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Elementi di Meccanica
7.1 Forze e momenti
7.1.1 Le forze
Chiamiamo forza qualsiasi causa che modifica lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme di un corpo.
L 'unità di misura della forza è il newton [N] nel Sistema Internazionale (S.I.).
È ancora molto usato come unità di misura della forza nel Sistema Tecnico il kilogrammo forza [kgf] che equivale a
circa 9,81 N.
L’attrazione gravitazionale esercitata daalla terra rispetto alle masse dei corpi posti su di essa è determinata da un campo
di forze detto
etto gravitazionale; tale forza è detta forza-peso, ha direzione verso il centro della terra ed è data dal prodotto
della massa del corpo per l'accelerazione
ccelerazione di gravità terrestre che vale 9,81
.
Altre forze presenti in natura sono quelle magnetiche, oppure tra le particelle (protoni e neutroni) che costituiscono il
nucleo degli atomi, o che legano gli atomi secondo caratteristiche forme geometriche (ad esempio le celle elementari
degli elementi metallici).
7.1.2 Grandezze vettoriali
Le forze sono grandezze
andezze vettoriali, cioè richiedono più elementi per essere definite.
Tali elementi sono:
forza
- la direzione o retta di azione; retta lungo la quale agisce la forza;
- il verso;; senso in cui agisce la forza lungo la propria retta di azione (indicato dalla freccia);
- l'intensità o modulo,, elemento che misura, il valore di una forza ;
- il punto di applicazione P.
7.1.3 Somma di vettori
La somma vettoriale di due forze applicate nello stesso punto si determina graficamente con la regola del
parallelogramma: sii tracciano a partire dai vertici dei due vettori che si vogliono sommare
so
le linee parallele
rispettivamente alla direzione
zione dell'altro vettore; il loro punto di incontro P individua il vertice del vettore somma.
7.1.4 Momento di una forza
Dicesi momento M di una forza F rispetto a un punto P il prodotto dell'intensità della forza per la distanza d del punto
dalla forza.
Nel SI:
M = F · d = 1 N · 1 m = 1 Nm.
Ad esempio, per stringere e allentare una vite o un dado con apposita chiave
chiave è più vantaggioso disporre di un utensile
più lungo in quanto, a parità di forza applicata, il momento prodotto risulta maggiore.
7.1.5 Coppia
Si definisce coppia un sistema costituito da due forze F aventi la stessa intensità, direzioni parallele
parall e versi opposti.
Il momento M di una coppia è dato dal prodotto della intensità delle due forze per la loro distanza d
M = F · d = 1 N · 1 m = 1 Nm.
I momenti e le coppie prodotti dalle forze sono molto importanti in meccanica in quanto associati ai moti di rotazione
rota
(per esempio dei mandrini delle macchine utensili, degli alberi di trasmissione ecc).
2
7.2 Statica
La statica si occupa dello studio dell'equilibrio dei corpi.
7.2.1 Vincoli
Consideriamo una figura piana giacente nel piano cartesiano x-y, questa potrà in genere assumere infinite posizioni,
cioè potrà muoversi liberamente secondo le tre principali possibilità di movimento:
1) traslazione lungo x;
2) traslazione lungo y;
3) rotazione nel piano x-y.
Le tre possibilità di movimento sono dette gradi di libertà.
Volendo ottenere l'immobilità di un oggetto solido bidimensionale, che possiamo identificare in una asta, e quindi il
suo equilibrio statico, dovremo inserire dei vincoli che impediscano i tre movimenti.
I vincoli principali sono:
a) carrello mobile permette x e φ e impedisce y;
b) carrello fisso permette φ; impedisce x e y;
c) incastro impedisce x,y e φ.
I vincoli a), b) e c) sono detti rispettivamente: semplice, doppio e triplo con riferimento ai movimenti che possono
impedire.
Nella figura sottostante sono indicati alcuni schemi indicanti alcuni vincoli.
I vincoli semplici sono dati dall'appoggio e dal carrello.
L'appoggio semplice, reagisce solo in direzione perpendicolare al piano e impedisce i movimenti del corpo in tal senso,
mentre permette scorrimenti lungo il piano che possono essere facilitati in presenza di rulli.
Il carrello, toglie solamente la possibilità di traslazione sulla normale (cioè perpendicolare) alla sua retta di scorrimento;
mentre è libero di scorrere (in senso orizzontale) e di ruotare; l'appoggio e il carrello sono vincoli semplici perché
tolgono solo un grado di libertà; essi reagiscono dunque con una sola reazione vincolare
Poi esistono vincoli doppi come la cerniera, il pattino e il manicotto. La cerniera, reagisce in qualunque direzione
passante per il suo centro, permette solo la rotazione del corpo. Come nel caso del pattino e il manicotto, toglie due
gradi di libertà. Essi reagiscono, dunque, con due reazioni vincolari.
L'incastro, è vincolo triplo ; esso reagisce in qualunque direzione: sviluppa delle reazioni che impediscono qualsiasi
movimento:reagisce dunque con tre reazioni vincolari.
7.2.2 Equazioni fondamentali della statica (dette anche Equazioni Cardinali della statica)
Quando il corpo vincolato è soggetto a forze e coppie esterne, i vincoli reagiscono sviluppando delle reazioni vincolari,
cioè forze e momenti che si oppongono a quelle applicate dall'esterno e assicurano l'equilibrio del corpo.
Se la risultante di tutte le forze e di tutti i momenti, sia applicati dall'esterno sia sviluppati dai vincoli, sono nulle, allora
il corpo è in equilibrio statico. Questo concetto è espresso dalle tre equazioni fondamentali della statica:
3
∑ 0
∑ 0
∑ 0
Nel piano, dato che una figura possiede tre gradi di libertà, sono sufficienti vincoli che assicurino tre gradi di vincolo,
per esempio un carrello mobile più uno fisso, oppure un incastro.
Quando il numero dei gradi di libertà eguaglia il numero dei gradi di vincolo il sistema si dice isostatico. Quando i
gradi di vincolo superano i gradi di libertà il sistema si dice iperstatico.
Consideriamo una trave soggetta ad un carico 90 come nella figura precedente.
Per trovare le reazioni, si immagina di fare ruotare (come fosse un fulcro) la trave ad un estremo, per esempio
nell’appoggio B, mentre l’altro appoggio si sostituisce con la reazione , che agisce rispetto a con un braccio di
5, producendo un momento positivo(senso orario); invece il carico agisce con un braccio di 2 rispetto al fulcro producendo un momento negativo (senso antiorario). Per avere l'equilibrio, il momento risultante deve essere zero, per
cui si scriverà :
· 5 90 2 · 0 0
(difatti ha braccio zero, quindi il suo momento è nullo).
Più semplicemente : · 5 — 90 2 L'altra reazione sarà:
· 5 90 2
180
90
5
90 — 36 54
7.2.3 Equilibrio di macchine semplici
Carrucole
Nella carrucola fissa per l'equilibrio si ha:
F-r=P-r quindi F = P.
Il vantaggio consiste soltanto nel modificare il verso di applicazione di F.
Nella carrucola mobile invece per sollevare un peso P è sufficiente applicare una forza pari alla metà di P: il vantaggio
è evidente . F=P/2
Leve
Nella leva per l'equilibrio abbiamo: P·a=F·b
Quindi P = F · (b/a)
Se b > a è possibile sollevare, applicando una forza F, un peso P anche molto più grande di F.
4
Piano inclinato
Un'altra macchina semplice, nota fino dall'antichità, è il piano inclinato.
! "#$ %
& $'( %.
++++*
Per sollevare il peso P lungo il piano si deve applicare una forza *& opposta ad & , che è sempre minore di P, poiché
· $'( % , .
7.2.4 Baricentro
Ogni corpo sulla superficie della terra è soggetto al campo gravitazionale terrestre e quindi viene attratto verso il centro
del pianeta da una forza che costituisce il peso del corpo stesso.
Se consideriamo la massa di un corpo come un insieme grandissimo di piccole masse elementari ciascuna dotata di un
proprio peso, si dice baricentro G della massa il punto di applicazione della risultante di tutte le singole forze.
Se la figura dispone di due o più assi di simmetria, il bari centro G è dato dalla loro intersezione. Nel caso del triangolo
il baricentro si trova nel punto di intersezione delle mediane.
5
Consideriamo i baricentri di alcune semplici figure geometriche piane, rappresentate nella figura seguente.
7.3 Geometria delle masse
7.3.1 Momenti statici
Consideriamo una serie di masse elementari - , . , / ... 0 il cui baricentro si trova in G, e una retta r posta a una
distanza d da G.
Si dice momento statico S del sistema di masse rispetto alla retta r la somma dei prodotti di ogni massa per la
rispettiva distanza di ciascuna massa dalla retta.
1 - 2- 3 . 2. 3 / 2/ 3 4 3 0 20
6
Per i momenti statici vale la seguente importante proprietà.
II momento statico determinato come somma dei momenti delle singole masse è uguale al prodotto della massa totale
per la distanza del baricentro dalla retta r.
1 - 2- 3 . 2. 3 / 2/ 3 4 3 0 20 2
Ne consegue che se la retta r passa per il baricentro delle masse il suo momento statico è nullo.
Sostituendo alle masse delle superfici la proprietà diventa:
il momento statico di una qualsiasi figura piana rispetto a una qualsiasi retta passante per il suo baricentro è nullo.
7.3.2 Determinazione del baricentro di una figura piana
Questa proprietà è assai importante perché ci permette di determinare il baricentro di una qualsiasi figura piana.
Consideriamo infatti una figura piana formata da più rettangoli: calcoliamo il momento statico della figura rispetto
all'asse x, che prenderemo per comodità sul bordo della figura stessa
15 = 120 33+8020 + 150 5 = 6310 mm3.
15 6310 2
dove d è l'incognita distanza di G dalla retta x, essendo:
6 = 120 + 80 + 150 = 350 mm2
Per la proprietà enunciata:
7/-8
pertanto d =
/98
= 18,03 mm.
7.3.3 Momento d'inerzia
Si definisce momento d'inerzia di una serie di masse elementari rispetto a una retta r la somma dei prodotti delle singole
masse per il quadrato delle rispettive distanze dalla retta stessa.
Facendo riferimento alla figura seguente, si avrà perciò:
:6 = - 2-. + . 2.. + / 2/. + ... + 0 20. .
Qualora la massa sia non puntiforme, il calcolo del momento d'inerzia può essere eseguito facendo ricorso al calcolo
integrale.
7
Nella figura seguente forniamo alcuni momenti d'inerzia relativi a semplici figure piane rispetto ai loro assi baricentrici.
Si definisce raggio d'inerzia di una figura piana rispetto a una retta x:
;5< =
:
Grazie al teorema di trasposizione si può calcolare facilmente il momento d'inerzia rispetto a un qualsiasi altro asse
parallelo a quello baricentrico, sommando al momento d'inerzia baricentrico il prodotto dell'area della figura per il
quadrato della distanza tra i due assi.
Questo permette di calcolare agevolmente il momento d’inerzia di superfici composte da figure semplici come dei
rettangoli.
7.4 Cinematica
La cinematica è lo studio del movimento dei corpi indipendentemente dalle cause che lo provocano.
7.4.1 Velocità
Si dice che un moto rettilineo è uniforme quando spazi uguali vengono percorsi in intervalli di tempo uguali.
Il rapporto tra spazio percorso e tempo impiegato, che pertanto è costante, è detto velocità:
+* = ?
>
nel SI:
-C
V=
-D
6@ A6B
= 1 m/s.
8
La velocità è una grandezza vettoriale.
7.4.2 Accelerazione
Se il moto non è uniforme e la velocità cambia istante per istante in modo proporzionale al tempo:
+* = E* · t
>
dove E* indica l'incremento di velocità nel tempo ed è detta accelerazione.
Se l'accelerazione è costante il moto viene detto uniformemente accelerato.
+*
FG
- C⁄D
Nel SI: E* =
= 1I$ .
F6
- D
L'accelerazione è una grandezza vettoriale.
Velocità di caduta
7.4.3 Radiante
Si definisce radiante l'angolo al centro della circonferenza che sottende un arco il cui sviluppo è pari al
Figura Radiante.
raggio r.
9
7.4.4 Velocità angolare
Un moto rotatorio si dice uniforme quando la velocità di rotazione è costante, cioè quando vengono percorsi angoli
uguali in intervalli di tempo uguali.
Dato un disco in rotazione, se un punto sul bordo del disco percorre una traiettoria da P e P1 nel tempo ∆t, dicesi
velocità angolare l'angolo
percorso in rapporto al tempo ∆t impiegato (figura 7.19):
Nel SI:
Permane l'uso, dal Sistema Tecnico, di misurare i regimi di rotazione, specialmente di macchine utensili e motori
mediante il numero di giri:
Per passare dal numero di giri alla velocità angolare e viceversa si usano le seguenti:
10
7.4.5 Velocità periferica
Nel moto rotatorio dicesi velocità periferica la velocità di un punto P situato sul bordo del corpo a distanza R
dall'asse di rotazione.
>J 
.πK0
πL0
Dal momento che per ogni giro il punto P percorrerà una traiettoria circolare pari a 2nR:
78
=
78
con riferimento alla velocità angolare ω:
+++*
>J =ω r nel sistema internazionale SI [m/s].
Nel moto circolare uniforme, pur rimanendo costante nel tempo la velocità angolare, cambia continuamente la
direzione della velocità, per cui si verifica sempre Accelerazione centripeta
La variazione di velocità ∆v è sempre diretta verso il centro della circonferenza. Dividendo ∆v per il tempo impiegato
otteniamo l'accelerazione centripeta a=∆ v/t
L'accelerazione centripeta è il vettore che misura la rapidità con la quale cambia la direzione del vettore velocità. La sua
direzione passa per il centro della circonferenza. Si può dimostrare che l'intensità dell'accelerazione centripeta si
calcola con la formula:
N.
EM O
P. O .
EM P. · O
O
7.4.6 Fenomeni periodici
Si consideri il moto di un punto Q, proiezione sul diametro di un punto P sulla circonferenza, che si muova con velocità
periferica costante ω.
Mentre il punto P descrive la semicirconferenza, il punto Q percorre il diametro.
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Il moto del punto Q si dice moto rettilineo armonico.
Dal momento che il punto Q ritorna nella medesima posizione a intervalli costanti di tempo, il moto è di tipo periodico.
Se in un grafico cartesiano riportiamo sulle ascisse i segmenti proporzionali ai tempi impiegati e sulle ordinate gli spazi
variabili PQ, proporzionali al seno dell'angolo % PQ, otteniamo una curva detta sinusoide.
Si definiscono:
- periodo (T) : il tempo impiegato dal punto per compiere una oscillazione completa;
- frequenza (f) : l'inverso del periodo (1/T) , che da il numero di oscillazioni al secondo (hertz);
- ampiezza : il valore massimo raggiunto dalla grandezza variabile nell'oscillazione (nel nostro esempio, R).
In un fenomeno oscillatorio che si propaga a velocità V costante dicesi lunghezza d'onda (λ) il cammino percorso dalla
oscillazione nel tempo T:
R >·S
Una grandezza periodica caratterizzata dal periodo T si dice sfasata in ritardo di una frazione di periodo o di un angolo
a rispetto a un'altra, se dopo il tempo corrispondente a quella frazione di periodo la grandezza assume lo stesso valore
che l'altra aveva raggiunto prima.
In figura sono rappresentate le curve di due grandezze sfasate di T/4.
7.5 Dinamica
La dinamica studia il movimento dei corpi in relazione alle cause che lo producono.
Spingendo un oggetto solido con la mano sulla superficie di un tavolo, la mano esercita una forza parallela al piano
sull'oggetto e questo passa da uno stato di quiete (velocità nulla) a uno di moto (velocità diversa da zero).
La variazione di velocità (da N 0 a v , 0 ) comporta una accelerazione .
L'effetto della forza è quindi dinamico, cioè ha effetto sullo stato di quiete dell'oggetto e ne provoca il movimento.
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Prima legge della dinamica : ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo ed uniforme fin quando
tale stato di quiete o di moto rettilineo ed uniforme non viene alterato dall’azione di una o più forze.
Legge fondamentale della dinamica
Applicando una forza a un corpo, questo acquista una accelerazione proporzionale al modulo della forza:
* /E* "#$Q
La costante di proporzionalità prende il nome di massa inerziale:
*
E*
da cui * · E* (Equazione fondamentale della dinamica)
Ogni variazione di moto di una massa è direttamente proporzionale all’intensità della forza agente ed è diretta lungo
la sua retta d’azione, nel verso della forza stessa.
Accelerazione di gravità
Il peso degli oggetti sulla terra è una forza che agisce sull’oggetto stesso, dovuta all’attrazione che la massa della terra
esercita sulla massa dell’oggetto stesso.
La forza di attrazione terrestre dipende:
dalla costante di gravitazione universale G,
dalle due masse a confronto (- massa della terra ed . massa dell’oggetto),
dalla distanza del baricentro dell’oggetto dal centro della terra;
la distanza è rappresentata dal raggio terrestre, raggio, che non essendo la terra una sfera ma un geoide schiacciato ai
poli, ha di dimensioni diverse da punto a punto.
Oggetto di
massa=m2
r
terra di
massa =m1
W'$# V
È detta accelerazione di gravità U il prodotto U V
CB C@
K@
CB
K@
Un oggetto sulla terra è soggetto alla gravitazione terrestre che si esprime attraverso la forza peso P; l'accelerazione che
esso acquista è detta accelerazione di gravità U; la forza peso si esprime con la formula :
+* · U*
Legge di inerzia
La terza legge della dinamica afferma che ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria.
Se la risultante delle forze applicate a un corpo è nulla, il corpo è in quiete oppure si sposta di moto rettilineo uniforme.
Si deve sottolineare che, mentre la massa inerziale è costante in ogni luogo, l'accelerazione di gravità (e quindi la forza
peso) possono variare da luogo a luogo, relativamente al campo gravitazionale cui la massa è soggetta.
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Principio di d’Alembert : durante il moto di un punto materiale, istante per istante, si fanno equilibrio le forza esterne
applicate al punto materiale e le forze d’inerzia.
Per forze esterne applicate al punto materiale si intende quelle azioni che tendono a produrre variazioni di
moto del punto materiale stesso.
Per forze d’inerzia si intende quelle forze che si oppongono alle variazioni di moto del punto materiale stesso
* E* 0
-
-
* è la forza esterna applicata all’oggetto (punto materiale) ,
++*X è la forza d’inerzia
E* Per cui la
diventa
Relazione che esprime l’equilibrio dinamico.
* E* 0
* 3 * 0
7.5.1 Energia e lavoro
Intuitivamente il concetto di lavoro viene associato a quello di fatica fisica; inoltre è noto che per svolgere un lavoro si
deve possedere una certa energia.
Sintetizzando si può dire che:
- l’energia posseduta da un sistema è l'attitudine o capacità di esso a compiere un lavoro;
- il lavoro compiuto da un sistema ci indica la quantità di energia che il sistema ha utilizzato.
Risulta evidente pertanto lo stretto legame tra energia e lavoro e importante il fatto che si parla sempre di
trasformazione tra le due grandezze fisiche.
7.5.2 Lavoro
Data una forza F che subisce uno spostamento s del suo punto di applicazione O, dicesi lavoro compiuto da detta forza
F il prodotto della componente di F lungo la direzione dello spostamento, per lo spostamento stesso.
Se le direzioni di F e di s formano un angolo Y, come in figura :
Z ′ · [$ cos _ · ∆$
Nel SI : Z 1 · 1 1 : ab#cd'e.
ESEMPI
1) II lavoro compiuto per sollevare una massa di 50 kg all'altezza di 8 m si calcola come segue:
50fU · 9,81 I$ . 490
Z 490 · 8 3920 :.
2) II lavoro compiuto per spingere una massa di 50 kg per uno spazio di 8 m, con coefficiente di attrito 0,4, si calcola
come segue:
0,4 · 50 · 9,81 196 Z 196 · 8 1568 :.
7.5.3 Varie forme di energia
L'energia si manifesta in modi diversi, a seconda delle fonti dalle quali ha origine: meccanica, termica, idraulica, solare,
geotermica, chimica, nucleare, elettrica, magnetica ecc.
Si hanno così varie forme di energia. Le principali sono:
- energia cinetica o di movimento;
- energia potenziale;
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- energia potenziale elastica;
- energia termica;
- energia dei fluidi;
- energia elettrica del campo elettrostatico; elettrocinetica;
del campo elettromagnetico.
7.6 Energia e lavoro
7.6.1 Energia cinetica o di movimento
L'acqua di un fiume spingendo le pale di un mulino può compiere lavoro.
7.6.2 Energia potenziale
Un corpo soggetto alla attrazione gravitazionale per il solo fatto di trovarsi a una certa altezza o quota è in grado di
compiere lavoro.
7.6.3 Energia potenziale elastica
Una molla compressa, una volta liberata, è in grado di spingere un corpo e quindi di compiere lavoro.
7.6.4 Energia termica
Questa energia è la più importante per consumo mondiale. È ottenuta in gran parte per combustione dei carburanti
liquidi (derivati del petrolio) e dei gas naturali (metano).
7.6.5 Energia dei fluidi.
I fluidi possono essere incomprimibili o comprimibili.
I fluidi incomprimibili (tali sono i liquidi) non hanno forma propria, ma assumono quella del contenitore e il loro
volume è costante. L'energia dei liquidi è di tipo potenziale o di posizione.
I fluidi comprimibili (tali sono i gas) non hanno ne forma ne volume proprio, ma tendono a espandersi occupando tutto
il volume del contenitore.
L'energia dei gas si manifesta come energia potenziale elastica.
Le leggi che regolano il comportamento dei fluidi sono trattate nelle sezioni dedicate alla pneumatica e
all'oleodinamica.
7.6.6 Energia elettrica
L’energia elettrica per consumi domestici e industriali si ottiene per trasformazione del lavoro meccanico mediante
generatori detti dinamo e alternatori, che sfruttano il principio dell'induzione elettromagnetica: un filo conduttore che si
muove in un campo magnetico, ne taglia le linee di forza e diventa sede di una forza elettromotrice indotta.
Nelle macchine generatrici il filo conduttore è sostituito da un fascio di spire ruotanti nel campo magnetico e la forza
elettromotrice indotta che viene originata risulta variabile nel tempo con legge sinusoidale.
In un alternatore sono presenti tre avvolgimenti, in ciascuno dei quali si genera una forza elettromotrice sfasata di 1/3 di
periodo rispetto alla successiva. In uscita sono presenti pertanto tre fili corrispondenti ai tre estremi dei relativi
avvolgimenti, detti fili di linea, e un filo comune ai tre avvolgimenti detto filo neutro.
7.6.7 Altre forme di energia
Le più recenti ricerche scientifiche e le relative applicazioni, specialmente nel campo dell'elettronica, hanno ampliato
enormemente le conoscenze nel campo dell'energia e delle relative trasformazioni.
Fra le più notevoli si possono citare quelle riguardanti le energie che si manifestano con impulsi e quelle che si
ottengono con le radiazioni luminose coerenti.
7.6.8 Principio di conservazione dell'energia
Secondo questo principio l'energia non si crea ne si distrugge, ma si trasforma soltanto.
Quindi l'energia di un sistema chiuso rimane costante, cambiando semplicemente forma e tipologia.
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Possiamo fare l'esempio di un vaso che cade da una finestra di un edificio: il vaso fermo sul davanzale della finestra
possiede una certa energia, tutta potenziale, data dal prodotto del peso per la sua altezza da terra. Mentre il vaso procede
nella sua caduta, acquista sempre più energia cinetica a spese di quella potenziale; un attimo prima dell'urto il vaso
possiede la massima energia cinetica e la minima
energia potenziale.
Dopo l'urto contro il terreno può sembrare che l'energia del corpo si sia completamente annullata, in realtà si è
trasformata in energia termica, acustica e in parte è servita a proiettare intorno i frammenti del vaso, nonché a provocare
la rottura del vaso e della pavimentazione.
Un altro esempio è rappresentato da un veicolo che frena: quando il veicolo perde velocità la sua energia cinetica
diminuisce, trasformandosi anzitutto in energia termica, in quanto i dischi dei freni si riscaldano.
7.7 Potenza
Nel concetto di lavoro-energia non compare la grandezza tempo, ma può essere utile conoscere quanto tempo occorre
per compiere un dato lavoro.
Si definisce potenza il rapporto tra il lavoro compiuto da un sistema e il tempo occorrente per compierlo.
Z
Q
-h
Nel SI:
= 1 W (watt).
-D
La potenza si può ottenere anche mediante il prodotto tra forza e velocità:
$
Z
P= · ·>
Q
Q
Nel SI: 1 · 1 /$ 1 j.
Nel caso di un corpo in rotazione (ad esempio una puleggia o il mandrino di una macchina utensile), se F é la forza
applicata sul bordo a una distanza R dall'asse di rotazione e V è la velocità periferica del bordo, la potenza può essere
calcolata come prodotto del momento e della velocità angolare:
·> ·ω · ·ω
Nel SI:
1 · 1 OE2I$ 1 j
7.7.1 Rendimento
Ogni macchina, per esempio una macchina utensile, assorbe una certa quantità di energia (generalmente energia
elettrica) e la trasforma in lavoro (che nel caso della macchina utensile viene usato per produrre un pezzo meccanico).
La macchina assorbe quindi una data potenza k (potenza effettiva) e restituisce la potenza l (potenza utile) che
possiamo utilizzare. In questo percorso di trasformazione di energia si verificano inevitabili perdite di tipo meccanico
(dovute all'attrito) e termico (dissipazione di calore).
Quindi si ha sempre:
l , k
Si definisce rendimento di una macchina il rapporto tra la potenza utile e la potenza effettiva, rapporto che pertanto
risulta sempre minore di 1.
l
m
k
7.8 Resistenza dei materiali
7.8.1 Introduzione
Come abbiamo visto, una serie di forze applicate a un corpo aventi risultante non nulla, gli imprimono una
accelerazione e quindi uno stato dinamico o di movimento.
Se il corpo in questione è viceversa vincolato dall'esterno, in modo che siano impediti tutti i suoi possibili movimenti,
la condizione del corpo diventa di equilibrio statico. Ad esempio un oggetto appoggiato sulla superficie di un tavolo si
trova in equilibrio statico in quanto la sua forza peso è equilibrata dalla reazione esercitata dal piano di appoggio.
Ci occuperemo in questo paragrafo dello studio dei corpi in condizioni di equilibrio statico e di come questi sono
sollecitati internamente.
16
7.8.2 Travi
Prenderemo in considerazionee per il nostro studio soltanto dei solidi a sezione prismatica
tica in cui una delle tre dimensioni
dimen
è prevalente rispetto alle altre due; questi solidi sono detti travi.
7.8.3 Tensioni
Il fatto che una trave si trovi in equilibrio statico (cioè siano soddisfatte le tre equazioni fondamentali della statica) non
deve fare pensare che i carichi applicati dall'esterno o dalle reazioni vincolari non abbiano
ano nessun altro effetto
e
che
impedire
pedire il moto. Si genera viceversa all'interno uno stato di sollecitazione nel materiale, che si trova soggetto a delle
tensioni interne; queste sono assimilabili a delle pressioni e
si misurano con le stesse unità (
).
ensioni interne si distinguono in tensioni normali a e tangenziali T, a seconda che la loro direzione
dir
sia normale al
Le tensioni
piano della sezione o parallela a questa (figura esplicativa - Tensioni normali e tangenziali).
7.8.4 Le sollecitazioni semplici
Si possono distinguere quattro tipi di sollecitazioni semplici (figura esplicativa).
Sforzo normale
Lo sforzo normale si ha quando la trave è soggetta a due forze opposte dirette secondoo l'asse della trave, che tendono
tendo ad
avvicinarsi (compressione) o ad allontanarsi
tanarsi (trazione).
Flessione
La forza che agisce sulla trave crea un momento che sta nel piano della forza stessa e dell'asse longitudinale.
Taglio
Due forze esterne parallele ma opposte per verso, applicate a due sezioni contigue della trave, con direzione
perpendicolare all'asse della trave.
Torsione
II momento che agisce sulla trave giace su un piano normale rispetto all'asse longitudinale della trave.
17
7.8.5 Sforzo normale
La prova di trazione statica è un esempio di sollecitazione a sforzo normale, portata all'estremo, infatti la prova si
conclude con la rottura del materiale.
La provetta del materiale viene afferrata alle due estremità e sottoposta a trazione da parte di una macchina idraulica.
La tensione interna o che nasce su una qualsiasi sezione normale all'asse della trave, può essere valutata con la seguente
relazione:
p
n o
.
dove A è l'area della sezione e F la forza di trazione o compressione; per convenzione la sollecitazione di compressione
si indica con il segno negativo.
Come si vede è evidente l'analogia della tensione con la pressione: in ambedue i casi si tratta di una forza che si
distribuisce su una superficie.
L'unità di misura delle tensioni nel SI è il pascal (Pa); data l'entità delle tensioni che nella meccanica è piuttosto elevata,
si usa più frequentemente il suo multiplo kilopascal fE oppure ⁄. .
La forza F che sollecita la trave si distribuisce uniformemente su tutta la superficie; infatti o ha valore costante in tutti i
punti della sezione.
7.8.6 Deformazione
Un importante effetto dello stato di sollecitazione di una trave è la deformazione che essa subisce, cambiando di forma
e dimensioni.
Nel caso dello sforzo normale, una trave soggetta a trazione aumenta la sua lunghezza, mentre la sezione trasversale si
restringe; viceversa per la compressione.
La variazione di lunghezza [d si può calcolare con la seguente (figura 7.27):
Z8
Z8
[d n·
·q
q
dove E è il modulo di elasticità longitudinale o modulo di Young, che si determina con la prova di trazione statica.
Il modulo E è caratteristico di ogni materiale; più è alto e meno il materiale si deforma sotto l'azione di forze esterne;
infatti nella relazione precedente si trova al denominatore.
Da notare anche che [Z è proporzionale alla lunghezza della trave: quindi a parità di tensione a una trave lunga 500
mm si allunga il doppio di una trave lunga 250mm.
7.8.7 Tensione ammissibile
Lo studio dello stato di sollecitazione interno del materiale ha una grandissima utilità nella progettazione meccanica,
perché permette di dimensionare correttamente un organo meccanico.
Ogni materiale (acciaio, ghisa, lega leggera ecc.) ha una sua resistenza caratteristica alla rottura che si può determinare
sottoponendo un provino del materiale alla prova di trazione statica.
La prova ci fornisce il valore Rm che rappresenta il carico unitario a rottura del materiale, cioè ci indica a quale forza
max può resistere un singolo mm2 del materiale.
Per dimensionare (quindi progettare) un organo meccanico occorre:
18
- conoscere le sollecitazioni cui sarà sottoposto il pezzo durante l'esercizio;
- valutare le tensioni interne e confrontarle con la resistenza caratteristica del materiale.
Per fare questo si introduce il concetto di tensione ammissibile (nrC ) la quale rappresenta un valore prudenziale della
tensione interna che non deve essere superato durante la vita dell'organo meccanico. La si ottiene dal carico unitario di
rottura (o di snervamento) dividendolo per un opportuno coefficiente di sicurezza N6 o ND .
C D
nrC N6
ND
Il coefficiente di sicurezza deve essere necessariamente > 1; comunemente per carichi statici si adottano i valori 1,5 , 2
e 3.
Adottare un coefficiente di sicurezza 3 significa fare lavorare il materiale a una tensione di esercizio pari a un terzo
della sua resistenza a rottura.
7.8.8 Progettare e verifica
Progettare una sezione di un organo meccanico significa pertanto, noti i valori dei carichi di esercizio e le caratteristiche
di resistenza del materiale, fissarne le dimensioni in modo che le tensioni risultanti non superino quelle ammissibili nel
materiale. Nello sforzo normale questo comporta:
s
nrC
Verificare una sezione di un organo meccanico significa, note le sue caratteristiche geometriche e i carichi di esercizio,
determinare la massima tensione interna cui sarà sottoposto e assicurarsi che sia inferiore o uguale alla tensione
ammissibile nel materiale.
nCr5 , nrC
7.8.9 Flessione
Consideriamo una trave appoggiata alle due estremità e soggetta a una forza verticale applicata in mezzeria .
Sotto l'azione della forza la trave si flette, cioè le sue fibre longitudinali si curvano e le due sezioni estreme ruotano.
Si può intuire che le fibre che si trovano nella parte superiore della trave si accorciano, mentre quelle che si trovano al
di sotto si allungano.
7.8.10 Tensioni nella sollecitazione a flessione
Anche le tensioni avranno un comportamento simile: si avrà compressione nella parte superiore e trazione in quella
inferiore.
La fibra che divide le due zone descritte non risulta ne compressa ne tesa (quindi non viene accorciata ne allungata) ma
si flette solamente e prende il nome di asse neutro; si può definire pertanto come la fibra che divide la zona della
compressione da quella di trazione.
Il grafico delle tensioni assume la forma indicata nella figura a) seguente nel caso che la sezione abbia sezione
simmetrica rispetto all'asse x-x;
se la sezione non è simmetrica rispetto all'asse x-x come nella figura b) seguente, l'andamento delle tensioni non è più
simmetrico; la tensione massima si realizza nella fibra più lontana dall'asse neutro.
19
Per calcolare le tensioni, sia massima che in un punto qualsiasi, si fa uso delle seguenti:
u · nt :5
u
j5
dove Jx è il momento d'inerzia determinabile con lo studio della geometria delle masse; Wx è detto modulo di resistenza.
Sia il momento d’inerzia che il modulo di resistenza per le sezioni semplici è fornito da opportune tabelle
nCr5 20
7.8.11 Resistenza della sezione nella sollecitazione a flessione
Contrariamente a quanto avviene per lo sforzo normale, ai fini della resistenza della sezione, nel caso della flessione
non influisce semplicemente l'area della sezione ma soprattutto la sua forma .
Si consideri una sezione rettangolare e si calcolino J e W nelle due posizioni; ci si accorgerà che nel primo caso, a
parità di sezione e quindi di materiale resistente, la resistenza è notevolmente maggiore. Infatti sia W che J crescono
linearmente rispetto a B, ma in modo esponenziale rispetto ad H.
21
7.8.12 Utilità della materia nella sollecitazione a flessione
Un'altra considerazione interessante da fare è che la materia, nella sollecitazione di flessione, è tanto più utile quanto
più è lontana dall'asse neutro; infatti è qui che le tensioni sono massime.
Questo da luogo alle seguenti forme, tipiche dei profilati di acciaio (figura profilato doppio T Ipe ed H) adatti alla
sollecitazione di flessione.
7.8.13 Progetto e verifica di sezioni nella sollecitazione a flessione
Il progetto e la verifica di sezioni nella sollecitazione di flessione si eseguono pertanto con le seguenti:
verifica
progetto j v
nCr5 wx
yz{
u
| nrC
7.8.14 Taglio
Una sezione di una trave è soggetta a sollecitazione di taglio quando la risultante di tutte le forze perpendicolari all'asse
della trave che precedono la sezione considerata, non è nulla.
Di solito la sollecitazione di taglio è accompagnata dalla flessione.
7.8.15 Tensioni nel taglio
Il taglio ha l'effetto di produrre uno scorrimento delle sezioni contigue, che si mantengono parallele tra loro.
Le tensioni che ne risultano sono di tipo tangenziale ed hanno un andamento che per le sezioni rettangolari può essere
schematizzato come in figura a) seguente.
Come si vede le tensioni agli estremi della sezione sono nulle e il massimo si raggiunge in corrispondenza dell'asse
baricentrico.
22
Con riferimento alla sezione di forma rettangolare si ha:
}
dove 5, è il momento statico dell'area tratteggiata in figura.
Inoltre:
}
S1
:
3S
2~
Per sezioni di forma meno semplice, quali quelle a doppio T, il grafico delle tensioni assume un andamento come
quello in figura b) seguente, a causa della discontinuità rappresentata dal cambiamento di spessore.
In un calcolo di tipo semplificato, ma non lontano dall'ipotesi rigorosa, si può ipotizzare che il taglio sia assorbito
interamente dall'anima della trave.
7.8.16 Torsione
Una sezione di una trave è soggetta a torsione quando la risultante delle forze o momenti che precedono la sezione
considerata, è un momento giacente nel piano della sezione.
In Figura una modalità per visualizzare la Sollecitazione di torsione.
La deformazione indotta dalla torsione consiste nella rotazione di ciascuna sezione rispetto a quella precedente.
Nella nostra trattazione studieremo il comportamento della sezione circolare in quanto altre forme necessitano di uno
studio più complesso che non rientra nei nostri intendimenti.
La sollecitazione di torsione riveste una grande importanza nella meccanica, in quanto vi sono soggetti in genere gli
organi rotanti, quali gli alberi di trasmissione.
23
7.8.17 Tensioni nella torsione.
Anche nel caso della torsione le tensioni sono di tipo tangenziale e assumono il valore massimo nel punto più lontano
dal centro.
Si definisce come momento d'inerzia polare della sezione il valore:
€ · ‚
32
Le tensioni, generica e massima, si possono valutare con le seguenti relazioni:
6 · O
}
:J
J }Cr5 6 · :J
7.8.18 Sollecitazioni composte.
Nel caso molto comune in cui una sezione sia sollecitata contemporaneamente da più sollecitazioni semplici (flessione e
taglio, oppure compressione e flessione) il grafico delle tensioni risultanti può essere ricavato grazie al principio di
sovrapposizione degli effetti, sommando cioè gli effetti che ogni sollecitazione produce separatamente.
Nel caso in figura seguente il diagramma delle tensioni totali si ottiene semplicemente come somma dei singoli grafici
dovuti a sforzo normale e flessione.
Nel caso, più complesso, in cui le sollecitazioni agenti siano di tipi normale e tangenziale, è evidente che non è
corretto sommare semplicemente le tensioni; in questo caso la normativa per le costruzioni in acciaio suggerisce di
eseguire la verifica nel modo seguente:
nƒ √n . 3 3} . <nrC
7.8.19 Carico di punta.
Un cavo di acciaio può avere una resistenza a trazione notevolissima, ma è facile intuire che qualora fosse soggetto a
compressione offrirebbe una resistenza quasi nulla.
La ragione di questo fatto va ricercata nella geometria del cavo, in quanto la sua lunghezza è notevolmente maggiore
delle dimensioni trasversali. Quando un elemento è sollecitato a compressione, se questo è molto snello tende
a flettersi provocando una sollecitazione aggiuntiva di flessione, dovuta all'eccentricità del carico rispetto all'asse della
trave.
Il fenomeno descritto è legato pertanto alla instabilità e prende il nome di carico di punta (figura seguente).
Il fenomeno di instabilità dipende essenzialmente da due fattori: le condizioni di vincolo della trave e il raggio
d'inerzia della sezione.
A seconda delle sezioni di vincolo agli estremi della trave si definisce la lunghezza libera di inflessione L
Si definisce snellezza il rapporto:
24
R
Z
ZC0
dove ZC0 è il raggio d'inerzia minimo della sezione della trave (vedi Geometria delle masse). Per le sezioni di più
comune impiego i valori del raggio d'inerzia sono riportati sui manuali tecnici.
Una volta determinata la snellezza, apposite tabelle ci forniscono un fattore moltiplicativo P per eseguire la verifica:
n P , nrC
Il metodo descritto prende il nome di metodo omega;
Per una trattazione più approfondita si veda la normativa UNI 10011 per le costruzioni in acciaio.
7.8.20 Risoluzione di trave inflessa isostatica
Una volta studiati i quattro tipi di sollecitazione semplice e le tensioni che ne derivano all'interno della sezione
interessata, vogliamo dare un breve cenno circa la risoluzione di semplici travi inflesse.
Si tratta, noti i carichi applicati alla trave dall'esterno (forze e momenti) e note le caratteristiche geometriche della
trave e le sue condizioni di vincolo, di determinare le sollecitazioni presenti nella generica sezione della trave.
Il primo passo è quello di determinare le incognite reazioni vincolari; ci limiteremo nella presente trattazione alla
risoluzione di travi isostatiche in quanto le travi iperstatiche necessitano di un calcolo alquanto laborioso, non essendo
sufficienti le sole equazioni fondamentali della statica.
Sia data la trave in figura Ee, di lunghezza d, vincolata agli estremi con un carrello semplice e una cerniera soggetta in
una generica sezione alla forza F.
Si fissino arbitrariamente i versi delle incognite reazioni vincolari > , > e H e si fissi un sistema di versi positivi per
le direzioni x, y e di rotazione, per esempio come quello in figura.
Il sistema composto dalle tre equazioni della statica sarà:
ΣX 0
ΣY 0 Σ 0
che assumeranno la forma:
~ 0
F V > 0 F · a > · d 0
Per l'equilibrio alla rotazione è stato scelto il punto A, quindi tutti i momenti presenti nella 3^ equazione sono
calcolati rispetto ad A, ma la scelta del punto è assolutamente arbitraria; da tenere presente che una scelta opportuna di
tale punto permette di annullare una o più incognite.
Applichiamo adesso i seguenti valori numerici:
d 4 ;
E 1,5 ;
1000.
Si ha:
~ 0
V F > Š
a
> F ·
l
~ 0
V 625N > 375
Quindi la trave è soggetta complessivamente alle forze indicate in figura e.
25
Il passo successivo consiste nel determinare le sollecitazioni presenti in ciascuna sezione della trave. Come si può
intuire, quella in esame sarà soggetta a taglio e momento flettente, non essendovi forze assiali che possono provocare
sforzo normale.
Consideriamo una generica sezione distante x dall'estremo A (figura "e).
Per l'equilibrio del tratto di trave considerato nella sezione X sarà presente una forza T diretta verso il basso e un
momento M antiorario. Sarà:
S 625 S · Consideriamo ora una sezione tra C e B (figura 2e).
Sempre per l'equilibrio del tratto considerato dovrà essere presente una forza di taglio T e un momento M che
equilibri gli altri momenti presenti:
S 1000 625 375 1000 · 1,5 – S · .
Siamo ora in grado di costruire i grafici del taglio e del momento flettente (figura 'e):
0
0
" 625 · 1,5 937,5 .
Il momento flettente massimo si realizza nella sezione C, punto di applicazione di F.
Il taglio subisce una discontinuità in corrispondenza di F.
Esercizio di calcolo travi inflesse
7.8.21 Dimensionamento del dente di un ingranaggio
La sezione resistente di un dente di un ingranaggio deve essere dimensionata in funzione della potenza trasmessa dalla
ruota stessa, cioè del momento trasmissibile e quindi della forza che sollecita il singolo dente; le grandezze sono legate
dalle seguenti relazioni:
· ω ojp ; · O op
con:
26
P = potenza trasmissibile [W];
ω = velocità angolare [rad/s];
M = momento trasmissibile [Nm];
F = forza [N];
r = raggio della ruota [m].
Poiché la dimensione e quindi la resistenza del dente è legata al modulo, si tratta di individuare il modulo più
opportuno.
Il dente può essere assimilato a una mensola (trave incastrata a un estremo) di lunghezza h = 13/6 m con sezione
resistente rettangolare di dimensioni s e b;
quindi dalle relazioni del momento flettente secondo cui :
6
| nrC
j
Ora il modulo di resistenza a flessione di una sezione rettangolare è dato da :
$ .
j
6
Dalla formula di progetto :
6
jv
nrC
Poiché
6 · ‘ · ‘
O
si ha:
‘
jv ·
O nrC
 · $ . · 13 · v
6
· 6 · nrC
Nella maggior parte dei casi b = 10 m mentre s= π m/2, quindi:
· 13 · €· .
| nrC · 10 · ’
“
O
2
e poiché
”
2
=
•
nrC ”
la quale permette di scegliere il modulo della ruota in funzione del momento trasmesso, del numero dei denti e della
tensione ammissibile nel materiale.
7.9 Attrito e lubrificazione
27
7.9.1 Resistenze passive
La dinamica studia il moto dei corpi sotto l'azione di forze esterne senza preoccuparsi dell'interazione tra il corpo in
oggetto e gli altri corpi con cui viene in contatto, oppure con il mezzo nel quale si trova immerso.
Nella realtà un organo in movimento non si trova mai isolato, ma per esempio scorre sulla superficie di un altro, come
avviene per le guide di una macchina utensile, oppure si trova immerso in un fluido (aria, acqua, lubrificante).
Il contatto tra gli organi meccanici e tra questi e un fluido, fanno nascere delle forze che si oppongono al moto e che
per questo sono dette resistenze passive. Queste si distinguono in:
- resistenze di attrito;
- resistenza del mezzo.
7.9.2 Attrito radente
La resistenza di attrito si verifica in quanto le superfici di contatto di due corpi che si muovono relativamente non sono
mai perfettamente lisce e piane, ma mantengono sempre un certo grado di rugosità come si nota nella figura seguente.
Queste rugosità provocano un ingranamento tra le asperità dei due pezzi e fanno nascere delle forze distribuite sulle
superfici di contatto, la cui risultante è appunto la forza di attrito.
La forza di attrito *r può essere valutata come:
Dove:
+* reazione piano di appoggio
*r – · *J
E* accelerazione imposta al corpo
* forza cui è soggetto il corpo
– coefficiente di attrito;
*J forza peso normale al piano di scorrimento.
Il coefficiente di attrito dipende dalla natura e dal grado di finitura delle superfici; si riportano in tabella alcuni valori
caratteristici dei vari materiali.
L'attrito non è sempre un fenomeno negativo; infatti è grazie all'attrito che funzionano i freni dei veicoli, che si ha
l'aderenza tra ruota e strada e la trasmissione tramite cinghia e puleggia.
Tabella Coefficienti di attrito
28
7.9.3 Attrito nei perni.
Il diametro della sede deve essere necessariamente maggiore del diametro del perno; in condizioni statiche il punto di
contatto si trova in C .
Durante il moto a regime (velocità angolare costante) nasce la forza di attrito Fa, quindi il perno si dispone con il
punto di contatto in C', in condizioni di nuovo equilibrio.
Durante il moto nasce quindi un momento resistente pari a:
r r · O
7.9.4 Piano inclinato con attrito
Nel piano inclinato con attrito, la forza peso P si può scomporre in due componenti F1 e F2 di cui la prima tende a fare
scendere il peso lungo il piano inclinato, mentre la seconda tiene premuto il corpo sul piano dando luogo alla forza di
attrito R (figura seguente).
29
Quindi la forza in grado di provocare il moto è F1, la forza resistente è R.
Si hanno due casi:
sin % s – · cos % il corpo scende;
sin % , – · cos % il corpo è fermo;
la condizione limite è rappresentata da:
sin %
–
tan %
cos %
Se a cresce è necessario un coefficiente di attrito maggiore per assicurare l'equilibrio.
7.9.5 Attrito volvente.
L’attrito volvente o di rotolamento riguarda il moto di un disco che rotola, senza strisciare, su una superficie piana. Il
moto avviene grazie a una coppia di forze: una applicata
alla ruota che esercita la trazione e l'altra di reazione, applicata nel punto di contatto (vedi figura).
- Ricordiamo che il contatto nel punto C avviene soltanto se la ruota e il piano sono perfettamente rigidi. In realtà sia
il disco che la superficie sono fatti di materiali deformabili, quindi la zona di contatto sarà più estesa di un punto e
nascerà una pressione di contatto di risultante 0.
Quando il disco è fermo O si trova esattamente sulla direziono di P e le due forze si equilibrano. Durante il moto la
zona di contatto si sposta in avanti e la risultante Q lo stesso, formando una coppia š ·  che si oppone al moto; b è il
coefficiente di attrito volvente ed ha le dimensioni di una lunghezza.
Per ottenere un moto uniforme la coppia motrice · O deve uguagliare la coppia resistente:
·O š·
e quindi
š·
O
quindi la resistenza di attrito al rotolamento dipende da:
- il peso del disco aše;
- la deformabilità ae;
- il raggio del disco aOe.
7.9.6 Applicazioni dell'attrito
Abbiamo già accennato al fatto che l'attrito non sempre è un fenomeno negativo; un esempio di questo è rappresentato
dal freno a ceppi.
Il ceppo viene spinto contro la ruota in movimento da una forza P. Nella zona di contatto, che è una superficie
cilindrica, nascono delle forze d'attrito distribuite la cui risultante è:
30
–·
Il momento frenante o resistente si ottiene quindi come:
K · O
Un altro caso in cui l'attrito viene sfruttato a nostro vantaggio è la trasmissione tramite cinghie e pulegge.
La cinghia viene montata sulle due pulegge in trazione, in modo che si sviluppi una forza F nei due rami della cinghia.
I due fianchi della gola reagiscono con due forze R le quali devono equilibrare F:
2 · sin %I2
La pressione esercitata da R fa nascere una forza di attrito che si oppone al moto:
2·–·
r 2 · – · 2 · sin›%I2œ
La forza di attrito è quindi inversamente proporzionale ad α, cioè tanto maggiore quanto più piccola è l'inclinazione dei
fianchi della gola (figura seguente).
7.9.7 Lubrificazione.
Scopo della lubrificazione è di eliminare o quantomeno di ridurre il più possibile la forza di attrito.
Come abbiamo visto il fenomeno dell'attrito nasce essenzialmente a causa della rugosità delle superfici che si trovano
a contatto e in moto relativo tra loro.
A prescindere da quei casi in cui l'attrito viene sfruttato a nostro favore, esso è da ritenersi in generale un fenomeno
negativo, che porta a usura precoce degli organi meccanici, a dissipazioni di energia sotto forma di calore ed in
definitiva a perdite di potenza.
Per diminuire l'effetto dell'attrito si ricorre pertanto alla lubrificazione, che consiste nell'interporre tra le superfici a
contatto un sottile strato di fluido avente caratteristiche opportune, che si dice lubrificante.
Si comprende come in tal modo, evitando il contatto diretto tra le due superfici, il coefficiente di attrito diminuisca
notevolmente. In realtà l'attrito è sempre presente, ma si trasferisce all'interno del lubrificante stesso e dipende dalla sua
viscosità (vedi figura).
Dobbiamo distinguere due casi:
- un sottile velo di lubrificante impregna le due superfici, ma non è in grado di separarle completamente. Il coefficiente
di attrito tra due superfici metalliche può diminuire da 0,5 a 0,1;
31
- si crea un film di lubrificante che separa completamente le due superfici, per cui l'attrito è dovuto unicamente alla
viscosità del lubrificante.
Questo ultimo tipo di lubrificazione è ottenuto soltanto se l'olio ha una pressione sufficiente a consentire la
separazione delle due superfici; il che si può ottenere immettendo l'olio in pressione per mezzo di una pompa, oppure
dimensionando opportunamente gli organi in modo che la pressione aumenti idraulicamente.
È evidente che in questo caso la lubrificazione è molto più efficiente e consente di abbassare il coefficiente di attrito
tra metalli fino a 0,005.
7.9.8 Natura del lubrificante.
I lubrificanti possono essere solidi o liquidi; la grafite è un esempio di lubrificante solido.
I lubrificanti liquidi più comuni sono olii minerali, ottenuti per distillazione dei derivati del petrolio o sintetici; nel
tempo passato venivano usati anche olii di origine animale (lardo) o vegetale.
Le proprietà che un lubrificante deve possedere sono la capacità di aderire alle superfici, in genere metalliche, la
viscosità e la non aggressività nei confronti dei metalli.
La viscosità è la proprietà dei fluidi che ne esprime la resistenza allo scorrimento.
Si distingue tra viscosità cinematica e viscosità dinamica (o viscosità per antonomasia)
Si definisce viscosità cinematica il rapporto fra la viscosità dinamica e la densità del fluido, ed è così chiamata perché le
sue dimensioni sono del quadrato di una lunghezza diviso per un tempo (m2 s−1), quindi si tratta di una grandezza
puramente cinematica.
Si definisce, per ogni sostanza, viscosità dinamica il rapporto tra un qualunque sforzo tangenziale e la derivata
temporale della corrispondente deformazione di scorrimento.
La viscosità dinamica si misura in pascal per secondo (Pa·s), equivalente al newton per secondo a metro quadrato
(N·s·m−2). La forza risultante dovuta a tale effetto può essere espressa come F=ηvA/d, dove A è l’area della superficie in
moto, v la sua velocità uniforme, d lo spessore del fluido e η il cosiddetto coefficiente di viscosità dinamica.
Valori tipici di η sono 10−3 N·s·m−2 per l’acqua e 830 10−3 N·s·m−2 per la glicerina (a 20 °C, essendo η fortemente
dipendente dalla temperatura).
Un fluido con viscosità nulla è detto fluido ideale.
La viscosità viene misurata in gradi Engler-Sae, ed è variabile in rapporto alla temperatura. Un'altra caratteristica
importante è il punto di infiammabilità che non deve essere troppo basso, dato il calore che si sviluppa durante la
lubrificazione.
7.9.9 Lubrificazione nelle macchine utensili
Nelle lavorazioni alle macchine utensili i lubrificanti hanno molteplici funzioni:
- sono impiegati all'interno dei meccanismi della macchina per diminuire l'attrito tra i vari organi della catena
cinematica (alberi, ruote dentate, guide di scorrimento ecc.);
- sono spruzzati sulla zona di taglio con la doppia funzione di lubrificare e refrigerare la zona di contatto tra pezzo e
utensile.
Quest'ultima funzione è molto importante in quanto, a parte materiali particolari come la ghisa che viene lavorata a
secco, i lubro-refrigeranti sono di impiego generale. Essi consentono quindi di dissipare il calore che si forma per attrito
tra utensile e pezzo in lavorazione e di abbassare il coefficiente di attrito nella zona di taglio.
7.9.10 Lubrificazione perno-cuscinetto
Nell'accoppiamento perno-cuscinetto che abbiamo già visto, in caso di lubrificazione avviene che il lubrificante entra da
una sezione che via via si restringe; in tal modo la pressione dell'olio aumenta fino a un massimo che si verifica nel
punto più basso. La pressione ha un valore tale da consentire al perno di galleggiare equilibrando il carico verticale
applicato P .
32
7.9.11 Resistenza del mezzo.
Quando un corpo si muove immerso, totalmente o parzialmente, in un fluido (aria, acqua) deve necessariamente
spostare un certo volume di fluido per avanzare: così facendo esso cede energia cinetica al fluido, inoltre l'attrito del
fluido contro le pareti del corpo contribuisce a una ulteriore perdita di energia. La resistenza che il corpo incontra nel
l'attraversare un fluido si dice resistenza del mezzo. Sono esempi di resistenza del mezzo il moto di una nave nell'acqua
oppure il moto di un veicolo nell'aria .
La resistenza del mezzo dipende essenzialmente da cinque fattori:
1) la densità del fluido;
2) la velocità del corpo;
3) la massima sezione trasversale del corpo;
4) la forma del corpo;
5) la rugosità della superficie di contatto.
La resistenza del mezzo può essere espressa quindi con la relazione:
 · ž · 1 · N.
dove:
- R resistenza del mezzo;
- ρ densità del fluido;
- C coefficiente adimensionale che esprime la forma del corpo e la scabrosità della superficie;
- S sezione max trasversale del corpo;
33
- v velocità relativa corpo/fluido.
Densità del fluido
La resistenza è tanto maggiore quanto più è denso il mezzo o fluido. La resistenza nell'acqua è molto più alta di quella
nell'aria, poiché l'acqua è un mezzo più denso.
L'avanzamento di un veicolo nell'aria d'estate incontra una resistenza minore rispetto all'inverno, in quanto l'aria
calda ha una densità minore di quella fredda.
Velocità del corpo
La velocità è molto importante poiché la resistenza del mezzo varia con il quadrato della velocità.
Per i veicoli terrestri quali le automobili, la resistenza aerodinamica ha una scarsa influenza alle basse velocità,
mentre oltre i 90 km/h diventa un termine determinante nella resistenza totale che il veicolo deve superare.
Si è sperimentato che un'auto che viaggia alla velocità di 120 km/h consuma fino al 30% in più rispetto alla velocità di
90 km/h; la differenza è dovuta per la gran parte alla resistenza dell'aria.
Area della sezione
L'area è la massima sezione trasversale del corpo, normale rispetto alla direziono del moto. Si intuisce come la
resistenza aumenti proporzionalmente con la massima sezione; un ciclomotore dotato di parabrezza troverà molta più
resistenza all'avanzamento.
Forma del corpo
La forma ha una importanza essenziale. Oggi tutti i veicoli terrestri vengono progettati con un attento studio alla
aerodinamica, nella ricerca di una sempre maggiore efficienza energetica.
Se un veicolo presenta forme arrotondate e assenza di spigoli vivi, si comprende come possa essere più aerodinamica.
Agli inizi dell'industria automobilistica, non ci si poneva il problema della forma aerodinamica; in seguito è diventata
una preoccupazione costante dei costruttori.
7.10 Organi di trasmissione. Introduzione
7.10.1 II motore delle macchine
Ogni macchina possiede uno o più motori che comandano il moto degli organi di trasmissione necessari al suo
funzionamento.
34
Il motore può comandare direttamente, senza meccanismi intermedi, gli organi principali della macchina.
Nella maggior parte dei casi il motore trasmette il movimento agli organi principali della macchina attraverso
meccanismi intermedi.
I principali meccanismi di trasmissione consistono in un sistema di pulegge con cinghie oppure in un sistema di
ruotismi.
7.10.2 Organi di trasmissione del moto rotatorio
La scelta degli organi che trasmettono il moto dall'albero che da potenza (albero motore) all'albero che la riceve (albero
mosso) dipende dalla distanza relativa dei due alberi e da particolari necessità di funzionamento.
Trasmissione con pulegge e cinghie
Per gli alberi relativamente lontani si preferiscono, perché più economiche e pratiche, le pulegge con cinghie (B)
Trasmissione con ruote dentate
Se gli alberi sono vicini si usano le ruote dentate (A).
35
Trasmissione con snodi cardanici
Se, durante il moto, l'angolo tra i due alberi incidenti deve poter variare entro determinati limiti, si usano gli snodi
cardanici (C).
Collegamento tra albero e mozzo
Per realizzare la trasmissione tra due alberi è necessario rendere solidali nel moto rotatorio gli alberi con i rispettivi
mozzi (ruote dentate, pulegge ecc.) su di essi calettati. Per calettamento si intende l'operazione di montaggio di organi a
superficie cilindrica (albero e mozzo) che devono ruotare insieme. Il calettamento è fisso quando non concede ai due
organi libertà di movimento relativo. È scorrevole quando permette lo scorrimento assiale di un organo rispetto all'altro,
ma li costringe a ruotare solidali. Gli elementi accoppiati (albero e mozzo) sono invece montati folli quando possono
ruotare indipendentemente l'uno dall'altro.
I sistemi di calettamento più comuni prevedono l'utilizzazione di particolari barrette metalliche (chiavette e linguette),
che vengono infilate più o meno forzatamente in apposite cave ricavate sia nell'albero sia nel mozzo, rendendoli così
solidali.
Cuscinetti
Per ridurre il più possibile l'attrito tra gli alberi di trasmissione in rotazione rispetto ai rispettivi supporti fissi, vengono
interposti i cuscinetti tra alberi e supporti.
I cuscinetti possono essere a strisciamento (ad esempio le bronzine) o a rotolamento (ad esempio i cuscinetti volventi
a sfere).
Lubrificazione
Tutti gli organi in movimento delle macchine (ruote dentate, cuscinetti, slitte) devono essere sempre lubrificati al fine di
ridurre al minimo l'attrito. Senza lubrificazione gli organi in movimento, a contatto tra di loro, si riscalderebbero a
causa dell'attrito e andrebbero incontro a una rapida usura. Come lubrificanti vengono impiegati olii o grassi.
7.10.3 Trasmissione con pulegge e cinghie
Le cinghie si usano per trasmettere il moto tra due alberi relativamente distanti fra loro quando non sia richiesto un
rigoroso rapporto di trasmissione.
Infatti, funzionando per attrito, è sempre possibile avere degli slittamenti.
La cinghia aderendo, secondo gli angoli di avvolgimento, a due ruote lisce, dette pulegge, calettate rigidamente
all'albero motore e all'albero condotto, trasmette potenza e quindi il moto per effetto dell'attrito esistente tra pulegge e
cinghia. Perché il moto si trasmetta senza slittamenti la cinghia deve essere in tensione.
Si intende per angolo di avvolgimento l'angolo corrispondente all'arco della puleggia lungo il quale aderisce la
cinghia. Nella figura seguente %. s %- .
Rapporto di trasmissione
Le dimensioni dei diametri delle due pulegge determinano il rapporto di trasmissione.
I numeri di giri che le pulegge compiono nell'unità di tempo sono inversamente proporzionali ai loro diametri.
Se 2- , e 2. sono i diametri rispettivamente della puleggia motrice e di quella condotta, il rapporto di trasmissione è:
36

(- 2.
(. 2-
Esempio:
una puleggia conduttrice di diametro d1 = 100mm compie n1 = 300 giri/min e trasmette il moto ad una puleggia
condotta il cui diametro è d2 = 150 mm.
Il numero di giri della puleggia condotta è:
2100
U;O;I
300 200
(. (- ·
;(
2.
150
Si usano due tipi di cinghie:
- cinghie piatte a sezione rettangolare, per trasmettere potenze non rilevanti tra alberi sia paralleli che sghembi;
- cinghie a sezione trapezoidale, per trasmettere notevoli potenze, ma solo tra alberi paralleli.
Cinghie piatte
Le cinghie piatte sono montate su pulegge a corona liscia con profilo leggermente convesso affinché durante il moto
non avvengano spostamenti in direziono assiale (la figura seguente mostra lo schema di montaggio di cinghie piatte).
La flessibilità delle cinghie piatte consente diverse possibilità di montaggio a seconda del moto e della posizione delle
pulegge.
La cinghia è montata diritta quando i due alberi devono girare nello stesso senso, oppure si possono montare
incrociate.
Cinghie trapezoidali
Le cinghie trapezoidali sono chiuse ad anello senza giunzioni con sezione trasversale trapezoidali (in figura lo schema
di montaggio di cinghie trapezoidali).
Le cinghie trapezoidali vengono sempre impiegate nelle macchine utensili
per rendere più flessibile e meno rigido il collegamento tra il motore e gli
organi comandati.
La puleggia per cinghia trapezoidale deve presentare una gola, anch'essa a
sezione trapezoidali, nella quale si inserisce, in tensione, la cinghia, che può
così trasmettere elevati sforzi tangenziali.
Essendo relativamente rigide le cinghie trapezoidali si possono montare solo
su alberi paralleli.
Rispetto alle cinghie piatte quelle trapezoidali, esercitando sulle superfici di contatto una maggiore pressione, per il
particolare accoppiamento a cuneo, possono trasmettere potenze elevate con minor angolo di avvolgimento, per cui
possono essere montate anche su pulegge molto vicine e di diametri molto diversi. Per trasmettere grandi potenze si
montano più cinghie affiancate.
Le cinghie trapezoidali sono montate su pulegge lisce quando esse garantiscono un arco di avvolgimento sufficiente
anche nelle peggiori condizioni di funzionamento.
Caratteristiche costruttive delle cinghie trapezoidali
Le cinghie trapezoidali si costruiscono prevalentemente contessuti gommati aventi una notevole resistenza a trazione.
37
In particolare le cinghie trapezoidali sono composte di un nucleo, costituito da un blocco di tortiglia di cotone
gommato disposto a strati, di due strati di gomma intorno al nucleo centrale e di un rivestimento di tessuto gommato di
grande resistenza all'attrito.
G Strati di gomma intermedi;
N nucleo centrale di cotone gommato;
R rivestimento esterno resistente all'attrito.
Cinghie dentate
Le cinghie dentate, costruite in tessuto e gomma, sono montate su pulegge anch'esse dentate.
La figura mostra una trasmissione con cinghia dentata;
p = passo,
Dp = diametro primitivo,
De = diametro esterno.
La linea primitiva è ogni linea circonferenziale di cinghia che non varia di lunghezza
quando la cinghia viene curvata.
Il loro uso è indicato nei casi in cui è necessario trasmettere il moto con una certa
precisione nel rapporto di trasmissione, in quanto le possibilità di slittamento sono
alquanto ridotte rispetto alle comuni cinghie piatte e trapezoidali.
Catene
Le catene accoppiate a ruote dentate si possono usare per trasmettere il moto tra alberi relativamente vicini senza
produrre slittamenti.
In figura una trasmissione con catena a rulli senza slittamento
Le catene si utilizzano per basse velocità. Le catene sono fatte
con piastrine di acciaio variamente sagomate e unite da perni di
acciaio con o senza rullino.
7.10.4 Trasmissione con ruote dentate
Le ruote dentate trasmettono il moto tra alberi vicini anche inclinati fra di loro. Mediante l'accoppiamento di due ruote
dentate di diverso diametro, non solo è possibile trasmettere il moto tra due alberi, ma anche variare il rapporto fra la
velocità di rotazione dell'albero motore e quella dell'albero condotto. Quando la coppia è costituita da una ruota grande
e da una ruota molto più piccola questa assume il nome di pignone o rocchetto. La scelta del tipo di coppia di ruote
dentate è determinata dalla posizione relativa dei due alberi, sui quali le ruote devono essere calettate.
Se gli alberi sono paralleli si utilizzano ruote cilindriche a denti diritti (figura a) o elicoidali con eliche di senso
contrario (figura b).
Se gli alberi sono sghembi, cioè se i loro assi non giacciono sullo stesso piano, si utilizzano ruote cilindriche a denti
elicoidali con eliche dello stesso senso (figura c). Se gli alberi sono incidenti si utilizzano ruote coniche (figura d).
38
Ruote dentate a denti diritti
Una coppia di ruote dentate ingranate fra loro è caratterizzata dal passo, o
dal modulo, e dal rapporto di trasmissione.
Nel passo e nel modulo si tratta di due ruote dentate che per ingranare
devono avere lo stesso passo e lo stesso modulo.
Il passo di una ruota dentata è indicato con la lettera p.
Il modulo di una ruota dentata è indicato con la lettera m.
Nel rapporto di trasmissione si stabilisce la velocità che si ottiene
all'albero condotto, in relazione alla velocità dell'albero motore. Esso
dipende dal numero dei denti di ciascuna delle due ruote.
Il rapporto di trasmissione tra due ruote dentate è indicato con la lettera
greca ρ (leggi ro).
Il numero dei denti di una ruota dentata è indicato con la lettera Z.
Passo della dentatura
II passo è la lunghezza dell'arco compreso fra gli assi di due denti consecutivi, misurata su di una circonferenza virtuale,
di lunghezza 2J · €, detta primitiva:
";O"#(–'O'(ŸE WO;;Q;NE 2J · €
W
(c'O# 2; 2'(Q;
”
Le circonferenze primitive di una coppia corrispondono alle
circonferenze esterne di due ruote senza denti, che trasmettono il moto
per frizione con lo stesso rapporto di trasmissione della coppia effettiva
di ruote dentate.
Modulo della dentatura
II passo è sempre rappresentato da un numero con molti decimali, perché calcolato mediante π che è un numero
irrazionale. È perciò poco pratico nello sviluppo dei calcoli. € = 3,1415 è il rapporto fisso tra la lunghezza di una
circonferenza e il suo diametro. Se ad esempio d = 50 mm e Z = 20 il passo risulta:
50 · π
W
7,8537 … 20
Dividendo il passo per π si ottiene un numero, m, detto modulo, che caratterizza la dentatura e ne costituisce l'unità di
misura:
W 2
€ ”
I moduli più usati sono: 1 - 1,25-1,5-1,75-2-2,25-2,5-2,75-3-3,25-3,5-3,75-4-4,5-5.
Le ruote dentate per poter ingranare fra loro devono avere lo stesso modulo.
Pertanto se le due ruote hanno diverso diametro devono anche avere diverso numero di denti.
Se, ad esempio, la prima ruota ha d = 50 mm e Z = 20 il suo modulo è m = 50/20 = 2,5.
39
Se la seconda ruota ha d = 100 mm, per poter ingranare con la prima, deve avere Z= 40 denti. Infatti, così, anche la
seconda ruota ha m = 100/40 = 2,5.
Dimensionamento della dentatura
Nella figura che segue sono rappresentate le caratteristiche geometriche principali di una coppia di ruote dentate
cilindriche a denti diritti:
m: modulo;
p :passo;
a :addendum;
d :dedendum;
h :altezza del dente;
e :gioco sul fondo;
s :spessore del dente;
Z :numero dei denti;
dp: diametro primitivo;
de :diametro esterno;
di :diametro interno.
Nella tabella che segue sono riportati i valori delle principali
dimensioni di una ruota, per alcuni dei moduli più usati.
2J
W: € ”
2J · €
W·€
”
E
7
2 6
‘ E32 13
6
1
0,167 6
$ W: 2 1,5708
2J
”
'
2J · ”
2k 2J 3 2E
2 2J 22
40
Ruote dentate cilindriche con denti elicoidali
Gli ingranaggi elicoidali offrono molti vantaggi rispetto a quelli a denti diritti e trovano impiego sempre maggiore nelle
costruzioni meccaniche.
Diversamente dagli ingranaggi a denti diritti nei quali i denti entrano in presa simultaneamente su tutta la loro
lunghezza e si trovano così sottoposti istantaneamente al carico totale, i denti elicoidali entrano in contatto
gradualmente e il carico è applicato con azione progressiva.
Inoltre i denti contemporaneamente in presa sono più di uno e il carico risulta così ripartito su più denti.
A parità di modulo gli ingranaggi elicoidali possono r trasmettere una maggiore potenza rispetto a quelli a denti diritti,
con un funzionamento più dolce e meno rumoroso.
Un inconveniente della dentatura elicoidale è rappresentato dalla presenza della spinta assiale, dovuta all'inclinazione
dei denti.
Per neutralizzare la spinta assiale si ricorre ai cuscinetti reggispinta o, quando è possibile, si impiegano doppie
dentature elicoidali aventi eliche di senso inverso in modo che le spinte assiali si annullino.
Modulo e passo normali e circonferenziali
I denti delle ruote elicoidali sono inclinati rispetto all'asse di un angolo corrispondente all'inclinazione dell'elica. I valori
del passo e del modulo variano perciò a seconda della sezione che si considera.
Considerando la sezione normale al passo dell'elica yy si ha il passo normale pn.
Dividendo il pn per π si ottiene il mn . L'utensile impiegato per la generazione dei denti è scelto secondo il valore del
modulo normale.
Considerando la sezione normale all'asse della ruota xx si ha il passo circonferenziale.
W0
€0
WM cos ¡ cos ¡
Il modulo circonferenziale di conseguenza vale:
WM
€0
0
M € € cos ¡ cos ¡
In figura sono mostrate le caratteristiche geometriche delle ruote cilindriche a denti elicoidali e alcune relazioni
notevoli tra i loro elementi.
41
Diametro primitivo
II diametro primitivo, e perciò anche la circonferenza primitiva, si misurano in un piano normale all'asse della ruota.
Il valore del diametro primitivo dp è dato da:
” · 0
2J ” · M cos ¡
Passo dell'elica
II valore del passo dell'elica è in funzione dell'angolo di inclinazione dei denti e del valore della circonferenza primitiva
della ruota.
Il valore del passo dell'elica pe è dato da:
€ · 2J
Wk tan ¡
Trasmissione del moto tra alberi paralleli
La trasmissione si ottiene usando ruote cilindriche a denti diritti o ruote cilindriche a denti elicoidali .
Ruote cilindriche a denti diritti
I denti sono disposti paralleli all'asse e alle generatrici del cilindro e perciò vengono definiti denti diritti.
Nei vani tra un dente e l'altro di una ruota si inseriscono successivamente i denti dell'altra ruota avente lo stesso passo, e
quindi lo stesso modulo, ottenendo così l'accoppiamento.
42
I denti, che in un dato istante ingranano, si scambiano le sollecitazioni tangenziali, realizzando la trasmissione del moto
da una ruota all'altra.
Ruote cilindriche a denti elicoidali
I denti sono costruiti trasversalmente alle generatrici del cilindro, seguendo lo sviluppo di un'elica cilindrica e perciò
vengono definiti denti elicoidali (figura seguente).
Il passo P di un'elica è la distanza misurata tra due successivi punti di
intersezione della stessa elica con una generatrice del cilindro sul quale è avvolta.
L'angolo di inclinazione a dell'elica è l'angolo che il dente forma con la
generatrice passante per il suo punto medio.
Due ruote cilindriche a denti elicoidali e ad assi paralleli, perché possano
accoppiarsi, devono avere, oltre allo stesso modulo, l'inclinazione dei denti
uguale in ciascuna di esse, ma di senso contrario.
I denti di una ruota sono eliche destre mentre quelli dell'altra ruota sono eliche sinistre di eguale inclinazione.
Il senso di un'elica (di ingranaggi, filetti di viti, ecc.) è destro se un osservatore vede l'elica che, allontanandosi da lui,
gira in senso orario
(figura a).
Il senso di un'elica è
sinistro se un osservatore
vede
l'elica
che,
allontanandosi da lui, gira
in senso antiorario (figura
b).
Con l'uso delle ruote
elicoidali si ottiene una trasmissione più uniforme e silenziosa.
L'inclinazione del dente elicoidale rispetto alle generatrici del cilindro, consente al dente di sopportare maggiori
sollecitazioni con il vantaggio di renderle
praticamente continue e uniformi.
Trasmissione del moto tra alberi sghembi
Per trasmettere il moto tra due alberi non giacenti sullo stesso piano (sghembi) si usano ruote cilindriche a denti
elicoidali .
Per essere accoppiabili devono avere lo stesso modulo e l'inclinazione dei denti
nello stesso senso. I denti delle ruote sono costituiti da eliche tutte e due destre o
tutte e due sinistre, mentre gli angoli di inclinazione possono essere uguali o diversi.
Coppia di ruote coniche con denti a spirale
Per realizzare trasmissioni più regolari e silenziose e per trasmettere sforzi elevati tra
alberi sghembi vengono utilizzate coppie di ruote coniche con denti a spirale
costruite su macchine dentatrici speciali.
La coppia più comune di questo tipo è quella chiamata ipoide ed è utilizzata soprattutto nel gruppo differenziale degli
autoveicoli.
La coppia consiste in una ruota grande a forma di corona tronco conica con denti a spirale e da un pignone, anch'esso
con denti a spirale, che le trasmette il moto rotatorio.
43
Coppia vite senza fine-ruota elicoidale
Se gli alberi sghembi sono ortogonali tra di loro si usa un particolare accoppiamento, la coppia vite senza fine-ruota
elicoidale. Si tratta di un sistema normalmente irreversibile perché l'elemento motore deve essere sempre la vite senza
fine.
La vite senza fine è praticamente una ruota elicoidale cilindrica generalmente
con basso numero di denti, chiamati in questo caso filetti o principi della (T)
vsf.
La vite senza fine viene utilizzata per ottenere una forte riduzione di velocità.
Rapporto di trasmissione
Nella trasmissione di due ruote dentate si può sempre individuare una ruota detta conduttrice o motrice, montata su un
albero che è detto motore, e una ruota detta condotta, montata su un albero chiamato condotto (o mosso) in altre parole,
l'albero motore e la ruota conduttrice trasmettono il moto rotatorio alla ruota condotta e all'albero condotto.
Consideriamo una coppia di ruote dentate che ingranano tra di loro, cioè che hanno lo stesso passo e quindi lo stesso
modulo. Se le due ruote sono uguali, cioè hanno lo stesso numero di denti e
quindi lo stesso diametro, a un giro della ruota motrice corrisponde un giro
della ruota condotta.
Le due ruote, e quindi i loro alberi, ruotano in questo caso alla stessa velocità
(figura a).
Se le due ruote sono diverse, se cioè, pur con lo stesso passo e lo stesso
modulo, una ruota ha un numero di denti superiore a quello dell'altra, e
quindi anche diametro maggiore, allora anche la velocità dei due alberi
risulta diversa. Più precisamente, se sull'albero motore è montata la ruota con
più denti, l'albero condotto ruota a velocità maggiore.
Nell'esempio della figura b la ruota motrice ha un numero di denti doppio
della ruota condotta.
A un giro della ruota motrice corrispondono due giri della ruota condotta,
cioè l'albero condotto ruota a velocità doppia di quello motore.
Se sull'albero motore è montata la ruota con meno denti, l'albero condotto
ruota a velocità inferiore.
Nell'esempio della figura c la ruota motrice ha un numero di denti che è la
metà di quello della ruota condotta.
A un giro della ruota motrice corrisponde mezzo giro della ruota condotta,
cioè l'albero condotto ruota a velocità pari alla metà di quella dell'albero
motore.
Dalle considerazioni e dagli esempi precedenti si deduce che la velocità di
rotazione dell'albero motore e quella dell'albero condotto sono inversamente proporzionali ai numeri di denti della ruota
conduttrice e di quella condotta.
In altre parole, i numeri di giri n1 e n2 delle due ruote compiuti nell'unità di tempo (ad esempio in un minuto) sono
inversamente proporzionali ai loro numeri di denti. Z1 e Z2. Si ha quindi:
(- ”.
(. ”-
44
Il rapporto tra il numero di giri della ruota motrice (n1) e il numero di giri della ruota condotta (n2), nello stesso tempo, è
chiamato rapporto di trasmissione (figura 7.70) e viene indicato con la lettera greca ρ (ro):
(
(.
Poiché :
(- ”.
(. ”— si ha anche:
”.

”-
Con riferimento alla figura che segue, si ha che ρ è uguale, minore o maggiore di 1 a seconda che la ruota motrice
abbia un numero di denti uguale, maggiore o minore della ruota condotta:
a) se ”- ”. si ha:
b) se ”- s ”. si ha:
E quindi e quindi n2 < n1
c) se ”- , ”. si ha:
E quindi e quindi n2 > n1
(- ”.
1
(. ”e quindi n2 = n1;


(- ”.
,1
(. ”-

(- ”.
s1
(. ”-
Calcolo dei ruotismi
La formula del rapporto di trasmissione tra due ruote dentate consente di ricavare la velocità di rotazione di un albero se
conosciamo la velocità dell'altro albero e i numeri di denti delle due ruote che realizzano la trasmissione.
Con la stessa formula è possibile calcolare quale numero di denti debbono avere le ruote per realizzare un determinato
rapporto di trasmissione.
45
ESEMPI
1) Siano Z1 =36; Z2 = 60; n1 = 120 giri/min. Calcolare n2:
(- ”36
(. ·( · 120 72

”. - 60
2) Sia n1 = 512 giri/min e si voglia realizzare un rapporto di trasmissione tale che n2 sia uguale a 768 giri/min.
Se ad esempio sull'albero motore viene montata una ruota con Z1 = 30 denti, sull'albero condotto è necessario montare
una ruota con Z2 = 20 denti.
Infatti
(- 512 2

(. 768 3
e si ha:
2
”. ”- ·  30 20
3
Rapporto di trasmissione con più ruote dentate
La trasmissione tra albero motore e albero condotto può essere realizzata anche attraverso uno o più alberi intermedi,
sui quali sono montate una o più ruote dentate intermedie (v.
figura).
Consideriamo il caso più semplice, quello di un albero
intermedio con due ruote che ingranano l'una con la ruota
dell'albero motore e l'altra con la ruota dell'albero condotto.
Il rapporto di trasmissione è in questo caso:
(- ”. · ”‚

(. ”- · ”/
Infatti, se n0 indica i giri/min compiuti dall'albero
intermedio si ha:
(- ”.
(8
”e
(8 ”‚
(. ”/
e quindi
(- (- (8 ”. · ”‚

·
(. (8 (. ”- · ”/
Inversione del senso di rotazione: ruota oziosa
Talvolta è necessario invertire il senso di rotazione dell'albero condotto.
Ciò viene realizzato interponendo tra ruota motrice e ruota condotta una sola ruota dentata, montata su un albero
intermedio.
Tale ruota è chiamata ruota oziosa, perché non influisce sul rapporto di trasmissione tra i due alberi, qualunque sia il
suo numero di denti.
Infatti se indichiamo con Z0 il numero di denti della ruota oziosa e applichiamo la formula del rapporto di trasmissione,
si ricava:
(- ”8 · ”. ”.

(. ”- · ”8 ”Risulta che l'unico effetto della ruota oziosa è quello di invertire il senso di rotazione della ruota condotta e quindi
dell'albero condotto su cui è montata.
Le ruote oziose possono essere più di una. Se sono in numero dispari il senso di rotazione dell'albero condotto è uguale
a quello dell'albero motore.
46
Se sono in numero pari il senso di rotazione dell'albero condotto è
opposto a quello dell'albero motore.
Rapporto di trasmissione delle viti senza fine
II rapporto di trasmissione è uguale al rapporto tra il numero dei
principi ossia dei filetti della vite senza fine e il numero dei denti della
ruota elicoidale:
(- ( WO;(";W; N$–
(. ( 2'(Q; Oc#QE
La coppia vite senza fine-ruota elicoidale realizza un forte rapporto
di riduzione.
Esempio: se la vite senza fine ha due principi e ruota a 1000 giri/min e la ruota elicoidale ha 40 denti, il numero di giri
di quest'ultima è:
( WO;(";W; N$– 1000 · 2
(- (. ·
50 U;O; ⁄;(
( 2'(Q; Oc#QE
40
Per realizzare la stessa riduzione con una coppia di ruote dentate cilindriche, si dovrebbe accoppiare a un rocchetto di
20 denti una ruota condotta di:
(- 1000 · 20
”. ”- ·
400 2'(Q;
(.
50
Dall'esempio risulta chiaro il vantaggio offerto da questo tipo di trasmissione.
7.11 Trasformazione del moto rotatorio in rettilineo e viceversa
Nelle macchine utensili spesso il moto di avanzamento, i moti di regolazione e a volte anche il moto di lavoro, devono,
per necessità operative, essere rettilinei.
Il moto rotatorio dell'albero del motore in dotazione alla macchina, trasmesso mediante ruote cilindriche, cinghie,
snodi cardanici, viene, con particolari meccanismi, ulteriormente trasformato in rettilineo.
I meccanismi che realizzano moti rettilinei a velocità costante sono la coppia vite e madrevite, la coppia rocchettocremagliera e la coppia vite senza fine-cremagliera.
I meccanismi che realizzano moti rettilinei alternati con velocità variabile che si ripetono periodicamente, sono i
manovellismi e le camme.
7.11.1 Moto rettilineo a velocità costante
Coppia vite e madrevite
La coppia vite e madrevite trasforma il moto rotatorio della vite in quello
rettilineo della madrevite. Questa trasformazione viene utilizzata per
imprimere i
moti di avanzamento su torni, fresatrici ecc. (V. figura ).
A Vite;
B madrevite.
Il moto non è reversibile: l'organo motore è sempre la vite.
Coppia rocchetto e cremagliera
La cremagliera si può definire come una ruota dentata di raggio infinito.
Deve accoppiarsi con un rocchetto avente lo stesso modulo (figura).
La coppia trasforma il moto rotatorio del rocchetto in quello rettilineo della cremagliera quando
il rocchetto ruota intorno al suo asse mantenuto fisso.
È questa la trasformazione realizzata per ottenere il moto di lavoro delle piallatrici e il moto di
avanzamento del mandrino del trapano.
47
La coppia trasforma il moto rotatorio del rocchetto in quello rettilineo del rocchetto stesso quando la cremagliera è
fissata rigidamente alla macchina.
Questa ultima soluzione è impiegata nella trasmissione del moto di avanzamento del carrello portautensili del tornio.
Coppia vite senza fine e cremagliera
I denti della cremagliera hanno la funzione dei filetti di una madrevite.
La coppia trasforma il moto rotatorio della vite senza fine nel moto rettilineo della
cremagliera. È una coppia usata per la trasmissione di grandi potenze perché la spinta
totale è frazionata su numerosi denti.
Per questo motivo è usata particolari-inerite per ottenere moto di lavoro nella piallatrice.
Moto rettilineo alternativo
I meccanismi più usati per ottenere un moto rettilineo alternativo sono i manovellismi a biella e manovella, i
manovellismi a glifo oscillante e le camme. Questi meccanismi realizzano moti rettilinei in direzione alternativamente
opposte; il moto nei due sensi non è costante, ma a velocità variabile.
L'inversione automatica di direziono è un principio cinematico e costruttivo di questo tipo di meccanismi; non è perciò
necessario che intervengano altri particolari organi a delimitare la lunghezza della corsa, e a interrompere e invertire la
trasmissione.
Meccanismo di biella e manovella
II disco A, che costituisce la manovella, porta in rotazione con velocità costante il bottone B la cui distanza dal centro
del disco può essere anche regolabile. Al bottone è imperniata una estremità della biella C, la quale nella estremità
opposta, è imperniata alla forcella D (figura seguente).
L'asta E, guidata nel supporto F e collegata alla forcella D, può assumere soltanto
un moto rettilineo alternato.
La lunghezza della corsa dell'asta E è eguale al diametro della circonferenza
percorsa dal bottone B. Si ottiene durante una corsa un moto prima accelerato e poi
ritardato. La velocità assume il valore massimo uguale alla velocità periferica del
bottone, intorno al punto medio della corsa.
Manovellismo a glifo oscillante
Un particolare manovellismo è il glifo oscillante che trasforma un moto rotatorio continuo in un moto alternativo in cui
la corsa si compie nei due sensi con velocità medie diverse e quindi in intervalli di
tempo diversi (v. figura ).
Il bottone 1 compie un moto rotatorio uniforme intorno al centro del disco E,
scorrendo entro la scanalatura del glifo 2 imperniato nella sua estremità inferiore, e
costringe il glifo stesso a oscillare con velocità variabile.
La corsa L dell'estremità oscillante del glifo, si compie da destra verso sinistra nel
tempo impiegato dal bottone per descrivere l'arco ABC. Il tempo impiegato è maggiore
di quello necessario a descrivere l'arco CDA durante le oscillazioni del glifo da sinistra
verso destra.
Camma
La camma è una piastra discoidale fissata a un albero in rotazione. La periferia della camma è sagomata in modo da
obbligare a determinati spostamenti un rullino che vi si appoggia costantemente. Il rullino trasmette quindi i suoi
spostamenti agli organi della macchina ai quali è fissato.
48
Il rullino compie un moto rettilineo, variabile a seconda del profilo della camma
che lo comanda. Nel caso in figura il moto rettilineo è lento in un senso e rapido
nel senso opposto.
Il moto rettilineo del rullino è lento quando esso è in contatto con la camma lungo
l'arco CB.
Il moto è rapido quando il rullino è in contatto lungo l'arco BA.
La differenza tra circonferenza massima e minima ideale della camma corrisponde
alla lunghezza della corsa rettilinea del rullino.
7.12 Innesti
Gli innesti consentono di inserire nel moto (o escludere) un elemento indipendente dagli altri.
In generale interrompono la trasmissione diretta tra due alberi o tra un albero e una ruota su di esso calettata.
Consideriamo tre tipi di innesti:
- l'innesto a dischi è usato per alberi che si trasmettono notevoli potenze e può essere azionato anche durante il moto;
- l'innesto a denti consente di eseguire la fase di inserimento del moto generalmente quando gli alberi sono fermi;
- l'innesto conico è a frizione e può essere azionato anche durante il moto.
7.12.1 Innesto a dischi
L'innesto a dischi, usato quando gli elementi si trasmettono notevoli potenze, è un innesto a frizione con ampia
superficie di strisciamento, costituita dalle facce di molti dischi.
Insieme all'albero A gira il manicotto B scanalato nel senso dell'asse. Nelle sue scanalature entrano i risalti di alcuni
dischi di acciaio che hanno la sagoma S. Sull'albero C è calettata la scatola D nelle cui scanalature interne entrano i
risalti di un'altra serie di dischi, di sagoma S1. I dischi delle due serie si susseguono alternati (v. figura).
Quando la frizione è innestata i dischi dei due
complessi, condotto e conduttore, sono in stretto
contatto tra loro e il conduttore per effetto
dell'attrito trascina in rotazione l'elemento
condotto.
Le manovre di innesto e disinnesto sono
ottenute con lo spostamento del collare E.
7.12.2 Innesto a denti
La parte mobile dell'innesto è un manicotto calettato con chiavetta in modo che possa spostarsi lungo l'albero, pur
girando solidale con esso.
Lo spostamento del manicotto è ottenuto per mezzo di una forcella sulla quale sono fissati due pioli che scorrono in una
gola circolare del manicotto stesso.
Ciò permette di interrompere il collegamento anche durante il moto, mentre
la fase di innesto è meglio che avvenga quando gli elementi sono fermi per
non sottoporli a brusche e violente sollecitazioni specialmente quando la
potenza da trasmettere è notevole.
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7.12.3 Innesto conico
L’innesto conico è un innesto a frizione che consente un collegamento dolce e progressivo tra elementi ruotanti anche
con elevato numero di giri.
È costituito generalmente da una coppia di coni che si inseriscono progressivamente uno dentro l'altro.
Le pulegge A e B, ruotanti in senso contrario, sono montate folli su un cannotto insieme al quale si spostano lungo
l'albero E per il breve tratto consentito dalla lunghezza dell'asola D ricavata nella parete del cannotto (figura).
Le pulegge A e B possono rendersi alternativamente solidali con
l'albero E attraverso l'innesto a manicotto biconico F, rigidamente
collegato all'albero mediante la spina G.
L'albero può così essere fatto ruotare nei due sensi, con due
velocità diverse.
7.13 Invertitori
Gli invertitori sono meccanismi che consentono all'operatore di intervenire direttamente per invertire il senso di
rotazione dell'elemento condotto rispetto all'elemento motore.
La possibilità di inversione è dovuta alla presenza di ruote oziose e ruote montate folli, che possono essere inserite
direttamente nella trasmissione mediante un comando a innesto che le rende solidali con gli alberi in rotazione.
7.13.1 Invertitore con comando a innesto a denti
Il comando a innesto consente di trasmettere il moto sia mediante i ruotismi di sinistra, sia mediante i ruotismi di destra.
Quando la trasmissione avviene attraverso l'accoppiamento di sinistra l'albero inferiore gira in senso contrario
all'albero superiore (figura a).
Quando il moto è trasmesso attraverso i ruotismi di destra, le
rotazioni dei due alberi avvengono nello stesso senso per la presenza
di una ruota oziosa interposta tra le due ruote principali (figura b).
7.13.2 Invertitore a piastra oscillante
Questo meccanismo trasmette il moto dalla ruota A alla ruota B e permette a quest'ultima di invertire il senso di
rotazione (V. figura). Esso è costituito da una piastra, che ruota intorno all'asse
della ruota B, e dalle ruote oziose C e D, i cui perni sono fissati alla piastra di
modo che la posizione reciproca delle ruote BCD sia invariabile: C ingrana sempre
con D e D con B. Sono possibili due diverse posizioni della piastra dalle quali
dipende il senso di rotazione della ruota condotta.
Le ruote A e B girano nello stesso senso perché vi è interposta solo la ruota oziosa
D. Le ruote A e B girano in senso contrario perché vi è interposta anche la ruota
oziosa C.
7.13.3 Invertitore a ruote coniche per alberi perpendicolari
Due rocchetti conici affacciati, girano folli sullo stesso albero A e ingranano con una ruota conica fissata rigidamente
all'albero B (figura seguente).
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L'albero B gira in senso contrario all'albero A quando è innestato il rocchetto di sinistra.
senso quando è innestato il rocchetto di destra.
Gira invece nello stesso
7.14 Cambi di velocità
Gli elementi che si usano per variare i rapporti di trasmissione sono i cambi e i variatori di velocità.
I cambi realizzano solo un numero limitato di rapporti. I variatori consentono una variazione graduale e continua della
velocità dell'elemento condotto entro limiti stabiliti.
In generale i cambi sono realizzati mediante un certo numero di pulegge di diverso diametro, o di ruote dentate di
diverso numero di denti, montate sull'albero motore e sull'albero condotto.
7.14.1 Cambi per trasmissioni con cinghia (cambio cono-puleggia)
II cambio per trasmissioni con cinghia è costituito da due coni di pulegge a gradini. Il numero dei gradini viene limitato
per ragioni di ingombro. Nell'esempio in figura vi sono tre gradini. La cinghia non ammette alcuna variazione della sua
lunghezza, per cui la somma dei diametri delle coppie di pulegge deve rimanere invariata.
La cinghia può essere spostata su tre coppie di pulegge a ciascuna delle quali corrisponde un rapporto di trasmissione.
Quindi mentre l'albero motore mantiene costante il suo numero di giri, l'albero condotto può essere fatto ruotare a tre
diverse velocità.
7.14.2 Cambi per trasmissione con ruote dentate
I tipi costruiti sono numerosi, ma quasi tutti caratterizzati dalla libertà di movimento in direziono assiale dei gruppi di
ingranaggi. I relativi accoppiamenti a cui corrispondono i rapporti di trasmissione possono così essere inseriti nella
trasmissione o esclusi da essa.
7.14.3 Cambio di velocità con innesto
Le ruote sull'albero superiore sono calettate fisse, quelle sull'albero inferiore sono folli .
Per mezzo della leva di comando si sposta il manicotto dell'innesto in modo da rendere solidale all'albero l'una o l'altra
delle due ruote montate folli.
La sola ruota innestata trasmette all'albero superiore il moto che riceve da quello inferiore.
Sono possibili due velocità determinate dai rapporti di trasmissione dei due accoppiamenti.
51
7.14.4 Cambio a tre velocità con ingranaggi scorrevoli
Lo spostamento in blocco delle tre ruote calettate scorrevoli sull'albero superiore permette di ottenere tre rapporti di
trasmissione facendole ingranare con la corrispondente ruota calettata fissa sull'albero inferiore, con cui forma coppia
fissa. Ciascuna delle ruote superiori può ingranare sempre e solo con la stessa ruota inferiore.
7.14.5 Cambio con ritardo
Il numero delle velocità di un cambio raddoppia quando a esso si aggiunge il dispositivo chiamato ritardo, costituito da
un terzo albero ausiliario che si fa intervenire nella trasmissione.
Le gamme di velocità possibili si distinguono in velocità alla volata e velocità in ritardo.
L'albero 1 è l'albero motore e l'albero 2 è l'albero condotto. Le ruote condotte sono montate fisse su un albero cavo che
gira folle e coassiale all'albero 2. Due altre ruote, una A calettata fissa sull'albero cavo, e l'altra D montata folle
sull'albero 2, sono costantemente ingranate rispettivamente con due ruote B e C montate fisse sull'albero 3 detto albero
del ritardo.
Rendendo solidale mediante innesto l'albero cavo all'albero 2, questo riceve il moto direttamente dalle ruote del cambio.
Rendendo invece solidale la ruota D all'albero 2, questo riceve il moto indirettamente attraverso le coppie di
ruote AB e CD.
7.14.6 Cambio con chiavetta mobile
La particolarità di questo cambio è dovuta al fatto che le due serie di ruote, sempre ingrananti fra di loro, sono una
calettata fissa e l'altra folle, in modo che una chiavetta mobile provveda a rendere solidale con l'albero una delle ruote
folli.
Il numero di velocità fornite è uguale al numero delle coppie di ruote che costituiscono il cambio.
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Sull'albero A sono calettate fisse una serie di ruote, mentre le ruote dell'altra serie sono montate individualmente folli
sull'albero B che è cavo e presenta una feritoia lunga quanto il tratto occupato dagli ingranaggi .
Un'asta C scorre entro l'albero B e porta una chiavetta D a inserirsi attraverso la feritoia, nella apposita cava
dell'ingranaggio prescelto rendendolo solidale con l'albero B.
7.14.7 Cambio Norton
Un particolare tipo di cambio, caratterizzato dall'inserimento nella trasmissione di una ruota oziosa, è il cambio Norton.
È formato da una serie di ingranaggi calettati fissi su un albero superiore A e da un albero scanalato inferiore B,
parallelo al precedente, lungo il quale si sposta un equipaggio mobile costituito da una ruota C calettata scorrevole e da
una ruota oziosa D che ingrana sempre con C.
Una forcella fulcrata sull'albero B porta la ruota oziosa a ingranare con una delle ruote dell'albero superiore. Il numero
delle velocità ottenibili con un cambio Norton è uguale al numero di ruote calettate sull'albero superiore.
7.14.8 Esempio di cambio di velocità con ritardo
Per meglio comprendere il meccanismo del cambio di velocità a ruote dentate e il modo in cui, attraverso rapporti di
trasmissione diversi, è possibile ottenere una determinata gamma di velocità diverse, si consideri l'esempio di cambio
con ritardo schematizzato nella figura seguente .
A seconda che la catena cinematica sfrutti il gruppo del ritardo, costituito dalle ruote Z1, Z2, Z3 e Z4, e dall'albero R,
oppure lo escluda, si ottengono le cosiddette velocità in ritardo oppure quelle alla volata.
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7.14.9 Velocità alla volata (figura a)
Spostando la maniglia A le ruote Z7, Z9 e Z5, montate sull'albero motore M, possono ingranare rispettivamente con le
ruote Z8, Z10 e Z6, montate sull'albero cavo C, che in questo caso è reso solidale all'albero condotto D mediante l'innesto
B. Per ogni velocità dell'albero motore si realizzano così tre velocità diverse dell'albero condotto.
7.14.10 Velocità in ritardo (figura b)
Se, agendo sull'innesto B, si disinnesta l'albero cavo C dall'albero condotto D, la trasmissione del moto passa
indirettamente attraverso l'albero del ritardo R sul quale sono montate la ruota Z2, che ingrana con la ruota Z1 solidale
all'albero cavo, e la ruota Z3 che ingrana con la ruota Z4, solidale all'albero condotto.
Per ognuna delle tre velocità in volata si realizza pertanto una seconda velocità utilizzando il gruppo del ritardo.
In totale, nel cambio illustrato, per ogni velocità dell'albero motore si realizzano 6 velocità diverse dell'albero condotto.
7.14.11 Schema dei rapporti di trasmissione
Nello schema in figura 7.93 sono riportati i calcoli relativi ai rapporti di trasmissione delle diverse catene cinematiche
che realizzano le 6 diverse velocità (3 in volata e 3 in ritardo) dell'albero condotto, per una sola velocità dell'albero
motore (n = 480 giri/min).
Si noti che i numeri di giri sono normali e che la ragione della serie geometrica è in questo caso 2, cioè ogni velocità è
il doppio della precedente.
Le ruote dentate coinvolte nella trasmissione sono 10 e hanno nel nostro esempio i seguenti numeri di denti:
”- 45 ; ”7 96
”. 90 ; ”¢ 40
”/ 27 ; ”£ 80
”‚ 108 ; ”¤ 60
”9 24; ”-8 60
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7.15 Variatori di velocità
I variatori di velocità permettono una variazione graduale e continua della velocità.
La variazione si può anche operare con macchina in moto e sottocarico realizzando in modo preciso il numero di giri
desiderato sull'albero condotto.
I variatori di velocità possono essere meccanici o idraulici.
Sulle più recenti macchine utensili (per esempio CNC) la variazione continua della velocità di rotazione dell'organo è
ottenuta regolando l'alimentazione del motore corrente continua che lo comanda, per mezzo di una parte elettronica
gestita dal controllo numerico; è così possibile ottenere una lavorazione con velocità di taglio costante.
7.15.1 Variatori meccanici per trasmissioni con cinghie
La variazione graduale della velocità nella trasmissione a cinghia è ottenuta variando il raggio di avvolgimento della
cinghia sulle pulegge, il cui interasse può rimanere fisso o essere variabile .
7.15.2 Variatore con interasse fisso
I variatori con interasse fisso sono poco ingombranti e possono trasmettere potenze fino a 20 kW con elevato
rendimento. Il variatore con interasse fisso è costituito da due coppie di pulegge coniche che scorrono lungo i due
alberi paralleli in modo che quando le pulegge di una coppia si avvicinano tra loro, quelle dell'altra si allontanano.
Si ottiene così una variazione continua del rapporto di trasmissione, in quanto varia il raggio dell'arco di avvolgimento
della cinghia sulle due coppie di pulegge. Una tipica applicazione di variatore è rappresentata dalla testa motrice di un
trapano a colonna .
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7.15.3 Calcolo del rapporto di trasmissione
Se - e . sono i raggi variabili dell'arco di avvolgimento, rispettivamente degli alberi conduttore e condotto, si può
calcolare il numero di giri (M che si ottiene con il variatore.
Si avrà infatti:
(M ·(
. C
in cui (C è il numero di giri costante del motore.