la rivoluzione di francesco, il papa del cambiamento

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LA rivoLuZione di frAnceSco, iL
pApA deL cAmBiAmento
roBerto monteforte
Giornalista de “l’Unità”
C
onquista Papa Francesco.
Lo dice l'entusiasmo dei fedeli che
affollano le piazze per incontrare il
suo sguardo e il suo sorriso e ancora più la sua capacità di infondere speranza e parlare al cuore di
ogni uomo e ogni donna. Anche di
tanti che sono lontani dalla fede e
che di fronte alla testimonianza del
Papa “pastore” venuto da Buenos
Aires, così vicino alle sofferenze
dell'uomo si sentono sorretti, compresi. E' come se avessero incontrato un padre che non ha paura di
mostrare tenerezza e riconoscere
le proprie debolezze. Un padre
comprensivo, che rassicura spiegando che solo accettando la fragilità umana, i propri limiti è
possibile far posto alla misericordia di un Dio che è sempre pronto
al perdono. Non è la voce di una
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Chiesa che inflessibile, giudica e
condanna, ma che sa accogliere. Di
un padre che non solo rincuora,
ma dimostra anche l'energia per tenere ferma la barra del cambiamento.
Abbiamo un Papa “pastore”. Questa è stata la scelta del Conclave. La
cura per una Chiesa ferita dalle divisioni e dalle lacerazioni della
Curia esplose soprattutto dopo lo
scandalo di Vatileaks che hanno
portato Papa Benedetto XVI alla
rinuncia: gesto sorprendete, segno
di grande umiltà, libertà e soprattutto coraggio. E' dalla “rinuncia”
di Papa Ratzinger che si è arrivati
a Jorge Mario Bergoglio “vescovo
di Roma”, scelto dai cardinali
“quasi dalla fine del mondo”, il
primo Papa latino americano e gesuita della storia. A capo della
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Chiesa universale vi è un uomo che
ha un modo di vedere il mondo libero dalle logiche e dai condizionamenti curiali. Che annuncia
cambiamenti significativi e profondi: quelli che molti cardinali
espressione delle giovani Chiese
d'A sia, Africa e d'America hanno
chiesto. Il suo sarà un pontificato
di cambiamenti. La sua “rivoluzione” è già iniziata.
E' indicativo già il nome scelto:
quello di Francesco, il santo di Assisi che rivoluzionò la Chiesa. Lo
chiarirà lui stesso: “E' l’uomo della
povertà, l’uomo della pace, l’uomo
che ama e custodisce il creato”. Ed
è questa la rotta che vuole seguire
Papa Francesco. Una rotta difficile.
Per essere credibile, per essere coerente con il messaggio evangelico
“la Chiesa deve essere povera e vicina ai poveri”. Deve saper uscire
dai suoi recinti e dalle sue sicurezze “per andare verso le periferie
del mondo, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali”.
Aperta al confronto con tutti per
offrire a tutti la speranza dell'amore di Cristo. Chiede autenticità alla Chiesa, che non deve
essere una Ong, come i parroci
non devono sentirsi degli “impiegati”, ma dei pastori che devono
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avere “l'odore delle loro pecore”. E'
esigente Papa Bergoglio. Per testimoniare la fede è necessario rischiare. E' quello che chiede. Per
incontrare “il Dio vivo” afferma
spesso “è necessario baciare con tenerezza le piaghe di Gesù nei nostri fratelli affamati, poveri, malati,
carcerati”.
E' quello che ha fatto e sta facendo.
Il suo primo viaggio è stato all'isola di Lampedusa, estremo
lembo d'Europa, per rendere
omaggio ai migranti in fuga da realtà di morte e disperazione e soprattutto per ricordare le tante
vittime dimenticate. Per essere vicino agli isolani che hanno accolto,
vestito e protetto tanti giovani disperati. Questa visita è un gesto
forte di denuncia dell'ingiustizia e
dell'indifferenza verso il destino di
interi popoli. “Come fa a fare più
scandalo - si è domandato più
volte scandalizzato - un calo in
Borsa rispetto ad uno uomo che
muore all'angolo della strada?” . E'
l'invito a rivedere la scala delle
priorità e quello dei valori. Al centro deve esservi l'uomo e la sua dignità.
E' un Papa dei gesti. Capace di comunicare con la sua fisicità, con il
calore e la simpatia latino-ameri-
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cana, ma sobrio ed essenziale.
Lo ha mostrato sin dall'inizio del
suo pontificato nel suo primo saluto al popolo di Roma dopo la sua
elezione a pontefice la sera del 13
marzo. Si è affacciato dalla prima
loggia della Basilica di san Pietro
per salutare e benedire la folla di
fedeli, senza mozzetta e senza
croce d'oro. Era semplicemente
l'uomo vestito di bianco, il vescovo
di Roma che chiede di essere benedetto dai fedeli che gremiscono la
piazza, di pregare per lui peccatore
e che china il capo al momento
della preghiera, sancendo così un
rapporto nuovo, più forte tra il vescovo e il suo popolo, tra il pastore
e il suo gregge. E che con il suo saluto “buona sera” e “buona cena”, a
cui ogni domenica, dopo l'Angelus
fa seguire un cordiale “buon
pranzo” entra nella quotidianità
della vita familiare. Sarà il timbro
di questo pontificato.
Alla fine della sua prima messa celebrata nella parrocchia di sant'Anna in Vaticano, come un buon
parroco, vorrà salutare uno per
uno tutti i fedeli che hanno partecipato alla celebrazione, per
ognuno una parola, un'attenzione.
E quando incontrerà i giornalisti in
udienza, per rispetto verso le di-
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verse sensibilità religiose, impartirà una benedizione silenziosa, rivolta al cuore di ciascuno. Un
gesto di attenzione profonda.
Un'attenzione che si vede ad ogni
udienza, ad ogni incontro, nel calore del suo abbraccio rivolto in
particolare alle persone malate e
sofferenti. Il suo sguardo e il suo
sorriso cercano e incontrano la
persona. “Non abbiate paura della
tenerezza” è stata una sua esortazione. L'amore va mostrato. E tra i
suoi “gesti” vi è stato quello di visitare per il “Giovedì santo” i giovani
reclusi nel carcere minorile romano di Casal di Marmo. Ha lavato i piedi a dodici di loro, vi
erano anche due donne e dei ragazzi musulmani: ha ridato a tutti
la speranza. Qualcosa è cambiato
nelle loro vite.
E' questa la “rivoluzione gentile” di
Papa Francesco. Fatta anche di
strappi decisi per riportare la
Chiesa sulla strada retta e liberarla
da quella che più volte ha indicato
come la grande insidia da sconfiggere: la mondanità, che porta a seguire la via dell'ambizione e
dell'interesse personale, del potere
e del denaro, del carrierismo e
della corruzione. Le ha indicate
come “vere tentazioni” segno della
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presenza di Satana. E' stato chiaro:
se tutti sono peccatori e per tutti è
possibile il perdono perché Dio è
pronto a concederlo, è la corruzione il vero cancro senza speranza. Anche nella Chiesa.
Mette in guardia Papa Bergoglio e
dà l'esempio. Il contrario della
mondanità è la vita sobria. Lui dà
l'esempio e segue la normalità.
Vuole restare fedele a se stesso, a
quello che è sempre stato da padre
gesuita, prete e vescovo che nella
sua Buenos Aires viveva in un appartamentino con un suo confratello più anziano e si faceva da
mangiare da solo. Che per spostarsi e raggiungere le periferie
della città prendeva la metro e gli
autobus.
Da vescovo di Roma rinuncia agli
onori della sovranità pontificale, a
quei meccanismi curiali che lo
avrebbero potuto imprigionare.
Non andrà a vivere nell' “Appartamento” del Palazzo apostolico e
non indossa oggetti d'oro. Un bell'esempio per chi anche Oltretevere ostenta i segni del potere. Lui
preferisce la residenza di Santa
Marta in Vaticano dove, come gli
altri cardinali, è stato ospite durante il Conclave. Rompe così con
una consuetudine che nel tempo
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ha determinato precise e stratificate logiche di potere, perché nella
Curia romana si ritiene conti di più
chi è vicino al pontefice, chi può
fargli da filtro e può anche influenzarne le decisioni. Alla Domus di
Santa Marta Papa Francesco vive
una condizione “normale” e senza
filtri: può incontrare gli altri ospiti,
vivere una dimensione più comunitaria, avere scambi e farsi un'idea
personale dei problemi della Curia
romana.
Ogni mattina vi celebra la messa
con cardinali, vescovi, qualche
amico e gruppi di dipendenti degli
uffici della Città del Vaticano. Le
sue omelie sono molto attese perché offrono spunti di riflessione
importanti sulla vita della Chiesa e
indicative delle scelte che intende
perseguire. “San Pietro non aveva
un conto in banca e quando ha dovuto pagare le tasse il Signore lo ha
mandato al mare a pescare un
pesce” dirà lo scorso 11 giugno
2013. E prima, il 24 aprile in un'altra occasione: ”Lo Ior è necessario
sino a un certo punto. Quando
prevale la burocrazia la Chiesa
perde la sua principale sostanza:
l'aiuto e l'amore”. Il primo pensiero
di Bergoglio è per chi soffre, per
chi è colpito dalla crisi, dalle logi-
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che della speculazione, del profitto
e dello sfruttamento. Nell'udienza
del 1° maggio il Papa argentino figlio di immigrati italiani sarà
chiaro nella denuncia per la condizione di quanti sono disoccupati
“spesso a causa di una mentalità
egoista che cerca il profitto ad ogni
costo”. E' forte la sensibilità sociale
e la critica del capitalismo selvaggio di Bergoglio maturata nella sua
Argentina e alla scuola della “Teologia popolare”, attenta come la
Teologia della Liberazione diffusa
in altri Paesi dell'America latina
alla centralità dell'uomo e della sua
liberazione dall'oppressione, ma
senza fare riferimento al marxismo
e alla lotta di classe.
Ogni giorno da Santa Marta il
Papa “gesuita” offre spunti per il discernimento sviluppando una sua
catechesi quotidiana che accompagna quella delle udienze generali
del mercoledì.
Dopo l'esame di coscienza e il
tempo dell'approfondimento viene
quello delle decisioni che sicuramnete verranno. E' questo il metodo
usato da Bergoglio.
E' stato scelto dal collegio cardinalizio per riformare la Chiesa e la
Curia romana. Per rispondere così
anche agli scandali e alle divisioni
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che l'hanno ferita, che hanno coinvolto il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. Si è preso
tempo Papa Francesco per decidere il meglio. Molti sperano, altri
temono le novità. Una cosa è certa:
con Papa Francesco è cambiato il
punto di vista della Chiesa sul
mondo. Non vi è più la centralità
della Curia romana. Ha rilanciato
il Concilio Vaticano II e la sinodalità, il contributo costante dei vescovi alle scelte di governo.
Tra i suoi primi punti in agenda vi è
la riforma della Curia romana.
Scombinando ogni schema ha nominato una commissione di cardinali espressione della Chiesa di tutti
i continenti presieduta dal porporato honduregno Mariadiaga, che lo
affiancherà nel complesso processo
di riorganizzazione della Curia. Ne
è fuori l'attuale segretario di Stato,
mentre ne fa parte il prefetto del
Governatorato, cardinale Bertello.
L'altro punto caldo è lo Ior, la
“banca” vaticana coinvolta in scandali e inchieste sul riciclaggio. Bergoglio vuole capire per poi
decidere. A sorpresa ha nominato
come “prelato” dello Ior, in un
ruolo delicatissimo di collegamento tra la struttura e gli organi
di controllo, monsignor Ricca, una
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persona di sua fiducia Ha pure
istituito una commissione presieduta dal cardinale Farina per esaminare l'attività dell'istituto, le sue
competenze anche negli aspetti
giuridici, per verificare che le sue
finalità e la sua azione concreta
siano in armonia con la missione
della sede apostolica. Si va oltre il
percorso di trasparenza avviato da
Benedetto XVI e gestito con contraddizioni dal segretario di Stato,
cardinale Bertone. Ma le vicende
giudiziarie che hanno visto coinvolto monsignor Scarano hanno
spinto il pontefice ad accelerare
l'azione di bonifica: sono stati “dimessi” il direttore generale dello
Ior Paolo Cipriani e il suo vice,
MassimoTulli.
E' solo l'inizio di un percorso impegnativo. Il Papa si consulta, approfondisce, ascolta e poi decide.
Vi sono scelte impostate dal suo
predecessore cui mette il suo timbro. E' stato così con l'Enciclica
Lumen Fidei scritta a quattro mani
con Papa Benedetto XVI, o con
l'autorizzazione alla santificazione
di Giovanni Paolo II a cui ha voluto
si affiancasse quella di Giovanni
XXIII, il “Papa buono” che volle il
Concilio Vaticano II.
Bergoglio è un Papa che decide. Va
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alla sostanza e non bada troppo all'etichetta. Lo scorso 22 giugno è
rimasta vuota la poltrona bianca
riservatagli per il concerto in suo
onore nell'Aula Nervi per l'Anno
della Fede programmata da tempo.
Ha disertato. “Non sono mica un
principe rinascimentale che
ascolta musica – avrebbe osservato
- . Ho tante cose da fare. Devo lavorare”. E' rimasto a Santa Marta a
ricevere i nunzi apostolici convocati in Vaticano. Ad ognuno di loro
ha donato una croce d'argento.
Quelle d'oro meglio metterle da
parte.
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