2 CROMOSOMI, GENI ED ESPRESSIONE FENOTIPICA, NORMALE E PATOLOGICA Ogni espressione che entri a far parte del meccanismo riproduttivo riveste una particolare importanza nella formazione dell’ostetrica/o, professionista della nascita, ma anche accompagnatrice/tore della donna con compiti di accoglienza e di informazione in ogni momento del suo ciclo vitale, in particolare quando deve consolidarsi, anche dal punto di vista psicologico, nella fisiologia, senza escludere che possa sapere e comprendere l’eventuale evoluzione patologica. In queste situazioni la cultura di base che l’ostetrica/o si è fatta facilita la qualità e la precisione della sua missione assistenziale. Sezione 5 – Dal genotipo al fenotipo Si apprendono le modalità di trasmissione dell’informazione contenuta nei geni, le relazioni qualitative e quantitative fra genotipo e fenotipo, l’espressione dei caratteri fenotipici e la loro variabilità legata all’esistenza di alleli diversi per uno stesso gene ed inoltre le leggi che descrivono la trasmissione dei geni dalle generazioni parentali a quelle filiali. In questa sezione vengono introdotti importanti concetti circa l’ereditarietà e presentate tecniche volte a predire i tipi di prole ottenuti dagli individui parentali. Si definiscono i due principi fondamentali per la comprensione dell’ereditarietà: quello della segregazione e quello dell’assortimento indipendente. Inoltre viene trattata parte della terminologia e delle metodiche essenziali per discutere ed analizzare gli incroci genetici. Un concetto cruciale di questa sezione è rappresentato dal parallelismo esistente tra comportamento dei cromosomi durante la meiosi e distribuzione dei geni durante la formazione dei gameti. Lezione 13 – Variabilità genetica e leggi dell’ereditarietà1-3 (S. Sirchia) § 1 GENERALITÀ La storia Alla fine del XIX secolo, il monaco austro-boemo Gregor Johann Mendel (1822-1884), conducendo una serie di esperimenti sulle modalità di trasmissione di caratteri semplici in organismi facilmente manipolabili, scoprì che l’ereditarietà di molti caratteri segue alcune semplici leggi. Queste leggi permettono, entro certi limiti, di prevedere la probabilità che un certo carattere possa comparire nella progenie di una coppia. Mendel condusse i propri studi senza avere alcuna conoscenza delle basi molecolari dell’ereditarietà né della struttura chimica del materiale ereditario e neppure dei processi biologici alla base dei mec- GENETICA UMANA canismi della riproduzione come lo sviluppo dei gameti. Questa mancanza di conoscenze portò la comunità scientifica dell’epoca a rifiutare i risultati che Mendel pubblicò nel 1865. Gli studi di Mendel furono dimenticati per oltre 35 anni e vennero riscoperti solo agli inizi del 1900. L’espressione “genetica mendeliana” indica i quadri fondamentali dell’ereditarietà che fanno riferimento al concetto di unità genetica fondamentale, il “gene”. Relazione tra genotipo e fenotipo Le caratteristiche di un individuo, che vengono trasmesse da una generazione all’altra sono dette “tratti ereditari”a. Ognuno di essi è sotto il controla Mendel le definì “caratteri”. 298 lo di un segmento di DNA chiamato “gene”b. La costituzione genetica di un organismo si definisce “genotipo”, mentre il suo “fenotipo” rappresenta l’insieme delle caratteristiche strutturali e funzionali osservabili. Esso è il risultato dell’interazione tra il genotipo e l’ambiente. I geni, quindi, forniscono solo il potenziale per l’espressione di un particolare carattere. In quale misura verrà realizzata questa potenzialità, dipende dalle interazioni con altri geni, dalle influenze ambientali e da eventi che si verificano durante lo sviluppo dell’individuo. È però importante ricordare che, sebbene il fenotipo sia il prodotto dell’interazione tra geni ed ambiente, il contributo dell’ambiente è molto variabile e, a volte, imprevedibile: può essere determinante come, del tutto, ininfluente. PARTE II - PERCORSI INTEGRATI PER LA PROFESSIONE OSTETRICA Posizione del fiore in cima Lunghezza dello stelo (altezza) laterale Forma del seme liscio rugoso alto Colore del seme verde Forma del bacello giallo basso Colore della pelle colorato bianco Colore del bacello § 2 LE LEGGI MENDEL rigonfio Il metodo Fin dall’inizio dei suoi studi Mendel si pose un semplice, ma preciso obiettivo, rispondere all’interrogativo: “in che modo i caratteri dei genitori si trasmettono ai figli?”. Cominciò lavorando su piante di pisello da orto, “Pisum sativum”, andando a studiare dei caratteri semplici e facilmente osservabili: piante con fiore viola e piante con fiore bianco; oppure, piante con seme verde e piante con seme giallo, e così via. In seguito si dedicò alla riproduzione di queste piante, procedendo in questo modo: prendeva il polline dal fiore di una pianta e lo spolverava sul pistillo del fiore di un altra pianta, per fecondarlo; poi copriva il fiore fecondato per evitare che dell’altro polline potesse raggiungerlo. In questo modo, Mendel selezionò alcuni caratteri e ne individuò le “linee pure”. Selezionò, per esempio, il carattere “forma del seme” ed individuò le seguenti linee pure: pianta a “semi lisci” che, fecondata con il suo stesso polline, produceva tutte piante con semi lisci; ciascuna di queste, fecondata col suo stesso polline produceva, nuovamente, tutte piante con i semi lisci e così via. L’insieme di piante così ottenuto era una linea pura per la variante “semi lisci”; pianta a “semi rugosi” che si comportava allo stesso modo della linea pura a semi lisci. In tutto Mendel selezionò 7 differenti caratteri e 14 linee pure - due per ogni carattere - della pianta b Mendel lo definì “fattore”. raggrinzito verde giallo FIGURA 13-1. I setti diversi caratteri studiati da Mendel e le loro alternative fenotipiche (da A. Fantoni et al., l.c.). di pisello da orto (Fig. 13-1). Studiando i risultati dei vari incroci possibili usando queste linee pure e la loro progenie, arrivò a formulare le leggi sull’ereditarietà dei caratteri. 1a legge di Mendel o legge della segregazione dei caratteri Mendel fecondò una pianta di pisello a semi rugosi con il polline prelevato da una pianta a semi lisci (generazioni parentali P). Tutti i semi della progenie F1 (prima generazione filiale) erano lisci. Sembrava che la variante seme rugoso fosse sparita (Fig. 13-2). Questo tipo di incroci vengono detti “incroci tra monoibridi”, e Mendel, mediante questi esperimenti, arrivò alla conclusione che gli ibridi della F1 sono uniformi poiché, pur discendendo da genitori con varianti diverse dello stesso carattere, avevano ereditato da un solo genitore la variante del carattere “forma del seme”. Ciò, come oggi sappiamo, dipende dal fatto che la variante “semi lisci” è “dominante”, mentre quella “semi rugosi” è “recessiva”, cioè scompare nella prima generazione di ibridi. Il comportamento osservato da Mendel nelle piante di pisello ci permette quindi di affermare che gli ibridi sono piante che oggi definiremmo “eterozigoti” per il carattere studiato, cioè possiedono due alleli (varianti) diversi per il carattere “forma del PERCORSO 2 - BIOLOGIA GENERALE 299 Seme liscio Seme rugoso genotipo Aa Aa fenotipo liscio liscio gameti Rimozione dei petali che nascondono l’apparato riproduttivo A Pistillo (organo femminile) ½ Apre il fiore e raccoglie il polline Stami (organo maschile) Ovulo (che forma il bacello) genotipo A a A a ½ ½ ½ ½ A a ½ ½ A A a a ½ ½ ½ ½ ¼ ¼ AA Aa aA aa ½ FIGURA 13-2. Schema dell’incrocio tra due linee pure (da A. Fantoni et al., l.c.). seme”, in questo caso, un allele per il seme liscio S ed un allele per il seme rugoso s; l’allele S domina sull’allele s (Fig. 13-3). Mendel proseguì i suoi esperimenti lasciando che gli ibridi si autofecondassero (seconda generazione filiale F2). Come abbiamo visto, tutti gli individui della F1 avevano semi lisci, ma, dal loro incrocio, nella F2, si riottennero dei semi rugosi: precisamente, il 25% di semi rugosi e il 75% di semi lisci (Fig. 13-4). Generalmente, si ritrovavano nello stesso bacello entrambi i tipi di semi. Il carattere “seme rugoso”, sparito nella prima generazione filiale era ricomparso nella seconda. Oggi sappiamo che, a differenza degli individui a semi lisci della linea pura, gli ibridi della F1 rugoso genotipo AA aa A a gameti genotipo Aa fenotipo liscio gameti A F2 ¼ rugoso 1 FIGURA 13-4. La formazione della generazione F2 (da A. Fantoni et al., l.c.). Seme liscio liscio liscio 3 Impollinazione del pistillo fenotipo ½ ¼ fenotipo liscio Tutti i semi sono lisci a ¼ ¼ Rimozione degli stami F1 parentali F1 a FIGURA 13-3. La formazione della generazione F1 (da A. Fantoni et al., l.c.). a semi lisci producevano due tipi diversi di gameti. Nell’ibrido infatti i gameti vengono prodotti per meiosi da cellule eterozigoti del tipo Ss, perciò possono essere di due tipi: 50% gameti di tipo S (dominante); 50% gameti di tipo s (recessivo). Mendel apprese da questi esperimenti che una pianta della linea pura è “omozigote”, cioè, in tutte le sue cellule, entrambi i cromosomi di una coppia di omologhi portano, per lo stesso gene, lo stesso allele, SS o ss. Invece una pianta ibrida è “eterozigote”, cioè i cromosomi omologhi portano ciascuno un allele diverso, Ss, come è illustrato Fig. 13-3. Riassumendo, nelle piante di “Pisum sativum” la forma del seme è determinata dal gene “forma del seme” di cui ogni individuo possiede due copie o alleli che si trovano sui due cromosomi omologhi; l’insieme dei geni di un individuo si chiama “genotipo”, mentre l’aspetto dell’individuo è detto “fenotipo”. Il fenotipo è determinato dal genotipo, ma, a fenotipi uguali (seme liscio), possono corrispondere anche genotipi diversi (SS o Ss). Tutto ciò a portato alla definizione della 1a legge di Mendel sulla segregazione dei caratteri: I membri di una coppia genica (alleli) segregano (si separano) l’uno dall’altro durante la formazione dei gameti. 2° legge di Mendel o legge dell’indipendenza dei caratteri Mendel continuò a fare i suoi esperimenti, ma questa volta decise di procedere in modo diverso. Provò a incrociare più caratteri e così prese in PARTE II - PERCORSI INTEGRATI PER LA PROFESSIONE OSTETRICA 300 forma A colore B a X forma colore parentali b A B F1 A, B Dominanti, liscio, giallo a, b Recessivi, rugoso, verde FIGURA 13-5. I fenotipi delle linee parentali e della F1 (da A. Fantoni et al., l.c.). considerazione il carattere “colore del seme” che può essere giallo (YY) o verde (yy) insieme al carattere “forma del seme”. Con questi incroci, raffigurati nella Fig. 13-5, egli scoprì che, nella F1, gli ibridi (diibridi) erano uniformi lisci-gialli (Ss Yy). Questo confermava la “dominanza” di queste varianti; invece, nella F2 - ottenuta attraverso un incrocio tra diibridi - si osservavano 16 combinazioni genotipiche e 4 combinazioni fenotipiche diverse (9/16 gialli-lisci, 3/16 forma colore A B forma colore A B F1 A B X F2 a b a B A Interazioni alleliche: alleli dominanti, alleli recessivi, codominanza Dato che di uno stesso gene possono esistere più alleli e che in un individuo eterozigote sono presenti due alleli diversi dello stesso gene, il fenotipo risultante dipende dal tipo di interazione che si instaura tra i due alleli. Secondo la definizione della genetica classica, se in un eterozigote si manifesta fenotipicamente uno FIGURA 13-6. A) I rapporti fenotipici della F2. B) I genotipi della F2 con il quadrato di Punnett (da A. Fantoni et al., l.c.). A b forma colore rapporto AB liscio giallo 315/556 = 0,56 101 aB rugoso giallo 101/556 = 0,181 3,17 108 Ab liscio verde 108/556 = 0,192 3,30 32 ab rugoso verde 315 gialli-rugosi, 3/16 verdi-lisci, 1/16 verdi-rugosi) con una ricomparsa dei caratteri recessivi rugoso-verde, come si evidenzia nella Fig. 13-6. Se si esamina però solo un carattere alla volta, per esempio il “colore del seme”, il rapporto fra semi gialli e verdi rimane 3:1 (Fig. 13-6) e così pure per il carattere “forma del seme”; ciò significa che questi due caratteri (geni) vengono assortiti nei gameti, l’uno indipendentemente dall’altro. Questa osservazione ha portato alla definizione della 2a legge di Mendel sull’indipendenza dei caratteri: I geni che controllano caratteri diversi si distribuiscono in modo indipendente l’uno dall’altro durante la formazione dei gameti. 32/556 = 0.057 9,80 1,00 556 AB AB ¼ Ab ¼ aB ¼ ab ¼ ¼ AABB AABB 1/16 AABb AABb 1/16 AaBB AaBB 1/16 AaBb AaBb 1/16 Ab AABb 1/16 AAbb 1/16 AaBb 1/16 Aabb 1/16 ¼ aB ¼ AaBB 1/16 AaBb 1/16 aaBB 1/16 aaBb 1/16 ab AaBb 1/16 Aabb 1/16 aaBb 1/16 aabb 1/16 ¼ B PERCORSO 2 - BIOLOGIA GENERALE solo dei due alleli e l’altro è mascherato, si parla di “dominanza completa”. L’allele che si esprime viene definito, come abbiamo già visto, dominante, mentre l’altro è detto recessivo. La simbologia, derivata da Mendel, rappresenta con una lettera maiuscola (A) l’allele dominante e con la stessa lettera minuscola (a) quello recessivo. Quindi, nel caso di dominanza completa, l’eterozigote (Aa) e l’omozigote dominante (AA) manifestano lo stesso fenotipo. Ne consegue che l’allele recessivo si manifesta solo in condizione omozigote (aa). Quando invece il fenotipo dell’eterozigote è intermedio tra i fenotipi degli omozigoti, si parla di “dominanza incompleta” (Lez. 2-14-§ 1). Si parla invece di “codominanza”, quando, in un eterozigote, i due alleli si esprimono entrambi in ugual misura e l’espressione di ciascun allele è riconoscibile a livello fenotipico (Lez. 2-14-§ 2). § 3 APPLICAZIONE DELLA GENETICA MENDELIANA Il metodo dell’incrocio di prova per la determinazione di un genotipo ignoto Mendel, durante la formulazione del principio della segregazione, allestì un certo numero di esperimenti per confermare la validità dei suoi risultati. maschio 301 Un incrocio particolarmente significativo è quello delle piante della F2 con un omozigote recessivo, detto anche “reincrocio” o “testcross”. Questo incrocio infatti, permette di stabilire l’effettivo genotipo di piante che mostrano il fenotipo dominante. Come schematizzato in Fig. 13-6, le piante ottenute dai semi lisci della F2 dell’incrocio discusso in Fig. 13-3, possono essere omozigoti dominanti (SS) oppure eterozigoti (Ss). Incrociando queste piante (genitore 1), con un omozigote recessivo (genitore 2, seme rugoso, ss), potremo stabilire l’esatto genotipo del genitore 1. Se il genitore 1 è omozigote dominante SS, tutta la progenie sarà a semi lisci (genotipo Ss), mentre se il genitore 1 è eterozigote Ss, ½ della progenie sarà a semi lisci (genotipo Ss) e ½ a semi rugosi (genotipo ss). La costruzione di un albero genealogico L’anamnesi familiare è registrabile mediante il disegno dell’albero genealogico di una famiglia, utilizzando i simboli convenzionali riassunti in Fig. 13-7. Essa, spesso, è indispensabile per determinare il rischio genetico ed è il punto di partenza della consulenza genetica. L’albero genealogico, infatti, fornisce una visione immediata dei problemi o delle patologie nell’ambito della famiglia e facilita l’analisi dei modelli di ereditarietà. Le generazioni sono contrassegnate 1 3 numero dei figli del sesso indicato femmina Individui affetti matrimonio eterozigoti per 1 gene autosomico, recessivo genitori con 1 bambino e 1 bambina in ordine di nascita portatrice di 1 gene recessivo, legato al sesso morte gemelli dizigotici aborto o parto di nato morto di sesso non determinato gemelli monozigotici probando sesso non determinato matrimonio consanguineo FIGURA 13-7. Simboli per la composizione di un albero genealogico. PARTE II - PERCORSI INTEGRATI PER LA PROFESSIONE OSTETRICA 302 1 I 2 G E N 1 3 2 4 II 5 E R A 1 2 4 3 6 5 7 III Z I O 1 2 3 4 5 IV N I GLI INDICI NUMERI CI INDICANO L’ORDI NE P ROGRESSIVO DI NAS CITA FIGURA 13-8. Esempio di albero genealogico umano. con i numeri romani, con le generazioni più anziane in alto e le più recenti in basso. Nell’ambito di ciascuna generazione, le persone sono ordinate, da sinistra a destra, con i numeri arabi. I fratelli sono elencati di solito a seconda dell’età con il maggiore a sinistra. Così, ogni membro dell’albero genealogico, compresi i coniugi, può essere identificato da due semplici numeri. Generalmente, quando raccoglie l’anamnesi familiare, il genetista costruisce l’albero genealogico sulla base di quello che gli viene riferito dai parenti. Si comincia col raccogliere informazioni sui fratelli e sui genitori del probando, quindi, si passa ai parenti dei genitori (fratelli, sorelle, nipoti e nonni). A seconda del modello di trasmissione della patologia e dei ricordi che ha il soggetto intervistato dipende il numero dei parenti inclusi nell’albero. Vengono registrate le malattie, le anomalie congenite, gli aborti spontanei, le cause di decesso, e ogni altra informazione importante. Nella Fig. 13-8 è rappresentato un esempio di albero genealogico dove viene illustrato il modo in cui vengono utilizzati i vari simboli. GENETICA UMANA Lezione 14 – Eccezioni alle leggi di Mendl1-3 (S. Sirchia) § 1 LE RELAZIONI DI DOMINANZA Dominanza incompleta La “dominanza completa” è la condizione per cui un allele è dominante su un altro e, di conseguenza, il fenotipo dell’eterozigote è uguale a quello dell’omozigote dominante. Nella “recessività completa” l’allele recessivo è fenotipicamente espresso solo in caso di omozigosi. La dominanza completa e la recessività completa sono le due condizioni estreme di una gamma di relazioni di dominanza. Sebbene tutte le coppie alleliche studiate da Mendel presentassero questa relazione di dominanza-recessività, oggi sappiamo che molte coppie di alleli possono mostrare relazioni di dominanza differenti. Quando un allele non è completamente dominante su un altro, si dice che mostra una “dominanza incompleta” o una “dominanza parziale”. Nella dominanza incompleta il fenotipo dell’eterozigote risulta intermedio rispetto a quello dei due omozigoti. Un esempio classico di carattere a dominanza incompleta è il “colore del piumaggio” dei polli. Incrociando una linea pura con piumaggio nero (CBCB) con una con piumaggio bianco (CWCW) nella F1 si ottengono polli con piume grigio-blu, chiamati polli blu Andalusi. Un pollo Andaluso, eterozigote, non è una linea pura, quindi negli incroci “Andalu- PERCORSO 2 - BIOLOGIA GENERALE so con Andaluso”, i due alleli segregano nei gameti e nella progenie si osserveranno, con un rapporto 1:2:1, polli neri, polli andalusi e polli bianchi. Un altro esempio di dominanza incompleta è quello del colore dei fiori delle bocche di leone. In questo caso, incrociando piante omozigoti a fiore rosso (allele con dominanza incompleta) con piante omozigoti a fiore bianco (allele recessivo), si origina una F1 con un fenotipo intermedio, ossia fiori rosa. Anche in questo caso, incrociando piante della F1, avremo una F2 con piante a fiori rossi, piante a fiori rosa e piante a fiori bianchi, nel rapporto 1:2:1. Alleli multipli: i gruppi sanguigni nell’uomo come esempio di codominanza L’allele più diffuso in una popolazione è considerato l’allele selvatico mentre la forma allelica alternativa è l’allele mutato. Anche se fino ad ora abbiamo preso in considerazione solo caratteri controllati da una coppia di alleli, in una popolazione, per un dato gene, possono essere presenti più di due alleli (uno selvatico e tutti gli altri mutati). Si parla, in questo caso, di “alleli multipli”. Bisogna però ricordare che, anche se in una popolazione sono presenti più di due alleli per uno stesso gene, ogni singolo individuo diploide può portarne al massimo due. La serie allelica dei gruppi sanguigni “AB0”c nell’uomo rappresenta un esempio importante e ben conosciuto di allelismo multiplo. Infatti, come vedremo in seguito, poiché alcuni gruppi sanguigni sono incompatibili tra loro, questa serie di alleli assume una particolare importanza nel momento in cui deve essere effettuata una trasfusione di sangue. Nel sistema AB0, esistono quattro fenotipi rappresentati dai quattro gruppi sanguigni 0, A, B, ed AB; in Tab. 14-1 sono elencati i sei genotipi possibili, dovuti alle varie combinazioni dei tre alleli che caratterizzano questo sistema: “IA, IB ed i”. Gli individui omozigoti per l’allele recessivo i, sono di gruppo sanguigno 0; gli alleli IA e IB, sono entrambi dominanti su i. Un individuo con gruppo sanguigno A potrà avere genotipo IA/ IA oppure IA/i e, similmente, un individuo di gruppo B potrà avere genotipo IB/ IB oppure IB/i. Gli individui eterozigoti per i due alleli dominanti IA/ IB saranno di gruppo sanguigno AB. Questo è un esempio di “codominanza”, dove entrambi gli alleli partecipano in modo uguale al fenotipo. All’inizio del ‘900, Karl Landsteiner scoprì i gruppi sanguigni umani del sistema AB0 e, per c Leggi: “a, bi, zero”. 303 Tabella 14-1. Sistema ABO Gruppo Genotipo Fenotipo eritrocitario A IA IA Antigene A A IA i Antigene A B IB IB Antigene B B IB i Antigene B AB IA IB Antigeni A + B O ii assenti Anticorpi nel siero Anti-B Anti-B Anti-A Anti-A assenti Anti-A, anti-B questa scoperta, ricevette nel 1930 il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina. Per merito suo oggi sappiamo che gli alleli IA e IB, codificano per degli antigeni di superficie del globulo rosso, mentre l’allele i è associato all’assenza di tali antigeni. La compatibilità/incompatibilità tra gruppi sanguigni è dovuta al fatto che gli individui di gruppo A producono anticorpi contro l’antigene B, gli individui di gruppo B producono anticorpi contro l’antigene A, gli individui di gruppo 0 producono anticorpi contro A e B, mentre gli individui di gruppo AB non producono anticorpi contro questi antigeni. Gli anticorpi presenti nel siero determinano l’agglutinazione dei globuli rossi che presentano l’antigene. Questo fenomeno è potenzialmente letale, in quanto le cellule agglutinate occludono i capillari. Per questo motivo, prima di ricorrere ad una trasfusione, è molto importante conoscere il gruppo sanguigno di un individuo. In casi estremi, il sangue di gruppo 0, non presentando nessuno dei due antigeni, può essere utilizzato per le trasfusioni verso tutti i gruppi sanguigni. § 2 EREDITARIETÀ NON MENDELIANA Ereditarietà mitocondriale Nell’analisi delle famiglie, bisogna tenere presente alcune situazioni in cui la modalità di trasmissione di un carattere “monofattoriale” - cioè determinato da un singolo gene - diverge dall’atteso in base ai principi mendeliani. Oltre al genoma nucleare, le cellule eucariotiche, infatti, possiedono un altro genoma all’interno dei mitocondri, il “DNA mitocondriale” (mtDNA). I diversi tipi di cellule umane possono contenere da 100 a 1000 mitocondri che possiedono un DNA circolare con 37 geni. Un discreto numero di malattie nell’uomo (frequenza di 6-7 ogni 100.000 nati) sono dovute a mutazioni a carico di alcuni geni mitocondriali. Le principali caratteristiche che distinguono l’eredità mitocondriale da quella mendeliana sono: 304 i mitocondri presenti nello zigote sono ereditati esclusivamente dalla cellula uovo. Di conseguenza i mitocondri si trasmettono solo da madre a figlio, perciò l’informazione genetica mitocondriale è definita patrilineare o non-mendeliana o citoplasmatica; un maschio affetto non trasmetterà mai la malattia; ogni cellula contiene molte molecole di DNA mitocondriale, di conseguenza, se tutti i mitocondri di un individuo portano la mutazione patogenetica si parla di omoplasmia, se invece ogni cellula di un individuo contiene sia genomi mitocondriali normali sia mutati si parla di eteroplasmia. La condizione più comune è l’eteroplasmia che può essere trasmessa dalla madre ai figli, anche se, in realtà, il rapporto tra le proporzioni di genomi mitocondriali normali e mutati non sempre viene conservato attraverso le generazioni. Questo è dovuto al fatto che, durante le divisioni cellulari, i mitocondri si distribuiscono a caso nelle cellule figlie, modificando la proporzione tra genomi mitocondriali normali e mutati presente nella cellula madre. L’eteroplasmia determina una eterogeneità del fenotipo patologico; la gravità della malattia può infatti variare sia tra madre affetta e figli affetti sia tra fratelli affetti. Essendo i mitocondri implicati nel metabolismo energetico, mutazioni del loro genoma causano essenzialmente malattie di interesse neuromuscolare. Ereditarietà multifattoriale I caratteri ereditari non sono tutti monofattoriali, esistono molti caratteri ereditari complessi, normali e patologici, che vengono influenzati da più fattori, sia genetici che ambientali. Questi caratteri sono detti “caratteri multifattoriali” e comprendono i co- PARTE II - PERCORSI INTEGRATI PER LA PROFESSIONE OSTETRICA siddetti “caratteri quantitativi” ed i “caratteri con effetto soglia” (Lez. 2-18-§ 2). Per quanto riguarda la componente genetica, i caratteri multifattoriali non sono controllati da uno, ma da diversi geni. Generalmente ognuno di questi geni ha un effetto fenotipico simile ed additivo ed influenza il carattere in piccola misura. Questo tipo di ereditarietà detta “ereditarietà poligenica”, e si differenzia notevolmente dalla “ereditarietà monogenica poliallelica” che abbiamo descritto in precedenza. Nella prima, molti geni in loci diversi concorrono a determinare una caratteristica fenotipica, nella seconda un solo gene con molti alleli controlla il carattere. Il numero di geni che controlla un carattere multifattoriale varia notevolmente da carattere a carattere e la loro identificazione è estremamente complessa; per questo motivo, per la maggior parte dei caratteri multifattoriali non si conosce ancora la base genetica e molecolare. Questi geni possono essere localizzati su uno stesso cromosoma oppure su cromosomi diversi, ma, comunque, vengono trasmessi in modo indipendente, secondo le modalità di trasmissione dei geni che controllano i caratteri monofattoriali. Come già accennato, l’espressione fenotipica di un carattere multifattoriale è influenzata anche da fattori ambientali. L’ambiente viene inteso come l’insieme di tutti i fattori non genetici che condizionano lo sviluppo di un individuo, dallo stadio di zigote in poi. A questo proposito, occorre tener presente che ogni carattere fenotipico, non è mai determinato completamente dalla costituzione genetica o dall’influenza ambientale, ma è sempre il risultato di una complessa interazione tra genotipo, background genetico ed ambiente. Questo principio vale per tutti i caratteri mono e multifattoriali, sia normali che patologici. Lezione 15 – La base cromosomica della ereditarietà1, 2 (S. Sirchia) Sulla base delle leggi di Mendel, i primi genetisti cominciarono ad analizzare in modo più approfondito, mediante incroci appropriati, la natura dei fattori mendeliani. Grazie a questi sforzi, ora sappiamo che i fattori di Mendel sono i geni e che questi sono localizzati sui cromosomi. All’inizio del ventesimo secolo, i citologi avevano stabilito che all’interno di una data specie, il numero totale di cromosomi rimane costante in tutte le cellule, mentre questo numero varia considerevolmente da una specie all’altra. Nel 1902 Walter Sutton e Theodor Boveri arrivarono, indipenden- GENETICA UMANA temente l’uno dall’altro, alla dimostrazione che la modalità di trasmissione dei cromosomi, da una generazione all’altra, era strettamente correlata con la modalità di trasmissione dei fattori mendeliani. Per spiegare questa correlazione essi proposero la “teoria cromosomica dell’ereditarietà” che afferma che i fattori mendeliani, oggi conosciuti come geni, sono localizzati sui cromosomi. Geni indipendenti e geni associati I geni localizzati su cromosomi non omologhi PERCORSO 2 - BIOLOGIA GENERALE segregano indipendentemente durante la meiosi. Tuttavia, vi sono geni che vengono ereditati insieme, in quanto localizzati sullo stesso cromosoma. I geni che non mostrano un assortimento indipendente, sono definiti “geni associati” o “geni concatenati” ed appartengono, per definizione, ad un “gruppo di associazione” o “gruppo di concatenazione”. L’analisi della progenie di incroci tra individui con caratteristiche genetiche - controllate da più geni - diverse, permette di determinare la frequenza con cui gli alleli dei diversi geni presenti nei genitori si ritrovano, in nuove combinazioni, nei figli. La progenie che mostra la combinazione allelica presente nei genitori, è detta “parentale”, mentre la progenie che offre una nuova combinazione allelica, differente da quella dei genitori, è detta “ricombinante”. I ricombinanti vengono prodotti mediante un meccanismo definito “ricombinazione genetica”. È quindi possibile costruire “mappe di associazione” o “mappe genetiche” per ciascun cromosoma, utilizzando il reincrocio di prova che consente di identificare quali geni sono associati. Le conoscenze attuali sulla concatenazione tra i geni, derivano dagli esperimenti che Thomas Hunt Morgan ed i suoi collaboratori condussero su Drosophila Melanogaster intorno al 1911. Gli incroci effettuati dal gruppo di Morgan, prendendo in considerazione molti caratteri, diedero un risultato che non si accordava con la legge dell’indipendenza dei caratteri formulata da Mendel. Le classi fenotipiche parentali erano le più frequenti, mentre le classi ricombinanti comparivano con una frequenza molto più bassa. Si otteneva un numero molto simile per le due classi parentali e lo stesso si verificava per le due classi ricombinanti. Morgan arrivò quindi alla conclusione che, durante la segregazione alla meiosi, alcune combinazioni alleliche tendono a rimanere insieme per la vicinanza, sullo stesso cromosoma, dei geni che controllano quei caratteri. Si può quindi affermare che, più due geni sono vicini sul cromosoma, maggiore è la probabilità che rimangano assieme durante la meiosi. Questo, secondo Morgan, sarebbe la conseguenza del fatto che, essendo i ricombinanti il prodotto dello scambiod tra cromosomi omologhi durante la meiosi, più due geni sono vicini, tanto meno probabile sarà un evento di ricombinazione tra di essi. La ricombinazione genetica: il risultato del crossing-over Dato che la terminologia usata per indicare lo scambio fisico fra i cromosomi omologhi potrebbe d Crossing-over o ricombinazione. 305 Crossing-over A B A a B b a b MEIOSI II A B Non ricombinante A b Ricombinante a B Ricombinante a b Non ricombinante FIGURA 15-1. Crossing-over fra cromatidi non fratelli di cromosomi omologhi (da A. Fantoni et al., l.c.). generare qualche confusione, riportiamo alcune definizioni essenziali: con “chiasma” si intende il punto in cui avviene lo scambio fisico tra una coppia di cromosomi omologhi, cioè il punto fisico in cui avviene il crossing-over; con “crossing-over” si intende il processo di scambio reciproco di corrispondenti segmenti cromatidici lungo i cromosomi omologhi; il processo implica una rottura simmetrica di due cromatidi e la loro successiva ricongiunzione. La Fig. 15-1 illustra uno schema semplificato del processo di crossing-over. Il crossing-over negli eucarioti avviene allo stadio di quattro cromatidi durante la profase I della meiosi. Ciascun evento coinvolge al massimo due dei quattro cromatidi, anche se, lungo il cromosoma, tutti i cromatidi possono essere coinvolti in eventi di scambio. In un individuo doppio eterozigote per i geni A (Aa) e B (Bb), questi possono essere situati sugli omologhi in due diverse combinazioni: AB / ab oppure Ab/aB (Fig. 15-2). In Fig 15-2, i due alleli dominanti sono insieme su un omologo ed i due recessivi sull’altro, questa configurazione viene chiamata di “accoppiamento” oppure “configurazione cis”. In questo caso, un evento di crossing-over tra i due loci, produrrebbe i due ricombinanti Ab e aB. Nell’altra combinazione, un allele dominante e un allele recessivo dei due geni sono localizzati su ogni omologo e questa configurazione viene chiamata di “repulsione” oppure PARTE II - PERCORSI INTEGRATI PER LA PROFESSIONE OSTETRICA 306 L’associazione di due loci - A e B - situati sullo stesso cromosoma, in un soggetto che si presenta eterozigote per ambedue (A, a – B, b), può essere: ACCOPPIAMENTO A a B b REPULSIONE CIS A a b B TRANS CONFIGURAZIONI FIGURA 15-2. Concatenazione di geni in cis ed in trans. “configurazione trans”. In questo caso, un evento di crossing-over tra i due loci, produrrebbe i due ricombinanti AB e ab (Fig. 15-2). Nel 1913, uno studente di Morgan, Alfred Sturtevant, pensò che la percentuale dei ricombinanti potesse essere usata come una misura quantitativa della distanza tra i geni di un cromosoma, costruen- do, in questo modo, una mappa genetica. Questa distanza viene misurata in “unità di mappa”. Una frequenza di crossing-over dell’1% tra due geni, corrisponde ad 1 unità di mappa. L’unità di mappa viene anche indicata, in onore di Morgan, in centimorgan (cM). Lezione 16 – Cromosomi del sesso e geni legati al sesso1, 2 (S. Sirchia) I cromosomi X e Y I cromosomi del sesso sono quei cromosomi che, in molti eucarioti, sono presenti in forma diversa nei due sessi. In molti casi l’assetto dei cromosomi sessuali di un organismo è direttamente correlato al suo sesso. Negli eucarioti, i cromosomi che non sono rappresentati differentemente nei due sessi, sono detti “autosomi”. I cromosomi del sesso, di solito, sono designati “cromosoma X” e “cromosoma Y”. Nell’uomo, per esempio, la femmina ha due cromosomi X – quindi, relativamente ai cromosomi del sesso, è “XX” mentre il maschio ha un cromosoma X e un cromosoma Y - quindi è “XY”. Poiché il maschio, relativamente ai cromosomi sessuali, produce due tipi di gameti (X o Y) e la femmina un solo tipo di gamete (X), il maschio è definito “sesso eterogametico” e la femmina “sesso omogametico”. GENETICA UMANA I cromosomi X e Y presentano delle regioni di omologia chiamate “regioni pseudoautosomiali” che si trovano a livello delle parti terminali del braccio corto (PAR1) e del braccio lungo (PAR2). In particolare la regione PAR1 è molto importante perché permette l’appaiamento ed il crossing-over fra l’X e l’Y durante la meiosi maschile. La determinazione del sesso nell’uomo Nei sistemi con determinazione genotipica dei sesso, il sesso dipende dal genotipo dello zigote; nei sistemi con determinazione fenotipica (o ambientale) del sesso, il sesso è determinato da condizioni ambientali interne od esterne. La “determinazione genotipica del sesso”, in cui i cromosomi sessuali svolgono un ruolo decisivo nell’ereditarietà e nella determinazione del sesso, può avvenire in due modi: PERCORSO 2 - BIOLOGIA GENERALE il cromosoma Y – come avviene nell’uomo porta le informazioni che determinano il differenziamento in senso maschile di un individuo. Gli individui con il cromosoma Y sono maschi, mentre gli individui privi di cromosoma Y sono femmine; il sesso è determinato dal rapporto tra il “numero dei cromosomi X” e “il numero di assetti autosomici”- come avviene nella Drosophila e nel nematode Caenorhabditis elegans-. In questo sistema il cromosoma Y non ha alcun effetto sulla determinazione del sesso, ma è, comunque, necessario per la funzionalità riproduttiva del maschio. Nell’Uomo - e negli altri mammiferi placentati - il sesso è dato dal meccanismo di determinazione basato sul cromosoma Y. In assenza del cromosoma Y le gonadi si differenziano in ovaio. La prima dimostrazione che, nei mammiferi, esistesse un meccanismo di determinazione del sesso basato sulla presenza o assenza del cromosoma Y, venne dagli studi effettuati su individui con un assetto anomalo dei cromosomi sessuali. Nella specie umana, gli individui 45,X sono femmine sterili, che presentano la “sindrome di Turner” (Lez. 2-19-§ 3). Queste femmine hanno un solo cromosoma sessuale X con un complemento cromosomico descritto come 45,X, cioè un totale di 45 cromosomi - il cromosoma sessuale più gli autonomi – con un eterosoma in meno rispetto all’assetto normale di 46 cromosomi. Al contrario, gli individui 47,XXY sono maschi sterili con la “sindrome di Klinefelter” (Lez. 2-19-§ 3). Per cui, indipendentemente dal numero di cromosomi X, è la presenza del cromosoma Y a determinare il sesso maschile. Nei mammiferi sono ben tollerate le anomalie di numero dei cromosomi sessuali, mentre, tranne rare eccezioni, le variazioni del numero degli autosomi non sono vitali. Nei mammiferi esiste, infatti, un meccanismo di “compensazione del dosaggio” che interviene in presenza di un numero di cromosomi X superiore ad uno. I nuclei delle cellule somatiche femminili normali (46,XX), presentano una massa di cromatina fortemente condensata chiamata, dal nome del suo scopritoree, “corpo di Barr”. Questo corpuscolo intensamente colorato è, invece, assente nei nuclei delle cellule somatiche maschili normali (46,XY). Nel 1961, questo aspetto fu approfondito da Mary Lyon e Lilian Russell, che formularono quella che ora è conosciuta come “ipotesi di Lyon”, articolata nei seguenti punti: e Murray Barr. 307 1) il corpo di Barr è un cromosoma X fortemente condensato e trascrizionalmente inattivo; esso è stato inattivato mediante un processo detto di “lyonizzazione”; 2) il cromosoma X che viene inattivato, è scelto a caso tra il cromosoma X di origine materna e quello di origine paterna. Una volta che uno dei cromosomi X è stato inattivato, tutta la progenie A GENESI DI UN GATTO "TARTARUGA" B Embrione monocellulare Embrione multicellulare Inattivazione del cromosoma X Cloni di cellule rappresentate nella pelle X con allele arancione X con allele nero X Inattivato FIGURA 16-1. A) Un gatto “tartaruga”. B) Genesi di un gatto “tartaruga” (da A. Fantoni et al., l.c.). PARTE II - PERCORSI INTEGRATI PER LA PROFESSIONE OSTETRICA 308 di quella cellula eredita lo stesso tipo di inattivazione. L’inattivazione del cromosoma X avviene durante le prime fasi dell’embriogenesi (blastula di 64 cellule); il cromosoma X inattivo diventa visibile nei nuclei femminili in interfase come corpo di Barr. Come conseguenza di questo meccanismo, le femmine di mammifero, eterozigoti per i geni associati al cromosoma X, sono in effetti mosaici funzionali: cioè circa il 50% delle cellule esprimono l’allele di un cromosoma X, mentre le altre esprimono quello del cromosoma X omologo. Questo mosaicismo è facilmente osservabile, per esempio, nel gatto calico che ha il mantello a macchie rosse e nere a seconda del cromosoma X che si è inattivato2-cap.3 (Fig. 16-1). Il gene responsabile della mascolinità Nei mammiferi placentati è il cromosoma Y che determina la mascolinità, infatti, su di esso sono localizzati più geni che esprimono prodotti importanti per indirizzare il differenziamento sessuale in senso maschile. Uno di questi prodotti è il “fattore di de- terminazione del testicolo” che è codificato dal gene TDF oggi noto come SRY (Sex determining Region Y). SRY determina il differenziamento delle gonadi primordiali indifferenziate in testicoli invece che in ovaie. Questo rappresenta l’evento centrale nel differenziamento sessuale di molti mammiferi e anche dell’uomo. Le altre differenze tra i sessi sono, in realtà, effetti secondari dovuti all’azione di ormoni o di altri fattori prodotti dalle gonadi. Nei primi giorni di vita l’embrione, infatti, indipendentemente dai cromosomi che possiede, può essere considerato bipotente dal punto di vista del differenziamento sessuale, perché sono presenti sia le strutture indifferenziate dell’apparato genitale femminile, ovvero una coppia di canali chiamati dotti di Müller, sia quelle dell’apparato genitale maschile, i dotti di Wolff (Fig. 16-2). Solo a partire dalla sesta settimana di gravidanza ha inizio il differenziamento sessuale in base alla presenza o meno del cromosoma Y e, più precisamente, del gene SRY che funziona da fattore di trascrizione per una serie di geni che cooperano affinché la gonade indifferenziata si sviluppi in senso Ricombinazione normale Regione psudoautosomiale SRY Y X Ricombinazione anomala Regione psudoautosomiale SRY Y X X SRY positivo Y SRY negativo GENOTIPO: XY FENOTIPO: femmina GENOTIPO: XX FENOTIPO: maschio FIGURA 16-2. Schema dello spostamento del gene SRY dal cromosoma Y al cromosoma X. PERCORSO 2 - BIOLOGIA GENERALE maschile e regrediscano le strutture precursori delle strutture femminile, ovvero i dotti di Müller. Inizierà così lo sviluppo del testicolo che produrrà l’ormone testosterone, fondamentale per lo sviluppo dei genitali interni ed esterni maschili. Un’altra molecola prodotta è l’AMH (Ormone Anti Mülleriano) che provoca la degenerazione dei dotti di Müller. Nelle’embrione XX, l’assenza di testosterone e AMH permette lo sviluppo dei dotti di Müller nei genitali interni ed esterni femminili e la degenerazione dei dotti di Wollf. Il gene SRY è stato identificato studiando individui che presentano una “inversione del sesso”, cioè maschi con cromosomi sessuali XX (invece di XY) e femmine con cromosomi sessuali XY (invece di XX). Nei maschi XX, un piccolo frammento del braccio corto del cromosoma Y, si era spostato sul cromosoma X durante la gametogenesi, a causa di un errore durante la ricombinazione, mentre le femmine XY mostravano delezioni della stessa regione del cromosoma Y (Fig. 16-2). Questi risultati suggerirono che il gene SRY fosse localizzato in quel piccolo segmento del cromosoma Y. Il passo successivo è stato quello di identificare e clonare il 309 gene umano SRY e il suo corrispettivo nel topo Sry. La prova incontestabile che SRY fosse il gene responsabile del differenziamento testicolare, è stata ottenuta introducendo questo gene in embrioni di topo XXf. I topi ottenuti da questi embrioni transgenici apparivano maschi con testicoli normalmente differenziati e, in seguito, con uno sviluppo dei caratteri sessuali secondari maschili normali. Quindi, l’introduzione del solo Sry, è in grado di indurre una reversione fenotipica del sesso completa in un topo cromosomicamente XX. Infine, è importante ricordare che sul braccio lungo del cromosoma Y è presente la regione AZF (Azoospermia Factor) che contiene molti geni responsabili della spermatogenesi che, se deleta, determina azoospermia, cioè assenza di spermatozoi nel liquido seminale. f Gli organismi o le cellule che presentano nel loro genoma geni soprannumerari introdotti mediante manipolazione genetica, sono definiti “organismi transgenici” o “cellule transgeniche” ed il gene introdotto è chiamato “transgene”. PARTE II - PERCORSI INTEGRATI PER LA PROFESSIONE OSTETRICA 310 TRACCE DAL GENOTIPO AL FENOTIPO LEZIONE 13 Il genotipo è la costituzione genetica di un individuo, mentre il fenotipo è l’insieme delle caratteristiche visibili dell’individuo, che sono determinate dall’interazione tra genotipo e ambiente. Mendel selezionò attentamente un organismo facile da analizzare e da manipolare e, attraverso una serie di incroci programmati, studiò la trasmissione dei caratteri da una generazione all’altra. Con i suoi esperimenti, costruì le fondamenta della genetica. La prima legge di Mendel, il principio della segregazione, afferma che i membri di una coppia allelica si separano l’uno dall’altro alla formazione dei gameti. La seconda legge di Mendel, il principio dell’assortimento indipendente, stabilisce che i membri di diverse coppie alleliche vengono trasmessi indipendentemente durante la formazione dei gameti. I principi mendeliani sono applicabili a tutti gli eucarioti. Visto che nell’uomo lo studio dell’ereditarietà è complicato dal fatto che non possono essere effettuati incroci programmati, i genetisti umani analizzano i caratteri genetici mediante l’analisi degli alberi genealogici. LEZIONE 14 Possono esistere più di due forme alleliche di un gene nella popolazione; ogni individuo diploide, comunque, può possedere solo due alleli per un determinato gene, localizzati sui cromosomi omologhi. Nel caso di dominanza completa si ha lo stesso fenotipo sia che l’allele dominante sia in omozigosi che in eterozigosi. Nella dominanza incompleta, il fenotipo dell’eterozigote è intermedio tra quello dell’omozigote dominante e quello dell’omozigote recessivo. Gli alleli codominanti sono entrambi espressi nel fenotipo. Non tutti i caratteri ereditari sono monofattoriali (mendeliani), esistono molti caratteri ereditari complessi, normali o patologici, che sono influenzati da più fattori, sia genetici (più geni) che ambientali. Infine, bisogna ricordare che l’ereditarietà dei geni mitocondriali segue regole diverse da quelle dei geni nucleari. Infatti, per i geni mitocondriali non c’è segregazione mendeliana dovuta alla meiosi. Nell’uomo si osserva una ereditarietà uniparentale di tipo materno, in quanto i mitocondri dello zigote provengono solo dalla cellula uovo. LEZIONE 15 La segregazione degli alleli e l’assortimento indipendente dei geni derivano dal comportamento dei cromosomi durante la meiosi. La teoria cromosomica dell’ereditarietà stabilisce, infatti, che i geni sono localizzati sui cromosomi. I geni localizzati su cromosomi non omologhi segregano indipendentemente durante la meiosi, mentre i geni localizzati sullo stesso cromosoma vengono ereditati insieme. I geni che non mostrano un assortimento indipendente, sono definiti geni associati o geni concatenati. Più due geni sono vicini sul cromosoma, maggiore è la probabilità che rimangano assieme durante la meiosi. I geni associati, possono separarsi alla meiosi attraverso la ricombinazione genetica o crossing-over. La progenie che mostra la combinazione allelica presente nei genitori, è detta parentale, mentre la progenie che offre una nuova combinazione allelica, differente da quella dei genitori, è detta ricombinante. I ricombinanti vengono prodotti mediante crossing-over. LEZIONE 16 Nell’uomo, la determinazione del sesso è in relazione con i cromosomi del sesso, infatti, la presenza del cromosoma Y determina il differenziamento in senso maschile dell’individuo e la sua assenza in senso femminile. Il sesso cromosomico si stabilisce al momento della fecondazione, XX nella femmina e XY nel maschio. Tutte le cellule somatiche delle femmine di mammifero hanno un cromosoma X inattivato per compensare il dosaggio dei geni dell’X tra i due sessi. Sul cromosoma Y sono localizzati diversi geni che esprimono prodotti importanti per il differenziamento sessuale in senso maschile. Uno di questi prodotti è il “fattore di determinazione del testicolo” SRY (Sex determining Region Y). La presenza di SRY indirizza il differenziamento delle gonadi primordiali indifferenziate in testicoli invece che in ovaie.