ISTITUTO SCOLASTICO COMPRENSIVO DI REZZATO 21 marzo 2015 Giornata Mondiale Unesco della Poesia Villaggi, paesi e città… Poesie e filastrocche Bambini in città - G. A. 9 anni, Rezzato 1969- Collezione PInAC RIO BO Tre casettine dai tetti aguzzi, un verde praticello, un esiguo ruscello: Rio Bo, un vigile cipresso. Microscopico paese, è vero, paese da nulla, ma però... c'è sempre di sopra una stella, una grande magnifica stella, che a un dipresso... occhieggia con la punta del cipresso di Rio Bo. Una stella innamorata? Chi sa se nemmeno ce l'ha una grande città. Aldo Palazzeschi 1885 –1974 DALLA MIA FINESTRA M’affaccio alla finestra, e vedo un mondo intero. C’è una casetta bianca e c’è un camino nero… C’è un pezzetto di prato e un alberello verde, c’è, in alto, in alto, il cielo e l’occhio ci si perde; vi passano le nuvole, la luna, il sol, le stelle… nel mio piccolo mondo, oh, quante cose belle! (L. Schwarz) PAESE Tre case di mattoni; una chiesa per le orazioni; una torre con due campane, un forno per il pane; la gallina che canta l’uovo una scuola col tetto nuovo; un vasetto con un fiore, un giardino per chi vuole… è un paese, ve l’ho detto, che starebbe in un fazzoletto. ( R. Pezzani ) VILLAGGIO DI MONTAGNA Sulla cima d’un monte verde c’è un villaggio di poche case che dipinto sembra nel cielo. E’ un paese sospeso in aria or si vede, or non si vede: tra le nuvole si disperde. Ma la sera, che luminaria! C’è la luna che si dondola sulla punta del campanile ed è là: sembra una gondola, a far lume a quel villaggio (G. Noventa) PAESINO Paesino chiomato di vento, fra i castagni che fan girotondo, gaio squittire, l’estate, ti sento col bel cuore pulito e giocondo. La chiesina sul fianco ti sta con tre campane rotonde e piccine che han la dolcezza della bontà, dentro le gole turchine, turchine. (I. Dell’Era) NOTTE IN PAESE Sul paesino bianco bianco scende la notte scura scura; ma il cuor piccino non ha paura, anzi è preso da un dolce incanto. Cosa c’è che lenta si leva per il cielo vasto e d’oro? C’è una luna di rosa e d’oro, che sembra un fiore di primavera. Cosa c’è nell’aria quieta, come un pianto grave e soave? C’è la campana che prega l’Ave e accarezza ogni pena segreta. Che cos’ha per compagnia la piazzetta solitaria? Ha la fontana che sempre varia la sua canzone di fantasia. (D. Valeri) PAESE Tu, per me, sei tanto bello paesello di campagna stretto attorno al campanile: hai due file di cipressi tre campane vive come melegrane, tante azzurre campanelle e di notte mille stelle. Verso sera sul sagrato porti bimbi in girotondo, sei piccino, ma per me sei come il mondo. Sei piccino: basta un lampo perchè il campo tremi d’oro; basta un soffio di levante perchè il pioppo tocchi il moro. Così bello, così bianco non mi stanco di guardarti, mi vien voglia di baciarti, paesello, paesello! (L. Davanzo) ALBA IN UN PAESE DI MONTAGNA Rintocchi assonnati dell’Ave Maria nell’aria pungente. Attorno l’antico silenzio e odore di pane appena sfornato. Seduto sul muro del piccol sagrato un candido vecchio immerso nel ciel mattinale attende paziente che suoni la messa. (C. Gaioni) PRIMAVERA Conosco una città dove la primavera arriva e se ne va senza trovare un albero da rinverdire, un ramo da far fiorire di rosa o di lillà: Per quelle strade murate come prigioni la poveretta s'aggira con le migliori intenzioni: appende un po' di verde ai fili dei tram, ai lampioni, sparge dei fiori davanti ai portoni (e dopo un momentino se li riprende il netturbino). Altro da fare non le rimane, per settimane e settimane, che dirigere il traffico delle rondini, in alto, dove la gente non le vede e non le sente. Di verde in quella città (e dirvi il suo nome non posso) ci sono soltanto i semafori quando non segnano rosso. (Gianni Rodari) SE FOSSI IO A FARE LA CITTÀ Se fossi io a fare la città la farei tutta a un piano subito sotto il cielo. Metà strade di acqua corrente pietre ed erba l'altra metà. Nei negozi soltanto cibo camicie di lino, spago e aria per biciclette. Le porte le farei leggere che a soffiare si aprono. Ad ogni incrocio musica. Un albero per ogni uomo e un bosco per ogni bambino. Il sindaco lo farei grasso silenzioso e spazzino. Il vescovo lo farei magro e dolce e divertente. Gli angoli li farei tutti rotondi cosi la gente verrebbe poco a poco e dopo se ne andrebbe lentamente. (Roberto Piumini) VILLAGGIO CINESE Tre capannucce formano l’estatico villaggio; s’incrocian tre straducole sul ponticel di faggio; si cela lo scoiattolo ch’ode un bambu frusciar, ruba oro e incenso agli alberi l’onda e li reca al mar. (Yu – Tsuen) VIAGGIANDO CON L’AEROPLANO Viaggiando con l’aeroplano ho visto cose meravigliose che non stanno sulle dita di una mano. Grandi paesi, città misteriose, bambini che corrono, mamme gioiose. Montagne alte quanto il Gran Sasso, un gigante dal lungo passo. Poi, non mi par vero, ho visto anche un cimitero E ancora una valle con prati fioriti non so se ci siamo capiti. Tutto questo, non vi par strano, l’ho visto sopra le nuvole, dall’aeroplano. A. Catalano PAESE Noi percorremmo tutto il paese nell’ora che tornano gli asini col carico di legna dalle cime profumate della Serra. Raspavano le orecchie pelose contro le grezze muraglie delle case, e tinniva, attaccata al collo, la campanella della capretta che il vecchio trascina al buio come un cane. Qualcuno ci disse buona notte seduto davanti alla porta. Le strade sono così strette e gli arredi stanno così addossati alle soglie che noi sentimmo friggere, al nascere della luna, i peperoni calati nell’olio. (L. Sinisgalli) IL PAESINO MODELLO Lo vedi il paesino modello? Il municipio, la scuola, la chiesa, la piazza, l’aiuola, l’orto col suo cancello, l e case, i loro abitanti… Qui tutto è nuovo ed è bello. Perfino il camino sul tetto ha dei colori smaglianti. E’ un villaggino perfetto. La gente festevole e gaia; la polvere qui non esiste sopra le aiuole e la ghiaia. che tu arrivi o che parta la banda ti accoglie per via; nel mio villaggino di carta si vive in buona armonia. E se tu giri il gran mondo non trovi un posto più bello, giralo in lungo ed in tondo: non trovi il paesino modello. (A. Luzzatto Ursisi) LA STRADA Voglio insegnarti una strada, una stradina un po’ matta che non si sa dove vada, che non si sa dove sbatta. Vede un ruscello che geme, che corre solo soletto e se lo prende a braccetto per chiacchierare un po’ insieme. E’ una stradina curiosa che non ha niente da fare: dove c’è un’ombra riposa; dove c’è un bosco, scompare; e se attraversa un paese ascolta agli usci la gente, porta con sè quel che sente, racconterà ciò che intese. Se in cuore avete uno spino, chiudete, dunque, la porta; c’è quella strada in cammino, impolverata, un po’ storta, bianca, più bianca di un greto, che se piangete vi sente e corre a dirlo alla gente… Non sa tenere un segreto. (R. Pezzani) PER LA STRADA Cicli, vetture, carri d’ogni forma e colore vengono e vanno: rombano veicoli a motore, s’odon grida, stridori, squilli, rullii, risate e fischi e scampanate. Gente, carri, quadrupedi s’incrociano veloci, nel frastuono confuso di rumori e di voci, nel moto, nella vita febbrile, senza posa, della città operosa. Ma quando vien la sera la gente si dirada; la vita si rallenta e la deserta strada si tace a poco a poco, per riposar silente fino al mattin seguente. (F. Casale) LA STRADA E’ bella la strada nel dolce mattino all’ora che il sole si mette in cammino. Nel gaio meriggio fra mille rumori le belle vetrine rifletton bagliori. Ma poi piena d’ombre discende la sera spargendo le stelle leggera leggera. La strada ormai scura si fa silenziosa risplende la luna e tace ogni cosa. (P. Baitelli) Canzone Escono allegri i bambini dalla scuola, lanciando nell’aria tiepida d’aprile, tenere canzoni. Quanta allegria nel profondo silenzio della stradina! Un silenzio fatto a pezzi da risa d’argento nuovo. (F. Garcia Lorca) SECONDARIA LA CITTÀ E quando in Palazzo Vecchio, bello come un'agave di pietra, salii i gradini consunti, attraversai le antiche stanze, e uscì a ricevermi un operaio, capo della città, del vecchio fiume, delle case tagliate come in pietra di luna, io non me ne sorpresi: la maestà del popolo governava. E guardai dietro la sua bocca i fili abbaglianti della tappezzeria, la pittura che da queste strade contorte venne a mostrare il fior della bellezza a tutte le strade del mondo. La cascata infinita che il magro poeta di Firenze lasciò in perpetua caduta senza che possa morire, perchè di rosso fuoco e acqua verde son fatte le sue sillabe. Tutto dietro la sua testa operaia io indovinai. Però non era, dietro di lui, l'aureola del passato il suo splendore: era la semplicità del presente. Come un uomo, dal telaio all'aratro, dalla fabbrica oscura, salì i gradini col suo popolo e nel Vecchio Palazzo, senza seta e senza spada, il popolo, lo stesso che attraversò con me il freddo delle cordigliere andine era lì. D'un tratto, dietro la sua testa, vidi la neve, i grandi alberi che sull'altura si unirono e qui, di nuovo sulla terra, mi riceveva con un sorriso e mi dava la mano, la stessa che mi mostro il cammino laggiù lontano nelle ferruginose cordigliere ostili che io vinsi. E qui non era la pietra convertita in miracolo, convertita alla luce generatrice, né il benefico azzurro della pittura, né tutte le voci del fiume quelli che mi diedero la cittadinanza della vecchia città di pietra e argento, ma un operaio, un uomo, come tutti gli uomini. Per questo credo ogni notte del giorno, e quando ho sete credo nell'acqua, perchè credo nell'uomo. Credo che stiamo salendo l'ultimo gradino. Da lì vedremo la verità ripartita, la semplicità instaurata sulla terra, il pane e il vino per tutti. ( PABLO NERUDA) IL BORGO Fu nelle vie di questo Borgo che nuova cosa m'avvenne. Fu come un vano sospiro il desiderio improvviso d'uscire di me stesso, di vivere la vita di tutti, d'essere come tutti gli uomini di tutti i giorni. Non ebbi io mai sì grande gioia, né averla dalla vita spero. Vent'anni avevo quella volta, ed ero malato. Per le nuove strade del Borgo il desiderio vano come un sospiro mi fece suo. Dove nel dolce tempo d'infanzia poche vedevo sperse arrampicate casette sul nudo della collina, sorgeva un Borgo fervente d'umano lavoro. In lui la prima volta soffersi il desiderio dolce e vano d'immettere la mia dentro la calda vita di tutti, d'essere come tutti gli uomini di tutti i giorni. La fede avere di tutti, dire parole, fare cose che poi ciascuno intende, e sono, come il vino ed il pane, come i bimbi e le donne, valori di tutti. Ma un cantuccio, ahimé, lasciavo al desiderio, azzurro spiraglio, per contemplarmi da quello, godere l'alta gioia ottenuta di non esser più io, d'essere questo soltanto: fra gli uomini un uomo. Nato d'oscure vicende, poco fu il desiderio, appena un breve sospiro. Lo ritrovo - eco perduta di giovinezza - per le vie del Borgo mutate più che mutato non sia io. Sui muri dell'alte case, sugli uomini e i lavori, su ogni cosa, è sceso il velo che avvolge le cose finite. La chiesa è ancora gialla, se il prato che la circonda è meno verde. Il mare, che scorgo al basso, ha un solo bastimento, enorme, che, fermo, piega da un parte. Forme, colori, vita onde nacque il mio sospiro dolce e vile, un mondo finito. Forme, colori, altri ho creati, rimanendo io stesso, solo con il mio duro patire. E morte m'aspetta. Ritorneranno, o a questo Borgo, o sia a un altro come questo, i giorni del fiore. Un altro rivivrà la mia vita, che in un travaglio estremo di giovinezza, avrà per egli chiesto, sperato, d'immettere la sua dentro la vita di tutti, d'essere come tutti gli appariranno gli uomini di un giorno d'allora. (Umberto Saba Dal Canzoniere, Milano, Garzanti, 1951) TRIESTE Ho attraversata tutta la città. Poi ho salita un'erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città. Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia. Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all'ingombrata spiaggia, o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa. Intorno circola ad ogni cosa un'aria strana, un'aria tormentosa, l'aria natia. La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva. (Umberto Saba da Trieste e una donna, 1910-12) CITTÀ VECCHIA Spesso, per ritornare alla mia casa prendo un'oscura via di città vecchia. Giallo in qualche pozzanghera si specchia qualche fanale, e affollata è la strada. Qui tra la gente che viene che va dall'osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l'infinito nell'umiltà. Qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d'amore, sono tutte creature della vita e del dolore; s'agita in esse, come in me, il Signore. Qui degli umili sento in compagnia il mio pensiero farsi più puro dove più turpe è la via. (Umberto Saba da Trieste e una donna, 1910-12) SAN MARTINO DEL CARSO Di queste case Non è rimasto Che qualche Brandello di muro Di tanti Che mi corrispondevano Non è rimasto Neppure tanto Ma nel cuore Nessuna croce manca E’ il mio cuore Il paese più straziato. (Giuseppe Ungaretti)