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Capitolo 3
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I Franchi
e la nascita del feudalesimo
Sommario
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1. Carlo Magno e il Sacro Romano Impero. - 2. Le istituzioni della Chiesa nell’impero carolingio.
3. L’amministrazione della giustizia: i conti e i missi dominici. - 4. Il feudalesimo.
5. La comparsa del termine «feudo» in età postcarolingia. - 6. I caratteri di una cultura giuridica.
1.Carlo Magno e il Sacro Romano Impero
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La vittoria riportata da Carlo Magno sui Longobardi nel 774 segnò l’inizio di
una nuova fase nella vita istituzionale e culturale dell’Italia centro-settentrionale e dell’Europa.
Con la conquista del territorio longobardo, Carlo Magno aveva portato a
compimento quella politica espansionistica che era stato uno degli obiettivi
principali dalla monarchia franca. Tale conquista fu solo una delle tante imprese politico-militari che vennero portate a compimento durante il lungo regno
di Carlo Magno (768-814). Già alla fine dell’VIII secolo, infatti, il dominio dei
Franchi si estendeva da Ovest verso Est tra la Spagna e il Danubio, e da Nord
verso Sud tra la Danimarca e il territorio che fu del regno longobardo.
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«Finalmente tutti coloro che non si rassegnavano alla morte dell’Impero romano o al suo esilio
in Oriente, coloro che idealizzavano l’antica Roma come il modello della giustizia e della pace,
della potenza e dell’intelligenza, videro in questo Germano “vestito di pelli ferine” l’uomo destinato a ridare un corpo al fantasma imperiale. Fantasma, certo, perché la storia non inverte il
suo cammino […] ma illusione onnipotente, poiché a dispetto dell’ignoranza e della diffidenza
che il resto d’Europa provava per la città semibizantina dei papi, essa poté compiere il miracolo della risurrezione.» (LOPEZ).
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In questa situazione l’asse politico ed economico si spostò definitivamente dal
bacino del Mediterraneo verso Nord, verso il cuore dei possedimenti carolingi
e, in effetti, il nuovo Impero venne concepito soprattutto come un’espansione
dell’originario regno dei Franchi.
Come i Longobardi, anche i Carolingi ebbero della sovranità una concezione
prevalentemente patrimoniale: il regnum era proprietà del rex, acquisito al
patrimonio della famiglia ed il potere era strettamente connesso alla ricchezza
fondiaria.
L’enorme potenza politica raggiunta da Carlo Magno trovò il suo compiuto
riconoscimento quando, nella notte di Natale dell’800, il sovrano venne incoronato imperatore da Papa Leone III ed il popolo romano lo acclamò quale
nuovo Augusto, incoronato da Dio e tutore della pace. Nacque così il Sacro
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Romano Impero, che riuniva in un solo corpo tutti i regni assoggettati da
Carlo Magno.
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«[….] Nuova era tutta la creazione politica che un re franco e un romano pontefice avevano
messo in atto nell’800, designandola con un nome antico, ricchissimo di memorie, e nuova era
tutta la concezione della vita e del mondo, nella quale doveva inquadrarsi e vivere quella creazione.» (Calasso).
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Nella istituzione del Sacro Romano Impero la nozione di sovranità era inscindibile dal compimento di una missione religiosa.
L’incoronazione di un re germanico, fatta dal pontefice nel richiamo all’impero
romano sembrava creare una sintesi unitaria. Il compito dell’impero diveniva
quello di promuovere l’unità dei diversi popoli, in vista della salvezza eterna.
Carlo Magno si sentì a tutti gli effetti l’advocatus Ecclesiae, ossia il difensore
della Chiesa dai suoi nemici e colui che doveva assicurare alla Chiesa la possibilità concreta di svolgere il proprio mandato. In questa maniera veniva realizzato l’ideale agostiniano di un impero cristiano in cui la città terrena prefigurava quella celeste.
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A) Le caratteristiche dell’impero: l’indistinzione tra pubblico e privato
Se l’impero carolingio fu romano e cristiano nei suoi fondamenti spirituali, fu
tuttavia un impero germanico dal punto di vista istituzionale e organizzativo.
In esso venne conservato ancora il vecchio concetto germanico di Stato come
insieme di uomini liberi (arimanni) capaci di portare armi e legati al proprio
capo da un vincolo di fedeltà personale. Per i Franchi il potere era essenzialmente un fatto patrimoniale, derivando dalla ricchezza fondiaria. In una concezione di questo genere era quindi implicita l’indistinzione tra la nozione di
pubblico e quella di privato.
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«Vi è nei Franchi una più marcata indistinzione tra “pubblico” e “privato”, affiorante e manifesta sia nelle “leggi” sulla successione al trono […] sia nella pratica del potere e nella configurazione del rapporto fra il re e le res regie. È una visione della “sovranità” che viene trasmessa alle
istituzioni del secolo IX e X, e soprattutto, nell’immediato, all’Imperium rinnovato nell’800.
Essa crea obiettivi motivi di scontro con la Chiesa.» (BELLOMO).
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L’idea di un potere profondamente privatizzato ha costituito il tessuto ideale
per la rinascita del Sacro Romano Impero, voluta da papa Leone III e da
Carlo Magno, anche se con fini evidentemente opposti. Carlo Magno si impegnò per riorganizzare le arti, le lettere, il commercio, il clero, le leggi. Ma
della portata del suo stesso progetto non si rese pienamente conto. Fino all’ultimo, infatti, si sforzò di governare l’Impero come una pura e semplice estensione del regno.
Il concetto barbarico di Stato come proprietà privata non venne superato, i
concetti di imperium e di dominium rimasero confusi e indistinti. Ciascun regno
riunito nell’Impero conservò amministrazione, istituzioni e leggi separate.
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Capitolo 3: I Franchi e la nascita del feudalesimo
Il Sacro Romano Impero
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Dal punto di vista dell’amministrazione interna e dell’organizzazione dei territori il Sacro Romano Impero di
Carlo Magno, pur conservando molte caratteristiche dei
regni romano-germanici, presenta anche importanti elementi nuovi, legati a un considerevole sforzo di centralizzazione.
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«Il potere di Carlo, al di là dell’eccezionale statura politica dell’imperatore, va meglio espressa
proprio con le parole adoperate in molte fonti: non imperium, ma ministerium ; non rapporto di
dominio politico assoluto su tutti i sudditi, ma “funzione” nella gestione degli affari dell’impero, che appartiene al sovrano, alla sua famiglia, al limite al ceto dei nobili, e può essere trasmessa e divisa ereditariamente, per generazioni.» (BELLOMO).
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B) L’amministrazione centrale dell’impero
L’amministrazione interna faceva capo al palazzo (palatium), termine con il
quale si indicava sia la residenza del sovrano sia l’intero corpo di funzionari e
dignitari di corte addetti alle diverse mansioni. Tra questi, gli “ufficiali” più
importanti erano quelli preposti alla guida degli affari ecclesiastici, il responsabile della Cancelleria, dunque della redazione di diplomi, lettere del re e
testi legislativi, e infine i conti palatini, responsabili dell’amministrazione
della giustizia.
Questi funzionari, insieme al personale ad essi sottoposto, costituivano un
embrione di amministrazione centrale, più avanzata rispetto ai regni precedenti sebbene ancora non paragonabile alle strutture dell’impero bizantino.
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C) L’organizzazione periferica e il controllo del territorio
Il controllo di un territorio vasto e caratterizzato da tradizioni e popoli differenti come quello dell’impero carolingio avrebbe richiesto risorse e mezzi che
Carlo non possedeva. Rimasero dunque in vigore gli ordinamenti e le leggi
preesistenti alla conquista, soprattutto nel campo del diritto privato, mentre le
novità più importanti si ebbero soprattutto nella divisione del territorio e
nella scelta dei funzionari regi.
In alcune regioni, infatti, come l’Aquitania e l’Italia, Carlo costituì regni nuovi e dotati di ampia autonomia, affidandone la corona ai figli.
Dove ciò non avvenne, cioè nella maggior parte dei casi, egli creò distretti
territoriali più o meno ampi, affidati a funzionari con il compito soprattutto
di provvedere alla difesa e alla amministrazione della giustizia. Tali distretti
erano le contee, affidati a un conte; le marche, distretti di frontiera, più ampi
rispetto alle contee e a più forte carattere militare, affidati a un marchese; e i
ducati, i distretti di maggiore estensione, disegnati per includere gruppi omogenei di popolazione. Venivano cioè creati per includere in un unico territorio
gruppi etnici ben definiti e consapevoli della propria identità (come per esempio in Baviera o in Bretagna). L’amministrazione era affidata a un duca.
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Il funzionario – conte, marchese o duca – era di norma un nobile già in possesso di un patrimonio fondiario di famiglia (allodio). Come ricompensa del
suo servizio egli riceveva tuttavia la rendita dei beni terrieri associati all’ufficio svolto, nonché i proventi di multe e confische. Infine, per assicurarsene
ulteriormente la fedeltà, l’imperatore li costituiva suoi vassalli, cedendo loro
un beneficio, cioè altri fondi. I funzionari imperiali di Carlo, dunque, erano
titolari di un ingente patrimonio terriero, e dei diritti che ne derivavano, che
ben presto iniziarono a considerare ereditario.
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«Il potere regio si esercitava facendo ricorso al banno, cioè ad un potere di comando la cui violazione comportava pesanti sanzioni pecuniarie. […] Carlo Magno introdusse un ulteriore strumento per accrescere l’efficacia e la capillarità del potere sovrano: il giuramento di fedeltà
[…]. Il giuramento di fedeltà ebbe l’effetto di introdurre un elemento contrattuale nel rapporto
tra i sudditi e re, tale da indebolire in prospettiva lo stesso potere regio che pure si era voluto
rafforzare» (PADOA-SCHIOPPA).
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Consapevole della forza che questa situazione comportava, Carlo ideò una
serie di contrappesi al potere dei suoi funzionari. Innanzitutto egli fece stanziare all’interno dei diversi distretti alcuni suoi fedeli diretti, i cosiddetti vassi
dominici; in secondo luogo, fece ampio ricorso all’istituto delle immunità,
perlopiù ecclesiastiche, al fine di ridurre la giurisdizione dei funzionari.
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Le immunità erano porzioni di territorio, facenti capo perlopiù a chiese e monasteri e sottoposte
all’autorità ecclesiastica, che godevano di un regime fiscale e giuridico particolare. In esse la
riscossione delle imposte e l’amministrazione della giustizia, infatti, non erano affidate al funzionario regio bensì al vescovo o all’abate. Si creavano così «isole di giurisdizione» che limitavano l’autorità dei conti, dei marchesi o dei duchi, favorendo allo stesso tempo la collaborazione tra Impero e Chiesa.
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Al fine di controllare l’operato dei funzionari regi, nonché l’applicazione dei
capitolari (di cui parleremo subito), Carlo istituì le figure dei missi dominici,
veri e propri ispettori che, a due a due (di norma un laico e un ecclesiastico),
ogni anno visitavano i distretti dell’impero dotati di ampi poteri. Essi rappresentavano direttamente l’imperatore e a lui facevano rapporto al loro ritorno.
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D)L’attività legislativa: i capitolari
L’imperatore, assistito dal placitum generale dei grandi dell’Impero, emanava
norme che, poiché erano divise in capitula, venivano chiamate comunemente
capitularia. I capitolari imperiali emanati da Carlo Magno erano soprattutto
disposizioni di ordine generale, comunque isolate, che regolavano caso per
caso le singole materie, ben distanti dal costituire una raccolta articolata di
norme giuridiche. Ciascuno dei popoli dell’Impero continuava a reggersi seguendo il proprio diritto tradizionale, ridando vita in questo modo alla vecchia
concezione barbarica della personalità del diritto.
«Nelle provincie continentali dell’antica Romània, occupata dai barbari, più tardi nella Germania conquistata dai Franchi, la presenza, fianco a fianco, di uomini che per la loro nascita appar-
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Capitolo 3: I Franchi e la nascita del feudalesimo
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tenevano a popoli diversi aveva condotto alla più singolare mescolanza che un professore di
diritto possa, nei suoi incubi, sognare. In linea di massima […] l’individuo, ovunque abitasse,
rimaneva sottomesso alle leggi che avevano governato i suoi antenati.» (BLOCH).
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Non deve essere, invece, sottovalutato il fatto che questi capitolari venissero
trasmessi per iscritto: l’uso della scrittura è una caratteristica tipica del regno
carolingio.
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Capitolari e disciplina
«Sebbene i comandi incorporati nei capitolari fossero stati originariaecclesiastica
mente espressi a voce, e nell’oralità risiedesse la loro prima fonte autoritativa, il fatto che essi venissero poi trasmessi per iscritto non deve
essere sottovalutato. L’uso dell’amministrazione — tanto più singolare in un re illetterato, ma
estimatore della cultura e promotore di un rinnovamento intellettuale che avrà effetti duraturi
— è una caratteristica del regno carolingio. Solo ricorrendo alla scrittura e alla lingua latina era
possibile tentare di governare secondo criteri uniformi un coacervo di popoli così eterogenei.»
(PADOA-SCHIOPPA).
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Furono parecchi i capitolari generali di tipo programmatico, dove venivano
enunciati principi generali sulla giustizia, sull’imparzialità, sul buon governo,
tanto da far pensare che gli intenti di amministrazione e di comando di Carlo
Magno siano stati spesso vani, nonostante l’imperatore avesse un concetto
assai alto del proprio potere. Carlo Magno, in effetti, considerava il suo ruolo
pari a quello del pontefice e a quello dell’imperatore d’Oriente. La sua idea era
quella di riuscire a gestire la Chiesa non solo per quanto riguarda gli aspetti
organizzativi, ma anche dal punto di vista dottrinale.
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«Questa ideologia teocratica portava il germe delle future ed aspre lotte tra i due poteri, dal
momento che la Chiesa d’occidente era nata […] con radici ben distinte da quelle dell’autorità
imperiale. D’altra parte, la costruzione politica di Carlo Magno mantenne, riguardo ai principi
della successione, l’impostazione privatistica dei Franchi: se Carlo era divenuto unico re in
seguito alla rinuncia al trono del fratello Carlomanno, poco tempo dopo la morte del grande
sovrano l’unità del regno si infranse per sempre, perché il territorio del regno venne spartito tra
i discendenti. Iniziò allora, intorno alla fine del secolo IX, la fase più frammentata della storia
dell’Occidente.» (PADOA-SCHIOPPA).
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E) La disciplina ecclesiastica
I rapporti tra l’impero carolingio e la Chiesa furono regolati da una cospicua
serie di capitularia ecclesiastica, da cui traspare evidentissimo il convincimento degli imperatori di essere investiti del compito di tutelare la comunità dei
fedeli e di essere quindi titolari di un diritto-dovere di ingerenza nelle faccende spirituali.
Carlo Magno intervenne incisivamente anche in materia liturgica e di culto,
commissionando ad Alcuino di York e a Paolo Diacono la revisione della Bibbia e la redazione di un libretto di omelie da leggere durante la messa in tutte
le chiese del regno. Consacrò un vescovo per ciascuna diocesi e stabilì limiti
alla diffusa prassi dei prelati di abbandonare arbitrariamente le sedi di origine
per altre più vantaggiose. Convocò concili e combatté l’iconoclastia.
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I capitularia ecclesiatica dei re carolingi, spesso richiesti con forza dallo stesso clero, venivano
solitamente pubblicati in occasione di diete. Sicuramente furono numerosissimi, e tra l’826 e
l’827 quelli di Carlo Magno vennero raccolti in quattro libri dall’abate Angesiso.
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Sacro Romano Impero: breve cronistoria
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Il carattere universalistico del Sacro Romano Impero non trovò tuttavia una realizzazione proficua, anzi non sopravvisse al figlio di Carlo Magno, Ludovico il Pio (814-840).
Già nell’agosto dell’843 il trattato di Verdun ne determinò la divisione territoriale, pur
riconoscendo l’unicità del titolo imperiale.
Il suddetto trattato stabilì una spartizione dei territori dell’Impero tra i figli di Ludovico il
Pio. A Lotario furono attribuite la Lotaringia (attuale Lorena) e l’Italia, oltre al titolo di
imperatore. A Carlo il Calvo andò l’odierna Francia e a Ludovico l’odierna Germania.
Al trattato di Verdun seguì circa un secolo caratterizzato dall’affermazione dei poteri
locali. Fu Ottone I di Sassonia, nel 962, a progettare un tentativo di restaurazione del
Sacro Romano Impero – la cd. renovatio imperii – che tuttavia sfociò, in particolare con
i figli Ottone II e Ottone III, in una territorializzazione del titolo imperiale. Questo infatti
restò associato alla corona di Germania, per se formalmente rimasero soggette all’imperatore ampie zone dell’Italia, la Boemia e la Borgogna.
Tra XI e XII secolo, poi, le pretese universalistiche degli imperatori si scontreranno da
un lato con i progetti analoghi dei pontefici impegnati nella riforma della Chiesa – in
particolare Gregorio VII e Innocenzo III – dall’altro con la fioritura di soggetti politici
nuovi, i Comuni dell’Italia settentrionale e della Germania, portatori di istanze particolaristiche e destinati a giocare un ruolo decisivo nel passaggio dagli ordinamenti medievali a quelli dell’epoca moderna.
Proprio per l’opposizione dei Comuni possono dirsi sostanzialmente falliti i tentativi di
rilancio effettuati da Federico I Barbarossa e da Federico II di Svevia.
La Bolla d’oro emanata da Carlo IV nel 1356 riconobbe il diritto di elezione dell’imperatore a sette principi tedeschi. Ciò causò la definitiva germanizzazione dell’Impero, a
partire dal nome, che diventerà Sacro Romano Impero della nazione germanica.
L’ultimo tentativo, effettuato da Carlo V d’Asburgo (1519-1556), di creare un impero
sovranazionale fu interrotto, per sua stessa volontà: abdicando egli divise tra due monarchie (Spagna e Austria) i territori dell’impero. Il titolo resterà legato agli Asburgo
austriaci, ma il Sacro Romano Impero si configurò come una struttura confederale di
principati e città tedeschi, e con la pace di Westfalia (1648) divenne solo uno Stato tra
molti altri.
Francesco II d’Asburgo-Lorena (1792-1806) fu l’ultimo sovrano a fregiarsi del titolo di
imperatore del Sacro Romano Impero. Il 6 agosto 1806 vi rinunciò, in seguito alla trasformazione della geografia politica europea seguita alla Rivoluzione francese e a
Napoleone, per assumere quello, più rispondente alla nuova realtà, di imperatore
d’Austria.
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2.Le istituzioni della Chiesa nell’impero carolingio
In età carolingia le istituzioni della Chiesa e quelle statali si intersecano l’una
nell’altra, cosicché i due organismi diventano difficilmente distinguibili.
Ai vescovi furono affidate funzioni politiche ed amministrative, all’imperatore
compiti di sorveglianza e di riforma della Chiesa. Le deliberazioni della Chie-
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sa diventavano leggi dello Stato e, per converso, quest’ultimo rendeva imposta
obbligatoria la decima dovuta alla Chiesa. I rapporti tra imperatore e pontefice
divennero di stretta alleanza. Le origini di tale collaborazione risalgono all’intervento di Pipino il Breve in Italia per difendere papa Stefano II dai Longobardi. Pipino scese in Italia due volte (754 e 756), donando al papa le terre
bizantine (Esarcato e Pentapoli) sottratte in precedenza dai
Longobardi. La donazione di Pipino pose le basi per la La Chiesa nell’impero
nascita dello Stato pontificio ed il pontefice cumulò al suo carolingio
ruolo di capo della Chiesa gli interessi particolari di capo
dello Stato. Con Carlo Magno il pontefice fu ammesso ad agire a corte, direttamente o tramite propri legati, e ad indirizzare i vescovi ma, purtuttavia, restava sotto la tutela imperiale.
Ludovico il Pio, invece, nell’817 riaffermò la sovranità e l’indipendenza del
papa e si impegnò ad astenersi dall’intervenire negli affari politici della Chiesa e nei possedimenti di questa, garantendo contestualmente la libertà delle
elezioni del papa. A partire dall’830 si ebbe una preponderanza del pontefice,
che si attribuì il potere di designare l’imperatore, intervenendo quindi nella
successione all’Impero.
Caratteristica saliente della politica carolingia fu inoltre la preoccupazione per
la riforma della Chiesa.
«Di interventi a sostegno della Chiesa v’era in effetti gran bisogno. Tra il 680 e il 740 la sua
decadenza aveva toccato il fondo: gerarchia in pezzi, clero ignorante e reclutato senza criterio,
disordine, indisciplina, aristocrazia laica invadente.» (CORTESE).
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La riorganizzazione della Chiesa, in realtà, ebbe inizio già nel 745 quando
l’arcivescovo Bonifacio, d’accordo col papa Zaccaria, ripristinò la gerarchia
ecclesiastica (dopo il disordine dell’età merovingia), ridefinì i poteri dell’arcivescovo, fissò sanzioni severe per la violazione del celibato e ristabilì la durata annuale dei concili.
Pipino accettò le riforme di Bonifacio ma dispose che la Chiesa si rivolgesse
al re per tutte le contese. Al re spettava inoltre controllare l’osservanza delle
norme sulla disciplina del clero ed ordinare la convocazione dei sinodi.
Carlo Magno continuò la riforma, proibendo l’allontanamento scriteriato dei
prelati dalle proprie sedi, facendo eleggere e consacrare un vescovo per ogni
singola diocesi e curando che il clero obbedisse ai vescovi.
Ludovico il Pio seppe, invece, dominare meno la riforma, ponendosi piuttosto
come mero esecutore delle decisioni dei sinodi.
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«L’armonico svolgimento della funzione ecclesiastica dello Stato cominciò di fatto a incrinarsi
a metà del sec. IX ma la prima dissonanza ideologica, implacabile e senza ritorno esploderà solo
con la riforma gregoriana della seconda metà dell’XI, quando il restauro della Chiesa affidato
a monaci e a pontefici si accompagnerà per la prima volta al rifiuto inesorabile dell’intervento
dell’autorità imperiale.» (CORTESE).
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3.L’amministrazione della giustizia: i conti e i missi dominici
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L’ordinamento carolingio, al pari di quello merovingio, affidava al conte la
principale funzione di amministrazione della giustizia.
Tale autorità, probabilmente, era la diretta derivazione dal comes civitatis
(funzionario dell’imperatore, inviato in una provincia) e dal grafio germanico.
Ad ogni modo, si deve ritenere che l’autorità di conte era prevista esclusivamente dall’ordinamento franco (Merovingi e Carolingi), come viene confermato, tra l’altro, dall’assenza di tale carica in quelle zone dell’Impero non
abitate da tale popolo.
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«Il caso delle terre italiane già longobarde è, in proposito, particolarmente significativo. Come
è stato dimostrato dal Delogu il numero di conti in queste regioni tra la fine del secolo VIII e i
primi del successivo risulta molto scarso; e tale numero diminuì ulteriormente verso la metà del
secolo IX. Appare legittimo pensare che tale scarsità dipendesse dalla limitata presenza di Franchi nel territorio già longobardo: i conti, carica militare e giudiziaria dei Franchi, guidavano i
gruppi della loro etnìa, mentre gli altri popoli residenti nel regno d’Italia continuavano ad avvalersi di quelle tradizionali del proprio ordinamento personale.» (CARAVALE).
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Il conte franco, dunque, era non solo un capo militare competente ad assicurare la pace all’interno di una comunità di uomini liberi armati, nonché dotato
dei poteri necessari a guidare questi ultimi durante le spedizioni militari e a
preparare le strategie di attacco contro i nemici, ma era anche un giudice.
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«Specialmente Carlo Magno insiste sulla funzione giurisdizionale del conte. Pretende in particolar modo ch’essi migliorino la propria formazione legale: è vero che, in seguito alle riforme
della fine dell’ VIII secolo, nei tribunali possono contar sugli scabini, esperti delle leggi popolari e delle consuetudini, che Carlo aveva posto loro accanto come “trovatori di sentenze”: ma
evidentemente il sovrano non voleva che i conti si limitassero a presieder placiti da grezzi uomini politici, incapaci d’intervenire in prima persona a difesa della legalità e della giustizia.»
(CORTESE).
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L’amministrazione della giustizia affidata al conte (il quale si avvalse in seguito di vari collaboratori: vicari e scabini) consisteva sostanzialmente nella tutela e conservazione delle consuetudini del popolo, talvolta fissate in raccolte
scritte.
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Ciò si evince espressamente dal Capitulare missorum generale (802), che imponeva ai conti di
tutelare il diritto «secondo le leggi scritte e non secondo l’arbitrio personale».
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Soprattutto in età carolingia, l’imperatore sceglieva liberamente i conti tra i
giovani appartenenti alle antiche famiglie aristocratiche ed educati alla Corte
regia. All’atto della sua nomina, il conte generalmente prestava giuramento di
fedeltà al re (ma non diveniva suo vassallo) e poteva essere revocato in qualunque momento.
Al conte, di solito, non veniva corrisposto del denaro dall’imperatore in cambio
dei servigi resi, ma spesso gli venivano attribuite terre in beneficio. A partire
dal IX secolo, gli vennero concessi dei monasteri, allo scopo di percepirne le
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rendite. Il conte riceveva, inoltre, un terzo delle ammende regie ed un’ammenda di 15 soldi in caso di inosservanza ai suoi ordini.
Alla fine di ogni anno tutti i conti in carica avevano l’obbligo di riunirsi in una
conventio generalis e di fornire all’imperatore un rendiconto generale della
propria amministrazione.
Come accennato poco sopra, per bilanciare l’ampio potere dei conti Carlo istituì la nuova magistratura dei missi L’amministrazione della
dominici, ai quali spettava di vigilare e controllare non giustizia
solo l’attività comitale, ma anche quella dei vescovi.
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«I vescovi fanno anch’essi parte del ministerium regis e rientrano nell’apparato amministrativo:
i vescovi infatti predicano e ammoniscono, i conti perseguono la giustizia, i loro scopi coincidono e le loro strade debbono convergere. Tanto che i vescovi – dice un famoso capitolare italiano di Lotario – quando intervengono su colpe e reati con le loro sanzioni spirituali possono
rivolgersi ai conti ed esigere l’applicazione di misure temporali.» (CORTESE).
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Un capitolare dell’802 stabilì che i missi venissero scelti annualmente tra il
personale più facoltoso di corte (ciò per scongiurare il pericolo di venalità). In
coppia, venivano inviati in visita in una circoscrizione dell’Impero (missiaticum). In ogni località tenevano un’assemblea generale degli uomini liberi, in
cui raccoglievano le denunce (clamores) presentate dai liberi più affidabili
della comunità contro l’operato di conti, vescovi, abati e notabili, nonché le
suppliche di persone indifese (orfani e vedove, soprattutto).
A differenza del conte, che, in qualità di capo della corte di giustizia popolare
si limitava a dichiarare in giudizio il risultato della prova conseguente alla
corretta applicazione della consuetudine, i missi promuovevano un giudizio di
merito, dirigendo un’inchiesta (inquisitio) finalizzata alla ricostruzione dei
fatti verificatisi.
Essi svolgevano, inoltre, funzioni amministrative, quali inchieste sulla riscossione delle imposte, sull’emissione di moneta falsa, sulla manutenzione delle
strade e sulla gestione delle chiese.
Gli ordini dei missi erano accompagnati dal banno regio, e per questo obbligavano tutti i destinatari e comportavano pesanti sanzioni per chi li violasse.
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I missi dominici provvedevano, infine, alla nomina degli scabini, un corpo stabile di giudici
locali, che sedevano nei collegi giudicanti presieduti dal conte con il compito di rinvenire la
sentenza che poi il conte o il missus avrebbero pronunciato. Erano, quindi, concepiti come
«trovatori di sentenze» (urteilfinder).
Essi dovevano prestare formale impegno a tenere conto, nell’esercizio della loro attività, anche
delle regole di più recente introduzione. Qualora alla fattispecie concreta da giudicare non corrispondesse alcuna legge, gli scabini dovevano sentenziare secondo equità, creando ex novo una
norma. Per questo motivo venivano definiti anche legumlatores.
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A) Le premesse
I Franchi, malgrado il loro sforzo di emulazione delle strutture politico-amministrative romane, non erano riusciti a fare proprio né il concetto di Stato, né
quello di res publica. Il regno continuava a essere considerato una proprietà
personale, allo stesso modo dei possedimenti e dei tesori, e sui rapporti personali era stata costruita la struttura dell’Impero.
I Carolingi, a partire dal capostipite Pipino d’Heristal, avevano infatti costruito la propria fortuna facendo largo uso di clientele armate, contingenti militari legati al re da un particolare rapporto detto vassallatico-beneficiario. Si
trattava di un rapporto fiduciario, in virtù del quale un uomo libero prestava
giuramento di fedeltà al sovrano (vassallaggio), impegnandosi a fornirgli aiuto militare e collaborazione nella gestione degli affari del regno – in particolare nell’amministrazione della giustizia – ricevendone in cambio il godimento
vitalizio di un fondo, il beneficium.
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«Per governare con un minimo di efficienza, sarebbe stato necessario moltiplicare gli impiegati e assicurarsi la loro obbedienza pagandoli non in terre ma in denaro; per pagarli in denaro,
sarebbe occorso ristabilire le imposte dirette; per riscuotere le imposte, moltiplicare gli impiegati. Così si faceva a Bisanzio; ma nell’Impero carolingio, anche se le condizioni economiche
avessero consentito una rivoluzione di questo genere, essa avrebbe disgustato uomini abituati a
procurarsi ogni cosa senza sborsare denaro e a rispettare soltanto la proprietà terriera. Era inevitabile che anche i Carolingi, come già i Merovingi, scialacquassero il demanio per regnare.»
(LOPEZ).
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ig
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©
I funzionari di Carlo – conti, marchesi, duchi – erano quindi vassalli dell’imperatore, e andavano ad aggiungersi ai membri della sua «scorta» personale (i
vassi dominici). Essi, tuttavia, per l’amministrazione dei territori cui erano
preposti usavano del loro patrimonio di famiglia e dei loro benefici per legare
a sé a propria volta, con rapporti di vassallaggio, altri collaboratori. Si veniva
in questo modo a delineare una sorta di piramide in cui il potere discendeva
dall’imperatore ai suoi vassalli, e da questi a figure via via più piccole (valvassori, valvassini). Tale piramide è alla base del cosiddetto sistema feudale, o
feudalesimo, cioè di quella particolare forma di organizzazione del potere e
della società, nonché di ordinamento giuridico, che a partire dal IX secolo
caratterizzerà tutte le regioni d’Europa fino alle soglie dell’età contemporanea.
C
op
Con il passare del tempo, soprattutto dopo la morte di Carlo Magno, l’evoluzione dei rapporti
vassallatico-beneficiari farà sì che questo istituto, nato con l’intenzione di consolidare il potere
regio, si trasformerà in uno dei suoi maggiori elementi di debolezza.
Scomparsa infatti la figura carismatica dell’imperatore, e sotto la pressione – per tutto il X e XI
secolo – delle invasioni di popoli stranieri (i Saraceni dal Sud, i Normanni da Nord, gli Ungari
da Est), il legame fiduciario tra signore e vassallo si farà sempre più labile, tanto che l’ordinamento si dissolverà progressivamente in un pulviscolo confuso di poteri locali, talvolta sovrapposti, che darà vita a uno stato permanente di lotte per il controllo del territorio e per l’esercizio
A
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Capitolo 3: I Franchi e la nascita del feudalesimo
p.
delle prerogative «pubbliche» (riscossione delle imposte, arruolamento dell’esercito, amministrazione della giustizia).
Il feudalesimo
br
i
«Questi tre elementi del feudo sono in effetti tutti presenti nella prassi
alto medievale, ma fino alla conclusione del millennio essi agiscono
come istituti disgiunti che, se di fatto talora tendono a convergere,
giuridicamente ancora non si fondono.» (CORTESE).
S.
Il feudalesimo costituisce senz’altro una delle creazioni più importanti della
società medievale, anche sotto il profilo giuridico. Dopo averne dunque illustrato i caratteri generali, vediamone ora più da vicino gli elementi costitutivi:
il vassallaggio, il beneficium e l’immunitas.
I presupposti del feudalesimo
Tre sono i punti essenziali intorno a cui ruota il concetto di feudalesimo:
se
li
a) il frazionamento del potere pubblico e del diritto di proprietà;
b) il prevalere della campagna sulla città;
c) la netta distinzione tra la classe dei signori e quella dei servi.
ig
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Es
B) Il vassallaggio
Il primo elemento costitutivo del feudo è il vassallaggio. Esso consisteva
nell’assoggettamento volontario di uomini liberi ad un sovrano (o ad un signore). Contenuto generale di tale rapporto personale era la fidelitas, ossia l’obbligo morale di fedeltà e obbedienza da parte del vassallo, cui corrispondeva
sempre quello della protezione da parte del re o del signore.
Dal punto di vista contenutistico, la fidelitas generava anzitutto obblighi di non
fare a carico del vassallo: non tradire il signore, non allearsi con i suoi nemici,
non nuocergli in alcun modo. Ma vi erano anche obblighi di carattere positivo,
quali l’auxilium e il consilium. Ed infatti, il vassallo prestava il servizio militare a cavallo (l’auxilium), secondo una grande varietà di condizioni e forme,
talvolta riscattabile a pagamento. Il consilium, invece, era l’assistenza al signore nelle più varie decisioni, a cominciare da quelle a carattere giudiziario, cui
il vassallo si impegnava a partecipare.
yr
Tuttavia, «la fidelitas non era affatto una peculiarità del vassallaggio. A prendere per buone certe
fonti, i monarchi costantinopolitani avrebbero preteso un giuramento di fedeltà sin dal V secolo e
l’avrebbero comunque avuto dal Senato, dall’esercito e dai sudditi. Inoltre, il giuramento di fedeltà al re è pratica instaurata di buon’ora presso i Visigoti e nel regno longobardo si vede Liutprando
farsi avanti, all’atto di emanare norme nelle diete, assistito da giudici e fideles.» (CORTESE).
C
op
In altre parole, la fidelitas era la nuova veste assunta nell’alto Medioevo dal
vincolo di subordinazione personale che legava i sudditi al re o qualsiasi subordinato al proprio superiore. Essa, dunque, permeava sia il diritto pubblico
sia il diritto privato.
Il vassallus (o vassus) era ancora, fino alla fine dell’VIII secolo, un servitore
legato al proprio signore (senior) da uno specile rapporto personale di prote-
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A
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Parte I: Il Medioevo. Dalla caduta dell’Impero romano all’Europa delle Università
p.
zione e di obbedienza che evocava quello tardo-romano della commendatio in
manus e che si instaurava in seguito alla cerimonia dell’omaggio.
S.
Tale cerimonia dapprima era pagana e prevedeva l’inginocchiarsi del vassallo, il mettere le sue
mani in quelle del signore e lo scambio del bacio. Poi venne cristianizzata e si fondò su un
giuramento di fede sui Vangeli.
Il legame stabilito da tale cerimonia era perpetuo e vitalizio, sia per il vassallo
che per il signore, comportando per le due parti l’obbligo di lealtà reciproca:
il vassallo aveva il dovere di servire e il signore il dovere di proteggere.
li
br
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Secondo un capitolare attribuito a Ludovico il Pio nell’816, in cinque ipotesi era legittimo per
il vassallo sottrarsi al rapporto con il signore: quando il signore avesse preteso servizi non previsti; quando avesse congiurato contro la vita del vassallo; quando si fosse avventato contro
quest’ultimo a spada sguainata; quando avesse commesso adulterio con la moglie del vassus e
quando non l’avesse difeso.
Consilium ed auxilium
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Es
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Il consilium era l’obbligo, gravante in capo al vassallo, di collaborare con il signore in
particolari circostanze. Esso comportava in particolare la partecipazione del vassallo
alla corte (convocata e presieduta dal dominus) nella quale venivano risolte le controversie relative all’attuazione delle norme di diritto feudale. Al signore spettava infatti la
responsabilità di comporre le liti interne all’organizzazione feudale (quelle che opponevano un vassum ad un altro, o al signore stesso), applicando a tale scopo il relativo
ordinamento. Cosicché l’amministrazione della giustizia in età feudale era strutturata
su un duplice ordine di corti, entrambe facenti capo al signore: la corte signorile, preposta all’applicazione del diritto disciplinante i rapporti interni all’organizzazione curtense, e la corte feudale, dove ricevevano specifica tutela i diritti derivanti dal rapporto
vassallatico.
L’ auxilium consisteva nel dovere del vassallo di prestare al dominus il servizio militare nonché altre forme di soccorso materiale.
L’obbligo del servizio militare era assolto mediante l’invio di un contingente di cavalieri
e fanti (il cui mantenimento era ad esclusivo carico del vassum) che contribuiva a costituire l’esercito signorile. Nella fase matura dell’età feudale, si diffuse progressivamente l’uso di sostituire tale prestazione con il versamento di una somma di denaro (lo
scutagium) atta a finanziare la costituzione del contingente militare da parte del dominus.
yr
Altro obbligo previsto dall’auxilium era quello di collaborare alla gestione patrimoniale
del signore e di fornire allo stesso determinati aiuti pecuniari. Nel tempo, l’evoluzione
della consuetudine portò alla precisa individuazione dei casi in cui il vassallo era tenuto ad una prestazione finanziaria:
C
op
— quando fosse stato necessario pagare il riscatto del signore tenuto prigioniero;
— quando occorreva acquistare il costoso armamento previsto per l’investitura di cavaliere del figlio primogenito del dominus;
— in occasione del matrimonio della figlia primogenita dello stesso;
— in casi eccezionali di bisogno, quando ad esempio vi fosse stato il grave pericolo di
un’aggressione esterna al complesso dei possedimenti facenti capo al signore.
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Capitolo 3: I Franchi e la nascita del feudalesimo
S.
p.
C) Il beneficio
Il secondo elemento costitutivo del feudo è il beneficium. Esso consisteva
nella concessione di un fondo subordinata all’obbligo per il concessionario
(beneficiato) di prestare determinati servigi a favore del concedente.
Furono soprattutto i re Franchi a ricorrere alla prassi di concedere ai propri
soldati terre da sfruttare in cambio della loro fedeltà in
L’evoluzione del
guerra.
br
i
beneficium
In effetti uno dei principali problemi della monarchia franca fu quello
di sostenere i costi dell’esercito. La politica fortemente espansionistica
e la necessità di difendere i vasti domìni della corona (estesi a buona parte dell’Europa) richiedevano eserciti sempre pronti ad intervenire ma anche da remunerare adeguatamente.
li
Poiché le proprietà terriere della Chiesa erano equiparate a quelle della corona,
ma più numerose e ricche, fu la proprietà ecclesiastica a sopportare i pesi maggiori di tale meccanismo e ad essere più frequentemente concessa in beneficio.
Es
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«Si usò inizialmente di dare terre in precària, ch’era il contratto di assegnazione preferito dagli
enti ecclesiastici: una benevola concessione elargita, come dice la parola, dietro preghiera del
futuro concessionario e sottoposta a un canone annuo […]. Ma era uno strano tipo di precària,
quello usato ai fini del finanziamento dell’esercito nell’ultima età merovingia e all’inizio di
quella carolingia: al posto della rituale preghiera del concessionario e della libera conclusione
del negozio stava la decisione del sovrano espressa in un capitolare.» (Cortese).
ht
©
Nel corso del secolo IX il beneficium si staccò definitivamente dalla precària
ma conservò le caratteristiche di una elargizione benevola di beni immobili
con fini remunerativi. Causa prevalente dell’istituto restò il servizio militare
ma nulla vietava che il beneficium servisse a ricompensare altri tipi di servigi.
La durata era temporanea e generalmente coincideva con la vita del concessionario. Va rilevato, tuttavia, che talvolta il beneficio (relativo a terre della sola
corona e non anche a quelle della Chiesa) veniva concesso non in godimento
temporaneo ma in piena proprietà.
C
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D)Segue: la questione dell’ereditarietà dei benefici
L’aspirazione del vassallo all’ereditarietà del beneficio feudale ha origini molto antiche: documenti risalenti alla prima metà del IX secolo attestano come
piuttosto frequente l’uso di rinnovare omaggio ed investitura del feudo nella
persona del figlio di un vassallo defunto; la prospettiva di trasmettere il feudo
ai propri discendenti, d’altra parte, costituiva un forte incentivo per la fedeltà
del vassallo, e assicurava al signore feudale un controllo efficace sulla condotta dello stesso.
Il primo riconoscimento formale della descritta tendenza si ebbe tuttavia solo
nella seconda metà del secolo. Nell’877, alla vigilia della spedizione in Italia
contro i Saraceni, Carlo il Calvo emanò un celebre capitolare (il Capitolare
di Quierzy), a norma del quale, in caso di morte di un vassallo nel corso
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Parte I: Il Medioevo. Dalla caduta dell’Impero romano all’Europa delle Università
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S.
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dell’imminente campagna, il beneficium sarebbe stato trasmesso al figlio di
quest’ultimo: si trattava di una misura temporanea, ma ad ogni modo indicativa di una precisa evoluzione in atto.
Le disposizioni menzionate, occorre precisarlo, facevano riferimento ai soli
feudi maggiori, ossia quelli concessi direttamente dal sovrano. Bisognerà attendere il secolo X per vedere i primi segni di una prassi volta ad estendere il
carattere ereditario del beneficio anche agli altri tipi di feudo. Una volta consolidatasi, tale consuetudine venne recepita dal Capitolare del 1037 dell’imperatore Corrado II il Salico (Edictum de beneficiis), con cui fu espressamente stabilita l’ereditarietà dei feudi minori. Su impulso di questa decisione, la
regola dell’ereditarietà del feudo imporrà in tutti i territori franchi, germanici
e italiani.
Es
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li
La successione ereditaria nel feudo, comunque, mantenne una sua specificità rispetto a quella
relativa ai beni allodiali. Essa infatti si svolgeva all’interno del rapporto vassallatico, nel cui
ambito continuava ad inquadrarsi e dal quale traeva, in ultima analisi, la propria legittimazione.
Deve infatti ricordarsi che l’erede, se nel caso di beni allodiali subentrava in maniera diretta ed
immediata al de cuius, con riferimento al beneficium era invece gravato dall’onere di dar vita
ad un rapporto feudale con il dominus di questi, rinnovando - attraverso gli atti formali
dell’omaggio e della fedeltà - il vincolo che aveva fondato l’originaria concessione beneficiaria.
A partire dalla metà del secolo XI, inoltre, l’erede fu ammesso alla prestazione dell’omaggio e
della fedeltà solo previo versamento al signore di una somma di denaro; l’ammontare di tale
somma (di volta in volta denominata relevium, relief, Lehnware) fu in un primo tempo stabilito
dal dominus o concordato tra le parti, e in seguito indicato da una specifica norma consuetudinaria.
C
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La successione seguiva una disciplina particolare nel caso in cui i discendenti fossero stati più di uno. In tale circostanza, infatti, l’esigenza di assicurare
la parità di trattamento tra i figli del vassallo veniva a configgere con l’interesse del signore al maggior controllo ed ai migliori servigi che l’unitarietà del
feudo gli avrebbe inevitabilmente garantito. Il problema ricevè soluzioni differenti a seconda delle aree e delle epoche in cui si presentò: nella Germania
del XII secolo si ricorse ad una forma di infeudazione collettiva (Belehung
zur gesammter Hand); in Inghilterra prevalse la primogenitura, di modo che
il feudo rimaneva indiviso nelle mani del primo figlio maschio; in Normandia,
infine, si affermò l’uso di investire del feudo il primogenito e suddividere il
beneficio tra i fratelli, che prestavano omaggio al primo e preservavano così
l’unitarietà del rapporto vassallatico originario.
Quanto all’eventualità che il feudatario non avesse eredi maschi, infine, la possibilità di una successione femminile nel rapporto vassallatico fu per molto
tempo esclusa, in ragione dell’asserita incapacità della donna ad assolvere gli
obblighi militari propri del rapporto stesso. Quando, alla fine del X secolo,
l’evoluzione della prassi portò ad ammettere tale possibilità, fu messa a punto
una specifica disciplina atta a conciliare i diversi interessi in gioco: si stabilì
infatti che l’erede donna avrebbe scelto un uomo in grado di adempiere pie-
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Capitolo 3: I Franchi e la nascita del feudalesimo
L’immunitas
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E) L’immunità
L’immunitas è il terzo elemento costitutivo del feudo.
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namente agli obblighi derivanti dal rapporto feudale, e che quest’uomo avrebbe prestato fedeltà ed omaggio nelle mani del dominus. Si noti che se la
donna fosse stata sposata, o nel momento in cui avesse contratto matrimonio, il
ruolo in questione sarebbe stato assunto dal marito: ciò spiega, tra l’altro, perché
in quest’epoca le scelte matrimoniali della donna fossero spesso pesantemente
condizionate dalla volontà del signore feudale.
br
Esso affonda le radici negli ultimi tempi dell’Impero romano: immunes (ossia esenti da numera
personalia e patrimonialia) erano, ad esempio, i beni imperiali e quelli degli enti ecclesiastici.
se
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Poiché il beneficium veniva costituito su terre della corona e della Chiesa,
tradizionalmente «immuni», è logico ritenere che anch’esso acquistasse la
condizione giuridica di quei fondi.
L’immunitas si sostanziava nel divieto fatto a qualunque pubblico ufficiale di
entrare nei fondi privilegiati per esercitare funzioni giudiziarie, per riscuotere
imposte o per eseguire arresti (cd. divieto di introitus, exactio e districtio).
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Es
«Dal punto di vista di chi ne gode, l’immunitas si presenta come un potere di esclusione. Nega
il potere altrui, chiude un campo sui cui confini si arresta e può essere respinto ogni intervento
esterno. Dal punto di vista del re che la concede essa si realizza in un ordine rivolto alle magistrature e agli uffici dipendenti, mediante il quale si vieta di oltrepassare, nel senso reale e nel
senso figurato, i confini dell’immunità concessa ai vescovi: è il cosiddetto ‘‘divieto di ingresso’’»
(BELLOMO).
5.La comparsa del termine «feudo» in età postcarolingia
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Secondo la più recente storiografia (CORTESE), l’epoca carolingia fu sì l’età
dei vassallaggi e dei benefici ma, piuttosto che come data di nascita del feudo,
deve invece considerarsi come l’ultima tappa della sua preparazione.
Il feudo, inteso quale istituto giuridico unitario, può dirsi realmente sorto solo
tra i secoli X-XI, quando vassallaggio e beneficio si legarono strutturalmente
insieme e la loro convergenza di fatto si trasformò in vincolo di diritto.
yr
Il termine «feudo», del tutto sconosciuto in età carolingia, venne usato a partire dal sec. X con
diversi significati: per indicare «beni mobili dati come salario», oppure «beni immobili» o (come
avvenne più tardi) come sinonimo di beneficium.
C
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Fondamentale ai fini della storia giuridica del feudo (soprattutto in Italia) fu la
formazione delle milizie professionali poste a difesa delle città dai pericoli
che provenivano dall’esterno. Tali milizie alla fine del millennio risultavano
composte da ricchi comandanti (capitanei o milites primi ordini). Ad essi vescovi e conti non esitarono a concedere ricchi beneficia, al fine di assicurarsi
la loro fedeltà e la loro protezione. In tal modo vassallaggio e beneficium ven-
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Parte I: Il Medioevo. Dalla caduta dell’Impero romano all’Europa delle Università
p.
nero a compenetrarsi giuridicamente: il fatto che la milizia fosse professionale pose in luce la natura corrispettiva e contrattuale del vincolo tra prestazione
della difesa armata e il pagamento di uno stipendio sotto forma di salario.
S.
«Fu questo nesso contrattuale a far da primo cemento in vista dell’unione di vassallaggio e beneficio in un istituto unitario, il feudo appunto. La convergenza di fatto che si era chiaramente
manifestata nell’età carolingia poté avviarsi verso la trasformazione in vincolo di diritto.»
(CORTESE).
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Nel corso dell’XI secolo l’Edictum de beneficiis disponeva che nessun comandante di milizia (miles), che fosse stato investito di un beneficium su terre
della Chiesa o della Corona, potesse mai perderlo se non per propria colpa,
accertata da un giudizio di pari o dall’imperatore; che alla morte del valvassore gli succedessero i figli (o i figli dei figli); che nessun signore potesse cambiare, senza il consenso del valvassore, un beneficium assegnato con altro beneficium. In questo modo, come detto, veniva assicurata la stabilità di tutti i
feudi, maggiori e minori.
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«Si allentava anche il rapporto contrattuale tra la prestazione del beneficium e la controprestazione del servizio; era sì implicitamente presupposto che il solito contributo militare fosse da
corrispondere in caso di guerra, ma lo schema contrattuale astratto prevedeva adesso che alla
concessione patrimoniale si contrapponesse sinallagmaticamente una fidelitas dal contenuto
negativo: per non violarlo e conservar la terra, insomma, bastava tenersi lontani dalla culpa,
rifuggire cioè da comportamenti scorretti nei confronti del signore.» (CORTESE).
«La terminologia con la quale il feudo veniva designato poteva anche riguardare le condizioni
giuridiche specifiche del beneficio, ovvero la causa della sua costituzione. Feudo franco […]
era un feudo in cui il vassallo non era tenuto a prestazioni specifiche, ma soltanto alla fedeltà.
Feudo ligio era quello il cui titolare era legato al signore dal vincolo prioritario ed esclusivo di
cui si è detto. Il feudo oblato […] nasceva da un atto di rinuncia di un proprietario allodiale,
che si privava formalmente di una propria terra […] a favore di un altro uomo, ricevendo poi da
costui in beneficio quella stessa terra: un atto frequente nei secoli IX-XII, con cui si poteva ottenere la desiderata protezione di un potente, o magari soltanto si doveva cedere alle sue pressioni non più resistibili. Specie in età più tarda, alla fine del medioevo, anche un debito poteva
dar luogo alla costituzione di un beneficio, che assolveva alla funzione di garanzia reale per il
creditore» (PADOA-SCHIOPPA).
6.I caratteri di una cultura giuridica
C
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Il feudalesimo sgretolò due dei concetti fondamentali del mondo antico, cioè
lo Stato e la proprietà privata; nel contempo, cercò di dare un ordine e una
forma alla convivenza civile, consentendo una relativa sicurezza di vita a larghe
masse di popolazione. Risulta evidente che una società di questo genere, prevalentemente contadina, per la quale l’autorità pubblica era sconosciuta o distante, venisse disciplinata in prevalenza da una rete di consuetudini.
«Valga per tutti l’esempio del feudo, che è nato ed ha assunto le sue linee caratteristiche quasi
sempre senza alcun intervento dello strumento legislativo. Ciò che genera il diritto nuovo, ciò
che gli dà forma e lo fa evolvere sono le consuetudini, sono i comportamenti ripetuti nel tempo,
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Capitolo 3: I Franchi e la nascita del feudalesimo
p.
via via consolidatisi in regole vincolanti sia per i singoli che per le comunità. In nessun’altra età
della storia europea la consuetudine ha svolto un ruolo altrettanto capitale nell’evoluzione del
diritto.» (PADOA-SCHIOPPA).
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S.
Non potevano trovare ancora spazio tecniche giuridiche specializzate poiché
le regole di condotta e le soluzioni per le controversie erano il frutto di comportamenti ripetuti nel tempo, e non di leggi da interpretare. L’alto Medioevo non ha conosciuto, se non in fieri, Feudalesimo e cultura
alcuna forma di tecnica legale, e quelle usate erano senz’al- giuridica
tro più primitive di quelle affermatesi nel periodo romano.
Nel corso del IX secolo, interi settori della vita sociale erano regolati in modo
ancora imperfetto da testi legislativi. Per questo motivo continuava a sopravvivere, accanto al diritto scritto, un ampio corpus di tradizioni orali.
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«Il diritto […] è parte dell’etica e, quindi, si identifica con l’etica come una parte con il tutto. In
particolare, poi, […] il diritto civile […] è sottoposto all’etica in quanto è norma di vita e alla
logica in quanto consta di parole che devono essere comprese e interpretate. […] Gli studi ‘giuridici’ […] si collocano fra gli studi sull’etica, mirano a cogliere, del contenuto di ogni norma,
gli aspetti più propriamente etici; e sono d’altra parte anche indagine sulle parole, sulla proprietà e il significato di esse (grammatica), sui nessi che possono costruirsi all’interno di un ragionamento che le riguarda (dialettica), sulle strutture e sulle forme che il discorso può assumere
(retorica).» (BELLOMO).
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Tutto questo non deve però farci pensare a un diritto assolutamente immobile,
statico, dal momento che anche le consuetudini possono nascere, morire, trasformarsi, mutare. Di fronte a un diritto che ha conosciuto una scarsa rielaborazione teorica, che è stato soprattutto pratico, fondamentale doveva risultare
il ruolo svolto dal notariato. L’esame dei documenti privati che sono giunti
fino a noi rivelano anzi precise linee di tendenza: in essi, per esempio, si possono ritrovare annotazioni esegetiche estremamente semplici, prive di qualunque approfondimento analitico. In sostanza, ogni parola viene chiarita attraverso un sinonimo, e i testi sono riassunti in maniera assai elementare.
Anche se l’età carolingia ha conosciuto una forte rinascita culturale (la cosiddetta rinascenza carolingia), testimoniata tra l’altro dalla presenza di un
personaggio come Alcuino di York, rettore della Schola Palatina, alla corte
imperiale, dalla costituzione della stessa Schola, dall’adozione di un nuovo tipo
di scrittura, dalla riforma dell’istruzione superiore, non abbiamo però elementi per affermare che sia stato creato un vero e proprio corso di studi specializzato destinato ai giuristi.
C
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«Marginale: ecco il termine che ci balena subito in mente non appena ci allontaniamo dai tre
pilastri della civiltà carolingia: religione, guerra, agricoltura. E anche in questi tre settori gli
ordini e i consigli delle minoranze attive sono soffocati dall’inerzia della maggioranza. […]. Nel
secolo IX l’Impero carolingio, debole gigante, langue, declina prematuramente. Nel secolo X
strutture più vitali, perché più piccole e meglio dotate di forze umane, sorgeranno al suo posto
e, senza dimenticare le speranze e gli ideali che esso ha lasciato loro in eredità, apriranno un
millennio di progresso economico e intellettuale.» (LOPEZ).
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Parte I: Il Medioevo. Dalla caduta dell’Impero romano all’Europa delle Università
legislazione franca. i principali capitolari
S.
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➤ di Aquisgrana (789). Promulgato da Carlo Magno. In esso veniva
comminata la pena di morte a coloro che si rendevano responsabili di
omicidio di un uomo o di una donna accusati di stregoneria.
Inoltre, veniva proibito agli ebrei, dietro comminazione della pena del
taglio della mano destra, di accettare pegni da un cristiano o di effettuare il commercio o lo scambio di vettovaglie.
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Capitolare:
ordinanza
regia divisa
in capitoli
➤ di Thionville (805). Promulgato da Carlo Magno. Fissava un ordine
gerarchico ai rapporti di fedeltà, in modo che l’obbligo principale per
tutti i vassalli fosse quello di giurare fedeltà e obbedienza al sovrano,
supremo signore feudale.
➤ di Olona (825). Promulgato da Lotario I. Istituì a Pavia una fiorente
scuola di arti liberali, in cui dovevano obbligatoriamente affluire non
solo studenti da tutta la Lombardia ma anche da Asti e da Genova.
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➤ di Quierzy (877). Promulgato da Carlo il Calvo. Attribuì ai figli dei
vassalli della parte occidentale del Regno la carica e il feudo dei padri,
nell’ipotesi in cui questi fossero deceduti durante l’imminente spedizione militare in Italia contro i Saraceni. Ludovico II il Balbo, successore di Carlo il Calvo, restrinse gli effetti del Capitolare di Kiersy,
imponendo ai vassalli della Corona l’obbligo di lasciare, a loro volta,
i feudi paterni ai figli dei vassalli minori (ossia dei vassalli legati da
giuramento di fedeltà ad un signore e non al re) caduti in guerra.
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Capitolo 3
L’Europa tra XVII e XVIII secolo
S.
Sommario
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1.Verso un nuovo tipo di assolutismo
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1. Verso un nuovo tipo di assolutismo. - 2. La gerarchia delle fonti nel XVII secolo.
3. La situazione in alcuni paesi europei.
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Abbiamo visto come il pensiero politico-giuridico del XVII secolo accenni a
spostarsi verso prospettive che preludono, talvolta apertamente, alle posizioni
dell’Illuminismo e del liberalismo dei secoli successivi.
Per la prima volta viene teorizzata l’esistenza dei diritti naturali degli individui e alcuni autori si impegnano nella ricerca di fonti di legittimazione del
potere diverse dal diritto divino.
Tuttavia, accanto a queste posizioni che prefigurano il futuro, persistono in
regioni importanti dell’Europa – in particolare in Francia e in Spagna – concezioni che sostengono invece il regime assolutistico delle dinastie regnanti.
La compresenza di queste opposte correnti di pensiero non si risolverà in un
semplice scontro tra opinioni inconciliabili ma, al contrario, costituirà la premessa per lo sviluppo, nel corso del Settecento, di un tipo particolare di assolutismo che pur mantenendo fermi i suoi principi fondamentali si mostrerà
sensibile alle più moderne dottrine politiche e disponibile a un moderato riconoscimento dei diritti dei sudditi. È il cosiddetto assolutismo illuminato, che
alla vigilia della rivoluzione francese troverà in Austria e in alcuni domini
italiani le sue più compiute forme di espressione.
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2.La gerarchia delle fonti nel XVII secolo
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A) La legislazione regia
La situazione giuridica in Europa nel XVII sec. era caratterizzata da un estremo
particolarismo, che vedeva il diritto comune convivere (non sempre pacificamente) col diritto regio o signorile e con una congerie di diritti particolari
(consuetudini ed usi locali, diritto feudale, giurisprudenza delle corti etc.). Di
fronte ad un così vasto e frammentato panorama normativo, il diritto comune
(voluminoso e controverso) veniva utilizzato come sistema di riferimento allo
scopo di fornire ovunque un’interpretazione omogenea dei diritti particolari,
contribuendo anche ad una loro consolidazione a livello nazionale.
Tuttavia, la progressiva concentrazione dei poteri nelle mani del re e dei suoi
funzionari, tipica dei regimi assoluti, provocò la crisi del diritto comune. Il
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Parte II: L’età moderna
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sovrano assoluto si pose come l’unica fonte di produzione e legittimazione del
diritto e non come garante e conservatore dei diritti particolari. Grazie all’assolutismo monarchico si ebbero importanti impulsi all’unificazione ed alla
razionalizzazione del diritto. Il concetto medievale dell’unità del mondo del
diritto si frantumò all’epoca della formazione delle grandi monarchie territoriali (e il discorso è valido soprattutto per l’Inghilterra, Francia e Spagna).
Il fenomeno più evidente fu, sicuramente, quello dell’accentramento burocratico, volto a contenere tutti i privilegi e le immunità di origine feudale.
Gradualmente le legislazioni di questo secolo divennero espressione della
volontà del sovrano. Si poté avere così una prima formulazione consapevole
del principio della gerarchia tra norme. La superiorità della legislazione
sulla consuetudine introdusse un criterio univoco di soluzione dei conflitti tra
norme, e rese quindi più coerente il sistema giuridico.
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li
«Nel secolo XVII la legislazione era venuta progressivamente ad essere concepita come espressione della volontà del monarca, anzi del ‘sovrano’; e le concezioni dei trattatisti politici avevano rispecchiato il sempre più frequente intervento legislativo del ‘sovrano’, il quale talvolta,
come in Francia, aveva partecipato attivamente anche al processo di raccolta e di riformulazione delle consuetudini o, addirittura, lo aveva determinato.» (TARELLO).
yr
ig
ht
©
Es
B) Lex e interpretatio
All’inizio del Settecento, invece, quasi tutta l’esperienza giuridica dell’Europa
continentale può essere esemplificata e chiarita dal rapporto tra lex e interpretatio,
dove per lex si intendeva l’intervento legislativo diretto del sovrano, le consuetudini in quanto fissate e compilate e tutta la legislazione statutaria, e per interpretatio ogni enunciato normativo espresso dai tribunali o dagli esperti del diritto in
assenza di una lex specifica da potersi applicare a un determinato singolo caso. La
tendenza di fondo era quella di cercare di soddisfare l’esigenza primaria di un
diritto certo, prevedibile e facilmente conoscibile, e quindi, in questa chiave, il
conflitto tra lex e interpretatio venne risolto subordinando l’una all’altra.
In tutta l’Europa continentale nel corso del XVIII secolo, come vedremo
meglio più avanti, assisteremo, in linea di massima, al prevalere del potere
sovrano, e quindi la tendenza sarà quella di privilegiare la lex e di codificarla;
in Inghilterra, al contrario, avvenne un processo esattamente opposto che
portò a privilegiare l’interpretatio e il consolidamento dei precedenti giudiziari, concedendo in questo modo un grande peso agli organi giudiziari. Tuttavia,
la realtà delle cose era ancora molto distante dai proclami politici.
C
op
«Un principio unificatore e razionalizzatore del diritto era espresso, in via generale, al livello
delle formule culturali: tutto il diritto è direttamente o indirettamente voluto dal sovrano, e tutta
la giurisdizione è direttamente o indirettamente amministrata dal sovrano o nel suo nome. Ma se
dal livello delle formule culturali [...] passiamo a considerare la realtà effettiva, vediamo che le
forze centrifughe del particolarismo giuridico erano all’inizio del secolo XVII operanti, e trovavano molte volte espressione in magistrature riottose. In un periodo storico in cui gli impulsi riformatori provenivano solo dai monarchi e comunque non potevano realizzarsi se non attraverso
i monarchi, ciò è significativo.» (TARELLO).
A
.
189
Capitolo 3: L’Europa tra XVII e XVIII secolo
p.
3.La situazione in alcuni paesi europei
se
li
br
i
S.
A) La Francia
Fino al XVIII secolo la Francia, pur avendo una amministrazione e una giurisdizione relativamente accentrata, presentava sul piano giuridico una profonda
divisione tra il sud del paese, in cui prevaleva il diritto romano, e il nord in cui
prevaleva un diritto consuetudinario di matrice germanica.
Numerosi furono i tentativi di riforma del diritto privato e quelli di codificazione: ma la Francia (prima della Rivoluzione) fu probabilmente l’unico paese europeo dove questi tentativi fallirono quasi del tutto. In effetti, al di là
della distinzione tra paesi di diritto scritto e paesi di diritto consuetudinario,
continuavano a essere utilizzati ancora i cosiddetti diritti particolari, quali il
diritto feudale e il diritto canonico. Tale situazione dava luogo a un sistema
giuridico estremamente articolato, complesso e complicato, sia per quanto riguarda i soggetti giuridici, sia per quanto riguarda la tutela dei diritti e la giurisdizione.
A grandi linee i soggetti giuridici venivano distinti in questa maniera:
Es
1) soggetti il cui diritto comune è il diritto scritto e soggetti il cui diritto comune è una coutume,
vale a dire una consuetudine territoriale;
2) soggetti di religione cattolica e soggetti appartenenti ad altri credi religiosi;
3) soggetti nobili e non nobili, soggetti appartenenti al clero e soggetti servi;
4) soggetti di sesso maschile e soggetti di sesso femminile;
5) soggetti sottoposti e soggetti non sottoposti a patria potestà.
C
op
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ht
©
Gli stessi problemi, la stessa discontinuità del diritto privato si riscontravano
anche in materia penale. A tale proposito, intorno alla metà del Seicento si
tentò di razionalizzare anche questa materia con l’emanazione della Ordonnance criminelle da parte di Luigi XIV, Ordonnance che però riguardava sostanzialmente le procedure e i tribunali più che la materia penale sostanziale.
Continuava a restare in vita la distinzione tra diritto penale comune e diritti
penali particolari. Il diritto penale comune era costituito, per gran parte, da
materiali normativi provenienti dal codice giustinianeo e dal diritto canonico.
In ogni modo, tutti questi diritti presupponevano e facevano sempre ampio
riferimento allo status soggettivo del reo e della parte lesa:
per esempio, lo status di vagabondo costituiva di per sé un La Francia nel XVII sereato.
colo
Ad ogni modo, l’organizzazione giuridica francese era
ancora assai poco rispondente alle esigenze di una classe
che assumeva gradualmente sempre maggiore importanza: la borghesia.
«L’unico elemento univoco, sotto il profilo della storia delle istituzioni e della cultura giuridica,
è la formazione di una nuova classe, la classe borghese, con interessi propri e peculiari che non
trovano facile tutela nelle istituzioni esistenti e non trovano espressione alcuna nelle dottrine
giuspolitiche feudali né espressione compiuta nelle dottrine dell’assolutismo.» (TARELLO).
190
A
.
Parte II: L’età moderna
S.
p.
Non esisteva, comunque, almeno sino alla prima metà del XVIII secolo, alcuna consapevolezza della propria identità di classe capace di spingere a una
riforma del sistema giuridico. E quando questo avverrà, sarà curiosamente
propria di quella minoranza della classe borghese e della piccola nobiltà che
traevano un oggettivo vantaggio dal sistema giuridico vigente.
Es
se
li
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i
B) I territori germanici
L’estrema frammentarietà politica del territorio tedesco impediva di fatto la
concentrazione del potere e quindi un’organizzazione assolutistica dello Stato.
La particolare complessità del diritto germanico risiedeva nella difficoltà di
coordinare i singoli diritti territoriali con il diritto romano. La causa può essere ricercata nell’abbondanza di norme consuetudinarie locali, cui i vari diritti territoriali facevano riferimento, e nell’abbondanza delle norme statutarie
cittadine.
Per quanto riguarda il diritto pubblico, nel corso del XVII secolo era ancora
esistente un diritto pubblico imperiale, fortemente contrastato però dai diversi diritti pubblici particolari in vigore nei singoli Stati tedeschi.
Per quanto riguarda invece il diritto privato, la dottrina più accreditata dai
contemporanei riteneva che il diritto romano, o meglio il suo uso forense,
fungesse da diritto comune. Il diritto romano comune veniva considerato
suppletivo dei diritti particolari territoriali.
ig
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«Per comprendere cos’erano i diritti territoriali […] occorre riferirsi alla nozione germanica di
Land, territorio, o semplicemente, terra. Land talvolta contiene, ma più sovente si oppone, sia a
città […], sia alle terre non coltivate e non abitate come la foresta […]; in ogni caso Land comprende come suo oggetto di riferimento non solo la terra, ma anche la popolazione su di essa
insediata e la sua organizzazione. Nei paesi germanici in cui non si era ancora sviluppata una
cultura giuridica statocentrica, e in cui la concezione imperativistica del diritto […] era in corso
di diffusione solo nella scuola e presso i dotti legati a politiche accentratrici, Land entrava facilmente in contesti linguistici correnti come punto di riferimento del ‘diritto’, e Landrecht si
usava come nome dell’organizzazione giuridica intrinseca alla terra. Il Land, in senso politico
e in senso giuridico, era l’insieme costituito dal principe territoriale [...] e dai ceti territoriali [...]
dei signori, entrambi dotati di proprie organizzazioni burocratiche.» (TARELLO).
C
op
yr
Tale situazione comportava che nell’ambito di ciascuno Stato si contrapponevano il diritto privato e penale comune con i corrispondenti diritti particolari.
Alla complessità di questo sistema giuridico si sommavano le caratteristiche
strutturali dell’organizzazione politica tedesca. A causa di tutto questo, abbondavano certamente le norme consuetudinarie locali cui i diritti territoriali facevano continuo riferimento, ma abbondavano altresì le legislazioni statutarie
cittadine cui i diritti particolari delegavano una serie di rapporti fondamentali.
La mancanza di un forte centro di potere impediva la razionalizzazione del
diritto germanico. Gli stessi tribunali erano troppi e troppo poco importanti per
assumersi la responsabilità di elaborare una vera e propria politica del diritto.
A
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191
Capitolo 3: L’Europa tra XVII e XVIII secolo
S.
p.
Ma, paradossalmente, proprio il ritardo di quasi un secolo rispetto alla Francia
e la dimensione più piccola degli Stati tedeschi favorirono una riorganizzazione istituzionale degli organismi giuridici, dal momento che i primi tentativi di
codificazione avvennero già in pieno clima illuministico, e più precisamente
risentirono di quell’assolutismo illuminato, di cui parleremo più estesamente
nei capitoli successivi.
se
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C) Gli Stati italiani
La situazione giuridica degli stati italiani (il Ducato di Milano, gli Stati sabaudi, il Ducato di Parma, il Granducato di Toscana, il Ducato estense, il Regno
di Napoli, il Regno di Sicilia, il Ducato di Mantova, lo Stato Pontificio, la
Repubblica di Venezia e la Repubblica di Genova) era più lineare sia rispetto
a quella francese che a quella tedesca.
Il diritto vigente in ciascuno di questi era caratterizzato dalla contrapposizione
tra diritto comune (ossia romano-canonico), che aveva natura suppletiva, e
diritti particolari (ordinanze regie, giurisprudenza delle corti, consuetudini
locali, che prevalevano su quello comune).
Es
Si tenga presente, tuttavia, che quando si fa riferimento agli Stati italiani si devono eccettuare
lo Stato Pontificio e la Repubblica di Venezia. Nello Stato Pontificio, infatti, il diritto canonico
prevalse sempre sul diritto comune, anche nelle questioni temporali. Nell’ordinamento giuridico veneziano, inoltre, il diritto comune non fu mai annoverato tra le fonti di produzione del
diritto.
ig
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©
All’inizio del Settecento si pose il problema dei rapporti tra il diritto canonico e il sistema del diritto dei singoli Stati formato, come abbiamo appena
detto, dal diritto comune e da una eterogenea quantità di diritti particolari.
È noto che il diritto canonico era parte integrante del diritto comune ma non si
riduceva mai a funzioni suppletive, poiché non era derogabile da alcuna normativa particolare. Anzi, spesso il diritto canonico aveva la prevalenza su
materie normalmente disciplinate dal diritto penale (processuale e sostanziale).
Gravi contese in campo penale si verificarono soprattutto per quanto riguardava il diritto d’asilo (o confugio) nei luoghi sacri e le immunità dalle giurisdizioni penali a favore del clero, nonché in materia di reati religiosi.
C
op
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«I clerici, infatti, non riconoscevano nessun altro superiore all’infuori
del Papa. Per quanto attiene poi all’istituto del diritto d’asilo, esso ebbe
Gli Stati italiani
l’effetto di porre totalmente lo Stato in balìa della Chiesa, poiché bastava sorpassare i simbolici confini che dividevano l’ambito di autorità e di competenza delle istituzioni civili da quelle ecclesiastiche, o anche toccare con un piede
o con una mano quel limite ideale, per passare subito ed automaticamente dalla sfera dell’ordinamento giuridico statale a quello canonico, dalla competenza del magistrato a quella del vescovo.» (Ajello).
In particolare si ebbero violenti contrasti in alcuni Stati, circa il ristabilimento
o la soppressione del Tribunale della Santa Inquisizione.
192
A
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Parte II: L’età moderna
br
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S.
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«I presupposti dell’appartenenza giuridica al clero sono stabiliti dal diritto canonico; ciò vale
ovviamente per lo Stato pontificio, ma vale anche per tutti gli altri Stati il cui sistema giuridico
contiene il diritto canonico come diritto particolare a cui spetta sempre la determinazione delle
condizioni di appartenenza al clero. I privilegi e le capacità particolari di chi appartiene al clero
sono pure stabiliti dal diritto canonico: ma mentre il diritto canonico vige direttamente, anche
sotto questo profilo, nello Stato pontificio, invece negli altri Stati i privilegi e le capacità particolari del clero sono di solito regolati da leggi e statuti particolari, di solito espressione di una
politica al contempo volta alla limitazione dei privilegi di diritto canonico come tali ed alla
concessione degli stessi o di altri privilegi in forme atte ad assicurare al sovrano qualche controllo sul clero e sulle istituzioni ecclesiastiche. Da ciò un ulteriore elemento di incertezza e di
complicazione, perché la disciplina giuridica del clero tende a mutare, sia pure nei dettagli, a
seconda dei rapporti dei vari governi con la Chiesa, e a seconda dell’equilibrio sempre mutevole delle rispettive forze.» (TARELLO).
Es
se
li
Anche nei diversi Stati italiani vi era una diversa disciplina soggettiva che
derivava dall’appartenenza alle diverse classi sociali: l’appartenere alla nobiltà, alla borghesia o alla classe contadina prevedeva distinte soggettività giuridiche.
La situazione della nobiltà variava moltissimo in dipendenza della struttura
politica dello Stato di appartenenza: la condizione di nobiltà era particolarmente rilevante nell’accesso alle magistrature e nell’esercizio di poteri giurisdizionali di origine feudale. Anche la condizione giuridica della classe contadina
dipendeva da una maggiore o minore resistenza dei retaggi feudali, resistenze
che furono maggiori in Toscana e nel Regno di Napoli.
la situazione giuridico-legislativa nei principali
stati europei fino al XVIII secolo
Germania
©
➤ Norme consuetudinarie locali. Norme statutarie. Leggi imperiali. Diritto comune (con valore suppletivo).
➤ Diritti particolari (Ordinanze regie, giurisprudenza delle consuetudini locali). Diritto comune (con valore suppletivo).
Repubblica
di Venezia
➤ Diritti particolari.
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Stati italiani
(eccettuati Stato
e Repubblica
di Venezia)
op
Stato Pontificio
C
➤ Diritto comune. (Romano e canonico) Diritti particolari
(Diritto feudale e delle Corti giurisprudenziali).
Diritto scritto.
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Francia
meridionale
➤ Consuetudini territoriali di influenza germanica (Coutumes).
Diritto non scritto.
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Francia
settentrionale
➤ Diritto canonico.
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A
i
◆Alberto da Gandino (Crema 1278-1310)
br
Avvocato e magistrato, incentrò la sua attività
di scrittore negli ultimi anni del XIII secolo.
Appartenne alla scuola dei Postaccursiani,
legò il suo nome soprattutto a due opere
monografiche. Nelle Quaestiones statutorum
venne riorganizzata ed approfondita l’intera
disciplina delle norme statutarie e del loro
fondamento giuridico. Nel Tractatus de maleficiis venne risistemata l’intera materia dei
delitti e delle pene, profondamente innovata
dalla normativa statutaria.
Magnus practicus venne definito da Giovanni d’Andrea, canonista del Trecento, per le
profonde ispirazioni che egli traeva dalla sua
quotidiana pratica di avvocato e giudice.
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Es
1260)
Giureconsulto. Si laureò intorno al 1213 a
Bologna, ove tenne la cattedra di diritto romano. Fu discepolo di Azzone e rivale dell’altro
grande glossatore Odofredo Denari. In circa
sette anni diede vita ad un ampio apparato
di annotazioni (circa 96.000) al Corpus iuris
civilis, che erano la risultante di un’accurata
attività interpretativa compiuta nei tempi precedenti dai giuristi della scuola dei Glossatori.
Tale imponente sistema di annotazioni fu denominato Magna Glossa o Glossa Ordinaria
o Glossa Accursiana, che segnò il punto di
massima maturità della scuola stessa.
L’opera di Accursio divenne in tutta Europa
oggetto di studio imprescindibile accanto al
Corpus iuris giustinianeo. Nelle edizioni a
stampa che si ebbero di quest’ultimo durante
i secoli XV-XVII, la Glossa Accursiana veniva
stampata tutt’intorno al testo del Corpus, che
occupava lo spazio centrale di ogni foglio.
Accursio ebbe tre figli, che pure si diedero allo
studio del diritto e vi acquistarono fama: Francesco jr. (1225-1314), Cervotto (1240-1287) e
Guglielmo (1246-1314).
li
◆Accursio (o Accursi o Accurso) Francesco (Bagnolo, Firenze 1182 - Bologna
Clodoveo nella battaglia di Poitiers del 507.
A lui si deve la emanazione di una raccolta di
leggi romane nota come Breviarum Alarici.
se
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Dizionario biografico
◆Agilulfo
op
yr
Fu re dei Longobardi dal 591 al 615, avendo
preso in moglie la vedova di Autari Teodolinda. Tentò di sottomettere, sottraendola ai
Bizantini, l’Italia intera, ad eccezione di Roma
e Ravenna. Pur conservando la fede ariana
favorì la diffusione del Cristianesimo tra il suo
popolo, in ciò esortato dalla moglie Teodolinda
e da papa Gregorio I Magno.
C
◆Alarico II
Ottavo re dei Visigoti di Spagna (dal 484 al
507). Fu ucciso in guerra dal re dei Franchi
◆Alciato, Andrea (Alzate, Milano 1492 -
Pavia 1550)
Giurista. Studiò diritto presso le Università di
Pavia e Bologna e si laureò nel 1516 a Ferrara.
Insegnò ad Avignone, Pavia, Bologna, Bourges
e Ferrara. A lui si deve il merito di aver iniziato
un nuovo indirizzo dello studio del diritto, che
sostituì quello della scuola dei commentatori e
segnò il momento dell’ingresso delle correnti
umanistiche nella scienza giuridica.
Dalla ricostruzione del diritto romano secondo
un metodo che, dal luogo ove Alciato insegnò,
viene definito francese emerse il problema
della natura della legge, che venne considerata
diretta emanazione della volontà dell’imperatore, al quale il popolo aveva delegato il
potere di legiferare. Per ogni potere legittimo
necessitava del consenso popolare ed i prìncipi
italiani ed i monarchi europei erano vincolati
all’autorità imperiale, considerata originaria
e prevalente rispetto ai poteri spettanti ai
regnanti territoriali.
328
A
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i
S.
p.
porto di gerarchia fra i due ordini. In considerazione della dualità della natura umana, l’uomo
apparve a Dante destinato a due fini diversi:
l’uno incorruttibile, l’altro corruttibile. Ed è
all’impero che egli affidò il compito di guidare
l’uomo al suo fine di essere corruttibile.
Nel De Monarchia Dante affrontò tre problemi: se l’impero fosse necessario al bene del
mondo; se i Romani avessero avuto tale diritto;
se l’impero derivasse direttamente da Dio. Egli
considerò l’unità politica della civiltà universale come naturale. Ritenendo che l’attività di
conoscenza fosse possibile solo all’umanità
nel suo complesso, Dante rinvenne tale fine
nell’unità politica del genere umano. Essa si
sarebbe storicamente realizzata con il regno
di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), durante il quale,
come nel paradiso terrestre, si era avverata la
felicità umana: non è un caso, per Dante, che
Gesù sia venuto al mondo durante tale periodo.
Augusto nel campo temporale, Cristo in quello
spirituale, fecero la felicità dell’uomo.
La realizzazione storica della felicità umana permise a Dante di stabilire la necessità
dell’impero e di riconoscerne ai Romani la
legittimità. L’ambito temporale gli apparve
dunque distinto dall’autorità spirituale del
papa. Imperatore e papa, novelli Augusto e
Cesare, esercitavano il loro ministero rispettivamente, per la felicità terrena e quella celeste,
ma in maniera autonoma, in quanto entrambi
promanavano da Dio. L’impero era dunque,
per Dante, perfetto, un’autorità di per sé sacra,
che non aveva bisogno della guida spirituale
della Chiesa.
La concezione dantesca dell’impero non può
essere considerata utopistica, poiché l’impresa
di Enrico VII fu vista come realisticamente
possibile da molti uomini del suo tempo. Dopo
il fallimento di tale impresa, non è da escludere
un parziale ripensamento di Dante su tali temi.
In effetti nella Divina Commedia, egli sembrò
accettare la subordinazione delle forze politiche ad una suprema autorità spirituale, fermo
restando il carattere sacro dell’impero.
ig
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©
Es
(Siena, inizi XII secolo - Civita Castellana,
1181)
Canonista e pontefice. Allievo di Graziano,
scrisse una summa esplicativa del Decretum.
Docente di diritto a Bologna, divenne cardinale
(1150), poi cancelliere della Chiesa (1153). Fu
assistente di papa Adriano IV nelle controversie con l’Impero, durante la dieta di Besançon
(1157). Alla morte di Adriano (1159) fu eletto
pontefice. La minoranza filo-imperiale dei
cardinali gli contrappose l’antipapa Vittore
IV, appoggiato dall’imperatore Federico I
di Hohenstaufen. Alessandro III, sostenuto
da Francia, Spagna e Inghilterra, scomunicò
l’antipapa, l’imperatore e i loro sostenitori.
Tra il 1160 e il 1165 risiedette in Francia,
lottando contro gli antipapi successivi. Rientrato a Roma, appoggiò la formazione della
lega veneta e della lega lombarda nel 1167,
in funzione anti-imperiale. Dopo la sconfitta
dell’imperatore a Legnano (1176), ottenne il
riconoscimento da parte di Federico.
Nel 1179 indisse il Concilio lateranense III, a
cui parteciparono trecento vescovi e durante
il quale furono emanati 26 canoni. In esso fu
stabilita la regola, tuttora vigente, che prevede
il voto della maggioranza dei 2/3 dei cardinali
per l’elezione papale.
La figura di Alessandro III costituisce un caso
esemplare di fusione tra l’attività teorica e
l’azione politica: egli utilizzò, da pontefice,
la sua cultura giuridica e la sua produzione
scientifica per affermare la libertà della Chiesa,
l’indipendenza del papato e l’obbligo per i
sovrani di aiutare la Chiesa.
se
◆Alessandro III (Rolando Bandinelli)
.
Appendice
◆Alighieri, Dante (Firenze 1265 – Raven-
C
op
yr
na 1321)
Poeta, scrittore e uomo politico.
Ha qui rilievo per il contributo fornito ai
concetti politici e giuridici medievali. In tal
senso l’opera maggiormente attinente è il De
Monarchia (1312-1313). Esso fu scritto in
occasione della venuta in Italia dell’imperatore
Enrico VII di Lussemburgo, che nel 1311 scese
nella penisola per farsi incoronare, nell’intento
di restaurare l’autorità superiore dell’impero.
Nel De Monarchia Dante distinse nettamente
la Chiesa e l’impero, senza stabilire alcun rap-
◆Astolfo
Re dei Longobardi dal 749 al 756. Fratello e
successore di Rachis, ne continuò la politica
antibizantina.
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◆Baldo degli Ubaldi (Perugia 1327 - Pavia
1400)
Giureconsulto civilista e canonista. Allievo di
Bartolo da Sassoferrato, del quale fu allievo
a Perugia, insegnò nelle migliori università
italiane (Pisa, Perugia, Firenze, Bologna, Padova e Pavia). Scrisse i Commentari al Corpus
iuris civilis e ai Libri feudorum. Importanti
furono anche i trattati Summula respiciens
facta mercatorum, che può essere considerato
il testo fondatore del diritto commerciale, il
De commemoratione famosissimorum doctorum, nonché una Lectura alle Decretali di
Gregorio IX.
Unitamente a quella di Bartolo, l’attività di
consulente di Baldo degli Ubaldi rappresentò
la più alta espressione della scuola dei Commentatori e si esplicò attraverso migliaia di
pareri legali.
©
Es
bridge 1859)
Filosofo e giurista inglese.
Fu allievo di Jeremy Bentham, di cui riprese
la distinzione tra l’indagine sul diritto com’è
e l’indagine sul diritto come dovrebbe essere,
occupandosi del primo aspetto. Per Austin
lo studio del diritto va condotto con metodo
analitico, sottolineando i caratteri comuni dei
diversi diritti positivi.
Austin è stato il maggior teorico moderno
dell’imperativismo: la legge è un comando
accompagnato da una sanzione proveniente
da un superiore politico. Questi è un sovrano
(individuo o assemblea) che non presta obbedienza abituale ad un’altra autorità, ricevendo
obbedienza dai propri sudditi. Austin considerò
il sistema giuridico come un insieme di comandi emanati dal «sovrano», indipendentemente
dal loro aspetto qualitativo.
li
◆Austin, John (Creeting Mill 1790 – Wey-
ne nella prassi, tanto che divenne frequente
l’affermazione: «chi non ha Azzone non vada
a Palazzo» per significare che nessun giurista
poteva dirsi veramente tale se non avesse avuto
un’adeguata conoscenza della Summa.
Altre importanti opere di Azzone furono
i Brocarda (regole generali di diritto) e le
Questiones sabbatinae (discussione di casi
controversi che davano luogo a dispute, per le
quali era riservato di solito il giorno di sabato).
se
Ai Bizantini sottrasse Ravenna (751), annettendo l’Esarcato e la Pentapoli. Pretese di
sottoporre a tributo i Romani e ciò determinò
l’intervento di Pipino il Breve re dei Franchi, invocato da papa Stefano II. Da Pipino
Astolfo venne sconfitto due volte (755 e 756)
e fu costretto a restituire quasi tutti i territori
conquistati.
◆Autari
ig
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Re dei Longobardi in Italia. Figlio di Clefi, salì
al trono nel 581 dopo un decennio di anarchia.
Respinse i Greci da Ravenna. Contrasse matrimonio con Teodolinda principessa di Baviera.
Fu il primo re longobardo a intraprendere una
politica di rafforzamento dell’istituto monarchico a scapito dell’autorità dei duchi.
yr
◆Azzo (o Azzone) Porzio (Bologna o
C
op
Casalmaggiore, XII secolo - 1230)
Famoso giureconsulto, definito la «sorgente
delle leggi». Tra i vari allievi della scuola dei
Glossatori ebbe Accursio e all’interno della
scuola stessa occupò una posizione di enorme
prestigio.
Scrisse una Summa Codicis che offrì una
organica e sistematica sintesi di tutto il diritto
civile e fu oggetto obbligatorio di studio tra gli
studenti delle università, nonché di applicazio-
.
329
Dizionario biografico
◆Bartolo da Sassoferrato (Sassoferrato,
Ancona, 1313 ‑ Perugia 1357)
Giureconsulto. Fu allievo di Cino Sighibuldi
da Pistoia all’università di Perugia e si laureò
a Bologna nel 1334. Insegnò diritto a Pisa e
Perugia, fu avvocato, consulente e amministratore pubblico.
Scrisse oltre 40 trattati, tra cui il Tractatus
Tyberiadias, il De regimine civitatis, il De
Guelfis et Gebellinis e il De Tyranno, nonché
numerosi consilia, quaestiones ed imponenti
commentari a tutto il Corpus iuris civilis.
Bartolo da Sassoferrato occupò una posizione
di enorme prestigio nell’ambito della scuola
dei Commentatori, per la capacità di interpretare le esigenze del suo tempo. Visse infatti
nel secolo di massima esplosione della vita
330
◆Bartolomeo da Capua (?-1328)
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Es
Giurista e alto dignitario del Regno di Sicilia.
Probabilmente studiò a Bologna; insegnò allo
studio di Napoli. Ebbe la carica di protonotario
(ministro guardasigilli) dei re angioini Carlo I,
Carlo II e Roberto. Funse da supervisore alla
redazione delle consuetudines neapolitanae,
promulgate da Carlo II nel 1306.
diritto dello Stato di punire, che deve avere natura retributiva, ossia deve essere basato su una
proporzione fra il delitto commesso e la pena
comminata. Quest’ultima deve tendere non a
vendicare l’offesa ma a riparare o prevenire
il danno che il delitto arreca alla collettività.
Secondo Beccaria il diritto deve essere chiaro
e certo, in modo che i cittadini sappiano in
precedenza ciò che è vietato e ciò che è consentito dalla legge e conoscano in anticipo le
pene, indicate tassativamente dal legislatore,
comminate per ogni fattispecie delittuosa.
Nella sua opera, inoltre, è posto l’accento sulla
necessità che le pene vengano applicate con
rapidità, dal momento che una pena mite ma
certa ha potere intimidatorio superiore rispetto
a quello di una pena terribile ma incerta nella
sua applicazione.
In nome della socialità e dell’uguaglianza
proclamati da Rousseau, Beccaria difendeva
l’abolizione della tortura e della pena di morte,
in quanto nessun uomo avrebbe mai consentito
di delegare alla società il diritto di disporre
della propria vita.
I princìpi illuministici formulati nel saggio
Dei delitti e delle pene vennero ben presto
fatti propri da numerosi Stati europei, tra cui
la Russia di Caterina II, la Prussia, l’Impero
austroungarico e il Granducato di Toscana di
Pietro Leopoldo, che riformò la legislazione
penale nel novembre 1786.
Infine, tali principi furono accolti in maniera organica nella Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 1789.
se
economica del comune, che pose alla dottrina
il problema di determinare i rapporti tra ius
commune e ius proprium.
Nel De Tyranno Bartolo fornisce uno studio
sul fenomeno della tirannide, ormai identificata con le nascenti Signorie. La tirannide
mascherata è quella che si esplica esasperando
una iurisdictio ottenuta legittimamente, oppure
esercitando dietro l’apparenza del rispetto delle
forme costituzionali un potere attraverso strutture e consiglieri dipendenti direttamente dal
signore e non integrati nell’organico.
Nel De regimine civitatis Bartolo afferma che
il regime repubblicano si addice alle piccole
comunità, quello aristocratico alle medie e
quello monarchico agli Stati più grandi.
Traendo spunto dalla tradizione assolutistica
tramandata dal tardo diritto romano imperiale,
Bartolo da Sassoferrato sostenne che il principe, pur non essendo vincolato alla legge, deve
ritenersi ad essa sottomesso in base all’equità.
.
Appendice
C
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◆Beccaria, Cesare (Milano 1738 - 1794)
Studioso di scienze criminali ed economiche,
nonché filosofo.
Si laureò a Pavia nel 1758. Tra il 1763 ed il
1764 scrisse il saggio Dei delitti e delle pene,
pubblicato a Livorno e tradotto in Francia
nel 1766.
Nel 1770 pubblicò le Ricerche intorno alla
natura dello stile e scrisse gli Elementi di
economia pubblica, editi postumi nel 1804
nella raccolta dei Custodi.
Nel saggio Dei delitti e delle pene, il Beccaria pose le basi del moderno diritto penale e
processuale, in quanto la maggior parte dei
princìpi da lui enunciati contro l’arbitrio e
l’efferatezza del sistema penale d’antico regime costituiscono ancora oggi il fondamento di
un ordinamento penale garantista e razionale.
Beccaria ricavò dai princìpi contrattualistici il
◆Bentham, Jeremy (Londra 1748-1832)
Giurista, filosofo e uomo politico inglese.
Compì gli studi giuridici ad Oxford.
Scrisse il Frammento sul governo (1780) in
cui affermò la necessità che la legge fosse resa
esattamente conoscibile anche a coloro che non
appartengono al mondo giudiziario; nell’Introduzione ai princìpi della morale e della
legislazione (1780) definì i princìpi delle sue
teorie; nella Difesa dell’usura (pubblicata nel
1787) sostenne la libertà d’iniziativa economica, accordata con una politica d’intervento
dello Stato. Nell’Introduzione ai princìpi di
morale e di legislazione (1789) espose idee a
favore della pace sociale, o nella Crestomazia
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◆Bodin, Jean (Angers 1529 - Laon 1596)
Giurista e uomo politico francese. Fu il principale teorico della sovranità.
Fu professore di diritto a Tolosa ed avvocato
a Parigi nonché membro degli Stati generali.
L’opera più importante è i Sei Libri della
Repubblica (1576), in cui egli teorizza i fondamenti della monarchia assoluta, intesa come
governo giusto, ossia conforme alla legge di
Dio e di natura. Tale governo deve avere per
obiettivo non la felicità, ma l’attuazione di
valori morali.
Secondo Bodin il potere sovrano può essere
solo assoluto e non può essere esercitato in
forma precaria. Il sovrano, inoltre, non deve
essere soggetto a nessun’altra legge all’infuori di quella divina, ma ciononostante deve
provvedere a dare ai propri sudditi norme di
condotta ragionevoli nel loro interesse.
Partecipò alla prima campagna in Italia nel
1794 agli ordini del generale Massena, trovando l’armata in uno stato di estrema miseria.
Per un certo periodo restò in disparte a causa di
intrighi e sospetti formulati nei suoi confronti
dagli ambienti del Direttorio.
Nel 1795 ottenne il comando della guarnigione
di Parigi e, pur essendo corso riuscì, grazie alle
doti dimostrate in battaglia contro i nemici della Convenzione, a guidare l’esercito d’Italia.
Qui sconfisse più volte Austriaci e Piemontesi
e ben presto riuscì ad occupare l’intera Lombardia, spingendosi addirittura in Austria, poco
distante da Vienna.
Nel 1798 con la spedizione d’Egitto conquistò
Alessandria, e l’intero Egitto (battaglia delle
Piramidi); quindi volse alla conquista della
vicina Siria. Qui lasciò il comando della spedizione al generale Kleber e tornò in Francia.
Nel 1799, abolito il Direttorio, si fece proclamare Primo Console per un decennio.
Nel 1800 condusse una nuova brillante campagna in Italia, riportando numerose vittorie,
tra cui famosa è quella di Marengo.
Nel 1804 fu proclamato imperatore. L’anno
successivo assunse a Milano anche la corona
del Regno Italico.
Durante il periodo dell’impero combatté
contro la coalizione di Russia, Inghilterra,
Austria e regno di Napoli. La Francia subì
una clamorosa sconfitta vedendo la propria
flotta, unitamente a quella spagnola, sgominata
dalla flotta inglese dell’ammiraglio Nelson a
Trafalgar nel 1805.
Quando nel 1806 fu tolto ai Borbone il Regno
di Napoli, Napoleone affidò quest’ultimo a suo
fratello Giuseppe, mentre all’altro suo fratello
Luigi egli affidò il regno d’Olanda. Nel 1812
Napoleone entrò a Mosca ma, poiché i Russi,
nell’abbandonarla, l’avevano data alle fiamme fu costretto ad una ritirata disastrosa per
l’esercito. Nell’ottobre 1813 fu rovinosamente
sconfitto nella battaglia di Lipsia. In Francia
venne restaurata la monarchia dei Borbone
(1814) e Napoleone fu costretto ad abdicare,
venendo confinato all’isola d’Elba.
Nel marzo 1815, tuttavia, rientrato in Francia
tornò in battaglia, vincendo contro i Prussiani.
Fu definitivamente sconfitto a Waterloo (giugno 1815) dal generale inglese Wellington.
se
(1815) propose l’introduzione di una tecnica di
riordino delle varie leggi ed istituzioni.
Tra il 1791 ed il 1813 l’impegno maggiore di
Bentham fu a favore di un nuovo sistema carcerario e, ispirandosi alle idee di Beccaria, elaborò
un progetto di carcere modello, il Panopticon,
avente la funzione di riabilitare i reclusi.
Accogliendo la tradizione britannica che va da
Hobbes a Locke Bentham diede grande importanza al principio dell’utilitarismo, in virtù del
quale la nascita della società e delle leggi si
fonda esclusivamente sull’utile comune, ossia
sul vantaggio che ne deriva alla collettività.
La legislazione non deve fondarsi su astratti ed
immutabili princìpi, ma deve basarsi sui motivi
che guidano le azioni umane e stimolare quelle
di comune utilità.
◆Bonaparte, Napoleone (Ajaccio, Cor-
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yr
sica 1769 - Sant’Elena 1821)
Nacque da Carlo e da Maria Letizia Ramolino.
All’età di dieci anni entrò nell’Accademia
militare di Brienne. Nell’autunno del 1784
venne trasferito alla scuola militare di Parigi
e l’anno successivo venne nominato luogotenente d’Artiglieria. Dopo aver trascorso
a Marsiglia una vita di stenti insieme alla
propria famiglia, riuscì a fare carriera col suo
reggimento. Conquistò i gradi di capitano, di
colonnello e di generale di brigata.
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Dizionario biografico
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◆Carlo Alberto (Torino 1798 - Oporto
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1849)
Figlio di Carlo Emanuele di Savoia-Carignano.
Durante i moti rivoluzionari del 1821 e dopo
l’abdicazione del re di Sardegna Vittorio
Emanuele I, assunse la reggenza dello Stato
sabaudo (Piemonte e Sardegna) e promulgò
una costituzione di stampo liberale, che venne subito revocata dal successore di Vittorio
Emanuele, Carlo Felice.
Fu re di Sardegna dal 1831 al 1849 e sin dai primi mesi del suo regno rivelò tendenze liberali
e riformatrici del diritto piemontese. Alla sua
iniziativa si devono, oltre all’abolizione della
feudalità in Sardegna attraverso una serie di
provvedimenti emanati tra il 1832 ed il 1840,
l’emanazione di un codice civile (1837), di
un codice penale (1839), di un codice delle
leggi penali militari (1840), di un codice di
commercio (1842) e di un codice di procedura
criminale (1847).
Il 4 marzo 1848 Carlo Alberto concesse lo
Statuto, cui fecero seguito la legge elettorale
politica (17 marzo) e quella sulla libertà di
stampa (26 marzo). Il diritto speciale della Sardegna, che dopo l’abolizione della feudalità e
dopo la codificazione generale e la concessione
delle libertà politiche non aveva più ragione di
esistere, fu abrogato.
Dopo l’insurrezione delle 5 giornate di Milano, dichiarò guerra all’Austria (1848) ma,
sconfitto a Custoza (25 luglio) e Novara (23
marzo 1849), fu costretto ad abdicare a favore
del figlio Vittorio Emanuele II.
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Es
(Parigi 1467-1540)
Giurista francese. Fu uno dei maggiori rappresentanti dell’umanesimo giuridico: ne
costituisce, con Andrea Alciato e Ulrich Zäsy,
la «triade suprema».
Scrisse le Adnotationes in Pandectas e le
Adnotationes posteriores (sul Digesto), in cui
applicò il metodo storico-filologico allo studio
del Corpus iuris civilis; il De asse et partitionibus eius, un trattato sulle monete romane, ricco
di annotazioni di natura economica e giuridica.
Fu inoltre autore di un progetto per la formazione di un codice di leggi, che la monarchia
francese avrebbe dovuto intraprendere, tenendo presenti gli insegnamenti della tradizione
giuridica romana e di quella francese.
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◆Budé, Guillaume (Guglielmo Budeo)
Nel 1158 Bulgaro fu convocato a scopo consultivo assieme a Martino, Iacopo e Ugo alla
Dieta di Roncaglia da Federico I di Hohen
staufen, che in essa riaffermò i diritti sovrani
dell’imperatore sui comuni italiani.
se
Dichiarato prigioniero, venne mandato in esilio
a S. Elena ove morì il 5 maggio 1821.
Molto cospicua fu l’attività legislativa di Napoleone, al quale si deve soprattutto l’elaborazione del codice civile, penale, di procedura
civile e criminale.
Il codice penale (1804) era diviso in 4 titoli,
riguardanti gli omicidi e le offese personali; furti, rapine e aggressioni; disposizioni
generali in materia di prove; sanzioni e loro
applicazione. Il codice civile francese venne
applicato nel Regno d’Italia nel 1805.
Il codice di procedura penale fu promulgato
nel 1807.
.
Appendice
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ig
◆Bulgaro (? - Bologna 1166)
Giureconsulto. Fu detto anche Bocca d’oro (os
aureum), per l’intelligenza e la raffinatezza
delle teorie formulate.
Fu uno dei quattro dottori della Scuola di Bologna, insieme a Iacopo di Porta Ravennate,
Ugo di Porta Ravennate e Martino (Gosia),
che raccolsero l’eredità di Irnerio.
L’opera più reputata fu De regulis iuris, un apparato di norme esplicative al titolo omonimo
del Digesto. Altre importanti opere furono una
collezione di quaestiones, intitolata Stemma
Bulgaricum; le Dissensiones dominorum, in
cui, polemizzando con Martino, propugnò la
tesi a favore di un’interpretazione strettamente aderente al testo delle leggi; il trattato De
iudiciis, sul diritto processuale.
◆Carlo Felice (Torino 1765-1831)
Ultimo figlio del re Vittorio Amedeo III, ebbe
a succedere nel regno di Sardegna (18211831) al fratello Vittorio Emanuele I, il quale
aveva abdicato in seguito ai moti rivoluzionari
del 1821. Salito al trono, rinnovò gli istituti
dell’antico regime, pubblicando un nuovo re-
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S.
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814)
Figlio del re dei Franchi Pipino il Breve. Cinse
la corona nel 768 insieme al fratello Carlomanno. Alla morte di quest’ultimo (771), assunse
il regno, unificandolo ed incorporandovi anche
i suoi dominii in Neustria (Francia nord-occidentale), Austrasia (Francia nord-orientale)
e Borgogna (Francia centrale), senza avere
alcun riguardo per i nipoti, che insieme alla
loro madre si rifugiarono in Italia, presso il re
longobardo Desiderio. Nel 773 giunse in Italia,
su richiesta di aiuto del pontefice Adriano I e
vinse Desiderio, del quale aveva ripudiata la
figlia Ermengarda (o Desiderata) e nel 774
prese anche il titolo di re dei Longobardi.
Durante una serie di spedizioni caratterizzate
da alterne fortune contro i Saraceni di Spagna,
fu vinto a Roncisvalle (Spagna) nel 778, in cui
perse la maggior parte dei suoi più valorosi
soldati, tra cui il famoso paladino Orlando.
Sottomise i Bavari (788) e gli Avari (796).
Divenuto ormai signore di quasi tutta l’Europa
occidentale, decise di muovere alla volta di
Roma, capitale del mondo e nella notte di Natale
dell’800 fu incoronato imperatore da papa Leone III, segnando la rinascita dell’impero romano
d’Occidente attraverso il Sacro romano impero.
La sua età viene definita del primo Rinascimento, dal momento che diede allo Stato una
razionale organizzazione giuridica, amministrativa e culturale.
Negli ultimi anni di vita associò al trono imperiale il figlio Ludovico il Pio.
ca -1336)
Giureconsulto. Fu la prima grande figura di
rilievo della Scuola di pensiero dei Commentatori, ed elaborò un programma interpretativo
della norma giuridica che utilizzava la dialettica come mero strumento della ragione umana,
ed era volto a cogliere la causa ispiratrice del
testo normativo.
Scrisse la Lectura super Codice (1312 o 1313),
in cui venne preso in considerazione non solo
il diritto giustinianeo, ma anche la recente
realtà della legislazione statutaria. Ugualmente
apprezzabili furono le due Lecturae sul Digestum vetus, oltre ad una cospicua serie di
quaestiones, consilia e tractatus.
Punto centrale della scienza giuridica è, secondo Cino la ricerca dell’umano equilibrio
(aequitas), che sempre esiste nei rapporti
umani. Purtuttavia, l’aequitas si trasforma
in comando imperativo (preceptum) soltanto
dopo l’intervento di colui che ha il potere di
formulare e promulgare una norma cogente e,
poiché nell’intervento umano vi possono essere degli errori, il diritto può non coincidere con
l’aequitas. Il giurista, pertanto, secondo Cino,
deve servirsi dello strumento interpretativo
della dialettica, senza lasciarsi condizionare
dai canoni di questa e deve sapere respingere
l’autorità di qualsiasi opinione ritenuta inaccettabile.
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◆Carlo Magno (o Carlo I Magno) (742-
◆Cino Sighibuldi da Pistoia (Pistoia 1250
se
golamento procedurale, una legge sulla pubblicità delle ipoteche, leggi penali per l’esercito,
per la creazione e l’ordinamento della marina
militare e per la marina mercantile.
L’opera di maggiore rilievo, dovuta all’iniziativa di Carlo Felice fu la pubblicazione delle
Leggi civili e criminali pel regno di Sardegna
(1827), ossia un compendio di tutto il diritto
esistente (privato, penale, processuale, feudale),
redatto nel rispetto delle fonti antiche, del diritto
comune e delle consuetudini locali dell’isola.
Tale compendio rimase in vigore fino al 1848.
Alla sua morte, Carlo Felice lasciò la corona
al nipote Carlo Alberto.
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Dizionario biografico
◆Clodoveo I (465-511)
Figlio di Childerico e fondatore della dinastia merovingia. Conquistò le terre a nord
e a sud della Senna e si impadronì del resto
della Gallia, vincendo a Tolbiac gli Alemanni.
Nello stesso periodo si convertì alla religione
cattolica, già professata dalla moglie Clotilde,
diffondendola tra i Franch ed offrendo la
propria protezione ai vescovi ed agli abitanti
cattolici dei regni vicini. Sconfisse Alarico
II, re dei Visigoti a Poitiers (507) ed estese i
suoi possedimenti sino ai Pirenei, ove fondò
il regno dei Franchi in Gallia. Nel 510 pose
la capitale del regno a Parigi. A Clodoveo I
si deve una raccolta di consuetudini del suo
popolo. Alla sua morte il regno venne diviso
tra i suoi quattro figli.