Rosmini: sessualità, amore, famiglia

L’arte dell’accompagnamento
nell’universo delle relazioni.
Famiglia, sessualità, omosessualità,
convivenze, unioni civili
Antonio Rosmini: sessualità, amore, famiglia.
La sfida alla “post-umanità”
SAMUELE FRANCESCO TADINI
[La presente bozza di relazione deve ancora essere rivista e corretta dall’Autore per gli Atti. NdR].
1.
L’inquadramento ontologico-antropologico della
problematica
Quando lo svolgimento di un tema così delicato,
concernente l’affettività dell’uomo in relazione a sé e alla
società di oggi, viene affidato a un metafisico, è facile supporre
che egli ne tratti in modo quasi distaccato e solo per via di
princìpi, poiché si suppone che un metafisico desideri svolgere
esclusivamente in chiave teoretica l’intera problematica. In
realtà non è così, perché anch’egli è un uomo e possiede una
sua sensibilità e una propria affettività; per cui deve essere
assolutamente conscio del fatto che, di fronte a temi di questa
natura, non ci si possa affidare alla pura e disinteressata
teoresi.
Il problema antropologico, in relazione all’affettività, infatti,
richiede una chiara visione della realtà e una consapevolezza, oggi purtroppo venuta meno, che
non può disconoscere la magna quaestio del peccato originale1 e gli effetti ad esso dovuti2. Nessuna
scienza, nessuna teoresi, nessuna psicologia e nessuna disciplina neuroscientifica, infatti, potrà mai
dare una soluzione completiva in relazione alle problematiche dell’uomo, perché l’uomo di cui intendiamo parlare non è l’uomo perfetto (che è un ideale), e nemmeno il cosiddetto “uomo scientifico” – cioè l’uomo studiato dal solo punto di vista delle sue componenti fisico-biologiche – ma è
l’uomo concreto nella sua dimensione naturale e soprannaturale; vale a dire l’uomo come unità di
anima e corpo, che, pur non avendo colpe innate, ha però in sé tutti gli effetti del peccato originale,
che buona parte della cultura contemporanea ha deciso arbitrariamente di tralasciare dalle analisi
condotte sul soggetto uomo. Se non teniamo conto di questo, ciò che si potrà ottenere da un esame
dell’affettività umana, in relazione alla sessualità, all'amore e alla famiglia, non sarà altro che una
fenomenologia del presente “post-umano”, che ad altro non serve se non a darci un quadro dello
status quo di un individuo nel contesto specifico della società in cui vive. La constatazione di un fatto e il conseguente tentativo di interpretarlo, per poter comprendere cosa stia avvenendo in gran
parte della società umana, non sono sufficienti a presentarci soluzioni atte a provocare quella necessaria inversione di tendenza che dovrebbe animare ogni spirito attento alla verità, ma semplicemente a prendere atto della dissoluzione dell’uomo come valore in virtù dell’affermazione di
“valori”, supposti tali, che valgono magari per una certa parte della società, ma che al vaglio della
verità si mostrano per quello che sono: opinioni stravolte e stravolgenti che ridanno un ritratto
spaventevole e desolante dell’uomo post-umano di oggi.
Il metafisico, come ha insegnato Rosmini, deve tener conto di tutta la realtà, e siccome il mondo
dell’affettività è parte di quella realtà che riguarda tutti, non è possibile fingere che esso sia altro
rispetto all’esistenza, al vissuto, alla naturalità e alla soprannaturalità della persona, la quale non
ha valore, ma è valore, nella misura in cui, oggi, si ha ancora il coraggio di riaffermare il Cristianesimo come fatto ineludibile di una verità di per sé innegabile.
Sessualità, amore e famiglia costituiscono lemmi specifici che detengono, però, significati divenuti
nel corso della nostra contemporaneità decisamente mobili. Oggi, nella società liquida del postumanesimo3 in cui ci troviamo a galleggiare, o in quella virtuale in cui ci troviamo a navigare in rete, essi appaiono sbiaditi, annacquati, e resi ancor di più espressione di una soggettività diffusa il
cui unico scopo sembra quello di voler affermare l’esclusiva necessità di un preteso diritto alla libertà, disconoscendo la verità, la moralità, la dignità e il rispetto che si richiedono, affinché si possano generare premesse valide per una comprensione autentica del concetto di libertà, purtroppo
stravolto e ideologizzato all’estremo.
Il rigetto aprioristico post-umano della visione tradizionale cristiana, che considera la sessualità,
l’amore e la famiglia in relazione al concetto di valore, infatti, sembra oggi suggerito da un falso
concetto di libertà; un “cavallo di Troia” che nella sua pancia nasconde il virus della transvalutazione di ogni valore.
Quella porzione di umanità che definiamo “società costituita”, e che si differenzia a sua volta in
1.
Rosmini definisce il peccato originale come «una cotal concupiscenza, ed inclinazione al male della volontà (non già
solo dell’istinto animale) in quanto questa volontà è la suprema parte dell’uomo, e però quell’elemento, nel quale
risiede la personalità umana» (A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, a cura di U. Muratore, (39), Libro III, cap. V,
art. XI, p. 400).
2.
Cfr. A. ROSMINI, Trattato della coscienza morale, a cura di U. Muratore e S. F. Tadini, (25), Città Nuova, Roma 2012,
Libro I, cap. V, art. I e II, nn. 74-103, pp. 85-102; Antropologia soprannaturale, cit., Libro III, cap. V, art. I-XIII, pp. 383402.
3.
Con il termine post-umanesimo intendo la situazione esistenziale e concettuale post-nichilistica in cui sono sorte teorie di carattere antropologico che non contemplano la possibilità di intendere l’uomo nella sua multiforme espressione di soggetto personale affettivo, intellettivo e spirituale.
2
occidentale e orientale – anche se tale distinzione oggi risulta certamente più arbitraria che in passato –, accetta o rifiuta tutta una serie di sollecitazioni che concorrono a determinare un certo tipo
di comportamento, nella misura in cui la pluralità delle opinioni risulti più decisiva di una qualsiasi tradizione. Oggi, infatti, per molti il concetto di tradizione non possiede più lo stesso valore che
possedeva un tempo, e ad esso si sostituisce un miscuglio concettuale di termini miscelati assieme
quali: libertà, progresso, diritti civili, soggettività, pluralismo, tolleranza assoluta, relatività, e molti
altri ancora. Vien da sé che in un contesto di questo tipo, dove la novità conta più del valore, dove
il concetto stesso di valore non possiede più il suo significato fondamentale, mentre la verità è ricondotta ad un’opinione fra le tante, termini quali sessualità, amore e famiglia, subiscono quella che
io definisco una transignificazione ed una transvalorizzazione del senso originario, in generale, e del
senso cristiano in modo particolare.
Oggi non ci troviamo più in un contesto semplicemente nichilistico, cioè di negazione di un valore, ma siamo passati ad un livello successivo, che definisco post-negazionista, per mezzo del quale
non ci si limita a dire, ad esempio, che l’amore o la famiglia non esistono più, nel senso di non esistere più come un tempo erano esistiti, ma che esistono anche forme alternative, afferenti l’amore e
la famiglia, che “supererebbero” la concezione tradizionale e che, in quanto possibili, devono anche essere di diritto legittimate.
Tutto ciò è certamente possibile, ma è altrettanto vero, cioè conforme a Verità? Mi spiego. Il fatto
che sia possibile affermare ciò, significa pure che tale prospettiva corrisponda ad una maggiore esplicitazione del piano veritativo dell’uomo, oppure si tratta dell’ennesimo tentativo di affermare
la sua negazione, cioè la transignificazione e transvalorizzazione dell’uomo che lo conducono al
post-umano?
2.
Sessualità e contemporaneità: complessità dell’uomo e frammentazione scientistico-antropologica dell’individuo
La sessualità4 è un aspetto complesso e non trascurabile del comportamento umano che investe
diverse discipline e che concerne la naturale ricerca del piacere, gli atti finalizzati alla riproduzione
della specie, ma anche gli aspetti sociali riguardanti l’essere umano, correlatamente alle
caratteristiche diverse dei generi maschile e femminile.
Con il termine sessualità ci si riferisce esplicitamente agli aspetti psicologici, sociali, culturali e
religiosi del comportamento sessuale umano, mentre con l’espressione attività sessuale ci si riferisce,
in modo più specifico, alle pratiche sessuali dell’essere umano, le quali possono essere di varia natura e sfociare anche nel patologico: non deve stupire, dunque, che già verso la fine dell’Ottocento
la sessualità umana venisse presa in considerazione dagli studiosi proprio in relazione agli aspetti
patologici in essa ravvisabili5.
Se ci spostiamo nel Novecento, soprattutto con l’avvento della psicoanalisi freudiana, assistiamo ad un interesse esponenziale nei confronti di questa tematica; sicché i Tre saggi sulla teoria sessuale6, pubblicati da Freud nel 1905, possono essere considerati come il punto di partenza del metodo
psicanalitico applicato alla sessualità, che veniva così studiata in relazione all’influenza che essa
poteva avere sull’insorgenza di alcuni disturbi mentali come, ad esempio, la nevrosi.
4.
Per una disamina circa lo sviluppo storico del tema si rimanda a: L. STONE, La sessualità nella storia, Laterza, RomaBari 1995; M. FOUCAULT, Storia della sessualità, Feltrinelli, Milano 2002.
5.
Nel 1886, ad esempio, lo psichiatra e neurologo Richard von Krafft-Ebing pubblicò un’opera pioneristica dal titolo
Psychopathia sexualis, in cui le problematiche sessuali venivano connesse direttamente alle patologie psichiatriche.
6.
Cfr. S. FREUD, Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, Franz Deuticke, Leipzig und Wien 1905.
3
Dopo la rivoluzione sessuale7 degli anni ’30, si raggiunse un’altra tappa decisiva, questa volta in
terra statunitense, con la pubblicazione, tra il 1948 e il 1953, del noto Rapporto Kinsey8. Si trattava di
un lavoro corposo in cui un gruppo di studio, coordinato da Alfred Kinsey, aveva raccolto i risultati delle interviste condotte su ben 17.000 persone e dalle quali erano emersi dati sconcertanti per
la morale sessuale del tempo.
Dopo la rivoluzione sessuale, avvenuta tra il 1967 e il 1970, William Masters e Virginia Johnson
pubblicarono uno studio9 in cui veniva affrontata in modo approfondito ed esaustivo l’analisi della
fisiologia sessuale umana, al fine di considerare la sessualità soprattutto da un punto di vista clinico e terapeutico, mentre Helen Singer Kaplan, in una serie di studi10 pubblicati fra il 1974 e il 1979,
propose una nuova visione della sessuologia, basata su metodi di derivazione comportamentistica
e affiancati da una solida terapia psicoanalitica.
Dagli anni ’80 sino ad oggi non sono mancati studi che hanno sviluppato teorie atte a spiegare
la sessualità umana in direzione di una sempre più cogente chiarificazione delle più diverse problematiche ad essa correlate, soprattutto in relazione al problema dell’identità sessuale dei generi11
e dell’orientamento sessuale dell’individuo, caratterizzato, quest’ultimo, dal tipo di sessualità12 che
egli manifesta (implicitamente o esplicitamente).
Attualmente la comunità scientifica è pressoché concorde nel ritenere che gli aspetti sessuali
siano determinanti per la costruzione dell’identità personale e per l’evoluzione sociale dell'individuo. Ciò di cui ci si sta sempre di più accorgendo è che la sfera sessuale non riguarda solo gli aspetti materiali e istintivi dell’individuo, ma concerne l’affettività, l’emozionalità, la relazionalità
fra gli individui e la tradizione culturale e religiosa in cui ciascun individuo è cresciuto e si è sviluppato.
Molti aspetti della sessualità, però, lasciano aperte problematiche notevolmente complesse e di
fatto non risolte. La spiegazione, ad esempio, del perché i comportamenti sessuali siano così vari,
del perché vi siano atteggiamenti sessuali che giungono ad essere vere e proprie perversioni sfocianti nel patologico, restano campi d’indagine problematici, che la sola scienza non è in grado di
spiegare. Questo avviene perché si è perso di vista il concetto di uomo nella sua più pura essenza,
e lo si è considerato come un elemento fra i tanti, come un pezzo di carne – mi si passi l'espressione
brutale –, che altro non sarebbe se non un prodotto della natura, facilmente frantumabile, ma altret7.
Cfr. W. REICH, La rivoluzione sessuale (1930-1934), Feltrinelli, Milano 1963.
8.
Si tratta di due volumi rispettivamente intitolati Sexual Behavior in the Human Male (W. B. Saunders Co., Philadelphia 1948) e Sexual Behavior in the Human Female (W. B. Saunders Co., Philadelphia 1953), scritti da vari studiosi e coordinati da Alfred C. Kinsey, Wardell B. Pomeroy e Clyde E. Martin.
9.
Cfr. W. H. MASTERS – V. E. JOHNSON, Human Sexual Inadequacy, Little, Brown, Boston 1970.
10.
Cfr. H. S. KAPLAN, The New Sex Therapy, Brunner-Mazel, New York 1974; The Illustrated Manual of Sex Therapy,
Quadrangle-New York Times, New York 1975; Disorders of Sexual Desire, Brunner-Mazel, New York 1979.
11. Stando ad una suddivisione proposta in uno studio abbastanza recente (cfr. E. RUSPINI – M. INGHILLERI, Transessualità e scienze sociali: identità di genere nella postmodernità, Liguori, Napoli 2008) si possono distinguere le identità sessuali di genere in: maschile, femminile, intersessuale-androgino (si tratta di individui nati con caratteristiche biologiche
ibride) e transessuale-transgender (cioè individui nati biologicamente con caratteristiche sessuali maschili o femminili, ma che hanno compiuto un percorso di transizione verso l’identità di genere del sesso opposto).
12.
L’individuo può manifestare i seguenti tipi di sessualità: asessualità (si tratta di individui in cui vi è l’assenza di interesse o desiderio di natura sessuale. Cfr. M. PASCALI, L’Asessualità. Genesi sociale e profili giuridici, Giappichelli, Torino 2010), eterosessualità (si tratta di individui che posseggono attrazione e preferenza sessuale nei confronti
dell’altro sesso), bisessualità (si tratta di individui che posseggono attrazione, non necessariamente di natura sessuale, talvolta semplicemente romantico-infatuativa, sia verso persone dello stesso sesso, che verso persone dell’altro
sesso. Cfr. CH. DAVID, La bissessualità psichica, Borla, Roma 1996) e omosessualità (si tratta di individui che posseggono attrazione, non necessariamente di natura sessuale, talvolta semplicemente romantica, esclusivamente verso
persone del loro stesso sesso. Cfr. G. LETTINI, Omosessualità, Claudiana, Torino 1999).
4
tanto difficilmente comprensibile al di fuori di una sfera sapienziale rigettata del relativismo e dallo scientismo di oggi.
Solo una disamina completiva che tenga conto delle reali dimensioni della realtà antropologica
potrà avvicinarsi ad una comprensione più profonda dell’uomo in generale e della sfera dell'affettività in modo particolare. Ma per far ciò occorre non tralasciare la dimensione sapienziale, che
non considera l’uomo semplicemente come un individuo prodotto e producibile, ma come l’icona
di Dio.
3.
La teoria rosminiana dell’unione sessuale come atto dell’anima
Rosmini non scrive un trattato di sessuologia o, più in generale, sulla sessualità13, ma ne
affronta il tema nella Filosofia del diritto, lasciando all’Antropologia in servizio della scienza morale e
alla Psicologia il compito di esplicitare moltissime tematiche ad essa correlate, come l’istintività,
l'animalità, l’affettività, il concetto di persona, la problematica generativa, e molto altro ancora.
Qui, però, vorrei puntare l’attenzione sulla teoresi rosminiana concernente l’unione sessuale,
poiché credo che la sua visione risulti alquanto paradigmatica al fine di superare certe tendenze
contemporanee che hanno ridotto l’uomo alla sua semplice istintività animale, svincolando la sessualità dalla moralità e dimenticando che quest’ultima è una caratteristica naturale ed irrinunciabile dell’essere umano inteso pienamente come persona.
Quando Rosmini parla di unione sessuale non pensa ad un accostamento puramente materiale di
elementi corporei, perché il concetto di corporeità non si esaurisce nella semplice materia, come pretenderebbero i materialisti: egli, infatti, sostiene che l’unione sessuale sia il reale congiungimento
vitale di due corpi ad opera delle rispettive anime, ognuna delle quali pervade il corpo altrui, comunicando in tal modo con l’anima che lo informa. Secondo il filosofo, infatti, il congiungimento
sessuale «non è una unione materiale, quasiché operar si potesse col solo unire meccanicamente
parti materiali a parti materiali, ma che anzi è un’operazione del principio attivo animale, il quale
agisce nella materia bensì, ma con azione sua propria dalla meccanica distintissima. […] l’atto
dell’accoppiamento sessuale, ond’ha luogo la generazione, è un atto dell’anima, che opera ne’ corpi, e mediante i corpi»14.
L’unione sessuale, in questa visione, è dunque una intercomunicazione sensuale, affettiva e psicologica, nel suo senso più pregnante, che riguarda coloro che si amano in virtù dell’amore stesso che inabita le loro anime, al punto tale che l’unione sessuale dei due sessi è in potenza in grado di generare una nuova persona, la quale, scrive Rosmini, è destinata «a divenire per la comunicazione della luce del volto di Dio un nuovo umano individuo»15; per cui ogni teoria sull’uomo che non tenes-
13.
Per una disamina del tema nel contesto della teoresi rosminiana si rimanda a: C. VIGLINO, Rosmini e la morale sessuale, “Rassegna di Studi Sessuali”, 1923, n. 4, pp. 258-271; La sessualità sotto l’aspetto filosofico, Leonardo da Vinci, Roma
1923; Dell’essenza e dei limiti del diritto coniugale in ordine all’unione sessuale, Leonardo da Vinci, Roma 1925; L. SCREMIN, L’educazione della castità, Marietti, Torino 1930; A. AUTIERO, Amore e coniugalità. Antropologia e teologia del matrimonio in Antonio Rosmini, Marietti, Torino 1980; U. MURATORE, Le “profezie” di Rosmini. Wojtyla e il sesso, c’è un precursore, in “Gazzetta del Popolo”, 1980, 6 febbraio; L. PRENNA , Antropologia della coniugalità. Corpo e sentimento, Città
Nuova, Roma 1980; N. MUZZIN, Matrimonio e famiglia in Rosmini: luogo di umanizzazione e fattore di civiltà, in «Rivista
rosminiana», 2006, IV, pp. 337-362; S. F. TADINI, Marriage and Sexuality: A Rosminian Proposal for Contemporary Debate,
“INTAMS review – Journal for the Study of Marriage & Spirituality”, summer 2013, vol. 19, I, pp. 34-42.
14.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, a cura di R. Orecchia, CEDAM, Padova, vol. IV, nn. 1057-1058, p. 1016.
15.
Ibid., n. 1063, p. 1018. Su questo specifico tema della generazione si rimanda a: A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, a cura di F. Evain, (24), Città Nuova, Roma 1981, Libro II, cap. XV, nn. 339-342, pp. 210-211; Libro
IV, cap. V, nn. 812-831, pp. 450-460.
5
se conto della dimensione teologica della persona, risulterebbe, nella migliore delle ipotesi, semplicemente incompleta.
L’unione sessuale, che noi percepiamo semplicemente attraverso i corpi, è in realtà un vero e
proprio atto dell’anima, il quale ubbidisce ad una legge interiore non riconducibile ad un principio
puramente razionale e che riguarda, nell’atto generativo, i due sessi. Scrive Rosmini: «Fra le condizioni diverse nelle quali è la natura umana, secondo le sapientissime disposizioni del suo Creatore,
v’ha principale quella della diversità de’ sessi. La quale ha tal indole, che, lungi dall’impedire la
piena unione di due umani individui per mancanza di uniformità, anzi la produce colla difformità,
in virtù della mirabile convenienza predisposta dal Creatore dell’una forma e organizzazione di
corpo all’altra. Di che la causa immediata non si può cercare in qualche principio di ragione; ma
nel solo fatto dell’animalità che, secondo il suo concetto eterno, a tale determinazione necessariamente soggiace»16.
Perché vi sia unione sessuale fra due individui, allora, concorrono almeno tre fattori, cioè l'amore, l’atto dell’anima e la complementarietà dei sessi, i quali risultano tutelati dal patto matrimoniale.
Il fattore della complementarietà dei sessi, in modo particolare, permette di comprendere la naturalità dell’amplesso umano nel contesto matrimoniale del suo lecito espletarsi17, e mette in luce, parimenti, la problematica dell’omosessualità, che, di fatto, costituisce la negazione della complementarietà come unica via all’unione sessuale. Si badi bene, Rosmini non dice che non siano possibili unioni sessuali al di fuori del matrimonio o con persone dello stesso sesso, ma semplicemente
che solo nel contesto matrimoniale della complementarietà dei sessi le unioni di natura sessuale risultano compiutamente legittime e tutelate, cioè ordinate, per natura intrinseca, ad un sacramento,
e quindi non lasciate in balia di un evidente disordine che l’uomo ritrova in sé a causa degli effetti
del peccato originale.
Per comprendere a fondo la natura dell’accoppiamento sessuale, però, bisogna almeno fare un
passo indietro e considerare le affezioni d’origine animale che l’uomo possiede, con particolare riguardo all’affezione sensuale, la quale, dice Rosmini, «nasce in persone d’altro sesso, o del medesimo, conversanti fra loro, coll’avvicinamento e col contatto de’ loro corpi in parti oneste, o
coll’immaginazione de’ piaceri indi ricevuti»18.
L’analisi rosminiana è estremamente realistica, tant’è che non viene accantonata la problematica
dell’affezione sensuale concernente persone dello stesso sesso, e questo perché un’analisi compiuta
sull’uomo non può che tener conto di tutte quelle complesse dinamiche che lo riguardano nel profondo. Scrive Rosmini che quando l’affezione sensuale «(che può darsi anche fra persone dello
stesso sesso) giunge a certo grado d’urgenza, ella prende il nome d’amore sensuale, il quale è veramente una preparazione all’amor fisico o sessuale; e così fattamente prossima, che ne ingenera il bisogno, ed eccita l’uomo ad entrarvi come un accecato. Laonde fra persone dello stesso sesso è disordinato e inonesto; e fra persone d’altro sesso altresì, se non sono legate o non si legano con legittimo matrimonio»19.
La critica rosminiana è dunque rivolta al disordine delle pratiche sessuali, siano esse riguardanti
persone eterosessuali od omosessuali. Perché, di fatto, non è la differenza dell’orientamento sessuale che determina l’errore nella persona (che è di per sé diritto sussistente, in quanto soggetto intelligente, contenente un principio attivo, supremo e incomunicabile20), ma la riduzione dell’amplesso
16.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., n. 1056, pp. 1015-1016.
17.
Cfr. ibid., nn. 1076-1089, pp. 1021-1026.
18.
Ibid., n. 1048, p. 1013.
19.
Ibid., n. 1052, p. 1014.
20.
A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, cit., Lib. IV, cap. VI, nn. 832-837, pp. 460-462.
6
ad un semplice atto materiale e disordinato che ubbidisca al solo istinto dell’animalità umana, la
quale, pur essendo certamente una componente dell’essere umano, non è tutto l’uomo.
La vera differenza fra l’eterosessualità e l’omosessualità non è per Rosmini inquadrata in un
contesto clinico, e neppure in un contesto amativo, ma nel contesto generativo, che costituisce il coronamento dell’attività sessuale coniugale. Rosmini, si badi bene, non dice che un omosessuale
non può amare come un eterosessuale, ma ritiene che siccome l’affezione sessuale «è quella che unisce i due sessi all’interno della generazione […], fra persone del sesso stesso è fisicamente impossibile»21, perché viene a mancare, al di là di ogni possibile valutazione morale, proprio la complementarietà dei sessi. L’eterosessuale o l’omosessuale, che disordinatamente si lascino trasportare
dal vizio, sono entrambi vittime degli effetti dovuti al peccato originale, prima ancora che ad elementi di natura psichica. Tanto all’uno quanto all’altro, infatti, è richiesta la continenza, cioè quella
consapevolezza razionale e morale grazie alla quale gli istinti sono subordinati all’intellettività,
ovvero, in altri termini, il cosciente dominio delle proprie pulsioni.
La continenza prematrimoniale, allora, non è una lesione della libertà personale, come molti sostengono, ma è un atteggiamento prudenziale che salvaguarda la dignità della persona ed è richiesta, comunque, indipendentemente dall’orientamento sessuale dell’individuo.
Qualcuno, però, in relazione al tema della continenza, potrebbe obbiettare che se Dio non crea
inutilmente e se in natura esistono vari tipi di piacere, al di là della loro liceità o meno sul piano
morale, significa che, di fatto, ogni tipo di unione sessuale possibile in natura sia di per sé praticabile e quindi giustificabile22. Chi si fa portavoce di un’obiezione del genere, però, non tiene conto
della differenza abissale che passa fra l’animalità, che è solo una delle componenti dell’uomo, e l'umanità piena. Secondo Rosmini, infatti, l’uomo retto, cioè che vive moralmente, non ricercherà mai
«piaceri sessuali fuori del matrimonio; poiché s’essi sono piaceri all’animale, non sono tali all’uomo
intero, che non è solo animale; ma è principalmente razionale e morale, al quale è sommamente odioso, abbominevole, penoso ogni piacere disordinato»23. Così pure è per quanto riguarda la ricerca del piacere sessuale fra persone dello stesso sesso, le quali, atrocemente tormentate nel profondo, faticano enormemente a vivere in piena serenità la loro personale situazione, e questo, non tanto per una discriminazione che proviene dall’ambiente sociale in cui vivono, ma a causa di una
profonda lacerazione che provano nell’intimità del proprio animo, la quale produce in loro ancora
maggior sconforto di quanto un insulto gratuito possa provocare. Per questo Rosmini non condanna l’omosessuale in quanto persona, ma il peccato concernente il disordine sessuale che potrebbe
commettere, soprattutto se pensasse di poter giustificare in termini di naturalità la condotta derivante dal suo orientamento sessuale in virtù di una libertà innalzata a valore.
Oggi, infatti, in senso errato, si suppone che la libertà sia di per sé un valore. In realtà, perché lo
sia, è necessario che essa sia ancorata, per dir così, alla “intollerantissima” Verità, la quale non cede
ad alcun compromesso. Non è la verità che si adatta alla libertà, bensì il contrario; basti leggere
21.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., n. 1053, p. 1014.
22. Il passaggio alla legalizzazione di un determinato comportamento è più breve di quanto si possa pensare, soprat-
tutto nella nostra contemporaneità, dove la morale sembra sempre più svincolata dal diritto e dalla tradizione religiosa. Il diritto della persona, o meglio, il diritto che la persona è, significa riconoscimento della sua dignità in quanto
persona. L’espressione “diritti degli omosessuali” è dunque priva di significato, perché, essendo persone, sono certamente anch’essi diritto sussistente. Il problema, semmai, è quello di comprendere cosa essi ritengano debba essere
un loro diritto. Gli Stati che hanno riconosciuto, ad esempio, la possibilità di dare in adozione ad una coppia omosessuale un minore, o che hanno ritenuto legittimo il matrimonio fra omosessuali, non hanno agito in virtù del
principio morale, ma semplicemente in virtù della fattualità mondana. Ciò è stato possibile a causa della transignificazione arbitraria dei termini matrimonio e famiglia che ha condotto le stesse istituzioni in una direzione decisamente discutibile.
23.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., n. 1055, p. 1015.
7
quel famosissimo passo del Vangelo giovanneo in cui Cristo dice espressamente: «conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
La libertà, inoltre, è vera solo se è moralmente tale, perché una libertà fine a se stessa può significare tutto e il contrario di tutto, come di fatto sostengono i relativisti. Per cui non devono stupire
frasi del tipo: «faccio quello che mi pare, perché sono libero di fare come voglio», oppure: «il corpo
è mio e sono libero di farne ciò che voglio», o ancora: «nessuno può dirmi ciò che devo fare, perché
sono libero di fare quel che voglio».
Al di là di una errata concezione della corporeità, della volontà e della dignità umana, segno evidente di un’ignoranza spaventevole e dominante, vi è pure un uso improprio del termine libertà,
che, in espressioni di questo tipo, risulta pienamente svincolato dalla consapevolezza dell’esercizio
che se ne può fare in relazione al rispetto di sé e degli altri intesi come persone.
Oggi, quella che viene definita come “libera ricerca del piacere sessuale”, ha superato la categoria della moda, per divenire un modello esistenziale proponibile. Allo scandalo cui gridava un certo tipo di bigottismo tragico fatto di pura esteriorità farisaica, si è passati, all’opposto, alla tolleranza assoluta di tutto, perdendo il senso dell’equilibrio e finendo quasi per giustificare l'ingiustificabile. Alcune pratiche sessuali, ad esempio, che l’odierna pornografia24 ha sdoganato liberamente,
sono considerate da molti come non lesive della dignità personale, purché vi sia consensualità fra
chi le pratica. Certe perversioni di natura sessuale25, infatti, oggi vengono catalogate semplicemente come espressione di un immaginario erotico possibilista e di per sé praticabile, nella misura in
cui due esseri umani maggiorenni, aventi una determinata “fantasia”, siano pure concordi e consenzienti nell’espletarla. Non importa che ciò sia immorale, perché la post-moralità del postumano è, di fatto, l’affermazione che non esiste la moralità, ma diversi tipi di presunta “moralità”,
in virtù del preteso “principio di libertà”.
Questo uso improprio della libertà, però, non ha reso l’uomo libero, come qualcuno potrebbe
supporre, ma lo ha reso schiavo di una falsa libertà e di una altrettanto falsa concezione dell'affettività, che risultano entrambe figlie di un relativismo che ha portato l’uomo a credere che certi difetti, certi errori, certi disordini, certe aberrazioni indicibili, non siano altro che tipologie di vita che
devono essere, se non comprese, almeno tollerate dalla società post-morale (tutte le morali si equivalgono, quindi non c’è morale), post-religiosa (tutte le religioni si equivalgono, quindi non c’è religione), o, se si preferisce, post-umana (tutti gli uomini si equivalgono, quindi non c’è umanità) in
cui ci troviamo heideggerianamente gettati.
4.
Transvalorizzazione del concetto di amore e recupero dell'autenticità dell’amore
cristiano
Abbiamo visto che l’accoppiamento sessuale fra due esseri umani è un atto dell’anima
operante nei corpi e mediante i corpi. In questo specifico atto l’anima umana, come sottolinea
24.
Cfr. P. ADAMO, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina, Milano 2004.
25.
Stando al Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (a cura di V. Andreoli G. B. Cassano, R. Rossi, Elsevier,
Milano 20022) vi sarebbero le seguenti forme, clinicamente riconosciute, di parafilia: esibizionismo (il bisogno di mostrare i propri organi genitali ad una persona ignara), feticismo (l’uso di oggetti di vario genere al fine di innescare o
aumentare l’eccitazione sessuale), frotteurismo (il bisogno che porta a toccare il corpo di una persona non consenziente), pedofilia (l’attrazione sessuale per bambini in età infantile e prossimi a quella puberale), masochismo (il bisogno di essere umiliati, provare dolore o sofferenza, al fine del raggiungimento dell’eccitazione sessuale), sadismo (il
bisogno di provocare dolore e umiliazione ad una vittima, al fine di raggiungere l’eccitazione sessuale), feticismo di
travestimento (eccitazione e piacere di natura sessuale nell’indossare abiti del sesso opposto), voyeurismo (il bisogno
di spiare persone nude o impegnate in attività di natura sessuale).
8
Viglino, «non può essere usata come mero strumento di piacere o prolificazione, bensì dev’essere
considerata come fine, cioè amata per se stessa»26. È in questo senso che dobbiamo occuparci del
concetto di amore, svincolandolo dal concetto di egoismo, perché oggi il disordinato amore che si ha
verso se stessi è causa di un disordine maggiore anche verso gli altri. Per questo san Tommaso,
sulla scorta di sant’Agostino, sosteneva che «L’amore ordinato di sé, che consiste nel volere a se
stessi il bene conveniente, è doveroso e naturale. Ma bisogna ammettere con S. Agostino che
l’amor proprio disordinato, il quale porta fino al disprezzo di Dio, è causa del peccato»27.
La nostra contemporaneità ha di molto impoverito il concetto di amore, legandolo, molto spesso,
a quel falso concetto di libertà di cui abbiamo già detto. L’espressione “amore libero”, ad esempio,
utilizzata per definire quel particolare movimento sociale che un tempo rifiutava il matrimonio, inteso come istituzione coercitiva religioso-sociale, oggi ha assunto una connotazione ancora peggiore, proprio perché il termine amore è stato transvalorizzato, come del resto è avvenuto per il concetto di eros, al quale il primo si tende a ricondurre quasi esclusivamente.
La psicologia, ad esempio, definisce l’amore come un «rapporto duale basato su uno scambio
emotivo generato dal bisogno fisiologico della gratificazione sessuale e dal bisogno psicologico
dello scambio affettivo»28, ma questa definizione descrive un bisogno fisiologico che genera un'emozione, ma non procede oltre. Con questa definizione non si dice nulla circa lo statuto ontologico
dell’amore, né tantomeno della sua natura e del suo valore, perché una valutazione di carattere
morale, metafisico o teologico stonerebbe con i principi del relativismo contemporaneo, che se non
si vuole definire immorale, è però certamente anti-metafisico e anti-teologico.
Rosmini, invece, ritiene che l’amore non si possa ridurre esclusivamente alla sfera della sessualità. In perfetta linea con il platonismo, che fra tutte le filosofie classiche è quella certamente più sensibile al tema dell’amore, inteso come fruizione della bellezza, Rosmini rimarca il valore dell’amore
platonico, di cui egli scrive che ad esso «si riduce il meglio della naturale virtù»29.
Platone nel Simposio presenta Eros30 come un démone che cerca le cose belle e buone perché né è
privo, ma soprattutto perché è nella sua stessa natura il desiderare di raggiungerle e possederle. La
sua statura ontologica è quella di essere intermedio tra un Dio immortale e un puro mortale, perché
non è né l’uno né l’altro, congiungendo così il divino all’umano, l’immortale al mortale.
Egli, inoltre, si trova ad essere pure un intermedio fra povertà e ricchezza, privazione e acquisizione, bisogno e capacità di procurarsi ciò di cui abbisogna; per cui Eros attua in se stesso questa
poderosa sintesi di contrari, la quale costituisce la sua dinamica ascensionale verso l’acquisizione
del Bene nella dimensione del Bello. Questa tensione al Bello assoluto si compie attraverso una scala, cioè per gradi, che conduce all’acquisizione di ciò di cui Eros abbisogna, di ciò di cui è in cerca e
di ciò che vuole possedere per sempre. Il punto di partenza è costituito dalla Bellezza incarnata nei
corpi, per poi passare alla Bellezza delle anime, che è di gran lunga superiore, perché quando si
ama veramente un uomo o una donna, si ama la loro anima. Superiore a questa Bellezza vi è poi
quella legata alle attività umane, alla Bellezza delle leggi immutabili, fino a giungere alla Bellezza
della conoscenza. Il punto di arrivo è, infine, costituito dalla fruizione del Bello in sé e per sé, che è
il Bello Divino31.
26.
C. VIGLINO, Rosmini e la morale sessuale, cit., p. 260.
27.
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, Ia IIae, q. LXXVII, art. IV (ed. a cura dei Domenicani Italiani, Salani, Firenze
1946, vol. XI, p. 176).
28.
U. GALIMBERTI, Dizionario di psicologia, Garzanti, Milano 1999, p. 46.
29.
A. ROSMINI, Del principio supremo della metodica, a cura di F. Paoli, Società editrice di libri di filosofia, Torino 1857, n.
240, p. 164.
30.
PLATONE, Simposio, 203 B-E.
31.
Ibid., 211 D-212 A.
9
Se in Platone l’amore era inteso come un movimento che conduce l’uomo verso il divino, per
sant’Agostino32 diviene un movimento che da Dio procede verso l’uomo; sicché la più alta forma di
amore descritta dal paganesimo (eros) e quella descritta dal Cristianesimo (agápe) conservano
quell’inscindibile legame tra uomo e Dio, che la post-umanità, smarrendo l’uomo e disconoscendo
Dio, sembra aver perduto.
L’agápe cristiana ha certamente superato l’eros platonico proprio in direzione di una concezione donativa dell’amore senza precedenti. Chi ama, spiega sant’Agostino, «vuol divenire una sola
cosa con l’oggetto amato»33, ma non per questo bisognerà amare tutte le cose in modo indistinto e
disordinato, ma solo quelle che, in base ad una certa affinità con l’uomo, hanno una relazione con
Dio, cioè Dio stesso, noi, il nostro prossimo e il nostro corpo34.
La personalità di Dio e le relazioni intercorrenti fra Dio inteso come Creatore e l’essere umano
inteso come creatura, pongono l’amore su di un piano metafisico ineguagliabile. Nel Cristianesimo
l’amore diviene perfezione dell’Essere, perché Dio stesso è amore35, e tutta la morale che ne deriva
è orientata e sorretta da quell’Amore; sicché la stessa concezione dell’uomo ne risulta condizionata.
Secondo Rosmini, in perfetta linea con questa tradizione filosofico-teologica di stampo agostiniano e di origine platonica, l’amore viene definito come «l’atto con cui la volontà tende verso il
bene, ed è puro e perfetto quando non tende che verso il bene: allora infatti, l’uomo vuole solo il
bene, e perché è bene. Perciò questa volontà ama il bene dovunque sia, e ama di più quello che è
più bene, e in tutto cerca il massimo bene. Quindi chi non ama Dio, che è il massimo bene, semplicemente neppure ama: se infatti amasse veramente, certo amerebbe Dio»36.
La creazione, la redenzione e l’azione stessa della provvidenza costituiscono segni più che evidenti dell’amore di Dio37, tali per cui l’uomo stesso, che è immagine di Dio, è chiamato ad amare
sé, il prossimo e Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza di cui dispone38. In tal
senso non si parla propriamente di “amore libero”, ma semmai di “amore totale”, di “carità” secondo verità39. L’amore cristiano, infatti, essendo unione di passione (eros) e carità (agápe), in quanto diretto verso Dio e verso il prossimo, costituisce l’unica via sicura alla comprensione più adeguata del senso che l’amore ha nella sua forma più elevata. L’Eros senza agápe, infatti, sarebbe puro istinto sessuale, e così pure l’agápe senza l’eros toglierebbe alla carità quella spinta impulsiva
che l’uomo ha per natura.
Per renderci conto di questa dimensione fondamentale che l’amore autentico possiede, contrariamente all’ipotesi relativista, basti riportare l’esempio eloquente di uno dei filosofi certamente
più controversi del ‘900. Paul Karl Fayerabend - noto per la sua visione anarchica della scienza e
per il suo relativismo radicale - poco prima di morire ha scritto, in una pagina particolarmente toccante della sua Autobiografia, parole animate da un’indiscutibile sincerità, in cui il concetto di amore coniugale e familiare viene presentato in tutta la sua affezione e meta-temporalità: «Questi potrebbero essere i miei ultimi giorni. Li centelliniamo a uno a uno. La paralisi che è insorta di recen32.
Secondo sant’Agostino non vi è una differenza sostanziale fra i termini amor, caritas e dilectio, infatti la loro bontà o
meno dipende dell’oggetto a cui sono riferiti (cfr. SANT’AGOSTINO, De civitate Dei, a cura di D. Gentili e A. Trapè,
(V/2), Città Nuova, Roma 1988, Libro XIV, cap. 7, pp. 303-307).
33.
SANT’AGOSTINO, De ordine, a cura di D. Gentili, (III), Città Nuova, Roma 1970, Libro II, 18, 48, p. 353.
34.
Cfr. SANT’AGOSTINO, De doctrina christiana, a cura di M. Naldini, L. Alici, A. Quacquarelli, P. Grech, V. Tarulli e F.
Monteverde, (VIII), Città Nuova, Roma 1992, Libro I, 23, 22 - 24, 24, pp. 33-37.
35.
Cfr. 1Gv 4,8-16.
36.
A. ROSMINI, Costituzioni dell’Istituto della Carità, a cura di D. Sartori, (50), Città Nuova, Roma 1996, n. 549, p. 437.
37.
Cfr. Ef 2,4-5.
38.
Cfr. Mc 12,28-34.
39.
Cfr. 1Cor 13,4-10.
10
te è causata da un versamento ematico nel cervello. Vorrei che dopo la mia dipartita resti qualcosa
di me – non saggi, non dichiarazioni filosofiche definitive – ma amore. Spero che sia questo che
rimarrà e su di esso non pesi troppo il modo in cui me ne andrò, che vorrei lieve, come in un coma,
senza una lotta contro la morte che lasci dietro di sé un brutto ricordo. Qualunque cosa accada, la
nostra piccola famiglia può vivere per sempre, Grazina, io e il nostro amore. Ecco ciò che vorrei,
che a sopravvivere non fosse niente di intellettuale, solo amore»40.
4.
Transvalorizzazione del termine famiglia e concezione rosminiana
La famiglia, come scrive Mons. Clemente Riva, si trova «nell’occhio del ciclone della crisi di
valori nel nostro tempo»41. La responsabilità di questo decadimento non può essere ascritta alla
società come la intende Rosmini, il cui fine è il «vero bene umano»42, e nemmeno come la si intende
oggi, il cui significato è divenuto talmente vago e spersonalizzato da risultare equivoco; tant’è che
quando si vuole trovare il capro espiatorio per qualcosa che drammaticamente non funziona, si
dice che è “colpa della società”. L’autentica responsabilità è da ricercarsi nell’individuo che entra a
far parte di una società di altrettanti individui, ognuno dei quali porta con sé i risultati, più o meno
edificanti, di un preciso background: è sempre il prima che qualifica il poi.
L’assenza di una filosofia e di una teologia della famiglia dai tavoli dei legislatori, infine, ha
condotto alla legittimazione di comportamenti di fatto contrari alla famiglia stessa, che risultano
assolutamente dannosi per una società autenticamente matura e cristiana, cioè vigile e attenta alle
provocazioni sollecitate dai laicisti di ogni tempo, che non hanno come obbiettivo il bene delle persone, ma una libertà fine a se stessa.
Se è pur vero, come diceva Manzoni, che il cristiano è chiamato a testimoniare, non sembra che
oggi la semplice testimonianza di alcuni possa servire a smuovere la coscienza di molti, e questo
per almeno due ragioni: la prima risiede nella falsa concezione, per altro molto diffusa, secondo la
quale la Chiesa sarebbe moralista43 a tal punto da non sapersi adeguare ai cambiamenti dei tempi;
la seconda, che è anche la più blanda, risiede nel disinteresse dilagante per ciò che costituisce un
valore, come, ad esempio, la famiglia. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad espressioni qualunquistiche e generalizzanti, che però ottengono larghi consensi.
Con il termine famiglia si è soliti definire un nucleo sociale rappresentato da due o più individui
40.
P. K. FAYERABEND, Ammazzando il tempo. Un’autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 205.
41.
C. RIVA, Prefazione, in A. AUTIERO, Amore e coniugalità. Antropologia e teologia del matrimonio in Antonio Rosmini, cit., p.
7.
42.
Ogni società, scrive Rosmini, «conviene che tenda ultimamente al vero bene umano […]; tanto è richiesto
dall’essenza della società: senza di ciò mancherebbe il fine essenziale di qualsivoglia associamento; questo sarebbe
nullo di diritto e di fatto» (A. ROSMINI, Filosofia della politica, a cura di M. d’Addio, (33), Città Nuova, Roma 1997, Libro II, cap. I, p. 191). Risulta anche qui evidente che il riferimento fondamentale è costituito dal concetto di vero in
relazione a quello di bene, mentre oggi il concetto di bene, ovviamente transvalutato, è più facile vederlo relazionato
ad un altrettanto transvalutato concetto di libertà.
43.
Dire che la Chiesa è “moralista” è cosa tanto falsa quanto illogica. Si può certamente affermare che alcuni suoi rappresentanti lo siano, ma, come dice Aristotele, «una sola rondine non fa primavera, e neppure un solo giorno: così
neanche un giorno solo ed un tempo breve <rendono l’uomo> beato e felice» (ARISTOTELE, Etica nicomachea, a cura di
L. Caiani, UTET, Torino 1996, Libro I, 1098 a, p. 204). La Chiesa, come dice Manzoni, «non ha poste le basi della
morale, ma le ha trovate nella parola di Dio: Io sono il Signore Dio tuo [Es 20,2]: questo è il fondamento e la ragione
della legge divina, e per conseguenza della morale della Chiesa» (A. MANZONI, Osservazioni sulla morale cattolica, a
cura di F. Ghisalberti, Arnoldo Mondadori, Milano 1963, cap. V, p. 56). La Chiesa, semmai, è morale, e come tale non
può adattarsi a ciò che, di fatto, cozza contro la morale, cioè contro il bene dell’uomo in cammino verso la salvezza.
Non credo che la Chiesa debba “adattarsi ai tempi”, nel senso di mondanizzarsi, ma ritengo semplicemente che
servirebbe una maggiore e più profonda conoscenza di ciò che la Chiesa è veramente.
11
che coabitano e che, di norma, sono legati tra loro da vincoli particolari di parentela, di matrimonio, o di convivenza. Oggi, però, la sociologia ha dovuto constatare la formazione di “famiglie atipiche”44, rispetto a quella comunemente definita “tradizionale”, perché nella società, di fatto, ha riscontrato modelli alternativi e diversificati che non possono essere trascurati in sede di un’analisi
tipicamente fenomenologica.
Anche in questo caso, però, ci troviamo di fronte alla transvalorizzazione del termine famiglia
che la tradizione cristiana ci aveva presentato, perché si è finito per attribuire questo nome ad unioni che, di fatto, famiglia non sono.
La cosiddetta “famiglia coniugale”, costituita dai genitori e dai figli, non è più l’unico modello
possibile, ma ve ne sono molti altri. Oggi, ad esempio, si parla di “famiglia omogenitoriale”45
quando due persone dello stesso sesso, unite da un vincolo affettivo, allevano uno o più figli, i
quali sono il frutto generativo di uno dei membri costituenti la coppia. Se la “famiglia omogenitoriale” è costituita da due persone di sesso femminile si chiamerà “famiglia omogenitoriale lesbica”,
se invece è costituita da due persone di sesso maschile si chiamerà “famiglia omogenitoriale gay”.
L’aspetto affettivo che investe le coppie costituenti unità di convivenza di questo tipo non è certamente messo in dubbio. Nessuno obbietterà che in quel contesto non vi sia affezione e benevolenza, ma la famiglia, perché sia tale, necessità della complementarietà, di cui abbiamo fatto cenno.
L’espressione “famiglia atipica”, ad esempio, con la quale si qualificano tutte le altre forme di
convivenza, è di per sé improprio, perché il termine famiglia detiene una univocità tale da non necessitare alcunché che le si aggiunga per qualificarne il senso. Per questo Rosmini, che parla di famiglia come società domestica46 originaria, dice esplicitamente: «io non fo altre ipotesi che quella della unione matrimoniale fra un solo uomo ed una sola donna»47, perché l’unicità del legame è già
sancito dall’unicità di ciascun individuo, che, in quanto persona, è di per sé irripetibile. Ogni alterazione, transignificazione e transvalutazione terminologica, è di fatto impropria; sicché qualsiasi
atto teso a legittimare una transignificazione risulta errato semanticamente, logicamente e moralmente.
Rosmini propone un modello di famiglia che si radica profondamente in una concezione della
persona che non conosce eguali, superando sin da subito tutte quelle tesi che vedono la famiglia
semplicemente come un “fatto privato”. Per Rosmini, infatti, la famiglia non è un’accozzaglia di
individui che convivono, ma è un “fatto originario” che gode di un’anteriorità ontologica; tant’è
che la famiglia precede addirittura la stessa nascita del potere civile. Per questa ragione, come ha
messo in luce Giorgio Campanini, la riflessione rosminiana sulla famiglia «muove dal presupposto
della rilevanza politica della società domestica»48, ma anche da una chiara filosofia e teologia della
famiglia.
Al di là dei rapporti che la famiglia, intesa come società domestica, intrattiene con la società teocratica49 e la società civile50, di cui si è molto discusso nell’ambito della teoresi rosminiana, mi preme, in
44.
G. LOBBIA – L. TRASFORINI, Voglio una mamma e un papà. Coppie omosessuali, famiglie atipiche e adozione, Ancora, Milano
2006.
45.
M. BONACCORSO, Mamme e papà omosessuali, Editori Riuniti, Roma 1994.
46.
Per una disamina circa la concezione rosminiana della famiglia come società domestica si rimanda a: G. CAMPANINI,
Antonio Rosmini e il problema dello Stato, in G. CAMPANINI, Il pensiero politico ed ecclesiologico di Antonio Rosmini, 3 voll.,
(12A-12C), a cura di G. Picenardi e S. F. Tadini, Edizioni Rosminiane, Stresa 2014, vol. I, (12A), Cap. II, pp. 117-149.
47.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, a cura di M. Nicoletti e F. Ghia, (27/A), Città Nuova, Roma 2014, Libro III, cap. II, art.
I, § 3, n. 1272, p. 322, nota 76.
48.
G. CAMPANINI, Antonio Rosmini e il problema dello Stato, cit., p. 119.
49.
Rosmini intende «la società che gli uomini formano con Dio» (A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., n. 679, p. 901).
50.
Rosmini intende «un’unione di famiglie, o di padri di famiglia» (ibid., n. 1583, p. 1203).
12
tale contesto, esplicitare la natura specifica, cioè lo statuto ontologico, della famiglia secondo il
modello rosminiano. La famiglia, infatti, che come abbiamo visto è precedente a qualsiasi forma di
società, è pure pre-contrattuale, nel senso che i due coniugi che si uniscono in matrimonio, costituiscono una unità originaria, tale per cui il matrimonio possiede in sé una struttura ontologica
prima ancora di quella contrattuale. L’uomo originario, infatti, è «l’uomo accoppiato»51, o, in termini platonici, l’«androgino»52, che si definisce come unità indivisibile dell’uomo e della donna, i
quali, in regime di reciprocità amativa e di complementarietà sessuale, costituiscono ciò che Rosmini intende con il termine famiglia. La sostanziale eguaglianza fra i coniugi, infine, è garantita dal
fatto che essi sono «persone numericamente distinte, ma uguali»53, in quanto ogni persona è soggetto di diritto.
In tal senso, allora, è facile comprendere che la non complementarietà sessuale comporta pure la
negazione della famigliarità intesa come unità amativa esistenziale naturale e soprannaturale. Unità amativa, perché l’amore unifica la vita dell’uomo e della donna; esistenziale, perché ciò avviene realmente nella loro esistenza (non è semplicemente una teoria, ma una realità concreta); naturale, perché i corpi si trovano uniti; soprannaturale, perché le loro anime si trovano strette in un vincolo che
supera la naturalità stessa, divenendo meta-naturale, in virtù di un legame amativo che trascende
la fattualità empirica.
A questo punto risultano estremamente chiare le seguenti parole di Rosmini: «L’uomo e la donna non sono che due porzioni di un solo essere umano: l’amore unifica la loro vita, le loro anime, i
loro corpi […]. Il figliuolo è propaggine della loro unione: il principio della quale, che è l’amore,
discende al figliuolo, e lo tiene indivisibilmente unito alla duplice sua radice»54.
5.
Conclusioni: proposta rosminiana e reazione al post-umanesimo
Il punto di vista rosminiano si inquadra perfettamente in un contesto personalistico
metafisicamente e teologicamente fondato, per cui si presta, meglio di tanti altri paradigmi
antropologici, ad essere considerato come estremamente stimolante al fine di superare, in senso
critico, il post-umanesimo dilagante.
Il modello rosminiano, riappropriandosi dell’autentico senso di valore applicato alla persona e a
tutto ciò che da essa deriva e vi si riconduce, permette una ripresa, in senso cristiano, di una concezione che garantisce il recupero dell’uomo nella sua integralità, cioè salvaguardia della tradizione cristiana e rinnovamento nella tradizione che ridanno dignità alla persona.
La pedagogia dell’amore, che diviene una vera e propria educazione all’affettività, il concetto di
famiglia, come piccola chiesa domestica, la concezione amativa di una sessualità non demonizzata,
ma tutelata dal vincolo matrimoniale, sono tutti elementi validi per intraprendere una vera e propria inversione di tendenza, il cui fine iniziale è costituito dal porre semplicemente la questione coscienziale dell’uomo d’innanzi a se stesso. Si tratta, in sostanza, di far pensare l’uomo al valore che
è.
La coscienza sociale di oggi, che ha pur fatto passi da gigante, se rapportata al passato, in direzione di una maggiore fruibilità dei diritti umani, ha però perso di vista la coscienza del singolo e
ha frainteso quella sana individualità, spacciata per semplice individualismo, da cui parte la scin-
51.
Ibid., n. 1912, p. 1327.
52.
Ibid., n. 1062, p. 1018.
53.
Ibid., n. 1370, p. 1123.
54.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, a cura di M. Nicoletti e F. Ghia, cit., n. 1272, p. 322.
13
tilla vocazionale al bene. Se l’uomo singolarmente non si riconosce come persona, non potrà riconoscere negli altri questa sua stessa peculiarità e non se ne potrà sentire responsabile.
Il cristiano, però, deve essere consapevole del fatto che è sua responsabilità testimoniare la verità, per cui non può attendersi che altri lo facciano per lui e nemmeno che tale compito sia semplice,
ma io mi domando: è forse facile amare gli altri come se stessi, quando non si sa più cosa significhi
amare davvero?
14