Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Capitolo 4 Il moto nei campi di forza Introduzione Affrontiamo adesso il problema del moto di particelle materiali soggette ai campi di forza descritti nel capitolo precedente. Per adesso non verrà preso in esame il caso di campi variabili nel tempo. Il problema più semplice si ha con campi di forza costanti nello spazio. Il campo gravitazionale vicino alla superficie della Terra è approssimativamente costante, almeno finché non ci si allontani troppo dalla superficie e non si usino delle superfici così vaste da mettere in gioco le variazioni della direzione di g . Un campo elettrico costante è facile da realizzare: basta un condensatore piano. Pur non disponendo di armature infinite, almeno nella zona centrale sarà presente un campo costante. Si può ottenere anche un campo magnetico costante: abbiamo visto che il campo interno ad un solenoide è costante. Si possono eventualmente praticare dei fori sulle pareti del solenoide per fare entrare ed uscire particelle. In realtà, nei magneti reali si utilizza del materiale ferromagnetico per rendere più costante il campo magnetico. Un caso interessante è quello dell’uso di campi combinati elettrici e magnetici. Non è però possibile combinare il campo gravitazionale con il campo elettrico o magnetico per l’enorme differenza delle forze presenti. Se così non fosse, avremmo elettroni prodotti dal filamento caldo di un cinescopio che cadrebbero al fondo del tubo prima di poter raggiungere lo schermo o particelle accumulate in certi acceleratori per giorni che cadrebbero nella camera a vuoto. Un caso notevolissimo è quello delle forze centrali, che permettono di giustificare le leggi di Keplero e formulare il modello atomico di Bohr. Faremo anche semplici esempi tratti dall’astronautica e dalle scienze terrestri. 1. Il campo gravitazionale costante Questo fu uno dei primi moti studiati (da Galilei). Ed è interessante, tra l’altro, perché mette in discussione direttamente la fisica aristotelica che non aveva scoperto il principio di inerzia e che doveva quindi fare incredibili acrobazie per spiegare perché un oggetto lanciato continuasse a muoversi. In estrema sintesi, nella fisica moderna si ritiene che un oggetto lanciato continuerebbe a muoversi, se non ci fosse l’aria a fermarlo. Nella fisica aristotelica invece si riteneva che, cessata la forza applicata, il corpo si dovesse immediatamente fermare, se non fosse per la spinta dell’aria, trasmessa attraverso un non chiaro meccanismo*. * “Inoltre i proiettili si muovono ancora, benché non li tocchi più colui che l’ha lanciati e si muovono... perché l’aria, spinta, spinge a sua volta con un moto più veloce di quello spostamento del corpo spinto in virtù del quale il corpo stesso viene spostato verso il proprio luogo.” Aristotele, Fisica IV, 8, 215, in Opere, Biblioteca Universale Laterza, Vol. 3. 1 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Il moto si svolge su di un piano verticale passante per il vettore velocità iniziale ν 0 . Proiettato sull’asse X il moto è semplicemente un moto uniforme: non ci sono forze che possano modificare la componente iniziale della velocità v0 x . Dunque: x(t ) = v 0 x t . Si è qui scelta l’origine degli assi nel punto di lancio. Lungo l’asse Y agisce la gravità che dà la solita accelerazione costante, verticale e diretta verso il basso: g = 9,81ms-2. Di conseguenza 1 il moto è uniformemente accelerato: y (t ) = − gt 2 + v 0 y t . Possiamo adesso eliminare il 2 x . Sostituendo, tempo fra le due equazioni e ricavare l’equazione della traiettoria: t = v0 x otteniamo: y ( x) = − 1 x 2 v0 y g + x , che è una parabola (si veda fig. 1). La distanza x g 2 v02x v0 x alla quale il proiettile colpisce il suolo, si ottiene eguagliando a zero il valore di y: 0=− 2 2v 0 y 1 x g v0 y g 2 + xg ⇒ xg = v0 x . 2 v0 x v0 x g 30 25 Altezza (m) 20 15 10 5 0 0 20 40 60 80 Distanza (m) Fig. 1: Traiettoria di un proiettile (v0x = v0y = 20 m/s). 2 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ La massima altezza raggiunta dal proiettile si ottiene calcolando la derivata di y=y(x), cercando il valore di x per cui essa è zero e sostituendo questo valore di x nell’equazione v0 y voy v 0 x x dy = − g 2m + = 0 ⇒ xm = della traiettoria: . Sostituendo, si ha: dx g v0 x v0 x 2 2 2 v0 y 1 x m2 1 v0 y v0 y 1 v0 y ym = − g 2 + x m == − + = . Abbiamo menzionato la resistenza 2 v0 x v0 x 2 g g 2 g dell’aria come fattore che frena il moto e causa un’apparente violazione del principio d’inerzia. Facciamo allora l’esercizio di aggiungere la resistenza dell’aria nelle equazioni appena scritte. Dal secondo principio della dinamica otteniamo per l’asse Y: .. . m y = − mg − k y , dove l’ultimo termine rappresenta una forza che si oppone al moto (dunque ha verso opposto rispetto alla velocità) ed è proporzionale alla velocità. Questo termine rappresenta proprio la resistenza dell’aria. Riscriviamo e risolviamo: k vy g + vy dv y dv y dv y k k m = −g − vy ⇒ = −dt ⇒ = −t ⇒ ln( )=− t⇒ k k k dt m m g + vy vy g + v0 y v0 y g + m m m ∫ k k k − t − t k k m − t v y = ( g + v 0 y )e m ⇒ v y = g (e m − 1) + v0 y e m m m k Se si osserva questa formula, si vede subito che c’è un termine dipendente dalla velocità iniziale, che va a zero col tempo in modo esponenziale. Nel caso di caduta verticale, anche con velocità iniziale nulla, il secondo termine ci dice che si raggiungerà una velocità m asintotica: v∞ = g solo dopo un tempo infinito. Il segno meno significa che il moto è k diretto verso il basso. Sull’asse X, si ha una situazione analoga, senza il termine proporzionale a g. Riscrivendo il risultato per l’asse X, cioè cambiando gli indici ed g+ k − t eliminando il termine in g, si avrà: v x = v0 x e m , ovvero la velocità tende esponenzialmente a zero a partire dalla velocità impressa al proiettile al momento del lancio. Dobbiamo dire che l’espressione scelta per la resistenza dell’aria è particolarmente semplice: in generale ci si può aspettare una dipendenza dalla velocità caratterizzata da un esponente diverso e più grande di 1, almeno ad alte velocità. Il fattore k poi dipende dalla forma dell’oggetto. Chiaramente per un punto materiale non possiamo parlare di forma, al contrario che nel caso di oggetti reali, per i quali l’effetto della resistenza dell’aria dipenderà anche dalla forma. Possiamo integrare entrambe le equazioni ancora una volta: k k k k − t − t dy m − t m m − t = g (e m − 1) + v 0 y e m ⇒ y (t ) = −v ∞ t − g ( ) 2 (e m − 1) − v 0 y (e m − 1) dt k k k In questa formula il primo termine ci dice che il moto sarà uniforme una volta raggiunta la velocità asintotica. L’ultimo termine rappresenta il contributo agli spostamenti dovuto alla velocità iniziale. Il termine intermedio ci dice che le due forze, quella di gravità e la 3 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ resistenza aerodinamica sono sbilanciate (domina la gravità). Dopo un tempo teoricamente infinito le due forze saranno identiche e si annulleranno, producendo un’accelerazione nulla. Per l’asse X, occorre di nuovo cambiare gli indici ed eliminare il termine proporzionale a g: k − t m (1 − e m ) . Naturalmente si è mantenuta l’ipotesi iniziale che il proiettile sia k lanciato dall’origine. x (t ) = v 0 x Traiettorie di un proiettile secondo un vecchio libro (1882) di artiglieria. 2. Il campo elettrico costante Un problema simile si incontra quando si ha una particella carica in un campo elettrostatico costante. Come si è visto, un campo elettrostatico costante può essere realizzato tra due piani posti ad una differenza di potenziale ∆V0 (fig. 2): eE e∆V0 = , dove d è la distanza m md tra i due piani. Lo stesso sistema si può utilizzare per vari scopi e misure. Cominciamo In questo caso si avrà un’accelerazione verticale: a y = 4 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ dall’esperimento con cui J. J. Thomson misurò il rapporto tra carica e massa dell’elettrone (1898), dimostrando così l’esistenza di quest’ultimo*. + d e- Fig. 2: Particella carica in un campo elettrostatico costante. L’apparato si può schematizzare come mostrato in fig. 3: Y Schermo fluorescente l y Elettrone X L Armature Fig. 3: Apparato utilizzato nell’esperimento di Thomson. Nell’esperimento originale di Thomson il rapporto e / m fu misurato per raggi catodici generati dalle collisioni di ioni positivi su un catodo. Si può rifare l’esperimento con elettroni generati per effetto fotoelettrico, da una sostanza radioattiva che decada β o con gli elettroni da un filamento caldo. Evidentemente si finirà col dimostrare che in tutti questi casi si produce la stessa particella: l’elettrone. * L’atomicità della carica elettrica era stata fortemente indicata dalle leggi di Faraday sull’elettrolisi e dalle esperienze sulla scarica nei gas (raggi catodici, negativi, e anodici, positivi) 5 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Disegno originale dell’apparato di Thomson. (da J.J. Thomson- Conduction of electricity through gases- Cambridge University Press – 1928). Gli elettroni (raggi catodici), prodotti per collisione di ioni del gas sul catodo C, vengono accelerati verso l’anodo A. Passando attraverso le fessure raggiungono poi la zona dove è presente il campo. Un elettrone viaggia verso una zona in cui è presente il campo elettrico costante generato da un sistema di due piatti. Entrato nel campo, l’elettrone viene deviato verso l’alto, esce dal campo proseguendo per un tratto L ed infine colpisce uno schermo fluorescente dove, producendo una piccola scintilla, viene rivelato. La distanza verticale y d’impatto sullo schermo può essere misurata. Il punto d’impatto in assenza di campo è facilmente visibile: basta spegnere il campo elettrico. A titolo informativo, l’esperimento di Thomson è stato effettuato in un momento in cui si era già accumulato un vasto corpo di conoscenze sulle emissioni di raggi da un filamento caldo, sui raggi che venivano emessi e viaggiavano nel vuoto o nei gas, e che producevano fluorescenza su uno schermo coperto di ZnS (Solfuro di Zinco), ecc... Riprendiamo adesso le formule che abbiamo usato nel caso di un campo gravitazionale costante e calcoliamo il valore di y dopo aver percorso la distanza x=l nel campo. Alla coordinata x=l calcoliamo anche la derivata, che sarà il coefficiente angolare della traiettoria rettilinea dell’elettrone dopo che quest’ultimo avrà attraversato la zona di campo. Dal valore del coefficiente angolare possiamo ricavare l’ulteriore spostamento verticale effettuato nell’attraversare il tratto L. Trattandosi di un campo elettrico, dobbiamo eE sostituire l’accelerazione che, invece di g, è: . Naturalmente nel nostro caso sarà: m v0 y = 0 . In aggiunta, il segno negativo che era presente nel caso del campo gravitazionale, va cambiato in sale invece di cadere: dy eE l 1 eE x 1 eE l = y ( x) = ⇒ y (l ) = Il coefficiente angolare è: e dunque 2 dx x =l m v 0x 2 m v 02x 2 m v02x dopo che l’elettrone avrà percorso un ulteriore tratto L, avremo: 2 positivo, poiché la particella 2 1 eE l 2 eE l e l 1 + L = E 2 ( l + L) , da cui si vede che lo spostamento verticale 2 2 2 m v0 x m v0 x m v0 x 2 dell’elettrone è proporzionale al rapporto carica/massa. Dunque la misura di y permette di calcolare questo rapporto, di verificare che è costante e quindi di affermare che esiste una particella con e / m perfettamente determinato. Si trova: e/me=1,76 1011C/kg, Una variante dell’esperimento di Thomson fu eseguita da Kaufmann (1901-1903) per misurare il rapporto e / m in funzione della velocità dell’elettrone v (lungo l’asse X ), usando come sorgente di elettroni del bromuro di radio ( R nel disegno in basso) che emette, come lo y= 6 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ stesso esperimento dimostrò, elettroni di varia energia tra i limiti 2, 36 ⋅ 108 m / s a 2, 83 ⋅ 108 m / s . Immaginiamo di avere un sistema d’assi Y − Z sul piano della lastra fotografica C − D . L’origine O è situata nel punto dove arriverebbero gli elettroni, se il campo elettrico E lungo l’asse Z fosse spento e se il campo magnetico costante B nella stessa direzione del campo elettrico fosse anch’esso spento. Un elettrone emesso dalla sorgente di radio avrà una traiettoria circolare nel piano X − Y con raggio di curvatura mv e una traiettoria parabolica seguita da una retta nel piano X − Z , come nel r= eB precedente esperimento di Thomson da cui segue che la coordinata z del punto d’impatto e b 1 sulla lastra fotografica è: z = E 2 ( a − b ) . Nel piano X − Y il raggio di curvatura può m v 2 2 2 b 2 a 2 − ab + y 2 mv + = . Misurando y e z sulla lastra fotografica, 4 2y eB otteniamo sia il rapporto e / m sia la velocità v , che possiamo mettere in relazione, verificando che la massa dell’elettrone varia con la velocità come previsto dalla Relatività Ristretta. scriversi: r 2 = La formula del raggio di curvatura si ottiene usando l’equazione del cerchio r 2 = ( x − x0 )2 + ( y − y0 )2 e imponendo al cerchio di passare per i tre punti R( −a , 0) , P ( −a + b, 0) e il punto d’impatto sulla lastra ( 0, y ). Si ottengono le tre equazioni: r 2 = ( − a − x0 )2 + y02 2 2 2 r = ( − a + b − x 0 ) + y0 2 2 2 r = x0 + ( y − y0 ) 7 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Dalle prime due si ottiene: x0 = b a (a − b ) + y 2 . − a , sostituendo nella terza si ha: y0 = 2 2y 2 b 2 a 2 − ab + y 2 Sostituendo infine nella prima, si ha il risultato quotato: r = + . 4 2y 2 Una conseguenza di questo esperimento è la verifica del fatto che nel decadimento β , cioè quello in cui vengono emessi elettroni a seguito del decadimento di un neutrone in protone ed elettrone, gli elettroni non hanno sempre la stessa velocità o energia. Tuttavia, secondo la meccanica, la conservazione del quadrimpulso implica che l’elettrone deve avere una energia ben definita. Possiamo capire facilmente questo, se ci mettiamo nel riferimento del neutrone che decade. In questo riferimento scriviamo la conservazione dell’energia: mn c 2 = m 2p c 4 + c 2 p 2 + me2 c 4 + c 2 p2 ≃ m p c 2 + me2 c 4 + c 2 p 2 = m p c 2 + Ee , dove si è posto p impulso finale sia del protone, sia dell’elettrone, che devono essere uguali per la conservazione dell’impulso: nullo nello stato iniziale e dunque nullo in quello finale. Questa equazione definisce p = (mn − m p )2 c 2 − me2c 2 = 5.34 ⋅ 10−22 kg ⋅ m ⋅ s −1 . dell’elettrone è: Ee = ( mn − m p )c 2 = 0,16i1, 672.10−27 kg ic 2 ≈ 1, 3 MeV † L’energia e, dunque, è fissata. W. Pauli (1931) ipotizzò allora che nel decadimento ci fosse una terza particella la quale doveva essere neutra, altrimenti avrebbe dovuto essere rivelata come l’elettrone, e a massa quasi nulla, come si deduce dal fatto che il massimo valore dell’energia dell’elettrone Emax è praticamente uguale all’energia Ee appena calcolata. La particella fu chiamata “neutrino” (con voce italiana anche in inglese) per distinguerla dal neutrone (scoperto da Chadwick nel 1932) che era pesante. (Da wikipedia) † Il fattore 0,16 viene dal fatto che la massa del neutrone è del 16% più grande di quella del protone (vedi problemi d’urto al capitolo precedente). Le unità di misura, gli eV, saranno definite a breve. 8 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ I neutrini furono poi identificati presso il reattore nucleare di Savannah River in South Carolina (USA) solo nel 1956 da Cowan e Reines. La fisica del neutrino è oggi soggetto di molto studio sperimentale ai grandi acceleratori. La sua massa, ritenuta oggi non proprio nulla, avrebbe un significato cosmologico importante. Un altro esperimento fondamentale nella storia della fisica è stato quello di Millikan (schematizzato in fig. 4). In questo esperimento si utilizza un campo elettrostatico verticale costante che agisce contro il campo gravitazionale. Delle goccioline d’olio vengono spruzzate all’interno di un condensatore piano. Le goccioline presentano una carica incognita Q, in quanto sono state irraggiate con raggi X che strappano una parte della carica agli atomi della gocciolina. Agendo con un campo elettrostatico, è possibile allora fermare la caduta delle goccioline o, comunque, modificarne il moto. Se la carica è granulare, Q deve necessariamente essere un multiplo della carica fondamentale e: Q=Ne, dove N sarà il numero di atomi ionizzati. Se si misura dunque la carica Qi=Nie con i =1....M, di M goccioline, si dovrà trovare che i valori misurati hanno un minimo comune divisore e. Se lasciamo cadere una gocciolina senza applicare il campo elettrico, questa dopo un po’ raggiunge una velocità asintotica che dipende dal suo raggio r. Guardando la gocciolina cadere con un microscopio possiamo misurarne la velocità asintotica e quindi il raggio r. Armature Goccioline Fig. 4: Esperimento di Millikan. Noti il volume della gocciolina e la sua densità, se ne conosce dunque la massa. Applicando il campo elettrico, la goccia continua a cadere sebbene più lentamente, raggiungendo una nuova velocità asintotica, che stavolta dipende dalla carica della goccia. Misurata la velocità dunque, si può ricavare la carica. Vediamo adesso le formule: m 4 • Caduta senza campo elettrico: v∞ = g , con: m = ρπr 3 . La costante k per una k 3 gocciolina sferica è: k = 6πηr ( η è il coefficiente di viscosità dell’aria‡). In realtà la densità ρ , usata nella prima formula, deve essere sostituita dalla differenza tra la densità della gocciolina e quella dell’aria per tenere conto della spinta idrostatica (Archimede): ρ = ρ olio − ρ aria §. Tutti questi coefficienti sono noti e misurabili separatamente. ‡ Si tratta di una formula dovuta a Stokes, valida a bassa velocità in cui la resistenza dell’aria è dovuta alla sua viscosità, cioè ad una forma d’attrito che trasferisce quantità di moto dal corpo in moto all’aria che lo circonda. § Il principio di Archimede stabilisce che un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso di fluido spostato. La dimostrazione è semplicissima. Immaginiamo un cubetto di spigolo h immerso in un fluido. Esso sarà soggetto alla 9 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ • Caduta con il campo elettrico: si avrà una velocità asintotica diversa dovuta al fatto qE che oltre al campo gravitazionale agisce anche il campo elettrico: g → g − , m m qE qE qE ) = v∞ − ⇒ ∆v ∞ = ovvero: v ∞' = ( g − . Dunque, misurata la differenza k m k k tra le velocità asintotiche, noto il campo ed il fattore k, si può ricavare la carica sulla gocciolina. Nota dall’esperimento di Millikan la carica dell’elettrone e noto il valore del rapporto e/m dall’esperimento di Thomson, si può trovare la massa dell’elettrone che risulta essere pari a: me = 9,109 ⋅10 −31 kg . Un’altro modo di utilizzare tale sistema di due armature è quello di girarle verticalmente e fare sì che il campo elettrico acceleri l’elettrone (od il protone, ecc…) lungo l’asse orizzontale. Si tratta di un semplice acceleratore, comunemente usato in tutti i sistemi che usano elettroni prodotti da un filamento caldo (cinescopi e tubi a vuoto, per esempio). Una particella, passando attraverso una regione nella quale vi è una differenza ∆V0 di potenziale elettrico (fig. 5), aumenta la sua energia cinetica di: ∆T = e∆V0 . Questo ci permette di definire una nuova unità di misura dell’energia che risulta molto utile nel campo della fisica nucleare, subnucleare e atomica. Definiamo come elettron-Volt (eV) pressione idrostatica su tutte le facce. Tuttavia esiste una differenza di pressione tra le basi inferiore e superiore pari a ∆p = ρ gh che moltiplicata per l’area della faccia, da una forza verticale verso l’alto pari a F = ρ ghA = ρ gV . 10 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Apparato originale di Millikan**. G è un bagno d’olio per mantenere la temperatura costante. m è un barometro che misura la pressione interna. Z è il generatore di raggi X. La luce viene da sinistra attraverso w. Da D le goccioline d’olio passano nel volume di misura tra i piatti M e N (in alto sul piatto M c’è un forellino). B è la batteria che produce una tensione massima di 10.000 V applicata ai piatti M e N. Il telescopio è perpendicolare al foglio. La distanza d tra i piatti è 16 mm, il loro diametro è 22 cm e le superfici sono otticamente piatte. Il cammino della goccia viene traguardato per 0,52 cm.. Il cronografo dà i tempi al centesimo di secondo. Una gocciolina, con un diametro dell’ordine del micron, appare come una stella luminosa su sfondo scuro, a causa della forte illuminazione laterale. La stessa gocciolina può essere lasciata cadere e fatta risalire molte volte ed essere osservata per tempi dell’ordine dell’ora. Occasionalmente la goccia assorbe uno o più ioni e cambia improvvisamente velocità. Tra le cause d’errore sono state investigate: 1. la legge di Stokes, che va modificata per 6πη r goccioline così piccole, nel modo: k = dove A è un coefficiente numerico da λ 1+ A r determinare e λ è il cammino libero medio (vedi teoria cinetica dei gas) 2. il moto browniano che influenza il calcolo della velocità. Il moto browniano nel gas può essere qui osservato, giacchè tutto l’apparato è termostatato col bagno d’olio e dunque privo di correnti d’aria 3. evaporazione della goccia. L’apparato si presta anche a dimostrare che protone ed elettrone hanno la stessa carica. Si può anche far vedere che i raggi X producono uno ione alla volta, ciò che appoggia la teoria corpuscolare della luce, come l’effetto fotoelettrico (vedi Fisica Generale 2, cap. 4).L’autore esclude anche l’esistenza di cariche frazionarie. ** Robert Andrews Millikan, The electron: its isolation and measurement and the determination of some of its properties (1917). The University of Chicago Press 11 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Nella tabella sopra sono visibili i risultati di una misura su una gocciolina. t g e tF sono il tempo di caduta (per 10,21 mm) sotto la sola gravità e il tempo di risalita con il campo acceso. La velocità media di caduta è: 0,08594 cm/s. Il coefficiente di viscosità è: η = 1,824 ⋅10−5 kg /(m ⋅ s) . La differenza (somma) tra gli inversi dei tempi, sostituisce la differenza tra le velocità, giacché le distanze percorse sono le stesse. L’equazione usata è vg mg mg vg +VF mg infatti: t g ( t1 + t1 ) e, se c’è cattura di n − n ' = ⇒ qn = = g F vF qn F − mg F vg F mg v 'F − vF mg 1 1 − = t g ( 1' − t1 ) . Osservando i valori di (colonna ' F tF F vg F t tF F 4) si vede che esiste un numero intero n (colonna 5 ) che, usato al denominatore, dà un q −q numero costante (colonna 6), cioè, giacché m, g , F , t g sono costanti: n ' n = costante. n Evidentemente questo numero rappresenta la carica minima e appare costante. La colonna 7 mostra la quantità t1 + t1 , da cui si ricava qn , che, diviso per l’intero in colonna 8, ioni, qn ' − qn = g F fornisce un numero costante in colonna 9 uguale a quelli in colonna 6. Si noti che la differenza tra due successivi numeri nella colonna 8 dà l’intero nella colonna 5, come deve 12 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ essere. Moltiplicando la colonna 9 per il fattore mg mg tg = d t g = 29, 7 ⋅10−18 C ⋅ s , si F V ottiene infine la carica elettronica. Il risultato è scritto in basso: 4,991 ⋅10−10 esu = 4,991⋅10−10 ⋅ 3,3356 ⋅10−10 = 1, 66 ⋅10−19 C. Volume della goccia: 8,8 ⋅10−17 m3 Massa della goccia: 8,1 ⋅10−14 kg Peso della goccia: 7,94 ⋅10−13 N Campo elettrico: 318kV / m Coefficiente di conversione esu in Coulomb: 3,3356 ⋅10−10 L’energia acquisita da un elettrone attraversando un potenziale acceleratore di 1Volt. Poiché la carica dell’elettrone è: e = 1,6 ⋅ 10 −19 C , avremo che: 1eV = 1,6 ⋅ 10 −19 J e- + Fig. 5: Accelerazione di un elettrone mediante campo elettrico. L’apparato di Thomson è il precursore di alcuni importanti strumenti come l’oscillografo ed il cinescopio. Cominciamo con una descrizione dell’oscillografo. 13 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Placche di deflessione - Schermo + Elettroni Verticali Orizzontali Fig. 6: Oscillografo. Elettroni vengono prodotti da un filamento caldo ed accelerati da un sistema di placchette parallele. Successivamente finiscono tra due placchette orizzontali. Un potenziale applicato a queste placchette deflette verticalmente gli elettroni. Un secondo sistema di placchette verticali può deflettere il fascetto orizzontalmente. Gli elettroni alla fine vanno a colpire uno schermo ricoperto da un “fosforo”, cioè una sostanza che “scintilla” quando viene colpita da particelle cariche (fig. 6). Connesso alle placche di deflessione orizzontali c’è un circuito capace di produrre una tensione linearmente variabile nel tempo, in maniera tale che il fascetto che colpisce il lato sinistro dello schermo (per chi guarda lo schermo) viene deflesso e fatto “spennellare” sullo schermo con un moto uniforme. Se un segnale di tensione variabile nel tempo viene applicato alle placchette di deflessione verticale, il fascetto disegnerà sullo schermo la forma del segnale ovvero la funzione V=V(t). In un cinescopio, il fascetto viene fatto muovere attraverso lo schermo disegnando una linea; ad un successivo passaggio la retta risulta leggermente spostata verticalmente. Un certo numero di volte (~ decine) per secondo il fascetto fa la scansione dell’intero schermo riga orizzontale dopo riga orizzontale. Si può quindi ottenere una figura, variando opportunamente l’intensità del fascio e quindi l’intensità del punto luminoso sullo schermo. Un altro caso interessante si ha quando un dipolo elettrico viene introdotto in un campo elettrico costante (fig. 7). Evidentemente il dipolo sarà soggetto ad una coppia di forze che tenderanno ad allinearlo lungo la direzione del campo. Spostando il dipolo dalla posizione di equilibrio in modo da dare luogo ad una coppia di richiamo da parte del campo elettrico, si avrà, se I è il momento d’inerzia del dipolo: dL z dω d 2θ =I = I 2 = − qdEsenθ ≈ − qdEθ . L’ultimo passaggio è giustificato nel caso di dt dt dt piccole oscillazioni. Riconosciamo questa equazione come quella dell’oscillatore armonico. La frequenza angolare sarà dunque : ω 0 = qdE I -q d +q 14 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Fig. 7: Dipolo elettrico in un campo elettrico costante. 3. Il campo magnetico costante Non è nemmeno difficile ottenere un campo magnetico costante: basta mettersi all’interno di un solenoide. Elettrone Un elettrone che entri in un campo magnetico verticale, come mostrato in fig. 8, con velocità perpendicolare al campo viene deflesso e percorre un arco di cerchio. La forza di Lorentz è perpendicolare alla velocità e dunque ne altera la direzione e non il modulo. Fig. 8: Elettrone in un campo magnetico costante. v2 = evB , giacché v e B sono perpendicolari. Essendo v costante, deve Vale anche: m r rimanere costante anche r. La traiettoria con r costante è ovviamente un cerchio e si ha p . Se non si fosse scelta la velocità dell’elettrone perpendicolare a B , si quindi: r = eB sarebbe potuto scomporla in due componenti: una lungo B e una perpendicolare a B . La componente lungo B non viene modificata dal campo e corrisponde ad un moto rettilineo uniforme. La componente perpendicolare a B dà una traiettoria circolare. La loro combinazione produce un moto di tipo elicoidale. Un’importante applicazione del moto di una particella carica in un campo magnetico costante si ha negli spettrometri. Uno spettrometro è un apparecchio che serve a misurare lo spettro di valori assunto dalla massa delle particelle o dal loro impulso. È chiaro dalla p formula: r = , che misurando r si può ottenere il valore di p: p = eBr . In certi eB acceleratori di particelle (anelli d’accumulazione), fasci di particelle vengono portati a collidere lungo l’asse di un solenoide, così che il campo magnetico non disturba il moto dei fasci in collisione ( ev fascio × B = 0 ). Durante la collisione, nuove particelle vengono prodotte. Di queste si vuole misurare l’impulso p. Poiché le particelle vengono prodotte in un campo magnetico si potrà misurarne la componente perpendicolare all’asse del solenoide, misurandone il raggio di curvatura. Un’altra applicazione si ha negli spettrometri di massa. La totalità delle specie atomiche è formata da vari isotopi. Gli isotopi sono atomi della stessa specie, cioè con lo stesso numero di protoni (o numero atomico), ma con diversi numeri di neutroni e quindi con pesi atomici diversi. 15 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ A parità di velocità d’ingresso nel campo magnetico, essi avranno diversi impulsi e saranno quindi deflessi in maniera diversa. Misurando i diversi raggi di curvatura si possono ottenere le diverse masse. Solenoide Fascio Antifascio Fig. 9: Particella carica all’interno di un solenoide. 4. Particella prodotta nella collisione della quale si vuole misurare l’impulso Campi combinati Daremo un paio di esempi di situazioni in cui vale la pena combinare campi elettrostatici e magnetostatici. Il primo esempio è dato dal caso in cui si voglia realizzare un selettore di velocità. Negli spettrometri di massa si assume che tutte le particelle abbiano inizialmente la stessa velocità. Questo non è vero, perché le loro velocità sono di natura termica e presentano quindi una caratteristica distribuzione. E’ vero che, accelerando gli isotopi con un campo elettrico, essi acquisiscono una velocità che è uguale per tutti e che, essendo molto più grande della velocità termica iniziale farà sì che tutti gli isotopi abbiano uguali velocità. Tuttavia un metodo di grande precisione per selezionare solo gli isotopi che hanno velocità uguali, è illustrato in fig. 10. Ione indeflesso Sorgente collimata Fig. 10: Metodo per selezionare isotopi ad uguale velocità. Lo ione entra con velocità ν in una regione dove ci sono i due campi costanti. Il campo magnetico tende a far girare la particella in un cerchio nel piano determinato da E e ν . E contrasta questo moto e se le due forze sono uguali lo ione passa la regione di campo non 16 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ nullo indeflesso. Perché ciò avvenga la velocità deve obbedire alla seguente condizione: E evB = eE ⇒ v = B Esiste poi un particolare spettrometro che è basato sull’uso combinato dei due campi (fig. 11), e che non fa alcun uso del selettore di velocità. I due campi costanti sono disposti in modo tale che il fascetto di ioni (che presenta spettro di masse e velocità diverse) sia deflesso in un piano orizzontale dal campo magnetico e in un piano verticale dal campo elettrico, come è illustrato in fig. 11. Dopo un cammino di lunghezza l nella zona di campo non nullo, lo ione colpisce lo schermo. Si cercano allora le posizioni di impatto in funzione della massa e, per una massa definita, della velocità. Lungo l’asse Y, il moto è uniforme con velocità iniziale v . Lo ione colpisce lo schermo, dopo aver percorso la distanza l = v y t , cioè dopo un tempo: t = l . vy 1 ev y B 2 t x = 2 m I moti lungo gli altri due assi sono uniformemente accelerati: z = 1 eE t 2 2 m In verità, il moto lungo Y non è veramente uniforme perché la velocità lungo Y cambia a causa della rotazione indotta dal campo magnetico: dunque stiamo supponendo che lo spostamento in Y sia piccolo. Lo stesso si può dire per il moto lungo X. ev y B L’accelerazione è , perché stiamo supponendo v y costante. m Calcoliamo adesso le coordinate x e z d’impatto sullo schermo, cioè per y=l. Sostituendo il valore del tempo nelle equazioni di x e z, si avrà: x = z = 1 eB l 2 2 m vy 1 eE l 2 2 m v 2y Esprimiamo adesso z in funzione di x ed eliminiamo il rapporto ha: l 2mx 1 = vy eB l dalla prima e, sostituendo nella l tra le due equazioni. Si vy seconda, si ottiene: m E 1 2 x = 2Cx 2 che è l’equazione di una parabola. Dunque: il luogo dei punti e B2 l 2 d’impatto di ioni aventi la stessa massa è una parabola, indipendentemente dal valore della loro velocità iniziale. Al variare della massa, le parabole risultano spostate tra loro perché, variando le masse, varia C. Ioni che avessero cariche diverse, produrrebbero parabole molto z=2 17 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ diverse, perché invece di e al denominatore avremmo 2e, 3e,... il che implicherebbe sostanziali cambiamenti di C. Z Il fascio si apre a causa della presenza di particelle a diverse v Isotopi diversi l Arco di parabola Sorgente collimata Lastra fotografica X Fig. 11: Spettrometro combinato. 18 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Apparato originale di Thomson (da J.J. Thomson- Conduction of electricity through gasesCambridge University Press – 1928). Nel pallone A vengono prodotti gli ioni che, passando attraverso il collimatore C, raggiungono le due placchette L e M e l’espansione polare P-Q . Poiché c’è un tratto senza campo prima di raggiungere lo schermo di lunghezza L , le equazioni per z e per x vanno modificate sostituendo 1 2 1 l , con l ( l + L) . 2 2 Un altro modo di usare questo apparecchio e per una misura della massa di un elettrone al variare della sua velocità, cioè per una verifica della relazione relativistica: m = γ m0 . Supponiamo di misurare le due coordinate: 1 eB l 2 x = 2 m vy 2 z = 1 eE l 2 m v 2y Dalla prima possiamo ricavare v y e dalla seconda la massa dell’elettrone la distribuzione dei punti d’impatto sullo schermo mostrerà la correlazione esistente tra massa e velocità. In questo caso si dovrà usare una sorgente di elettroni contenente elettroni in una gamma di valori di v y la più ampia possibile, come una sorgente beta. 19 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Z X 5. I moti centrali: qualche considerazione iniziale Per forza centrale si intende una forza che ha come linea d’azione sempre la congiungente del punto su cui agisce e un punto fisso, per esempio l’origine delle coordinate. Un semplice esempio è quello dell’oscillatore tridimensionale isotropico in cui la legge di forza agente sul punto materiale è: componenti, si ha: F = −kr . Scrivendo il secondo principio in termini di ɺɺ x + ω2x = 0 mxɺɺ = −kx y + ω 2 y = 0 con ω 2 = k / m . Queste equazioni hanno come myɺɺ = −ky ovvero: ɺɺ mzɺɺ = −kz ɺɺ 2 z + ω z = 0 soluzioni: x = ax cos ωt + bx sin ωt y = a y cos ωt + by sin ωt ovvero: r (t ) = a cos ωt + b sin ω t . Se all’istante iniziale z = a z cos ωt + bz sin ωt v t = 0 è v = v0 e r = r0 , abbiamo: r (t ) = r0 cos ωt + 0 sin ω t e ω v (t ) = − r0ω sin ωt + v0 cos ωt . E’ banale vedere che sia l’energia che il momento della quantità di moto sono conservati: E= 1 2 1 2 1 1 mv + kr = m(r0 cos ωt + v0 / ω sin ωt ) 2 + k (− r0ω sin ω t + v0 cos ωt )2 = 2 2 2 2 20 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ = 1 2 1 2 mv0 + kr0 2 2 L = m( r0 cos ωt + v0 ω sin ωt ) × ( − r0ω sin ωt + v0 cos ω t ) = mr0 × v0 . Quest’ultima formula implica anche che il moto avviene su un piano che è quello definito dal piano r0 = a cos θ − b sin θ r0 × v0 . Vediamo adesso quale è la traiettoria. Poniamo: v . E 0 = a sin θ + b cos θ ω otteniamo: r (t ) = a cos(ωt − θ ) + b sin(ω t − θ ) e possiamo scegliere l’angolo θ in v v modo che a = r0 cos θ + 0 sin θ e b = − r0 sin θ + 0 cos θ siano perpendicolari. A ω ω questo punto possiamo scegliere gli assi coordinati lungo le direzioni di a e b e avremo: x(t ) = a cos(ωt − θ ) x2 y 2 . Dividendo e quadrando si ottiene un’ellisse: + =1. a 2 b2 y (t ) = b sin(ωt − θ ) Passiamo adesso al caso della forza gravitazionale. Il caso del moto di una massa (o carica) nel campo generato da una massa (o carica) puntiforme è molto importante. Il sistema a due corpi Terra-Sole (o Terra-Luna, ecc.) è infatti legato dalla forza gravitazionale (fig. 12). Un primo modello atomico fu elaborato all’inizio del ‘900 da N. Bohr, che immaginò l’atomo d’idrogeno come formato da un nucleo costituito da un solo protone con un unico elettrone in orbita intorno al protone. Il protone è circa 2000 volte più pesante dell’elettrone. Dunque molto più pesante dell’elettrone così come il Sole è molto più pesante della Terra (anche se il rapporto di massa Sole/Terra è addirittura dell’ordine di 10 6 ). I due sistemi sono simili, ma le forze gravitazionali sono molto più deboli e pertanto le dimensioni atomiche sono corrispondentemente più piccole. La relazione principale da considerare è quella che eguaglia la forza gravitazionale agente sulla Terra (ed elettrica agente sull’elettrone nel caso dell’atomo di H2) al prodotto massa per accelerazione (2o principio della dinamica): mM r v2 r . Stabilito il fatto che questa forza ha la direzione della = − m r r r2 r congiungente Terra-Sole ed è diretta verso il Sole, possiamo riscriverla in forma scalare: F = −G v2 M ⇒G = v 2 . La linea che stiamo seguendo dovrebbe essere chiara: il Sole r r r2 (protone), pesante, è nell’origine delle coordinate e la Terra (elettrone) gli orbita intorno, secondo il modello di Keplero (Bohr). Poiché si è insistito tanto sul fatto che le forze gravitazionali sono deboli, proviamo a calcolare quanto vale la forza d’attrazione esercitata dal Sole sulla Terra: G mM =m 21 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ F =G mM r 2 = 6,67 ⋅10 −11 Nm 2 kg − 2 5,98 ⋅10 24 kg ⋅1,99 ⋅10 30 kg (1,5 ⋅10 m) 11 2 = 3,52 ⋅10 22 N X Fig. 12: Sistema Sole-Terra. Non una forza trascurabile davvero! In quel che segue, discuteremo i moti centrali usando la conservazione dell’energia e del momento della quantità di moto. Prima però elenchiamo le approssimazioni che saranno fatte e la loro validità e risolviamo qualche problema marginale, ma di interesse: 1. Nella trattazione che seguirà, il Sole e la Terra saranno considerati puntiformi data la loro grande distanza (rispetto al loro raggio). Tuttavia non lo sono. Proviamo ad esaminare una conseguenza del fatto che non lo sono. Calcoliamo la differenza tra la forza totale agente sul loro baricentro, cioè quella che determina il moto complessivo, e la forza agente su di mM un punto della superficie terrestre. Diciamo che al centro è vero che: G 2 − mω o2 ro = 0 , ro dove ro e v o sono il raggio e la velocità orbitali. Un punto sulla superficie della Terra però non si trova a ro dal centro del Sole, ma ad una distanza inferiore o superiore. Per semplicità consideriamo i due punti estremi, quello che si trova a r = r0 + R e quello che si trova a r = ro − R e calcoliamo la forza totale agente su di essi. Si noti tuttavia che i due punti sulla superficie terrestre girano su un cerchio di raggio r0 con centro spostato di R rispetto al Sole, pertanto la forza centrifuga non varia su questi punti; solo la gravità che dipende dalla distanza dal Sole cambia e produce uno sbilanciamento. Vedere in figura la traiettoria del centro (linea piena) e dei due punti a ± R (linee tratteggiate) per capire come i tre punti si muovono su cerchi decentrati. 22 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Avremo: mM R , che è lo sviluppo in serie intorno al punto r = r0 ovvero F = 0 per un r03 piccolo spostamento pari a R , tenendo in conto il fatto che il termine centrifugo rimane uguale. R Notiamo adesso che il fattore ≅ 4 ⋅10 −5 ed allora la forza su questi punti estremi sarà ro Ft = ±2G pari a: 12 ⋅ 10 −5 ⋅ 3,52 ⋅10 22 N = 4,2 ⋅ 1018 N . Questo significa che, mentre il centro del pianeta è sottoposto ad una forza risultante nulla, la forza su questi punti è enorme. Tale forza è detta “forza di marea”, perché è appunto all’origine delle maree. In realtà, le maree terrestri sono determinate principalmente da questo effetto, ma calcolato nel sistema TerraLuna, dove lo sbilanciamento tra forza gravitazionale e centrifuga è ancora più grande. Tale in effetti da provocare il sollevamento degli oceani due volte al giorno sul punto più vicino e su quello più lontano dalla Luna. L’effetto del Sole non è tuttavia trascurabile. Dopo tutto Galilei aveva ragione quando ipotizzava che le maree fossero legate al moto della Terra. I. Newton (1643-1727) che aveva scoperto il secondo principio e la gravitazione, poté risolvere meglio questo problema. Naturalmente, se la forza risultante applicata su un punto della Terra diventa troppo grande, c’è il pericolo che la materia di cui è fatta la Terra si frantumi. Presumibilmente, gli anelli di Saturno si sono formati così: un satellite che è andato troppo vicino al gigantesco pianeta si è frantumato dando luogo ad un numero enorme di blocchi di roccia che, essendo piccoli, subiscono piccole forze di marea e sono stabili. L’insieme di questi pezzi di roccia in orbita intorno a Saturno forma gli anelli. Si può immaginare che le forze di marea prodotte da un buco nero o stella a neutroni (vedi oltre) siano enormi. Un altro problema interessante che possiamo affrontare usando la semplice relazione di eguaglianza tra forza gravitazionale e massa per accelerazione è quello del calcolo della velocità di fuga. Un corpo di massa m, che si trovi nel campo gravitazionale di un corpo celeste di massa M, potrà sfuggire al campo gravitazionale di quest’ultimo, se possiede una velocità minima che viene chiamata “velocità di fuga”. Con la frase “sfuggire al campo” si intende dire che il corpo si può allontanare dal corpo celeste fino a raggiungere una distanza infinita da questo. Se invece il corpo non può allontanarsi oltre una certa distanza, si dice che è “legato”. L'energia del corpo è data dalla somma di un termine cinetico e di uno potenziale: 23 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 1 2 mM mv − G . Poiché siamo in presenza di un campo conservativo, l’energia della 2 r particella è conservata. Se l’energia totale è negativa, essa deve restare negativa e pertanto r non può divergere, perché per r che va all’infinito il termine negativo diviene nullo e l’energia diverrebbe positiva o nulla. Dunque una energia negativa caratterizza uno stato legato. Viceversa, se l’energia è positiva, non c'è limite su r ed il corpo non è legato. Dunque l’energia cinetica minima necessaria per andare all’infinito, cioè perché il corpo sia libero, 1 mM è zero, ovvero: mv 2 = G . Questo significa che la velocità ad una data distanza dal 2 r 2GM corpo celeste r, deve essere più grande di v fuga = , affinché il corpo possa r andarsene all’infinito. Consideriamo il caso di un corpo sulla superficie della Terra: a che velocità occorre accelerarlo perché possa liberarsi dalla gravità terrestre e perdersi nel profondo dello spazio? Per la Terra, M T = 5,98 ⋅10 24 kg e, sostituendo, si trova che: H= v fuga = 11,2km / s = 40320km / h che è la rispettabile velocità∗ a cui bisogna accelerare una navetta spaziale per inviarla fuori dal campo terrestre. Così si possono calcolare le velocità di fuga da altri pianeti, dalla Luna (3,38km/s) o dal Sole (617,7km/s). Naturalmente, se intendiamo mettere un satellite in orbita intorno alla Terra, le velocità saranno più basse. Facciamo l’esempio di un’orbita geostazionaria e calcoliamone la velocità orbitale v orbitale ed il raggio r. L’orbita geostazionaria è quella di un satellite che rimane a coordinate fisse rispetto alla Terra. In altri termini, esso ruota intorno alla Terra in esattamente 24 ore. 2πr L’orbita è definita dunque dalla condizione che il periodo sia: T = 24h = 86400s = v orbitale . In aggiunta, deve essere, come sempre per corpi in orbita intorno ad una massa M molto maggiore: 2 mv orbitale r mM GM . Sostituendo, si ottiene T = 2πr ed, = G 2 ⇒ v orbitale = r r GM r inserendo i valori numerici, si ha: r = 41146 km (dal centro della Terra) e v orbitale = 3,06km / s , che è una velocità sostanzialmente più bassa della velocità di fuga. Poniamoci adesso una domanda: sotto quali condizioni la velocità di fuga dovrebbe essere uguale a quella della luce? Questo è un problema che si pose già Laplace nel ‘700. Evidentemente, se arriviamo a condizioni tali che la velocità di fuga risulta maggiore di c, allora nulla può sfuggire a questo campo gravitazionale, perché nessun corpo può raggiungere tale velocità. Prendiamo il caso del Sole. Poiché la velocità di fuga dipende dal raggio r, possiamo domandarci quale dovrebbe essere il raggio del Sole perché la velocità Questa velocità è circa un terzo di quella orbitale terrestre (valori di β ≈ 3 ⋅10 −5 ). A questa velocità gli effetti relativistici di dilatazione del tempo devono essere tenuti in considerazione, se si usano standard di misura del tempo molto elevati come nei satelliti usati per il GPS (Global Positioning System). ∗ 24 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ di fuga passi dai 618km/s appena calcolati a c. Poniamo dunque : c = risolviamo rispetto ad r. Si ottiene: r = 2GM S r e 2GM S = 4, 4km , essendo M S = 1,99 ⋅ 10 30 kg . c2 Dunque dovremmo immaginare di comprimere la massa del Sole fino a che questa abbia un raggio (raggio di Schwarzschild) di 3km! A questo punto niente più potrebbe sfuggire dal Sole, neppure la luce. Una stella ridotta in questa condizione viene chiamata “buco nero”. E’ interessante calcolare la densità di un Sole ridotto a questo raggio: sarebbe pari a 1,76 ⋅1019 kg / m 3 . Per paragone, la densità della Terra è: ρ = 5,52 g / cm 3 , come si può calcolare, conoscendo la massa della Terra ed il suo raggio. Poiché il raggio di un protone è stimato essere pari a r = 10 −15 m e la sua massa è m p = 1,672 ⋅10 −27 kg , si può vedere che la densità del Sole dovrebbe essere enorme, dell’ordine di quella nucleare ( 4 ⋅1019 kg / m 3 ). In effetti sono state scoperte delle stelle con questa densità, chiamate stelle di neutroni, composte di materia che ha raggiunto il massimo della compressione. Per evitare fraintendimenti, diciamo che la massa del Sole è comunque troppo piccola perché esso possa trasformarsi in una stella di neutroni o in un buco nero. Molti pianeti e satelliti hanno un’atmosfera. Non tutti però. Un’atmosfera è in pratica una coperta di gas, ovvero di molecole come O2 o N2 , che si muovono e si agitano intorno al corpo celeste. Se la velocità di qualcuna di queste molecole raggiunge la velocità di fuga, essa sarà potenzialmente persa. Eventualmente se la velocità di fuga è molto bassa, tutta l’atmosfera può essere persa. Si faccia il paragone tra Terra e Luna. La velocità di fuga dalla Luna, calcolata con la formula precedente, risulta di 3,38km/s: molto più bassa di quella della Terra a causa della ridotta massa e quindi gravità. Una molecola possiede un’energia 1 3 cinetica media data da: mv 2 = kT , con k = 1,38 ⋅ 10 −33 J / 0K costante di Boltzmann (si 2 2 veda il Cap. 7). Da questa espressione si deduce il valore della velocità molecolare in funzione della temperatura. A 20 0 C risulta che la velocità è di 4 km/s. Superiore alla velocità di fuga dalla Luna, ma inferiore alla velocità di fuga dalla Terra. Infatti sulla Terra è presente un’atmosfera, che invece non esiste sulla Luna. 2. Si è assunto che la Terra gira intorno al Sole. Ma questo è vero? Il fatto è che sia la Terra che il Sole girano intorno al comune baricentro. E tale baricentro è così vicino al centro del Sole che questi due punti possono essere considerati coincidenti. In verità si può dimostrare che, modificando le equazioni di conservazione, è possibile ridurre il problema a due corpi ad un problema ad un corpo solo. Vediamo come si fa. Scriviamo innanzitutto l’espressione dell’energia del sistema Sole-Terra in coordinate polari, tenendo conto dell’energia cinetica di entrambi i corpi: . . . 1 . 2 1 mM ( m r1 ) + ( mr1 ϕ )2 + ( M r2 )2 + ( Mr2 ϕ )2 − G , dove gli indici 1 e 2 H= 2m r12 2 M si riferiscono alla Terra e al Sole rispettivamente, r12 è la distanza tra i due corpi celesti e r1 25 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ e r2 le distanze dei due corpi dal baricentro del sistema. Deve essere: mr1 = Mr2 e mrɺ1 = Mrɺ2 . Sostituendo: . . 1 1 1 . mM 1 . 2 mM (m r1 ) + (mr1 φ ) 2 − G , dove: ( + ) (m r1 ) 2 + (mr1 φ ) 2 − G = µ 2 m M r 2 r12 12 1 1 mM −1 µ −1 = + =( ) con µ che è detta “massa ridotta”. Definiamo: m M m+M mr m M ρ= r1 + r2 = 1 ⇔ mr1 = µρ , e sostituiamo nell’espressione dell’energia: µ M m H = . . 1 . 2 mM 1 . 2 mM . Del resto: (m r1 ) + (mr1 φ ) 2 − G ( µ ρ ) + ( µρ φ ) 2 − G = µ 2µ r 2 r12 12 m 1 1 m r12 = r1 + r2 = r1 + r1 = mr1 ( + ) = r1 = ρ e quindi abbiamo per l’energia: M m M µ . mM 1 . 2 ( µ ρ ) + ( µρ φ ) 2 − G . Questa è l’espressione dell’energia di una particella H = 2µ ρ di coordinate ρ , φ . In conclusione, si può scrivere l’energia del sistema Sole-Terra come l’espressione dell’energia della sola Terra, purché le si attribuisca la massa ridotta e si consideri ρ come coordinata radiale. Vediamo ora quanto la massa della Terra differisce M 1 dalla massa ridotta: µ = m . Come si vede, c’è il fattore correttivo: =m m m+M 1+ M m 1 −6 ≅ 10 . Poiché µ ≅ m dalla relazione: mr1 = µρ si , circa pari ad 1 essendo: m M 1+ M deduce che ρ = r1 , con lo stesso ordine di approssimazione. Fig. 13 illustra la situazione. La stella ed il pianeta girano in senso opposto intorno al comune centro di massa. Dato il rapporto di massa così sfavorevole al pianeta, in pratica il centro di massa del sistema coincide col centro di massa della stella. Si deve però tener presente che in taluni casi (stelle doppie, di cui la più nota e brillante è Sirio) il secondo pianeta è in realtà una seconda stella con massa non troppo dissimile da quella della prima. In questo caso, il moto intorno al centro di massa è perfettamente rilevabile. Nel caso del sistema solare, Giove ha una massa inferiore a quella necessaria per trasformarsi in una stella. Se fosse stato un po’ più massiccio, avremmo avuto due soli, cioè una stella doppia e non saremmo qui a studiare fisica! C’è poi da dire che, se una stella ha dei pianeti che le orbitano intorno (pur essendo questi ultimi invisibili nel campo brillante della stella), tali pianeti possono essere rivelati proprio a partire dalle deformazioni del moto della stella da loro indotti. È proprio così che in questi anni si sono scoperti una quantità di “sistemi solari”, l’esistenza dei quali era stata ipotizzata già secoli fà da un filosofo come G. Bruno (1548-1600) nel suo La cena delle ceneri (1584). H = 26 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Terra r1 φ = “Anomalia vera” r2 Sole Baricentro Fig. 13: Moto Sole-Terra nel sistema del centro di massa. Per completezza, dimostriamo che anche il momento della quantità di moto è pari a quello della Terra purché si utilizzi la massa ridotta: . . . mr m2 2 . m + M µρ 2 . I = I1 + I 2 = mr12 φ + Mr22φɺ = mr12 φ + M ( 1 ) 2 φ = (m + )r1 φ = m( )( ) φ = M M M m . m+M 2 2 . µ ρ φ = µρ 2 φ mM Tutte le considerazioni fatte nel caso dell’energia possono essere applicate anche in questo caso. = 6. I moti centrali: trattazione classica Troviamo adesso la traiettoria di un punto materiale (sia esso la Terra, un elettrone…) utilizzando le quantità conservate: . A Ze 2 1 . 2 • L’energia: H = ( µ ρ ) + ( µρ φ ) 2 − , con A = GMm o A = 4πε 0 2µ ρ . • Il momento della quantità di moto: L = µρ 2 φ . Prendiamo L ≠ 0 , giacché, se L fosse nullo, allora l’angolo φ sarebbe costante e il moto avverrebbe lungo una retta. Questo significa utilizzare due equazioni differenziali del primo ordine al posto di una del secondo ordine, come sarebbe se tentassimo di risolvere questo problema usando il secondo principio della dinamica. Dalla conservazione del momento della quantità di moto: µρ 2 dφ L = ⇒ dt = dφ . dt µρ 2 L Dalla conservazione dell’energia, si ha: 27 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ . A 1 . 2 dρ ( µ ρ ) + ( µρ φ ) 2 − ⇒ = 2µ dt ρ H = trova l’equazione della traiettoria: dρ = dt L µρ Dove: x = − A L A + ( )2 1− x 2 µ L + 2A µρ , sostituendo dφ a dt , si 2H A L A 2 + ( )2 − ( − ) = µ µρ L L A + ( )2 1− x 2 µ L . Combinando le due equazioni di conservazione, si ha: = dt = µρ 2 L dφ ⇒ dφ = l’espressione di x e risolvendo per ρ si ha: A L A + ( )2 µ L ε= 2 2H dobbiamo allora risolvere l’integrale: φ = µρ µ ρ 2 A + ( )2 µ L 2H − L2 2H dρ L − L2 1 dρ 2 1 2 A 2H ( ) + 2− = . Continuando: 2 4 dφ µ ρ µρ µ ρ A A L2 2A + ( )2 − ( )2 − 2 2 + = µ µρ L L µ ρ L A 2 ( − ) µρ L A 2 + ( ) 1− = 2H A µ L + ( )2 L µ 2H µ 2H 2H = 2H ∫ dρ L µρ 2 − dx 1− x2 2H A + ( ) 2 1− x 2 µ L = − dx 1− x 2 = a cos( x) ⇒ x = cos φ . Sostituendo L2 L A A 2H L 2 µA = cos φ ⇒ = + ( ) + 1 cos φ ⇒ ρ = ; dove: µρ L L µ A 1 + ε cos φ H > 0 ⇒ ε > 1 ⇒ ρ → +∞ 2H L 2 ( ) + 1 è detta eccentricità. Pertanto sarà: H = 0 ⇒ ε = 1 ⇒ ρ → +∞ µ A H < 0 ⇒ ε < 1 ⇒ ρ < +∞ Nell’ultima colonna si vede se il raggio può divergere o no. Se può divergere, cioè se H è positiva o nulla, lo stato non è legato. 28 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Ma se l’energia è negativa, allora il raggio deve rimanere limitato e lo stato è legato. Se in particolare ε = 0 , allora ρ rimane costante e la traiettoria è un cerchio. Per i tre casi si ha: ε > 1 ⇒ iperbole ε = 1 ⇒ parabola . ε < 1 ⇒ ellisse Il cerchio è un caso particolare dell’ellisse. Per verificare questa asserzione, portiamoci in coordinate cartesiane e riduciamo l’equazione alla forma canonica: ρ + ερ cos φ = C = ρ + εx , dove: C = raggruppiamo: L2 . Quadriamo e µA ρ 2 = x 2 + y 2 = C 2 + ε 2 x 2 − 2 xεC ⇒ (1 − ε 2 ) x 2 + y 2 = C 2 − 2Cεx Per ottenere l’equazione della traiettoria in forma canonica, basta fare una traslazione dell’asse X, sostituendo: x = x − δ , si ottiene: (1 − ε 2 ) x 2 + y 2 = C 2 + 2Cεδ − δ 2 (1 − ε 2 ) + 2(δ (1 − ε 2 ) − Cε ) x . Cε ε ≠ 1 ⇒ δ = 1 − ε 2 . Sostituendo infatti si ha: Occorre adesso scegliere δ : ε = 1 ⇒ δ = − C 2 (1 − ε 2 ) x 2 + y 2 = C 2 + 2Cε Cε −( 1− ε 2 Cε 1− ε ) 2 (1 − ε 2 ) = 2 C2 1− ε 2 , nel caso in cui ε ≠ 1 e y 2 = C 2 + 2Cδ − 2Cx = −2Cx , nel caso in cui ε = 1 . In conclusione: Se ε < 1 , poniamo: a −2 = (1 − ε 2 ) 2 e b −2 = C2 1− ε 2 C2 e avremo: x2 a2 + y2 b2 = 1 che è un’ellisse. Se ε > 1 , poniamo: a −2 = (1 − ε 2 ) 2 C2 e b −2 = − 1− ε 2 C2 e avremo: x2 a2 − y2 b2 = 1 che è un’iperbole. Se ε = 1 , avremo: y 2 = −2Cx che è una parabola. In conclusione, si è partiti da un sistema in cui il centro di massa era nell’origine, ma ci siamo dovuti spostare di δ = εa per ottenere l’equazione in forma canonica. Un’ultima notazione per uso futuro. Consideriamo il caso di uno stato legato: 1 > ε = 1+ 2 HL2 µA 2 = 1− b2 a2 ⇒ 2(− H ) L2 µA 2 = b2 a2 ⇒ L ≤ Lmax = µA 2 2( − H ) Dunque per ogni valore dell’energia, c’è un massimo valore del momento della quantità di moto. 29 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ a2 − b2 . Per la Terra a ε = 0,016 . Per quanto riguarda le equazioni parametriche del moto, considerato che il moto non avviene con φɺ = cost (poiché è invece: ρ 2φɺ = cost ), per ottenerle occorre ricorrere Come si può dedurre dalle formule precedenti, per un’ellisse, ε = 2π (t − t 0 ) = M = anomalia media. T E è chiamata “anomalia eccentrica” ed è definita in fig. 16, T è il periodo di rivoluzione del pianeta (T=365,2564 giorni per la Terra e Tp=365,2564 (ap/aT)3/2giorni per gli altri pianeti (si veda la terza legge di Keplero più avanti), ε è l’eccentricità dell’orbita, t il tempo trascorso da un istante iniziale t0, con E(t0)=E0. Calcolata E=E(t) dall’equazione di Keplero, si possono calcolare le coordinate cartesiane x(t ) = ρ cos φ = a (cos E − ε ) utilizzando le formule: . y (t ) = ρsenφ = 1 − ε 2 a (senE ) all’equazione di Keplero: E − ε ⋅ senE = 100 2,0 ε=0,5 1,8 50 1,6 1,4 1,2 1,0 0,8 150 0,6 0,4 0,2 0,0 0 0,2 350 0,4 0,6 0,8 200 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 300 250 Fig. 14: Traiettoria in un moto centrale con ε = 0,5. 30 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 90 7 120 ε=1,5 60 6 5 4 150 30 3 2 1 0 180 0 1 X F 2 3 4 210 330 5 6 240 300 7 270 Fig. 15: Traiettoria in un moto centrale con ε = 1,5. ρ = a (1 − ε cos E ) Oppure quelle polari: 1 − ε 2 senE tgφ = cos E − ε 1 1 b Area (APS)=(Area(AOQ)-Area(OSQ))(OD/ON)= ( a ( aE ) − aεasenE ) = 2 2 a N Q D P a b=OD ρ F φ E O AreaOSQ= =1/2aεasenE εa S A 31 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Fig. 16: Coordinate del moto kepleriano. 1 2 πa 2 1 − ε 2 a ( E − εsenE ) 1 − ε 2 = (t − t 0 ) . L’ultima eguaglianza discende dalla 2 T seconda legge di Keplero, che asserisce la costanza della velocità areolare e dal fatto che: = πa 2 1 − ε 2 = Area dell’ellisse. 7. I moti centrali: trattazione relativistica La trattazione relativistica (nel senso della Relatività Ristretta) dei moti centrali non è troppo utile nel caso di moti celesti perché le velocità in gioco sono comunque piccole rispetto a quella della luce. Tuttavia, nella trattazione dell’atomo di idrogeno, A. Sommerfeld calcolò alcune correzioni alle formule di Bohr, rifacendo la trattazione del moto secondo la relatività ristretta. Cominciamo dall’energia totale relativistica del sistema che si scrive: H = m02 c 4 + c 2 ( p − e 2 e A) + eV ⇒ ( H − eV )2 = m02 c 4 + c 2 ( p − A)2 . c c Per l’atomo d’idrogeno: A = 0 , perché non c’è campo magnetico e quindi il potenziale vettore è nullo ovunque. Si ha: H 2 + e 2V 2 − 2 HeV = m02 c 4 + c 2 p 2 = m02 c 4 + c 2 ( pρ2 + L2 ρ2 ). Ora: dρ dϕ e L = m0γρ 2 e porremo, come al solito m = m0 γ . Facciamo il rapporto dt dt pρ 1 e 1 dρ delle precedenti due definizioni: . Inoltre V = − . Ritornando = 2 4 πε L d φ ρ 0 ρ all’espressione dell’energia: 2 1 e4 e2 1 d ρ 2 2 L2 2 L ( H 2 − m02 c 4 ) + + 2 H − c ( ) −c 2 = 0 ⇒ 4πε 0 ρ (4πε 0 ) 2 ρ 2 ρ 4 dϕ ρ pρ = m0γ ( H 2 − m02 c 4 ) ρ 4 + ( e4 (4πε 0 ) 2 − c 2 L2 ) ρ 2 + 2 e2 dρ H ρ 3 = c 2 L2 ( )2 ⇒ 4πε 0 dϕ e4 e2 2 2 − c L H 2 2 4 2 H − m0 c ) 2 (4πε 0 ) 4πε + 2 202 ρ ρ ( ρ + 2 2 2 2 c L c L c L 1 2 = dρ dϕ 32 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ H 2 − m02 c 4 a = c 2 L2 e2 1 2 AH †† Poniamo: b = 2 H = 2 2 >0 2 2 4 πε c L c L 0 2 1 e A2 d = ( )2 2 2 − 1 = 2 2 − 1 < 0 4πε 0 c L c L e2 , come prima. Notare che l’energia H è positiva! perché la massa 4πε 0 dell’elettrone è il termine dominante ed è positivo. Per conseguenza b è positivo. Si ha allora da calcolare l’integrale: dρ 1 b ρ + 2d , dove: ∆ = 4ad − b 2 < 0 ‡‡. Da arccos = ∫ dϕ ⇒ ϕ = ∫ 2 d − −∆ ρ ρ aρ + bρ + d con A = questa si deduce che: 2d ρ= = −b + −∆ cos( − d ϕ ) ε= −∆ = −b − ( 4ad − b 2 ) b 2 2 d / ( −b ) −∆ 1+ cos( − d ϕ ) −b = 1− 4ad b2 = k 1 + ε cos( − d ϕ ) , con: < 1 e k = 2d / (−b) > 0 . Questa è la stessa equazione del caso non relativistico a parte la presenza del fattore − d nell’ argomento del coseno. Tuttavia, questo fattore cambia notevolmente la soluzione perché facendo un giro completo intorno all’origine, cioè con il passaggio φ → φ + 2π , ρ non ritorna allo stesso valore: l’orbita non è chiusa! Per un elettrone che ruota intorno ad un protone però: d= e4 1 4πε 0 c L ε = 1− 2 2 4ad b2 − 1 = (1, 6 ⋅ 10−19 ) 4 = 1+ 4a b2 0,899 ⋅ 1010 (3 ⋅10 ) (1, 054 ⋅ 10−34 ) 2 = 1+ 8 2 a b2 = 1+ − 1 = −1 : le orbite rimangono ellissi! Infatti: H 2 − m02 c 4 H2 c2 L2 A2 . Ora l’energia è: H = m0 c 2 + ε in cui ε è la parte d’energia non pertinente alla massa e cioè la somma dell’energia cinetica e potenziale che è molto più piccola dell’energia della massa a riposo. †† Tutti i termini sono positivi tranne l’energia che è negativa per uno stato legato. La disuguaglianza ∆ = 4ad − b 2 < 0 si riduce facilmente all’altra: e 4 H 2 > (e 4 − (cL 4πε 0 ) 2 )( H 2 − m02 c 4 ) = e 4 H 2 − e 4 m02 c 4 − (cL 4πε 0 ) 2 )( H 2 − m02 c 4 ) che è ovviamente vera. ‡‡ 33 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Sommando, quadrando e trascurando i termini in ε 2 , si ottiene: sostituendo, si ha finalmente: ε = 1 + classico. Inoltre k = 2 / ( −b ) = 2 / 2 AH 2 2 c L della formula classica. il = 2 2 H 2 − m02 c 4 H2 c2 = 2ε e m0 2ε L2 , che è la formula già trovata per il caso m0 A2 k = 2d / (−b) termine 2 2 si riduce a 2 c L c L L = = = C , dove C è il termine a numeratore 2 AH Am0 Am0 c 90 3,5 120 60 3,0 2,5 150 2,0 30 Orbita 1,5 1,0 0,5 0,0 180 0 0,5 1,0 1,5 2,0 210 330 2,5 3,0 3,5 240 300 270 Fig. 17: Traiettoria dell’elettrone relativistico con eccentricità ε = 0,7 . Come si vede l’asse della pseudo ellisse ruota. Si vuole aggiungere che, se calcoliamo con la Relatività Generale la traiettoria di un pianeta intorno al Sole, malgrado le velocità siano basse rispetto a c, si trova lo stesso effetto di “precessione del perielio”, ma con un valore della precessione 6 volte più A2 A 2 ) . Il perielio si cL c L 2π raggiunge dunque non ogni volta che cambia ϕ di 2π , ma quando cambia di con f una variazione della posizione angolare del perielio di grande. Dobbiamo sostituire −d = 1 − 2 2 con f = 1 − 3( 34 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 2π 1− f GMm 2 GM 2 − 2π = 2π ≈ 6π ( ) = 6π ( ) a rivoluzione, ovvero 44” a secolo, nel f f cL crv caso di Mercurio, prendendo il periodo T = 88d = 7,6 ⋅ 10 6 s , la distanza media dal Sole pari a r = 58 ⋅10 6 km , la sua velocità orbitale pari a v = 0, 48km / s . Questo è un fatto non prevedibile con la teoria newtoniana della gravitazione che in questo caso fallisce dimostrando la superiorità della Relatività Generale. La precessione del perielio è molto piccola e può essere verificata sperimentalmente solo per Mercurio, essendo questo il pianeta più vicino al Sole. Nel caso della relatività ristretta, il fattore 6 non c’è. 8. Il sistema solare ed il cosmo Secondo la dottrina Copernicana, pubblicata da Nicola Copernico (1473-1543) nel De Rivolutionibus Orbium Coelestium (1543), il Sole è al centro del sistema solare ed i pianeti gli girano intorno. Come è noto questa fu una rivoluzione dopo secoli durante i quali era stato considerato valido il sistema geocentrico, anche se in verità, già nell’antica Grecia, c’era chi, come Aristarco da Samo (310-230 a.C.), aveva sostenuto il sistema eliocentrico. Galilei fece molte scoperte che sostennero il sistema copernicano, mettendo in evidenza che, al contrario di quanto sostenuto dagli aristotelici, alcuni corpi celesti non girano intorno alla Terra, ma intorno ad un diverso corpo celeste (Giove ed i suoi satelliti) e che Venere ha delle fasi simili a quelle della Luna, causate dal suo moto di rivoluzione attorno al Sole. Non riuscì però a dare la prova ultima (che fu cercata nel fenomeno delle maree) della rotazione della Terra intorno al Sole. Tale prova arrivò poi dall’osservazione del fenomeno dell’aberrazione astronomica. La grande quantità di dati accumulata dall’astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601)∗ diede a J. Keplero (1571-1630), che di Tycho era stato allievo, la possibilità di specificare le leggi del moto dei pianeti. In effetti, Keplero formulò tre leggi fondamentali: 1. 2. 3. Le orbite dei pianeti sono ellissi di cui il Sole è uno dei due fuochi. Le velocità areolari dei pianeti sono costanti. I quadrati dei periodi sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle orbite ellittiche. Fu compito di I. Newton provare che la forza esercitata dal Sole sui pianeti è la causa del moto circolare di questi. Abbiamo visto, infatti, come dalla sua legge dell’inverso del quadrato della distanza, le orbite dei pianeti risultino appunto delle ellissi. Dunque la prima legge di Keplero è stata sufficientemente discussa. ∗ In effetti, Tycho fu il primo grande astronomo moderno: non si erano presi dati astronomici per 1500 anni circa. Fu certamente il lavoro sperimentale di Tycho a mettere in moto la rivoluzione copernicana, anche se in verità Tycho propose un suo sistema misto parte geocentrico, parte eliocentrico. 35 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ La seconda legge di Keplero stabilisce che la velocità areolare è costante; questo vuol dire . . che: ρ 2 φ = cost , essendo appunto ρ 2 φ la velocità areolare, cioè l’area spazzata dal raggio vettore nell’unità di tempo. Moltiplicando per la massa del pianeta o meglio la massa . ridotta, si ottiene: µρ 2 φɺ = cost , che esprime la conservazione del momento della quantità di moto. Il terzo punto può essere ricavato facilmente per un moto circolare: m v2 ρ =G mM ρ 2 ⇒ mv 2 = G mM ρ . ρ3 ρ3 2πρ = 2π ⇒ T 2 = 4π 2 . Per le v GM GM orbite ellittiche la dimostrazione è un po’ più lunga. Usando la conservazione del momento della quantità di moto, abbiamo: D’altra parte, il periodo di rotazione è: T = dϕ µ L = µρ ⇒ ∫ dt = T = dt L 0 T 2 2π µ 2π ∫ ρ dϕ = L ∫ 2 0 0 C2 µ 2π C 2 dϕ = ⇒ (1 + ε cos ϕ )2 L (1 − ε 2 )3/ 2 2 µ 4π C µ 2 µ 2 3 2 µ 2 L T 2 = ( )2 4 ( ) Ca 4 ( ) a 3 = 4π 2 a 3 = π = π 2 3 L (1 − ε ) L L µA A 2 4 Comunque appare chiaro che questa legge è una ulteriore prova diretta della legge di Newton: è la dipendenza da ρ −2 che rende questa legge possibile. Per la cronaca, Newton ricavò la legge della gravitazione universale dalle tre leggi di Keplero attraverso una serie di dimostrazioni geometriche. Fece cioè il cammino inverso di quello fatto in questo paragrafo. E’ interessante anche notare che la legge della gravitazione era, per così dire, nell’aria ai tempi di Newton. Affermazioni parziali erano già state fatte da Keplero, da Hooke, da Halley. Solo Newton però mise insieme una teoria completa nel suo Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687). In effetti Newton vedeva l’intero cosmo come un sistema essenzialmente immutabile. Una serie di corpi immobili in uno spazio ed in un tempo assoluti: “un’isola finita nell’oceano infinito dello spazio”∗. Tuttavia ci fu chi (R. Bentley) si rese conto che il cosmo di Newton, finito o infinito che fosse, non poteva essere immutabile: soggetti all’attrazione ∗ A. Einstein. “Relatività: esposizione divulgativa”, pag. 123. Universale Bollati Boringhieri. Nel formulare la gravitazione, Einstein introdusse un campo (repulsivo) ≈ Λr , una sorta di antigravità, allo scopo di rendere l’universo stabile. Dopo la scoperta di Hubble, egli dichiarò che questo era stato il suo più grande errore. A tutt’oggi non è affatto chiaro che questa forza sia da escludere, giacché può eliminare delle discrepanze tra le diverse stime della vita dell'universo e spiegare altri punti (“universi inflazionari”). 36 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ gravitazionale, i corpi celesti, supposti inizialmente fermi, avrebbero finito per ricadere l’un sull’altro. Dunque, doveva essere necessariamente un cosmo in evoluzione. Così si dimostrò all’inizio del ‘900. E. Hubble (1889-1953), utilizzando il nuovo telescopio di Monte Wilson in California, prima trovò che le ‘nebulose’ erano in effetti galassie contenenti milioni di stelle e poi dimostrò che esse si allontanavano dalla Terra in ogni direzione. Nel 1919, Hubble dimostrò che esiste una relazione di proporzionalità diretta tra la distanza di una galassia dalla Terra e la sua velocità di recessione. Se questo è vero, allora bisogna pensare che una galassia è più lontana da noi solo perché si muove più velocemente. Andando dunque all’indietro nel tempo deve essere esistito un momento al quale tutte le galassie erano sovrapposte. Per evitare di commettere un nuovo errore di vanità, mettendoci al centro dell’universo, bisogna credere che tutto si allontani da tutto, ovvero che ci sia un’espansione generale dell’universo. Questo vuol dire che da ogni punto dell’universo si deve vedere l’espansione nello stesso modo. Immaginiamo infatti di essere sulla Terra: la velocità delle galassie deve apparire come in fig. 18. Terra Fig. 18: Velocità di espansione delle galassie rispetto alla Terra. Se passassimo al riferimento della prima galassia a destra, dovremmo invece vedere la situazione rappresentata in fig. 19. Fig. 19: Velocità di espansione delle galassie rispetto alla prima galassia a destra. Da qualunque punto, insomma, vedremo le altre galassie recedere dalla nostra, con velocità proporzionale alla loro distanza. Immaginiamo allora il cosmo* come una serie di corpi che si muovono in uno spazio assoluto ed in un tempo altrettanto assoluto. Si consideri una sfera che al tempo attuale ha raggio R, composta da materia che al tempo attuale ha densità ρ0 , avente una massa totale M. Si abbia poi una galassia di massa m localizzata sulla superficie della sfera. L’energia al * Una buona trattazione si trova in: D. W. Sciama, Cosmologia Moderna, Oscar saggi Mondatori, pag. 117, nonché in: S. Weinberg: I primi tre minuti, Oscar Mondatori. 37 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ . Mm 1 4 1 + m R 2 = m( −G πρ0 + H 02 ) R 2 , dove R 2 3 2 si è indicato con H 0 la costante di Hubble (al momento attuale), che dà la proporzionalità tra distanza e velocità: Rɺ = H R , tempo attuale della galassia sarà: E = −G H 0 = (4, 32 10 s ) . 17 −1 0 . = (13, 7 109 anni ) −1 . Ad un raggio qualunque r, l’energia è: 4 1 4 R 1 rɺ 2 2 4 1 1 da E = m ( −G πρ0 + H 02 ) R 2 = m ( −G πρ0 + ) R = m ( −G πρ0 + ( )2 ) R 2 2 3 2 3 r 2R 3 a 2 dt avendo definito come: a = r / R , il cosiddetto “fattore di scala”. Se si deriva questa 4 1 equazione, si ottiene: (G πρ0 2 + aɺɺ)aɺ = 0 . Notiamo che tale eguaglianza§§ ci dice che 3 a un universo statico non può esistere nell’ambito della meccanica classica. Un universo statico è definito dalla condizione aɺ = 0 , ma se aɺ ≠ 0 , nell’equazione precedente per un solo istante, l’accelerazione sarà negativa (a meno che non sia ρ 0 = 0 ) e impedirà che aɺ = 0 per sempre: l’equilibrio è allora instabile e dunque impossibile. Possiamo scrivere 4 r3 4 questa equazione nella forma: G πρ 2 + rɺɺ = 0 ⇒ rɺɺ = −G πρ ( t )r ( t ) . 3 3 r Se si eliminano m ed R2 ad entrambi i membri, si separano le variabili e si integra, si ottiene: 1 t= ∫ da . Osservando questa espressione, ci si può rendere 8 8 1 ( −G πρ0 + H 02 ) + G πρ0 3 3 a conto che il valore di t, cioè del tempo impiegato ad arrivare al raggio R attuale, non dipende da R: le galassie erano quindi tutte sovrapposte al tempo zero! Calcoliamo adesso l’età 8 dell’universo, cioè t. Poniamo: A = −G πρ0 R + H 02 . Avremo: A = 0 , cioè E = 0 , se: 3 2 3H0 8π G ρ 0 ∗ ρ0 = ρc = = 2 ⋅ 10−26 kg / m 3 . Poniamo allora: Ω 0 = ρ 0 / ρ c = e 8π G 3 H 02 0 sostituiamo: t = 1 H0 1 ∫ 0 da 1 (1 − Ω 0 ) + Ω 0 a = 13, 7 ⋅ 109 ( anni ) ⋅ F *** §§ ∗ Per l’uso di tale equazione, vedere il primo capitolo del prossimo corso. Poiché la massa di un protone è m p = 1,7 ⋅10 −27 kg , ρ c corrisponde a una decina di protoni per m 3 . *** Se si inserisce una forza repulsiva del tipo: F = Λmr , come introdotta da Einstein, che dà luogo ad un ulteriore termine d’energia U = − 12 mΛr 2 , questa equazione diventa: 38 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ In altri termini, l’età dell’universo è 13,7 miliardi di anni moltiplicato per un fattore 1 numerico F ( Ω 0 ) = da ∫ che dipende da quanto la densità dell’universo 1 a differisce da quella che dovrebbe avere se la sua energia totale fosse nulla. Questo fattore non differisce molto da uno. Ad esempio, per Ω0 = 1 , F = 2 / 3 . Vedere appendice 1 per (1 − Ω 0 ) + Ω 0 0 il caso Ω0 < 1 , cioè E>0. Evidentemente la velocità della galassia decresce col tempo: da 1 = H 0 R (1 − Ω 0 ) + Ω 0 , giacché a aumenta. Si noti che: dt a v g = H 0 R ad a = 1 , come deve essere. vg = R • • • • C’è una singolarità ad a = 0 , cioè al momento del “Big Bang” come è stato chiamato dall’astronomo F. Hoyle questo istante iniziale. Per a, t → +∞ , v g ,∞ Ω 0 < 1 o E > 0: v g , ∞ = H 0 R 1 − Ω 0 = H 0 R 1 − Ω0 . Cioé: Ω 0 = 1 o E = 0: v g , ∞ = 0 Ω 0 > 1 o E < 0 : v g , ∞ immaginaria a Se Ω0 < 1 , cioè E>0, si ha: ∫ 0 a da = H 0 t . Per lo svolgimento di questo (1 − Ω 0 )a + Ω 0 calcolo, si veda l’appendice 1 di questo capitolo. a t= 1 H 02 −Λ ∫ 0 da 1 − Ω0 + Ω0 a + Λ H 02 −Λ , che offre un parametro in più per il calcolo della vita dell’Universo. 39 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ • Se Ω0 = 1 , cioè E = 0 , dall’equazione: H 0 (1 − Ω 0 ) + Ω 0 2 a(t ) = 2 3 3 3 H 02 ( H 0 Ω 0 ) = H 0 t 3 = 6π G ρ0 t 3 , giacché Ω 0 = 1 = 2 2 8π G ρ 0 aɺ (t ) 2 1 ††† .: H (t ) = = a (t ) 3 t Ω( t ) = ρ ( t ) / ρ c = • 1 da ricaviamo che: = a dt Da cui: 3H 2 t −2 ; e ad ogni istante, avremo: ρc = = 8π G 6π G 3M 4π R 3 a 3 6π Gt 2 = 3M 4πρ0 R 3 =1 Se Ω0 >1, cioè E < 0 , evidentemente a non può divergere. Raggiunta una massima Ω0 Ω0 ) la velocità si annulla ed il cosmo ⇒ Rmax = R Ω0 − 1 Ω0 − 1 sé stesso (“Big Crunch”). Riscriviamo l’equazione espansione ( amax = collassa su Ω da = H 0 (1 − Ω 0 ) + 0 dt a nella forma: da = dz 1 2B − a , con dz = H 0 ( Ω0 − 1) 2 dt , a Ω0 . Riconosciamo questa equazione come quella Ω0 − 1 che descrive una cicloide (par. 6, Cap. 2). Poiché la cicloide ha periodo: variabile adimensionale e 2 B = πΩ 0 ∆z = 2π B = 1 − 1) 2 = (Ω0 Ω0 − 1 l’intervallo di tempo πΩ 0 T= ≈ 47,1 ⋅ 109 3 H 0 (Ω0 − 1) 2 H 0T , ( H 0 è il valore di H = H (t ) al tempo attuale). T Ω0 (Ω0 tra 3 − 1) 2 Big Bang e Big Crunch, sarà; anni 2 • Per a << Ω0 , cioè per t piccolo, si ha: 2 = 6π G ρ 0 t 3 , H ( t ) = Ω0 3 da , a ( t ) = ( H 0 Ω 0 )t 3 = = H0 2 dt a aɺ ( t ) 2 t −2 = , ρc = e a ( t ) 3t 6π G 1 è quello che si avrebbe, se la velocità di recessione fosse t 1 costante. In tal caso infatti: r (t ) = rɺ(t ) t ††† Si noti che: H (t ) = 40 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Ω( t ) = ρ ( t ) / ρc = • 3M 4π R 6π G ρ 0 t 3 2 6π Gt 2 = 3M 4π R 3 ρ0 =1 aɺ ( t ) 1 3t −2 da = , ρc = = H 0 1 − Ω 0 , a = H 0 1 − Ω 0 t , H (t ) = a(t ) t 8π G dt 3M 8 M 8π G Ω( t ) = ρ ( t ) / ρ c = π Gt 2 = 3 3 3 3 4π R ( H 0 1 − Ω 0 t ) 4π R ( H 0 1 − Ω0 )3 t Per a >> Ω0 , In conclusione, i valori di Ω0 , ρ0 , ρ c e/o di E sono importantissimi per capire il destino dell’universo. E' in corso una ricerca per vedere quanto la densità dell’universo differisca da quella critica. Poiché la massa necessaria non sembra potersi attribuire alla materia visibile - quella stellare - è in corso anche la ricerca della cosiddetta materia “oscura”, cioè non rivelabile attraverso la sua emissione di luce. Allo stato attuale, si ha il valore sperimentale: Ω = 1,02 ± 0,02 , includendo i valori della materia oscura, stimata dai moti rotatori delle galassie. Si deve infine aggiungere che l’equazione: . 4 R 1 r2 2 E = m(−G πρ + ) R , può essere riscritta in un’altra forma, considerando 3 r 2 R2 ρ = ρ (t ) , invece della densità attuale: r3 1 r 3 R 3 1 rɺ 2 2 4 4 πρ (t ) + rɺ 2 ) = m(−G πρ (t ) + R )= 3 r 2 3 2 R2 rR 3 . 4 r 3 R 1 rɺ 2 4 1 2 2 2 2 = mR (−G πρ (t ) 3 + ) = mR (−G πρa + aɺ ) 3 2 R2 3 2 rR E = m(−G 2E 8 Questa equazione, riscritta nella forma: aɺ 2 + k = G πρa 2 , con k = − = H 02 (1 − Ω0 ) 2 3 mR , è nota in relatività generale come equazione di Friedmann. Calcoli di questo tipo, comunque, devono essere affrontati correttamente utilizzando la relatività generale, che ha, tra l’altro, un punto di vista diverso. Noi pensiamo al moto di galassie che si allontanano nello spazio assoluto vuoto, come insegnato da Newton. Per la Relatività Generale le galassie stanno ferme, ma lo spazio tra le galassie aumenta a causa della variazione del tensore metrico. L’analogia che spesso viene fatta è quella di due punti fermi sulla superficie di un palloncino di gomma. Se gonfiamo il palloncino, la distanza tra i punti aumenta perché il pallone (lo spazio) cresce di dimensioni. Se ne deduce che prima del Big Bang lo spazio e il tempo non esistevano. Lo spostamento verso il rosso della luce che ci arriva dalle galassie è prodotto dall’aumento del fattore di scala durante l’attraversamento dello spazio intergalattico e non dall’effetto Doppler, come in fisica classica. Il fattore k, che appare nella formula di Friedmann appena calcolata, rappresenta la curvatura dello spazio: per Ω0 = 1 , k = 0 , la curvatura è zero e lo spazio è euclideo; per Ω0 ≠ 1 , lo spazio non è euclideo. Nelle stesse ipotesi delle dispense e con le stesse notazioni, utilizziamo il secondo principio della dinamica: 41 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ d 2r = −G Mm d 2r 1 4 4 d dx d = −G 2 ρ (t ) πr 3 = −Gρ (t ) πr ⇒ ( ) = ( H (t ) x(t )) = 3 3 dt dt dt dt 2 r2 dt 2 r dH dx dH 4 dH 4 =x +H =x + xH 2 = − πGρ (t ) x ⇒ + H 2 + πGρ (t ) = 0 dt dt dt 3 dt 3 M dρ M dr dρ ⇒ = −3 ⇒ = −3ρ (t ) H (t ) . Per la densità: ρ (t ) = 4 3 4 4 dt dt dt πr πr 3 3 Le due equazioni comportano che, se ρ e H sono solo funzione di t, ma non dello spazio all’istante iniziale, esse rimangono funzione solo del tempo ad ogni istante futuro. In altre parole: se lo spazio è omogeneo all’istante iniziale, esso rimane tale nel futuro. m ⇒ ρ 3H 2 , abbiamo: Ω = 8πG . 8πG 3H 2 2 in molti casi (esercizio 24, pag. 120 degli esercizi), ne Poiché abbiamo visto che: H = 3t t segue che: ρ = ρ 0 ( 0 ) 2 . Si può controllare che queste funzioni sono soluzione delle due t equazioni precedenti. Per Ω , abbiamo: dρ 1 dρ dΩ ρ dρ c dΩ Ω 3H dH = −3ρ (t ) H (t ) ⇒ = + = +2 = −3ΩH ⇒ dt dt ρ c2 dt dt ρ c 8πG dt ρ c dt Poiché ρ c = dΩ − Ω 2 H + ΩH = 0 dt Se Ω = 1 , la precedente si riduce ad un’identità. Con un calcolo esplicito: t ρ ρc ρ0 ρ Ω = 8πG = = 1 = Ω0 . , se ρ 0 = ρ c , Ω = 8πG c 9( 0 ) 2 t 2 = 8πG 2 2 2 3⋅ 4 t 3H 3⋅ ( )2 3⋅ H 0 3t 0 8πG ⇒ In parole, se Ω = 1 ovvero ρ = ρ c all’istante t 0 , allora Ω = 1 e ρ = ρ c ad ogni altro istante. 9. L’esperimento di Rutherford Dopo la scoperta del protone, dell’elettrone e, più tardi, del neutrone, essendo ormai l’esistenza degli atomi ben più che un’ipotesi sostenuta da chimici e fisici, occorreva capire come queste particelle potessero costituire un sistema stabile. L’ipotesi che prevalse fu quella di un atomo nucleare con una pesante carica centrale positiva (il nucleo) ed un insieme di elettroni intorno il cui compito era di rendere neutro l’atomo e dargli quelle capacità di reagire che i chimici avevano scoperto e studiato. Un disegno dell’apparato con il quale E. Rutherford e collaboratori eseguirono l’esperimento che dimostrò l’esistenza del nucleo atomico è mostrato in fig. 20. 42 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Scintillatore Microscopio Sorgente di Po Base Lastrina di Au Alla pompa da vuoto . Fig. 20: Apparato utilizzato per l’esperimento di Rutherford Ricordiamo che le particelle alfa (α) sono particelle formate da un nucleo di He, hanno cioè Z=2 e A=4. L’oro ha Z=79 e A=197,2. Le particelle alfa sono emesse da molti nuclei, ed in particolare da nuclei pesanti ad alta energia, generalmente maggiore di 1MeV. Si tenga presente che accelerare queste particelle a vari MeV significherebbe disporre di una tecnica per produrre differenze di potenziale di vari milioni di Volt. Nell’apparato di Rutherford le particelle α (ad una energia di 5,5MeV) vengono emesse da 84 una sorgente di Polonio radioattivo ( 210 Po , con τ = 138d = 11, 6 ⋅ 106 s ), sono collimate e colpiscono il sottilissimo (0,5µm) foglio di oro e vengono deviate. Alcune finiscono sullo scintillatore e vengono viste dall’osservatore attraverso il microscopio. Tutta la struttura, incluso il microscopio può girare sulla base ed essere disposta ad un angolo θ rispetto alla direzione del fascetto delle particelle α che non vengono diffuse. Le particelle α provenienti dalla sorgente di Po possono sfiorare un nucleo, passare cioè nello spazio compreso tra il nucleo e gli elettroni con un certo “parametro di impatto” b (si veda la fig. 21). Essendo cariche positivamente, deviano e colpiscono lo scintillatore che ne misura “l’angolo di diffusione” θ. La misura consiste nello stabilire con quale frequenza le particelle vengono deviate con un angolo compreso tra θ e θ + dθ. Si posiziona il microscopio all’angolo θ e si contano le particelle per un tempo definito – corrispondente ad un flusso fisso di α entranti– poi si cambia l’angolo e si ricomincia, ecc.. 43 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Scintillatore Microscopio θ b Nucleo di Au Fig. 21: Schema dell’esperimento di Rutherford. Alla fine si ottiene un istogramma come quello rappresentato in fig. 22. θ Fig. 22: Numero di particelle α contate in ogni intervallino di θ. L’altezza di ogni barra rappresenta il numero di particelle α contate per ogni intervallino di θ. La curva sovrapposta rappresenta la teoria. Dal punto di vista teorico, abbiamo a che fare con un problema caratterizzato da forze p2 delle 2m particelle α e quindi l’impulso p (la massa è quella di 2 protoni e 2 neutroni). La direzione del moto delle α è del resto nota, perché il fascio è stato collimato. Dato il parametro di impatto b sarà noto anche il momento della quantità di moto L = bp ed il problema sarà meccanicamente definito. Tuttavia lanciando particelle cariche contro il bersaglio non si può conoscere quale sarà il parametro d’impatto b in ciascuna collisione. Tuttavia, si può: centrali. Le condizioni iniziali sono definite poiché è nota l’energia: T = 44 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 1. 2. 3. calcolare la probabilità di avere una collisione con un certo parametro di impatto b. correlare il parametro d’impatto all’angolo di diffusione. Si può infatti calcolare la funzione: b = b(θ ) , utilizzando a questo scopo la teoria dei moti nei campi di forze centrali. calcolare la probabilità di avere collisioni con un angolo di diffusione compreso tra θ e θ + d θ. Cominciamo dal punto 1. Esaminiamo l’esperimento e troviamo come suo primo elemento il fascio di particelle α che, uscendo da un lungo foro praticato nel pozzetto di piombo che contiene la sorgente, avrà approssimativamente una sezione traversa circolare di area S e la forma di un cilindro. Assumiamo, per semplicità, che la distribuzione delle particelle sia uniforme entro il fascio. Tutte le interazioni che occorrono sul foglio d’oro devono avvenire all’interno di questa superficie S. Domandiamoci quanti nuclei ci sono per unità di superficie nel foglio d’oro. Dalla definizione di numero di Avogadro, sappiamo che per A grammi di oro ci sono N A = 6, 03 ⋅ 1023 atomi o nuclei. A grammi di oro occupano un volume: V = A ρ e quindi nel volume V ' = St , dove t è lo spessore del foglio, ci saranno: V' St N t = N Aρ = N Aρ nuclei ovvero: nuclei per unità di superficie. V A S A Supponiamo adesso che i nuclei abbiano un raggio r ≈ 10 −13 m , dunque che siano molto più piccoli degli atomi e che all’interno del volume St i nuclei quindi non si facciano ombra. Lo studioso lettore può fare il calcolo del valore di N per unità di superficie, utilizzando la formula precedente e moltiplicando per l’area geometrica del nucleo. Otterrà così il rapporto tra S e l’area complessiva coperta dai nuclei che risulterà numericamente trascurabile. Questo rapporto è tuttavia anche la probabilità che due nuclei si facciano ombra. Con la stessa logica si può calcolare la probabilità di avere collisioni a parametri d’impatto minori o uguali ad un certo valore b0. Basta moltiplicare l’area πb02 per il numero di nuclei per unità di superficie e si otterrà l’area da colpire diviso l’area totale, cioè la probabilità che si verifichi una collisione con parametro di impatto minore o uguale a b0. S’intende che, se prendiamo un b0 troppo grande, rischiamo che le varie areole si facciano ombra; dunque il discorso sarà limitato a parametri piccoli rispetto, per esempio, ai raggi atomici a ≈ 10 −10 m . In conclusione, la probabilità P di avere una collisione ad un certo parametro di impatto t b0 sarà: P = N A ρ πb02 . Se il fascio contiene un flusso φ di M particelle per unità di A t tempo, allora avremo: K = φP = φN A ρ πb02 collisioni per unità di tempo. Possiamo A raffinare adesso la nostra domanda, chiedendoci quante collisioni avremo nell’unità di tempo, con parametro di impatto compreso tra b0 e b0+db0. È sufficiente differenziare rispetto a b0 la formula precedente si ottiene: N = NA 45 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ t 2πb0 db0 . Se si conosce la dipendenza b = b(θ ) , si può sostituire e si avrà: A dK t db = φN A ρ 2πb , che può essere riscritta nella forma più consueta: dθ A dθ dK dK t 2π bdb t dσ , dove dΩ è l’angolo solido = = ϕ NAρ = ϕ N Aρ d Ω 2π senθ dθ A 2π senθ dθ A dΩ infinitesimo individuato dalla direzione θ . Il numero di collisioni con direzione d’uscita in t dΩ dipende dalle condizioni sperimentali: φN A ρ . Il flusso può facilmente essere A misurato, per esempio, togliendo il foglio di oro e misurando con lo scintillatore il numero di scintille che si vedono attraverso il microscopio (posizionato opportunamente!) per unità dσ b db di tempo. Infine, la quantità: = , chiamata “sezione d’urto differenziale”, dΩ sen (θ ) dθ con le dimensioni di un’area, va calcolata dalla dinamica del processo. La sezione d’urto qui discussa viene anche qualificata come “elastica”, perché la particella viene deviata conservando la sua energia, come, per esempio, nella collisione elastica di una palla contro un muro. Passiamo allora al punto 2, calcolando la funzione: b = b(θ ) . Le condizioni iniziali danno per il modulo del momento della quantità di moto e l’energia: L = mbv∞ dove v ∞ è la velocità della particella molto lontano dal nucleo. L’angolo φ ∞ 1 2 H = 2 mv∞ (si veda fig. 23) è, in realtà, il supplementare dell’angolo marcato φ ∞ in fig. 22, che è il dK = φN A ρ L2 µA valore di φ nell’equazione della traiettoria: ρ = , quando ρ → ∞ . Ponendo 1 + ε cos φ 1 1 ρ = ∞ , si ha: cos φ = − e quindi cos φ ∞ = . L’angolo di diffusione è collegato a φ ∞ ε ε dalla formula: π θ θ 1 θ θ 1 1 1 θ = π − 2φ∞ ⇒ φ∞ = − = arcos ⇒ sen = ⇒ cos = 1 − 2 ⇒ tg = 2 2 2 ε 2 2 ε ε ε 2 −1 Dall’espressione dell’eccentricità: ε = tg θ 2 = 1 ε −1 2 = A m Zze 2 = L 2H 4πε 0 mbv ∞ 2H L 2 ( ) + 1 , ( µ ≅ m) sostituendo, si ha: µ A m mv∞2 = Zze 2 4πε 0 mbv∞2 ∗ zZe 2 con 4πε 0 GMm . Facendolo, troviamo che, per una cometa di massa m, l’angolo di diffusione è: ∗ Teniamo presente che, nel caso di forze gravitazionali, dobbiamo sostituire 46 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Infine si ha: b(θ ) = Zze 2 θ 2, 27 ⋅ 10−14 m ctg . Per l’oro: b = . θ 8πε 0 H 2 tan 2 Y b X Ze Fig. 23: Diffusione delle particelle α. Si facciano le sostituzioni: dσ 1 db 1 Zze 2 2 = b = ( ) dΩ senθ dθ 4 8πε 0 H cos 1 sen θ cos θ sen θ 2 θ 1 sen 2 θ = 1 Zze 2 2 ( ) 4 8πε 0 H 1 sen 4 θ e si 2 2 2 2 2 avrà la sezione d’urto‡‡‡. Sostituendola nella formula precedente, si otterrà il numero di collisioni per unità di tempo da confrontare con l’esperimento, come si è detto all’inizio. Sostituendo i valori numerici dell’energia della particella α e dell’oro si avrà: dσ 1 = 1, 29 ⋅10−28 m 2 θ dΩ sen 4 2 θ = GM che risulta, come fu notato già nel 1801 da Soldman, indipendente dalla massa bv ∞2 della cometa. Ciò implica che la deviazione di una particella di luce newtoniana, GM S indipendentemente dalla sua massa, è data da: θ = 2 = 0,87" . Lo stesso effetto è RS c 2 previsto dalla Relatività Generale, ma con un valore doppio della deviazione. L'esperimento condotto da A. S. Eddington (1882-1944) durante un’eclissi di Sole nel 1919 confermò il risultato previsto dalla relatività generale. tg 2 47 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Notiamo che la formula diverge per θ → 0 . Questo non ha senso: non si possono avere infinite collisioni da un fascio che contiene un numero finito di particelle. Il fatto è che θ → 0 implica b → +∞ . D’altra parte, si è già sottolineato che b deve risultare minore di un qualche valore di taglio superiore, perché si possano effettivamente usare le formule applicate. Per bmax ≈ 10−10 m , si ha: tan θmin 2 ≈ θmin 2 = 2, 27 ⋅ 10−14 m = 2, 27 ⋅ 10 −4 ; bmax Con la stessa logica, ci si può chiedere che succede nella formula b = b(θ ) quando θ → π , cioè quando la particella torna indietro. Evidentemente il parametro d’impatto deve essere nullo perché ciò accada, se si assume che il nucleo sia puntiforme. Il nucleo però avrà comunque un raggio non nullo e tutte le collisioni entro il raggio nucleare comporteranno il rinculo della particella. Questo fatto costituisce una bellissima verifica del modello nucleare, permette anche di misurare il raggio nucleare ( Rn ≈ 10 −13 m ) e ci convince che l’ipotesi iniziale, che quest’ultimo sia molto piccolo, è corretta. E’ semplice calcolare la sezione d’urto totale della diffusione di Rutherford: dΩ dΩ =1,29 ⋅10 2 fm 2 σ = 1,29 ⋅10 − 24 cm 2 , dove 1fm=10-13m (1fm=1Fermi); 4 θ 4 θ Ω sen Ω sen 2 2 definiamo anche: 1barn=10-24cm2. ∫ σ = 1, 29 ⋅ 10−28 m 2 π ∫ θ min π ∫ 2π sen 4θ senθ dθ = 2π ⋅ 1, 29 ⋅ 10−28 2 θ π ∫ θ min 4 sen 4θ θ θ θ sen cos d ( ) = 2 2 2 2 π d ( sen ) 2 = −4π ⋅ 1, 29 ⋅ 10−28 sen −2 θ = 2θ 3θ min θmin sen 2 1 4π ⋅ 1, 29 ⋅ 10 −28 4π ⋅ 1, 29 ⋅ 10−28 = 4π ⋅ 1, 29 ⋅ 10 −28 ( − 1) = = = θ θ θ sen 2 min tg 2 min ( min )2 2 2 2 = 8π ⋅ 1, 29 ⋅ 10 −28 = 4π ⋅ 1, 29 ⋅ 10−28 −6 ∫ = 3,15 ⋅ 10 −20 m 2 (0, 227) ⋅ 10 Se vogliamo calcolare il numero totale di particelle alfa diffuse ogni secondo da una lamina d’oro da t=0,5µm di spessore e densità ρ, se si ha un flusso di φ alfa al secondo, dobbiamo moltiplicare la sezione d’urto totale per il fattore: N A ρ t 6, 03 ⋅ 1023 ⋅ 19, 3 ⋅ 10 3 kg / m 3 ⋅ 0, 5 ⋅ 10 −6 m = = 2, 95 ⋅ 1022 m −2 e per φ . A 0,197 kg La sezione d’urto totale si otterrà integrando quella differenziale fino ad un angolo minimo che dipende dalla geometria dell’esperimento. Supponiamo per esempio che nell’esperimento di Rutherford l’angolo minimo fosse stato di 5° , come indicato dai dati 2 menzionati più in basso, ovvero: θmin = 5° = 87 ⋅ 10 −3 rad = 87 mrad , la sezione d’urto 48 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ totale diventerebbe: σ = 8, 38 ⋅ 10 −25 m 2 . Il numero di collisioni per unità di tempo sarebbe allora: N = 0, 025φ . Presentiamo in basso un grafico dei dati ottenuti da Geiger e Marsden (da I. Kaplan, Nuclear physics, Addison and Wesley, p.59). Sui dati rappresentati dai quadratini neri, è θ stata sovrapposta la curva 1 / sen 4 ( ) , che come si vede si adatta molto bene ai dati. 2 30000 Dati di Geiger e Marsden 20000 15000 10000 4 A/sen (θ/2) (eventi in un ∆t) 25000 5000 0 20 40 60 80 100 120 140 160 angolo di scattering (gradi) Per quanto riguarda il calcolo di φ , occorre conoscere l’intensità I della sorgente cioè il numero di decadimenti totali al s e poi, di questi decadimenti, prendere la frazione che viene lasciata passare dal collimatore, frazione data dal rapporto tra l’angolo solido sotteso dΩ dal foro d’uscita e l’angolo solido totale: φ = I . L’intensità della sorgente si può 4π calcolare conoscendo la massa m di materiale radioattivo, che ci dà immediatamente il m e la vita media τ che ci dà il numero di numero di atomi nella sorgente: N 0 = N A A t nuclei che decadono per unità di tempo: N dN N 0 − τ e ≈ 0 , per τ molto grande. In = dt τ τ dN N 0 N A m . Ad esempio, per mezzo grammo di Po , si trova: = = dt τ τ A N m 0, 5 6, 03 ⋅ 1023 I= A = = 1, 24 ⋅ 1014 α ⋅ s −1 . Prendendo un foro di diametro di circa τ A 210 1,16 ⋅ 107 r = 1mm a distanza di d = 10cm dalla sorgente, in modo da avere una divergenza del conclusione: I = 49 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ = 2π r 2 / 4π d 2 = r 2 / 2d 2 ). fascio inferiore al grado, si trova: φ = 0, 62 ⋅ 1010 α / s ( d4Ω π Comunque il flusso può essere facilmente misurato togliendo il foglio d’oro e contando il numero di alfa che battono sul rivelatore disposto a zero gradi, cioè sulla linea del fascetto. Un’ultima osservazione: la sezione d‘urto di Rutherford può scriversi in un’altra forma: d σ 1 Zze 2 2 ) = ( d Ω 4 8πε 0 H q = p f − pi 2 2 1 sen 4 θ 2 =( Zze 2 2 ) 4πε 0 1 16H 2 sen 4 θ =( Zze 2 m 2 1 ) 4 , dove: 2πε 0 q 2 = = p 2f + p i2 − 2 p f p i cos θ = 2 p 2 − 2 p 2 cos θ = 4 p 2 sen 2 θ = 4(2mH ) sen 2 θ 2 2 Bisogna fare attenzione al fatto che: p f = p i , perché, trattandosi di un urto contro una massa enorme, la particella alfa ha nello stato finale la stessa energia che nello stato iniziale. A questo proposito possiamo concludere che le collisioni contro i nuclei modificano la traiettoria della particella nel materiale (diffusione multipla)), ma non danno luogo a perdita di energia. Per contro le collisioni delle alfa contro gli elettroni atomici hanno un angolo m22 −8 limite di cos θ = 1 − 2 ≈ 1 − 2,18 ⋅10 ⇒ θ = 0 . Dopo la collisione le particelle m1 alfa continuano in avanti, tuttavia le alfa cedono energia agli elettroni. Le collisioni contro gli elettroni non danno pertanto luogo a diffusione multipla, ma sono la causa della perdita d’energia. Possiamo visualizzare ciò che accade con una foto presa con una “camera a nebbia”. La camera a nebbia, inventata da C. T. R. Wilson tra la fine dell’800 e i primi anni del secolo scorso, funziona con un gas (cui è stata tolta ogni polvere) contenente del vapore d’acqua soprassaturo. “Soprassaturo” significa che il vapore è ad una pressione superiore a quella che normalmente ha quando comincia a condensare. La condensazione avviene di norma attorno a granelli di polvere o ioni presenti nel gas. In assenza di questi il vapore può raggiungere una pressione più alta del normale, ma se vengono creati degli ioni, allora si ha la formazione di goccioline d’acqua intorno agli ioni. Questo fatto si può utilizzare per visualizzare la traiettoria di una particella carica, giacché lungo tale traiettoria si formano ioni per collisioni tra la particella e elettroni atomici che vengono espulsi dall’atomo. Su tale scia di ioni si forma allora una scia di goccioline, che fortemente illuminate, possono essere fotografate, rendendo visibile il cammino della particella. Nella foto che segue (R. A. Millikan The electron… pag 187) sono visibili alcune particelle alfa, prese con tale camera a nebbia. Si può vedere che si forma un grande numero di collisioni con gli elettroni, cioè di ioni e dunque goccioline, la cui densità tende a crescere verso la fine della traiettoria. Questo perché attraverso le collisioni con gli elettroni, c’è perdita d’energia (infatti la particella alfa finisce col fermarsi), ma evidentemente la perdita di energia per unità di cammino verso la fine della traiettoria è più alta, si ha così una densità di ioni e dunque goccioline più alta verso la fine della traiettoria. Si trova, in effetti, che la perdita di energia per unità di cammino dipende dall’inverso del quadrato della velocità della particella. 50 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Tuttavia le collisioni con gli elettroni non producono improvvisi cambiamenti di direzione, che infatti non vediamo. Detto questo, osservando la traccia di destra (prima a sinistra nella fig. 15), vediamo che alla fine della traiettoria la particella alfa subisce due collisioni nucleari, la prima meno evidente (verso destra) e la seconda molto evidente (verso sinistra) con una brusca modifica della direzione prima dell’arresto definitivo della particella.. Queste collisioni “dure” sono quelle osservate con tecnica molto diversa da Rutherford. Tenete presente anche che la sezione d’urto di Rutherford cresce col diminuire del quadrato dell’energia. Così succede che la collisione dura avviene alla fine della corsa della particella dove l’energia doveva essere per forza inferiore. Anche tralasciando l’estrema importanza dei risultati ottenuti da Rutherford, va detto che questo esperimento ha stabilito una tecnica ed un lessico importantissimo nella fisica moderna (fisica nucleare, fisica dello stato solido, fisica delle particelle elementari). La sezione d’urto rimane l’elemento teorico che consente il confronto tra teoria ed esperimento, anche quando il fascio di alfa è sostituito da fasci intensi di particelle ad alta energia. Allo scopo di mettere in evidenza la generalità del concetto di sezione d’urto e di avere un raffronto con un caso diverso, vogliamo discutere un semplice problema classico, ma 51 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ diverso da quello precedente: le collisioni tra una particella puntiforme ed una sfera di raggio R perfettamente rigida. Usiamo la formula stabilita in precedenza: dσ b db = . Dalla figura vediamo che l’angolo α d’incidenza (uguale a quello di dΩ sen (θ ) dθ riflessione) sulla sfera è legato all’angolo di diffusione dalla relazione: θ = π − 2α ⇒ sin α = cos θ . Il parametro d’impatto 2 db 1 θ θ b = R sin α = R cos ⇒ = R sin . Sostituendo, si ha: 2 dθ 2 2 dσ b db 1 θ θ R 2 cos sin = = = d Ω sin(θ ) dθ 2 sin θ 2 2 R2 4 sin θ 2 cos θ cos θ 2 sin è θ 2 = dato da 1 2 R 4 2 Ovvero la sezione d’urto non dipende dall’angolo di diffusione. Integrando si ha la sezione d’urto totale, che risulta identica alla sezione trasversale della sfera: σ = π R2 . R Possiamo aggiungere un altro esempio comprensibile di uso della sezione d’urto. Immaginiamo di avere una particella alfa o un’altra particella pesante (per esempio un protone) che penetri in un materiale. La particella α avrà tante collisioni con gli elettroni atomici continuando diritta giacché l’angolo limite in ciascuna collisione è praticamente zero, come si è già notato. Tuttavia essa cederà energia a questi elettroni, perdendo una dE dE quantità di energia in ogni cammino infinitesimo dx . Se vogliamo calcolare , dx dx possiamo partire dal calcolo delle collisioni per unità di cammino, moltiplicare per la sezione d’urto con perdita d’energia, in modo da avere la probabilità di collisione con una determinata perdita d’energia, moltiplicare tale probabilità per l’energia persa e sommare su tutte le possibili energie perse, in modo da ottenere la media. In formule: N ρ dx dE = A Z A +∞ dσ ∫ E dE dE , in cui 0 N A ρ dx Z rappresenta il numero di elettroni per unità A di superficie (per questo il fattore Z addizionale). Si vede come è importante la conoscenza 52 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ della sezione d’urto differenziale al fine di calcolare la perdita di energia per unità di cammino che rende possibile anche il calcolo della lunghezza del cammino della particella pesante prima di arrestarsi. Una media simile si può calcolare per l’angolo quadratico medio di deflessione della traiettoria della particella nell’attraversare il materiale. La formula dE 4π z 2 e 4 N A ρ γ 2 mv 2 finale è: con I un parametro empirico. ln =− dx A I mv 2 10. La distribuzione di Poisson Possiamo a questo punto approfondire un po’ l’aspetto delle tecniche di riduzione dei dati, discutendo, in connessione con l’esperimento di Rutherford, il calcolo degli errori in una situazione molto diversa da quella in cui la distribuzione degli errori è gaussiana§§§. Come si è detto al paragrafo precedente, si può misurare l’intensità del fascio di particelle alfa che arrivano sul bersaglio di Au eliminando la lastrina d’oro e contando il numero di scintillazioni che vengono viste per unità di tempo al centro dello schermo di rivelazione. Se lo facessimo, troveremmo che, per ogni intervallo di tempo ∆t , il numero di particelle che raggiungono lo schermo non è rigorosamente costante: la intensità del fascio φ fluttua da misura a misura. Ciò che avviene è che il numero di decadimenti della sorgente di polonio per unità di tempo fluttua. E’ anche vero che la distribuzione trasversale di particelle nel fascio, che abbiamo supposto uniforme fluttua, in altre parole, abbiamo ammesso che il numero di particelle del fascio in ogni corona circolare compresa fra i parametri d’impatto b e b + db sia costante, in effetti, come risultato di una misura, troveremmo che il numero di particelle in ciascuna corona circolare fluttua inducendo una fluttuazione del numero di particelle che vengono fuori dall’interazione coi nuclei d’oro all’ angolo θ , corrispondente a b e b + db . Il numero di particelle alfa che vengono fuori ad una angolo θ fluttuerà dunque a causa delle fluttuazioni dell’intensità totale del fascio e a causa della distribuzione nel parametro d’impatto. Chiamiamo p la probabilità, molto piccola, che un nucleo ha di decadere entro l’intervallo di tempo ∆t ****. La ragione per cui occorre trattare il problema del decadimento di un singolo nucleo in modo statistico è questione per la fisica nucleare da capire. Poiché in ogni ∆t esiste una probabilità piccola di decadere è chiaro che la probabilità che ne decadano n , cioè che l’intensità del fascio sia φ , è una funzione complicata di p e del numero totale di particelle presenti nella sorgente. Notiamo che l’esperimento di Rutherford non è l’unico esempio in cui esiste un problema di fluttuazioni. Facciamo un altro esempio. Un gas è un corpo fatto di molecole essenzialmente libere di muoversi nel suo contenitore, senza interazioni relative a parte le §§§ Le definizioni di probabilità e le varie formula sul calcolo delle probabilità saranno molto utili quando studieremo la teoria cinetica dei gas. **** Che p sia piccola è vero, se la vita media τ del nucleo è molto lunga rispetto a ∆t , il che è certamente vero nel caso del polonio ( τ = 138d ). Per il concetto di vita media si veda al capitolo 1, a proposito del decadimento dei muoni e la variazione della vita media con la velocità dei muoni stessi. 53 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ eventuali collisioni tra di esse e con le pareti del recipiente. Studieremo le caratteristiche di un gas in termodinamica (teoria cinetica dei gas), per ora basta la definizione di gas appena data. Supponiamo di prendere un recipiente contenente un gran numero di molecole di un gas in comunicazione, attraverso un foro, con un altro recipiente in cui si sia fatto il vuoto. Le molecole migreranno dal recipiente pieno a quello vuoto e si potrà porre il problema di quante molecole attraversino il foro di comunicazione per unità di tempo e di quanto questo numero fluttui da intervallo di tempo a intervallo di tempo††††. Notiamo altresì che, quando poniamo il problema di capire l’entità delle fluttuazioni ovvero l’errore su un conteggio che dà come risultato n mentre dovrebbe dare n , poniamo un problema assai diverso da quello di trovare l’errore su una misura il cui risultato viene modificato da una quantità di piccoli errori, ciascuno di grandezza piccola e di segno variabile che danno un errore complessivo del tutto accidentale (distribuzione gaussiana). Noi vogliamo adesso proporci di calcolare la probabilità di conteggiare n decadimenti nel tempo ∆t , se in media ne troveremmo n . Vogliamo poi stabilire quale è l’errore che è ragionevole attribuire al risultato di ciascun conteggio. Fissiamo l’attenzione sul caso dell’esperimento di Rutherford e ammettiamo di avere N nuclei che possono decadere dando n particelle nell’unità di tempo. Se la probabilità che un nucleo abbia di decadere nell’intervallo di tempo fissato è p , quale è la probabilità che ne decadano n ? La probabilità che un nucleo non decada in ∆t è data da 1 − p . Immaginiamo adesso di scegliere n nuclei ben definiti, la probabilità che questi decadano e i rimanenti non decadano è data dal prodotto di tutte le probabilità: Pn = p n (1 − p) N − n . La probabilità totale di avere n decadimenti è allora data da questa probabilità sommata a se stessa tante volte quanti sono i modi di scegliere n nuclei ben definiti nel totale di N , ovvero moltiplicando p n (1 − p) N − n per tale numero di modi di scegliere gli n nuclei. In N! p n (1 − p ) N −n . Questa distribuzione è detta binomiale. n !( N − n)! Nell’ipotesi che p << 1 e N >> 1 , possiamo semplificarla per ottenere la distribuzione di conclusione: P (n) = −t Poisson. Poiché la legge di decadimento della sorgente è data da: N = N0 e τ , cioè, poiché − t dt n dt ⇒ = = p, abbiamo in media un numero di decadimenti pari a: n = dN = N0 e τ τ N τ troviamo: †††† Notiamo anche che in entrambi i casi il numero totale di molecole (nuclei) discende esponenzialmente. Ne segue che c’è un calo sistematico del numero di particelle che possono passare da un recipiente ad un altro (dell’intensità del fascio). Qui ammettiamo che la costante di tempo rilevante sia molto lunga rispetto al tempo di un conteggio. 54 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ ( ) n N! N ( N − 1)...( N − n + 1) n (1 − Nn ) N −n = N n !( N − n)! n! n −1 n 1 nn = (1 − )(1 − )...(1 − ) n ! (1 − Nn ) N − n N N N P ( n) = p << 1 , Se n << N n n (1 − n ) N − n . n! N n ) N −n ≈ (1 − n ) N , N N n (1 − n ) N −n N = n−i << 1 , pertanto si ha: N n << N , ovvero é anche ( Nn ) P ( n) = Per (1 − che vale e − n nel limite per N → +∞ . Per quanto riguarda quanto riguarda la potenza del binomio, si ha: l’approssimazione che N sia molto grande, riflettiamo che N può, in taluni casi, essere dell’ordine del numero di Avogadro, che vale: N A = 6, 06 ⋅1023 . In conclusione, troviamo: n n e− n n! P ( n) = , che costituisce, appunto, la distribuzione di Poisson che ci dice quale è la probabilità di avere un conteggio con un risultato pari a n , se in media ci aspettiamo che ne dia n . Per essere una distribuzione di probabilità la P ( n) deve avere due caratteristiche: 1. La somma di tutte le probabilità deve essere uguale a 1: ∑ P ( n) = ∑ n n n e− n n! ∑ nn n! = en . n n La media dei valori di n deve essere uguale a n : 2. ∑ nP(n) =e ∑ n −n n e = 1 . Ciò è vero perché: nn n! = n . Ciò è vero perché: n −n ∑ n =0 n n nn ! =e −n +∞ n ∑ n n −1 ( n −1)! =e −n +∞ n 1 ∑ np p! = e − n ne + n = n . 0 Calcoliamo adesso lo scarto quadratico medio: σ 2 = e− n ∑ (n − n ) 2 n nn = e− n n! ∑n 2 n nn − 2ne −n n! nn nn ∑ n n! + n e ∑ n ! = 2 −n n n = n + n − 2n + n = n ⇒ σ = n 2 2 2 L’ultimo passaggio è giustificato dal fatto che: ∑n n ∑ n n2 n n −n e = n! = n 2 e− n ∑ n p −1 n −1 nn n e− n = (n − 1)! ∑ ( p −1)! + n = n n 2 ∑ n n ( p + 1) 2 n n −n e = n 2 + n . Infatti: n! n p −n e = ne− n p! ∑ n p np + p! ∑ n np = p! +n n In conclusione, l’errore quadratico medio è uguale alla radice quadrata del valore medio di n . Applicando questa conclusione al caso dell’esperimento di Rutherford, abbiamo che 55 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ il numero di particelle che hanno un parametro d’impatto tra b e b + db , ovvero angolo di diffusione tra θ e θ + dθ , fluttuerà con la radice quadrata del numero stesso. L’intero fascio avrà anche una fluttuazione dell’ordine della radice quadrata dell’intensità. Ciò va inteso nel senso che la probabilità di avere un numero di particelle entro una volta σ dal valore medio è il 68%. Questa ultima affermazione discende dal fatto che un paragone tra distribuzione di Poisson e distribuzione degli errori di Gauss mostra che esse diventano essenzialmente uguali per valori di n ≥ 10 , e dunque ciò che vale per la distribuzione di Gauss (probabilità che il risultato di una misura sia entro 1 σ è il 68%) vale anche per la distribuzione di Poisson. Tipiche domande cui la distribuzione di Poisson dà risposta sono: 1. Se si hanno n vittime della strada in un anno e l’anno successivo esse sono n ' < n , possiamo veramente dire che le vittime sono diminuite (per conseguenza, per esempio, di una nuova legge) o la diminuzione indica una semplice fluttuazione? 2. Se durante il mese di Gennaio si hanno n giorni di pioggia e l’anno successivo ne abbiamo n ' < n , è cambiato il clima o si tratta di una semplice fluttuazione? E così via… n 1 e quindi diminuisce con il = n n numero medio di eventi. Conviene allora raccogliere “molta statistica”, cioè fare in modo che i conteggi siano grandi. Nel caso dell’esperimento di Rutherford, per esempio, dovremo scegliere degli intervalli di tempo in cui si possano vedere molti eventi di diffusione ad un angolo θ , in modo da avere un errore relativamente basso. A titolo di illustrazione supponiamo che l’istogramma rappresentante il numero di nuclei che decadono in un intervallo di tempo ∆t ha, teoricamente, l’andamento rettilineo illustrato in basso: Naturalmente l’errore percentuale in un conteggio è: B 100 ln(n) 80 60 40 20 0 0 5 10 ∆τ 56 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Coi numeri sperimentali esso si potrà presentare, a causa delle fluttuazione, così: ln(n) B 100 95 90 85 80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 0 5 10 ∆t In cui tutti i valori delle ascisse sono stati variati a caso entro la n . Come si vede, riconoscere che si tratta di un andamento rettilineo è problematico. Occorrerà dunque, avere una tecnica con cui adattare al meglio (cioè con il migliore valore del coefficiente angolare a e del termine noto b ) una retta ai dati e, usando un criterio di verosimiglianza, giudicare quanto l’ipotesi che si tratti di una retta sia ragionevole. Un metodo, detto “dei minimi quadrati” usa un procedimento di minimizzazione della quantità: ∑r 2 i , in cui i ri = yi − f ( xi , P1 ,..., Pk ) , yi è il valore sperimentale (nel nostro caso l’altezza nel grafico precedente), f ( xi , P1 ,..., Pk ) è il valore teorico della funzione (nel caso precedente: f = P1 x + P2 ) in cui i parametri Pi sono da determinare appunto col metodo dei minimi quadrati. Per esempio, nel caso lineare il procedimento di minimizzazione consiste nel ∑ ( y − ax − b) rispetto ai due parametri a e b . Abbiamo allora il sistema di equazioni lineari: ∑ x ( y − ax − b) = 0 e ∑ −( y − ax − b) = 0 che può calcolare le derivate di i 2 i i i i i i i i i essere risolto nelle variabili a e b . Tra i sistemi più noti per valutare la qualità dell’adattamento della curva scelta ai dati esiste il metodo del chi quadro ( χ 2 ). Il χ 2 è un indicatore che, una volta calcolato sulla base dei dati e migliore adattamento (best fit) della curva ipotizzata ai dati e dai valori sperimentali, ci dà la probabilità che la curva scelta sia effettivamente la curva teorica. 57 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 11. L’atomo di Bohr Una volta scoperta l’esistenza di elettroni e protoni, occorreva capire come questi potessero formare un atomo. L’esperimento di Rutherford introduce un elemento essenziale: il nucleo. Il nucleo è dunque formato da A protoni e A-Z elettroni; in aggiunta ci sono Z elettroni che ruotano intorno al nucleo. Si è poi scoperto che in realtà non ci sono elettroni nel nucleo, ma che ci sono Z protoni a A-Z neutroni, particelle neutre con una massa molto prossima a quella del protone, scoperte da Chadwick nel 1932. Dunque l’atomo è un sistema solare in miniatura, con il nucleo facente le funzioni del Sole. Questo modello, in realtà, pone più problemi di quanti non ne risolva. Prima di tutto, si apre la questione di quali forze tengano insieme il nucleo. Le cariche positive, infatti, si respingono e le particelle neutre non possono essere tenute insieme da forze di natura elettrostatica. Il nucleo non può quindi essere stabile: bisogna immaginare delle forze nuove, un’interazione “forte”, più forte della repulsione Coulombiana, che tenga insieme particelle cariche e non. Questa interazione forte però non è apparente nel mondo macroscopico e dunque occorre assumere che tale interazione sia forte solo a distanze brevi dell’ordine del raggio nucleare e poi vada a zero. Si apre così lo studio della fisica del nucleo. Per quanto riguarda gli elettroni che ruotano intorno al nucleo non tutto però è ovvio. Una carica accelerata irraggia, cioè emette energia elettromagnetica e la sua energia diminuisce a poco a poco. L’elettrone dovrebbe dunque cadere sul nucleo e l’atomo non dovrebbe essere stabile! Del resto non c’è dubbio che un atomo irraggi onde elettromagnetiche (luce, come vedremo più avanti) e dunque occorre trovare una giustificazione teorica al fatto che l’atomo è stabile e tuttavia può irraggiare. Vedremo nei capitoli successivi le caratteristiche dell’irraggiamento. Per ora si vuole descrivere il modello dell’atomo di idrogeno di Bohr e trovare alcuni risultati che verranno ripresi successivamente. Secondo N. Bohr, il continuo infinito di valori che può assumere l’energia dell’elettrone, deve essere sostituito da una serie di valori H n con n numero intero. L’elettrone sarà stabile solo al livello energetico più basso, cioè quello con n = 1 . Tuttavia, può assumere qualsiasi valore energetico appartenente a questa serie per un tempo breve prima di decadere ad un livello energetico più basso, emettendo quanti di energia pari alla differenza tra i due livelli H n − H m . Ciascun quanto di luce (fotone) ha un’energia pari a hν = H n − H m , in cui ν è la frequenza della luce. Dunque solo le frequenze corrispondenti ad un salto tra due stati energetici possibili sono effettivamente emesse: lo spettro è detto “a righe”, perché la luce emessa, se osservata con un reticolo di diffrazione o un prisma, si scomporrà mostrando luce solo sulle frequenze possibili piuttosto che distribuirsi più o meno uniformemente su tutte le frequenze. Lo spettro (sperimentale) di emissione dell’atomo di idrogeno. L’asse orizzontale dà la lunghezza d’onda. Le righe denotano le λ per cui si trova luce emessa. 58 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ L’idea può essere illustrata con uno schema in cui l’asse verticale rappresenta l’energia dell’elettrone, le linee orizzontali i valori dell’energia, selezionati dalla teoria di Bohr, spiegata nelle righe successive, e le frecce verticali sono le transizioni possibili, cui corrisponde un’ energia emessa ben precisa e dunque una frequenza ben precisa. N A sinistra, le righe orizzontali, cioè i valori possibili dell’energia, si vanno addensando verso l’alto, dunque le energie o frequenze emesse avranno separazioni decrescenti, ovvero tendono ad un continuo. A destra, le orbite circolari corrispondenti ai valori dell’energia riportati a sinistra. Appena l’elettrone ha raggiunto il livello più basso ( n = 1 ), non avviene più alcun irraggiamento ed il sistema risulta stabile. Occorre, dunque, trovare delle regole per selezionare le orbite e le loro energie. Bohr in un primo momento si occupò solo delle orbite circolari ed impose la condizione che le orbite ∫ accettabili fossero quelle soddisfacenti la relazione: L ⋅ dφ = nh , dove h è una costante nota come costante di Planck, che ha il valore di: h = 6,63 ⋅ 10 −34 Js = 4,14 ⋅ 10 −15 eVs e le dimensioni di un’azione (un’energia moltiplicata per un tempo) e n è un numero intero, detto numero quantico principale. Per le orbite circolari si ha: . h . Usando questa regola si può calcolare L ⋅ dφ = L 2π = nh ⇒ L = mvρ = nℏ , dove ℏ = 2π prima la velocità e poi il raggio delle orbite permesse. Infatti si hanno due relazioni tra queste quantità: ∫ 59 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ la condizione di Bohr : mvρ = nℏ il secondo principio della dinamica: • • m v2 e2 1 ⇒ mv 2 = 4πε 0 ρ 2 Di conseguenza: e2 1 e • v= 4πε 0 nℏ • ρ = ρ = 4πε 0 e2 1 4πε 0 ρ = e 2 mv 4πε 0 nℏ (nℏ) 2 me 2 risultano rispettivamente velocità e raggio dell’n-sima orbita, che sarà caratterizzata da una energia: 60 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 1 1 1 1 e2 1 e4 mv 2 − = − mv 2 = − m . Durante il salto da un’orbita di 2 4πε 0 ρ 2 2 (4πε 0 ) 2 n 2 ℏ 2 numero quantico n , ad un’altra di numero quantico k (più basso), l’energia emessa sarà allora: Hn = 1 e4 1 m = 13, 605eV , nota come 2 2 2 2 k n (4πε 0 ) ℏ costante di Rydberg. A parte il segno essa dà anche l’energia dello stato fondamentale ( n = 1) dell’idrogeno. E’ interessante calcolare il raggio e la velocità dell’elettrone nell’orbita di più bassa energia (n=1). Il raggio ci dà la dimensione di un atomo di idrogeno allo stato fondamentale. ∆H = H n − H k = R y ( 1 − 1 ) , con: R y = 2 Riprendiamo la formula precedente: ρ = 4πε 0 ( nℏ ) 2 me 2 . Sostituendo i valori delle costanti otteniamo: ρ = a 0 = 5,3 ⋅10 −11 m (raggio di Bohr). Calcoliamo adesso il valore della velocità (per n=1): v = e2 1 = 2,18 ⋅10 6 m / s , che risulta in un β e γ relativistici pari a: 4πε 0 nℏ β = 0,72 ⋅10 −2 da cui si vede la modesta entità delle correzioni relativistiche calcolate da γ = 1,000026 A. Sommerfeld. L’energia totale dell’elettrone è: 1 T = − mv 2 = −2,16 ⋅ 10−18 J = −13, 51eV ( che, a parte gli arrotondamenti è lo stesso 2 numero calcolato prima). Passiamo adesso a considerare anche le orbite ellittiche. Data un’orbita circolare con numero quantico principale n , a questa orbita corrisponde un’energia H n ed anche il momento della quantità di moto avrà un preciso valore. Tuttavia, se consideriamo l’insieme delle orbite (ellittiche) con quel valore dell’energia, il momento della quantità di moto non sarà definito univocamente ed avrà un valore massimo: Lmax = mA 2 . Ad un’energia corrispondono dunque un’infinità di orbite distinte 2(− H ) caratterizzate dal valore del momento della quantità di moto. Per selezionare quali orbite sono accettabili, occorre, dunque, introdurre una seconda regola di selezione. Generalizzando la prima regola, possiamo richiedere che anche l’integrale dell’impulso radiale sia uguale ad un numero intero per la costante di Planck: 1. ∫ p ρ dρ = nρ h , n ρ viene chiamato numero quantico radiale. La precedente condizione viene riscritta ( pφ = L ): 2. ∫ pφ dφ = nφ h , nφ viene chiamato numero quantico azimutale e la somma: 3. n = n ρ + nφ è detta numero quantico principale. 61 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Si può dimostrare a questo punto che l’energia dipende solo dal numero quantico principale. . In effetti per le orbite circolari è n ρ = 0 , essendo p ρ ≈ ρ = 0 e quindi n si riduce appunto ad nφ . In generale: nρ h = dρ pφ dρ dφ dρ . dρ dρ = m ( ) 2 φ dφ = m ( ) 2 dφ dt dφ dφ mρ 2 ∫ p ρ dρ = m∫ dt dρ = m∫ dφ ∫ Dallo studio dei moti centrali ricordiamo che: ∫ dρ mρ 2 = dφ pφ 2 pφ 2H 2A . − 2 2 + m mρ m ρ Sostituiamo: pφ2 dρ 2 p φ mρ 2 2 2 H 2 A pφ nρ h = m ( ) dφ = m ( ) ( − 2 2 + ) dφ = 2 dφ mρ pφ m m ρ mρ mρ 2 ∫ = ∫ 2m 2mA 2m 2mA ρdφ = −nφ h + ρdφ ⇒ H ρ 2 dφ − pφ dφ + H ρ 2 dφ + pφ pφ pφ pφ ∫ ∫ n ρ h + nφ h = nh = ∫ ∫ ∫ 2m 2mA H ρ 2 dφ + ρdφ pφ pφ ∫ ∫ Naturalmente, su ogni orbita H e pφ risultano costanti. La funzione ρ = ρ (φ ) descrive la pφ2 1 . Possiamo dunque calcolare i due integrali, mA 1 + ε cos φ sostituire e risolvere per H in funzione di n . Dalle tavole degli integrali: dφ 2π = e 2 3 (1 + ε cos φ ) (1 − ε 2 ) 2 dφ 2π = 1 + ε cos φ 1− ε 2 traiettoria ed ha la forma: ρ = ∫ ∫ Sostituendo abbiamo: nh = =H 2 2 2m 2mA 2m pφ 2 2π 2mA pφ 2π ρdφ = H ρ 2 dφ + ( ) H + = 3 pφ mA (1 − ε 2 ) 2 pφ mA 1 − ε 2 pφ pφ ∫ 2 pφ3 2 ∫ 2π mA (1 − ε 2 ) 3 + 2 pφ 2 2π 1− ε 2 = 2πA m 2( − H ) L’ultimo passaggio si giustifica ricordando l’espressione dell’eccentricità: ε = 2 Hpφ2 +1 A2m . Risolvendo adesso per H e, usando la notazione H n per evidenziare la dipendenza da n , abbiamo: H n = − 2π 2 A 2 m 1 h2 n2 che dipende solo da n. Scegliamo adesso nφ = n . Deve 62 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ essere allora: n ρ = 0 che dà un’orbita circolare. Possiamo poi scegliere per nφ i valori: n − 1, n − 2,... e corrispondentemente nρ assumerà i valori: 1, 2,..., n ρ − 1 , non potendo nφ essere nullo. In conclusione sono possibili n orbite, una delle quali circolare e le altre ellittiche. Possiamo a questo punto eseguire di nuovo lo stesso procedimento, ma utilizzando −k l’equazione relativistica della traiettoria: ρ = . In questo caso troviamo che 1 + ε cos( − d x) l’energia dipende da entrambi i numeri quantici, seppur in maniera molto debole. In effetti il risultato è: Hn = − 1 (4πε 0 )2 2π 2 Ze 4 m 1 h2 n2 (1 + α2 1 3 ( − )) , dove: n nϕ 4n e2 v =1 = = β è chiamata “costante di struttura fine”. Come si vede la 137 c 4πε 0 ℏc correzione è data dal termine aggiuntivo in α che è molto piccolo. Lo studioso lettore che si volesse cimentare nel calcolo, tenga presente che basta eseguire α= un cambio di variabile: φ → x = − d φ , perché i nuovi integrali si riducano a quelli già calcolati. Dalla precedente discussione si deduce che nel caso relativistico la luce viene emessa in quantità di energia fisse dette fotoni la cui energia è: E γ = hν = E n − E m . Questa quantità di energia non dipende che dai numeri quantici principali di arrivo e di partenza nel caso classico, ma debolmente anche dal numero quantico azimutale . Questa debole dipendenza dal numero quantico azimutale implica un suddividersi delle righe in gruppi di righe molto vicine funzioni del numero quantico azimutale: se il numero quantico azimutale è nφ , ci saranno nϕ righe. Questa suddivisione in righe viene chiamata struttura iperfina dello spettro di energie (frequenze) da cui il nome della costante α . E’ possibile avere una suddivisione delle righe, in dipendenza del momento della quantità di moto, modificando opportunamente l’energia delle orbite. Come sappiamo, un campo magnetico costante (per esempio lungo l’asse Z) varia l’energia di un sistema di una quantità − µ ⋅ B = − µ z B = − gLz B , in cui g è il rapporto giromagnetico e Lz la componente della quantità di moto lungo l’asse Z. Nello spettro ottico avremo così tante righe quanti sono i possibili valori di Lz (effetto Zeeman). Questi risultano in numero di 2nϕ + 1 . Dunque oltre ad una quantizzazione delle energie, si ha anche una quantizzazione spaziale, nel senso che la componente del vettore quantità di moto non può assumere un qualunque valore tra − L e L , ma solo i valori: Lz = − L, − L + 1, ..., 0, ..., L − 1, L . L’uso di un campo magnetico portò anche alla scoperta di un numero quantico caratteristico delle particelle (elettroni, protoni, neutroni…) chiamato “spin” da parte di Uhlenbeck e 1 3 Goudsmit (1925). Questo numero quantico può assumere solo valori seminteri ( , , ... ) 2 2 per gli elettroni e per molte altre particelle, chiamate, per ragioni che vedremo, “fermioni”. 63 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 1 1 , ogni riga ottica si dividerà così in 2 + 1 = 2 righe. 2 2 Il momento magnetico di un elettrone è misurato in magnetoni di Bohr h eℏ ) e risulta di 1 magnetone di Bohr. Abbiamo: µB = = 9, 27 ⋅ 10 −24 J / T ( ℏ = 2π 2me Per un elettrone, per cui lo spin vale 1 2 1 g ℏ . Secondo la discussione del rapporto giromagnetico, se 2 e l’elettrone fosse una sferetta carica, dovrebbe essere g = , ma dal fatto che il momento 2m e magnetico sia un magnetone di Bohr, si deduce che g è il doppio di quello che ci si aspetta σ z = ± ℏ e µz = ± e . In sostanza il modello della piccola sferetta carica di raggio pari a quello 2me classico dell’elettrone che gira su un suo asse non è valido. W. Pauli del resto aveva già puntualizzato che i punti della superficie della sferetta avrebbero girato ad una velocità superiore a quella della luce, se il momento magnetico misurato fosse dovuto a questa rotazione. L’esperimento di Stern e Gerlach usa un campo magnetico non costante; la non costanza del campo produce una forza di deflessione su un fascio di atomi (nell’esperimento originale: Ag) producendo uno sparpagliamento del fascio nel direzione in cui il gradiente del campo è diverso da zero. In fisica classica in cui la componente del momento della quantità di moto lungo la direzione del campo magnetico è continua tra un minimo ed un massimo, lo sparpagliamento dà luogo ad un fascio allargato. Risulta invece che il fascio si divide in due (o più) fasci, ciascuno corrispondente ad un valore del momento angolare lungo B . g=2 Fasci uscenti Fascio entrante schermo Campo magnetico Appendice 1. Calcolo della funzione F E >0⇔Ω<1 64 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 1 1 dx F ( Ω) = ∫ =∫ Ω (1 − Ω) + x 0 0 xdx (1 − Ω) x + Ω = 2 (1 − Ω)3/ 2 1−Ω0 ∫ 0 y 2dy y2 + Ω , Posto y y 2 = (1 − Ω ) x , x = 1− Ω e dx = 2 ydy . 1− Ω Abbiamo 2 F (Ω ) = (1 − Ω )3/ 2 1 −Ω 0 y 2 dy 2 = 3/ 2 y 2 + Ω (1 − Ω ) ∫ 0 1 −Ω 0 ∫ yd ( y 2 + Ω ) 0 Integrando per parti, si ha: F (Ω) = 1−Ω 2 2 2 y y + Ω − 3/2 0 (1 − Ω ) (1 − Ω )3/2 1−Ω ∫ y 2 + Ω dy = 0 1−Ω0 2 2 = − (1 − Ω ) (1 − Ω )3/2 ∫ y 2 + Ω dy 0 Dalle tabelle sappiamo che: ∫ y y + a dy = 2 2 2 a2 y + a + ln( y + 2 2 2 2 2 y F (Ω) = − 3/ 2 (1 − Ω ) (1 − Ω ) 2 y 2 + a 2 ) , che per a 2 = Ω , dà Ω y + Ω + ln( y + y 2 + Ω ) 2 0 1−Ω 2 = 2 2 Ω Ω 1 1 − Ω + ln(1 + 1 − Ω ) − ln( Ω ) = − 3/2 (1 − Ω ) (1 − Ω ) 2 2 2 2 1 1 − Ω + Ω ln(1 + 1 − Ω ) − Ω ln( Ω ) = = − (1 − Ω ) (1 − Ω )3/ 2 = ( ) 1+ 1− Ω 1 Ω ln − 3/ 2 (1 − Ω ) (1 − Ω ) Ω Che si mantiene limitata per Ω → 0 e per Ω → 1 . = 65 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ F(Ω) Ω Per E < 0 ⇔ 1 F ( Ω) = ∫ 0 Posto Ω0 > 1 : 1 dx Ω (1 − Ω) + x =∫ y 2 = ( Ω − 1) x , x = 0 xdx (1 − Ω) x + Ω y Ω −1 e dx = = 2 (Ω − 1)3/2 Ω−1 ∫ 0 y 2dy Ω − y2 2 ydy . Ω −1 Abbiamo: F (Ω) = −2 ( Ω − 1)3/2 Ω−1 ∫ 0 yd ( Ω − y 2 ) = − 2 2 + ( Ω − 1) ( Ω − 1)3/2 Ω−1 ∫ ( Ω − y 2 )dy 0 Dalle tabelle sappiamo che: 66 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ y 2 a y a − y 2 + arcsin( ) , che per a 2 = Ω , dà: 2 2 a Ω−1 2 2 F (Ω ) = − ( Ω − y 2 )dy = + 3/2 ∫ ( Ω − 1) ( Ω − 1) 0 ∫ a 2 − y 2 dy = y 2 2 y Ω 2 y arcsin( ) =− + Ω − + 3/2 ( Ω − 1) ( Ω − 1) 2 2 Ω 0 F (Ω 0 ) = − Ω−1 1 Ω Ω −1 arcsin( ) + 3/2 ( Ω − 1) ( Ω − 1) Ω F(Ω0) Ω0 1. Problemi 67 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 1. Calcolare il tempo che una palla di cannone di massa uguale a 50kg, lanciata con velocità v 0 x = 235m / s e v 0 y = 278m / s , impiega a raggiungere il bersaglio. 2. Calcolare l’energia cinetica della palla di cannone di cui all’esercizio precedente al momento dell’impatto sul bersaglio. 3. Un bomba da mezza tonnellata viene sganciata da un aereo in volo orizzontale alla velocità di 500km/h ad un’altezza di 3000m. Calcolarne l’energia cinetica al momento dell’impatto al suolo, nell’ipotesi che la resistenza dell’aria a) sia nulla b) non sia trascurabile. Si prenda k = 20 kgs −1 , nel secondo caso. 4. Quale è la traiettoria della bomba di cui all’esercizio precedente? 5. Un aereo da 8.103kg tocca il ponte di una portaerei (della lunghezza di 205m) alla minima velocità di sostentamento di 250km/h. Per potere usare i freni, esso deve raggiungere la velocità di 25km/h e per raggiungere questa velocità deve usare delle superfici mobili che lo rallentino introducendo una forza del tipo F = − kv . Quanto deve valere k perché l’atterraggio abbia successo? 6. In un apparato come quello di Thomson per la misura di e/m, un elettrone con un’energia di 100eV passa attraverso placchette di lunghezza l=L=10cm. Quale è la deviazione totale se il campo elettrico è E=75V/m e quanto vale il tempo di transito? Che potenziale si deve applicare alle placchette, perché la deviazione esercitata sia massima, se la loro distanza è d=5cm? 7. Calcolare la frequenza angolare di un dipolo costituito da due elettroni di carica opposta a distanza atomica fra loro (d=10-10m), in un campo elettrico di 50V/m. 8. Un elettrone con un’energia di 10keV entra nella regione di spazio tra le due placchette dell’esercizio precedente. Quale campo magnetico occorre applicare affinché l’elettrone non subisca deviazioni? 9. In un campo magnetico costante di 1,1T, arriva una particella di massa pari 105MeV ed energia cinetica di 1MeV. Calcolare il raggio di curvatura di tale particella. 10. Una stella di neutroni di raggio R=20km ruota intorno al proprio asse con un periodo T=1s. Quale deve essere la sua massa e la sua densità perché oggetti alla sua superficie non vengano lanciati nello spazio? 11. Calcolare i periodi di rivoluzione dei pianeti del sistema solare, usando i dati della tabella in basso. Corpo celeste Distanza (d) Massa (M) Md 68 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Sole Mercurio Venere Terra Marte Giove Saturno Urano Nettuno Plutone Totale (km) 0 5,8.107 1,1.108 1,5.108 2,3.108 7,8.108 1,4.109 2,8.109 4,5.109 5,9.109 (kg) 2,0.1030 3,2.1023 4,9.1024 6,0.1024 6,4.1023 1,9.1027 5,7.1026 8,7.1025 1,0.1026 1,1.1024 2,0.1030 (kg.km) 0 1,9.1031 5,4.1032 9,0.1032 1,5.1032 1,5.1036 8,0.10 35 2,4.10 35 4,5.1035 6,5.1033 3,0.1036 12. Calcolare i momenti della quantità di moto orbitali dei pianeti dell’esercizio precedente. 13. Calcolare le velocità di fuga dai pianeti del sistema solare usando le tabelle associate agli esercizi 2 del Cap. 3 e 29 del Cap. 2. 14. L’accelerazione centripeta del baricentro del sistema solare, nel moto di rotazione intorno al centro della galassia è ac= 2,1.10-10m/s2 e che la distanza dal centro della galassia è r=2,6.1020m. Quanto deve valere la massa interna all’orbita del baricentro perché sia giustificata quest’accelerazione? 15. Se un corpo di massa m fosse lasciato fermo ad una distanza dal Sole pari alla distanza della Terra dal Sole, in quanto tempo cadrebbe sul Sole? 16. Una carica negativa q viene lasciata a distanza RS da una sfera carica con densità di carica uniforme e positiva (Q). Calcolare l’equazione del moto. 17. Dimostrare la terza legge di Keplero per le orbite ellittiche. 18. L’energia delle particelle alfa della sorgente di Po usata da Rutherford era di 5MeV. Quale era la distanza minima dal nucleo che esse raggiungevano? Le caratteristiche del nucleo dell’oro sono riportate nell’esercizio 9 a pag. 130 delle dispense. 2. Soluzioni 1. La palla di cannone raggiunge il bersaglio situato ad una distanza pari alla “gittata”: v0x v0 y 235m / s ⋅ 278m / s xg = 2 =2 = 13319 m . Poiché il moto orizzontale della palla g 9,81m / s 2 69 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ è rettilineo uniforme, esso impiega il tempo necessario a percorrere la distanza xg è: xg 13319 t= = = 56,67 s . vx 235m / s 2. Il moto lungo l’asse X è rettilineo uniforme, pertanto l’energia cinetica relativa a questo 1 “grado di libertà” non varia: T = mv 02x = 1,38MJ . Per quanto riguarda il moto 2 verticale, la palla salendo arriva alla massima altezza: ( 278m / s ) 2 1 2 ym = v0 y = = 3939 m con velocità nulla e ricade, raggiungendo una 2g 2 ⋅ 9,81 velocità pari a: v y = 2 gy m = 2 ⋅ 9,81m / s 2 ⋅ 3939 m = 278m / s al momento dell’impatto al suolo. Notare che questa è l’energia con la quale la palla è stata lanciata in alto: ciò doveva essere chiaro pensando al principio di conservazione dell’energia. Pertanto la sua energia cinetica finale è uguale a quella iniziale; beninteso, in assenza di resistenza 1 dell’aria: T = m(v 02x + v 02y ) = 3,31MJ . Perché il danno arrecato sia maggiore, è utile 2 che la bomba esploda dopo essere penetrata alquanto nel bersaglio. A questo scopo si deve usare un materiale il più denso possibile, in modo da avere la massima energia cinetica al momento dell’impatto. Per questo motivo si usa talvolta 238U, invece di Fe. 3. La velocità finale della bomba è: v y = 2 gy 0 = 242m / s , pertanto essa avrà l’energia 1 1 mv y2 = ⋅ 500kg ⋅ 2 gy 0 = 14,7 MJ . In verità, a questa energia va 2 2 aggiunta quella dovuta al moto traslatorio orizzontale, che la bomba aveva al momento dello sgancio e continua ad avere in assenza di resistenza aerodinamica. Sapendo che l’aereo volava ad una velocità di 500km/h=139m/s, questa energia risulta essere: T x = 0,5 ⋅ 500 kg ⋅ (139 m / s ) 2 = 4,8 MJ . Nel caso si consideri la resistenza dell’aria, procediamo nel modo seguente. Scriviamo le equazioni del moto separatamente per x e y. cinetica T = k x (t ) = v 0 x − t m (1 − e m ) ; k y( t ) = y0 − g v x = v0 x e − k t m k − t m m m −kt t − g ( )2 (e m − 1) ; v y = g (e m − 1) k k k Ricaviamo il tempo, ponendo la coordinata y a zero. Poiché risolvere l’equazione che ne segue è impossibile, ricaviamo il tempo di arrivo al suolo con un metodo grafico. Tracciamo le due curve y( t ) = y0 − g m t = 3 ⋅ 103 − (245, 25m / s )t e k 70 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ m 2 − mk t y( t ) = g ( ) ( e − 1) = 6131m (e −0,04 t − 1) : il punto d’incontro tra le due k curve è il tempo di impatto al suolo. Dal grafico in basso ricaviamo perciò un tempo t = 29, 5 s . Sostituiamo questo tempo nelle formule delle due velocità per ottenere v x = 109, 25m / s e v y = 52, 33m / s . Da queste ricaviamo la energia cinetica all’impatto T = 3, 67 MJ . 4. Secondo le equazioni calcolate nelle dispense (aggiungendo la posizione iniziale y0 non nulla e azzerando la velocità iniziale v0y), si ha: k − t m m −kt (1 − e m ) = − v0 x (e m − 1) e k k k t − gm m gm mx y ( t ) = y0 − t − g ( )2 (e m − 1) = y0 − t+g k k k kv0 x x ( t ) = v0 x Ricaviamo il tempo dalla prima e sostituiamo nella seconda: t = y = y0 − g ( mv 0 x m ln( ); k mv 0 x − kx mv0 x m 2 mx ) ln( )+ g . k mv0 x − kx kv0 x 71 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Il pilota del bombardiere può così valutare il momento giusto per sganciare la bomba, se vuole colpire il bersaglio. In assenza di resistenza, la traiettoria è la solita parabola 5. y( x ) = y0 − La velocità dell’aereo diminuirà secondo la legge: v = v 0 e percorso sarà pari a: x(t ) = v 0 m (1 − e k − kt m )⇒e − kt m = 1− k − t m 1 x2 g . 2 v x2 0 , mentre lo spazio xk xk ⇒ v = v 0 (1 − ). v0 m v0 m 72 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Ponendo x = l (o meglio x leggermente più piccola di l, per tenere conto della successiva decelerazione coi soli freni delle ruote), si ha: k= 6. k= mv0 v (1 − 0 ) l v 8 ⋅ 103 kg ⋅ 69, 5m / s (1 − 0,1) = 2441kg ⋅ s −1 205m La deviazione è: eEl 1 3 eE 2 1,9 ⋅10 −19 C ⋅ 75V / m ∆y = ( l + L) = l = 0,75 (0,10 m) 2 = 5,6 ⋅10 −3 m , −17 2T 2 4 T 1,9 ⋅10 J dove T è l’energia cinetica dell’elettrone. Sull’asse X l’elettrone si muove di moto uniforme: t= l+L =l 2 ⋅ 9,1 ⋅10 −31 kg 2m = 0,1 = 31ns T 1,9 ⋅10 −17 J 2T m Se l’elettrone entra nello spazio fra le placchette al centro, la deviazione massima in uscita deve essere 2,5cm, perché esso non urti il bordo. Poiché la deviazione in uscita dalle placchette è: eE 1 2 ∆y l ⇒ E = 4T 2 ⇒ el 2T 2 . 0, 025m ∆y −17 V = Ed = 4dT 2 = 4 ⋅ 0, 05m ⋅ 1, 9 ⋅ 10 J = 50V el 1, 9 ⋅ 10 −19 C ⋅ 0, 01m 2 ∆y = 7. La frequenza angolare è: ω = 8. T= 1 mv 2 = 10 4 eV = 1,6 ⋅10 −15 J ⇒ v = 2 dunque: B = 9. qdE 1,6 ⋅10 −19 C ⋅ 50V / m = 2 = 4,19 ⋅1011 rad / s . I 9,1 ⋅10 −31 kg ⋅10 −10 m 2T = m 2 ⋅1,6 ⋅10 −15 J 9,11 ⋅10 −31 kg = 5,9 ⋅10 7 m / s , E 75V / m = = 12,7 ⋅10 − 7 T v 5,9 ⋅10 7 m / s Data la relazione: mc 2 = (105 ⋅10 6 eV ⋅1,9 ⋅10 −19 C ) ⇒ m = 2 ⋅10 −11 J 9 ⋅1016 m 2 s − 2 = 2,2 ⋅10 − 28 kg . Il raggio di curvatura è: r= p = eB 2mT = eB 2 ⋅ 2,2 ⋅10 −28 kg ⋅ (1 ⋅10 6 ⋅1,6 ⋅10 −19 ) J 1,6 ⋅10 −19 C ⋅1,1T = 0,047m . 73 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ 10. L’accelerazione di gravità alla superficie di una tale stella è: g = G M e deve essere: R2 g > ω 2 R , perché oggetti alla sua superficie non vengano scagliati nello spazio, ovvero: ω 2 R < GM / R 2 ⇒ M > ω 2R3 = 4π 2 (2 ⋅10 4 m) 3 6.67 ⋅10 corrisponde ad una densità media di G −11 2 Nm kg −2 = 4,73 ⋅10 24 kg che (2π )2 / T 2 ⋅ R 3 3 ⋅ π / 12 s π /T2 =3 = = 4π 3 G 6, 67 ⋅ 10 −11 Nm 2 kg −2 RG . 3 = 1, 4 ⋅ 1011 kg / m 3 = 1, 4 ⋅ 108 g / cm 3 ρ= 11. La terza legge di Keplero ci dice che i quadrati dei periodi di rivoluzione sono proporzionali ai cubi dei semiassi. Considerando le orbite approssimativamente circolari i periodi si ottengono facilmente dal rapporto tra la distanza dal Sole della Terra e quella del pianeta considerato: T p = T ⋅ Corpo celeste Mercurio Venere Marte Giove Saturno Urano . Distanza dal Sole(km) 5,8.107 1,1.108 2,3.108 7,8.108 1,4.109 2,8.109 R 3p RT3 , dove T=365giorni. Si ottiene: Periodo (dì) 8847,9 22934,9 69321,1 432813,1 10407 9,8 29437 6.9 Velocità(km/s) 12. Calcolando il momento orbitale con la solita formula: L0=mvR, essendo R la distanza dal Sole, si ha: Corpo celeste L0 (kgm2/s) Mercurio . 8,9.1038 Venere 1,9.1040 Marte 3,5.1039 Giove 1,9.1043 Saturno 7,8.1042 Urano 2,1.1040 Lasciamo allo studioso lettore di calcolare l’energia cinetica di rotazione e di rivoluzione dei pianeti 13. Le velocità di fuga sono ( v f Mercurio = 2GM ): d 4,2km/s 74 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ Venere Marte Giove Saturno Urano 10,4km/s 5km/s 60km/s 36km/s 21,3km/s 14. La forza gravitazionale dovuta alla massa interna deve essere: M M F = G SS2 I = M SS a c , dove MI è la massa interna da calcolare, MSS è la massa del r sistema solare, pari a quella del Sole di 2.1030kg, e r è la distanza del baricentro del sistema solare dal centro della galassia, calcolato in 27.500anni-luce. In conclusione: a 2,1 ⋅10 −10 ⋅ (2,6 ⋅10 20 m) 2 MI = c r2 = = 2,13 ⋅10 41 kg . G 6,67 ⋅10 −11 Nm 2 / kg 2 15. Usiamo la conservazione dell’energia. L’energia (solo potenziale) totale iniziale è: M m M m M m 1 U max = −G S e si conserva, dunque abbiamo: − G S = −G S + mv 2 , RS RS x 2 da cui: dx 1 1 dx = 2GM S ( − )⇒ = dt x RS dt z= x ; da cui infine: RS dt = dz 2GM S R S3 = 1 −1 z R S3 2GM S integrando, abbiamo: t = − R S3 2GM S 2GM S RS RS dz −1 ⇒ = x dt dz R S3 dy 2 2GM S y y − 1 1 −1 z +∞ ∫y 1 =− dy 2 y −1 = π 2 2GM S R S3 1 − 1 , con z ( y = z −1 ) e, R S3 = 66 giorni . 2GM S Per il calcolo dell’integrale, vedere l’esercizio 7 alla fine del Cap. 4 delle dispense. Notare che in questa formula: t 2 ≈ R S3 , che dovrebbe ricordarci la seconda legge di Keplero. Commentare su questo punto. 16. Il momento della quantità del moto è zero. Ne segue che la traiettoria è una retta. L’equazione del moto è la stessa calcolata all’esercizio precedente “mutatis mutandis”: 75 Cap. 4 – Il moto nei campi di forza ________________________________________________________________________ t=− RS / x 2πε 0 mR S3 Qq ∫ 1 dy y 2 y −1 =− 2πε 0 mR S3 Qq t) ⇒ arctg y − 1 ⇒ y = 1 + tg 2 ( Qq 2πε 0 mR S3 −1 Qq x = R S 1 + tg 2 t 3 2πε 0 mR S Per il calcolo dell’integrale vedere le tavole degli integrali 17. Usiamo la conservazione T L = µρ 2 dϕ µ ⇒ dt =T = dt L ∫ 0 = µ L 2πC (1 − ε 2 3 2 2 ) del 2π ∫ρ 0 2 dϕ = momento µ L 2π C2 della quantità dϕ ∫ (1 + ε cos ϕ ) 2 0 = µ C di 2π 2 L 1− ε 2 moto: dϕ ∫ 1 + ε cos ϕ = 0 µ µ L 3 µ C ⇒ T 2 = 4π 2 ( ) 2 C = 4π 2 ( ) 2 a = 4π 2 a 3 2 3 L L A A µ (1 − ε ) 3 2 Per il significato dei simboli, vedere pag. 161 e seguenti delle dispense. Per il calcolo degli integrali vedere le tabelle CRC. 18. Il potenziale a distanza rN dal nucleo è quello coulombiano; moltiplicandolo per la carica della particella alfa, si ottiene l’energia potenziale ovvero il lavoro fatto dalla particella alfa nell’avvicinarsi al nucleo a spese della propria energia cinetica. Quando l’energia cinetica è stata spesa tutta, la particella alfa si arresta: T = 5 MeV = 8 ⋅ 10 −13 zZe 2 zZe 2 2 ⋅ 79 ⋅ e 2 10 J= ⇒ rN = = 0, 899 ⋅ 10 m / F = 4πε 0 rN 4πε 0T 8 ⋅ 10 −13 J = 4, 54 ⋅ 10−14 m 76