I confini sconfinati delle neuroscienze nel terzo millennio

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Ciro Mundi
I confini sconfinati delle neuroscienze nel terzo millennio
di Ciro Mundi
Negli ultimi decenni, i progressi scientifici nell’ambito delle neuroscienze hanno
determinato una profonda ridefinizione dell’intero corpus disciplinare che non ha similitudini in altri settori di ricerca ed applicazione delle discipline mediche. È, finalmente,
possibile ‘vedere’ le strutture principali del Sistema Nervoso (SN) grazie al sorprendente sviluppo delle grandi macchine neuroradiologiche (TAC, RMN, Spettroscopia
RMN) ed all’applicazione, in Neurologia, delle ricerche più avanzate nel campo della
medicina nucleare (SPECT, PET). Inoltre, la Neurofisiologia dispone di metodiche per
studiare l’attività del SN, centrale e periferico, che consentono, grazie alla digitalizzazione, di valutarne, con sempre maggior precisione, il funzionamento; la Neuropsicologia ha aperto nuovi scenari nell’ambito dello studio delle funzioni corticali superiori;
quelle funzioni proprie della corteccia cerebrale che rappresentano la massima integrazione di tutte le altre funzioni del SN.
Tutte queste indagini, il cui utilizzo dovrebbe essere prescritto, esclusivamente,
sulla base di protocolli convalidati, medicina basata sull’evidenza, ci consentono di studiare la morfologia normale e patologica del SN , di valutarne le funzioni fisiologiche e
patologiche, la risposta alla somministrazione di farmaci, le modificazioni del metabolismo cerebrale; ed, ancor più stupefacente, di individuare le aree del cervello che si
‘attivano’, si ‘incendiano’, in occasione di stimoli suscitanti emozioni (piacere, dolore,
rabbia, ecc...) o di complesse prestazioni (calcolo, lettura, scrittura, interpretazioni di
immagini, ecc...). Sapevamo, da molto tempo, che il SN, ed il cervello in particolare, era
costituito da molti organi in un solo organo. Il cervello è strutturato in parti specializzate per funzioni (linguaggio, motilità, sensibilità, ecc...). Non sapevamo, ed ancora oggi
non lo sappiamo del tutto, come queste parti si integrano per esplicare, simultaneamente, tutte quelle funzioni che ci permettono di vivere al meglio e cioè di ricavare un
soggettivo senso di benessere nell’adattamento con l’ambiente circostante. Ambiente
come insieme di variabili infinite che si modificano, assumendo significati e significanti
soggettivi imponderabili, nella coniugazione individuale del rapporto uomo/ambiente
che costituisce il vissuto, l’esperienza, la cui stratificazione mnesica informa e determina il comportamento che, a sua volta, inscrive ulteriori tracce nei circuiti neuronali. Il
percorso tortuoso in questo labirinto conduce al segreto della simultaneità che resta,
ancora oggi, uno dei punti più affascinanti della ricerca sul cervello e l’intero SN. In altri
termini, concordiamo sulla visione del cervello come regista dell’intero organismo umano
e delle sue relazioni, ma uno dei punti cruciali è: esiste un regista all’interno del cervello,
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o, al di là di esso, che opera la regia complessiva del cervello stesso? La mente è una mera
funzione cerebrale, al pari di tante altre, o, è la superfunzione che delinea, nel corso
dell’intera vita individuale, il principium individuationis, sfuggente ed affascinante, mimetico, a volte irrintracciabile, di ognuno di noi. Il dibattito in proposito è serrato e si
arricchisce, continuamente, di nuovi stimoli che illuminano zone, sino a poco tempo fa,
ritenute non solo oscure ma, addirittura, inesplorabili. Peraltro, è un dibattito che si è
articolato per l’intero secolo scorso, a partire dalla contrapposizione, tra Golgi e Cajal,
entrambi premi Nobel per la medicina nel 1906 per le ricerche in Neurologia. Camillo
Golgi, ‘l’architetto del cervello’, grazie ai suoi innovativi sistemi di colorazione delle
cellule nervose, visibili così per la prima volta, immaginò il cervello come struttura
fisiologicamente unitaria, diffusa; una rete, senza soluzione di continuità, che funziona
simultaneamente e metabolizza i dati nel suo insieme; una macchina che pensa in blocco (Teoria reticolare). Ramon Cajal, di contro, propugnava la teoria del neurone : il
cervello è un immenso puzzle di cellule elementari, ciascuna delle quali svolge individualmente il suo compito, certo in comunicazione con le altre, ma secondo percorsi
particolari e diversi per ogni singola operazione mentale.
Oggi, potremmo tentare di unificare le posizioni usando l’immagine di Paolo
Mazzarello, curatore, a Pavia, delle celebrazioni di Camillo Golgi per il centenario del
Nobel: “non c’è rete senza nodi , non ci sono nodi senza rete”. Di strada, da allora ne è
stata percorsa molta: l’ampliamento degli studi di genetica e di neurochimica, hanno
gettato nuova luce su molte, una volta inspiegabili, malattie neurologiche tra certezze
(Corea di Huntingthon, Distrofia muscolare, ecc…) e probabilità (Sclerosi laterale
amiotrofica, ecc... ) ipotizzando terapie non solo farmacologiche ma anche geniche.
Senza dubbio, la profilassi educativa eugenetica e la diagnosi precocissima hanno di
molto abbassato l’incidenza di gravi malattie altamente invalidanti, a prognosi infausta.
Nonostante tutto, la domanda che ritorna, non eludibile, è: l’enorme ampliamento delle conoscenze fisiologiche e fisiopatologiche ha determinato un reale miglioramento
delle capacità di cura e di possibilità di guarigione delle malattie neurologiche? Tale
quesito investe, oggi, come riflessione metodologica ed epistemologica, qualsiasi branca della medicina; nel caso specifico della neurologia, la domanda, e, di conseguenza, le
risposte possibili assumono connotati di peculiare complessità.
Del resto, la sfida alla complessità è uno dei presupposti della ricerca in neuroscienze che assume il maggior livello di criticità nell’applicazione, in vivo, dei possibili
strumenti di cura sapendo che non sappiamo, sino in fondo, come questi modificano il
cervello (organo), le sue funzioni normali e/o patologiche e/o la sua principale funzione
o superfunzione (la mente). Si perviene, così, alla chiave di volta dell’intero sistema: il
rapporto mente/cervello. Su questo tema, spesso eluso, si articola, quantomeno, la confluenza di saperi specialistici afferenti alla medicina, alla psicologia ed alle scienze umane. La questione potrebbe essere liquidata, in perfetto stile positivista, mettendo in campo
considerazioni lineari, di causa ed effetto, rifuggendo quindi dalla complessità. Consapevoli di questo, tuttavia, da questa tipologia di considerazioni non possiamo prescindere, poiché anche la complessità più inestricabile discende da quesiti semplici. La constatazione, incontestabile, che esistono soggetti privi di facoltà mentali (amenza) con un
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cervello anatomicamente integro, mentre non esistono soggetti con funzione mentale
in assenza di cervello (anencefalia) potrebbe farci concludere che la funzione mentale è
esclusivamente legata al cervello e che le alterazioni della funzione sono da ricercare
nelle alterazioni della struttura (cervello) che esprime suddetta funzione. Enfatizzare
questo principio, in epoche anche recenti, è servito soltanto a creare un improprio spartiacque tra organicisti (in genere i neurologi ed una parte degli psichiatri con il loro
insufficiente armamentario semeiologico e neuropsicofarmacologico) e psicoterapeuti
dediti alla psicologia dinamica, ed alle psicoterapie derivate, che pubblicamente aborrivano gli psicofarmaci, camicia di forza chimica, per prescriverli, ineluttabilmente, con
dovizia, nel drammatico confronto con la malattia mentale, specialmente nei suoi stati
di acuzie. Il progresso repentino delle neuroscienze ha spiazzato, seppur in forme e
modi diversi, gli uni e gli altri. I neurologi hanno, a fatica, dovuto imparare che molti dei
cosiddetti disturbi funzionali non sono da negligere solo perché non hanno il riscontro
di un’alterazione organica (es. la fatica nella Sclerosi multipla). Gli psichiatri hanno
imparato che la plasticità neuronale, la neurochimica aiutano a spiegare il funzionamento del cervello e che, quanto più si conosce il cervello tanto più si conosce la sua
funzione/superfunzione che è la mente.
Questo reciproco riconoscimento, fortunatamente, è nei fatti: sia nell’ambito
della ricerca in Neuroscienze, sia nell’ambito operativo clinico. Non è più il tempo di
stabilire primati. Lo stato dell’arte ci consente di affermare che qualsiasi alterazione,
d’organo e/o di funzione, del complesso mente/cervello si inscrive nelle nostre storie
personali, sul nostro vissuto, sul nostro psichismo, ed a sua volta, tutto questo, si inscrive nel nostro cervello determinando una traccia, spesso irrintracciabile, che, però,
sarà parte integrante del funzionamento del cervello da quel momento in poi, caratterizzando le nuove strategie di adattamento. Molte, inevitabilmente, sono le questioni
che rimangono aperte. Ne citeremo alcune. Le possibilità di cura sono notevolmente
ampliate, mentre le possibilità di guarigione, restitutium ad integrum, sono praticamente immutate. Se è abbastanza comprensibile che malattie dovute ad una lesione del
SN possono essere curate ma non guarite, poiché, allo stato attuale, la lesione non può
essere ricondotta ad integrum, diventa più difficile capire come risulti altrettanto difficile guarire malattie in cui non si rintraccia alcuna lesione (forme di ansia che perdurano
tutta la vita, depressioni cicliche ecc...).
Quindi, sono aumentate le possibilità di cura, molto poco le possibilità di guarigione. È necessario, pertanto, un ripensamento sulla distinzione, troppo semplicistica,
tra malattie organiche e malattie funzionali. In un’ottica nuova, al posto di quella per
cui le malattie organiche esistono veramente, perché derivate da una o più lesioni, mentre quelle funzionali sono dovute solo a suggestione del paziente o, peggio, alla sua
scarsa volontà di guarire, come se la volontà stessa non fosse una di quelle funzioni
complesse, alterate dallo stesso meccanismo che altera gran parte delle funzioni di relazione con sé e con l’altro da sé. Scrive Francesco Barale nella introduzione al monumentale dizionario Psiche (Torino, Einaudi, 2006): “Grazie allo sviluppo della ricerca
biologica e tecnoscientifica siamo alle soglie della realizzazione di un sogno: una spiegazione virtualmente integrale e scientificamente rigorosa dello psichismo umano. Que25
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sto non vuol dire, pena un riduzionismo antico, che i correlati nervosi sono l’unico
livello di comprensione legittimo dell’esperienza mentale, normale e patologica, Indubbiamente, nessuna discussione seria può ormai prescindere dalle conoscenze sulla
materia della mente (sul substrato organico)”.
Questa considerazione è pienamente condivisibile; tenta di riunire, senza alcuna
assimilazione, le diverse articolazioni delle Neuroscienze, affrontando le questioni più
ostiche da molteplici angolazioni, tendenti alla convergenza, fondate sulla insostituibile
esperienza clinica. Ed è proprio l’esperienza clinica a sorprenderci, allorquando verifichiamo che un soggetto affetto da esiti di ictus cerebrale (malattia organica) riesce a
sviluppare strategie di adattamento, spesso, più efficaci di quelle di un soggetto affetto
da crisi di attacchi di panico (disturbo funzionale). E curare non significa, di fatto, concorrere, in alleanza con il paziente, a raggiungere il maggior grado di adattamento possibile? Con strumenti adatti a modificare l’assetto patologico, qualunque ne sia l’origine. L’obiettivo primario dei terapeuti, medici e non, resta quello di curare, nella speranza fondata di poter anche guarire, constatando la eventuale guarigione, con serenità di
mente, anche quando questa si verifichi attraverso strade che la scienza non prevede.
Quest’ultima considerazione è uno dei frutti del clima neuropsichiatrico che ha influenzato la ricerca e la pratica delle Neuroscienze anche in ambito pugliese. Eugenio
Ferrari, per molti anni direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Bari, esplorava la frontiera del Sistema Nervoso Vegetativo quale interfaccia fondamentale del
rapporto uomo/ambiente.
Nella medesima Clinica, negli stessi anni, il compianto Francomichele Puca indirizzava i suoi studi principalmente sul sonno e sulle cefalee tracciando interessanti
profili psicopatologici nelle forme di cefalea cronica. A Foggia, la Neurologia è stata
animata, per circa quarant’anni, da Bruno Scillitani, recentemente scomparso; già negli
anni Sessanta pensò alla Neurologia articolata in settori di interesse anche per le patologie
di confine: alcolismo e farmacodipendenze, medicina psicosomatica, neuropsicologia,
neurofisiologia, nel tentativo di tenere ancorata la Neurologia alla “grande madre” della Medicina Interna (di cui Stefanutti era stato insigne clinico proprio a Foggia) operando affinché il sapere specialistico, soprattutto negli anni di frenetico sviluppo, non frantumasse la visione unitaria dell’individuo e non inducesse i neurologi a considerarsi
depositari dei segreti del cervello e della mente. Nel terzo millennio gli allievi di questi
Maestri che, attualmente, operano (a Bari, Foggia ed altrove) nel campo delle
Neuroscienze, in postazioni universitarie ed ospedaliere, non possono che sviluppare
quest’imprinting scientifico ed esistenziale, diventando testimoni didattici nel confronto con i più giovani ai quali è sempre più necessario rammentare che il rapporto medico/paziente non può essere sostituito, o schermato, da alcun esame mirabolante. La
responsabilità della diagnosi, del prendersi cura, non sono derogabili e si articolano su
protocolli scientifici e creatività individuale per trasformare la distanza tra chi sa (il
medico) e chi non sa (il paziente) in alleanza per suscitare tutte le parti sane in contrasto
con le parti ammalate nella consapevolezza di muoversi, entrambi, sul crinale, entusiasmante e scoraggiante, di uno sconfinato confine.
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