticolo con un minor numero di
linee/millimetro, è possibile ottenere spettri di stelle e altri oggetti poco
luminosi. Interessante è lo studio degli spettri cometari e di supernove.
Lo spettroscopio con reticolo in trasmissione, dato il suo costo
praticamente nullo risulta essere un valido approccio alla spettroscopia ed è
certamente un valido strumento dal punto di vista didattico.
Lo spettroscopio con reticolo in riflessione è certamente di più
complessa realizzazione, ma anche in questo caso le spese estremamente
contenute, che di fatto si riducono al costo del reticolo, lo rendono
estremamente interessante per qualsiasi astrofilo dotato di un minimo di
manualità che voglia cimentarsi con la spettroscopia anche a livello
scientifico, pur restando in campo amatoriale. Le prestazioni di questo
strumento possono essere implementate utilizzando ottiche di qualità
migliore e una realizzazione meccanica più precisa, nonché un ulteriore
approfondimento della progettazione teorica, con il fine di ottenere una
geometria del sistema compatibile con la maggior parte di telescopi e di
reticoli, ottenendo così uno strumento estremamente versatile pur restando
in costi alla portata di tutti.
139
Enzo Rossi
IL PROGETTO E LA COSTRUZIONE DEL TELESCOPIO “URANO”
La base di partenza per il telescopio che ho costruito, in gran parte in
economia, e che ho chiamato telescopio URANO, è da ricercare nella
probabile sorte che, qualche tempo fa, sarebbe toccata al vecchio telescopio
dell’Associazione.
La sua collocazione in soffitta, tra gli strumenti dismessi, mi rattristava
non poco. Del mio stesso avviso erano anche altri soci dai quali ben presto
era giunta una interessante proposta: utilizziamo lo specchio primario di
40cm per realizzare uno strumento facilmente trasportabile, adatto alle
osservazioni visuali in campo aperto. Qualcuno, memore del fatto che ho
passato una vita intera nei ruoli universitari come collaboratore scientifico
alla cattedra di Fisica dello spazio dell’Università degli studi di Firenze,
aveva proposto di affidarmi la costruzione del nuovo strumento.
Nonostante qualche iniziale esitazione, arrivai poi ad accettare
l’impegnativo incarico e così, nei primi giorni di giugno 2007, diedi inizio
alla costruzione del telescopio, mantenendo però il riserbo sulle sue
caratteristiche strutturali perché volevo presentarlo in Associazione a
sorpresa e a lavoro finito.
Dal punto di vista costruttivo, un telescopio dobsoniano può essere
realizzato in modi diversi; io ho cercato di privilegiare una soluzione che mi
consentisse di ottenere uno strumento solido e robusto, ma anche leggero e
facilmente assemblabile in condizioni di scarsa illuminazione.
Lo strumento doveva essere maneggevole e con una ridotta necessità di
manutenzione o di riadattamento nel corso del tempo. La scelta del
materiale è caduta sull’alluminio che ha consentito di mantenere il peso
dello strumento entro valori perfettamente accettabili.
La costruzione non ha seguito un progetto definito in fase preliminare.
Anzi, prendevo le decisioni operative man mano che davo forma a ciascun
pezzo del telescopio. Nonostante ciò, non mi sono mai trovato a
rimpiangere le scelte adottate al momento. Ho naturalmente tenuto in debito
conto le due grandezze che vincolano la realizzazione di ogni telescopio e
ne decidono l’ingombro complessivo: il diametro dello specchio primario,
nel nostro caso 405mm con la lunghezza focale, 1800mm.
La lunghezza focale F è la distanza tra lo specchio primario e il piano su
cui va a formarsi l’immagine. E’ facile trovare sperimentalmente la focale di
un obiettivo, sia esso uno specchio convergente o una lente: si ponga lo
140
specchio in posizione verticale e lo si illumini con una lampada a filamento
posta ad una distanza di almeno 10 metri. I raggi di luce emessi dalla
lampada verranno convogliati dopo essere stati riflessi dallo specchio in un
punto sull’asse ottico. Per localizzare questo punto basterà prendere un
dischetto di carta di pochi centimetri attaccato ad un bastoncino; facendolo
scorrere sull’asse ottico si troverà un punto dove il filamento della lampada
risulterà nitido e ben visibile. Con una sufficiente approssimazione,
assumeremo come distanza focale la distanza tra lo specchio e il punto dove
è a fuoco l’immagine del filamento.
Diametro e focale dello specchio definivano le caratteristiche funzionali
del futuro strumento, che rapidamente illustriamo nel seguito.
In primo luogo, stimiamo la luminosità L del telescopio rispetto
all’occhio, una grandezza essenziale per l’osservazione di oggetti deboli e
per l’esplorazione del profondo cielo. La luminosità è definita dalla
seguente espressione:
L = Dt2/Dp2
Dove: Dt è il diametro dello specchio in mm; Dp il diametro della pupilla
dell’occhio.
Se prendiamo un diametro della pupilla di 7mm, caratteristico di un
occhio giovane e sano, vediamo che con il nostro telescopio sono visibili
oggetti 3265 volte meno luminosi rispetto all’occhio nudo.
Abbiamo poi il rapporto focale o luminosità relativa Rf dato
dall’espressione:
Rf = F/Dt
Un valore di Rf compreso tra 3 e 5 (per il nostro telescopio è 4.5)
definisce uno strumento particolarmente indicato per l’osservazione di
oggetti deboli e diffusi (anche se, naturalmente, nulla vieta di poter
osservare con lo stesso telescopio, e con profitto, i pianeti e la Luna); invece
con Rf superiore a 6 lo strumento è particolarmente conveniente per
l’osservazione planetaria.
Gli ingrandimenti I del telescopio si calcolano facilmente con la formula
seguente:
I = F/Foc
Nella quale F è la focale dello specchio e Foc quella dell’oculare.
Ci sono dei limiti da rispettare, sia per gli ingrandimenti minimi sia per
quelli massimi. Nel nostro caso è bene, per ottenere immagini ancora di
qualità, non scendere sotto i 60X e non superare, se non in casi di seeing
eccellente, i 400X.
141
Il potere risolutivo Pr (in secondi d’arco) è una grandezza decisamente
importante, anche se, durante le osservazioni, esso è limitato sia dalla
qualità delle ottiche, sia dal seeing. Esso è data dall’espressione:
Pr = 120/Dt
Dove Dt, diametro dello specchio, è in mm.
Per potere risolutivo si intende la capacità del nostro sistema ottico di
separare due oggetti vicini che, per il nostro telescopio, equivale a:
120/400=0,31”.
Due corpi celesti, il Sole e la Luna, sottendono, per una pura coincidenza
di rapporti tra i loro diametri e la loro distanza dalla Terra, un angolo di
circa 0,5° (1800”).
Sulla luna distante 400000 km circa, dal diametro dL di 3466 km con il
nostro futuro telescopio dal poter risolutivo di 0.31” si potranno osservare
oggetti separati tra loro di 0,6 km circa:
(3476/1800) x 0,31” = 0,6 Km
Mentre sul Sole, distante 150000000 di km e con un diametro di 1390000
km, si possono osservare al limite, oggetti di 240 km circa: (1390000/1800)
x 0,31” = 240 Km
Ora che abbiamo compreso quali caratteristiche avrà il nostro futuro
telescopio riflettore, in configurazione, Newton vediamo di costruire e
assemblare i componenti dello strumento, illustrando i diversi passaggi
tramite le immagini seguenti.
specchio primario diametro utile 400mm,
peso 15kg, concavo parabolico fuoco 1800
mm
specchio secondario piano ellittico, 80x130
mm peso 1,5 kg
142
schema di principio di un Newton: lo specchio
secondario va posizionato sull’asse ottico del
sistema ,distante dal primario in modo che la
base del cono dell’immagine non vada oltre
l’asse minore del secondario.
da una lastra di alluminio di 5mm l’autore
ritaglia le strisce per costruire i due box.
i box vengono saldati a TIG e in quello che
conterrà lo specchio primario viene saldato il
fondo circolare
i supporti una volta saldati terranno uniti i
due box tramite 3 aste di tubo alluminio
30mm di diametro e ugual lunghezza (i tubi
flettono meno )
Il supporto porta oculari ed il “ragno” del
secondario
Il box contenente lo specchio primario con i
suoi tre punti d’attacco
143
La ricerca del baricentro ha definito
le dimensioni delle ali sul box.
La forcella entro la quale alloggerà
il telescopio nei punti del suo baricentro
I tre pezzi finiti: basamento a 3
piedi, forcella, box primario
Vista del telescopio dalla parte della cella
del primario
L’AUTORE CON LO STRUMENTO
FINITO!
Camera per la rialluminatura
144
ALLUMINATURA DEGLI SPECCHI
Gli specchi devono però essere rialluminati e quarzati. Ecco allora una
immagine della camera ad alto vuoto per alluminatura delle ottiche, nel cui
interno viene posizionato lo specchio con la faccia rivolta verso il basso. Il
vuoto è realizzato con pompe rotative preliminari poi, con pompe a
diffusione che portano il vuoto a 10-9 mm/Hg. In un crogiolo all’interno
della camera viene messo alluminio allo stato puro il quale, sotto effetto del
passaggio della corrente, fonde nebulizzando tutta la camera andando così a
depositarsi in modo uniforme sullo specchio. La quantità di alluminio e il
tempo di evaporazione determinano lo spessore depositato sulla superficie.
Analogo procedimento vale per la quarzatura successiva che permette una
pulizia della superficie facile e senza troppi problemi.
Infine, l’allineamento delle ottiche. Una volta montato completamente lo
strumento, per ottenere le massime prestazioni, ho per pignoleria usato un
piccolo laser da pochissimi euro comprato dai venditori ambulanti. Al posto
dell’oculare ho inserito il laser montato su un supporto del diametro
dell’oculare così facendo si ha un percorso a ritroso sull’asse ottico
dell’immagine. Si noterà il sovrapporsi del raggio che partendo dal laser (a
questo punto mettete il raggio sul centro dello specchio secondario) dopo la
riflessione, regolando i movimenti del secondario, ho fatto in modo che il
raggio centrasse lo specchio primario. Le regolazioni basculanti dello
specchio primario serviranno a rimandare il raggio su se stesso fino alla
sorgente. Le ottiche sono così allineate e le immagini saranno di ottima
qualità.
LA RICERCA VISUALE DELLE COMETE CON IL TELESCOPIO
URANO
Non credo esista per l’astronomo, sia esso professionista o amatore, una
sensazione più esaltante di quella che si ricava nello scoprire un nuovo
oggetto celeste, fino a quel momento nascosto e sconosciuto.
Potendo disporre di un TELESCOPIO in configurazione DOBSON
come quello da me costruito è davvero possibile mettersi in caccia di quegli
affascinanti oggetti che appartengono alla categoria più elusiva dei corpi del
sistema solare: le comete.
E’ necessario un buon telescopio ed una buona conoscenza del cielo per
non prendere “fischi per fiaschi” ma, soprattutto, è indispensabile una
grande pazienza e pervicace tenacia: mettersi in caccia di comete vuol dire
impegnare molte ore all’osservazione, anche diverse centinaia ogni anno.
145
La scelta di un buon sito d’osservazione, condizioni di cielo ottimali,
basso inquinamento luminoso (la luna può essere tollerata alla sua sottile
falcetta) sono condizioni necessarie per un buon risultato.
Fino agli anni Settanta del secolo scorso, erano necessarie, in media,
200-300 ore al telescopio per conseguire una scoperta visuale. Il forte
aumento di telescopi professionali specializzati in survey del cielo hanno
prodotto significativo incremento di tale valore che, per il nostro emisfero,
oggi si stima in circa 600 ore. Non sono rari comunque i casi di amatori che
hanno fatto la loro scoperta anche dopo ben 1700-1800 ore. Sono assai
meno frequenti le scoperte accidentali o ottenute dopo sole poche ore di
ricerca. Ci sono due periodi del mese lunare in cui le aree di cielo dove
maggiore è la probabilità di scoperta, divengono osservabili in condizioni di
completa oscurità. Il primo periodo interessa la ricerca serotina, che inizia
2-3 giorni dopo la Luna Piena, quando si rendono accessibili le zone di cielo
a est del Sole. Il secondo periodo interessa la ricerca mattutina, già a partire
dall'Ultimo Quarto, utile per rilevare eventuali comete brillanti, visibili
anche con il cielo debolmente illuminato dalla Luna. Tale secondo periodo
si completa con la nuova esplorazione in condizioni di completa oscurità,
dopo la Luna Nuova. Le aree controllate al mattino, nelle quali
statisticamente vi è la maggiore probabilità di scoperta, sono situate a ovest
del Sole ed è quindi molto importante eseguirne l'esplorazione costante.
Per ottenere risultati utili, cioè la Grande Scoperta, non significa
trascorrere notti intere a osservare. E’ sufficiente esplorare
sistematicamente, ed il più spesso possibile, nelle 2-3 ore serali, dopo il
crepuscolo, o in quelle mattutine, prima dell'alba. Con il telescopio URANO
l’ingrandimento ideale si aggira intorno ai 60X, ottenuti con un buon
oculare corretto fino ai bordi.La ricerca dovrà consentire il controllo
completo di aree di cielo entro i 60°-90° di elongazione dal Sole. Esso sono
collocate, una a ovest di sera, l'altra a est nell'ultima parte della notte. Tali
zone sono ampie un centinaio di gradi in azimut e fino ad un'altezza di circa
50° e vanno esplorate in modo veloce.
Tra le diverse tecniche per la caccia alle comete, suggerisco quella
unidirezionale, in quanto garantisce la copertura integrale di un’area celeste.
Si tratta infatti di condurre la ricerca in una sola direzione. Si muoverà
lentamente lo strumento in azimut scandagliando il cielo da est verso nord.
Esplorato l'arco di ampiezza prefissata, si torna velocemente al punto
iniziale prima di adeguare il puntamento del telescopio in altezza e ripartire
con la ricerca.
Molte volte, anche se il lavoro non ha prodotto risultati tangibili, si è
comunque ripagati da uno splendido tramonto o da un’alba luminosa.
146
147
Alberto Villa, Vittorio Lovato
SPETTROGRAFIA AMATORIALE, ESPERIENZE
CON LO SPETTROGRAFO AUTOCOSTRUITO
DEL CENTRO ASTRONOMICO DI LIBBIANO
LO SPETTRO
Con il termine “spettro” si intende la scomposizione della luce nelle sue
diverse componenti.
La separazione delle onde di varia lunghezza (fenomeno noto con il
nome
di
rifrazione)
è
operata
convenzionalmente a mezzo di un prisma
che sfrutta la deviazione che la luce
subisce nel passare dall’aria al vetro e
viceversa e che è differente per le diverse
lunghezze d’onda.
□
Lo schema ottico di uno spettrografo
classico è completato da due obiettivi (o
collimatori):
□ il primo utilizzato per rendere
paralleli i raggi di luce che
provengono dalla fenditura e
vengono convogliati sul prisma
(la
fenditura
è
collocata
esattamente nel fuoco del primo collettore);
il secondo collimatore mette a fuoco sul supporto fotografico o
digitale la luce separata dal prisma nei vari colori (nel caso di uno
spettroscopio, l’immagine messa a fuoco dal secondo obiettivo
viene raccolta da un oculare per l’osservazione visuale dello
spettro).
148
Fig. 2 - Schema di uno spettrografo.
SPETTROGRAFO AUTOCOSTRUITO E I PRIMI RISULTATI
Nel 1987 il sottoscritto fondò la AAT - Associazione Astrofili Thethys,
con sede in Rivanazzano, in provincia di Pavia. Nell’ambito della AAT
condividevo la passione per la spettrografia con l’Ing. Vittorio Lovato,
prima di tutto amico e dotato di invidiabili capacità di autocostruttore. Fu
così che – insieme - ci si applicò in questo settore ottenendo qualche
risultato apprezzabile, come ci riferisce lo stesso Lovato in una sua nota:
La spettrografia non è un’attività molto diffusa tra gli astrofili, forse
perché considerata troppo impegnativa e poco gratificante. C’è da
aggiungere l’obiettiva difficoltà di disporre di strumenti atti allo scopo e
il prevalere di una cultura che tende ad orientare l’astrofilo verso la
tradizionale osservazione visuale o fotografica del cielo, specialmente da
quando, con la comparsa sul mercato di dispositivi di ripresa basati su
sensori CCD a prezzi sempre più abbordabili, questo tipo di attività ha
portato ad una massiccia produzione di immagini molte delle quali, per
la verità, assai spettacolari. Assolutamente assente è invece qualunque
accenno alla spettrografia stellare, se si fa eccezione per una
realizzazione datata 1991 e pubblicata sul numero di maggio 1992 de”
l’Astronomia”; autori Alberto Villa e il sottoscritto. Eppure, costruire
uno spettrografo è un’impresa alla portata di tutti; molto più facile che
costruire un telescopio. E non guasta un’ultima osservazione: la
presenza della Luna, non impedisce minimamente il lavoro di
spettrografia stellare. Una valida alternativa per sfruttare utilmente le
numerosissime notti proibite!
Vittorio Lovato
149
Nella sua nota Lovato fa riferimento alla prima comune realizzazione di
uno spettrografo autocostruito (1991 – 1992), applicato sul dorso di un
telescopio riflettore newton da 140mm di apertura.
Nonostante le dimensioni contenute del telescopio abbinato allo
strumento e considerando che le correzioni in fase di ripresa fotografica
venivano effettuate manualmente, i risultati ottenuti furono confortanti,
tanto che il lavoro fu pubblicato integralmente sulla rivista del settore
“L’Astronomia” (numero del maggio 1992).
Da sottolineare che al tempo era ancora molto raro poter disporre di un
sensore digitale a livello amatoriale: le immagini che seguono sono state
ottenute su pellicola Kodak 2415 ipersensibilizzata in forming gas.
ALCUNI SPETTRI OTTENUTI CON LO STRUMENTO
AUTOCOSTRUITO NEL 1991 / 1992
Fig. 3 – Dettaglio dello spettro del
Sole.
Fig. 4 – Spettro di Arturo.
I rapporti di amicizia con l’Ing. Vittorio Lovato sono stati mantenuti nel
tempo, come pure la comune passione per la spettrografia.
Così, appena vengono installati i nuovi telescopi all’Osservatorio
Astronomico di Libbiano, mi viene offerta la possibilità di poter disporre di
uno spettrografo appositamente costruito per il Ritchey – Chretien da
500mm di apertura di Libbiano.
Non oso rifiutare la proposta, così Lovato realizza il nuovo spettrografo
(Fig. 5) che è pronto per il collaudo a fine settembre 2007.
150
Fig. 5 – Spettrografo costruito dall’Ing. Lovato per la strumentazione del Centro
Astronomico di Libbiano.
Fig. 6 – Schema dello spettrografo
151
E’ lo stesso costruttore a darne la seguente sintetica descrizione (Fig. 6).
“Lo strumento è uno spettroscopio ad autocollimazione a
dispersione medio-bassa. Come elemento disperdente utilizza un prisma
di quarzo con un potere risolutivo di tutto rispetto. Uno specchio sferico
del diametro di 60mm e focale di 200mm funge allo stesso tempo da
collimatore e da obiettivo del dispositivo di rilevazione. Per agevolare il
riconoscimento delle righe spettrali e le operazioni di messa a fuoco, lo
strumento è dotato di una
sorgente
luminosa
ausiliaria, in grado di
fornire uno spettro di
confronto formato da righe
di emissione di lunghezza
d'onda nota. L'estensione
dello spettro può eccedere
l’ampiezza del sensore: in
tal caso, per poterlo
osservare interamente, lo
si deve far scorrere in
senso longitudinale
variando
l’angolo
d’incidenza del prisma a
mezzo
dell’apposita
manopola di campo
all’uopo predisposta all’esterno dello spettroscopio: lo spettro scorrerà
verso il rosso o verso il blu, mostrando così la porzione di spettro che si
desidera osservare e/o registrare. Oltre che per l’ovvio impiego sul Sole,
lo spettroscopio qui descritto, accoppiato ad un telescopio da 500mm e
dotato di sensore CCD, è in grado di registrare spettri di stelle ben oltre la
3° magnitudine.”
ANALISI DEI RISULTATI OTTENUTI CON LO SPETTROGRAFO
AUTOCOSTRUITO
Come già accennato, l’Ing. Lovato ha realizzato lo strumento
appositamente per il telescopio riflettore Ritchey – Chretien di Libbiano
(apertura 500mm – f/8, fig. 8).
152
Fig. 8 – Lo spettrografo
autocostruito collocato al fuoco
diretto del Ritchey – Chretien
da 500mm – f/8 di Libbiano
Per “catturare” lo spettro di un oggetto, nella parte posteriore dello
spettrografo è necessario applicare un dispositivo di rilevazione, che può
essere costituito:
da un oculare per l’osservazione diretta dello spettro;
da una macchina fotografica digitale
da un CCD, come illustrato in Fig. 8 dove è utilizzato il CCD
Starlight SXVF-H5.
Si illustrano di seguito alcuni degli spettri più significativi finora ottenuti.
27 OTTOBRE 2007 – SPETTRO DELLA LUNA
E’ la serata del primo collaudo, presente l’Ing. Vittorio Lovato. La Luna
– alta in cielo e molto luminosa - ci offre l’opportunità di tarare il
posizionamento dello spettrografo sul telescopio Ritchey – Chretien di
Libbiano e di cercarne il fuoco migliore.
Lo spettro ricavato è la sommatoria di sette diverse immagini riprese con
il CCD ed elaborate prima con Maxim DL e quindi con Photoshop: sono
evidenziate le righe caratteristiche più importanti che ovviamente
riproducono lo spettro solare e alcune righe dell’atmosfera (Fig. 9).
153
Fig. 9 – Spettro della Luna ottenuto a Libbiano il 27 Ottobre 2007 a cura di Vittorio Lovato,
Domenico Antonacci, Paolo Bacci, Paolo Piludu, Enzo Rossi ed Alberto Villa
27 OTTOBRE 2007 – SPETTRO DELLA COMETA 17P HOLMES
Una volta tarato lo spettrografo, il telescopio viene puntato sulla Cometa
17 P Holmes, che fino a pochi giorni prima era un oggetto di scarso
interesse in quanto debolissimo, tanto da essere difficilmente fotografabile
con telescopi amatoriali. Il nucleo cometario era stato appena interessato da
una esplosione (outburst) che ha reso la cometa ben visibile ad occhio nudo.
Fig. 10 – Lo spettro
della cometa
Holmes. Sulla
destra, l’ immagine
della cometa.
La cometa riflette la luce del Sole e pertanto il suo spettro evidenzia
righe di assorbimento proprie del Sole stesso, come la K e la H del carbonio
ben evidenziate.
Più interessanti sono però eventuali righe di emissione legate all’attività
sul nucleo cometario: molto marcata per la Holmes la riga di emissione de
CN (Cianuro).
Il lavoro è stato svolto da Vittorio Lovato, Domenico Antonacci, Paolo
Bacci, Paolo Piludu, Enzo Rossi ed Alberto Villa ed è stato pubblicato sulle
quattro riviste italiane del settore.
154
27 OTTOBRE 2007 – SPETTRO DI CAPELLA (α AURIGAE)
Si prova la definizione dello spettrografo su una sorgente stellare
puntando lo strumento su Capella, la stella più luminosa della costellazione
dell’Auriga – Classe spettrale G0.
Il test ha esito positivo: si riconoscono infatti facilmente nello spettro
alcune righe già note per il Sole che è di classe spettrale praticamente
contigua G2 (Fig. 11).
Fig. 11 – Spettro di Capella
Il lavoro è stato svolto da Vittorio Lovato, Domenico Antonacci, Paolo
Bacci, Paolo Piludu, Enzo Rossi ed Alberto Villa.
28 OTTOBRE 2007 – 2° SPETTRO DELLA COMETA HOLMES
Molto importante la ripresa di un nuovo spettro della cometa Holmes per
verificare l’affidabilità dello spettrografo: le riprese del 28 ottobre sono state
eseguite da Vittorio Lovato, Paolo Bacci, Emilio Rossi ed Alberto Villa.
Nell’immagine che segue (Fig. 12) gli spettri del 27 e 28 Ottobre sono stati
messi a confronto in una successiva elaborazione di Paolo Bacci.
155
Fig. 12 – Spettri della cometa Holmes del 27 e 28 Ottobre 2007 a confronto
Con apposito software, Paolo Bacci rileva il profilo dei due spettri e li
sovrappone (Fig. 13) rilevando la perfetta coincidenza tra due spettri ripresi
in serate diverse.
Fig. 13 – In blu il
profilo dello spettro
della cometa Holmes
del 28 Ott. 2007. In
rosso il profilo del 27
Ott. 2007. Il confronto
ne attesta la completa
sovrapposizione.
Questo fatto è importante perché mette in evidenza due aspetti
fondamentali, che tranquillizzano anche per quanto concerne le future
esperienze:
□ in entrambe le serate lo spettrografo ha rilevato il segnale effettivo
(altrimenti i profili non coinciderebbero in partenza);
□ le elaborazioni successivamente effettuate con il software non
hanno alterato il segnale.
28 OTTOBRE 2007 – SPETTRO DI γ (Gamma) CAS
Dopo la cometa Holmes, il 28 ottobre si è voluto riprendere un altro
oggetto peculiare: la stella Gamma nella costellazione di Cassiopea.
Distante 780 anni luce, è una straordinaria gigante blu variabile del tipo
chiamato “stella con inviluppo esteso” (shell star).
Essa espelle anelli di gas a intervalli irregolari, evidentemente perché la
sua veloce rotazione la rende instabile, facendola variare in modo
imprevedibile tra magnitudine 3,0 e 2,15. Usualmente oscilla intorno alla
magnitudine 2,5.
L’espulsione del gas spiega le righe di emissione proprie di questa stella
(classe spettrale B 0.5 IV e): particolarmente evidenti la H Alfa e la H Beta
dell’idrogeno, ben visibili in Fig. 14.
156
Fig. 14 – Spettro di γ (Gamma) CAS con le caratteristiche righe di emissione.
Tra le stelle che non hanno un nome comune arabo o latino, Gamma Cas
è tra le più luminose del cielo. Forse in passato la stella era meno luminosa
di come la possiamo vedere oggi. Questo astro è collocato al centro del
familiare asterismo a "W" nella costellazione di Cassiopea. Riprese eseguite
da Vittorio Lovato, Paolo Bacci, Emilio Rossi ed Alberto Villa.
29 MARZO 2008 – SPETTRO DI WR136 – HD192163 – V1770Cyg
Sicuramente questo è uno degli spettri più interessanti ripresi: si tratta
infatti di una stella di tipo W o Wolf – Rayet, che mostra quindi evidenti
righe di emissione: WR 136 (catalogata anche come HD 192163 e V1770
Cyg). La stella ha magnitudine 7,50 e si trova in piena Via Lattea sulla
congiungente tra Sadr (Gamma Cygni) e Albireo (Beta Cygni), a poco più
di due gradi e mezzo da Sadr.
Fig. 15 – La nebulosa NG 6888
Crescent
Nebula
nella
costellazione del Cigno. Al suo
interno la stella Wolf Rayet
WR 136.
157
WR 136 si trova attualmente immersa nella nebulosità di NGC 6888
(Fig. 15), nota come Nebulosa Luna Crescente, nome sicuramente suggerito
dalla sua forma che richiama questa fase lunare. L’origine della nebulosa è
ancora controversa: alcuni la classificano come residuo di supernova, ma su
qualche testo viene citata come nebulosa planetaria.
In Fig. 16 lo spettro ripreso con la strumentazione del Centro
Astronomico di Libbiano: le righe in emissione sono molto evidenti. Da
osservare con particolare attenzione la riga a 7125 A generata dall’azoto
(N): la stella in questione è infatti di classe spettrale WN 6.
Fig. 16 – Spettro delle stella Wolf Rayet WR 136 – HD 192163 – V1770 Cyg
Le riprese sono state effettuate da Paolo Bacci ed Alberto Villa
16 APRILE 2008
SPETTRI DI: VEGA, SAO 68730 E DI V 249I CYG (NOVA NELLA
COSTELLAZIONE DEL CIGNO)
Il 14 Aprile leggiamo la circolare della AAVSO (American Association
of Variable Stars Observers) che annuncia l’esplosione di una stella
avvenuta il 10 u.s. nella costellazione del Cigno, ora visibile nella seconda
parte della nottata. L’evento sì è verificato con le caratteristiche proprie del
fenomeno noto come “NOVA” (*) e si annuncia di particolare interesse
proprio per le righe spettrali che si stanno generando.
158
L’esplosione comprime infatti con violenza l’atmosfera stellare dando luogo
alla formazione di intense righe dell’idrogeno in emissione.
Nonostante le condizioni meteo incerte, si tenta di fotografare la nova
nel Cigno, classificata come V 2491 CYG, nella notte tra il 15 ed il 16
aprile. Per tarare lo spettrografo si esegue una prima ripresa sulla stella
Vega (α Lyrae) che, essendo di classe spettrale A0, mostra le righe della
serie di Balmer in assorbimento (Fig. 17).
_____________________________________________________________
(*) Con il termine “nova” si usa definire una enorme esplosione nucleare causata
dall'accumulo di idrogeno sulla superficie di una stella (nana bianca) che di norma
per qualche giorno diventa molto più luminosa. Originariamente, il termine stella
nova fu coniato per quelle stelle che apparivano improvvisamente nel cielo per poi
scomparire. L'enorme energia liberata da questo processo soffia letteralmente via il
resto del gas dalla superficie della stella, e produce un "lampo" molto luminoso ma
di breve durata, destinato a spegnersi in pochi giorni. Questo lampo era ciò che gli
antichi astronomi chiamavano stelle nuove.
Fig. 17 – Spettro di Vega ripreso il 16 Aprile 2008 a Libbiano
Il telescopio viene quindi puntato sul campo stellare che contiene la nova
V 2491 CYG, alle sue coordinate R.A. 19:43:02 / DECL. +32:19:14: appare
più debole del previsto (Paolo Bacci ne stimerà la magnitudine in +8.8 +/0.2), molto vicina alla stella SAO 68730. Il campo è molto popolato in
quanto ci troviamo in piena Via Lattea.: in Fig. 18 l’immagine visuale
della nova V 2491 CYG
(indicata dai cursori – somma di 5
integrazioni da 10 secondi l’una con il CCD FLI al fuoco diretto del Ritchey
- Chretien di Libbiano).
159
Fig. 18 – La nova V
2491 CYG
nell’immagine ripresa
da Libbiano il
16 Apr. 2008. Nel
campo è inquadrata
anche la stella SAO
68730
Si tenta quindi di riprenderne lo spettro che si rivela interessantissimo in
quanto appaiono righe della serie di Balmer in emissione, alcune anche
molto intense (Fig. 19). L’intero spettro è il risultato della compositazione
di tre immagini parziali; le riprese singole sono state effettuate con
integrazioni di 90 secondi l’una con il CCD Starlight SXVF-H5.
Fig. 19 – Spettro della nova V 2491 CYG ripreso a Libbiano. Evidenti le righe della serie di
Balmer in emissione. Sopra, il profilo di intensità elaborato con Maxim DL.
160
Per rendere ancora più interessante la documentazione raccolta si è
quindi puntato lo spettrografo sulla vicinissima stella SAO 68730 che –
essendo di classe spettrale A 5 III – mostra la serie di Balmer in
assorbimento. In Fig. 20 i due spettri sono stati affiancati: si può
chiaramente notare come la serie di Balmer in assorbimento nello spettro di
SAO 68739 coincide alla perfezione con la serie di Balmer in emissione
nello spettro di V 2491 CYG .
Fig. 20 – Lo spettro della nova V 2491 CYG messo a confronto con quello della vicina stella
SAO 68730 di classe spettrale A 5 III. Evidente la coincidenza delle righe della serie di
Balmer: in assorbimento in SAO 68730 ed in emissione per la V 2491 CYG.
Lavoro eseguito da Alberto Villa e Francesco Biasci.
Autore dell’articolo: Alberto Villa
161
Alberto Villa
LA GESTIONE DI UN OSSERVATORIO PUBBLICO,
L’ESPERIENZA DEL CENTRO ASTRONOMICO DI LIBBIANO
INTRODUZIONE
L’Osservatorio Astronomico “G. Galilei” di Libbiano è stato voluto dal
fu Dr. Giovanni Martini che ne portò a termine la realizzazione in qualità di
Presidente di un gruppo di astrofili pisani, grazie alla disponibilità e alla
collaborazione del Comune di Peccioli (prov. di Pisa). L’inaugurazione
dell’Osservatorio ebbe luogo nell’Ottobre del 1997 con l’intervento della
nota astronoma Margherita Hack in qualità di madrina d’eccezione.
A seguito della cessazione dei rapporti tra gli astrofili pisani, nel 2004 il
Comune di Peccioli – proprietario della struttura - affida l’Osservatorio alla
AAAV (Associazione Astrofili Alta Valdera di Peccioli), appositamente
costituita per gestirne le attività. La collaborazione tra il Comune e la
AAAV porta alla ristrutturazione dei locali e al rinnovamento della
strumentazione con l’inaugurazione del Centro Astronomico di Libbiano
avvenuta il 28 Ottobre del 2006 in presenza del Prof. Franco Pacini
(Università degli Studi di Firenze – Arcetri).
A sinistra: Margherita Hack inaugura l’Osservatorio Astronomico “G. Galilei” di Libbiano
nell’Ottobre 1997. A destra: Franco Pacini all’inaugurazione del Centro Astronomico di
Libbiano nell’Ottobre 2006, con il Sindaco di Peccioli Silvano Crecchi.
162
Come si può facilmente intuire da quanto accennato in precedenza, è
evidente che la AAAV ha ereditato una struttura preesistente potendo
intervenire su certi aspetti ma dovendone inevitabilmente accettare altri
ormai non modificabili.
Lungi pertanto dal volersi proporre come un esempio da seguire, ritengo
offra spunti interessanti in merito ai diversi aspetti che riguardano la
concezione, la realizzazione e la gestione di un Osservatorio Astronomico
pubblico condotto da un gruppo di volenterosi astrofili.
Per ognuno dei punti che si è ritenuto di trattare nella presente relazione,
viene illustrata – a semplice titolo esemplificativo - l’esperienza della
AAAV presso il Centro Astronomico di Libbiano, con l’intento di fornire
uno spunto per un dibattito tra gli ospiti intervenuti finalizzato a confrontare
le esperienze comuni ricavandone indicazioni utili per tutti, relatore
compreso.
Per quanto riguarda il sottoscritto, quella della AAAV è la seconda
esperienza di costituzione e conduzione di un gruppo di astrofili, preceduta
dalla fondazione della AAT (Ass.ne Astrofili Tethys, tuttora esistente) a
Rivanazzano (PV) nel marzo del 1987.
Le due esperienze citate e la frequentazione più o meno assidua di altri
Osservatori e di iniziative simili, mi ha portato alla convinzione che nella
gestione di strutture di questo tipo ci siano:
□ pochi ma fondamentali principi comuni che devono essere seguiti
(pena il disfacimento del gruppo);
□ innumerevoli elementi variabili da valutare accuratamente caso per
caso, come avremo modo di costatare più avanti.
Sottolineo che molti dei concetti che seguono sono espressione del
convincimento personale dell’autore e non hanno assolutamente la pretesa
di proporsi come “verità”, bensì come spunti di discussione comune.
UBICAZIONE E MODALITA’ DI UTILIZZO
DELLA STRUTTURA
Uso il termine “struttura” perché in molti casi non è presente solo
l’Osservatorio Astronomico ma anche locali annessi con svariate funzioni. Il
Centro Astronomico di Libbiano – ad esempio - è composto
dall’Osservatorio Astronomico “Galileo Galilei” e da una piccola ex scuola
appositamente ristrutturata che funge da Centro Didattico attrezzato con sala
conferenze e Planetario.
163
A meno di non essere finanziariamente indipendenti, è difficile che si
possa essere completamente liberi nella scelta dell’ubicazione: se un
Comune è disposto ad appoggiare una iniziativa, è quantomeno ovvio che
l’impianto venga collocato nell’ambito del territorio di pertinenza.
In linea di principio, ritengo che la scelta dell’ubicazione debba essere
fatta in funzione delle modalità di utilizzo della struttura, peraltro da
definire a priori e con estrema chiarezza nei confronti dell’ente (spesso una
Amministrazione Comunale) disposta a sostenere economicamente
l’iniziativa: prima di decidere dove vogliamo collocare un Osservatorio è
quindi opportuno essere consapevoli del tipo di attività che vi dovrà essere
praticata, anche per evitare la sgradevole situazione nella quale non si riesca
a mantenere quanto promesso in fase di richiesta di un finanziamento.
Certamente un telescopio collocato in cima ad una montagna gode di un
seeing ottimale, ma è necessario considerare che maggiori sono le difficoltà
e più lunghi i tempi di percorrenza per raggiungere l’Osservatorio, minore
sarà la frequentazione non solo da parte dei visitatori (in particolar modo
delle scuole), ma anche da parte di chi deve ragionevolmente gestire la
struttura: non dimentichiamoci infatti che iniziative del genere non sono
condotte da professionisti ma da volenterosi astrofili che devono trovare
spazio per la loro passione per il cielo in aggiunta a lavoro, famiglia e
impegni della vita di tutti i giorni.
A questo proposito va sottolineato come la moderna tecnologia digitale e
i filtri di ultima generazione consentano di contenere in maniera più che
significativa molti dei disturbi legati all’inquinamento luminoso che solo
poco tempo fa non erano così ben gestibili. Attualmente ritengo valga molto
di più una sapiente tecnica di ripresa che non una postazione estrema,
quantomeno in relazione ai possibili tempi di utilizzo: a titolo di lampante
esempio, mi permetto di citare il caso di Gimmi Ratto (attualmente socio
della AAAV) che dal suo osservatorio privato collocato in postazione sì
isolata, ma con vista sulle luci della città di Pisa riesce a riprendere
immagini di indiscutibile pregio ed effetto.
Da evidenziare come le nuove realizzazioni in aree dedicate possano più
facilmente avvalersi delle varie “Leggi e Regolamenti Regionali” che
tutelano le Stazioni Astronomiche relativamente all’inquinamento luminoso.
Evidenti motivi di opportunità e di pacifica convivenza ci hanno consigliato
di chiederne il rispetto delle disposizioni unicamente per le realizzazioni
successive all’inaugurazione dell’Osservatorio.
Il Centro Astronomico di Libbiano è situato sulle colline della Toscana,
nel Comune di Peccioli che ne è proprietario. Adiacente al caratteristico
164
borgo di Libbiano, è raggiungibile in un quarto d’ora dal centro abitato di
Peccioli, in 30 minuti dalla più vicina uscita della superstrada Firenze – Pisa
– Livorno e in circa 40 minuti da Pisa, capoluogo della provincia. Il
rapporto tra seeing e possibilità di raggiungere comodamente la struttura è
più che buono, come testimoniato dall’affluenza alle attività praticate,
ovvero:
- incontri quindicinali a tema aperti al pubblico;
- osservazioni pubbliche serali (3 al mese);
- incontri con le scuole (lunedì e sabato, 4 volte al mese).
L’Osservatorio “Galileo Galilei” presso il Centro Astronomico di Libbiano
LA SCELTA DELLA STRUMENTAZIONE
La strumentazione collocata nell’Osservatorio “G. Galilei” di Libbiano è
stata scelta sulla base di due fondamentali parametri:
- le modalità di utilizzo della struttura, così come illustrate nel paragrafo
precedente;
- le disponibilità finanziarie messe a disposizione dal Comune di Peccioli;
165
con l’intento di risultare possibilmente versatile e completa, in relazione
all’impiego sia per la didattica che per la ricerca in campi a priori non
specialistici.
In un primo momento si era optato per un Ritchey Chretien da 60 cm di
apertura, ma in questo caso le disponibilità sarebbero state quasi totalmente
assorbite dal telescopio principale che non avremmo potuto accessoriarlo
adeguatamente. L’apertura del Ritchey Chretien è stata conseguentemente
contenuta negli attuali 50 cm.
Di seguito è descritta in dettaglio la strumentazione di cui è dotato il
Centro Astronomico di Libbiano.
□
telescopio principale: riflettore Ritchey-Chretien da 500mm di apertura,
f/8 e f/6 (realizzazione Marcon);
□
in parallelo al principale, rifrattore apocromatico A&M da 180mm, f/9;
□
CCD principale Finger Lakes FLI IMG con sensore Kodak KAF 1001E
classe 1, 1024 x 1024 pixels;
□
CCD di guida Starlight SXVF-H5;
□
ruota portafiltri a 7 posizioni Finger lakes FLI;
□
telecamera Lumenera e webcam Toucam;
□
spettrografo autocostruito (prisma di Littrow);
□
Coronado Solarmax 60 in cella da 180mm per rifrattore apocromatico;
□
Planetario Go-To Ex 3 / Sala attrezzata per proiezioni e lezioni.
□
Software: Maxim DL, The Sky, Robofocus
166
Nell’immagine, entrambi telescopi preparati per la ripresa del transito del pianeta
extrasolare XO-2b del 21 dicembre 2007. I CCD sono entrambi in posizione: il
FLI al fuoco diretto del
Ritechey-Chretien per riprendere la sequenza di
immagini, lo Starlight SXVF-H5 al fuoco diretto del rifrattore apocromatico come
autoguida.
Per quanto ovvio i due telescopi (riflettore e rifrattore apocromatico) si
completano a vicenda per l’osservazione e la ripresa di qualsiasi tipologia di
oggetto celeste. Con gli accessori in dotazione è possibile rendere molto
interessanti le serate di osservazione pubblica. Particolarmente apprezzato
dalle scolaresche in visita al Centro Astronomico di Libbiano, il filtro
Coronado con il quale si rendono visibili protuberanze e filamenti solari.
Gli accessori di base sono stati acquistati per rendere operativi in
maniera genericamente soddisfacente i due telescopi, adattandoli alle
attività che si è via via deciso di intraprendere: notevole e di soddisfazione –
ad esempio – il lavoro di fotometria svolto sui pianeti extrasolari.
Altri accessori sono stati invece acquisiti per seguire e assecondare
particolari interessi manifestati da alcuni componenti della Associazione,
come la telecamera Lumenera e lo spettrografo. Ritengo infatti
fondamentale valorizzare interessi del genere che portano poi quasi sempre
167
a risultati di prestigio per il gruppo. Molto funzionale la creazione di
apposite Sezioni, ognuna coordinata dal proprio Responsabile.
E’ seguendo questo principio che stiamo attualmente predisponendo il
controllo remoto dell’Osservatorio e la stabilizzazione del sistema per
trasmettere dirette web.
RUOLI DELLE PERSONE E GESTIONE DELLA STRUTTURA
E’ questo un argomento della massima importanza per la conduzione di
una struttura pubblica, come il Centro Astronomico di Libbiano. Un
sodalizio che non ha impegni di carattere pubblico può tranquillamente
evitare di regolamentarsi: eventi di carattere negativo possono – nella
peggiore delle ipotesi – portare allo scioglimento del sodalizio.
LO STATUTO
Quando sussistono impegni e rapporti di carattere pubblico, ritengo
assolutamente indispensabile dotarsi di uno STATUTO che stabilisca in
maniera molto chiara ed univoca:
□
□
□
□
i principi morali del gruppo;
le sue attività e finalità;
i ruoli, i doveri e le facoltà delle persone che compongono un
eventuale Direttivo, del Direttivo stesso e dell’Assemblea;
gli atteggiamenti che comportano inevitabilmente l’allontanamento
dal sodalizio, in quanto non compatibili con le sue finalità o con i
suoi regolamenti.
Vale sempre il principio che servono anni per costruire e consolidare
delle realtà con fatica, impegno e dedizione, mentre un comportamento o un
atteggiamento non appropriato tenuto pubblicamente può vanificare il tutto
in un attimo. E chi si trova a gestire pubblicamente le attività della
Associazione ne deve essere sempre ben consapevole.
Regolamenti interni
Nel caso del Centro Astronomico di Libbiano ci troviamo anche ad
utilizzare strumentazione di proprietà del Comune che ci ospita e che ci
168
sostiene, dovendone responsabilmente rispondere alla Amministrazione di
pertinenza. Si è pertanto ritenuto indispensabile dotarci anche di un
REGOLAMENTO INTERNO PER L’UTUILIZZO DELL’OSSERVATORIO
ASTRONOMICO, che definisce – sempre con la massima chiarezza – chi
può accedere all’osservatorio e con quali modalità ne possa usufruire.
Ritengo molto importante che tutta l’attività svolta in osservatorio sia
sempre documentata con appositi verbali che devono essere redatti a fine
sessione da un Responsabile del lavori.
Per quanto ovvio, l’utilizzo dell’Osservatorio è consentito a chi ne abbia
la necessaria competenza. Allo scopo di:



prevenire, con adeguata preparazione, ogni possibile danno alle
apparecchiature;
pervenire ad un uso corretto e proficuo della strumentazione;
offrire al pubblico una immagine il più competente possibile della
AAAV;
la conduzione delle sessioni di lavoro della AAAV in qualità di responsabile
è affidata unicamente a quei Soci Effettivi:
□
□
che abbiano conseguito l'apposita "ABILITAZIONE ALLA
CONDUZIONE DELL'OSSERVATORIO" rilasciato a seguito del
superamento di un Test teorico, tecnico e comportamentale di base;
che – dopo aver superato il predetto Test – pratichino un periodo di
affiancamento di almeno 10 sessioni di lavoro come
Corresponsabile.
Al fine di evitare di operare su procedure o strumentazione non
conosciuta, il responsabile che per un anno non frequenta i lavori perde tale
qualifica ed è tenuto a ripetere il Test.
Il “REGOLAMENTO INTERNO PER L’ORGANIZZAZIONE DELLE
ATTIVITA’” ha invece il compito di coordinare le mansioni che possiamo
definire di routine ma che sono indispensabile per la continuità della vita del
gruppo:
 predisporre e divulgare il calendario delle Riunioni Sociali,
 predisporre il calendario delle aperture pubbliche dell’Osservatorio
Astronomico;
 redigere i documenti contabili e le relazioni per il Comune…. ecc.
169
Ritengo fondamentale che Statuto e regolamenti vari debbano essere
discussi e approvati in accordo – quando finalmente condivisi – dalle
istituzioni previste (di norma il Direttivo, composto dalle persone
maggiormente coinvolte – per scelta - nelle attività del sodalizio). Una
volta approvato, un documento diventa regola per tutti: in particolar modo
per il presidente che deve dare il buon esempio.
E’ fondamentale essere consapevoli che iniziative di questo genere si
fondano sul rispetto della parola data, e che la parola data è una scelta
finché non viene espressa: poi è un impegno nei confronti delle altre
persone che condividono una bellissima “avventura” tra le stelle, e non può
e non deve venir meno se non – ovviamente – per cause di forza maggiore.
Molto spesso (e fortunatamente anche nel caso della AAAV) tra le
persone più attive si instaura un rapporto di amicizia e di rispetto. Non
dimentichiamo inoltre che il tempo impiegato per una attività di questo
genere si somma agli impegni familiari, personali e di lavoro senza alcuna
remunerazione se non la soddisfazione per i riconoscimenti ed risultati
ottenuti.
Il rispetto dello Statuto e dei regolamenti deve pertanto essere
interpretato con la massima elasticità: il ricorso a questi documenti nei
confronti di un socio è da evitare il più possibile, anche perché rappresenta
sempre un momento difficile e delicato nella vita di un sodalizio.
Certamente però, di fronte ad atteggiamenti che possano evidentemente
costituire un pericoloso precedente o mettere a rischio le attività e
l’esistenza del gruppo, è assolutamente necessario agire con decisione e
compattezza a tutela sia della Associazione che dei suoi componenti.
Per chi fosse interessato a prenderne visione, Statuto e Regolamenti in
vigore presso la AAAV sono disponibili in allegato (anche in formato pdf).
Polizza di Assicurazione
Per operare nella massima tranquillità, si è ritenuto opportuno stipulare
apposita polizza assicurativa che ci tuteli nei limiti consentiti per danni alle
apparecchiature e alle persone.
RAPPORTI CON L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE
Fondamentale anche in questo caso la massima chiarezza. Il Centro
Astronomico di Libbiano è stato concesso in Gestione alla AAAV da parte
170
del Comune di Peccioli stipulando una convenzione che ben definisce diritti
e doveri per entrambe le parti.
Per quanto ovvio, la AAAV è tenuta a presentare per ogni esercizio
solare il relativo Consuntivo delle attività e Rendiconto Economico,
unitamente al preventivo per l’esercizio a venire in modo che
l’Amministrazione Comunale possa valutare in merito alla concessione di
apposito contributo.
IMPORTANZA
OTTENUTI
DELLA VISIBILITA’ DEI
RISULTATI
Nell’ambito della conduzione delle attività di una Associazione come la
AAAV, ritengo che divulgare e far conoscere i risultati sia importante
quanto averli ottenuti, se non addirittura di più. Ovvio che questa
considerazione è da relazionare alla volontà di qualificare il gruppo,
costringendosi anche al confronto con altre realtà simili.
Inutile sottolineare quanto sia importante portare i riscontri ottenuti a
conoscenza della Amministrazione Comunale.
Altrettanto importante la legittima soddisfazione personale di ognuno
quando il proprio lavoro viene pubblicamente apprezzato da chi è
competente del settore.
In questa ottica si sviluppano tutte le iniziative intraprese dalla AAAV,
con una particolare attenzione rivolta:
 alla divulgazione;
 alla documentazione dei risultati ottenuti e degli eventi organizzati
(anche per la creazione di un archivio dati storico);
 alla possibilità di pubblicare i propri lavori, mettendo sempre in
evidenza i nomi delle persone che hanno contribuito al
raggiungimento dei risultati.
I risultati ottenuti e il materiale pubblicato costituiscono a mio avviso
una delle motivazioni più importanti per l’impegno nei programmi a
venire.
171
Alberto Villa
1° AGOSTO 2008: ECLISSE TOTALE DI SOLE
Appunti sui criteri di organizzazione di un viaggio all’inseguimento
del “sole nero” e preparazione delle riprese fotografiche
tradizionali e digitali
INTRODUZIONE
L’eclisse totale di Sole è sicuramente uno degli eventi astronomici più
affascinanti, emozionanti e coinvolgenti. Non credo che ci sia spettacolo
celeste di pari spettacolarità e intensità.
Nel 1998 mi sono recato ad Aruba (Antille Olandesi) per osservare la
mia prima eclisse totale di Sole, che si verificava il 26 febbraio. Su una delle
spiagge più belle del mondo, nei giorni precedenti l’evento ho incontrato
Fred, un astrofilo australiano.
Ne è nata una simpatica conversazione, e confidandogli che per me era
“la prima volta”, ho sgranato gli occhi quando mi sono sentito rispondere
con orgoglio che per lui era l’undicesima eclisse totale: non capivo il motivo
e la necessità di vederne così tante. Due giorni dopo, quando a causa di una
emozione mai provata di fronte a un evento naturale ho rischiato di non
riuscire a scattare neppure una fotografia, ho compreso cosa voleva dire
l’amico Fred. Avendone la possibilità, mi sono ripromesso di non mancare
all’appuntamento con il “sole nero”, sognando di poter un giorno raccontare
a qualcuno la mia emozione per aver vissuto più volte la magia di questo
evento.
Immagini della totalità dell’eclisse in Siberia, 1° agosto 2008
172
Dopo Aruba, è stata la volta di Graz (Austria) nel 1999. Quindi l’eclisse
anulare nel 2005 a Formentera. Ancora la fantastica esperienza del marzo
2006 per l’eclisse totale in pieno deserto libico, per concludere con la
recente avventura in Siberia per l’evento del 1 agosto 2008, nell’ambito di
un viaggio appositamente organizzato dalla UAI (Unione Astrofili Italiani).
Ogni eclisse totale è unica, irripetibile e indimenticabile: soprattutto se –
come accaduto in Austria e in Siberia – le condizioni meteo sono incerte
fino all’ultimo momento. Le immagini delle eclissi riprese dall’autore sono
presentate a corredo di una relazione finalizzata ad illustrare i seguenti
aspetti legati al fenomeno, vissuti in prima persona nelle varie esperienze:
 la scelta del sito osservativo;
 come documentarsi sulle previsioni meteo;
 come si leggono le tabelle riferite all’evento;
 come fotografare e cosa fotografare durante una eclisse totale
di Sole;
 organizzazione, preparazione e prove della strumentazione
necessaria;
 organizzazione, preparazione e prove dei programmi di
ripresa.
Il tutto con una particolare attenzione alle problematiche connesse alle
riprese effettuate con strumentazione digitale.
COME SCEGLIERE IL SITO DI OSSERVAZIONE
173
Fig. 1 – Mappa dell’eclisse anulare di Sole del 3 ott. 2005
Al verificarsi di una eclisse totale di Sole, il luogo in cui recarsi per
osservare l’evento deve essere scelto nell’ambito della fascia di totalità
tenendo in considerazione – a parità di altre condizioni - i seguenti
aspetti:

l’aspetto logistico del viaggio
se la fascia della totalità attraversa diverse località raggiungibili, va
ovviamente tenuto in considerazione anche l’aspetto turistico. Il
viaggio per osservare l’eclisse diventa anche un momento
culturalmente interessante o di svago in relazione ai luoghi visitati.
Il mezzo di trasporto prescelto (aereo, nave o auto) condiziona
certamente il tipo di strumentazione da trasportare: aspetto da non
trascurare assolutamente per avere a disposizione comunque un set di
apparecchiature completo per il risultato che ci si propone di
raggiungere.

il tipo di osservazione (visuale o fotografica) che si vuole effettuare
nel caso si voglia osservare solo visualmente, è infatti possibile optare
anche per siti in mare aperto (crociera) privilegiando al caso zone
particolarmente favorite dal punto di vista metereologico. Volendo
fotografare l’eclisse, diventa indispensabile una postazione sulla terra
ferma.

le previsioni meteorologiche
il viaggio deve essere normalmente organizzato con parecchio
anticipo sulla data dell’evento, e pertanto non è solitamente possibile
basarsi su previsioni meteo dell’ultim’ora.
La scelta del luogo di osservazione viene pertanto effettuata – da
questo punto di vista – affidandosi a previsioni metereologiche
statistiche elaborate su dati raccolti anno dopo anno, riferite alla
stessa località.
Questo tipo di previsione non è attendibile in senso assoluto (in una
località dove c’è il 70% di giornate serene può sempre piovere se si
cade nel restante 30% di giornate, e viceversa), ma forniscono una
percentuale attendibile sulla effettiva probabilità di osservare
l’eclisse.
Quando mi sono recato in Austria per l’eclisse totale del 11 agosto
1999, pur scegliendo una località con buone previsioni meteo per il
174
periodo (Graz), nella giornata dell’eclisse sì è sviluppato un fronte
occluso molto raro per la stagione che mi ha obbligato a montare il
telescopio sotto la pioggia. Il tempo però è poi migliorato proprio
nelle zone contraddistinte dalle previsioni statistiche migliori,
consentendo (ma solo in quella zona dell’Austria) la ripresa
dell’evento.

la durata dell’eclisse
la durata massima dell’evento si ha nel punto centrale dell’eclisse
stessa, dove il Sole viene anche a trovarsi alla massima altezza
sull’orizzonte. Le eclissi non hanno tutte la stessa durata massima, in
quanto questo valore dipende dalla magnitudine dell’evento
(rilevabile tra i vari dati che descrivono il fenomeno).
MAGNITUDINE ASSOLUTA DELL’ECLISSE CENTRALE DI SOLE
La magnitudine dell’eclisse centrale, esprime il rapporto tra il diametro
della Luna e quello del Sole nel momento in cui avviene l’evento.
La Luna ruota intorno alla terra su un’orbita ellittica e pertanto la sua
distanza dalla Terra è variabile: ne consegue che sono pure variabili le sue
dimensioni apparenti osservate dalla Terra. Per quanto ovvio appare più
piccola quando è più lontana, e più grande quando è più vicina alla Terra.
Per una coincidenza davvero singolare, le sue dimensioni variano in
modo tale che la luna appare:
 leggermente più grande del Sole quando si trova entro una certa
distanza dalla terra: se l’eclisse centrale si verifica in queste condizioni
appare come totale in quanto il disco lunare copre interamente il Sole.
Considerando che il disco lunare scorre su quello de Sole sempre alla
stessa velocità, appare evidente che più è grande (vicina) la Luna, più
dura l’eclisse: la durata dell’eclisse totale è direttamente proporzionale
alla magnitudine che la contraddistingue.
 leggermente più piccola del Sole quando si trova oltre una certa
distanza dalla terra: se l’eclisse centrale si verifica in queste condizioni
appare come anulare in quanto il disco lunare non riesce a coprire
interamente il Sole. In questo caso, più è piccola (lontana) la Luna più
dura l’eclisse: la durata dell’eclisse anulare è inversamente
proporzionale alla magnitudine che la contraddistingue.
175
 Se l’evento centrale si verifica proprio quando la Luna ha le stesse
dimensioni del Sole, allora l’eclisse sarà ibrida ed avrà durata
praticamente istantanea in quanto i disco del nostro satellite – che
durante l’evento scorre lentamente su quello del Sole – determinerà la
totalità nel solo istante di perfetta sovrapposizione. In questo caso la
magnitudine dell’eclisse sarà uguale a 1 (il disco della Luna ha
esattamente le stesse dimensioni di quello del Sole).
Fig. 2 – Eclisse totale
176
Fig. 3 – Eclisse anulare
Fig. 4 – Eclisse ibrida
Per stabilire la durata dell’evento nel punto di osservazione prescelto,
bisogna interpretare correttamente le cartine che vengono appositamente
elaborate.
La fascia che corre sul suolo terrestre delimita la zona nella quale
l’eclisse è visibile come totale (o anulare), e viene normalmente chiamata
fascia della totalità (anularità).
Le linee parallele all’interno di tale fascia uniscono i punti di uguale
durata dell’eclisse: come si può notare, a parità di tempo dell’eclisse
(segmenti perpendicolari alla Central Line) la durata dell’eclisse è massima
sulla Central Line e decresce avvicinandosi ai bordi della fascia di totalità;
al di fuori dei bordi, l’eclisse non sarà più osservabile come totale, ma
diventerà parziale.
Le tabelle riportate in corrispondenza di ogni segmento perpendicolare,
riassumono i dati dell’eclisse riferiti a quella posizione:



l’orario espresso in tempo universale;
la durata dell’eclisse;
l’altezza del Sole sull’orizzonte
177
Fig. 5 – Una delle tavole che descrivono l’eclisse totale di Sole del 1 agosto 2008

l’altezza del sole sull’orizzonte al momento dell’osservazione;
il dato è rilevabile dalle tabelle come si è appena descritto. E’ un
fattore importante perché, in caso di un cielo con nubi sparse e
sprazzi di sereno, per un semplice fattore prospettico più ci
alziamo sull’orizzonte maggiori sono le probabilità di poter
osservare in aree libere da nubi.
FOTOGRAFIA DELL’ECLISSE TOTALE DI SOLE
Per quanto riguarda le fasi di parzialità, l’osservazione del fenomeno
richiede sempre l’uso degli appositi filtri. Ma le condizioni di osservazione
cambiano completamente qualche attimo prima che inizi la totalità. Infatti in
questo momento non solo si può, ma si deve togliere il filtro solare, per
poter seguire le fasi più affascinanti di questo evento. Nei pochi minuti di
totalità si possono osservare eventi tanto emozionanti quanto rapidi e
sfuggenti nel loro evolversi. Per questo motivo è necessaria una buona
preparazione teorica che – già sapendo cosa dovrà accadere e cosa potremo
vedere – ci consentirà di gustare appieno l’evento, durante il quale
appariranno dettagli del Sole mai visibili in condizioni normali, ovvero:
 l’Anello di Diamante (fig. 7);
 i grani di Bailys (fig. 8);
178




la cromosfera (fig. 9);
le protuberanze (fig. 9);
la corona solare (fig. 10);
il cielo stellato in pieno giorno.
CON FILTRO
SENZA FILTRO
CON FILTRO
Fig.6 – Sequenza immagini dell’eclisse totale di Sole.
Fig. 7 – L’anello di Diamante
Fig: 8 – I grani di Bailys
Fig. 9 – Cromosfera e protuberanze
Fig. 10 – Corona solare
Per quanto riguarda la fotografia di una eclisse totale, le condizioni di
ripresa cambiano drasticamente nel momento in cui bisogna togliere i filtri:
ci si trova infatti ad operare su un soggetto con caratteristiche di luminosità
179
uniche che non è possibile simulare per effettuare delle prove prima di
vivere in diretta l’evento.
Ricordiamo inoltre che la totalità dura pochissimi minuti nei quali gli
eventi da riprendere, come abbiamo visto in precedenza, sono molteplici.
L’eclisse totale di Sole è senza dubbio il soggetto astronomico più
difficile da riprendere, in quanto ci si gioca tutto nei pochi minuti della
totalità senza possibilità di rimediare ad eventuali errori o contrattempi.
Anche la galassia più elusiva da fotografare, in caso di insuccesso può
infatti essere rifotografata in date successive.
Le stesse comete ci mettono a disposizione più serate per la
documentazione del loro passaggio. Nel caso di una eclisse totale, non
esiste possibilità di replica.
Per questo motivo la ripresa deve essere preparata con particolare cura
ed attenzione. Le tabelle riportate di seguito sono di particolare aiuto per
quanto concerne:


le ottiche da utilizzare;
i tempi di posa per le pellicole tradizionali.
Fig. 11 – Tabella delle dimensioni del disco solare sul negativo tradizionale (pellicola) in
funzione della focale utilizzata. Per le camere digitali può essere necessario correggere il dato
(v. testo).
Nella fig. 11, a fianco di ogni possibile focale compresa tra i 28 e i
2500mm, vengono indicati l’ampiezza del campo inquadrato (in gradi) e le
dimensioni del disco solare sulla pellicola tradizionale (in mm). Si può
180
ottenere quest’ultimo dato anche dividendo il valore della lunghezza focale
(mm) per 109.
Per la fotografia digitale, il valore riportato in figura potrebbe richiedere
una correzione secondo un particolare fattore di moltiplicazione
caratteristico di ogni fotocamera (ad es. per la Canon 20D tale fattore è 1,6:
in questo caso il disco solare fotografato con un 105mm, avrà un diametro
di 1,6 mm sul sensore).
La figura 12 rende con immediatezza visiva il concetto appena illustrato.
Ci si rende conto come focali diverse servono ad evidenziare aspetti diversi
del fenomeno: dovremo ad esempio utilizzare un ingrandimento più elevato
per fotografare le protuberanze, mentre l’ingrandimento dovrà essere molto
meno spinto per riuscire ad inquadrare tutta la corona solare.
Fig. 12 – Dimensioni del disco solare sul negativo tradizionale (pellicola) in relazione alla
lunghezza focale impiegata
181
Fig. 13 – Tempi di posa corretti da utilizzare nelle varie fasi dell’eclisse di Sole
In fig. 13 vengono invece esposti i tempi di posa corretti da utilizzare per
ogni singolo aspetto che l’eclisse presenta. La formula che fornisce il tempo
di posa corretto tiene in considerazione:
 la luminosità del soggetto da riprendere (Q);
 la sensibilità della pellicola usata (I = ISO);
 il rapporto focale f/ (più è basso, più l’ottica è luminosa)
Per quanto ovvio ne consegue che il tempo di posa calcolato sarà:
 direttamente proporzionale a f/ (meno luminosa è l’ottica, più
sale il tempo di posa)
182

inversamente proporzionale a I e a Q (più e sensibile la
pellicola e più è luminoso il soggetto, e più si abbrevia il tempo
di posa).
Per meglio comprendere come debba essere impostato un programma di
ripresa fotografica, nella tabella che segue viene indicata la cronologia dei
vari eventi che l’eclisse totale presenta, con l’indicazione (durata) del lasso
di tempo che abbiamo a disposizione per fotografarli.
FASE / EVENTO
Parzialità in ingresso
DURATA
oltre 1 ora
Anello di Diamante in
ingresso
Grani di Baily in ingresso
pochi secondi, prima della
totalità
pochi secondi, prima della
totalità
durante la totalità
“
“
“
pochi secondi, dopo la
totalità
pochi secondi, dopo la
totalità
oltre 1 ora
Cromosfera
Protuberanze
Corona solare
Cielo stellato
Grani di Bailys in uscita
Anello di Diamante in
uscita
Parzialità in uscita
NOTE
con il
filtro
senza
filtro
“
“
“
“
“
“
“
con il
filtro
E’ importante considerare che cromosfera, protuberanze e corona solare
(più o meno estesa) sono sempre presenti e coesistono durante tutta la fase
di totalità: sono i tempi di posa differenti che mettono in evidenza un
elemento piuttosto che l’altro.
Altro elemento visibile durante la totalità è il cielo stellato, che richiede
però l’utilizzo di ottiche dedicate a largo campo: in questo caso non è infatti
importante ingrandire l’immagine dell’eclisse, ma riuscire ad inquadrare la
più ampia porzione possibile di cielo. Considerando che durante la totalità
non si raggiunge mai l’oscurità della notte, per riprendere questo aspetto è
consigliabile utilizzare un grandangolo luminoso, collocato su cavalletto.
Un 28mm – ad esempio – può esporre anche fino a 30 secondi in
postazione fissa (senza motore d’inseguimento) mantenendo puntiformi le
183
immagini delle stelle. Con le pellicole di sensibilità elevata attualmente
disponibili, questo tempo di posa è più che sufficiente per ottenere immagini
d’effetto. Prestazioni ancora più spinte si possono ottenere con le
fotocamera digitali.
FOTOGRAFIA TRADIZIONALE E FOTOGRAFIA DIGITALE
La ripresa dell’eclisse può essere effettuata sia con tecniche tradizionali
(pellicola) che con la nuova tecnologia digitale.
Per quanto riguarda la pellicola, la tabella dei tempi di posa
precedentemente esaminata è di enorme aiuto e garantisce ottimi risultati
per quanto concerne la corretta durata delle esposizioni. Usando la pellicola
non è però possibile vedere le immagini riprese in tempo reale. E’ quindi
necessario controllare tutti gli altri parametri con grande attenzione ad
evitare – per esempio – di aver ripreso con tempi corretti immagini
sfuocate!! Nel momento in cui ce ne accorgiamo, non si può ovviamente
fare più nulla.
Se si opera con la digitale, bisogna considerare che ogni sensore ha le
proprie caratteristiche e pertanto la tabella tempi già esaminata va disattesa.
Al contrario - come già accennato - le condizioni che si verificano durante
la totalità non sono riproducibili in nessun modo e pertanto è impossibile
effettuare prove prima di vivere in diretta l’evento. Con un pò di
sperimentazione e riferendosi alla già citata tabella tempi, si possono
ricavare dei valori di esposizione che non si discostano troppo quelli che si
riveleranno poi corretti. La fotografia digitale ha però il grosso vantaggio di
poter visionare immediatamente l’immagine ripresa, consentendoci di
modificare in tempo reale i parametri utilizzati.
****************
Appare a questo punto evidente la complessità delle operazioni da
eseguire in un tempo così breve come i pochi minuti che la totalità ci
concede per fotografare eventi molteplici, che oltretutto richiedono tempi di
posa e focali differenti. Per cimentarsi nella ripresa di una eclisse totale di
Sole è fondamentale ed indispensabile curare con molta attenzione i
seguenti aspetti :


l’organizzazione del lavoro che si vuole eseguire;
una preparazione molto curata della strumentazione;
184

effettuare prove simulate delle operazioni da svolgere durante la
fase di totalità.
COME ORGANIZZARE LE RIPRESE FOTOGRAFICHE
L’attività fotografica da svolgere durante l’eclisse non può certamente
essere improvvisata, e deve essere preparata con particolare attenzione,
soprattutto per come ci si dovrà muovere durante la totalità.
Bisogna innanzitutto predisporre un elenco di tutte le operazioni da
effettuare per preparare la strumentazione (messa a fuoco, pellicole / flash
cards, batterie, collegamenti elettrici, filtri, ecc...): ogni particolare deve
essere verificato prima che cominci l’eclisse.
E’ molto importante preparare una scaletta con la sequenza degli scatti
programmati e dei relativi di tempi di posa (e comunque comprensiva di
ogni manovra da effettuare). Dovremo tenere questa scaletta a portata di
mano seguendola scrupolosamente nei momenti cruciali. Nei pochi minuti
di totalità infatti la concentrazione sulla strumentazione è massima e non
c’è assolutamente tempo per pensare a quali immagini riprendere: tutto deve
già essere pianificato.
Bisogna anche considerare che assistere per la prima volta ad una
eclisse totale di Sole può provocare emozioni molto forti, in grado di
pregiudicare la concentrazione necessaria per riuscire a documentare
l’evento. Mi è accaduto personalmente ad Aruba, in maniera veramente
inaspettata: essere consapevoli di questa eventualità aiuta moltissimo a
superare il momento di forte emozione.
Il programma di ripresa può essere approntato per un singolo operatore
o per un gruppo: ovviamente l’impostazione sarà molto diversa.
Nel caso di un singolo operatore, bisogna rendersi conto che non sarà
possibile riprendere tutti gli aspetti che l’eclisse totale presenta: nei pochi
minuti di totalità non è verosimilmente possibile pretendere di cambiare
ottiche e pellicole. Sarà necessario fare delle scelte a priori concentrandosi
sugli aspetti ritenuti più interessanti ed organizzando le riprese in tal senso.
Nel caso di un gruppo ben affiatato, ci si può invece organizzare in
maniera tale che ogni operatore si dedichi a determinati aspetti del
fenomeno, riuscendo così ad ottenere alla fine una documentazione
completa dell’evento (senza escludere – per esempio – anche una ripresa
filmata).
185
Per garantire un buon risultato finale e soprattutto per evitare sorprese
sgradevoli, è molto importante cercare di prevedere qualsiasi inconveniente
ritenuto possibile. Il verificarsi di un imprevisto non ci deve mai cogliere di
sorpresa, ma dovremo sempre essere pronti ad intervenire velocemente
mettendo in atto soluzioni già preparate e memorizzate.
Nella più sfortunata delle ipotesi – è cioè nel caso in cui qualcosa ci
impedisca di seguire il programma fotografico che avevamo predisposto –
non ci lasceremo prendere dallo sconforto del momento e cercheremo
comunque di incamerare un risultato minimo, possibilmente di qualità:
meglio poche immagini ben riuscite che tante non significative, o peggio
nulla!!
MESSA A PUNTO DELLA STRUMENTAZIONE
Gli aspetti appena considerati circa l’organizzazione delle riprese
fotografiche, ci fanno capire quanto sia importante la messa a punto della
apparecchiature che dovremo utilizzare.
Cercheremo di contenere al minimo la strumentazione anche in funzione del
viaggio da affrontare, ma tutto quello che decideremo di portare con noi
dovrà essere verificato in ogni sua parte sia per l’affidabilità che per
l’efficienza. Controlleremo - ovviamente prima della partenza - che ogni
componente funzioni correttamente.
Anche in questo caso è opportuno preparare con discreto anticipo un elenco
scritto:


di tutta la strumentazione che ci serve, ad evitare che nella
frenesia della partenza si possa dimenticare qualche accessorio
fondamentale e poi non reperibile sul luogo dell’osservazione;
di tutte le manovre e i controlli da effettuare per preparare
l’attrezzatura in modo che sia tutto veramente pronto per
l’inizio dell’eclisse.
Questi accorgimenti possono apparire fuori luogo, ma sono dettati
dall’esperienza e tengono conto anche dell’emozione che normalmente
cresce più si avvicina il momento della totalità .
186
Altro aspetto estremamente importante è la perfetta conoscenza delle
apparecchiature che dovremo utilizzare: per ogni intervento da effettuare in
momenti critici, è indispensabile sapere dove dobbiamo mettere le mani e
quali manovre compiere. Durante la totalità non c’è sicuramente il tempo di
consultare un libretto di istruzioni o di metterci a cercare una batteria che
non riusciamo a trovare. Questo aspetto è da tenere in considerazione specie
per quanto concerne il software delle fotocamere digitali, considerando
altresì che la tecnologia digitale è piuttosto recente ed è stata sperimentata
soltanto sulle ultime eclissi che hanno fornito le prime indicazioni utili,
come di seguito illustrato.
PROVE DA EFFETTUARE PRIMA DI RIPRENDERE
UNA ECLISSE DI SOLE
Oltre alla verifica di tutta la strumentazione cui si è precedentemente
accennato, volendo riprendere una eclisse centrale di Sole è molto
consigliabile effettuare altri controlli che aumentano le nostre possibilità di
ottenere buoni risultati. In particolare:

tempi di posa
La messa a punto è essenziale per le fotocamere tradizionali,
per le quali non è possibile vedere l’immagine ripresa in tempo
reale. Sia per la pellicola che per il digitale, si consiglia di effettuare
le prove fotografando il Sole pieno con gli appositi filtri: per la
pellicola saranno da utilizzare i tempi di posa indicati nella tabella
riprodotta in precedenza. Per quanto riguarda le fotocamere
digitali, una volta verificati i tempi ottimali per la ripresa del Sole
“pieno” (validi anche per tutta la parzialità) si ricavano per
confronto con la tabella dei tempi pellicola - matematicamente con
una semplice proporzione - anche le esposizioni corrette per le fasi
della totalità e per i vari dettagli (corona, protuberanze, cromosfera).
L’esperienza maturata nel 2005, 2006 e 2008 mi ha consentito di
ottenere immagini digitali ben calibrate con i seguenti tempi di
posa, operando a f/5.6 e ISO 800:



Sole pieno / parzialità: 1/5000 sec. (con filtro Astrosolar);
Anello di Diamante : 1/1000 sec;
Cromosfera / Grani di Bailys: 1/8000 – 1/5000 sec;
187



Protuberanze: 1/5000 – 1/1000 sec;
Corona: 1/1000 (corona interna) – 1/15 sec (corona esterna)
vibrazioni
Le fotografie dell’eclisse, oltre ad essere scattate con tempi di
posa corretti, non devono evidenziare il cosiddetto “effetto mosso”,
che può essere causato:
 da tempi di posa corretti per la luminosità del soggetto, ma che
per il rapporto tra la sensibilità e l’ingrandimento utilizzati
risultano troppo lunghi, così da evidenziare il moto apparente del
Sole e della Luna. In questo si può intervenire:
 ricorrendo ad una montatura equatoriale motorizzata (valutando
la possibilità del trasporto e dell’alimentazione) che annulla il
moto apparente degli astri;
 abbassando il tempo di esposizione e incrementando di
conseguenza il valore ISO utilizzato, e/o impiegando un’ottica
più luminosa;
 da cavalletti / montature troppo leggeri rispetto alla
strumentazione che devono sostenere, così da risultare troppo
sensibili ad elementi di disturbo quali il movimento dello
specchietto della macchina fotografica in fase di scatto o una
leggerissima brezza. Una volta verificato che non si stia
esagerando con il carico della strumentazione, in questo caso
non resta che procurarsi un cavalletto / montatura adeguati.
Questi tipo di messa a punto è essenziale sia per le fotocamere tradizionali
che per le digitali.

Eseguibilità del programma fotografico preparato
Una volta soddisfatti tutti gli aspetti tecnici fin qui illustrati,
sarà anche opportuno verificare che il programma fotografico messo
a punto per la totalità (o anularità) sia compatibile con i tempi del
fenomeno da riprendere (ricordiamoci che le eclissi centrali non
hanno sempre la stessa durata nella fase culminante). E’ sufficiente
simulare l’operatività programmata per renderci conto se stiamo
lavorando in accordo con i tempi dell’evento. In caso contrario
188
dovremo apportare delle variazioni al nostro programma, finché non
otterremo il risultato voluto.

test finale
La prova integrale di tutto quello che ci siamo preposti di fare
nei pochi minuti della fase centrale diventa indispensabile per
acquisire tutti gli automatismi che ci permetteranno di muoverci con
sicurezza durante l’eclisse, mettendo anche in evidenza eventuali
passaggi delicati o critici del programma di ripresa.
Si consiglia di provare più volte come se ci si trovasse
veramente davanti all’eclisse, fino a quando non ci si sentirà sicuri
di ogni azione da effettuare.
Prove di questo genere sono ancora più importanti quando si
lavora in gruppo.
OSSERVAZIONE O FOTOGRAFIA?
E’ sicuramente una scelta da fare a priori. Certo la sola osservazione
consente di gustare appieno il fenomeno sul momento senza essere distratti
da altri impegni, ma non ci potrà dare la soddisfazione di qualche immagine
scattata proprio mentre stavamo vivendo l’emozione dell’eclisse.
Anche chi decide di dedicarsi alla fotografia, difficilmente può
rinunciare a qualche istante di osservazione: bisogna però fare in modo che
lo strumento per l’osservazione sia a portata di mano senza rischiare in ogni
modo di compromettere il programma di ripresa.
189
APPENDICE
ECLISSE TOTALE DI SOLE DEL 1 AGOSTO 2008
190
Come si può rilevare, l’evento è caratterizzato da magnitudine 1,0394
che comporterà una durata massima nel punto centrale d’eclisse di 2 minuti
e 27,2 secondi (Greatest Eclipse). Come sito di osservazione del fenomeno
si è optato la Siberia (Russia) e precisamente per la città di Barnaul,
aderendo ad un viaggio appositamente organizzato dalla UAI (Unione
Astrofili Italiani).
Fig. 15 – Mappa dettagliata della fascia di totalità in corrispondenza del luogo prescelto per
l’osservazione.
Per quanto riguarda i tempi esatti dell’eclisse, si è osservata la seguente
cronologia:
EVENTO
Primo contatto (l’eclisse inizia):
Secondo contatto (Inizia la totalità):
Terzo contatto (fine della totalità):
Quarto contatto (l’eclisse finisce):
Altezza del Sole sull’orizzonte durante
la totalità:
Durata della totalità
191
Tempo Universale
09:44:57.3
10:47:31.0
10:49:46.6
11:48:16.7
29°
2m 16s
I
L CIELO VISIBILE DURANTE LA TOTALITA’
In conclusione, in fig. 16 viene rappresentato il cielo osservato il 1
Agosto 2008 durante la fase di totalità. Oltre ai pianeti Venere,
Mercurio, Saturno e Marte, compaiono anche le stelle più brillanti
Vega, Capella e Arturo.
Fig.16 – Il cielo visibile durante la totalità.
192
193
Fabio Zucconi
PROBLEMATICHE OTTICHE NELLA RILEVAZIONE
DI TRANSITI DI PIANETI EXTRASOLARI
Durante la rilevazione di un transito di un pianeta extrasolare attraverso
fotometria lo scopo è quello di misurare il calo di flusso luminoso della
stella attorno alla quale orbita il pianeta. In un modello privo di qualsiasi
problematica il risultato di una curva di luce della stella durante il transito
studiato sarebbe quello mostrato in figura:
La realtà purtroppo si discosta parecchio da questa situazione per vari
motivi, molti dei quali riguardano il passaggio della luce attraverso la nostra
atmosfera
TURBOLENZA ATMOSFERICA
La turbolenza atmosferica ha l’effetto di increspare i fronti d’onda della
luce in arrivo dalla stella che entrano nel telescopio. Questi in assenza di
atmosfera sarebbero fronti piani (per l’elevata distanza della sorgente
luminosa) che generano un’esatta figura di diffrazione al piano focale (il
famoso disco di Airy). Gli effetti di queste perturbazioni sul piano focale e
sul risultato della curva di luce sono principalmente due: il primo è uno
sparpagliamento della luce maggiore rispetto alla figura di diffrazione,
questo fenomeno non va a incidere negativamente sul processo di
rivelazione del transito perché non cambia il flusso luminoso totale della
stella entrante nel tubo del telescopio. Il secondo effetto invece è noto come
scintillazione atmosferica e consiste in una variazione della convergenza dei
raggi luminosi in arrivo dalla stella, quindi una variazione della quantità di
flusso entrante nel telescopio. Questo chiaramente andrà a creare una
194
fluttuazione nel tempo della curva di luce e renderà più difficoltosa l’analisi
della curva e la stima dei parametri del pianeta.
L’entità dell’azione della scintillazione atmosferica è molto difficile da
valutare, varia con le condizioni atmosferiche, con l’altezza sul livello del
mare e sul grado di equilibrio termico del telescopio e degli oggetti vicini, ci
si può fare un’idea però della sua dipendenza da alcuni parametri con la
formula empirica di Radu Corlan (dove con s si intende l’errore relativo
del flusso):
 S  0.09
A1.75
D 0.66 2t
Come è facile prevedere, le fluttuazioni di scintillazione atmosferica
nelle varie pose CCD aumentano con l’aumentare della massa d’aria (A)
mentre diminuiscono con l’aumentare del diametro del telescopio usato (D)
e con l’aumentare del tempo di integrazione (t) delle singole pose.
ESTINZIONE ATMOSFERICA
Il modello sopra descritto prevede una totale trasmissione dei raggi
luminosi nell’atmosfera, in realtà l’atmosfera è fatta da gas con una certa
densità ottica perciò una parte della radiazione luminosa non riceverà il
sensore e non sarà misurata generando il fenomeno dell’estinzione
atmosferica. Ci proponiamo di capire come varia macroscopicamente il
flusso luminoso ricevuto in funzione della massa d’aria.
195
Immaginiamo l’atmosfera come un guscio di spessore R con uguale
densità macroscopica in ogni tratto e una radiazione monocromatica di
lunghezza d’onda
che la attraversi. Questa è una grossa approssimazione
perché sappiamo che l’atmosfera si dirada con l’aumentare della quota, ma
non influisce in alcun modo sullo scopo prefissato cioè di capire la
variazione di flusso luminoso, non quanto questo effettivamente sia. Se il
raggio luminoso percorre un tratto l di atmosfera, il flusso ricevuto Lout si
sarà abbassato di un fattore esponenziale come mostrato nella formula:
dove k è una costante, con le dimensioni di una lunghezza, che quantifica la
distanza da percorrere per scalare il flusso di un fattore e-1. Considerando
osservazioni fatte sempre con lo stesso telescopio, quindi una visuale
sempre con la stessa sezione, la lunghezza l del tratto percorso in atmosfera
dal raggio è direttamente proporzionale alla massa d’aria. Vediamo quindi
la dipendenza del flusso entrante nel telescopio dalla massa d’aria (quindi
dall’altezza sull’orizzonte) in un grafico.
Esempio di dipendenza esponenziale del flusso ricevuto a terra da una tella al variare della
massa d’aria. I dati sono trattati per avere una costante spaziatura in massa d’aria. Il fit è fatto
con l’esponenziale con k=5.7 (R)
In realtà nell’esempio precedente abbiamo trattato dei punti sperimentali
ripresi al CCD con un fit di tipo esponenziale descritto sopra, ma questo non
196
è corretto perché il nostro CCD è esposto a radiazione non monocromatica e
ha una certa banda passante ovvero è sensibile a diverse lunghezze d’onda.
Il parametro k descritto prima è fortemente dipendente dalla lunghezza
d’onda della luce. Per ora possiamo semplicemente trascurare il fenomeno
considerando sorgenti con spettro a campana molto stretta, approssimabile a
una delta di Dirac. Vedremo tra non molto che la dipendenza di k dalla
lunghezza d’onda può avere ripercussioni drammatiche sulle curve di luce,
specie su quelle molto protratte nel tempo per transiti lunghi.
FOTOMETRIA DIFFERENZIALE
L’estinzione atmosferica ci garantisce che la curva di luce che otterremo
da una stella durante un transito avrà ben poco a che fare con quella studiata
nel modello fisico.
Esempio di curva di luce in funzione del tempo (XO-2 del 6 febbraio
durante un transito). La curva è evidentemente di difficile
interpretazione…
Un transito può durare diverse ore, inevitabilmente la stella cambierà
altezza sull’orizzonte e di conseguenza le condizioni di massa d’aria
producendo un risultato come quello visto in figura. Di per se questo non
sarebbe un grosso problema perché conoscendo la dipendenza dell’angolo
zenitale dal tempo, si potrebbe capire l’effetto dell’estinzione e
rilinearizzare il grafico in un secondo tempo, ma bisogna considerare che
nella durata del transito le condizioni di trasparenza del cielo possono anche
197
solo leggermente calare per una leggera velatura nuvolosa creando una
nuova variabile di difficile controllo.
Curva di luce (sempre XO-2 del 6 febbraio) trattata con il metodo
della fotometria differenziale
La procedura della fotometria differenziale ci viene in aiuto per questi
problemi e ci permette di ottenere dei risultati utili cancellando quasi
totalmente il problema dell’estinzione e della copertura nuvolosa. Il
concetto alla base di questa procedura è questo: in ogni posa, oltre a ricavare
il flusso entrante di XO-2, si ricava il flusso entrante di un’altra stella nelle
immediate vicinanze. Si calcola il rapporto tra i due valori e si traccia questa
variabile nella curva di luce.
L’estrema vicinanza delle due stelle fa in modo che il valore di massa
d’aria sia praticamente lo stesso per le due stelle in ogni momento, per cui
l’estinzione atmosferica si comporterà allo stesso modo nei due casi
lasciando pressoché inalterato il rapporto. Anche il problema della copertura
nuvolosa è risolto: se in una certa posa una nuvola blocca una certa
percentuale di flusso di una stella, la stessa cosa farà con l’altra stella e il
rapporto ancora una volta rimarrà inalterato.
La fotometria differenziale è utile se la stella di riferimento è il più
possibile vicina a quella studiata e se non presenta una rilevabile variabilità,
ovviamente si da per scontato che la stella di riferimento non subisca anche
lei un transito di un pianeta extrasolare.
Dalla curva di luce così ottenuta, conoscendo il valore di flusso standard
costante della stella di riferimento, si ricaverà il flusso della stella studiata.
La fotometria differenziale, indispensabile per questo genere di studi, ha due
importanti punti deboli: il primo riguarda il fatto che dobbiamo misurare il
198
flusso a due stelle anziché una e combinare i risultati, cosa che aumenterà
l’errore fotometrico, dato che la scintillazione atmosferica dobbiamo
aspettarci che non sia correlata nei due casi. Con lo scopo di ottenere il
minor errore fotometrico possibile, sarebbe utile sfruttare non una sola stella
di riferimento, ma tutte quelle possibili nel campo, considerando sempre la
distanza angolare dalla stella in esame e la loro stabilità, sommandone i
flussi. In questo modo si possono mediare gli effetti di scintillazione sulle
diverse stelle di riferimento e ottenere un minore errore di scintillazione. Il
secondo problema riguarda il colore delle stelle e sarà trattato in dettaglio
nel prossimo capitolo.
DIFFUSIONE DELLA LUCE
Abbiamo già accennato al fatto che l’entità di estinzione atmosferica
dipenda molto dalla lunghezza d’onda della radiazione considerata.
Consideriamo un processo di fotometria differenziale (con una sola stella di
riferimento) in cui la stella in esame e la stella di riferimento abbiano una
classe spettrale diversa, perciò un colore diverso. Nella nostra
approssimazione dobbiamo immaginarci lo spettro in arrivo da queste due
stelle come due delta di Dirac centrate su valori diversi di lunghezza d’onda.
L’effetto dell’estinzione atmosferica sarà quello dato dalle equazioni
scritte sopra, con due valori differenti di k associati a quelle particolari
lunghezze d’onda. Non è facile determinare con esattezza la relazione che
lega k alla lunghezza d’onda, ciononostante è sufficiente sapere che,
essendo la diffusione il fenomeno predominante, questa fa si che k cresca al
crescere della lunghezza d’onda.
In realtà le stelle hanno uno spettro di corpo
nero, con un picco che dipende dalla
temperatura secondo la legge di Wien. Questo
spettro viene però modificato dall’atmosfera
stellare, dal mezzo interstellare e dalla nostra
atmosfera
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Estinzione atmosferica (flusso relativo su massa d’aria) per due stelle di diversa classe
spettrale, i punti rossi sono riferiti alla stella ref A del 6 febbraio (fit con k=5.7 R), quelli blu
alla stella ref B sempre del 6 febbraio (fit con k=4.3 R). Non a caso è stata scelta questa
colorazione, i dati ci suggeriscono che ref B abbia una classe spettrale più spostata verso il
blu di ref A.
Chiaramente il diverso comportamento dell’estinzione tra le due stelle
renderà la curva di luce della fotometria differenziale un po’ alterata come
mostrato nella figura sotto.
Curva di luce in fotometria differenziale tra due stelle (senza transiti) di diversa classe
spettrale. C’è un evidente trend in salita.
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Ci aspettiamo un trend della curva in salita se la stella di riferimento è
più blu di quella in esame mentre la massa d’aria sta aumentando (proprio il
caso dell’esempio mostrato) oppure se la stella di riferimento è più rossa
mentre la massa d’aria scende.
Nei due casi opposti si avrà un trend in discesa. Ovviamente più gli
spettri delle stelle si avvicinano e più questi trend diventano trascurabili.
Nell’intento di fare fotometria differenziale a una stella utilizzando un
gruppo di stelle di riferimento, sarebbe molto utile conoscere i valori di k di
tutti gli oggetti utilizzati.
Sfortunatamente spesso le stelle che bisogna utilizzare sono molto
deboli, perciò la loro classe spettrale può non essere nota. Esistono alcune
survey che hanno fatto fotometria (anche digitale) in diverse bande spettrali
ad ampie zone di cielo sfortunatamente spesso la precisione fotometrica
raggiunta da questi lavori e la scelta delle zone di spettro indagate non
permettono di stabilire con sufficiente chiarezza la classe spettrale di queste
stelle.
Quello che rimane da fare è stimarsi da soli i valori di k. Questo è
possibile con la nostra stessa strumentazione, facendo fotometria
differenziale a tutte le stelle utilizzate in due condizioni di massa d’aria
molto diversa. Da questi dati è possibile non solo linearizzare la curva di
luce ottenuta, ma prevedere quali saranno i trend non lineari nelle
condizioni di ripresa.
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RINGRAZIAMENTI
E’ con particolare piacere che ringraziamo tutti coloro che hanno contributo
alla buona riuscita delle manifestazioni di astronomia e del Convegno.
Vogliamo qui ricordare tutto il personale del Comune di Busana, con Franco
Correggi in testa.
Per quanto riguarda le riprese web dell’evento, esprimiamo tutta la nostra
gratitudine, per l’impegno e la professionalità profusa, a Fabiano e
Francesco Barabucci e a Gianclaudio Ciampechini. Poi, a Giuseppe Vella,
speaker della manifestazione e a Antonello Medugno, webmaster del portale
EAN.
Un grazie di cuore all’amico Luigi Bignami per la bellissima conferenza
introduttiva.
Ovviamente non saremmo qui a parlare di inaugurazione dell’Osservatorio
di Cervarezza Terme se non ci fosse stato l’indefesso impegno, lungo un
decennio, del locale gruppo astrofili, il GADAR, nelle persone del suo
Presidente Pietro Campani (e Signora), Stefano Campani, Gabriele
Fontana…..
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