Quaderni di Biblos STORIA 32/11 bianca Unione dei Comuni Udhja e Rashkiwf'BtLSA Italia, Albania, Arbéreshè fra le due guerre mondiali Italia, Shqipèria, Arbéreshè rnidis dy luftavet botèrore Atti del convegno (Mezzojuso, 28 novembre 2010) Presentazione e cura di FRANCESCO LKONCINI Palermo 2013 PITTI EDIZIONI Questo volume è staio pubblicato con il sostegno finanziario dì: Regione siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell'Identità siciliana 2013 © Unione dei Comuni Udhja e Basbfe/uef BESA INDICE Presentanone p. 7 Francesco Leoncini, L'Albania come parte dell^aropa centrale p. 11 Viro Scalia, Un ponte oltre l'Adriatico p. 23 Antonio D'Alessandri, }M problematica nascita dello Stato albanese e il contributo di Anse!mo l^orecchio p. 53 Alberto Basciani, Preparando l'annessione. La politica culturale italiana in Albania negli anni di Zog (/ 924-1939) p. 83 Francesco Guida, // regno di re '/.og visto dalla documenta°*ione diplomatica italiana (1935-1936) p. 105 Eugenio Bucciol, II perché di una mostra p. 119 bianca Presentazione Come veneziano sono particolarmente lieto di curare la pubblicazione dei contributi al Convegno organizzato nel Castello di Mezzojuso (Palermo) in occasione dell'esposizione della Mostra fotografica «Albania, fronte dimenticato della grande guerra». Debbo ricordare che questa manifestazione ebbe l'alto patrocinio del Presidente della Repubblica e un Comitato d'onore assai prestigioso e comprendente un ampio spettro di istituzioni e associazioni. Esso venne promosso dall'Unione dei Comuni Udhja e ftasbkivet BESA, Comune di Mezzojuso, Associazione Italiana Studi Sud Est Europeo (AISSEE) - Roma, Centro di Documenta/ione Storica sulla Grande Guerra (CEDOS Grande Guerra) - San Polo di Pi ave (Tre vi so), di cui mi onoro di essere presidente. È stata un'occasione di assoluto rilievo per il confronto e il dibattito tra autorevoli studiosi di varia provenienza e formaPresidenza del Senato delln Repubblica, Presidenza della Camera dei Deputati, Ministero per i rapporti con le Regioni e per la Coesione Territoriale, Presiden/a Assemblea Regionale Siciliana, Presidenza della Giunta di Governo Regionale, Assessorato Regionale Beni Culturali e dell'Identità Siciliana, Provincia Regionale di Palermo, Comuni di: Nicosia (Enna) e Biancavilla (Catania), Ambasciata della Repubblica d'Albania, Università: Coscnza, Palermo, Roma Tre, Gì' l-'oscan Yene/ia, Facoltà teologica di Sicilia, Conferenza Episcopale Italiana, Kparchia di Piana degli Albanesi, Hparchia di Lungro, Badia Greca di Grottafcrrata. 7 zione culturale e, soprattutto, per sviluppare quelle sinergie tra Nord e Sud d'Italia che forze stolide e immemori vorrebbero in qualche modo fiaccare. E la storia albanese aiuta a ricollegare eventi ed esperienze che ebbero il loro baricentro lungo tutta la Penisola. A ragione Eugenio Vaina de Fava, l'ardimentoso cattolico democratico e mazziniano, che inaugura la Collana «La Giovine Europa» promossa da Umberto Zanotti Bianco (Giorgio D'Acandia) con il suo Albania che nasce (Battiate, Catania 1914) ricorda che «Fin dai primordii del secolo XIII, quando i mari d'Oriente si riaprono all'Europa, [...] fu Venezia la prima potenza occidentale che nutrì rapporti costanti coir Albania» e «quanto di essa, lingua, arte e costumi, si propagò durevolmente in Albania non fu come l'impronta romana segnato direttamente dall'artiglio, ma trasudò piuttosto all'interno insensibilmente, per effetto de' continui scambi che avevan luogo nei mercati costieri.» (pp. 98-99). Ovviamente non vanno dimenticate le gesta di Skanderbcg nel Regno di Napoli, la solenne accoglienza che ebbe a Roma come strenuo soldato di Cristo. Indubbiamente gli insediamenti albanesi in Calabria, Sicilia, Puglia e Molise costituirono quella salda testa di ponte che legò indissolubilmente l'Italia alla storia del vicino popolo d'Oltreadriatico e nell'allora «asburgica» Trieste si svolse nel marzo 1913 il Congresso albanese nel quale si confrontarono per la prima volta i diversi esponenti del movimento nazionale. Riconosciuto lo Stato indipendente in quello stesso anno, il governo italiano non si discostò da una condotta puramente strumentale nel trattare i problemi geopolitici dell'area balcaniOltre agli autori dei saggi di questo volume hanno partecipalo all'incontro Francesco Alamari (Università della Calabria) e Mattco Mandala (Università di Palermo). 8 ca, vale a dire in funzione di quelli che potevano apparire i suoi interessi «di potenza». Il Patto di Londra stabilì subito lo smembramento del neonato Stato albanese e in tal modo non vennero tenute in alcuna considerazione le spinte a favore del riscatto delle nazionalità, che invece animavano le correnti interventiste di origine risorgimentale. Queste ebbero un fugace protagonismo con il Congresso di Roma dell'aprile 1918, che chiamò a raccolta i rappresentanti dei popoli soggetti ali'Austria-Ungheria e segnò una svolta di breve durata nella rigida e contraddittoria politica sonniniana. L'approccio accortamente mercantile e pragmatico che era stato alla base della presenza veneziana in Adriatico venne comunque definitivamente abbandonato. Venezia, marzo 2013 10 FRANCESCO LHONCINI ' L'Albania come parte dell'Europa centrale È innanzitutto necessario abbandonare il termine «Balcani» per indicare l'area compresa tra la catena dei Carpazi orientali e i mari Adriatico, Egeo e Nero, e questo non tanto per il vezzo di introdurre nuove terminologie o nuove definizioni quanto piuttosto perché tale connotazione appare sempre più obsoleta e fortemente fuorviante. Essa sembra evocare in maniera pressoché esclusiva sventure, immani tragedie, inarrestabili scontri etnici, divisioni ancestrali, come se altre regioni d'Europa fossero state immuni nel corso dei secoli e nella storia più recente da eventi che abbiano profondamente e negativamente segnato la vita degli uomini per motivi sociali, ideologici, religiosi o di razza, fossero state esenti da eccidi, localismi e nazionalismi esasperati, precarietà di vita, feroci contrapposizioni. Basterebbe pensare alla stona delle nostre città, l'una contro l'altra armate, e al loro stesso interno divise in agguerrite fazioni pronte a lotte furibonde, tanto da ridurre la Penisola italiana per secoli sotto il dominio straniero, e constatare come ancora oggi una consistente forza politica riproponga divisioni e secessioni. Ma tanti altri luoghi e popoli d'Europa sono stati segnati da sanguinosissimi scontri e da persecuzioni, spesso molto più che negli stessi «Balcani», la Russia dei pogrom, la Spagna della guerUnìversità Ca' Foscari Venezia. 11 ra civile, la Germania e la Polonia dei campi di concentramento e di sterminio, i milioni di persone espulse dalle loro regioni di residenza dopo la Seconda guerra mondiale, e come non ricordare il secolare conflitto tra francesi e tedeschi, conclusosi solo negli anni '60 del secolo scorso grazie a due personalità di eccezionale rilievo quali Charles De Gaulle e Konrad Adenaucr. I «Balcani» non sono dunque da considerarsi come qualcosa di oscuro e tribale, una sorta di Halb-Asien, di «quasi Asia», conficcata in Europa> priva di connotati «civili», ììaìkan in fin dei conti è un nome geografico. Eppure anche i socialisti tedeschi del XIX secolo consideravano «spazzatura di popoli» (l-'ò/kerabfiillé) le genti che abitavano quella regione.' Abbiamo assistito a una vera e propria criminalizzazione delle popolazioni balcaniche, considerate, come tutte quelle che stanno al di là della linea ideale Berlino-Tricste-Otranto, europei di serie B e nella fattispecie anche di serie C, perché descritte più aggressive e brutali.* Ci si è tra l'altro dimenticati che il nazionalismo è nato a Ovest e che il virus ha contagiato successivamente la parte centrale e orientale del Continente. Gabriele D'Annunzio contrapponeva la 'venezianità' alla barbarie degli slavi, che chiamava 'uscocchi'. A sua volta il grande storico della romanità Thcodor Mommsen incitava i tedeschi d'Austria a spaccare il cranio ai cechi, apostoli della barbarie. II fatto è che l'Europa, come ricorda la studiosa «iugoslava» ' Cfr. M. TODOKOYA, Immaginando i Bakarii, Argo, Lecce 2002, p. 63. " Appare assai utile a questo proposito l'Epilogo On Vìa/enee del volume di MAUK MA/OVKK, The Balkans, Phocnix Press, London 2001, pp.128-135 dove tra l'altro si legge: «thè wartìme slave Itihour camp ai Maiithausen induated (bai thè Austrìans dìd noi bave mucb io learn from Bosnian Serbi about violente. [...] // uws, afler ali, neither thè peoples of thè Ba/kuns nor tìmr r/ilen wiio give birlb tu I he (ìulug, thè extermination camp or thè Terror. Wehrmacht soldiers - no! io mcntion other Nu^i agenàes — killeil jar more peopìe in thè Ralkans tlhin mere killedby thcm.ti (p. 129). 12 Rada Ivekovic, si è sempre definita in forma binaria, dove l'Europa dell'Ovest intende considerarsi come il «tutto»: Essa sì è sempre autodeterminata nella sua sroria ridcfinendo le proprie frontiere verso l'Est e infine verso l'Asia». Di conseguenza, questo Altro non le si rivela come cosoggetto, ma turt'al più come vuoto, come assenza oppure come una realtà che al massimo l'Europa, quella dell'Ovest, può solo colonizzare, educare, omologare a se stessa. L'Albania partecipa di questo carattere di subalternità che ha coinvolto tutto lo spazio che va dal Baltico all'Egeo e che si situa tra la Germania e la Russia. È questo il complesso di territori e nazioni che deve essere definito come P^uropa centrale superando così la distinzione assai limitativa tra una Mìtteleuropa di stampo germamco-asburgico, collocata in un contesto che appare già «Occidente», e quindi più vicina a quella che si ritiene essere la fonte stessa della civiltà, e i Balcani, intesi come un inesauribile focolaio di crisi. L'insieme di paesi e popoli inseriti in questo lungo segmento geostonco ha vissuto in realtà nel corso dei secoli un'esperienza comune che li identifica a tutt'oggi in maniera unitaria, quella cioè di essere un'«area di competizione e di contrattazione» tra le grandi potenze. Esso è stato la «frontiera» di conquista e di scontro dell'Impero bizantino, dell'Impero germanico, della Repubblica di Venezia, dei mongoli, dell'Impero ottomano, della Svezia, della Russia, quando questa si sostituì alla Svezia come grande potenza del Nord, del Papato. Si tratta perciò di popolazioni che sono state per lo più sfruttate e strumentalizzate secondo scopi e finalità estranee ai loro interessi oppure abbandonate a se stesse in momenti cruciali della loro storia. Così avvenne nel 1938 a Monaco per la Cecoslovacchia e successivamente a Jalta nel 1945 e ancora, balcanizzazione della ragione, Mamfestolibn, Roma 1995, p.75. 13 dopo l'89, quando il ruolo di quello che un tempo la pubblicistica sui Balcani definiva il «Tribunale dell'Occidente» e che ora potremmo individuare nella diarchia franco-tedesca e nella Nato, è stato di assoluto rilievo nel condizionare gli eventi. In un mio recente saggio intitolato l^i questione dei Sudeti e la questione del Kosovo: conflitti etnici e strategie internazionali * concludevo affermando che, sulla base di quanto era avvenuto in quelle regioni nell938enell999, le strategie delle grandi potenze sono di gran lunga estranee alla conclamata difesa dei diritti delle popolazioni minoritarìe e in entrambi Ì casi hanno avuto come conseguenza la fine di una convivenza secolare. Appare pertanto del tutto riduttivo e costituisce una banale perpetuazione di luoghi comuni, che purtroppo si sono sedimentati in larga parte della storiografia, considerare l'Ottocento come il secolo dei nazionalismi in Europa centrale e addebitare alla conflittualità interna ai Balcani e alla irresponsabilità di gruppi «terroristici» lo scoppio del primo conflitto mondiale." Potremmo invece più correttamente parlare di autodifesa na^iona4 In Si-AVI A, XYI(2007) 3, pp. 114-126. Ora pubblicato anche in: Assimilalone, integrazione, esclusione e reazione etnica, a cura di A. Pavaii e G. Girando, voi. Il, Editura Muzeului Jàrii Crisunlor, Oradea 2012, pp. 248-265. s Ivi, p. 126. È il caso dì stigmatizzare il titolo del volume collettaneo Balcani 1908. A.l!e orìgini di un secolo di conflitti [Beit, Trieste 2009] curato da Al.BKKTO B A S C I A N ] e ANTONIO D'ALESSANDRI, che addirittura sembra far risalire tutte le disgrazie dell'Europa del Novecento a quella dannata regione, ancora prima del '14! Nella premessa i curatori sostengono: «Dopo il 1908 questa 'barbara e selvaggia''periferia si avviava a diventare la 'polveriera d'Europa', capace di mandare in crisi il vecchio ordine politico e quel collaudato sistema di balancc of power secondo cui i cambiamenti erano diretti esclusivamente dal concerto delle tradizionali grandi potente, a volle pacificamente, a volte con ti ricorso alla guerra» (pp. 7-8). I7- esattamente il contrario, sono le grandi potenze che condizionano pesantemente gli eventi nell'Europa centro- 14 le e di rinascita nazionale per i popoli soggetti ai quattro grandi imperi dell'area, vale a dire l'austro-ungarico, l'ottomano, il russo e il germanico, e che si stavano emancipando cercando forme di autonomia o addirittura ottenendo una limitata indipendenza. Ambienti culturali italiani di stampo mazziniano furono particolarmente sensibili a questi movimenti. Ho già ricordato nella Presentanone la Collana «La Giovine Kuropa», che iniziava le sue pubblicazioni presso l'editore Francesco Battiate) di Catania proprio con una monografia dedicata all'Albania. Scopo della collezione, si affermava nella quarta di copertina, è quello di dare una visione completa delle vere condizioni delle nazionalità oppresse, di rivelarne le aspirazioni, studiando tutte le possibilità delle loro realizzazioni. A riprova dell'impegno con il quale si era affrontato il compito si precisava: La compilazione affidata a uomini di progresso e di fede, sarà condotta con metodo dì sincerità e serietà assoluta: la lettura dei volumi sarà perciò utile non solo a quelli che credono nella vittoria finale del principio di nazionalità, ma anche a coloro i quali, pur seguendo il criterio di equilìbrio che guida l'attuale polìtica internazionale, non possono tuttavia ignorare quelle correnti sotterranee che costituiscono la ragione ultima dei più grandi avvenimenti della vita dei popoli. L'anno dopo vi apparve quella monografia del triestino Giani Stuparich su LM nazione cìyca, che restò per mezzo secolo in Italia uno dei pochi elementi di riferimento sull'argomento, ristampata nel 1922 presso l'editore Ricciardi di Napoli, quando ormai era nata la Cecoslovacchia, e ancora nel 1969 da Longanesi, all'indomani della Primavera di Praga, con una prefazione di Vittorio Frosini. È la Germania la potenza dinamica che rompe l'equilibrio post napoleonico. Noi siamo abituati ormai alla concezione di Hobsbawm del «secolo breve», se invece cerchiamo di allargare 15 un po' di più la dimensione del XX secolo e andiamo a vedere le radici del «secolo breve» troviamo come il fattore di rottura dell'equilibrio internazionale, vale a dire l'ordine stabilito al Congresso di Vienna, sia stata l'unificazione tedesca. È questa il detonatore di tutti gli sviluppi successivi. Trattasi quindi di un secolo lungo (1871-1991). Con l'unificazione la Germania diventa una grande potenza al centro dell'Europa e costituisce il vero polo di attrazione e di destabilizzazione. Ciò determina tutta una serie di contraccolpi specie nei confronti dell'AustriaUnghcria, la quale dopo lo scioglimento del Deutscher Burnì viene sospinta sempre più verso l'area centro-meridionale (i Balcani) fino a entrare in rotta di collisione con l'elemento serbo. Non era stato del resto un mistero per nessuno che al momento di congedare Bismarck, Guglielmo II avesse indicato per il proprio paese l'obiettivo di diventare una potenza di rango mondiale: Weltpolitìk aìs Aufgabe, Weltmacht als Zie/, flotte ah Instrument (Politica mondiale come compito, potenza mondiale come traguardo, flotta come strumento). In questo quadro l'Austria-Ungheria con i suoi territori balcanici e addatici avrebbe assunto il ruolo di ponte verso l'Asia e l'Africa. Alla base di tutto ciò c'era la creazione di un compatto nucleo territoriale sotto dominio tedesco comprendente le regioni circostanti. Quest'ultimo progetto venne ripreso e rilanciato nel settembre del 1914 dal cancelliere Bethmann Hollwcg quale scopo immediato della guerra e fu ampiamente sviluppato da Friedrich Naumann nel suo studio pubblicato a Berlino l'anno successivo e intitolato, per l'appunto, Mittekuropa. Una delle tante varianti di quel Drang nach Osten che ha caratterizzato la storia tedesca. È questo il quadro di riferimento all'interno del quale devono essere valutate le vicende dell'Europa centro-meridionale, in particolare a partire da quel Congresso di Berlino del 1878 con il quale Bismarck aveva aperto la strada alla penetrazione au16 striaca nella regione permettendo l'occupazione della Bosnia e del Sangiaccato di Novi Pazar, cosa che dava la possibilità di impedire un rapporto diretto tra Serbia e Montcnegro e un accesso serbo al mare. L'annessione della Bosnia nel 1908 conferma questa direttrice'1 e sottolinea la connivenza del governo di Vienna con la strategia geopolitica tedesca che si stava dispiegando lungo la linea Berlino-Baghdad. Masaryk osserva tra l'altro come l'imperatore Guglielmo, seguendo le orme di Federico il Grande, meridionale cff- M. G u - N N Y , The Balkans 1804-1999. Nationalism, \\"ar and thè Great Powers, Granfa Books, London 2000. In particolare vi si precisa a proposito dello scoppio del conflitto: «Tbegreatpowers seemed lo bave ali bui lost their ability fo cajole thè Balkan States ìnto serving esternai interests on thè peninsula. The Balkans were noi thè poivder keg, ai' i s so ofìen belìeved: thè metaphoris inaccurate. They vere rnerely thè powder traìlthat thè great poii'ers tbemselves had laìd. Thepmvder keg mas Europe.» (p. 243) 7 Nel suo scritto del 1915 dal titolo Danubio - Adriatico Sa IMO SJ.ATAI'KR osservava: «Ala la grandezza di Bismarck sta, come tutti sanno, nell'avere riconciliato l'Austria proprio facendole compiere verso i Balcani la funzione tedesca eh 'essaprima aveva in Italia, [...] Bisognava trovare una nuova strada di espansione in ricamino dell'italiana e una nuova base dì equilibrio interno, in compenso della Germania perduta, Ea strada d'espansione furono gli slavi meridionali, la nuora base di governo fu la compartecipazione al potere dei magari». Scritti politici, ii cura di G. STU l'Aliici I, Mondadon, Milano 1954, pp. 303-304. IVI, p. 309: «...non è affatto t'ero, come in generale si crede in Italia, che l'abbandono del Sangiaccato di \ot>ì - Bazar da parte dell'Austria all'epoca della definitiva annessione della Bosnìa sia stata una nera rinuncia alla Serbia e a Salonicco, dovuta alla diplomazia italiana: il Sangiaccato in realtà non importava niente alla monarchici da quando il suo slato maggiore aveva dichiarato eh 'esso militarmente era una trappola e che l'unica via d'invasione della Serbia non poteva essere che la valle del I 'ardar», " Particolare attenzione dedica a questo tema TOMAS G A K R I C U f - MAS Ali YK nella prima parte del suo volume La Nuova Europa, il punto di vista slavo, a cura e con introduzione di I1'. Ll-X)N(.tNi, Kdiziom Studio Tesi, Pordcnone - Padova 1997 [ora distribuito dalle Udizioni Mediterranee di Roma], pp. 14-26. Egli scrisse questa sua opera programmatica nella temperie della guerra, ma le sue analisi si rivelarono fondate anche alla luce della successiva documentazione. Cfr. pure S. Sl.ATAPHK, Scritti, cit., / ^i rivoluzione politica europea: la Germania verso %v;W,pp. 358-371. 17 inaugurò un'attiva politica filo turca. La Grecia, la Romania, la Bulgaria, l'Albania e perfino il Montenegro furono governati da dinastie e da principesse germanìchc. L'esercito turco fu affidato a istruttori prussiani. Da parte sua Slatapcr mette in evidenza che se l'Austria fosse riuscita a tenere la penisola balcanica da Odessa a Salonicco, la Bulgaria, la Rumenia e la stessa Grecia diventavano sue appendici polìtiche, senza parlare dell'Albania, inesistente di fronte a un tale enorme dominio. Che il Congresso di Berlino avesse segnato un inequivocabile spartiacque per i destini della regione centro-meridionale lo aveva subito capito un acuto studioso e uomo politico italiano Attilio Brunialti, vissuto tra il 1849 e il 1920, professore di diritto costituzionale e deputato per ben nove legislature. Egli dedica alle problematiche trattate in quella circostanza e alle soluzioni che ne erano scaturite cinque articoli pubblicati su la «Nuova Antologia» tra il 1879 e il 1881 e vede nell'affidamento della Bosnia-Erzegovina all'amministrazione austro-ungarica i segni di un grande mutamento nelle relazioni internazionali. L'avanzata austro-ungarica verso sud-est, la incipiente eclissi della Russia, hanno aperto una nuova fase della questione d'Oriente: il problema non è più la Turchia in Europa, ma piuttosto l'egemonia dell'Austria-Ungheria nei Balcani. " E il maestro elementare Giuseppe Lo lacono di Contessa Entellina (Palermo), recatosi a svolgere il suo lavoro in Albania dal 1914 al 1920, avrebbe dovuto constatare appena arrivato che L'Austria tradendo il sentimento del popolo albanese, tradendo "'Ivi.pp. 18-19. " S. Sl.ATAPr.K, Scritti, cit., p. 309. * Cfr. M. Dot; o, il apri ti àpio di nazionalità» nei Balcani dopo il Congresso di Berlino, seconda uno scrittore italiano del tempii, in I I ) . Storie balcanidie. Popoli e itati nella transizione alla modernità. Libreria Ktlitnce Goriziana, Gonxi;i 1999, pp. 59-64, qui p. 63. 18 gl'impegni presi con l'Italia, cominciava a considerare l'Albania come una regione facente parte della duplice Monarchia. L'Albania è dunque insenta a pieno titolo nell'Europa centrale, e le sue vicende, in particolare quelle documentate in questa mostra fotografica, ' la cui esposizione costituisce occasione del convegno, vanno riconsiderate proprio in questa nuova dimensione che accomuna il Nord e il Sud di quella che potremmo chiamare la Terza Europa. Non a caso nel 1939 si ebbero analoghi episodi di aggressione imperialista: allorché Hitler occupò la Boemia, immediatamente dopo Mussolini incorporò lo Stato adriatico. Da parte sua la Gran Bretagna da tempo considerava la Mitteleuropa alla stregua di uno spazio coloniale tedesco (German ìndia) mentre già con il Patto di Londra l'Italia aveva dimostrato di avere poco rispetto per l'integrità di quel paese che solo un paio d'anni prima aveva contribuito a creare assieme all'Austria. Quell'accordo prevedeva la sostanziale spartizione dell'Albania. Ancora una volta le grandi potenze intervenivano in maniera pesante e arbitraria sul tessuto dell'«altra Europa». Abbandoniamo pertanto i luoghi comuni, come quello dei «nazionalismi esasperati», la cui fucina sarebbe nei «Balcani», e parliamo piuttosto di «manipolazione dei nazionalismi», o di movimenti di riscatto nazionale che subiscono una radicalizza11 G. Lo lACONO, l^ltalia in Albania (1914-1920). Saggio introduttivo e cura di Yito Scalili, Unione dei Comuni BESA, Palermo 2010, p. 48. La mostra «Albania, fronte dimenticato della grande guerra», curata da Eugenio Buccio! è stata presentata in diverse città del Veneto, all'Archivio di Stato di Vienna nel 2003 e alla Galleria Nazionale di Tirana nel 2(105. Appartiene al Centro di Documentazione Storica sulla Grande Guerra di S. Polo di Piave (Treviso) www.cedosgrandeguerra.it. Mo ripreso in questo contributo alcune idee espresse nella presentazione al catalogo edito da «nuova dimensione», Portogruaro (Venezia), 2001. 19 zione ad opera di fattori esterni, di autocoscienza nazionale che talvolta sì esprime in forme estreme e disperate proprio in seguito alle decisioni dei protagonisti della scena internazionale. Un esempio eloquente ci viene offerto proprio riguardo a quest'area dal saggio dello studioso serbo Vojislav Pavlovic nel già citato volume Balcani 1908, sul tema «Le reazioni interne in Bosnia-Erzegovina di fronte all'annessione del 1908». " L'Autore ricorda come quella Mìada Bosna [Giovane Bosnial dalle cui file uscirà Gavrilo Princip, l'attentatore di Sarajevo a Francesco Perdonando, fosse nata dall'inasprimento della situazione politica dovuto all'annessione stessa, mentre inizialmente si erano formate delle associazioni di stampo letterario e di impegno sociale tra gli studenti del liceo di Mostar. Esse guardavano a Mazzini, ai socialisti russi ma soprattutto si avvalevano degli insegnamenti di Tomàs Masaryk, che dalla sua cattedra di filosofìa dell'Università di Praga sviluppava tutta una azione volta a favorire il rinnovamento culturale degli slavi del sud e la loro reciproca integrazione. L'attività di questi gruppi, al quale appartenne anche Ivo Andric, futuro diplomatico e scrittore, premio Nobel, mirava innanzitutto a combattere l'analfabetismo, di cui era afflitta la stragrande maggioranza della popolazione. Ma questa prima fase di tipo gradualistico fu interrotta proprio dall'operazione condotta dall'Austria che determinò nel movimento una svolta e un'accelerazione in senso nazionalistico. A ragione lo scrittore polacco di origine lituana Czeslaw Milosz, in un'intervista dell'89, prendendo spunto dal Patto Molotov-Ilibbentrop afferma che " Pp. 101-113. RgH si rifa, trii l'altro, al classico volume di V L A D I M I R Dl-Dl•K, II groviglio htikanìco e Sarajevo, pubblicato in Italia da Mondadori, 1969. 20 Questa brutale spartizione di altri operata da due potenti stati, [gli] permette di definire cos'è l'Europa del Centro. Sono tutti quei paesi che furono oggetto di prevaricazione. 16 L'Albania ha condiviso questo destino. '' Cfr. P. U. DlNl, Inanello baltico. Profilo delle nazioni ha/fiche Lituania, Lettonia, Estonia, Marietti, Genova 1991, p. 107. 21 bianca 22 Vl'I'O SCALIA Un ponte oltre l'Adriatico /. Gli arheresbe e la questione albanese (1878-19/3) Nella seconda metà dell'Ottocento il lento tramonto dell'impero ottomano trasformò la regione balcanica nel terreno di scontro della politica di potenza dei maggiori stati europei e fece emergere all'interno della questione orientale la questione nazionale albanese. Il risorgimento dei popoli balcanici, accompagnato dalla ricerca delle origini storiche nazionali, si scontrava però con la frammentazione territoriale e religiosa delle appartenenze etnico-linguistiche. Il ruolo attivo svolto dalle potenze europee in competizione tra di loro portò alla nascita di stati indipendenti. Il Congresso di Berlino del 1878 confermò l'indipendenza serba e riconobbe come stati sovrani il Montenegro e la Romania. In quell'occasione un Comitato per la difesa dei diritti della nazionalità albanese (l^ega di Pri-yen) inviò un memorandum ai congressisti contro l'eventuale perdita di territori a favore dei nuovi vicini. La definizione dei nuovi confini, a danno di quello che si riteneva essere l'antico territorio d'Albania, innescò il risorgimento della nazione albanese (la Rjlindjà} cui partecipò in maniera decisiva un movimento politico-culturale nato tra gli albanesi della diaspora. Come ha scritto E. Hòsch, A.rberesh di Piana dej>li Albanesi, ha conseguito il dottorato di ricerca all'Università di Catania. Attualmente insegna nei licci. 23 durante la diaspora al dì fuori dell'ambirò di potere ottomano [...] queste élite colte si erano votate alla missione del risveglio e della liberazione dei loro compatrioti oppressi. In particolare, furono gli ambienti intellettuali italo-albanesi o arbéreshè (calabresi e siculi) a contribuire alla genesi della coscienza shqiptara contro le influenze greche, slave ed austriache, tramite giornali e riviste, comitati e società, e una produzione letteraria di notevole pregio, mentre gli albanesi continuarono a chiedere al sultano la concessione di ampie forme di autonomia amministrativa e quelle riforme spesso promesse e mai mantenute. In Italia le aspirazioni all'indipendenza trovarono un attento interlocutore in Francesco Crispi, lo statista italo-albanese che già nel 1879 aveva posto l'accento sulla reciprocità di interessi tra le due sponde dell'Adriatico: la storia vi prova, fin da tempi memorabili, la frequenza e la ripetizione delle emigrazioni ed immigrazioni fra le due penìsole, dall'italiana alla balcanica e dalla balcanica all'italiana. [...] Ragioni politiche, ragioni di interesse economico esìgono che il nostro Governo non abbandoni la questione orientale e non la lasci risolvere senza esercitarvi la sua influenza." In effetti non erano solo ragioni sentimentali a spingere Crispi negli anni successivi a difendere l'esistenza di uno stato albanese indipendente; piuttosto era la difesa degli interessi italiani che muoveva la sua azione di governo sia contro la politica russa di espansione nei Balcani, tramite la Serbia (slavizzazione), per il predominio nel Mediterraneo sia contro i tentativi di annessione da parte dell'Austria. Il controllo del porto di Valona da parte di quest'ultima avrebbe trasformato l'Adriatico in un mare austria' E. Mosci I, Storia dei Balcani, II Mulino, Bologna, 2006, p. 51. " Discorso alla Camera dei Deputati, 3 febbraio 1879, cit. in S. l'MTKorrv MANDALA, Italia e Albania. L'opera degli italo-albanesi, Supremazìa Fascista, Roma-Palermo, 1940, pp. 17-18. 24 co e l'Albania in un'altra tappa del suo ìn-orientamento, costituendo una minaccia permanente alla sfera di influenza dell'Italia. Guerra diplomatica e intrighi internazionali, controllo di traffici commerciali e iniziative per orientare l'opinione pubblica, agitazioni e manifestazioni nelle colonie, propaganda religiosa e apertura di scuole, costituivano gli strumenti di cui le potenze si servivano per ridisegnare la carta politica dei Balcani. Ma non sempre gli intellettuali arbereshé furono d'accordo sui mezzi e sui tempi più appropriati per raggiungere l'indipendenza albanese, come dimostra il contrasto nel 1896 tra il poeta siculo-albanese Giuseppe Schirò, fautore della rivolta in armi contro la tirannia della me^aìuna^ e il presidente della Società nazionale albanese d'Italia, il calabro-albanese Anselmo Lorecchio, che riteneva precoce una rivoluzione nella Shqipèria suscitata dall'esterno. Era a questi personaggi, assieme allo scrittore Girolamo De Rada, che la stampa internazionale di fine secolo attribuiva il risveglio della coscienza nazionale albanese. Il The Globe di Londra scriveva nel febbraio del 1898 che la principale spinta al movimento albanese si ebbe in Italia da parte degli Albanesi che ivi abitano, cui andava aggiunto il ruolo della colonia albanese di Bucarest. Questo ceto intellettuale della diaspora, discendente dagli albanesi rifugiatisi nell'Italia meridionale e in Sicilia al tempo dell'avanzata turca (XIV-XV secolo) e della resistenza organizzata dal principe albanese Giorgio Kastriota Skandcrbeg, non coltivava soltanto un vago amore verso una lontana patria di origine Si vedano le due posizioni in GlUSKl'Pl-: ScHlRù, Gli Albanesi e la Q Balcanica (ed. or. Napoli 1904) ora in Ini-M, Opere, a cura di M. Mandala, voi. IX, Rubbettino, Soveria Mannelli (Garantirò), 1998, pp. 108-109. 4 Cit. in Gu:s]-:]>H' Sci MRÒ, (*./i Albanesi e la Questione Balcanica, cit, p. 229. Il Borsen ^eitung di Berlino nello stesso anno scriveva: «è dall'Italia che fu gittata la scintilla della propaganda nazionale in Albania», IVI. 25 ma, facendo propria la causa albanese, era impegnato a difendere una propria identità culturale e a conquistare posizioni di prestigio e ruoli da far valere dentro il sistema di relazioni politiche e sociali interne alle colonie, o tra queste e lo stato italiano. Certamente, dentro il più vasto sistema delle relazioni internazionali, la natura della doppia identità degli italo-albanesi poteva creare non poche difficoltà sulla posizione da tenere, ad esempio, per la causa dei patrioti greci che lottavano per l'indipendenza dell'isola di Candia (attuale Creta) dalla Sublime Porta. Alla spedizione di volontari italiani organizzata da Ricciotti Garibaldi nel 1897 partecipò un gruppo di giovani di Piana dei Greci, assieme al dirigente socialista Nicola Barbato, convinti di andare a combattere per una giusta causa nella guerra greco-turca. Eppure combattendo contro i turchi gli arbéreshe si sarebbero trovati a combattere contro gli stessi albanesi che difendevano i territori da loro abitati, e a favore dei greci che avevano messo in atto una politica di assimilazione dei territori meridionali dell'Albania.1 In ogni caso, il maggior contributo degli arbereshe alla causa nazionale albanese non venne dai tentativi di spingere alla sollevazione quelle popolazioni, bensì dall'azione svolta dagli intellettuali in alcune assise congressuali e dalle pressioni esercitate presso gli ambienti politici italiani. De Rada nel 1895 riunì i rappresentanti delle comunità calabresi che decisero la fondazione di una Società nazionale albanese, chiesero l'istituzione di una cattedra di lingua e letteratura albanese al Regio Istituto Orientale di Napoli, e stabilirono la pubblicazione di un organo ufficiale degli albanesi d'Italia. Nel congresso promosso da Lorccchio nel 1897 la rivista da questi fondata (L/i L'cpisodio è riportato da Ci. Sellino, (,li Albanesi e la Questione Balcanica, cit., p. 94. 26 ne Albanese) fu trasformata in organo ufficiale della Società na%ìonale albanese!' Durante la discussione sul bilancio del Ministero degli esteri del giugno 1901 i deputati italiani ebbero modo di misurarsi sulla questione albanese, reclamando in nome del principio di nazionalità l'Albania agli albanesi o limitandosi per il momento alla richiesta di autonomia dentro la cornice dell'impero turco, e denunciarono la politica antiitaliana dell'alleato austriaco (Triplice alleanza del 1882). Questo svolgeva in Albania una sorta di padronato attraverso la custodia dei porti turco-albanesi dell'Adriatico (Valona), l'influenza sulle scuole confessionali e l'azione del clero cattolico, il controllo sulle comunicazioni postali e la censura su libri e giornali provenienti dalle colonie albanesi d'Italia. In particolare, la propaganda austriaca aveva trovato modo di esercitarsi, con l'aiuto di ambienti clericali, contro le scuole italiane a Scutari, diffamate agli occhi della popolazione locale come atce e massoniche. Al governo si chiedeva, da più parti, una più efficace azione diplomatica e il potenziamento della rete consolare; un impegno nello sviluppo del sentimento nazionale albanese attraverso gli scambi culturali tra colonie d'Italia e Albania e la conversione in centri di cultura albanese degli istituti e collegi albanesi d'Italia; la promozione delle scuole italiane anche con l'ausilio della Società Dante Alighieri^ la promozione delle comunicazioni postali e commerciali con l'istituzione di nuove linee di navigazione. La nutrita e diffusa presenza delle comunità arbéreshc d'Italia e il loro ruolo di testa di ponte con la Shqipèria fu al centro del discorso dell'onorevole De Niccolo: Or se in Italia possiamo fortunatamente disporre del concorso " Si veda l'introduzione di M. Mandala al volume TRII-ONIO G l l l D K R A , Urichc, Albanie:! n. 29, Unione dei Comuni HESA, Palermo, 2008, p. 31n. 27 di un elemento che ci viene dalla popolazione albanese, vegga il Ministro degli esteri se, per qualche consolato in Albania, non sìa da preferirsi qualcuno che appartenga alla nostra colonia albanese. Questo doppio carattere di essere italiano, dì nutrire sentimenti italiani e di trovare gli antichi ricordi della vecchia nazionalità, potrebbe grandemente giovare anche allo svolgimento della nostra influenza politica in Albania.' Gli italo-albanesi dunque finivano per costituire per il giovane stato italiano l'anello di congiunzione delle due sponde dell'Adriatico, un ulteriore titolo per rivendicare all'Italia il diritto di ergersi a tutore dell'Albania. E magari risolvere anche qualche problema interno: L'Italia si potrebbe servire di questo ottimo elemento, sìa per Ìl personale delle scuole italiane, sia per quello delle poste e dei consolati in Albania. Potrebbe ancora facilitare l'emigrazione degli italo-albanesi in quei territorii, mentre oggi sono obbligati a cercare lavoro nella lontana America, aveva detto l'onorevole conte Luigi Gactani di Laurenzana, un aristocratico con la preoccupazione delle sorti dei contadini meridionali. Il XX secolo si apriva all'insegna di un rinnovato attivismo politico-culturale per la causa albanese e di una ormai diffusa consapevolezza dell'opinione pubblica italiana ed europea. I rapporti culturali e lo scambio di esperienze politiche furono al centro della visita nel 1903 del leader politico albanese Ismail Kemal Vlora che in Italia incontrò le maggiori personalità politiche, tra cui Crispi, e i rappresentanti della neonata Lega italoalbanese di Palermo presieduta dal cav. Francesco Musacchia di Piana dei Greci. Vi è da rilevare che ancora a quella data la solu' Cit. in Ci, Sci URO, Gli Albanesi e la Questione balcanica, cit., p. 248. Discorso dell'onorevole conte Luigi Gaetaiii di Laurenzanu, cit. in G. Sci [IRÒ, Gli Albanesi e la Questione Balcanica, cit., p. 492. 28 zione alla questione albanese era cercata in una amministrazione autonoma ma formalmentc dipendente dall'Impero ottomano.' A cucire questi rapporti fu Schirò, instancabile organizzatore della solidarietà albanese e ispiratore di attività patriottiche, dal 1901 titolare della cattedra di albanese istituita a Napoli. Pubblicando la sua monumentale opera Gli Albanesi e la Questione balcanica nel 1904, Schirò aveva voluto ricostruire la storia della questione albanese nell'Ottocento e di quel movimento, diffuso in particolare tra gli albanesi d'Italia, che aveva prodotto una letteratura della diaspora e aveva posto come elemento unificante di identificazione della rinascita nazionale il criterio etnicolinguistico. Lucida risultava però la sua analisi sul piano delle relazioni internazionali: il conflitto degli interessi territoriali ed economici e l'antagonismo politico tra le grandi e le piccole potenze in fondo avevano favorito la soluzione della questione albanese. La politica dello status quo a tutela dell'integrità dell'impero ottomano risultava definitivamente compromessa, a suo dire, e la sua espulsione dall'area europea era ormai imminente. Dal gioco dei veti incrociati tra l'Austria e la Russia poteva aprirsi lo spazio per la costituzione di un regno albanese libero e indipendente, con a capo un principe italiano, che avrebbe definitivamente chiuso «la via alla marcia panslava e a quella pangermanica». Con il nuovo regno a regime monarchico, retro R. FALASCHI, IsmailKemal \ artefice dell'indipendenza dell'Albania, pp. 136137, in Gli'albanesid'Italia e la rìlindja albanese, a cura di A. Guzzetta, Atti del XIV Congresso internazionale di Studi albanesi (Palermo 25-28 novembre 1988), Centro internazionale di studi albanesi, Palermo, 1989. L'organo diret-tivo della Lega era così composto: Francesco Musacchia (presidente), Giorgio Maggiacomo e Guatano Ferrara Gandolfo (vicepresidenti), Girolamo Franco, Francesco Lo Jacono Saladino, Cristoforo Masi, Salvatore Darà Crispi, Ernesto Sartorio (segretario), Francesco Musacchia Mistretta (tesoriere). Ministro dell'istruzione Camillo Finocchiaro Aprile (presidente onorario). "C. SniIKÒ, Gli Albanesi e la Questione balcanica, eit, p. 552. 29 da un principe di Casa Savoia, l'Italia avrebbe dovuto inaugurare una politica non già di protezione ma di amichevole cooperazione. Fuori da questi scenari politico-diplomatici, nei primi anni del '900 a una produzione pubblicistica di interesse patriottico si dedicarono il pianioto Manlio Bennici, direttore de La Cadetta .Albanese che iniziò le sue pubblicazioni nel 1904, e il cosentino Tcrenzio Tocci, direttore della Rivista dei Balcani (1912-13). Il primo si adoperò per un intervento militare italiano a favore dell'indipendenza albanese durante le guerre balcaniche, il secondo organizzò il movimento rivoluzionario che nel 1911 scosse l'Albania del nord e la sua opera ebbe vasta eco sulla gioventù italiana. Entrambi dunque ritenevano i tempi maturi per una soluzione armata, quella che sembrò profilarsi nel 1911 quando il generale Ricciotti Garibaldi organizzò una nuova spedizione di volontari italiani e nelle colonie si aprì una stagione di agitazioni e iniziative popolari prò-Albania" che mise in allarme le autorità. 11 prefetto di Palermo, preoccupato circa le voci di presunti arruolamenti clandestini in soccorso dell'insurrezione albanese, chiese al delegato di Ps di vigilare sulla popolazione di Piana in quel momento oggetto della propaganda socialista del medico Barbato. Tuttavia queste voci furono presto smentite dal funzionario con un lapidario telegramma: dott. Barbato tutto dedito lavorio riorganizzazione partito socialista disinteressatosi almeno per adesso questione politica Albania.'" Nel paese arbcresh furono i dirigenti socialisti come l'rifonio Guiderà e l'avvocato Giuseppe Carnaio ad attivarsi per soSi vedano gli -articoli de L'Ora del 6 aprile 1911 (Gli Albanesi per In lorn aulica terra natale] e del 27-28 aprile 1911 (Grandiosa manifestazione prò-Albania a Piana dei Greci). Il Delegato di Ps al Prefetto di Palermo, 17 aprile 1911, m ASP, PrcfcrruraGabinetto, li. 359. Ivi si veda anche il teledramma del Prefetto al Delegato dì Ps, 15 apri le 1911. 30 stenere concretamente la spedizione armata, poi fallita, e a promuovere manifestazioni per la libertà e l'indipendenza della Shqipèna. La questione albanese, tema tradizionalmente riservato agli ambienti colti moderati e clericali, rappresentò un momento di solidarietà e coesione interna per una comunità che nel passato recente era stata attraversata da profonde divisioni politiche e sociali, se non da una dura lotta di classe (Fasci siciliani del 1892-94). I tempi erano ormai maturi per una soluzione della questione albanese. Nel novembre del '12 a Valona fu proclamata l'indipendenza albanese e Ismail Kemal Vlora fu eletto presidente del governo provvisorio. I/anno dopo, in una manifestazione a Palermo e nel congresso di Trieste, gli italo-albanesi si appellarono al governo italiano e alle grandi potenze per il pieno riconoscimento dell'indipendenza dell'Albania, e cioè per la difesa dei confini naturali del nuovo stato, ben sapendo che il futuro poteva essere gravido di conseguenze nefaste in assenza di un definitivo assetto dei Balcani. Fu in quell'anno che il ponte oltre l'Adriatico fu attraversato da un maestro elementare di un paese arbèresh di Sicilia. 2.1 Ricordi d'Albania (i 9! 3-1920) Giuseppe Lo lacono nacque a Contessa Bntellina nel 1888 da una famiglia di gabelloti e professionisti, protagonista della vita civile e politica del paese fin dall'età post-unitaria. I Lo lacono appartenevano al ristretto gruppi di tvW//del villaggio che controllava un gran numero di feudi. Alcuni membri della famiglia occuPer una puntuale ricostruzione di quegli avvenimenti e per un approfondimento sulla figura di Trifbnio Guiderà e i suoi rapporti con la cultura italoalbanese si veda l'introduzione di M. Mandala al volume TRH-'ONU) GuiPKRA, Uritiie, cit., pp. 7-55. 31 pavano posizioni di primo piano alFinterrio della compagnia della Guardia nazionale e fungevano da informatori degli affari locali presso le autorità superiori. 4 Giuseppe conseguì il diploma di abilitazione all'insegnamento nella scuola normale De Cosmi nel giugno del 1909 e successivamente iniziò la carriera di docente nelle scuole eiementari di Contessa Entcllina e in diversi paesi della Calabria. Nel novembre del 1913 con decreto ministeriale fu nominato insegnante presso le Regie scuole italiane all'estero e destinato alla scuola elementare maschile di Valona dove svolse la sua attività fino al '20. La sua prolungata permanenza nella città albanese e il suo impegno educativo, svolto in un contesto in cui mancavano i pur necessari sussidi didattici come una grammatica e un vocabolario, lo spinsero nel giugno del *16 alla stesura di un testo bilingue (italiano-albanese tosco) utile, secondo le finalità dell'autore, sia ai giovani albanesi per imparare la lìngua italiana sia agli italiani interessati ad apprendere la lingua albanese. Nel '19 Lo lacono incaricò l'editore Para vìa di ristampare diverse centinaia di copie della sua Grammatica italoalbanese, segno evidente di una operazione culturale che era andata a buon fine. Fu ancora la sua professione di maestro elementare a condurlo sull'altra sponda del Mediterraneo, quella africana di Porto Said (Egitto) dove rimase fino al '23 con l'incarico per l'insegnamento dell'italiano nella Scuola serale d'arti e mestieri Dante Alighieri. " Porto Said, città di recente costruzione (1859) collocata all'imboccatura del Canale di Suez, costituiva un porto artificiale importante sia per l'esportazione di prodotti egiziani che come stazione di rifornimento per le navi in transito, lì vid ente mente nella A. IBl-OK, La mafia di un villani siciliano 1860-1960, Rdi/.ioni di Comunità, Tonno, 2000 (ed. or. Ì974), p. 109. Il Regio Console d'Italia a G. Lo lacono, 10 novembre 1920. 32 regione si registrava la presenza di una numerosa comunità italiana,"' composta in buona parte di lavoratori e mercanti, tale da richiedere l'istituzione di una scuola che si affiancava a quella ben più nota e più antica di Alcssandria d'Egitto. Proviamo a seguire sul passaporto di Lo lacono le tracce dei suoi itinerari in questi anni tra pratiche burocratiche, spostamenti obbligati e difficoltà di movimento che comunque i canali ordinari dell'emigrazione comportavano anche per un impiegato del Ministero degli esteri: per il primo viaggio di andata, il Ministero dispose alla sottoprcfettura di Corlcone il rilascio del passaporto necessario affinchè il consolato britannico di Palermo autorizzasse il viaggio per Porto Said con imbarco dallo scalo marittimo di Messina; per i diversi viaggi di ritorno, in occasione dei congedi di fine anno scolastico, fu necessario passare per Alessandria e sbarcare a Brindisi, dopo il visto del consolato italiano di Porto Said e il permesso per uscire dall'Egitto, allora protettorato britannico. Dopo il suo ritorno in patria dal paese nord-africano e la sua esperienza decennale all'estero sembra che Lo lacono non si sia più spostato. Forse in questa scelta può aver influito il suo matrimonio nel '25 con una sua parente, certa Marianna Lo lacono, mentre continuava la sua professione di insegnante prima a Piana dei Greci e poi a Contessa e a Corleone fino alla morte avvenuta nell'aprile del '46. Durante gli anni del fascismo ricoprì a Contessa la carica di commissario prefettizio" e quella di "' Rimando a E Suimicil, Nel Levante, pp. 187-191, in AA.YV., Storia dell'emivra^ione italiana, voi. Arrivi, Donzelli, Roma, 2002. L'autore, alla luce dei dati raccolti in occasione dei censimcnti ufficiali degli stranieri residenti in Egitto, segnala un aumento del 122% della comunità italiana fra il 1882 e il 1917, pur nell'ambito di un progressivo processo di ma rgin alizza/ione e di perdita di prestigio e influenza rispetto al passato. 17 Lettera del cav. Antonino Inglese al prof. G. Lo lacono, S. Maria del Bosco (Contessa), 27 ottobre 1932. 33 podestà, ruoli ed incarichi che ai nostri occhi sembrano disegnare il profilo di un uomo d'ordine, sempre vicino agli apparati politico-amministrativi, filo-governativo anche nel passaggio dal regime liberale a quello fascista. Fondamentale per la sua formazione umana e professionale fu dunque l'esperienza di insegnante nelle Regie scuole italiane all'estero, istituzioni sorte nel Levante e nel bacino del Mediterraneo già all'indomani dell'Unità ma che, durante il primo governo Crispi, erano state oggetto di una prima legge organica (dicembre 1889), nel quadro di una politica dell'emigrazione a sua volta inserita nel più vasto disegno di una politica espansionistica. Le scuole, sia quelle governative che quelle private sussidiate, oltre a occuparsi dell'educazione di base delle famiglie degli emigranti, composte in buona parte di operai e tecnici ma anche di personale dei consolati o di dipendenti dello stato italiano, avevano in generale uno scopo più ampio: la salvaguardia della lingua italiana come mezzo per mantenere forte il legame tra i sudditi emigrati e la madrepatria e l'istruzione degli emigrati italiani come strumento di influenza culturale, politica e di penetrazione commerciale. Accoglievano anche stranieri e agli insegnanti richiedevano competenze professionali, titoli culturali e specchiata moralità, requisiti che dovevano però coniugarsi con i principi della tolleranza, del pluralismo e della laicità. In realtà sappiamo che proprio in Egitto fu più volte denunciato nel 1905-06 dalla Società Dante Alighieri un rischio di inquinamento clericale nelle scuole della comunità italiana; così come, in altre sedi, non mancarono P. SALVI'',']"!'!, L* scuole italiane all'estero, \>. 535, in AA.VY., Storia dell'emigrazione italiana, cit.. Secondo la Salvetti, «nel finanziare scuole governative solo nel bacino mediterraneo, prevalevano ^tì interessi di polìtica coloniale piuttosto che le esigente di provvedere all'istruzione dei connazionali all'estero, laddove più massiccia era la loro presenza, nelle Americhe e in I Lampa» (p. 544). 34 le critiche alla insufficiente preparazione degli insegnanti e alla loro rete di clientele. Con la nuova legge Tittoni del 1910 venne confermata la mission delle scuole, e cioè la tutela dell'italianità all'estero all'insegna dell'educazione patriottica e la diffusione della lingua e della cultura italiana, ma fu istituita la figura del maestroagente chiamato ora a svolgere anche un compito di assistenza in loco alle prime necessità degli emigranti e, talvolta, la funzione di agente consolare. Senza questo contesto di rapporti internazionali e di politica nazionalistica italiana non potremmo comprendere appieno il punto di vista privilegiato su alcuni avvenimenti del nuovo stato albanese quale emerge dai Ricordi dì Albania di I .o lacono. Questo «modesto volumetto» che raccoglie appunti e impressioni degli anni della permanenza a Valona fu scritto nel '23 e nelle intenzioni dell'autore doveva essere stampato a spese del Ministero degli esteri. Forse la sua mancata pubblicazione fu dovuta a qualche «maligna allusione»' che avrebbe potuto pregiudicare il suo incarico di insegnante governativo; e forse proprio per non restare vittima dell'accusa di avere qualche vantaggio dalla pubblicazione Lo lacono si era impegnato a introdurlo in Albania con una distribuzione gratuita. Il manoscritto per noi rappresenta una testimonianza importante sia come punto di vista italiano sulla ancora magmatica realtà politica albanese sia, ancor di più, perché ci riporta a quel ponte ideale e culturale costruito dagli italo-albanesi e a un punto di vista sulla società albanese e sulle sue fragili strutture economiche. Certo è pur vero che questa doppia identità culturale resta imbrigliata nella dialettica tra l'essere italiano e Ìl sentirsi albanese ma l'arberesh è un ibrido e il ponte tra le due sponde Era questo il ntolo originale che l'autore aveva dato al manoscritto. G, LM laa>nn a!Ministero degli ajjari esteri, s.d. ma 1922-23. 35 dell'Adriatico in fondo è un rapporto giocato su una asimmetria, come si evince sin dalle prime pagine: gli italiani sono lì per compiere un'opera civile e gli albanesi non devono dimenticare «il bene ricevuto» in termini di sviluppo morale e intellettuale e di progresso economico. Agli occhi di Lo lacono il popolo albanese non è riuscito negli ultimi secoli a formarsi «una storia ed una letteratura propria», si è fermato lungo la strada della civiltà, anzi la responsabilità è del malgoverno turco che ha negato i diritti di libertà e proprietà, ha soffiato sullo scontro di fazione tra i signori locali (o bey) e acuito i dissensi tra Gheghi e Toschi, musulmani e cristiani, cattolici e ortodossi. La scossa alla «povera» Albania può giungere da una nazione sorella, quell'Italia risorta la cui vicinanza aveva contribuito a civilizzare la sponda orientale dell'Adriatico già ai tempi della Repubblica di Venezia. In realtà il nodo balcanico venne sciolto quando l'integrità territoriale dell'impero ottomano fu scardinata dal nazionalismo crescente delle minoranze nazionali durante le due guerre balcanichc del 1912-13. In quel contesto il territorio albanese fu occupato dalle truppe montenegrine che reclamavano il territorio della regione di Scutari, da quelle serbe interessate alla regione del Kosovo e da quelle greche che puntavano ad acquisire la regione meridionale della (Jamèria. Come sappiamo, prima che il paese venisse definitivamente spartito tra gli occupanti, Ismail Kemal Vlora~' proclamò l'indipendenza e fu incaricato di guidare il nuovo governo, mentre ancora le grandi potenze lavoravano all'ipotesi di uno stato autonomo sotto sovranità ottomana. Nella conferenza di Londra del 1913 Austria e Italia, per impedire alla Serbia lo sbocco sul mare, si accordarono sulla nascita Si veda R. FAl.ASCI II, Ismail Kemnl L'lora artefice dell'indipendenza ot.,pp. 129-142. 36 di uno stato albanese indipendente con a capo Guglielmo di Wied, il cui principato era stato imposto, spiega però Lo lacono, dalla «prepotente Mittel-Kuropa» delle corti di Vienna e Berlino. Come ha scritto E. Hòsch, fu grazie alla rivalità tra le grandi potenze e i vicini che gli albanesi ottennero l'indipendenza, con un certo ritardo sugli altri popoli" e con ampie concessioni di territorio agli stati confinanti. Il principe designato regnò solo sei mesi, da aprile al settembre del '14 quando una rivolta lo costrìnse ad abbandonare il paese. La fine della dominazione ottomana significò l'inizio di una lunga fase di transizione, dominata dalla instabilità del quadro politico interno e dal caos sociale, di cui approfittò anche l'Italia che inaugurò il periodo dell'occupazione provvisoria militare. È significativo il fatto che Lo lacono dia una rappresentazione dell'Albania continuamente minacciata dai suoi vicini, l'Austria o la Serbia a nord, la Grecia a sud; una strategia ideologica che serve a mettere in primo piano il ruolo politicoculturale dell'Italia nell'opera di protezione, educazione e assistenza, ma che certamente risultava ben fondata nella realtà se, nuovamente nell'autunno del '14, truppe greche si diedero a distruggere e saccheggiare alcuni villaggi nell'Albania meridionale, spingendo alla fuga le popolazioni musulmane per fare spazio all'elemento greco-ortodosso. Molti dei sopravvissuti si diressero verso Valona, una media cittadina costretta ad accogliere il flusso dei profughi ma che era stata «sempre il rifugio dei perseguitati or cristiani ed or musulmani». Qui alcuni furono accolti da famiglie albanesi, altri che «non ricevettero assai felici accoglienze dai loro fratelli» trovarono un alloggio di fortuna nelle moschee, nelle carceri o nelle stalle e ben presto le condizioni sanitarie (tifo, colera e vaiolo) e alimentari divenE. Mosci!, Storia dei Balcani, c\ì.,p. 56. 37 nero preoccupanti in assenza di strutture amministrative mai definite. La situazione di Valona era tale però da giustificare l'intervento umanitario dell'Italia che si tradusse nell'invìo di una missione sanitaria della regia marina e nell'apertura di un ospedale civile cui fece seguito lo sbarco di truppe dell'esercito. L'opera di normalizzazione non riguardò solo la città, con la riapertura degli uffici e delle attività commerciali, poiché nel '16 il comando del XVI corpo d'armata decise di procedere con le truppe alla liberazione dei territori del sud occupati dai greci. Agli occhi dei più gli italiani erano i nuovi liberatori ma non mancò la diffidenza e atti dì propaganda ostile al governo italiano da parte di alcuni notabili. Nel giudizio di Lo lacono, non pochi errori, è vero, furono in seguito compiuti m Albania; ma non perciò gli albanesi dovevano arrogarsi il diritto di rendersi ingrati del bene ricevuto e muover guerra all'Italia (1920)." Dunque Lo lacono rivendica per l'Italia il riconoscimento di un intervento di pacificazione e di guida di cui \-Agiovanc nazione avevano bisogno nei primi anni dell'indipendenza. Tanto più che questa opera di civiltà si svolse durante gli anni terribili della prima guerra mondiale e si concretizzò nella realizzazione di benefichc istituzioni (scuole e ospedali), nella progettazione di moderne infrastrutture di comunicazione e nella organizzazione di un primo apparato burocratico-ammimstrativo. Sono i primi passi di una egemonia nell'Adriatico che i governi italiani muovono anche per sostenere gli investimenti di capitali e gli interessi commerciali delle imprese italiane, ma tutto ciò è preceduto dalla retorica della missione umanitaria e dell'educazione politica e civile di cui, in fondo, Lo lacono si mostra fedele interprete. " G. Lo \\CAW.->,L'Italia in Albania (i914-1920), a cura di V'ito Scalia, Quaderni di Biblos, 28/9, Unione dei Comuni BESA, Palermo 2010, p. 59. 38 Non a caso ci ricorda che «la nobile missione di educare gli albanesi» era stata inaugurata già al tempo della dominazione ottomana quando furono fondate da Crispi le regie scuole italiane di Scutari, Durazzo, Valona e Prevesa, negli anni 1888-89. In continuità con questo indirizzo di politica delle zone di influenza, secondo uno schema classico per cui prima giungono i maestri e i missionari e poi subentrano militari e mercanti per consolidare interessi politici ed economici, nel periodo dell'occupazione italiana le scuole albanesi furono aperte dalle Prefetture sotto il controllo dei comandi militari e funzionarono sia per presenza degli iscritti che per l'aumentata disponibilità di risorse. È bene precisare, tuttavia, che Lo lacono esclude con decisione l'idea che l'operato di queste scuole potesse essere ispirato a «sentimenti impcrialistici»; una convinzione di cui qualunque buon maestro elementare poteva nutrirsi ma che certo era in contraddizione con l'idea di fare gli albanesi, e cioè avviarli sulla strada della costruzione della coscienza nazionale, ammaestrandoli con la storia del Risorgimento italiano. Tuttavia la passione missionaria finì, anche se per breve tempo, per produrre effetti positivi sulle zone occupate, in quanto gli italiani misero a frutto le loro competenze tecniche per realizzare le infrastrutture necessarie a una ordinata e moderna vita civile, anche quando questa esigenza era più funzionale alla permanenza e allo spostamento delle truppe italiane. Vennero realizzate le condutture per l'acqua e le reti fognarie; furono rese carrozzabili vecchie mulattiere e costruite strade di collegamento tra l'interno e il porto di Valona utili al trasporto delle merci; fu costruirò un ponte, il palazzo municipale, il mercato cittadino e l'ospedale civile. E ancora, furono istituiti e resi funzionali il Commissariato dei consumi, il tribunale, gli uffici postali e telegrafici, gli uffici comunali, l'ufficio agrario e quello provinciale scolastico. Restarono incompiute invece due opere già 39 iniziate come la costruzione della linea ferroviaria ValonaBerat-Monastir e il rifacimento del porto. A interrompere questo «lento lavoro di penetrazione pacifica», svolto sotto amministrazione militare, fu il precipitare degli avvenimenti. Nell'estate del '20 il malcontento della popolazione locale di Valona, maturato per il persistere dell'occupazione militare, sfociò in scontro aperto con le truppe italiane e allora il governo fu costretto a ordinare il rimpatrio degli italiani, stabilito da un protocollo segreto con il governo di Tirana (2 agosto 1920) che però lasciava all'Italia il possesso dell'isola di Saseno. Con amarezza Lo lacono scrive di quei giorni: nella fretta sancita in un protocollo, abbiamo dovuto liquidare tutto ciò che di buono avevamo creato moralmente e materialmente.' Un'amarezza resa ancora più forte dalle accuse di quanti attribuivano la perdita delle simpatie albanesi verso l'Italia alla insufficiente opera svolta dalle scuole e dagli insegnanti italiani. Piuttosto, a suo modo di vedere, «la vera e la sola causa che ringalluzzì le teste di pochi facinorosi valonesi» furono la scarsa preparazione diplomatica e la debolezza del nostro esercito, alla quale contribuì «l'ostruzionismo socialista» di epoca nittiana. Per quest'ultima considerazione Lo lacono trovava un terreno fertile in una polemica ormai consolidata in epoca nazionalfascista contro la presunta debolezza della politica estera svolta dai governi dell'Italia liberale. Più lucida risulta invece la sua analisi quando lega l'origine dell'ostilità degli albanesi verso le scuole italiane alla maturata convinzione della loro indipendenza, prima, durante il breve regno di Guglielmo di Wied, e poi, dopo la guerra mondiale, quando il ceto intellettuale e commerciale albanese, cresciuto a stretto contatto con tutto ciò che era italiano, si oppose alla riapertura delle scuole e all'insegnamento "J G. Lo IACONO, L'Italia in Alhaiiìu, cit., p. 63. 40 della lingua italiana. Un trattamento che certo l'Italia non meritava, lamenta il contessioto, poiché questa garantiva la massima libertà alla lingua albanese a S. Demetrio Corone, nell'Istituto orientale di Napoli, in alcuni istituti ecclesiastici e nelle colonie italo-albanesi. Una lettura di questo mutamento nei rapporti tra le due nazioni, denunciato da Lo lacono, ci viene da un grande statista come Giovanni Giolitti che ben distingueva però il periodo dell'impegno in guerra in Albania (1919) dalla nuova politica inaugurata dal trattato di Rapallo (1920): II piede di guerra imponeva un regime economico di monopolio e di ingerenze statali di così vaste proporzioni da sopprimere quasi ogni libertà commerciale [...]. Ora invece ripresa la tradizionale politica italiana, che mirava ad assicurare la indipendenza dell'Albania, siamo nei migliori rapporti con quel popolo."1 In realtà questi rapporti erano ancora da definire ma ormai i tempi non erano più quelli in cui il generale Ferrerò, rivolgendosi ai giovani di Valona (1917), poteva indicare nell'Italia una sorella maggiore per l'Albania e negli italiani coloro che dovevano educare all'amore per la patria da coniugare con l'amore per la famiglia e la fede in Dio. Era il linguaggio familistico delle nuove patrie, del nazionalismo e del colonialismo di fine '800, che si erano assunti la missione morale di far progredire popoli rimasti bambini e di accompagnare la crescita di uno stato giovane-., un linguaggio mutuato dai rapporti interni al nucleo originale di ogni società, quella famiglia sulla quale doveva essere modellato il rapporto gerarchico tra popoli e patrie e tra stati-nazione. Date queste premesse e il loro retroterra ideologico, l'idea che gli albanesi potessero pensare di provvedere da soli all'eduGiovanni Gioititi e altri al \\e, 7 aprile 192}, in ASP, Prefettura-Gabinetto, anni 1906-1925, b. 70. 41 cagione dei loro figli sembra sconvolgere di per se stessa Lo lacono, un arbéresh che si percepisce come un perfetto italiano, che ha risolto la sua identità nell'italianità. È lui ad assumere il punto di vista del colonialismo italiano: nessuno meglio di un arbéresh poteva permettere agli italiani di avvicinarsi così tanto alla realtà socio-politica albanese, fino a divenire quasi uno strumento inconsapevole nelle mani della politica di potenza dell'Italia. Una spia di questo ruolo è l'assenza nelle sue memorie di qualunque riferimento alla sua identità ibrida di italoalbanese; m esse non vi è alcun accenno alla sua condizione di uomo della diaspora, il suo essere arbéresh viene, per così dire, eclissato. E comunque non si tratta della strategia dello scrittore che espone in maniera impersonale fatti e avvenimenti per renderli quanto più vicini alla realtà. Più semplicemente, Lo lacono ha già risolto il problema della doppia fedeltà tra albanesità e italianità a favore di quest'ultima: vive la sua esistenza di impiegato del Ministero degli esteri italiano, proviene da una famiglia della media borghesìa paesana di un comune dell'entroterra siciliano, e comunque non avrebbe potuto nel '23 rivendicare il suo essere arbéresh dopo che gli italiani erano stati costretti ad andarsene dall'Albania. 3. Tra due guerre Nella realtà dei fatti, la politica estera italiana non fu molto dissimile da quella delle altre grandi potenze e l'Albania restò un'area di competizione e di forti tensioni, dentro una visione che le assegnava un destino di subaltcrnità. Queste tensioni raggiunsero il culmìne con l'entrata in guerra dell'Italia a fianco delle potenze dell'Intesa. Nel Patto di Londra dell'aprile 1915 era prevista la spartizione dell'ex provincia turca e la formazione di uno stato indipendente musulmano nell'Albania centrale, 42 comprendente l'isola di Saseno, Valona e il suo retroterra, su cui l'Italia avrebbe esercitato la sua protezione. Sul fronte albanese gli italiani combatterono contro gli austro-ungarici che durante il conflitto occuparono buona parte del territorio centro-settentrionale mentre italiani e francesi mantennero le posizioni nelle regioni meridionali. Negli anni della guerra mondiale la presenza degli arbèreshè in Albania assunse anche il volto dei soldati italiani chiamati alle armi per combattere contro gli imperi centrali nel Corpo speciale italiano. È un dato significativo l'invio da parte del governo italiano di giovani militari provenienti dalle colonie arbèreshe nella Shqipèria e per noi rappresenta una presenza diversa da quella fin qui vista. Dunque non sono più soltanto letterati e insegnanti a costruire questo ponte fatto di idealità patriottiche e finalità culturali ma anche personaggi di estrazione popolare, appartenenti a ceti sociali che certo non vivono con la stessa consapevolezza il legame con l'antica madrepatria. La ragione di questa nutrita presenza nello scenario di guerra era probabilmente dovuta alla loro conoscenza della lingua, un elemento utile per i comandi militari italiani per entrare meglio di altri in rapporto con la popolazione locale, acquisire informazioni e superare quella barriera di diffidenza tra stranieri che la guerra contribuisce ad innalzare. E infatti ai giovani arbèreshè viene quasi sempre affidato il compito di interprete per gestire le relazioni tra ufficiali ed elementi locali nell'organizzazione della vita quotidiana così come durante l'avanzata in territori ostili. Dal '15 al '18 svolse ìl servizio militare in Albania Vito Stassi, un militante socialista di Piana dei Greci, che di fatto esercitò l'attività di interprete e che approfondì la conoscenza della lingua da autodidatta, utilizzando una grammatica albanese che gli fu fornita da un altro compaesano, il tenente Salvatore Di 43 Salvo."' Negli stessi anni anche il pianioto Giuseppe Riolo fu mandato in Albania come interprete scelto: accompagnava gli ufficiali nelle spedizioni, era incaricato di provvedere ai rifornimenti di carne per le truppe, e da ultimo gli venivano affidate somme ingenti per l'acquisto dei bovini vista la sua esperienza in materia." Strano destino quello di questi due personaggi, legati dalla comune provenienza e dall'esperienza albanese ma divisi dallo scontro sociale e politico innescato nel dopoguerra nel sud Italia: Riolo fu accusato come mandante dell'omicidio di Stassi (1921) nel conflitto che vide opporsi la mafia delle gabelle all'occupazione delle terre da parte del mondo contadino. Un nuovo attivismo degli italo-albanesi nel campo delle relazioni culturali si registrò nel dopoguerra quando la disastrosa situazione economica albanese contribuì alla ripresa dei rapporti tra l'Italia e l'Albania. Come aveva scritto Lo lacono, il giovane stato non avrebbe potuto incamminarsi sulla via dello sviluppo «senza il concorso dell'operosità italiana». I primi a muoversi in nome delle ragioni delTalbanesità furono gli uomini della Lega Nazionale Albanese che nel '22 riunirono a Palermo i rappresentanti delle varie colonie di Sicilia. Il resoconto di quell'in-contro è lo specchio della ricchezza di iniziative che componevano il programma di azione dei maggiorenti arbéreshe in quel periodo: Monsignor Schifò riferì circa le pratiche fatte presso il Segretario del Partito Popolare Italiano perché sia efficacemente interessato il Governo ad inviare a Tirana un ministro plenipotenziaF. Pin'KOTTA, l'ito Stassi Caruso, Camera del Lavoro di Piana degli Albanesi, Palermo, 1999, p. 13. Memoria in difesa di Riolo Giuseppe fu Giorgio innanzi alla Corte di appello di Palermo, seduta del 1° maggio 1928, nel processo per la cosiddetta «Associazione a delinquere di Piana dei Greci», in ASP, TCP, Pro e essi-giudizio, b. 3208. 44 rio e siano rivolte speciali premure verso gli istituti albanesi d'Italia, quale il collegio d'Adriano, in S. Demetrio Corone, il Collegio di Maria di Piana dei Greci, ed i seminari albanesi di Palermo e Grottaferrata. SÌ discusse, quindi, sull'insegnamento della lingua albanese nelle varie colonie d'Italia e si decise di intensificare le pratiche presso il Ministro della pubblica istruzione per ottenere che tale insegnamento sia reso obbligatorio in tutti i comuni nei quali si parla albanese. Il prof. Petrotta riferì sulla scuola di lingua albanese esistente in Piana dei Greci e propose che scuole simili siano create nelle altre colonie. Il cav. Zalapì disse che occorre far voti al Governo per l'istituzione dì una Cattedra di lingua albanese in questa R. Università. Il cav. Aw. G. Mandala riferì sull'opera svolta per il ripristino del rito greco a S- C risona Gela, esprimendo la fiducia che la S. Sede non tarderà a sanzionare lo stato attuale. E stato in ultimo deplorato che l'arcivescovo di Monreale ed Ì parroci di Piana dei Greci vogliano rimettere in vigore la bolla «Etsi Pastoralis» che da tempo immemorabile non è stata applicata, risvegliando così quel fanatismo e quello spirito di ostilità tra rito greco e latino che sono state causa di lotte secolari tra seguaci della stessa religione e membri della stessa famiglia. Venne pertanto stabilito di agire energicamente presso l'Arcivescovo e presso la S, Sede perché la bolla suddetta contìnui a non essere applicata." In ogni caso, i propositi della Lega non potevano non tenere conto delle dinamiche che presiedevano $\\% grande politica. Durante il regime fascista fu lo stesso duce a essere investito dei problemi posti dalla Lega. Mussolini nel '23 scrisse un telegramma al prefetto di Palermo il quale, per mezzo del federale Alfredo Cucco, avrebbe dovuto informare i dirigenti della Lega sulla realizzabilità dei loro propositi; Prego vossignoria comunicare codcsta Lega Italo-Albanese che pur apprezzando al giusto valore importanza suoi desiderata, l.Siì't>e(tore generale reggente In questura al prefetto dì Palermo, 2 luglio 1922, in ASP, prefettura-gabinetto, anni 3 906-1925, b. 389, fase. Lega italo-albanese. 45 debbo far presente che delegazione albanese trovatasi Roma ha specifico carattere tecnico commerciale né avrebbe veste per stipulare accordi di Ìndole culturale. Passi nel senso desiderato da codesta Lega Italo-Albanese potranno essere compiuti in tempo più opportuno con l'appoggio sia di questo Ministero che della R. Delegazione a Durazzo." I tempi dunque non erano maturi poiché in quel momento le priorità erano altre. Negli anni '20 il governo di Mussolini, mediante una serie di prestiti, stava avviando una politica di sostegno allo sviluppo del Paese delle aquile nel campo bancario, monetario e delle opere pubbliche, con la partecipazione di banche e aziende italiane. Il governo repubblicano albanese di Ahmet Zogolli, successivamente (1928) elevatosi al trono con il titolo di re Zogu I, fu largo nel concedere in cambio all'Italia una sorta di monopolio nelle concessioni petrolifere e minerarie, e nello sfruttamento ittico, forestale e agricolo. Tuttavia, appena qualche anno dopo, le proposte della Lega furono valutate con più attenzione. Nel '25 il segretario della Lega Rosolino Petrotta fece pervenire al Ministero degli esteri una relazione su alcuni rapporti culturali da istituire tra l'Italia e l'Albania nella quale, scrisse il Ministro degli interni, «particolarmente notevoli» erano due proposte: una di accordi speciali col Governo albanese per l'assunzione in servìzio presso le scuole di Albania di maestri e maestre italoalbanesi, particolarmente preparati in un corso speciale da istituirsi presso il R. Istituto magistrale di Palermo, ed un'altra di istituzione di una commissione italo-albanese per gli studi storici, a cui affidare, con l'accordo dei due governi, sìa gli scavi archeologici, Telegramma di B. Mussolini td prefetto dì Palermo, 1 dicembre 1923, in ASP, prefettura-gabinetto, anni 1906-1925, li. 389, fase. Lega italo-albanese. Per unii sintesi dei rapporti tra i due pausi si veda S. TRA N I (a cura di), UUnione Ira I'Albania e /'Ifa/ia, Ministero per i beni e le attività culturaliDirezione generale per gli archivi, Roma, 2007, pp. 23-38. 46 sia le ricerche negli archivi delle varie città italiane, dove esistono i documenti essenziali della storia albanese. Il Ministero degli esteri si era pertanto rivolto al Ministero degli interni per avere dal prefetto informazioni riservate sui dirigenti della Lega al fine di valutare la consistenza e serietà delle proposte avanzate. Nel suo rapporto il questore aveva qualificato gli esponenti della Lega come «persone di alta posizione sociale ed economica e di irreprensibile condotta sotto ogni rapporto»." A presiedere la Lega era il cav. Giorgio Maggiacomo, avvocato e massone, più volte consigliere e assessore a Palermo a cavallo tra i due secoli, ricco proprietario terriero che le fonti di polizia ci descrivono come manutengolo di briganti e mafiosi. Gli altri esponenti erano l'avvocato Gaetano Ferrara; il prof. Tommaso Russotto; il dott. Rosolino Petrotta, impiegato presso l'Ufficio provinciale sanitario; il cav. Giorgio Zalapì, possidente e già consigliere della amministrazione comunale del principe di Scalea a Palermo; l'avvocato Gabriele Darà di Palazzo Adriano; il ricco possidente Gaetano Di Cristina Fetta; l'avvocato Giorgio Mandala, pretore del III mandamento di Palermo; l'avvocato G. Battista Mandala, pretore del II mandamento di Palermo; il prof. Alessandro Schirò. Nel complesso la composizione dei soci rappresentava uno spaccato di un ceto di notabili fatto di impiegati, professionisti, intellettuali e proprietari terrieri che vivevano e gestivano le loro attività nel capoluogo siciliano; erano rappresentanti di un mondo alto-borghese sensibile per le sue origini a tutto ciò che riguardava la cultura arbereshe. L'entusiasmo dei soci della Lega non era mancato per la stiìl ministro dell'interno al prefetto di Palermo, 31 gennaio 1925, in ASl* prefetturagabinetto, anni 1906-1925, b. 389, fase. Lega italo-albanese. *~ 11'questore al'prefetto di Palermo, 14 febbraio 1925, in IlMOr.M. 47 pula del cosiddetto Patto di Tirana tra l'Italia e l'Albania del 27 novembre 1926. Il Patto di amicizia e sicure/za tra il duce del fascismo e il presidente della Repubblica albanese veniva considerato dai maggiorenti italo-albanesi come garanzia degli interessi politici ed economici dell'Italia in Oriente e come garanzia dell'integrità e dell'indipendenza della Repubblica albanese. Non solo quindi amicizia italo-albanese ma realizzazione delle iniziative nelle quali la Lega si era impegnata per rinsaldare i legami tra gli albanesi del Mezzogiorno d'Italia e la madrepatria. E nei telegrammi di ringraziamento alle autorità governative italiane non erano mancate le sollecitazioni affinchè si valorizzassero la lingua, le tradizioni, la cultura e gli istituti italoalbanesi. Nelle parole del segretario politico del fascio di Piana il tema dominante era riservato allo spazio di agibilità che nel futuro potevano ancora ricavarsi gli intellettuali arbcreshé: per sviluppo rapporti due na/ionì si valorizzino Istituti et uomini italo-albanesi che fieri loro italianità quadrisecolare dimostrata nel Risorgimento e guerra unità italiana et memori antica origine albanese sono miglior cemento due popoli Adriatici anche per conservazione lìngua tradizioni albanesi. Grande anima Francesco Crispi italo-albanese esulta vedendo realizzarsi suo vasto disegno politica orientale. DÌ fatto però non mancarono i momenti di frizione tra la Lega e le autorità italiane per il ruolo da questa svolto nel gestire autonomamente i rapporti con il governo albanese, rapporti coltivati personalmente da Maggiacomo durante i suoi viaggi in Albania in occasione di manifestazioni e cerimonie ufficiali, In Rassegna ita/o-a/banese del 31 gennaio 1927, n. 1. Il direttore della rivista era il tlotr. Rosolino Petrotta. l'elegramma dei dottar G. Gabrielli a B. Mussolini, in Rassegna italo-albanese del 31 gennaio 1927,n. 1. 48 come quella più volte rinviata della consegna al governo di Tirana di un gonfalone come segno dell'affetto per l'antica patria e di amicizia tra i due popoli. Il Ministero degli esteri italiano aveva frenato su questa iniziativa riservandosi ogni decisione circa l'opportunità e, eventualmente, il tempo e il modo di una manifestazione che non va considerata isolatamente, nei suoi moventi indubbiamente nobili e nel significato che hanno voluto darle i suoi promotori, ma in relazione a tutù gli elementi di una situazione che questo Ministero è solo in grado di valutare nel suo complesso. J Si richiamava la Lega al rispetto delle gerarchie politicoistituzionali per rendere compatibili le sue ragioni con quelle governative; le pressioni sul segretario del Pnf Turati da parte della Lega, affinchè appoggiasse la richiesta, non erano state gradite al ministero che, in maniera laconica e stizzita, aveva disposto al prefetto di far rilevare ai dirigenti la inopportunità di queste insistenze e di questi tentativi di sollecitazioni indirette e [di] invitarli a rinunziare per ora alla manifestazione progettata e a rimettersi disciplinatamente, per ogni loro iniziativa che possa avere riflessi di carattere internazionale, alle decisioni di questo Ministero. ' Nei primi anni trenta la Lega aveva di fatto cessato ogni sua attività. Gli accordi politici definiti negli anni venti tra i due paesi posero l'Albania sotto il protettorato dell'Italia, che esercitò una politica di controllo, attraverso l'attività di consulenti economici e consiglieri militari, sulla nuova organizzazione legislativa e sulla struttura amministrativa e militare dello stato albanese. I rapporti si deteriorarono nel decennio successivo, fin quando le truppe italiane invasero il paese (aprile 1939) costringendo (* li Ministero degli affari esteri al prefetto di Palermo, 6 dicembre 1928, in ASP, questura-gabinetto, anni 1920-1943, b. 36, fase. Lega italo-alba ne se. "IBIDEM. 49 il re alla fuga. La corona di Albania passò allora a Vittorio Emanuele III con la creazione dclYUtiiotie italo-albanese (1939-43) e Mussolini ordinò la fascistizzazione del paese, ma gli italiani rimpatriarono solo alla fine della seconda guerra mondiale. Nel secondo periodo dell'occupazione militare italiana si registra una continuità della presenza di italo-albanesi nelle più diverse vesti: monaci basiliani di rito greco-bizantino provenienti dal monastero di Grottaferrata e dal monastero di Mezzojuso in Sicilia, cui era legato l'apostolato delle suore basiliane figlie di S. Macrina che, nel periodo della guerra, si dedicarono all'assistenza infermieristica ai feriti; militari delle truppe di occupazione; semplici contadini in cerca di terra e personalità con interessi diffusi nelle attività culturali e nella direzione di enti. Rosolino Petrotta, già segretario della Lega italo-albanese di Sicilia e vicesegretario politico del Pnf di Piana, nonché fratello del noto albanologo papas Gaetano Petrotta, in quegli anni fu nominato direttore dell'Istituto Nazionale dì Assistenza degli Italiani (IN A I) e collaborò a diverse iniziative culturali con il Ministero della pubblica istruzione albanese. Sorte ben diversa quella di chi partecipò all'invasione nel '39, come quel Giacomo Petrotta da Piana dei Greci che un maggiore chiamava «bastardo albanese» per la sua mancanza di disciplina: Io, pur essendo un semplice carrista pilota, ero importante quasi quanto il generale Carrasi perche ero l'unico che sapevo parlare correttamente l'albanese. [...] Era una brutta cosa ma io facevo gli interessi degli albanesi. Gente che doveva passare per le armi, secondo le disposizioni impartite, ma io gli capovolgevo le cose. S. TRAMI (a cura di), L'Unione fra l'Albania e l'Italia, ut., pp. 38-88. Aurore tra l'altro de L'Albania e j>/t Albanesi nella presente crisi balcanica, Palermo, Trimarchi, 1913. A. LAN/.A (a cura di), 'l'estìv/onìatt^e da una repubblica contadina. Ed. Centofiori, Palermo, 1978, p. 65. Si veda ivi anche la testimonianza di B. Di Fiore a p. 134 e quella di G. Raccuglia a p. 142. 17 50 Un suo fratello, qualche anno prima, era andato in Albania in cerca di fortuna e aveva preso in gabella un feudo di 60 ettari di terreno a circa 20 km da Durazzo pensando di fare un buon investimento. Ma le alte spese di gestione, una carestia e il crollo del prezzo del grano a causa della concorrenza russa, lo costrinsero a rinunciare all'impresa in breve tempo e a tornare a coltivare la terra in Italia. Così ancora una volta gli arbèreshe riattraversavano quel ponte tra le due sponde dell'Adriatico che avevano contribuito ad innalzare come patrioti, intellettuali, maestri, soldati, contadini e uomini di chiesa, un ponte di civiltà sopra le macerie della guerra e dei conflitti etnici che altri avrebbero attraversato in massa nel tardo '900 in direzione delle coste italiane. 51 52 ANTONIO D'ALESSANDRI La problematica nascita dello Stato albanese e il contributo di Anselmo Lorecchio Allo scoppio della Prima guerra mondiale la situazione dell'Albania era estremamente precaria e le vicende belliche non tardarono a travolgere il piccolo Stato balcanico, ponendo fine a quella sua fragile ed effimera indipendenza esauritasi nell'arco di soli sei mesi con l'esperimento del governo di Wilhelm zu Wied. Nel corso del conflitto l'Italia, in particolare, si era resa protagonista di una politica che, almeno in apparenza, mirava al mantenimento dell'integrità e della sovranità del Paese, seppure sotto la propria protezione (proclama di Argirocastro del 3 giugno 1917). Nonostante le dichiarazioni ufficiali, l'atteggiamento del governo di Roma si configurava di fatto come il superamento delle clausole del Patto di Londra relative all'Albania, attcstandosi così su una posizione in favore dell'indipendenza piuttosto che della spartizione del Paese. Ciò, tuttavia, doveva necessariamente misurarsi con i piani delle altre Potenze (Francia e Gran Bretagna in primo luogo) e con quelli degli Stati balcanici che, tradizionalmente, guardavano con interesse al territorio albanese, come Serbia, Montenegro e Grecia. Il tavolo intorno a cui si tentò di definire il futuro dell'Albania (nel quadro più ampio del confronto sul riassetto dell'Eìuropa Università Roma Tre. ' Pi I''.TUO P,\STOUHUJ, ÌJAlbanìa nella polìtica estera italiana 1914-1920, Napoli, Jovene, 1970, p. 61. 53 centro-orientale dopo la caduta degli imperi plurinazionali) fu quello della Conferenza di pace di Parigi." A conclusione del conflitto, perciò, era chiaro al multiforme mondo del movimento nazionale albanese che era ancora una volta necessario impegnarsi su diversi fronti per affermare il diritto all'esistenza dell'Albania indipendente e per avviarne il processo di costruzione statale. Uno di quei fronti era senza dubbio la propaganda, soprattutto all'estero. Fra le figure più interessanti del dibattito italiano sulle questioni balcanichc, adriatiche e albanesi vi fu il pubblicista arberesh Anselmo Lorecchio (1843-1924), fondatore, direttore e proprietario del quindicinale La Nazione Albanese. L'obicttivo che il presente studio si prefigge, dunque, è lo svolgimento di alcune riflessioni sull'impegno di questo esponente arberesh nel perorare la causa dell'Albania indipendente nel corso del conflitto e nell'immediato dopoguerra. Si tratta dell'ultima fase dell'esistenza di Lorecchio. Egli, infatti, arberesh di Pallagorio, era nato nel 1843 e aveva avviato il suo apostolato politico e culturale dal 1895 con la fondazione, insieme a Girolamo De Rada e altri, della Società nazionale albanese in occasione del Primo Congresso linguistico di Corigliano Calabro'1 e, in modo ancor più intenso, a partire dal 1897 quando fondò La Na%zom Albanese, giornale nato come organo di quella Società e che, * Alla Conferenza della pace il problema albanese non fu trattato in maniera diretta ma in appendice alla questione greca o a quella adnatica. Le motivazioni di ciò risiedevano nella mancanza di un accordo fra le Potenze sull'Albania e all'assenza di una adeguata campagna propagandistica intorno alla nazionalità albanese, ignorata dai più per negligenza o per malafede. In proposito FRANCESCO CACHAMO, L'Italia e la «Nuova Europa», II confronto sull'Europa orientale a/lu conferenti di pace di Parigi (1919-1920), Milano-Trento, Limi, 2000, pp. 75-89; P. P.\ST< > R l - l J , l , L'A/lMaia, cit., p. 87. ' G I O V A N N I 1.,\\\O\.\,Soàetà, comitati e congressi italo-albanesi dal 1895 ali 904, Cosenza, Luigi Pellegrini, 1974. 54 fra fortune oscillanti, egli riuscì a pubblicare fino all'anno della sua morte, a Roma, nel 1924. L'impegno culturale e politico di Lorecchio, dunque, si situa proprio in quella fase decisiva in cui si andava concretizzando il movimento nazionale albanese, ossia nel trentennio compreso tra l'aggravamento della crisi dell'Impero ottomano nelle sue province europee alla fine del XIX secolo e la nascita dello Stato di Albania all'inizio degli anni Venti del XX. Ultima popolazione a staccarsi dall'Impero ottomano, gli albanesi, da fedeli sudditi del sultano, in quel periodo avevano progressivamente allentato i vincoli che da secoli li univano alla Potenza sovrana. La rivoluzione dei Giovani turchi del 1908 e la politica dell'omonimo movimento (al potere a Istanbul da quell'anno) verso le nazionalità non turche aveva causato la rottura di quello storico legame.4 La revoca di gran parte dei privilegi che tradizionalmente erano stati riconosciuti dai sultani ai vari clan albanesi aveva causato, tra il 1909 e il 1912, una serie di grandi rivolte che avevano spinto i quattro vilayet ottomani di Scutari, Monastir,Janina e Kosovo nel caos più completo.1 L'agitazione della popolazione albanese di quelle regioni non si caratterizzava per essere un vero e proprio movimento nazionale. Agli inizi del Ventesimo secolo, infatti, l'identificazione nazionale albanese era ancora poco o per nulla diffusa. L'«albanismo» fu un fenomeno multiforme con, da una parte, i vari capi locali in lotta per 1' ottenimento o il mantenimento dei Dell'ormai ricca storiografia sul tema mi limito a segnalare il classico lavoro (recentemente nstampato) di Fl-uo/ A l l M A U , The Youtig Turks. The C'ommittee of Union and Progress in Turkish Politici, 1908-14, London, Hurst, 2010 (originariamente pubblicato nel 1969). " ANTONIO D'ALESSANDRI, Le rivolte albanesi del 1910-1912 tra locammo e nazionalismo•, in Balcani i 908. A.!le orìgini di un secolo dì conflitti, a cura di Alberto Basciani e Antonio D'Alessandri, Trieste, Bcit, 2010, pp. 153-166 e 208-210. 55 loro privilegi o, ancora, in rivolta contro l'introduzione di nuove imposte e l'obbligatorietà del servizio militare e, dall'altra parte, tutto quel circuito elitano, fatto di politici, letterati, studiosi e giornalisti di varia provenienza, culturalmente e politicamente impegnati nell'elaborazione e nell'affermazione di quella specifica identità/' Nel momento in cui tale élite politica e culturale albanese iniziò a strumentalizzare le rivolte locali si configurò una sorta di primo movimento nazionale. Vi fu, in altre parole, la politicizzazione di quelle insurrezioni nel tentativo, non sempre riuscito, di sfruttare rivolte sociali a scopo politico e presentarle come un movimento a carattere nazionale che puntava a obiettivi ben definiti, come l'autonomia dall'Impero ottomano. L'azione culturale degli «albanisti», dunque, cominciava ad avere conseguenze politiche precise. Analogamente alla maggior parte dei processi di cosiddetta rinascita nazionale nel corso dell'Ottocento, anche in questo caso la nazione, elaborata in una prima fase sul piano culturale, doveva diventare successivamente titolare di diritti politici. La Rilìndja (rinascita, risveglio) aveva coinvolto (nella seconda metà dell'Ottocento) dapprima le comunità albanesi della diaspora (soprattutto in Italia, in Romania e a Costantinopoli) e, poi, quelle dell'Albania vera e propria. Dall'incontro di queste significative seppur differenti realtà culturali della nazione albanese scaturì il movimento della II concerto di «albinismo» va distinto da quello di nazionalismo che è legato (nell'accezione più diffusa) all'idea della rivendicazione di sovranità polìtica. 1,'albanismo, invece, fa riferimento alla situazione specifica della popolazione albanese e ingloba le diverse tipologie di costruzione di un'«albanità» legata all'esistenza di una nazione albanese in tutte le sue molteplici sfaccettature, ibridazioni e complessità: NATI [AI,M- G.AYI-R, Aux origines du nationalisme alhanais. L^i naissance d'une nailon majariiairemenl musulmane en e^ Paria, K-ar tirala, 2007, p. 15. Si veda anche il classico lavoro di S'I'AVRO The Aìbanian National Awakening 1878-1912, Pnnceton, Princcton University Press, 1967. 56 Rìlindja vero e proprio, che coinvolse (nella seconda metà del secolo) tutti i gruppi intellettuali albanesi, sia della diaspora che della madrepatria. In tale contesto, dunque, il rilievo della figura di Anselmo Lorecchio e del suo giornale, \M Nazione Albanese, è riconducibile innanzitutto al fatto che entrambi sono cronologicamente collocati proprio nel corso di quei quasi trenta anni in cui si avviò il processo che condusse alla nascita dello Stato albanese indipendente. Fu proprio in questo periodo che il moto nazionale del popolo delle aquile, che fino ad allora era stato soltanto intellettuale (Rilind/a), divenne anche politico. La fondazione, nel 1897, del quindicinale di Lorecchio, pertanto, segnava in buona sostanza il salto, soprattutto per gli arbèreshè\a un movimento culturale a politico. Essa, inoltre, avvenne in un momento particolarmente delicato per le sorti dell'Albania e per gli equilibri politici dell'Europa del tempo. In particolare la questione albanese fu il terreno di gioco in cui si confrontarono gli interessi impcrialistici dell'Italia e dell*Austria-Ungheria. Lo stesso movimento albanista fu costretto a fare i conti con queste due Potenze. Presto si creò lo schieramento di quanti erano a favore di una tutela asburgica sulla nascente Albania e quanti guardavano invece con favore a quella italiana. Il momento in cui i vari esponenti di queste due linee politiche ebbero l'opportunità di confrontarsi in modo diretto, avendo peraltro la possibilità di incontrarsi personalmente, fu in occasione del congresso albanese di Trieste del marzo 1913. Poco tempo dopo la proclamazione dell'indipendenza, nel pieno svolgimen7 FRANCESCO ALTI M A R I , II movimento culturale della «Rilindja» e il collegio di S. Adriano nella prima metà del secolo XIX, in Studi sulla letteratura albanese della «Rilindja», I, Quaderni di Zjnrri, 1984, si, p. 94. * A u - S S A N D I U ) DUCI', L'Albania nei rapporti italo-austriaci 1897-1913, Milano, Giuffrè, 1983. 57 to delle operazioni belliche nei Balcani e nel momento in cui ancora era in corso la conferenza degli ambasciatori di Londra, un consistente numero di esponenti del variegato arcipelago albanista si diede convegno nel capoluogo adriatico. La scelta di riunirsi proprio in quella città aveva un significato politico preciso poiché gli organizzatori affiancavano alla causa dell'indipendenza dell'Albania il rafforzamento dell'influenza asburgica sul nuovo Stato; per opposte ragioni, i delegati delle colonie albanesi d'Italia avevano, senza successo, insistito che venisse accordata preferenza ad una città del regno quale sede congressuale. [...] Questi propositi di strumentalizzazione del congresso, ed il fatto che vi presenziassero in gran numero elementi avulsi dalla realtà della madrepatria e d'altro canto sensibili agli interessi dei rispettivi paesi d'adozione, ne intaccavano l'autentico significato di rappresentanza nazionale. Al di là di questo limite, fu comunque rilevante che, per la prima volta, un certo numero di figure rappresentative del movimento nazionale albanese all'estero si incontrassero e discutessero fra loro. In quella occasione Anselmo Lorccchio, che era fra i presenti insieme ad altri esponenti arbereshè (come Giuseppe Schirò, Terenzio Tocci, il marchese d'Auletta), ebbe modo di conoscere gli altri partecipanti tra cui spiccavano i nomi di Faik Konica (che presiedeva il congresso), Pandeli Evangjeli, Fan Noli, il principe Albert Ghica e molti altri ancora. Insomma, nel quadro della crisi dell'Impero ottomano a cavallo fra XIX e XX secolo e del contestuale delinearsi di una questione nazionale albanese strumentalizzata da Italia e Austria-Ungheria, con il suo giornale Lorccchio seppe conferire valore politico chiaro ed esplicito al movimento intellettuale degli arbereshè'. La Nazione Albanese, infatti, fu il principale stru'' ENNIO MASI-KATl, Momenti della questione adrìatìca (1896-1914). Albania e Montenearo tra Austria ed Italia, Udine, Del Bianco, 1981, p. 109. 58 mento impiegato per tradurre aspirazioni culturali in un progetto politico che mirasse a essere il più concreto possibile. A tal proposito vale la pena sottolineare che il pensiero di Lorccchio registrò significativi mutamenti nel corso degli anni e man mano che la situazione balcanica ed europea andava mutando. Possiamo dunque distinguere due fasi maggiori in cui si articolarono le sue idee in rapporto alla questione albanese. Una prima fase in cui, da moderato, Lorecchio fu fautore del riconoscimento dello status di autonomia alle province dell'Impero ottomano abitate in prevalenza da popolazione albanese. Vi fu poi una seconda fase in cui la preoccupazione principale fu quella di difendere agli occhi dell'opinione pubblica il diritto all'esistenza dello Stato albanese. Questa fase si snoda a partire dalla fine del 1912 quando fu proclamata l'effimera e fragile indipendenza a Valona. La formula dell'autonomia, dunque, si esaurì dopo la rivoluzione dei Giovani turchi e la rottura del legame secolare tra albanesi e Impero ottomano, iniziata con le rivolte del 1909-1912. Da quel momento in poi l'orizzonte politico di Lorecchio fu quello dell'indipendenza e dell'integrità territoriale dell'Albania nello spazio adriatico che secondo lui doveva essere, utopisticamente, un condominio italo-albanese. Per quanto concerne la prima fase, si può notare che Lorecchio fu contrario, seguendo le orme di Girolamo De Rada, sia alle ipotesi di assetto federalistico per i Balcani, sia alla possibilità di insurrezioni armate. Ciò derivava in buona sostanza dal timore che in entrambi i casi, l'Albania sarebbe stata inghiottita dagli Stati limitrofi (Serbia, Montenegro e Grecia). L'obiettivo, quindi, era sempre quello di affermare la specificità albanese che avrebbe dovuto condurre all'unione dei quattro vilayet ottomani a maggioranza albanese di Scutari, Janina, Kosovo e Monastir e al conferimento, come si diceva, di una autonomia amministrativa a tale nuova entità. Il pensiero di Lorccchio si può 59 riassumere nei due slogati «Albania agli Albanesi» e «l'Adriatico è mare Italiano e mare Albanese».'" Si trattava di due idee piuttosto diffuse nella pubblicistica italiana di fine Ottocento che egli aveva però precisato affermando: [...] non vogliamo annessioni all'Italia, tanto meno alFAustriaUnghcria o ad altra Potenza; non vogliamo neppure protettorati. Il programma di Lorccchio si riassumeva, quindi, nell'urgenza di attuare una serie di riforme per l'Albania che avrebbero dovuto portare necessariamente all'autonomia. Il ruolo dell'Italia doveva essere quello di affermarsi con decisione nel campo diplomatico a sostegno della costituzione di una Grande Albania nei suoi confini naturali e storici. A tale programma egli restò fedele praticamente per tutta la vita. " II moderatismo di Lorecchio contrastava con l'immobilismo delle autorità ottomane che, invece, nel corso del decennio precedente la rivoluzione dei Giovani turchi del 1908 si distinsero per una politica di repressione del fermento culturale in campo albanese che si andava manifestando con la diffusione della stampa e l'apertura di scuole. Il movimento albanista, insomma, fu costretto a operare nella clandestinità a causa del governo di Istanbul che intendeva così reagire ai focolai di crisi provenienti ANSKLMO LUUI-ICOMO, li pensiero politico albanese in rapporto agli interessi italiani, Roma, Tipografia operaia romana, 1904. IDI', M, Gli Italo-Albanesi per la redenzione della loro patria d'origine (estratto da IM Nasone albanese, anno XXVII), Roma, Cooperativa tipografica Castaidi, 1923, pp. 66-67. Su questi temi e per un inquadramento della figura di Lorecchio si rimanda ad ANTONIO D ' A U ^ A N D R ] , C li albanesi, l'Adriatico e rifalla tra fine Ottocento e primo Novecento. L'opera di Anselmo Lorecchio, in Popoli e culture in dialogo tra il Danubio e l'Adriatico (Contributi italiani al X Congresso internazionale dclVAssoc'iatioH Internationale il'Étiides dti Sud-Est litiropèen, Parigi, 24-26 settembre 2009), a cura di Antonio D'Alessandri e Monica Genesin, in Romania Orientale, 22,2009, pp. 79-92. 60 dalle province europee (si ricordi, ad esempio, la guerra contro la Grecia del 1897 e la questione macedone). Soprattutto negli ambienti arberesbè si andava facendo strada l'ipotesi rivoluzionariainsurrezionale di cui furono fautori alcuni personaggi legati a Ricciotti Garibaldi (come ad esempio il giornalista siciliano Manlio Bennici di Piana degli Albanesi — allora Piana dei Greci) il quale, nel 1904, aveva fondato il Consiglio Albanese d'Italia, posto sotto gli auspici della l'ederazione Nazionale per l'Italia irredenta. In questo modo gli esponenti più radicali fra gli arbéreshési univano alla tradÌ2Ìone del movimento garibaldino ponendo di fatto la questione albanese (e balcanica in generale) in connessione con il problema delle terre irredente poiché l'obiettivo era combattere uno stesso avversario: l'Austria-Unghcria. L'ipotesi rivoluzionaria, inoltre, aveva fra i suoi interpreti più convinti fra le fila del movimento arberesh il siciliano Giuseppe Schirò. Agli albori del Ventesimo secolo egli sosteneva che non sì doveva temporeggiare poiché la nazione, intesa culturalmente e storicamente, era ormai pronta per l'indipendenza. Quantomeno bisognava prepararsi all'imminente disfatta dell'Impero ottomano in modo da essere pronti a insorgere al momento opportuno per dare il colpo di grazia e per difendere i propri territori dalla cupidigia dei vicini balcanici degli albanesi: A tale arto conviene prepararci fin da ora, per esser pronti a non permettere con la violen/a ai nostri nemici di ritenere l'Albania quale retaggio che loro spetti dell'eredità ottomana. Per quanto riguarda la seconda fase, va detto che, dal moFlL\N(,T:S<.O G U I D A , VJcciolIì Garibaldi e il movimento nazionale albanese m ArcbiPÌQ storico italiano, n. 507, a. CXXXIX (1981), pp. 97-138. 14 GIU.SI-PPI-: Sci URO, Gli Albanesi e la Questione lìaìkattica, Napoli, Editore Ferd. Bideri, 1904, p. 107, ora anche m GlUSI-:] 1 ]»!- Sci URO, Opere, a cura di Malico Mandala, voi. IX, Gli Albanesi e la Questione Balcanica, Piana degli Albanesi, Biblioteca Comunale «G. Schirò», 1998, pp. 107-108. 61 mento in cui fu proclamata l'indipendenza, gli sforzi di Lorecchìo furono finalizzati a difendere tale conquista e a sostenere i diritti degli albanesi a vedere riconosciuta l'integrità dei territori da loro abitati e a proteggere l'esistenza del costituendo Stato. Il direttore di La Nazione Albanese aveva accettato la scelta del principe Guglielmo di Wicd purché fosse affiancato nel governo da un gruppo dirigente autenticamente albanese." Com'è noto, lo scoppio della Prima guerra mondiale spazzò via quell'effimero esperimento indipendentista. Anche l'espe-rienza del quindicinale diretto da Anselmo Lorecchio negli anni del conflitto fu molto problematica. Alle consuete difficoltà di ordine economico e organizzativo, si aggiunsero i problemi con la censura. Infatti Ì numeri apparsi dopo l'intervento in guerra di Roma furono sottoposti a rigidi controlli da parte delle autorità italiane che non accettavano le critiche scagliate contro gli alleati serbi, greci e montcncgrini, così come verso le aspirazioni francesi nell'Adriatico. Allo scoppio del conflitto, tuttavia, Lorecchio si schierò su posizioni di neutralità, manifestando apprezzamento per le scelte del governo italiano le quali consentivano di presentarsi come l'unica, fra le Potenze europee, a potersi ergere quale garante dei diritti dello Stato albanese: [...] sola l'Italia, per la neutralità dichiarata e scrupolosamente osservata, trovasi nella condizione privilegiata di poter fare nell'interesse proprio ed in rappresentanza delle altre Potenze rispettare le decisioni suddette [quelle della Conferenza di LonFUANCKSCO CACHAMO, L'Adriatico deg/i arbètcshé: //«mare nastro» albanese e italiano, in Adriatico contemporaneo. Rotte e percezioni del mare comune tra Ottocento e Novca-n/ii, a cura di Stefano Trinchesc e Francesco Caccamo, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 155. Un sunto delle idee di Lorccchio sull'esperienza del principe di Wied in LM Nazione Albanese, 31 ottobre e ISnovemhre 1915. 62 dra, 1913, n.d.a.] solidariamente prese e garantite, e nessuna considerazione di ordine generale o secondario può opporsi, in verità a che l'Italia assuma cotesta missione. Allorché l'Italia occupò l'isolotto di Saseno e Valona verso la fine di ottobre del 1914, Lorecchio si rallegrò della convergenza di vedute tra Ltf Nazione Albanese e le scelte italiane che erano, a suo avviso, perfettamente legittime e opportune. L'impressione che si ricava dalla lettura dei numeri del giornale risalenti agli anni della Prima guerra mondiale è che Lorecchio si allineò costantemente alle decisioni del governo italiano in merito all'Albania, sostenendo prima la scelta della neutralità e, poi, quella dell'intervento. Le motivazioni che guidavano gli interventi di Lorecchio si fondavano sempre sulFauspicio che il governo di Roma si rendesse interprete di una decisa politica a favore dell'integrità e dell'indipendenza dell'Albania. Il suo pensiero in proposito è sintetizzato chiaramente nelle seguenti affermazioni in cui vengono sostanzialmente ribaditi i due slogan, veri e propri capisaldi della sua ideologia: «È il pensiero Italiano che la sua politica nei Balkani è venuta svolgendo in armonia col pensiero Albanese, aventi entrambi i due pensieri interessi comuni da mettere in valore mediante il comune Mare Adriatico; il tutto in conformità della tesi che noi abbiamo posta pei primi nei termini e sempre da noi uniformemente sostenuta».'" Inoltre, in un impeto patriottico in cui coniugava la sua duplice identità di italiano e di albanese, Lorecchio si lanciava in un ardito paragone tra il ruolo dell'Italia (e non solo) in Albania e quello della Francia di Napoleone III nel 1859: ' I M Nazione Albanese, 15 settembre 1914. Lorecchio lo ricordò in alcune note pubblicate in occasione dell'ingresso in guerra dell'Italia nel 1915: l-a Nazione Albanese, 30 maggio 1915. '" La ì^a^joiie Albanese, 31 ottobre e 15 novembre 1915. 17 63 E poiché ci troviamo in carreggiata; e poiché, d'altra parte, noi siamo sempre gli stessi peccatori impenitenti cui è vanto aver perdurato da 20 anni nella ostina/ione di voler trovare in ogni sìngola fase della nuova vita alla quale è avviato il popolo nostro, il riscontro perché serva a noi di esempio, con quello che per l'acquisto della propria Unità e della propria Indipendenza ha saputo fare questa nostra Italia, generosa e munifica seconda madre a noi Italo-Albanesi e faro luminoso, nello stesso tempo, di libertà e di civiltà a tutti Ì popoli, segnatamente a quelli dì Oriente; a noi, diciamo, sia concesso di porre il quesito se l'intervento armato in Albania da parte di quegli eserciti che dovrebbero comunque ma effettivamente aiutare gli Albanesi a sottrarsi all'aborrita dominazione dei serbi e dei montenegrìni e dei greci, non trovi riscontro nell'intervento armato in Italia, più o meno gratuito e disinteressato, del quale seppero trarre vantaggio gli italiani nel 1859.'" La fiducia riposta da Lorecchio nell'azione del governo di Roma fu più volte ribadita. La sua speranza maggiore era che il ministro degli Esteri, Sonnino, svolgesse una politica a favore degli interessi albanesi al tavolo della futura conferenza di pace/' L'esponente arheresh cercò quindi di dimostrare che l'Italia aveva sempre dimostrato un atteggiamento verso il popolo delle aquile che si era costantemente distinto, a partire dal 1878, per averne sostenuto gli interessi nazionali, armonizzandoli con quelli propri nell'Adriatico e nell'Oriente europeo. A tale scopo, allora, egli pubblicò sul suo giornale una serie di estratti dai discorsi parlamentari di alcuni esponenti politici (Gioacchino Pcpoli, Quirico Filopanti, Benedetto Cairoli ecc.) e alcuni esempi tratti da interventi di Visconti Vcnosta, Prinettl, Tittoni, Guicciardini, di San Giuliano, tutti risalenti ad anni precedenti, per documentare la benevolenza continua dell'Italia verso gli shqipetan. La Nazione Albanese, 15 dicembre 1915. 64 Sono in errore — affermava Lorccchio — quelli tra i nostri connazionali Albanesi cui pare fondata ragione di patriottismo insorgere a mezzo della stampa, ed in tutt'ì modi, contro qualsiasi azione sìa stata spiegata finora, o che si continui a spiegare tuttavia da parte dell'Italia in Albania e portare, al contrario, alle stelle l'azione di altro Stato. Di più, la tesi di un'azione politica italiana svolgentesi favorevole in tutto allo sviluppo dell'Idea Nazionale Albanese è nostra convinzione antica ed ha riscosso sempre l'approvazione, senza riserve, de' nostri connazionali Albanesi." Si trattava senza dubbio di una tesi piuttosto ottimìstica, quasi ingenua. Nonostante Lorecchio fosse consapevole della complessità della situazione internazionale dell'Albania e, soprattutto, di quella interna, egli continuava a restare fermamente convinto delle sue idee. Persino alcuni episodi di insofferenza verso la presenza militare italiana erano interpretati come il risultato di manovre austro-unganche e ottomane." Alcuni mesi dopo egli ribadì ancora una volta in un editoriale in prima pagina, la formula dell'Adriatico mare italiano e albanese, spiegando che, a suo avviso, essa corrispondeva anche all'orientamento del governo di Roma. Quello slogan -stava a significare che tutto il litorale orientale di quel mare doveva appartenere soltanto all'Italia e all'Albania/ Su questo aspetto Lorccchio era perentorio: non era accettabile nessuna pretesa sull'Adriatico da parte di altri Stati e popoli: [...] il Popolo Albanese ha diritto alla vita propria, alla propria indipendenza in tutto il territorio da esso abitato, nel quale è autoctono e gli appartiene anche perché è stato così riconosciuto ed "' Kntrambe le citazioni in La Nazione Albanese, 15 agosto 1916. " La Xayotte Albanese, 31 gennaio 1916. 1916. 65 affermato dai protocolli. [...] L'Italia è veramente il paese ove ha trovato sua affermazione più completa il principio di nazionalità e quindi avrebbe l'obbligo di appoggiare incondizionatamente senza lasciarsi traviare da infondati miraggi, gli sforzi degli Albanesi che quel principio reclamano per essi. SÌ dimentica tutto in Italia per ricordarsi a tempo a tempo di slavi, jugoslavi e magari di greci ai quali riconosce fantastiche pretese sull'Adriatico a danno del Popolo Albanese e, come eia manicomio, a danno perfino dell'Italia stessa.:4 Nel proclama di Argirocastro Anselmo Lorecchio ravvisò di nuovo la conferma che le speranze riposte nell'Italia non erano state disattese a che le sue stesse tesi, ormai ventennali, in favore della nazione e dello Stato albanesi erano valide. Quella dichiaratone, a suo avviso, era innanzitutto la prova che l'Italia era in guerra nell'Adriatico non solo per tutelare i suoi interessi ma anche per garantire i diritti albanesi e voleva che l'Albania resti Unita e sia Indipendente: che le sue sorti siano sottratte definitivamente alle incessanti minacce della rapina e greca, e slava, e iugoslava e teutonica: sotto l'egida del Regno d'Italia, perché Ìl Regno d'Italia è l'esponente primo del principio di nazionalità; sotto la protezione del Regno d'Italia e non già protettorato."^ Vi era un fondo di verità in queste parole di Lorecchio, sebbene la situazione dell'Italia era molto più complessa di come egli la descriveva. Il proclama di Argirocastro era stato dettato essenzialmente da ragioni di carattere strategico e militare, come ricordò Sonnino ai rappresentanti italiani presso i governi dell'Intesa (governi che non mancarono di manifestare disappunto per quell'iniziativa): I si Nii^/iitie Albanese, 15 16, 31 marzo 1917. ì^a ì^a^tone A/haaese, 15 giugno-15 luglio 1917. I corsivi sono tali nel testo originale. 66 Per mettere poi in pieno valore le nostre forze intorno a Valona era necessario accaparrarci le simpatie delle popolazioni locali per non averle ostili in caso di una offensiva nemica contro di noi, mentre potrebbe esserci molto utile in tale eventualità, la loro simpatia ed un loro concorso anche militare. Al proclama ed alla sua forma ci autorizzava la situazione speciale riconosciuta all'Italia in Albania dai patti intervenuti con gli Alleati; e ad un atto del genere noi dovevamo politicamente affrettarci per non sembrare di restare tagliati fuori sia per gli atti compiuti dai francesi specie a Koriza, sia per ribattere il proclama lanciato dagli austriaci nel quale non si parlava di indipendenza né dì integrità, ma di amministrazione austriaca capace di portare rimedi ai passati mali e di preparare una futura amministrazione albanese quale istradameiito all'autonomia sotto la protezione austriaca. Nel nostro proclama ci siamo astenuti dal determinare i confini della futura Albania, lasciando questo compito al trattato generale con cui terminerà la presente guerra.' Proprio questo mancato riferimento all'estensione territoriale dello Stato albanese doveva essere, secondo Sennino, Vescamotage che avrebbe consentito da un lato di non indispettire l'Intesa e i suoi clienti balcanici e, dall'altro, di guadagnare all'Italia il favore della popolazione albanese cercando di conferirle una posizione privilegiata nel momento in cui sarebbe stata decisa la sistemazione della futura Albania. La storiografia ha dimostrato, come sì è già ricordato, che il proclama di Argirocastro fu un tentativo di superare le disposizioni del Patto di Londra relative all'Albania, nonostante Sonnino ripetesse che non vi era nessuna intenzione di derogare a quell'accordo, anzi era ferma intenzione del governo italiano di attenervisi strettamente e che ogni questione quindi di frontiera dello Stato indipendente sareb~ Sonnmo a Imperiali, Salvago Raggi, Callotti, Macchi di Cellere, De Bosdari e Sforza, Roma, 5 giugno 1917, m / documenti diplomatici italiani (DDI), V serie, voi. Vili, p. 1 4 1 . 67 be rilasciata alla sola decisione delle potenze firmatarie della futura pace. I motivi che avevano determinato il R. Governo a scegliere questo momento per fare la dichiarazione erano d'ordine militare, per assicurarsi una nuova difesa nostra ed insieme un'arma contro il nemico mediante i cordiali appoggi della popolazione/ Per Sennino, in realtà, l'Albania era solo uno strumento da utilizzare a vantaggio della politica estera italiana e la proclamata indipendenza era solo uno slogan per porre il Paese al di là dell'Adriatico sotto la tutela di Roma e, a guerra finita, mantenerlo in tale posizione oppure usarlo come mercé di scambio per risolvere altre questioni. L'indipendenza albanese, insomma, doveva essere un obiettivo funzionale al completamento del sistema di sicurezza italiano nel settore chiave dell'Adriatico meridionale.'" Questa politica svolta dalla Consulta, simbolicamente rappresentata dal proclama di Argirocastro, unitamente ad altre questioni riguardanti l'area meridionale dei Balcani, era fonte di ambiguità e di incomprensioni nei rapporti con l'Intesa. Tali contrasti furono una causa decisiva del deterioramento dell'alleanza durante il conflitto, la quale fu tenuta a fatica entro Ì limiti del Trattato di Londra solo perché c'era un comune avversario, 'l'ali aspetti furono il preludio dei contrasti scoppiati al tavolo della pace tra l'Italia e gli Alleati."' Che la situazione non fosse del tutto chiara, né che la politica albanese dell'Italia si esaurisse esclusivamente nel proclama di Sennino a Imperiali, Sai vago Raggi e ("arlotti, Roma, 9 giugno 1917, IVI, p. 178. "* I .ne; A RlCCAKDl, II prodama di Argini-astro: Italia e Intesa in Albania nel 1917, in C/io, a. XXVIII, n. 3, 1992, p. 464. :" H. J A M I - S BURCWVN, Itafy's ftalkan Policy 1915-1917. Albania, Grette and thè \.lptrus Qitestion, in Storia delle relazioni internazionali^ a. II, 1986/1, pp. 3-61; per un imiuaJ rumente» più ampio del problema dei problematici rapporti fra Italia e Intesa si veda LUCA RlCCAKDI, Alleati non amici. Le relazioni politiche tra l'Italia e l'Intesa durante la prima guerra mondiale, Brescia, Morcclliana, 1992. 68 Argirocastro non sfuggiva agli osservatori dell'epoca. Lo stesso Lorecchio ritornò ossessivamente sulla sua formula di Adriatico mare italiano e albanese, formula da lui definita «tetragona», perché, nonostante il proclama del 3 giugno 1917, le voci si facevano sempre più insistenti, sulla stampa soprattutto, di eventuali futuri accordi dell'Italia con i pericolosi vicini balcanici degli albanesi per una risoluzione complessiva della questione adriatica ai danni dell'Impero asburgico. Un accordo tra il governo di Roma e gli altri Stati balcanici voleva dire inevitabilmente scontrarsi con il progetto della Grande Albania padrona dell'Adriatico insieme all'Italia. All'approssimarsi della conclusione del conflitto Lorecchio faceva sentire ancora una volta la sua voce chiedendo «unità della patria albanese e unità d'azione per conseguirla», tornando a svolgere un parallelo tra l'unificazione italiana di oltre cinquanta anni prima e quella futura dell'Albania per confutare le tesi di quanti sostenevano che a quest'ultima avesse sempre fatto difetto una tradizione statale unitaria: L'argomento, per verità, e con buona pace di quanti in Italia si fan solleciti di addurlo, si potrebbe ritorcere contro gli altri popoli e contro gli italiani stessi che furono per secoli e secoli divisi in Comuni, Repubbliche e Republichette, piccoli Stati gli uni estranei agli altri ed in lotta continua tra loro più che non sogliono veramente fare i troppo a torto calunniati Gheghi e Toski in Albania. L'idea unitaria in Italia, fino a poco più di mezzo secolo fa, era soltanto il sogno di menti poche e divinatrici, ritenute anch'esse menti esaltate; precisamente come sono ritenuti esaltati ora quegli Albanesi che fecondano gli ideali di una loro patria unita. DÌ più, per controbattere a quanti sostenevano la scarsa diffusione di una comune identità albanese fra la popolazione, Lorecchio tornava a lanciarsi nei suoi arditi paragoni con il Riunione Albanese, lCi-30 giugno, 1-15 luglio 1918. 69 sorgimento italiano, affermando che sembrava si fosse dimenticato che in Italia Prima della gloriosa rivoluzione del 1860 si era in condizioni pressoché ìdentichc a quelle che ora si vogliono ritenere condizioni specifiche ed esclusive del Popolo Albanese. E vada pure che in Albania i soli Capi abbiano la coscienza nazionale: ma anche in questo caso, senza andar lontano da questa alma terra d'Italia il ragionamento nostro va a pennello, perché in Italia la idea delPUnità, ossiavero la coscienza nazionale, era prima di quella rivoluzione patrimonio di pochi, ai quali possono bene essere paragonati Ì Capi o Bey Albanesi, senza che questi ultimi restino vulnerati nel paragone. Al momento che fu opportuno e propizio riuscì a quei pochi di ravvivare e render popolare la grande idea: e le masse italiane operarono Ì miracoli. Perché non avrebbe potuto avvenire, perché non potrebbe tuttora avvenire altrettanto in Albania? Neanche le differenti religioni sarebbero potute essere un impedimento a questo progetto poiché nella storia albanese le appartenente confessionali non erano mai giunte al punto tale di scontrarsi l'ima contro l'altra come invece era accaduto in Europa con le guerre di religione. Lorecchio si ricollegava così alle argomentazioni classiche di quel network albanista della K/'lìndja sviluppatosi tra gli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo e che, tra gli altri, aveva visto particolarmente attiva l'intellettuale romena (che vantava antenati albanesi) Dora d'Istria (Elena Ghica Koltzoff-Massalsky, 1828-1888), autrice di diversi studi sulla nazione albanese e, in particolare, del saggio L# nationalité albanaise d'après les chanls populaires, apparso nel 1866 sulla Revtte des deux mondes^ in cui per la prima volta venivano proposte all'opinione pubblica internazionale quelle tesi. " " ANTONIO D'AI.K^.\NDKI, lì pensiero e /'opera ili Dora d'I strìa fra Oriente europeo e Italia, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano - Gangemi, 2007, pp. 181-194. 70 Nel 1917-1918, una delle costanti preoccupazioni di Lorecchio fu quella di difendere agli occhi dell'opinione pubblica la politica di Sonnino verso l'Albania che egli non esitava a definire onesta, cercando così di rassicurare il variegato arcipelago albanese, sull'una e l'altra sponda dell'Adriatico, in merito alle intenzioni del governo di Roma." Lorecchio si sforzava inoltre di dimostrare che le scelte del ministro degli Esteri italiano combaciavano perfettamente con le sue idee, propagandate sulle colonne di La Nazione Albanese, e che quella imboccata dall'Italia era la strada giusta per la risoluzione della questione adriatica, nell'utopistica convinzione che si potessero realmente mettere a tacere le richieste di serbi, montenegrini e greci. Si trattava, in altri termini, di un aspetto specifico della questione più ampia della guerra mondiale come «guerra risorgimentale», secondo la definizione datane da Angelo Tamborra, il quale ha osservato che mai come nel corso della guerra e nell'immediato dopoguerra si matura e giunge ad esasperazione un problema di orìgine anch'esso risorgimentale, quello di definire un limite concreto fra una nazione e l'altra, fra uno stato che si vuole interamente nazionale, e l'altro. Impostato già nella prima metà dell'Ottocento, eluso dall'ottimismo o dall'illusione mazziniana, la necessità di definire questo limite seguiva perentoriamente la logica interna dello stesso principio eli nazionalità, recato alle conseguenze estreme con il proclamato diritto dei popoli a costituire stati nazionali. La politica estera italiana non corrispondeva tuttavia alla descrizione fattane da Lorecchio e seguiva delle direttive ben più complesse che dovevano coniugare gli interessi nell'Europa danubiano-balcanica sia con le posizioni delle Potenze dell'In" La Nazione Aihatiese, 15-31 luglio, 1 - 1 5 agosto 1918. 14 ANGHl.O TAMIHIKUA, L'idea di nazionalità e la guerra 1914-1918, in Atti del XLI Congresso di stona del Risorgimento italiano, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1965, p. 192. 71 tesa sia con quelle dei vicini balcanici degli albanesi tanto vituperati dall'esponente arberesh. L'atteggiamento del governo di Roma, peraltro, registrò significativi mutamenti durante gli anni del conflitto. La diffusione dei contenuti del patto di Londra, che andavano in senso opposto a quanto auspicato da Lorccchio, causarono in lui un certo smarrimento. Persine i vertici miliari italiani in Albania furono disorientati. Già il 16 febbraio 1918 il generale Ferrerò aveva telegrafato al Comando Supremo: [...] recente pubblicazione patto di Londra discrepanza stridente fra tutela indipendenza albanese da noi solennemente proclamata et sempre sostenuta et citato patto di Londra anteriore bensì ma che prevedeva smembramento Albania stop Chiarezza et urgenza direttive mi sono indispensabili [...]."' La conclusione della guerra, in ogni caso, aveva creato le condizioni affinchè fosse possibile, dopo l'effimero esperimento del 1913-1914, la rinascita dell'Albania con la conferma dell'indipendenza e la sua sistemazione territoriale. Questo percorso fu tuttavia molto travagliato. All'apertura della conferenza della pace, La Nazione Albanese pubblicò alcuni numeri speciali contenenti un'ampia raccolta di dichiarazioni (estratti dagli atti parlamentari e dalla stampa, interventi di singoli personaggi, documenti vari) a proposito della politica che l'Italia, nel corso dei decenni passati, si era impegnata a seguire in Albania. Fu ripubblicata addirittura una celebre lettera del 1866 di Garibaldi a Dora d'Istria in cui si affermava «la causa dell'Albania è la mia».v> Lorecchio intendeva così attribuire alla delegazione italiana al tavolo della pace una responsabilità storica nei ' LUIGI MoNDINI, 11 generale Giacinto Ferrerò in Albania, m // Risorgimento, a. XXIII, n. 3, ottobre 1971, p. 120. Il titolo della raccolta è //( inità e l'indipendensy dell'Albania nella coscienti ile/ popolo italiano resa manifesta a me^o dei suoi rappresentanti legali e nelle dire/fine della politica italiana, in LCJ T^a^ione Albanese, numeri del 15, del 20 e del 31 gennaio 1919. 72 confronti degli albanesi, responsabilità che, a suo avviso, era il frutto della tradizione politica italiana dal Risorgimento in avanti. Tali documenti, nelle intenzioni del direttore, dovevano servire da promemoria ed esortazione ai rappresentanti di Roma al tavolo della pace. Caduto il governo Orlando, con Sennino al dicastero degli Esteri, la cui politica La Nazione Albanese aveva sempre difeso ed esaltato, Lorecchio recuperò la sua vis polemica scagliandosi contro gli articoli 6 e 7 del Patto di Londra con cui si stabiliva che sarebbe stato riconosciuto il dominio diretto di Valona e Saseno all'Italia che, a sua volta, si impegnava a non opporsi a una eventuale spartizione di territori albanesi (sia settentrionali che meridionali) a favore di Serbia, Montenegro e Grecia. Tutto ciò strideva con certe proclamazioni di alti rappresentanti italiani, come il generale Piacentini, successore di Ferrerò alla carica di comandante in capo delle truppe italiane nel Paese delle aquile, il quale aveva affermato che l'Italia sarebbe stata «sostenitrice degli interessi, dei diritti e della integrità del territorio albanese giusta il Patto di Londra». Lorecchio non esitò a definire senza mezzi termini tale affermazione una «turlupinatura». Tutta la successiva politica italiana nei riguardi della questione adnatica fu dunque causa di cocenti delusioni per l'anziano giornalista arbèresb. Egli continuò, tuttavia, a essere sempre quel vecchio lottatore, come lo avevano definito alla fine del 1912, Ismail Qemal e Luigi Gurakuqi.™ Nei difficili anni del dopoguerra, l'impegno ormai ultravcntennale di Anselmo Lorecchio si concretizzò anche nella realizzazione di alcune raccolte documentarie. Nel momento in cui si andava decidendo una comLa ì\ayoHe Albanese, novembre 1919, n. 30,31 e 32. OKKSTK CAMIU.O M A N D A I . A R I , Gl'Italiani per l'Indipendenza della Nazione Albanese. Ufi secolo di apostolato, Roma, Archivio storiografico dei reduci, 1936, p. 102. 73 plessiva sistemazione dell'Europa, egli si sforzò di documentare e perorare la causa albanese a cui aveva dedicato tutti i suoi sforzi ormai da decenni. La prima di queste raccolte fu il Memorandum per l'indipendenza albanese., redatto e inviato alla Conferenza della pace nel 1919 e poi nel 1920. Si tratta di un'ampia selezione di documenti a sostegno del diritto all'indipendenza della popolazione albanese e alla sua costituzione in uno Stato nazionale comprendente tutte quelle regioni da essa abitate. Come ci informa lo stesso Lorecchio., una prima raccolta fu inviata nel maggio del 1919, per l'appunto, ed era composta da una serie di 143 documenti dai quali risultava: a) che il Popolo Albanese ha diritto, come gli altri popoli del mondo, alla propria Unità e alla propria Indipendenza; b) che cotesto diritto è stato riconosciuto al Popolo Albanese dalle Grandi Potenze. Riconosciuto e identificato nei territori delle quattro ex provincie ottomane in Europa: Scutari, Kossova, Monastir, 39 Janina. T Il volume riscosse consensi da più parti e gli attestati di stima che giungevano a Lorecchio contribuirono senz'altro a convincerlo della bontà dell'operazione a cui, infatti, egli diede immediatamente seguito pubblicando una seconda serie di documenti. Fra coloro che si complimentarono con Lorecchio per la nuova impresa avviata vi fu Terenzio Tocci che in una lettera dell'agosto del 1919, professandosi discepolo del direttore della Nazione Albanese, gli scriveva: [...] Io che, come tanti e tanti, ho appreso attraverso i tuoi scritti a conoscere e ad amare la Patria dei nostri Avi, penso che questa tua opera — magnifica sintesi del tuo lungo, nobilissimo ed, ahi, quanANSKl.MO LORECCHIO, Albania: memorandum per /'indipendenza albanese, Roma, s.n., 1920, pp. V-VI. 74 te volte!, doloroso Apostolato — dovrà essere la B/M/W, il libro d'oro della gioventù di nostro sangue. E se la diplomazia si dedicherà ancora una volta in nostro danno al solito cannibalismo internazionale, nelle tue pagine continuerà a palpitare l'anima degli eroi e dei martiri che nella loro battaglia millenaria hanno reso sacre e imprescrittibili l'unità, la libertà e l'indipendenza nostra [ - - - J . 4 Per Lorecchio l'anno 1919, l'anno degli accordi tra Tittoni e Venizelos, si chiuse con amarezza, delusione e rabbia, causate soprattutto dall'atteggiamento del governo italiano su cui egli aveva da sempre riposto molte speranze: Le cose sono ora notevolmente mutate. E a noi è stato dato di vedere in questi ultimi tempi l'Italia assumere, nei riguardi di una sua nuova politica adriatica, un contegno dichiaratamente ostile, aggressivo anzi, contro il buon diritto albanese, attribuirsi essa, per subbiettiva sua solitària elezione, la potestà assoluta sull'Alba-nia al punto di scendere a patti col signor Venizelos e fare a questi, bieco istrumento di una bieca politica ellenica materiata di odio e di rapina, grazioso dono di Korcia e di Argyrokastro. Da parte italiana si cercò così di trovare soluzioni al problema adriatico sulla falsariga del contenuto del patto di Londra, cedendo cioè ad alcune richieste jugoslave e greche ai danni dell'Albania.~~ Lorecchio era convinto che una simile politica sarebbe stata fatale per l'Italia: l'odierna politica italiana a riguardo dell'assetto adriatico, poggiata sull'assai vacillante ed insicura base di un pieno domino su Vallona *' Arkivi Qendror Shtete'rur (Aqsh), Tirana, f. 77, d. 247, fi. 62: Terenzio Toffi ad Anselmu Ljireahio, San Cosmo Albanese, 11.08.1919. I corsivi sono tali nel testo originale. Sulla figura di Terenzio Tocci (1880-1945) si veda il recente studio di Francesco Cuccamo, Odissea arbèrcshc. Terenzio Tacci tra Italia e Albania, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubhettino, 2012. Lti \arione Albanese, 31 dicembre 1919. 75 e su una ripartizione dì distretti albanesi o greci e slavi complice necessaria essa politica italiana, è destinata a naufragare; e Francia e Inghilterra non disdegnano di dare al naufragio il loro aiuto. Effettivamente la situazione assunse una brutta piega per l'Italia, il cui atteggiamento creò le condizioni affinchè si giungesse, nella primavera/estate del 1920, alla mobilitazione contro le truppe di stanza in Albania che culminò con la rivolta del giugno che portò poi all'evacuazione dei corpi di occupazione nell'agosto successivo. I locali leader albanesi, delusi dall'Italia al tavolo della pace, capirono che non potevano fare affidamento su di essa. Il governo di Roma era visto come alleato dei greci. In tal senso le inequivocabili affermazioni contenute nelFul-timatum che i capi albanesi, riuniti in un comitato di difesa nazionale, rivolsero all'Italia, tramite il generale Piacentini, non lasciavano spazio a dubbi sulPmterpretazione che essi davano alla politica italiana: il popolo albanese, il quale ritiene che la spartizione dell'Albania è opera dell'Italia, che col suo programma impcrialistico cerca di tenersi Valona come una colonia, sotto il suo giuoco [.f/f], oggi più che mai unito, non potendo più tollerare di vedersi portare alla vendita, come il bestiame, al mercato dell'Europa per soddisfare le brame italo-greco-serbe, ha deciso di impugnare le armi per chiedere all'Italia il passaggio dell'amministrazione di Valona, Tepeleni e Chimara, paesi questi che dovranno essere rimessi al più presto al governo nazionale di Tirana. Su questa fase della politica adriatica dell'Italia si veda PAOLO ALATR1, AV/ft, D'Annuncio e la questione adrìatiea (1919-1920), Milano, Feltrinelli, 1959. La Nazione Albanese, 31 gennaio 1920. Il comitato della difesa nazionale al generale Settimio Piacentini, dalla sede generale, 3 giugno 1920, in MAltlo M O N T A N A R I , L^e truppe italiani: in A/bania (anni 1914-1920 e 1939), Roma, Stato Maggiore dt-H'Rsercito - Ufficio storico, 1978, p. 370. 76 Sin dall'inizio, ovvero sin dai primi mesi del 1920, quando le prime voci di rivolta contro le autorità italiane in Albania iniziavano a diffondersi, la posizione di Lorecchio fu molto chiara. Egli si schierò a favore degli albanesi, come del resto aveva sempre fatto. I suoi connazionali, osservava Lorecchio, erano intenti a respingere degli stranieri dal proprio territorio poiché, costretti prima a lottare contro il dominatore ottomano, si trovano ora nelle condizioni di dover continuare la lotta contro serbi, greci, ed italiani, coallzzati ai loro danni. " II nuovo anno, comunque, si era aperto per Lorecchio con un rinnovato slancio di energia e con la dichiarazione che, nonostante la condotta italiana favorevole alla cupidigia di jugoslavi e greci, continueremo, ben vero, a tenerla in feconda attività questa nostra maledetta penna per mettere a nudo le spietate ribalderie politiche che l'una sull'altra si vanno accumulando ai danni della povera antica patria nostra. L'attività pubblicistica di Lorecchio, dunque, non si fermava. Il progetto da lui realizzato nel 1920 fu la compilazione del secondo volume del Memorandum, pubblicato a Roma proprio in quell'anno. La raccolta era indirizzata al presidente degli Stati Uniti e al Consiglio supremo degli alleati. I documenti che vi erano contenuti coprivano un vasto arco temporale a partire dalla metà dell'Ottocento fino al 1913. Le petizioni relative agli anni compresi tra il 1878 e il 1908 erano sostanzialmente finalizzate a conseguire l'autonomia culturale, religiosa e amministrativa nel quadro dell'Impero ottomano alla cui integrità non si doveva attentare. La ì\a~ione Albanese, 29 febbraio 1920. 77 Le riforme richieste avevano proprio questo spirito. L'unione dei quattro vilayet doveva consentire agli albanesi di restare un popolo unito e compatto nell'ambito delTItn-pero, impedendo così che porzioni di territorio venissero staccate dagli Stati vicini ai danni sia degli albanesi sia dell'Impero ottomano. Seguivano poi documenti risalenti al periodo delle insurrezioni nei territori albanesi contro il governo turco. Si tratta in totale di novantasei documenti. Il seguito della documentazione sarebbe stato pubblicato in un ulteriore volume di cui però non è rimasta traccia. Lorecchio affermava che i documenti compresi in quella seconda serie provavano che la costituzione di un'Albania Unita e Indipendente ha formato oggetto di aspirazioni concordi e di uniformi reclami da parte dì tutta la gente Albanese. '' L'altra opera monumentale, oggi praticamente introvabile, eccetto alcune parti, alla quale si dedicò Lorecchio, parallelamente alle pubblicazioni del suo quindicinale, fu, secondo la testimonianza di Amedeo Giannini, la raccolta intitolata Albania. Essa sarebbe dovuta essere un grande corpus diplomatico e storico della nazionalità albanese. Ne furono pubblicati nove volumctti, mentre il decimo e l'undicesimo erano pressoché pronti al momento della morte di Lorecchio nel 1924. Uno di questi, il quarto, pubblicato nel 1921, era un'altra interessante raccolta documentaria, in cui si possono leggere tutti i testi relativi al dibattito e al successivo ingresso del nuovo Stato albanese nella Società delle Nazioni, ANSI '.I, MO i A w-.w.}^-), Alluniti: memorandum, di.,f>. 177. AMKDI'.O G I A N N I N I , Anselmo L#mr/w, in «L'Europa orientale», a. IV, n. IV, 30 aprile 1924. 4(1 78 sancito nella seduta del 17 dicembre 1920.4" Era il definitivo riconoscimento dello Stato albanese libero e indipendente e Lorecchio era convinto che quel buon risultato avrebbe arrecato indiscutibili vantaggi all'Albania in quanto, in seno alla Società delle Nazioni, il governo del nuovo Stato balcanico avrebbe potuto tutelare meglio i propri interessi, soprattutto a salvaguardia dell'integrità del territorio, problema questo costantemente al centro dell'agenda politica di tutto il movimento nazionale albanese dal congresso di Berlino in avanti. L'ingresso nella Società delle Nazioni fu probabilmente il più autentico successo dell'Albania dopo la Prima guerra mondiale. Solo grazie a quel risultato fu possibile una definizione certa dei confini albanesi che, seppur con qualche lieve correzione, furono quelli stabiliti nella conferenza di Londra del 1913. Si concludeva così un percorso di otto anni, avviato nel 1912, che finalmente aveva condotto alla nascita dello Stato nazionale. Nuove e difficili sfide si profilavano all'orizzonte del ceto dirigente albanese, sia sul piano interno sia su quello internazionale. Anche in questa fase, gli arb'éresh'é fecero la loro parte, come l'aveva fatta fino a quel momento Anselmo Lorecchio, senza dubbio la figura più significativa del movimento politico e culturale degli albanesi d'Italia dopo la scomparsa di Girolamo De Rada, come aveva affermato lo scrittore, pubblicista e uomo politico Faik Konica (1875-1942), suo antico avversario, in una lettera del 3 luglio 1919: " PASQUALI': SABATINI - ANSKI.MO Louncauo, L'Albania è ammessa nella Società delle Nazioni, Roma, s.tt., 192i. '" Sulle varie tappe che condussero alla definizione esatta dei confini dello Stato albanese sì può ancorti utilmente consultare A M K D K O G I A N N I N I , L'Albania dall'indipendenza all'unione con l'Italia (i913-1939)t Milano, Ispi, 1940. 79 Tu sci incontestabilmente — scriveva Konica a Lorccchio nel 1923 — dalla morte del venerando De Rada, il veterano leader di quel piccolo gruppo di Italo-Albanesi che, con la penna, ha difeso i diritti della madre patria e svegliato per l'Albania l'interesse e la simpatia di certi circoli politici italiani che inclinavano allora verso ìl punto di vista greco e serbo. [...] Al termine dì questa sommaria esposizione della difficile nascita dello Stato albanese tra la Prima guerra mondiale e la Conferenza della Pace, risulta chiaro che il ruolo di Anselmo Lorecchio e del giornale da lui diretto fu quello di tenere costantemente accesa l'attenzione dell'opinione pubblica italiana (in particolare di quella arbcresbé] verso la questione albanese. Egli era senza dubbio vicino a quella che H. lames Burgwyn ha definito la «lobby albanese», ovvero quel gruppo di consiglieri della Consulta, formato da esperti e da personalità provenienti da ambienti militari e diplomatici, tra cui spiccavano i nomi di Fortunato Castoldi e di Carlo Alberto Allotti. Non sempre in linea con le scelte del governo di Roma, Lorecchio, a differenza dei membri di quella lobby, era però animato da un duplice patriottismo che lo legava allo stesso tempo alle sue due patrie, l'Italia e l'Albania, confermandosi anche nella seconda fase del suo apostolato culturale e politico come un buon italiano e un buon albanese. Gli eventi storici di cui egli fu testimone e quelli successivi alla sua morte dimostrarono quanto fosse difficile, se non addirittura impraticabile, conciliare questa duplice identità. Il suo destino posi mortem lo attesta: durante il fascismo egli fu trasfor 11 C"). C. MANDALAR], G/'I/a/Jaaiper rindìpenden^a della Ka^ione Albanese, cit, p, 103. La lettera eh Monica fu riprodotta su I M Nazione Albanese, 15-31 gennaio 1923, come ricorda anche F. Cuccamo, L'Adriatico degli arbèreshè, cii.,p. 164. " 11. J. BliRGWYNj, Itafy's Ba/ka» Po/hy 1915-1917, «/., Passim. 80 mato in ciò che non era mai stato, ovvero un precursore dell'annessione dell'Albania all'Italia. Questa rappresentazione ha offuscato il suo contributo al movimento nazionale albanese, facendo sì che una coltre di oblio coprisse la sua opera che attende ancora di essere pienamente ricostruita e interpretata. 81 bianca 82 ALBERTO B ASCI ANI Preparando l'annessione. La politica culturale italiana in Albania negli anni di Zog (1924-1939) ' La politica culturale promossa dall'Italia fascista nei confronti dell'Albania si iscrive pienamente nel più ampio conresto dell'azione culturale sviluppata dal regime fascista italiano nell'Europa balcanica nell'ambito dell'ambiziosa sfida lanciata da Mussolini nei confronti delle tradizionali Grandi potenze europee sul Danubio e nei Balcani." Il presente saggio è apparso in Popoli e culture in dialogo Ira il Danubio e l'Adriatico. Contributi italiani al X Congresso internazionale dell'Association Internationale d'Etudes du Sud-Est Européen - Parigi, 24-29 settembre 2009, a cura di Antonio D'Alessandri e Monica Genesin, numero monografico di «Romania Orientale», XXII (2009), Roma, Bagatto Libri. Si ringraziano Ì curatori e il direttore della rivista per avere acconsentito a rìproporloEsiste sull'argomento una ormai consolidata letteratura storica che ha coinvolto anche studiosi stranieri. Vale la pena ricordare almeno alcuni dei lavori più significativi. Sull'inedito asserto dell'Europa centro-orientale alla fine della Prima guerra mondiale e la posizione italiana si veda V. CACCIAMO, L'Italia e la «Nuova Europa»: il confronto sull'Europa orientale alla Conferenza di pace di Parigi (1919-1920), Milano-Trento 2000. Per un inquadramento generale della questione si veda R. Coi.l.O'lTl, Fascismo e politica di potenza. Politica estera 1922-19)9, Milano 2000. Riguardo la politica italiana nel Sud-est dell'Europa si vedano H. J. BuiUAVYN, II revisionismo fascista, La sfida di Mussolini alle Grandi potente nei Balcani e sul Danubio 1925-1933, Milano 1979; K G U I D A , La Politice de l'Italie aux Balkans dans les années l'ingt était-elle une politique de paix? in Eulleltin Assodation Internationale d'Etudes du Sud-Est Europèe*, 30, 2000, pp. 33-37. K. COLI/VITI - T. SALA - G. VACCARINO, L'Italia nell'Europa danubiana durante la Seconda guerra mondiale, Milano 1967. Per l'inserimento di questo problema nella più generale questione della politica estera fascista dagli anni Venti fino alla prima metà degli 83 Del resto il Sud-est dell'Europa negli anni tra le due guerre assunse nella visione imperiale del dittatore italiano un ruolo di primaria importanza, almeno fino a quando le ambizioni italiane non furono scalzate via dall'irruenza della politica estera della Germania nazista. Non appena il regime fascista si sentì sufficientemente saldo all'interno (in particolare dopo aver superato indenne la crisi provocata dall'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti) tanto da poter sviluppare compiutamente il proprio disegno di politica estera, la lingua italiana e, più in generale, la cultura, l'arte e la musica italiane divennero esse stesse veri e propri strumenti dell'azione esteriore e furono utilizzati sistematicamente in appoggio all'attività sviluppata dalla diplomazia tradizionale. Fu proprio Mussolini, per il quale la politica estera era un aspetto fondamentale della sua opera di governo, nel febbraio del 1925 a imprimere una svolta alla situazione con un lungo messaggio inviato alle Ambasciate e Legazioni d'Italia nel quale ribadiva la necessità di rafforzare l'azione e la presenza culturale italiane nel mondo attraverso la fondazione di specifici istituti anni Trenta si vedano anche i tre studi seguenti che sebbene risalgano a qualche anno addietro risultano ancora di grande rilevanza storiografica: E. Di Nni.R), Mussolini e la politica estera italiana J 919-19 33, Padova 1960; G. RUMI, Alle origini della politica estera italiana 1918-1923, Bari 1968; G. CAUOCCI, La politica estera dell'Italia fascista 1925-1928,3*0. 196°. Anche se superato su alcuni aspetti e interpretazioni su tale proiezione della politica estera mussolimana resta di notevole interesse l'opera dello storico polacco J. W. BoKKJS/.A, li fascismo e l'Huropa orientale. Dalla propaganda all'aggressione, Bari 1981. Pur non centrato sulle questioni dell'liuropa orientale vale la pena menzionare, per l'attenzione riservata all'analisi della propaganda condotta all'estero dal regime il volume di B. GAR/AUI-1,1,1, «Parleremo al mondo intera». I ji propaganda dei fascismo all'estero, Alessandna 2004. 4 Cfr. F. LUI-KHVKI' D'Ovmio, II programma di politica estera del governo Mussolini in. Clio, 4, XLIY (2008), pp. 539-568. ' 84 di cultura." La virtuale sconfitta politica e diplomatica incassata dal regirne con l'affare di Corfù dell'estate del 1923 aveva chiaramente dimostrato come anche nei Balcani l'era dei diktat e delle decisioni unilaterali tipiche degli imperi multinazionali si era conclusa ormai da un pezzo, se l'Italia nella regione in questione intendeva raccogliere l'eredità dell'Impero austro-ungarico contendendo alla Francia un primato politico, economico e culturale che in quel momento pareva indiscutibile, Roma avrebbe dovuto elaborare un'altra tattica e utilizzare altri mezzi; la politica delle cannoniere non era più proponibile. Tra tutti gli Stati della regione fu senza dubbio l'Albania la prima nazione verso la quale si concentrò l'interesse italiano e del resto le ragioni appaiono ben comprensibili. Il Paese delle aquile era l'unico territorio della regione balcanico-danubiana dove già prima della caduta dell'Impero ottomano esisteva una consolidata presenza italiana in ambito commerciale, finanziario, diplomatico, culturale e scolastico/' Durante la Prima guerra mondiale gli ambienti politici italia1 Cfr. A. BASCIANI, La politica culturale italiana nei Balcani da Mussolini a Hitler. 1922-1933, in L'Europa d'oltremare. Contribuii italiani al IX Congresso dell'Assocìatiofi Internaliona/e d'Etudes du Sud-Est Européen (Tirana, 30 agosto - 3 settembre, 2004), a cura di A. B ASCI A N I -A. TARANTINO, Smània Orientale, XVII, 2004, pp. 101-102. '' Cfr. II. A. YC'KHSTl'K, L'imperialismo industriale italiano. Studio sulprefasdsmo 19081915, Torino 1974 [ed. or. Industriai Imperialism iti Italy, 1908-1915, Berkeley 1975), si vedano in particolare le pp. 544-563. Sugli interessi politici ed economici manifestati dall'Italia nei confronti dell'Albania significativi i volumi di V. MANTl'XiA/./.A, Italia ed Austria nell'Adriatico, Milano 1906 e L'Albania, Roma 1913. Di taglio più scientifico risulta invece il volume di E. MASKKATI, Momenti della questione adriatica (1869-1914): A/hania e Montenegro fra Austria e Italia, Udine 1981. Abbastanza approfondito riguardo la politica albanese dell'Italia neli'am-bito dell'alleanza con le altre Potenze della Tripbce è lo studio di politica internazionale di A. Duci-:, L'Albania nei rapporti italo-austriaci I897-/913, Milano 1983. Riguardo la politica albanese sviluppata dall'Italia in epoca giolittiana attraverso l'opera di colui che può essere considerato il più importante e competente ministro degli Esteri dell'Italia liberale, il marchese di San Giuliano, si veda G. FKRRAIOM, Politica e 85 ni, in particolare quelli nazionalisti, avevano sviluppato dei piani d'azione inerenti un concreto allargamento dell'influenza di Roma sull'Albania;' dopo la conclusione vittoriosa della guerra era parso che l'Italia fosse realmente riuscita a fare del piccolo Paese adriatico una sorta di protettorato consolidandovi la propria presenza anche militare stabilendovi, secondo le parole di Gaetano Salvemini «una specie di protettorato». A seguito di una violenta rivolta antitaliana scoppiata nel giugno del 1920 il governo, presieduto da pochissimo tempo da Giovanni Giolitti subentrato a Francesco Saverio Nitti, decise il ritiro delle proprie truppe da tutto il territorio albanese. Rimase nelle mani di Roma solo lo strategico isolotto di Saseno, proprio a ridosso del porto di Valona, fatto che parve avvalorare l'ipotesi che la ritirata (determinata anche da contingenze interne) fosse stata solo strategica e che l'Italia non era disposta a rinunciare alle proprie aspirazioni su questo scacchiere anche se per il momento a Roma sembrarono appoggiare con maggiore decisione l'ipotesi della piena indipendenza albanese. diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. \''ita di Antonino di San Giuliano (1852-1914), Soveria Mannelli 2007, in particolare le pp. 556-650. Infine sulla posizione italiana al tempo dell'effimero regno di Guglielmo di Wied vale la pena ricordare V: SA].1,l'lo, Albania: un regno per sei mesi, Palermo 2000, soprattutto le pp. 111-139. Vedi D. YKNKKUSO, La Grande guerra e l'unità nazionale. Il ministero Bosellì, Tonno 1996, pp. 298-315. Sulla presenza militare italiana m Albania durante la Prima guerra mondiale si veda IL BUCCIO!., Albania fronte dimenticato della Grande guerra, Portogruaro 2001. G. S A I A ' K M I N I , Preludio alla Seconda guerra mondiale, a cura di A. Tonili-;, Milano 1967, p. 21. L'Italia conservò Saseno fino al 1947 quando Fisolotto fu finalmente restituito alla sovranità albanese. Cfr. L. VlSI"rn, Negoziati albanesi in Polìtica, III, (1920), 7, pp. 92-100. Sull'appoggio all'indipendenza albanese si veda G. GIORDANO, Carlo Sforma, Milano 1987, pp. 146-147. Più in generale sulle relazioni tra l'Italia e l'Albania fino al 1920 si veda P. PASTOKI-:u,l, L'Albania nel/a politica estera italiana. 1914-1920, Napoli 1970. 86 Quello albanese, del resto, era un territorio nei confronti del quale le Grandi potenze con la Conferenza degli ambasciatori del 1921, sembravano disposte a riconoscere all'Italia, sia pur non senza qualche ambiguità, un ruolo privilegiato che nell'ottica fascista era visto come la concessione di un vero e proprio «mandato potenziale» " da dove iniziare, in un secondo tempo, la penetrazione politica ed economica nel resto dei Balcani. Anche da queste poche righe pare chiaro come l'importanza dell'Albania nell'ottica della politica internazionale italiana non fu certo una scoperta fascista. Ben prima dell'instaurazione del regime esisteva nei diplomatici e nei militari italiani impegnati nella regione la consapevolezza di dedicare un'attenzione particolare al territorio shqipetaro cercando di difendere anche culturalmente il primato italiano dalla concorrenza delle altre Potenze. Nel novembre del 1919 il Commissario italiano a Durazzo, Vicenzi, informava Roma di una prossima apertura a Tirana di una scuola elementare per iniziativa della Croce Rossa americana suggerendo che «sarebbe opportuno prevenirli». Poco tempo dopo un militare, il capitano di corvetta Ugo Perricone anch'egli di stanza in Albania, inviò a Roma un altro rapporto che conteneva anche la trascrizione dì una sorta di appello lanciato da un gruppo di notabili albanesi al governo francese sollecitandolo ad aprire anche in Albania delle scuole elementari e superiori francesi così come Parigi aveva fatto e andava facendo nel resto della regione balcanica. Tuttavia rispetto alle ambizioni italiane troppe erano state nel corso dei primi due decenni del Novecento le ingerenze italiane in Albania perché gli alba"' Vedi D. G R A N D I , II mìo paese. Ricordi autobiografici, a cura di R. Di-; FI-ÌLICI-:, Bologna 1985, p. 312. Archivio Storico Diplomatico Ministero Affari Esteri (d'ora in poi A.SMAI-), Affari Politici 1919-1930, Albania busta 685. Rapporti mvuiti rispettivamente il 21 novembre e il 10 dicembre 1919. 87 nesi non diffidassero delle intenzioni di Roma e dei propri rappresentanti. " Probabilmente anche per questo motivo negli ambienti politici romani cominciò ad acquistare peso l'idea che per facilitare la penetrazione culturale dell'Italia forse la strada migliore da percorrere fosse quella di affidare il compito a persone provenienti dalle colonie albanesi dell'Italia meridionale consapevoli e orgogliosi delle proprie origini albanesi ma italiani di nazionalità e del tutto affidabili dal punto di vista della difesa degli interessi nazionali. Era questa per esempio l'opinione espressa in una memoria elaborata dal Comitato centrale della Lega nazionale albanese di Palermo 4 : «[...] Essendo essi buoni italiani perché nati e cresciuti educati in Italia e non meno buoni albanesi perché hanno gelosamente conservato la lingua e le tradizioni albanesi». Insomma nella visione dei promotori della Lega nazionale albanese una maggiore diffusione della lingua e della cultura albanesi nelle province siciliane e calabresi avrebbe da un lato restitui" Sulle mire albanesi dell'Italia oltre agli studi già citati si veda anche il più recente lavoro di M. BoiUlOGNl, Tra continuila e incertezza: Italia e Albania (19141939). i M strategia politico-militare dell'Italia in Albania fino all'operazione «oltre mare Tirana», Milano 2007. Sulle colonie albanesi d'Italia (gli arii'éresh'é} e sul loro importante ruolo nel risveglio (rilindja) nazionale albanese si vedano almeno F. A l . T l M A K I - M. Boi.oG N A K I - P. CAKKO/./.A, Lesi/io della parola. La minoranza linguistica albanese in Italia: profili storico-letterati, antropologìa e giuridico istituzionali, Pisa 1986; F. A l . ' i ' l M A K l , // ruolo degli intellettuali arb'éreshe nella «ri/indja» albanese e nella storia culturale del Mezzogiorno italiano in M. BRUNI-VITI, Riflessioni sul Mezzogiorno. Comunità arb'éreshe e RJsorgtmento italiano, Soveria Mannelli 2004, pp. 79-95. Molto interessanti anche le pagine dedicate agli italo-albanesi contenute in S. SKHNDI, The Albanian National Awakening 1878-1912, Princeton 1967, particolarmente le pp. 115-119 e 215-237. La 1-ega nazionale albanese di Palermo sorse nel 1883 per iniziativa di Giuseppe Schirò; dopo la Prima guerra mondiale fu ricostituita sempre nel capoluogo siciliano per opera di Giovanni Cuccia. Vedi G. Pri'l'UO'iTA, Popolo lìngua e letteratura albanese, li ed-, Palermo 1932, pp. 496-497. 88 to nuovo vigore a una tradizione culturale che con il passare del tempo mostrava preoccupanti segnali di indebolimento e, allo stesso tempo, avrebbe contribuito alla penetrazione dell'influenza italiana nel Paese adriatico senza provocare sentimenti di inimicizia presso le popolazioni autoctone. Molto opportunamente invece, ai fini di meglio stringere i rapporti di amicizia tra i due paesi, si è pensato alla scuola. Però essa deve servire a plasmare l'anima albanese. [...] La penetrazione intellettuale di un popolo in un altro popolo, che può essere foriera di ottimi risultati, non può farsi se non mediante l'educazione di elementi indigeni. [...] L'opera e l'attività italiana devono essere sollecitate dagli albanesi e non offerte loro. Essi devono sentire la necessità dell'Italia e verso questo scopo devono tendere gli sforzi del Governo. Allo stato attuale delle cose non è prudente che il nome d'Italia risuoni iti ogni manifestazione della vita albanese: basta, per l'avvenire, educare italianamente quel popolo, pur rispettandone e incoraggiandone il culto per le sue patrie istituzioni. Pertanto, si appalesa ottima e politicamente adatta proposta del Comitato Centrale della Lega Nazionale Albanese, di istituire cioè, in Comuni italo-albanesi, e forse anche, a mio giudizio, in grandi centri italiani, delle Scuole Normali di tipo speciale, che, con carattere obbligatorio, contengano elementi di Al.BANOI.oClA [così nel testo, n.d.r.\, Storia letteraria. Storia civile, Geografia) accogliendovi, mediante l'istituzione di borse di studio e di convitti italo albanesi, così la gioventù albanese, come quella delle colonie italo-albanesi- [...] Tali convitti, e tali scuole sarebbero vivai di amicizie e di estimazioni, da cui potrebbero conseguire, m seguito, per desiderio degli stessi albanesi, quelle correnti e quelle missioni di italo-albanesi in Albania, che oggi sarebbero motivo di diffidenza e di avversione. Il Collegio Italo-albanese di san Dcmetrio Corone con le sue scuole, la Scuola Normale di Tipo Speciale nel Collegio di Maria di Piana dei Greci, il Ginnasio Magistrale di Palermo [...] potrebbero rientrare nel numero degli Istituti italiani diretti al fine precedentemente esposto. " " ASMA!', Affari Politici 1919-1930, Albania busta 685, Relazione del Comitato Nazionale Albanese di Palermo senza data né firma. 89 Nel corso degli anni a partire soprattutto dalla instaurazione, negli ultimi giorni del 1924, del potere personale di Ahmed Zogu (dal settembre 1928, ormai consolidatosi al potere si proclamò re con il nome di Zog I),1" le relazioni bilaterali italoalbanesi tesero a stringersi ulteriormente, sia pur ostacolate più meno velatamente dagli scaltri tentativi dell'uomo forte albanese di conservare una propria autonomia. ' In realtà gli spazi di manovra di Zog erano grandemente limitati dalla crescente influenza italiana. Proprio in virtù di questa speciale — e in definitiva unica — situazione nel contesto della politica culturale balcanica dell'Italia, l'Albania assunse non solo una speciale importanza ma anche una sorta di unicità. A differenza degli altri Paesi dell'area balcanica in Albania l'obiettivo primario non era tanto quello di diffondere la cultura italiana quanto piuttosto di '' Ahmct Zogu (il cognome originario era Zogolli) divenne primo ministro nel dicembre 1922, nel giugno del 1924 fu rovesciato da una coalizione progressista capeggiata dal religioso ortodosso Fan Noli, tuttavia già nel dicembre di quello stesso anno Zog tornò al potere appoggiato da un fronte eterogeneo (parteciparono al colpo di Stato anche elementi russi bianchi in esilio in Jugoslavia). Nel gennaio del 1925 Zog fu eletto presidente della Repubblica di Albania. Su Zog si veda l'agile biografia di ]. TOMHS, King Zog of Albania: lìurope's seìj-mude Mttslim King, New York 2004. Su questa fase delle relazioni italo albanesi rimando a P. P/\S'i'( HìKI.I.l, Italia e Albania 1924-1927. Origini diplomatiche dei trattato di Tirana del 27 settembre 1927, Firenze 1967, pp. 244-288; R. MOKO//.O Dhl.l.A RdCCA, Nazione e religione in Albania, Bologna 1990, pp. 151-159. In realtà gli spazi di manovra di Zog erano fortemente limitati dall'enorme importanza che gli aiuti economici italiani andavano progressivamente acquisendo per le esigenze della gracile economia albanese. Di fatto dopo il Trattato economico del marzo 1925 la preminenza dell'economia italiana fu sancita dalla fondazione Banca Nazionale albanese di emissione e dalla Società per lo sviluppo economico dell'Albania (SVI'.A) che divennero i principali veicoli per assicurare il controllo di Roma dell'economia albanese. Si vedano al riguardo: L. lASHI.I.I, L'espansione finanziaria dell'Italia in Albania (Ì925-Ì943). La Banca Nay'ona/e d'Albania e la SÌ'ILA in http://www.delpf.iiniiia.if/sfof/ 12_pdf/1.2.pdf (ultimo accesso 16 settembre 2008) e A. Rosi 1 ;],],I, Italia e Albania: relazioni finanziarie nel \ tenuto faiàsta, Bologna 1986, specialmente le pp. 63-80. 90 introdurre rapidamente, e in forma quasi aggressiva, il modello educativo che il fascismo andava imponendo nella penisola anche in previsione di un'annessione che nei piani di Roma presto o tardi sarebbe arrivata. Dunque mentre negli altri Stati balcanici venne data grande importanza al radicamento di strutture in grado di promuovere la cultura italiana spesso in aperta competizione con l'azione culturale promossa dalle altre Potenze europee, in Albania fu sulle scuole che sin dall'inizio che si concentrò l'attenzione dei diplomatici e degli inviati fascisti, oltremodo attenti a intralciare ogni iniziativa lanciata in questo campo da altre Potenze. Emblematico è il caso, per esempio, delle missioni archeologiche italiane in terra shqipetara. Solo nel 1923 quando si diffuse la notizie della concessione alla Francia di un permesso per avviare una campagna di scavi in Albania, la diplomazia italiana si mosse per cercare di controbilanciare l'iniziativa francese.'* Fu l'occasione, non senza qualche travaglio, per dare avvio a un'importante stagione di ricerche archeologiche italiane in Albania che nel corso degli anni avrebbero visto quale protagonista assoluto il professor Luigi Ugolini della scuola archeologica di Roma." Tuttavia la documentazione rintracciata pare avvalorare l'ipotesi che di una vera e propria offensiva culturale si possa cominciare a parlare solo qualche tempo dopo la firma del Patto di Tirana del novembre 1927; fino al quel momento gli unici centri didattici dove venivano impartite lezioni d'italiano erano due istituti che operavano nelle città di Scutari e Valona. C'è da dire, inoltre, che le scuole cattoliche presenti in Albania e in particolare quelle gestite dai gesuiti di Scutari, pur non disdeCfr. M. Pl-TKlClOU, Archeologia e mare nnstrum. LJ missioni archeologiche nella politica mediterranea dell'Italia 1898/194?, Roma 1990, pp. 270-271. Sulle modalità con cui presero avvio le campagne di scavo, le interferenze e gli aiuti messi in atto dal regime si veda ibidem, pp. 278-287. 91 gnando gli aiuti economici provenienti dalla penisola, non si erano dimostrate troppo propense a funzionare come una sorta di quinta colonna della cultura e soprattutto della politica italiana in Albania. La tendenza manifestata fu quella di continuare a mantenere una loro autonomia didattica e culturale che nel corso degli anni aveva grandemente contribuito a consolidare il prestigio delle loro istituzioni scolastiche e dei loro metodi educativi tra la popolazione albanese, anche tra quella di religione non cattolica/" Del resto è anche vero che aiuti economici italiani in questi anni furono fatti confluire anche verso istituzioni appartenenti alle altre due religioni maggioritarie in Albania: musulmana e ortodossa, anche perché nell'opinione degli inviati italiani in loco molto più che gli abitanti di religione cattolica erano quelli che professavano la religione musulmana (allora come oggi maggioritaria nel Paese) a manifestare i sentimenti più favorevoli nei confronti degli italiani. Secondo l'opinione del ministro italiano a Durazzo, Aloisi, si sarebbe dovuto lavorare duro per guadagnare alla causa italiana i cattolici del Paese e in particolare le istituzioni cattoliche operanti a Scutari che sarebbe dovuto diventare il centro dell'azione italiana in Albania." Tuttavia nel corso degli anni Venti nonostante gli sforzi fino ad allora profusi (come già accennato il territorio albanese fu oggetto in quel periodo di intense campagne di scavi archeologici promosse da studiosi italiani che riportarono alla luce, tra Sulle scuole dei gesuiti e la loro missione educativa in Albania si veda I. A. M U R / A K U , Catholìdsm, Culture, Conversioni thè History of thè Jesuits hi Albania (1841-1946), Roma 2006, per gli aspetti che ci riguardano nel presente saggio si vedano soprattutto le pp. 1 59-162. I Documenti Diplomatili Italiani (d'ora in poi DDI), serie VII, voi. IV, doc. 544, Messaggio dell'inviato italiano Aloisi a Mussolini del 15 dicembre 1926, pp. 422-423. 92 l'altro, anche la parte più importante delle rovine di Butrinto"), i risultati del radicamento della cultura e dell'educazione di impronta italiana parevano ancora piuttosto esigui. Fu lo stesso Mussolini nell'ottobre del 1928, dopo aver riconosciuto la scarsità degli esiti finora ottenuti in campo culturale, a sollecitare il ministro delle Finanze, Mosconi, a mettere disposizione nuovi fondi per organizzare, su istanza dello stesso governo albanese, delle scuole professionali ordinate secondo il modello italiano: «dobbiamo corrispondere senza ritardo anche a questa richiesta che si inquadra perfettamente nel programma di sviluppo della nostra influenza in Albania».2* Tuttavia quasi un anno dopo la situazione non pareva aver conosciuto ancora sostanziali progressi; almeno a giudicare dalla prima concreta e dettagliata analisi sulla diffusione della cultura italiana in Albania stesa nella primavera del 1929 da Attilio Bassi con un lungo rapporto inviato al Ministero degli Esteri da Tirana. Dopo aver segnalato come nonostante tutto in gran parte dell'Albania compresa la stessa Tirana la conoscenza della lingua italiana fosse alquanto scarsa egli indicava come lo sforzo primario dovesse essere indirizzato a «occupare» le scuole albanesi cominciando con la diffusione capillare della lingua italiana: [...] introdotto ed ordinato in siffatta maniera l'insegnamento della lingua e delle letteratura italiana, l'inquadramento della gioventù albanese (Opera Nazionale Ballila), organizzato presentemente [sii] da istruttorì militari italiani, comincerebbe a rispondere anche spiritualmente allo scopo f...].""1 Vedi L. M. U G O L I N I , L'Antica Albania nelle ricerche archeologiche italiane, Roma 1928. Si veda anche I... M. UGOLINI, Le scoperte archeologiche fatte in Albania dalla nostra missione in Studi Albanesi, 1,1931, pp. 17-34. 2! ASMA!-;, Archivio Scuole 1929-1935, pacco 888, Messaggio di Mussolini ad Antonio Mosconi del 18 ottobre 1928. Ibidem, Relazione risalente alla Pasqua del 1929 ma senza data precisa. 93 Per Bassi era importante integrare energie italiane nello sforzo in corso teso a modernizzare, sia pur a volte in maniera disordinata, l'Albania: [...] nella giovane capitale albanese che cerca di progredire di giorno in giorno, aprendo nuove strade, costruendo edifici nuovi e demolendo i vecchi, trasformando usi e costumi d'un tempo che fu [.-.] un istituto medio italiano che raccogliesse la migliore gioventù del paese e straniera, potrebbe costituire la nota più bella di vita nuova in Albania [---}-'^ II Bassi consigliava, quindi, di impegnare nuove energie alla costruzione di scuole superiori scientifiche e commerciali cominciando proprio dalla capitale fino a dare al Ginnasio militare «[...] ora denominato Scuola Reale militare di nuova istituzione e con organizzatore italiano, mandandovi almeno un buon maestro di italiano [...]»/' In realtà nella visione dei politici fascisti l'azione culturale da condursi in Albania sarebbe dovuta essere ancora più aggressiva di quanto immaginavano gli stessi inviati italiani. A una maggiore disponibilità di aiuti finanziari avrebbe dovuto corrispondere una immediata contropartita da parte albanese. Per esempio nelP eventualità di finanziare l'apertura di nuove scuole professionali il governo albanese avrebbe dovuto concedere in via ufficiale: di tenere presso il Ministero della Pubblica Istruzione un funzionario con ampi poteri direttivi sul nuovo organismo professionale. [...] Che il governo albanese si impegni a lasciarci svolgere il nostro programma, escludendo qualsiasi altra concessione ad altri end pubblici o privati stranieri nel campo educativo professionale." I risultati dell'aiuto italiano nella realizzazione delle scuole professionali albanesi ben presto si manifestarono; in un prome'' Ibidem. ''' Ibidem. ìbidem, Relazione senza data, probabilmente risalente al 1928, inviata dal Ministero degli Affari esteri alla Direzione generale delle Scuole per l'Estero. 94 moria inviato dal Ministero degli Esteri a Mussolini si sottolineava infatti come il governo albanese avesse deciso «la soppressione dei ginnasi-licei di Argirocastro e Berat funzionanti con ordinamento francese e sostituirli con scuole d'artigianato funzionanti con ordinamento italiano»." Nel frattempo, come testimonia un messaggio della Legazione italiana di Tirana del settembre 1929, il Ministero dell'Istruzione albanese continuava a richiedere l'invio di insegnanti di lingua italiana da inquadrare nei ginnasi statali di importanti centri dell'Albania come Scutari ed Elbasan.29 Gli effetti dell'azione italiana non tardarono a mostrarsi. Già a metà del 1930 un rapporto inviato a Roma dal ministro d'Italia in Albania, Ugo Sola, mostrava come in poco tempo la situazione cominciasse radicalmente a cambiare e l'Italia stesse costituendo nelle città e cittadine del Paese delle aquile una fitta rete di scuole che faceva sì che circa 2000 alunni albanesi ricevessero regolarmente l'insegnamento dell'italiano alla stregua dei 600 allievi delle scuole militari dove tra l'altro già operavano 20 ufficiali del Regio Esercito. [...] Vi sono città ove due anni or sono l'italiano era quasi del tutto sconosciuto (cito per esempio Koritza) e dove invece oggi è possibile farsi intendere quasi da tutti parlando la nostra lingua alla cui diffusione hanno contribuito, in maniera decisiva la circolazione della «Gazeta Shqiptare» (Gazzetta del Mezzogiorno) nonché la presenza di organizzatori italiani in quasi tutte le amministrazioni albanesi e finalmente l'affluire di numerose imprese e di operai italiani. 2* Ibidem, Messaggio inviato dal MAI; a Mussolini 21 settembre 1928. ìbidem, Telegramma inviato dal ministro italiano a Tirana, Quaroni al MAI 1 ; il 26 settembre 1929. Rispetto a queste note positive Sola sottolineava invece fa situazione negativa della città di Durazzo dove esisteva solo un ricovero gestito da suore italiane che avevano provveduto a fondarvi anche una piccola scuola femminile di ricamo alla quale avevano chiesto di accedere anche le figlie del muftì locale: ibidem, Dispaccio di Ugo Sola al MAI'! del 19 luglio 1930. Pochi giorni dopo 95 In questo stesso periodo, del resto, anche i cattolici di Scutari sembrarono più propensi ad accettare una sorta di azione protettrice del governo di Roma. Da questa posizione privilegiata il peso della cultura e della lingua italiane non potevano che aumentare costantemente anche in virtù dello sforzo profuso da Roma e dai suoi agenti per sabotare ogni iniziativa intrapresa da Paesi terzi nel tentativo di ritagliarsi una nicchia in Albania. Significativo quanto avvenne, per esempio, nel giugno del 1931, quando le pressioni esercitate dalla Legazione d'Italia di Tirana convinsero un notabile locale, Osman Nuri, a far sì che il proprio figlio rinunciasse a usufruire di una borsa di studio che le autorità iugoslave gli avevano concesso per poter frequentare i corsi presso un istituto superiore di Belgrado. Sul solco di queste iniziative può essere annoverato anche il tentativo di italianizzare quegli istituti scolastici albanesi privati considerati particolarmente importanti per il prestigio che godevano in loco e per la classe sociale degli alunni che vi erano accolti. Fu il caso, per esempio, delle manovre messe in atto dal diplomatico Di Soragna nei confronti dell'Istituto Kyrias di Durazzo. A causa della sospensione degli abituali finanziamenti erogati dallo Stato albanese, la situazione finanziaria dell'istituto a partire dal 1931 aveva cominciato a risentire di notevoli problemi. Su sollecitazione del console italiano a Durazzo, Gobbi, Di Soragna scrisse al proprio ministero chiedendo di intervenil'Ufficio Albania del MAI-; sollecitò la Direzione Generale Italiani all'Estero e Scuole «[...] di fare in questo esercizio uno sforzo particolare per le nostre scuole in Albania. La lamentata deficienza dell'insegnamento dell'italiano a Durazzo richiede di essere sollecitamente riparata in considerazione della particolare importanza di quella città che è il maggiore centro commerciale dell'Albania, ed è il punto di concentramento e di irradiazione di tutta la nostra azione nel vicino Regno [...]»: ibidem. Messaggio del 30 luglio 1930. ASM Al C, Affari Politici, Albania, busta 8, Relazione di A. Di Soragna spedita da Tirana a Roma l'il giugno 1931. 96 re economicamente assumendosi l'onere di farsi carico del pagamento di un certo numero di insegnanti: caldeggio la cosa - scriveva il diplomatico italiano - e mi raccomando vivamente alla DIES e all'Ufficio Albania per una risposta favorevole. Non starò qui a ripetere l'importanza dell'istituto Kyrias: l'elemento femminile delle migliori famiglie musulmane e ortodosse del paese lo frequentano, se riusciamo a italianizzarlo, abbiamo fatto quel che si dice un bel colpo. E non sol, perciò, prego di consentire allo sborso di 600 franchi mensili di più; insisto perché sia messa in nota una maggiore disponibilità di denari per l'anno venturo. Non so ancora bene come ce ne serviremo: l'aumento di maestre e di libri italiani, o forse un contributo all'installazione più perfetta del nostro corpo insegnante femminile. [...] I sigg. Dacco e la Signorina Kyrias [proprietan dell'istituto, n.d.r.\n sono più giovani; intravedo la possibilità di un direttore italiano e, per finire, una gestione completamente italiana nel futuro [...] non credo di esagerare dicendo che si tratta di decidere il futuro della cultura della donna albanese, del Principato di Durazzo e regioni adiacenti. * La risposta positiva del ministero non si fece attendere troppo. Qualche mese dopo infarti veniva comunicato alla Legazione d'Italia a Tirana la concessione di un finanziamento mensile all'istituto Kyrias per un anno e «a titolo di esperimento» allo scopo dì accentuare la nostra penetrazione in seno ad esso, sia con la sostituzione dell'italiano all'inglese come lingua d'insegnamento, sia con l'assunzione di personale nuovo nostro e l'adozione di nostri testi. '2 A.SMAI-, Archivio Scuole, 1929-1935, busta 888, dispaccio del Di Soragna al MAI- del 28 novembre 1931. " ìbidem. Dispaccio inviato dal Sottosegretario di stato. Panni, alla Legazione d'Italia di Tirana il 1° marzo 1932. Poteva succedere thè A volte gli sforzi dei diplomatici incontrassero degli ostacoli non previsti come, per esempio, la poca disponibilità degli insegnanti italiani, soprattutto del personale femminile, di continuare a operare in Albania anche solo dopo qualche mese di permanenza. Molte si lamentavano per le difficoltà a integrarsi con le usanze del posto, con la scarsa agibilità e igiene delle sistemazioni che gli erano assegnate, dei salati con- 97 L'innegabile incremento della presenza culturale e soprattutto scolastica italiana in Albania si legò in questi primi anni Trenta a una notevole crescita di iniziative editoriali, molte di ottimo livello scientifico, che riguardavano la storia, la geografia e la cultura albanesi. Soprattutto nel settore storico grande enfasi fu data alla riscoperta e alla valorizzazione della figura di Giorgio Castriota Scanderberg e, più in generale, alle relazioni politiche, culturali, linguistiche e religiose intercorse tra le due sponde dell'Adriatico attraverso i secoli,1' Nel 1931 uscì il primo numero della rivista Studi albanesi, organo della sezione albanese dell'Istituto per l'Europa orientale di Roma che secondo gli auspici di uno dei promotori dell'iniziativa, Amedeo Giannini (coadiuvato dal filologo Matteo Bartoli, dal geografo Roberto Almagià e dallo storico Gennaro Maria Monti), a sua volta protagonista della fondazione nel 1921 dell'Istituto per l'Europa orientale, avrebbe dovuto migliorare la conoscenza e «rafforzare nel campo degli studi i siderati non all'altezza del compito loro affidato e addirittura dell'impossibilità ad abituarsi ai cibi loculi. Per questo motivo il De Soragna oltre a stigmatizzare le lamentele delle insegnanti, considerate esagerate e ingiustificate, richiedeva che in futuro si inviasse personale più motivato in quanto «l'insegnante che viene in Albania deve avere l'anima del missionario e deve essere preparato a ogni sacrificio materiale e morale. Non si può pretendere di avere qui degli istituti come in Italia, Svizzera, Inghilterra ed m ogni altro paese civilizzato»: ibidem. Dispaccio inviato da Tirana a Roma il 16 maggio 1931. 14 Si veda ad esempio A. BAU>.\ca, L'Albania, Roma 1929. Emblematiche le riflessioni contenute nel volume di A. B.\).b.u;<;i, L'Albania attuale in Studi speciali albanesi, Roma 1932, p. 248. ' Sulla fondazione e le attività dell'Istituto per l'Europa orientale si veda S. SANTOKO, L'Italia e l'Europa orientale. Diplomazia culturale e propaganda 1918-1943, Milano 2005, pp. 37-42. Lo stesso Giannini attento conoscitore dei Paesi dell'Europa centrale e orientale fu autore di diverse opere aventi in oggetto l'Albania: La questione albanese alla Conferenza del/a pace, Napoli 1922; l.^a questione albanese, Roma 1925; La formazione dell'Albania, Roma 1930, L'Albania dall'indipendenza all'I Anione con L'Italia (1913-19 39), Milano 1940. 98 rapporti tra i due stati». Non è certamente da sottovalutare il ruolo giocato da Studi albanesi. Questa rivista infatti divenne il trait d'utiion tra gli ambienti accademici italiani e le missioni cattoliche presenti in Albania che soprattutto nel corso della seconda metà degli anni Trenta, in virtù dello sforzo sviluppato dai monaci basiliani (facenti capo all'abbazia greca di Grottaferrata, alle porte di Roma), cercavano di guadagnare spazi soprattutto nei confronti degli ortodossi nel Sud del Paese.™ La prima missione dei monaci basiliani fu inaugurata nel 1938 a Klbasan, ma dopo la conquista italiana dell'Albania due nuove sedi sorsero prima ad Argirocastro e poi a Fieri. Tuttavia tra il 1931 e il 1934 lo Stato albanese tentò di arginare la penetrazione e soprattutto la quasi totale indipendenza di cui sembravano godere tanto le scuole confessionali cattoliche che quelle italiane. Lo scarso controllo esercitato fino ad allora dallo Stato albanese su tali istituti pareva del resto lasciare campo libero ai cattolici nell'opera di proselitismo che nell'ottica di Zog rischiava di creare attriti in una società come quella albanese già percorsa da divisioni e rivalità indebolendo in ultima analisi il suo potere personale e l'autorità del suo governo. Queste " Vedi A. G I A N N I N I , Proemio, in Studi Albanesi, 1, 1931, p. 6. " Sulla presenza storica dei monaci basiliani in Albania si rimanda all'opera, non sempre equilibrata nei giudizi soprattutto nei confronti delle altre due religioni maggioritarie in Albania la musulmana e l'ortodossa, del monaco N. BoiUilA, 7 monna basiliani d'Italia in Albania: appunti di storia missionaria secoli XI 'I-Xl'JII, Roma 1935; T. MlNisci, / monaci basiliani in Sicilia e Albania'in bollettino della Badia greca di Grotta/errata, voi. 11, 1957, pp. 74-89. Cenni brevi ma significativi sulle ragioni dell'interesse particolare mostrato dalla Badia di Grottaferrata nei confronti dell'Albania nel testo della conferenza di Donato Oliviero consultabile sul sito http://www.jemi.it/index2.php?option = com_content&do_pdf=l&id=197 (ultimo accesso 17 settembre 2008). È interessante notare come il padre Nilo Borgia scrisse due lunghi articoli sulla storia delle missioni basiliane in Albania (che poi avrebbe riunito nel volume su menzionato) proprio sulle pagine di Studi albanesi. "'Vedi S. "::>.\ì<'l\Wi,L'Italia e l'Europa orientale..., pp. 275-277. 99 tendenze avevano cominciato a manifestarsi già nel corso del 1930 come dimostra una preoccupatissima lettera di un padre gesuita di Scutari del dicembre 1930 nella quale denunciava il clima ostile che li circondava alimentato anche dai padri francescani albanesi [...] Il sentimento patriottico elle di giorno in giorno sempre più si va sviluppando fa sì che noi siamo qui degli invisi e degli osteggiati [...] quello che non si spiega è, che essi abbiano spìnto Ìl loro entusiasmo patriottico fino alla xenofobia e che ci facciano una guerra indecorosa [...] assoluto ostracismo per quanto non è albanese [...]. Anche le relazioni con l'Italia conobbero in questa fase notevoli frizioni. Sappiamo come nel 1931 Zog negò il rinnovo del Patto di Tirana e allo stesso tempo rifiutò di ripianare i debiti contratti con la società finanziaria SVliA e nell'aprile del 1933 le scuole private albanesi furono tutte nazionalizzate provocando gravissimi disagi sull'intero sistema scolastico del giovane regno. In apparenza le reazioni italiane furono composte; l'Italia mantenne un atteggiamento di basso profilo evitando di esacerbare una situazione che avrebbe potuto sfuggirle di mano, limitandosi, laddove non poteva più controllarli, a chiudere A S M A I - , Affari Politici, Albania, busta 8, Lettera senza firma datata Scutari 21 dicembre 1930. In effetti questi furono anni di duri scontri tra i gesuiti e i francescani. Questi ultimi tentarono con una certa veemenza di guadagnare spazi e consensi giocando la carta nazionalista e accusando appunto i gesuiti di fare soprattutto gli interessi politici e culturali stranieri. La competizione tra i due ordini religiosi può essere inquadrata nell'operazione messa in atto da Zog di ricondurre sotto il proprio diretto controllo le tre grandi religioni presenti in Albania. Manovra che poteva dirsi pienamente riuscita nel caso dei musulmani locali che proprio con il sostegno del monarca si erano pienamente emancipati da ogni influenza straniera rinunciando però a gran parte della loro autonomia; dopo questo successo lo stesso progetto fu quindi allargato nei confronti degli ortodossi e dei cattolici. Cfr. I. A. M M K / . A K U , The Re/igion Poltcies of King Zog I in Orientatiti Cbmliana Periadica, 2, 2003, pp. 429-452. "" Cfr. I. A. M U K / A K U , Catholicism, Cullare, Convenion..., p. 197. 100 alcuni istituti.4" Del resto le grandi difficoltà incontrate dal governo albanese di sostituire crediti e finanziamenti italiani con quelli di altri Paesi si mostrò quasi insormontabile e così Zog pochi mesi dopo la svolta «nazionalista» fu costretto a cedere. Nel 1934 il Ministero della Pubblica Istruzione albanese diede attuazione a una legge emanata nell'agosto del 1933 che rese obbligatorio in tutte le scuole secondarie l'insegnamento dell'italiano. Era un segnale evidente della ripresa, ormai inarrestabile, dell'influenza italiana in Albania. Approfittando delle circostanze favorevoli e in collaborazione con la società Dante Alighieri, furono organizzati corsi serali di italiano in diverse località del Paese. Secondo un rapporto del marzo del 1934 a Tirana i cicli di lezione di lingua italiana erano frequentati da un centinaio di studenti. Altri funzionavano più o meno regolarmente in altri importanti centri dell'Albania come Durazzo e Valona. Tuttavia nei piani italiani i corsi serali di italiano dovevano rappresentare solo un primo passo per rendere ancora più forte la presenza della lingua e della cultura italiane in Albania e soprattutto per cercare di diffondere la conoscenza dell'italiano nelle scuole, comprese quelle elementari, dove invece, secondo la vigente legge albanese, non era previsto l'insegnamento di alcuna lìngua straniera. Le proteste dei sìngoli funzionari o insegnanti albanesi, contrari all'introduzione nelle loro scuole dell'italiano, venivano subito affrontate con diretti (e sovente S. SW\\Mt.),L'Ifa/iae/'Europa oriento/e..., p. 278. La difficile fase nei rapporti italo-albanesi ebbe dei riflessi anche nelle campagne di scavo archeologico, compreso il sito di Butrinto. Gli albanesi si lamentavano dello scarso rispetto degli italiani dell'accordo archeologico, incluso l'obbligo di consegnare gli oggetti scoperti. I lavori ripresero a pieno ritmo solo nel 1936. M. f\\\.'\M:\^n.\, Archeologìa e mare nostrum..., pp. 374-377. J4 ASM A I',, Archivio Scuole 1929-1935, pacco 888, Rapporto inviato da Tirana a Roma il 2 marzo 1934. J2 101 anche stizziti) interventi della Regia Legazione presso le autorità albanesi competenti. s Maggiore successo invece sembravano riscuotere le tattiche dilatatorie adottate dal governo di Tirana per contrastare in maniera meno eclatante ma forse più efficace la penetrazione culturale e scolastica italiana. I documenti sembrano attestare come la cattiva predisposizione delle autorità scolastiche albanesi, forse incoraggiate segretamente dallo stesso governo, rendeva piuttosto difficoltosa l'applicazione pratica di una legislazione scolastica sulla carta sempre più favorevole agli interessi dell'Italia. L'attuale Ministero della Pubblica Istruzione, costretto ad ammettere l'insegnamento obbligatorio della nostra lingua, ha cercato e cerca in tutti i modi possibili dì ridurre al massimo la portata pratica di tali disposizioni. La Regia Legazione di Tirana, conformemente alle disposizioni impartitele da questo Ufficio ha più volte richiamato su ciò l'attenzione del Governo albanese e ha tentato con iniziative parallele e integrative di rimediare alle deficienze sopra lamentate e di dare nuovo impulso alla nostra penetrazione linguistica e culturale, ma è evidente che tale problema è collegato e subordinato ad altri più gravi che investono la politica del Regio Governo in Albania. ' Con il tempo e con la crescente influenza politica acquisita dall'Italia anche queste difficoltà furono progressivamente superate. Nel 1936 fu permessa di nuovo la riapertura delle scuole private in tutta l'Albania con evidente vantaggi per quelle italiane. Insomma pareva che il grosso dell'impegno fosse ormai realizzato e bisognasse soltanto raccogliere il frutto di un lavorio diplomatico spesso sotterraneo e contorto ma sicuramente tenace, tanto più che a partire dal 1937 l'Albania e con i relativi ìbidem. *" ASMAic, Archivio Scuole 1929-1935, pacco K88, Rela/ione delPUfficio Albania redatto a Roma il 1° maggio 1934. 102 piani di annessione all'impero fascista, era diventata una delle preoccupazioni principali del ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano in cerca di facile gloria e convinto che Zog, nonostante la sempre più marcata sudditanza economica che l'Albania era costretta a patire nei confronti dell'Italia, non avrebbe mai accettato di trasformare il suo regno in un mero protettorato della vicina potenza fascista. 4 Quasi a coronamento della «conquista» culturale dell'Albania all'inizio del 1939, fu inaugurato a Tirana in pompa magna e sotto l'alto patronato di re Zog I e del ministro italiano in Albania Francesco Jacomoni, il circolo italo-albanese Skanderberg, destinato a essere il fiore all'occhiello della presenza della cultura italiana sull'altra sponda dell'Adriatico. Qualche tempo dopo furono aperte delle sezioni dello stesso circolo in varie altre località del Paese. Il circolo ospitato in un palazzo prestigioso nel centro della capitale doveva diventare il punto di riferimento e di irradiazione della presenza culturale italiana in Albania. P^sso fu dotato anche di una biblioteca all'inizio fornita con più di 1.500 volumi portati direttamente dall'Italia e, per meglio agevolare il suo lavoro, le attività della sezione tiranese del comitato della Società Dante Alighieri furono ridotte ai soli corsi serali di lingua italiana. J? Cfr. B. ]. F i s u i K K , LSAnschluss italiano. La guerra m Albania (1939-1945)., Nardo s.d- [ed. or. Albania at War 19)9-1945, West Lafayette 1999], pp. 21 -28. " Dunque anche a Tirana come in altre città dell'Europa centrale e orientale le attività della Dante Alighieri, nonostante una decisa opera di fascistizzazione condotta dal regime sulla stessa società nel corso del ventennio, furono ridotte o del tutto annullate proprio per favorire meglio il raggiungimento degli obiettivi culturali e politici dei Istituti italiani di cultura fondati proprio negli anni del fascismo e destinati ad essere il pnncipale veicolo di diffusione della lingua e della cultura italiane nel mondo. Vedi A. B ASCI ANI, / M penetrazione culturale italiana nei Balcani nelperiodo interbellico, lì caso dell'Istituto di C.uìlura di Bucarest, in Annua- 103 Insomma l'insieme di tutta questa attività per certi versi anche frenetica doveva rappresentare una ulteriore premessa nei piani - evidentemente troppo scontati e semplicistici - della diplomazia fascista per ottenere la formazione di una classe dirigente albanese legata a doppio filo all'Italia e quindi pronta ad armonizzare il futuro ingresso e quindi la progressiva integrazione del Regno d'Albania nell'impero fascista. rio dell'Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, 5, 2003, pp. 474483; Cì. PI-TRACCHI, Un modello di diplomala culturale: l'Istituto Italiano di Cultura per /'Ungheria, 1935-1943, in P. SARKÓ/.V, Italia e Ungheria dagli anni Trenta agli anni Ottanta, Budapest 1998, pp. 66-71. Per un inquadramento della perdita dell'autonomia gestionale e culturale nelle attività della Società Dante Alighieri negli anni del fascismo si veda P. S A J A ' K I T I , Immagine nazionale ed emigrazione nella Società «Dante Alighieri», Roma, 1995, pp. 246- 266. 104 FRANCESCO GUIDA II regno di re Zog visto dalla documentazione diplomatica italiana (1935-1936) È noto che nel 1935 vi fu un tentativo di rovesciare re Zog a opera di elementi militari muovendo da Pier (ne seguì uno nel 1937 ad Argirocastro). Il fatto influì da una parte sulla politica del monarca, dall'altra sulle relazioni italo-albanesi. Nonostante la pronta e dura reazione contro i rivoltosi, il 22 ottobre di quell'anno la nomina a Primo ministro di Mehdi Frashèri parve essere una concessione a quanti criticavano il potere monarchico semiassoluto e i favori concessi dal re al proprio entourage? La documentazione diplomatica italiana pubblicata su questo esito politico tace, mentre il ministro plenipotenziario a Tirana Mario Indelli fu pronto a dare informazioni a Roma sul tentativo insurrezionale.^ Sia il ministro sia Mussolini compresero che Università Roma Tre. Il saggio è stato pubblicato in Albania nel volume Monarkia Shqiptare 19281939, a cura di M. Verli - B. Meta, Botimet Toena, Tirane 2011. A riguardo di quell'animorbidimento del regime monarchico, una pubblicazione di propaganda del regime comunista albanese all'inizio degli anni settanta scriveva in modo lapidario: «Zog prend peur. Il luì faut accepter un semblant de démocratie et, en particulier, d'une presse moins enclave». GlJ.BKRT MUH Y, Albanie terre de l'homme nouveau, Paris, Maspero 1970, p. 22. 2 Indelli fu definito «un ministro anziano e eli vasta esperienza balcanica» inviato a sostituire il Consigliere Armando Koch quando Mussolini decise di passare dalla «politica forte» alle trattative; cfr. La politica dell'Italia in Albania nelle testimoniante del 'Luogotenente del Re Francesco }acomoni di San Savino, Cappelli, Rocca San Casoario 1965, p. 60. Il libro dijacomoni, essendo scritto da un protagonista di quei fatti storici, va letto con una certa prudenza, ma è ricco di informazioni. 105 l'apparente debolezza di Zog poteva indiarlo non solo a fare concessioni all'interno, ma anche a riprendere le trattative su più campi con il governo italiano dopo un intervallo di freddezza durato alcuni anni, seguito agli intensi rapporti diplomatici ed economici degli anni venti. In questo breve saggio si intende parlare dell'anno che intercorre tra quelle novità nella vita politica albanese e la firma dei nuovi accordi italo-albanesi, sulla base della documentazione diplomatica italiana pubblicata. Si tratta, dunque, in primo luogo di un contributo documentario. In verità, proprio in quel 1935 la priorità fu costituita, nei rapporti tra Tirana e Roma, da una questione più strettamente politica e solo in parte legata ai rapporti commerciali. Era ormai scoppiata la crisi etiopica: pressato da Roma il governo albanese fu l'unico — insieme con quello austriaco e quello ungherese — a rifiutare apertamente di accedere alle sanzioni decise contro l'Italia dalla Società delle Nazioni. La motivazione di tale diniego era ovvia: l'Albania non poteva rinunciare al commercio con l'Italia, pena pesantissimi riflessi sulla vita della stessa popolazione albanese. A Indelli il sottosegretario agli Esteri (dal 1932 al 1936) Fulvio Suvich si spinse a scrivere con tono un po' minaccioso: «Una interruzione dei rapporti commerciali con l'Italia vorrebbe dire miseria per tutto il Paese». Proprio Frashèri riceSu questi ultimi si veda il classico PlKTRO PASTORI;;],],!, Italia e Albania: 1924-1927. Origini diplomatiche del Trattato di Roma del 22 novembre 1927, Firenze, Biblioteca della Rivista di studi politici internazionali, 1967, che fa pendant con un'altra opera dello stesso autore, L'Albania nella politica estera italiana. 19141920, Napoli, Jovene 1970. Inoltre per la parte economica si veda ALESSANDRO RosiiLLl, Italia e Albania: relazioni finanziarie nel ventennio fascista, Bologna, il Mulino, 1986 [ed. inglese: ìtaly and Albania: fìnancial relations in thè Fascisi period, foreword by Michael Kaser, London, I.B.Tauris, 2006]. ' ODI, serie Vili, voi. II, doc. 300, Indilli a Suvich, Roma 9 ottobre 1935. Utile consultare FULVIO Suvicn, Memorie: 1932-1936, a cura di Gianfranco Bianchi, Milano, Razzoli, 1984. 106 vette nella sua veste di rappresentante presso la Società delle Nazioni le seguenti istruzioni: «Governo albanese, pur restando fedele al patto della SdN non può associarsi a dette sanzioni; anzitutto in ragione delle relazioni politiche risultanti dall'esistenza del Trattato di alleanza con l'Italia; in secondo luogo stante l'importanza capitale degli interessi economici e delle relazioni commerciali fra i due Paesi».1 Nonostante ciò il suo successore L. Kurti fu ulteriormente sollecitato dal rappresentante italiano a pronunciarsi pubblicamente nello stesso senso/' Più concretamente i due governi di Roma e Tirana trattarono a lungo nella seconda metà dell'anno sulla questione del petrolio da estrarre in Albania. Zog insistette perché l'Azienda Italiana Petroli Albania (AlPA) si impegnasse a estrarne in misura pari al modesto fabbisogno locale, mentre Roma chiese l'esportazione annua verso l'Italia di 50.000 tonnellate (ottenendone però per il momento solo 5.000 secondo un rapporto di Indetti del 5 dicembre 1935),' quantità oggi trascurabile ma ' ODI, Vili, II, doc. 306, latitili a Mussolini, Tirana 10 ottobre 1935. DDI, Vili, II, doc. 375, Rocco a Musso/ini, Ginevra 17 ottobre 19Ì5. Kurti spiegò che non aveva espresso nuovamente la posizione del proprio governo perché riteneva ormai già definitiva la dichiarazione del suo predecessore e perché di recente da parte ungherese e austriaca si erano pronunciati solo rappresentanti tecnici e non più politici. Un maggiore Kurti, volontario, cadde all'Amba Alagi durante la seconda guerra mondiale; si veda ÌM politica dell'Italia in Albania nelle testimoniante del Luogotenente del Re Francesco Jacomonì dì San Sanino, cit., p. 226. ' DDI, Vili, II, doc. 776, Sueich a bidelli, Rama 2 dicembre 1935 («Occorre inoltre ottenere in conformità articolo 5 convenzione permesso provvisorio spedizione a partire 10 dicembre SOinila tonnellate petrolio da ripartirsi primo semestre 1936»); doc. KOI), Indel/i a Mussolini, Tirana 5 dicembre 1935: «Governo albanese ha consentito per iscritto esportazione immediata primo contingente 5mila (dico cinquemila) tonnellate ed ha dato assicurazione verbale che permetterà contingenti ulteriori richiesti»; si veda pure doc. 758, Indelli a Mussolini, Tirana 30 novembre 1935. Sulla specifica questione della costruzione di una raffineria di petrolio in Albania, il sottosegretario agli Esteri aveva già chiarito 107 all'epoca di un certo interesse. A riguardo non solo del petrolio, ma di tutti gli altri argomenti in discussione tra i due governi, nel febbraio 1936 il sottosegretario agli Esteri Suvich diede notizia a Indelli di un lungo promemoria di fonte albanese chiedendo su di esso un parere; a Indelli parve che il promemoria servisse per rimettere in discussione punti già concordati dagli interlocutori albanesi (Dhimitér Berati e Zcf Sereqi) con lui stesso. Gli sembrava però che l'unico argomento sul quale fosse necessario ancora trattare concernesse il porto di Durazzo. Infine gli accordi H furono firmati il 19 marzo 1936 e la Camera albanese li approvò nella seduta del 28 marzo 1936. Solo in parte per suggerimento del rappresentante italiano a Tirana, Mussolini volle che si giungesse a un'intesa con Zog a tutti costi: progressivamente egli fece, infatti, molte concessioni rispetto ai suoi intendimenti iniziali. Nel febbraio 1936 si accontentava che «ci resti qualche coltello per il manico».' Si ricordi che negli anni immediatamente precedenti i rapporti tra Tirana e Roma si erano fatti tesi: Zog aveva allontanato i militari italiani, capeggiati dal generale Alberto Pnriam, rinunciando a costituire un vero esercito nazionale per ripiegare su una milizia irregolare, fedele e adatta alla guerrìglia in caso di invasione straniera. Mussolini per tutta risposta nel 1933 aveva sospeso il cospicuo prestito (cento milioni di franchi-oro) concesso nel 1931. che l'All'A avrebbe potuto costruirne una che producesse solo per il fabbisogno interno albanese (non di più), ma a putto che tutte le altre questioni petrolifere venissero risolte. L'All'A avrebbe potuto inoltre versare una consistente cauzione (mezzo milioni di franchi oro) a garanzia del proprio impegno. Si veda DDI, Vili, li, tloc. 735, Stiviti) a Indetti, Rotfta 27 novembre 1935. Sui limiti della scelta tutta politica di investire nello scarso petrolio albanese si veda MA'lTI-o Pl/,/1CIAl.!.( >, La «politica estera» dell'AGlP (1933-1940), Milano, Giuffrè, 1992. Si veda il testo in Trattati e convenzioni fra il Regno d'Italia c^li altri Stali, voJ. L, Roma, ministero Affari Esteri 1938, pp. 25-73. " DDI, Vili, III, doc. 217, Mussolini a bidelli, Roma 12febbraio 1936. 108 Era stato lo stesso Indelli a evidenziare che se motivi di ordine internazionale generale inducevano a concludere comunque gli accordi con l'Albania, allora molte questioni più specifiche o addirittura di dettaglio dovevano passare in secondo piano. " Fu così per la citata questione del porto di Durazzo, riguardo al quale l'accordo fu limitato a una durata di 15 anni, per volontà categorica del monarca albanese"; fu così per l'acccttazione da parte italiana ad accollarsi in modo indiretto gli interessi relativi alla Svii A (Società per lo sviluppo dell'economia albanese, costituita nel 1925), nonché per altre questioni. Su alcune Zog volle e ottenne che il proprio impegno personale e verbale supplisse all'assenza di chiare espressioni scritte e ufficiali. Ciò riguardò gli interessi delle scuole cattoliche'" finanziate dall'Italia (colpiti dalla costituzione di un sistema d'istruzione pubblico), la dimis'"DDI, Vili, III, doc. 199, bidelli a Musso/i ni, Tirana, Sfebbrato 1936. È questo il rapporto più lungo e dettagliato sulle trattative, oltre a essere il più esplicito riguardo alla necessità per il governo italiano di fare concessioni sugli specifici temi economici per mantenere il governo albanese dalla propria parte nel difficile gioco degli equilibri internazionali. " DDI, Vili, I I I , doc. 254, Indelli a Mussolini, Tirana 19febbraio 19)6. ~ Sui rapporti del regime albanese con il mondo cattolico e in particolare gli ordini religiosi dei francescani e dei gesuiti si veda RoitKRTO MOKO//O DKLLA ROCCA, ì^a^ione e religione in Albania, 1920-1944, Bologna, il Mulino, 1990. «Il primo istituto di istruzione superiore in Albania fu il Seminario interdiocesano di Scutari, nato nel 1864, per iniziativa dei gesuiti, sulle fondamenta di una struttura che i padri Giuseppe Guagliata, Vincenzo Basile e Salvatore Bartoli (primi rappresentanti della Compagnia di Gesù a mettere piede, nel 1840, sul suolo albanese) si erano vanamente impegnati a costruire, a dispetto delle continue minacce armate dei musulmani»; cfr. A'I'ANA.SK) SlSCA, La rivista Ijka e il suo contributo alla letteratura albanese, in Miscellanea di albanistica, Roma, Istituto di studi albanese 1997, p. 230, nota 2. L'associazione Iska e l'omonima rivista furono costituite a Scutari, rispettivamente nel 1928 e nel 1929 da ex alunni del Collegio Savoriano (fondato dal gesuita Luigi Mazza nel 1878, fu un importante centro di studi classici e filosofici). Lcka era un acronimo per LJdhje - LLdukate Kitliur'é- Argiim (legame o collaborazione, educazione, cultura, svago). 109 sione degli istruttori militari inglesi dalla gendarmeria e l'esclusività della nomina di organizzatori civili italiani. Zog giustificò la richiesta di non esplicitare una parte dell'intesa con la necessità di non causare reazioni interne al Paese tra quanti erano gelosi della sua indipendenza, ma forse pensava anche alle reazioni di altri Stati. Non casualmente l'ufficioso Politika di Belgrado criticò gli accordi, non diversamente da quanto fece il vice-ministro degli Esteri Vladimir Martinac con il rappresentante albanese in Jugoslavia, Rauf Fico (Fitso). Questi rispose alle osservazioni critiche ribadendo che l'Albania era un Paese sovrano, che il governo jugoslavo aveva verso la Francia (e riguardo alle sanzioni etiopiche anche verso l'Inghilterra) un atteggiamento ben più remissivo di quello che dimostrava il governo albanese verso l'Italia. Fico soggiunse che Belgrado non poteva protestare visto che non aveva onorato l'accordo commerciale firmato con Tirana, non acquistando le quote di merci in esso fissate.4 Anche lon Lugosianu, rappresentante romeno a Roma, chiese da parte sua quali impegni politici avesse assunto il governo albanese verso l'Italia.n «Re Zog mi ha detto che la cosa era per lui, personalmente, di grande importan/a, visto che gli occorreva aver modo di far valere una simile concessione da parte nostra su quella parte dell'opinione pubblica e dello stesso Ministero, che considera l'accordo coll'Italia, nell'attuale momento, non abbastanza proficuo per l'Albania». IBIDHM. 14 ODI, N'ITI, III, doc. 551, Viola a Mussolini, Belgrado 31 marzo 1936. Il sottosegretario agli Esteri Suvich, da parte sua, disse al ministro plenipotenziario iugoslavo Jovan Ducic che i recenti accordi conclusi con l'Albania «rappresentano una sistemazione di rapporti preesistenti i quali erano passati attraverso ad un periodo di crisi». Si veda in Ivi, doc. 552, Appunto dìSuvich, Roma 31 marzo 1936. "ODI, Vili, III, doc. 546, Appunto dì Suvich, Roma 30 marzo 1936. Naturalmente Suvich, rispondendo, ribadi la tesi di Roma che gli accordi erano «una sistemazione di rapporti già da tempo esistenti con l'Albania». 110 Trattandosi in buona misura di accordi di carattere economico fu naturale che il ministro dell'Economia Berati fosse protagonista delle trattative. Indelli si spinse a dire che Berati si aspettava per la sua opera un monumento, riconoscendo peraltro al suo quasi irriducibile interlocutore un'onestà non riscontrabile in altri uomini politici locali."' L'approvazione alla Camera, nella seduta del 28 marzo 1936, ebbe toni entusiastici e retorici. Il presidente del Consiglio Frashéri ricordò i meriti dell'Italia verso l'Albania partendo dall'epoca della Lega di Pnzrendi e passando per il sostegno dato (insieme con 1*AustriaUngheria) alla prima indipendenza albanese del 1912, ma citando in modo agrodolce la restituzione di Valona nel 1920 allo Stato albanese. Per rispondere a chi parlava di svendita della sovranità, affermò che gli accordi erano sostanzialmente un aiuto che l'Italia dava all'Albania perché alleata e perché interessata allo sviluppo di quest'ultima. Molti altri deputati intervennero a suffragare il punto di vista del Primo ministro (Berati ebbe il compito di illustrare i vari aspetti e capitoli degli accordi stessi): tra di essi fece spicco Hìqmet Delvina per il quale era «cosa grande» che il popolo italiano porgesse aiuto a quello albanese nel momento stesso in cui subiva le sanzioni da 52 Paesi ed era «assediato economicamente da tutte le parti». Insomma l'approvazione - che fu unanime — per il deputato beizi Alizoti (già ministro) doveva essere accompagnata da un indirizzo di ringraziamento all'Italia e al Duce (e i suoi colleghi applaudirono la proposta). Mancano dei commenti italiani a tale curioso aspetto della vicenda, come pure mancano informazio" ODI, Vili, III, doc. 199, Indetti a Mussolini, Tirana 8 febbraio 1936. Nello stesso rapporto Indelli osservava che Zog era «ben lieto che le concessioni a noi fatte lo siano da un Gabinetto a colore nazionalista». Ili ni riguardo a un'eventuale azione preventiva da parte italiana per sollecitare tale esito e simili dichiarazioni.1' Altra questione di politica internazionale di un certo rilievo riguardò la ventilata possibilità dell'adesione dell'Albania all'Intesa Balcanica costituita nel 1934. Roma non solo manifestò disappunto per tale possibilità, ma agì anche presso altre capitali balcaniche per scongiurare il pericolo di perdere parte della propria influenza su quello che sembrava essere una sorta di Stato satellite. In particolare costrinse i governanti romeni a negare che l'iniziativa di invitare Zog ad aderire all'Intesa Balcanica fosse di Bucarest, anzi essi attribuirono allo stesso re albanese dei sondaggi in tal senso. * È da ritenere che sapere ciò non abbia fatto molto piacere a Mussolini, sebbene la notizia vada verifìcata attraverso l'esame delle carte diplomatiche albanesi. Una interessante informazione giunse dal ministro italiano a Belgrado Viola: egli aveva avuto un colloquio con il suo collega albanese Fico, già titolare alcuni anni prima del dicastero degli Esteri, e si era sentito dire che «nell'eventualità di un rimaneggiamento dell'Intesa balcanica, sotto l'egida dell'Italia e con la probabile adesione della Bulgaria, l'Albania sarebbe stata invitata a parteciparvi». A Viola, che considerava infondata la premessa del suo interlocutore, Fico chiese di far conoscere a Mussolini questa aspirazione dell'Albania, anche se sottolineò di parlare a titolo personale. Per lui il ODI, Vili, III, doc. 559, La Ter^a a Mussolini, Tirana 1 aprile 1936. " DDI, Vili, I, doc. 608, Mussolini a Sola, Roma 25 luglio 1935; doc. 626, Sola a Musso/ini, Bucarest 27 luglio 1935; doc. 648, Sola a Mussolini, Bucarest 1 agosto 1935; doc. 662, Sola a Mussolini, Bucarest, 4 agosto 1935. Sostanzialmente il presidente del Consiglio Gheorghe Tatarescu assicurò Sola che il governo romeno non aveva agito per indurre il governo albanese all'adesione alla Piccola Intesa. Forse quelle assicurazioni non corrispondevano in pieno alla realtà, ma intanto rendevano più difficile un riavvicinamento di Tirana a quell'alleanza non molto amata da Mussolini. 17 112 Paese delle aquile «malgrado la sua modesta importanza, dovrebbe partecipare a un sistema balcanico di sicurezza a maggior titolo che la Romania, la quale è a nord del Danubio, la Grecia, che è prevalentemente mediterranea, e la stessa Turchia che è soltanto in minima parte europea». Il sopravvenire della crisi etiopica, con la posizione filo-italiana assunta da Tirana, tolse fiato tuttavia a ogni idea di avvicinamento dell'Albania all'Intesa Balcanica. Intanto la «sponda» romena per Zog non si era dimostrata affidabile, né potè riprendere la politica del pendolo tra Roma e Belgrado dopo che alla guida del governo iugoslavo ascese Stojadinovic, propenso a una politica di buon vicinato con l'Italia. D'altronde con la Jugoslavia restava aperta la questione del Kosovo per la quale Zog non esitò a chiedere il sostegno italiano per un aspetto molto particolare. Proseguiva infatti la tendenza degli albanesi musulmani a emigrare dalla provincia contesa e tale emigrazione doveva essere sostenuta economicamente da Tirana ed essere indirizzata (senza eccessiva pubblicità) appunto verso il territorio dello Stato albanese piuttosto che verso la Turchia o altri Paesi: a tale scopo il governo di Roma poteva garantire uno specifico contributo, peraltro reiterato, come rivelano alcuni dispacci di Indellir" " ODI, Vili, I, due. 143, Viola a Mussolini, Belgrado 4 maggio 1935. Fico parlava a titolo personale? Viola non lo credeva. :" ODI, Vili, I, doc. I l , Inde/fi a Musso/ini, Tirana 16 aprile 1935; doc. 110, bidelli a Mussolini, Tirana 30 aprile 1935; doc. 616, Indetti a Mussolini, Durazzo 26 luglio 1935. Zog chiese un milione di franchi oro e successivamente sollecitò un primo e poi un secondo anticipo di 200.000 franchi oro che, per Indclh, andavano prelevati dai fondi disponibili presso la Banca Nazionale d'Albania e consegnati direttamente al re per questione di riservatezza. Di più il rappresentante italiano riteneva che ciò poteva contribuire a «non provocare nell'attuale delicato momento impressioni e reazioni non desiderate». Informava inoltre che il re stava personalmente occupandosi della questione con l'organizzazione che 113 Il fenomeno dell'emigrazione dal Kosovo tuttavia incideva limitatamente sui rapporti numerici tra i due principali popoli che abitavano la regione: solo nel 1937 Vasa Cubrilovic invitò con un notissimo memorandum (isel/avanje amatila. L'espulsione degli albanesi) ad allontanare in massa gli albanesi dal Kosovo affermando che «il trasferimento di alcune centinaia di migliaia di albanesi non farà scoppiare una guerra mondiale»." Si è detto che oggetto di polemica tra Roma e Tirana erano state le dimissioni degli esperti militari italiani da parte del re Zog: essi avrebbero dovuto riordinare o, meglio, costituire un vero esercito, a scapito di una gendarmeria molto simile a una guardia personale. Dopo il tentativo insurrezionale di Pier da parte italiana si sottolineò che proprio elementi della gendarmeria si erano dimostrati infidi e ribelli, e dunque sarebbe stato molto meglio dare spazio a una forza armata regolare e disciplinata, non soggetta alle influenze dei singoli clan." Peraltro nell'insurrezione era morto l'ispettore dell'esercito albanese generale Ghilardi della Ghianda, ucciso da un sottotenente della gendarmeria Kraja (?) prima che la banda degli insorti (((in gran parte immigrati kossovari») prendesse la strada di Lushnjè dove era stata dispersa dal locale presidio. Un battaglione del Mati, aveva istituito allo scopo. Quell'aiuto - affermava Zog - sarebbe stato da lui considerato «di valore morale superiore a qualunque altro possa venirgli concesso». In seguito la propaganda italiana successiva all'occupazione del 1939 insistette sul fatto che il sostegno finanziario italiano all'Albania era utile al Paese ma «giovava immensamente anche al suo re» e perciò «i fati traevano e portavano all'eliminazione di questo re dissipatore ed infido e all'instaurazione di rapporti più intimi e definitivi tra l'Albania e l'Italia con l'unione dei due Regni»; cfr. GASPAKI'. AMIÌROSINI, L'Albania nella comunità imperiale di Roma, Roma, Quaderni dell'Istituto nazionale di cultura fascista, serie decima, V, Roma 1940, p. 53. Sl-'.KGK MlVl'AIS, liistotre des Albunais des lllyriens a l'indépendance du Pans, Fayard 2006, p. 278. " ODI, Vili, I, doc. 756, Mussolini a indetti, Roma 17 agosto 1935. 114 subito trasferito, aveva poi assicurato il controllo della zona. Questo almeno il breve quadro fornito da Indelli." Se pure a Roma si poteva dubitare dell'affidabilità di Zog (tale convinzione soprattutto nella mente di Ciano concorse all'aggressione del 1939) Indelli insisteva nel 1935 che il re costituiva la scelta migliore nel contesto albanese per il governo italiano. L'alternativa sembravano essere l'anarchia e l'instabilità, né si profilava un'altra figura politica in grado non tanto di sostituirlo quanto di garantire gli interessi italiani. All'inizio del 1936 questa opinione era confermata dai consigli inviati al capitano dei Mirditi Gion Marka Gioni. Il figlio di questi aveva incontrato il responsabile dell'Ufficio Albania del ministero Affari Esteri, Iginio Ugo Faralli, e gli aveva parlato della preparazione in atto di un nuovo moto insurrezionale che interessava persino la terra natale di Zog, il Mati. Il notabile cattolico chiedeva quale atteggiamento dovesse prendere in caso di insurrezione. Gli fu risposto che avrebbe dovuto sostenere il re la cui posizione era da giudicarsi più solida di quanto non si credesse. Il ventilato moto aveva il sostegno della Jugoslavia e sarebbe stato capeggiato da Muharem Bairaktari — ex aiutante di campo del re — e Gani bey Kryeziu.~ Faralli notava, però, che le informazioni del giovane albanese non coincidevano con le più rassicuranti espressioni che suo padre aveva usato con il console generale italiano a Scutari Salvatore Meloni."1 Indelli dava un'interpretazione più politica e generale di queODI, VITI, I, doc. 737, Indetti a Mussolini, dirazzo 15 agosto 1935. """ Sull'assassinio a Praga del fratello di questi (e cognato di /.og) Cena bey si veda M.\R(,O DCXJO, Aliino 1927: Propaganda, spionaggio e sovversione nella partita italo-jugoslava per l'Albania, in Studi balcanici, a cura di F. Guida e L. Yalmarin, Roma, Canicci 1989, pp. 205-238, m particolare 231 -236. * DDI, Vili, III, doc. 95, Suvich a Indelli, Roma 21 gennaio 1936, allegato (Appunto del Capo dell'Ufficio Albania Faralli a Suvich, f 1 gennaio 1935). 21 115 gli allarmi. In Albania, a suo dire, esisteva un diffuso malcontento e dunque il contesto adatto per un tentativo di rovesciamento del regime zoghista, ma non sembrava essere già pronto un piano d'azione. In particolare questa — per avere successo avrebbe dovuto contare sul sostegno jugoslavo. L'aiutante di campo di Zog, colonnello Sereqi, gli aveva detto che nuovi accordi con l'Italia, attraverso i quali si sarebbe ripristinato il legame dell'Albania con essa qual era fino allo scorcio degli anni venti, avrebbero potuto dare il segnale dell'azione contro il monarca."' Questo forse giustificava le tergiversazioni di Zog nel concludere Ì nuovi accordi con il governo italiano, da tempo in discussione. Non per caso le clausole militari in essi contenute dovevano restare segrete. Indelli notava che, se da una parte Zog si era schierato con i pochi governi contrari alle sanzioni per la vicenda etiopica, dall'altra sembrava consentire una libertà di critica verso il precedente esecutivo come contro quello in carica, che certo non favoriva un consolidamento di esso. Peraltro gli uomini giunti da poco al potere non sembravano godere delle opportune influenze e clientele per tenere in pugno la situazione." La firma di nuovi accordi da parte dei governi albanese e italiano non chiarì fino in fondo la situazione. Gli accordi «ponevano fine al periodo di aperto dissidio e di reciproche puntu'' Dopo l'occupazione italiana dell'Albania e l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale, Sereqi con il grado di generale chiese di organizzare un corpo di volontari albanesi «da inviare preferibilmente in Africa in zone abitate da musulmani»; cfr. l^a politica dell'Italia in Albania nelle testimoniante ilei I Magatene lite del Re "Francesco ]ac(tmoni di San Stivino, cit., pp. 226-227. Sereqi peraltro in anni più recenti fornì collaborazione allo storico Pietro Pastorelli nella preparazione del citato volume Italia e Albania: 1924-1927, Origini diplomatiche del Tra/tato dì Roma del22 novembre 1927, 27 DDI, Vili, I I I , doc. 125, bidelli a Mussali ni, Tirana 27 gennaio 1937. 116 re di spillo fra i due governi. Non ristabilivano però fra i due Paesi quell'atmosfera di cordialità che [...] appariva indispensabile se si voleva tornare a una politica di collaborazione che avesse probabilità di durare».' Re Zog continuava ad avere seri problemi nel mantenersi al potere, ma soprattutto nel condurre una politica veramente riformistica per favorire una reale modernizzazione del Paese. Il suo rapporto con i governanti italiani restò ambìguo: se egli era un satellite dell'Italia fascista, lo era per necessità e per l'assenza di serie alternative politiche internazionali, a partire da quella assolutamente insoddisfacente, anzi pericolosa, costituita dalla Jugoslavia. L'affidabilità del monarca albanese fu considerata scarsa negli anni seguenti soprattutto da Ciano e alto invece fu ritenuto il prezzo per garantirsi la sua lealtà. Pertanto negli anni in cui a Tirana si insediò un nuovo rappresentante italiano, Francesco Jacomoni ~' le relazioni italoalbanesi non migliorarono, anzi entrarono in una fase di stagnazione, sebbene non venissero alla luce seri contrasti. Si sa che la decisione di occupare l'Albania da parte italiana nell'aprile 1939 fu dovuta in buona misura a contingenze internazionali, cioè alla risposta che Mussolini doveva dare al nuovo fait accomplì di Hitler, l'occupazione della Boemia-Moravia. Tuttavia l'invasione italiana in Albania del 1939 aveva radici e premesse nelle incertezze e nei dubbi presenti nelle relazioni tra Tirana e Roma, evidenti anche in una fase di intesa quale fu il 1935-36. La politica dell'Italia in Albania nelle testimoniante del Luogotenente del Re Francesco jacomonì di San Savi no, cit., p. 61. Questi nel presentare al re le sue credenziali lo invitò, a suo dire, ad attuare riforme sociali che «facessero dell'Albania uno Stato moderno»; IB1DKM. 117 118 EUGENIO BUCCIOL ' II perché di una mostra A volte una ricerca produce nuove motivazioni, chiavi di lettura che si aggiungono a quella iniziale. È successo anche alla mostra «Albania, fronte dimenticato della grande guerra», nata dal proposito di ricostruire le circostanze dell'affondamento dell'incrociatore ausiliario «Principe Umberto», silurato da un sommergibile austriaco nel mare di Valona. La nave trascinò nei gorghi più di milleottocento fanti, gran parte del 55° reggimento formato in prevalenza da trevigiani. Erano stati in Albania solo pochi mesi, loro sul lato sinistro e gli austriaci su quello destro della Voiussa a difendersi di fatto, gli uni e gli altri dalla malaria che imperversava imparziale. D'improvviso furono richiamati sul fronte italiano, da dove provenivano, per contrastare l'offensiva austriaca sugli altipiani. Non andarono oltre l'isolotto di Saseno. Per giorni e giorni la risacca seguitò a rigettare corpi sulla costa, come raccontarono poi i commilitoni di Valona accorsi a raccoglierli. I loro nomi figurano ora sulle lapidi commemorative dei paesi di origine, confusi con altri nomi di caduti, senza l'indicazione del fronte. Quelli della baia di Valona si deducono dalla data dell'inabissamento: 6 giugno 1916. Sono finiti risucIdeatore e curatore della mostra "Albania, fronte dimenticato della grande guerra", esposta nelle sale del Castello a Mezzojuso nel contesto del convegno storico. 119 chiati nella generalità della grande guerra che, secondo una diffusa convinzione, fu «grande» solo perché combattuta sull'Isonzo, sul Piave e sui monti. Nella elaborazione storica del primo conflitto mondiale l'Albania resta spesso «terra incognita». Non lo fu certamente per i fanti del 55° e doveva pur avere un certo interesse strategico se gli alti comandi mandarono a morire laggiù quegli uomini. Indubbia era comunque l'importanza politica dell'Albania per l'Italia che fin dall'unità nazionale prese parte all'antagonismo delle grandi potenze usando, come quelle, la diplomazia, i commerci e la religione per trarre a sé quell'area che sfuggiva alla sovranità ottomana. Per buona sorte del 55°, una volta attestato sulla Voiussa per sbarrare il passo agli austriaci, questi fecero capire di essere soddisfatti dei due terzi d'Albania già conquistati. Ma l'interesse non può limitarsi al breve impiego del reggimento su quel fronte e al suo tragico epilogo. La voglia di sapere si estende alla realtà complessiva della regione. Com'era nel 1916 quel particolare, anomalo angolo balcanico, né slavo né turco, conteso fra i piccoli vicini e fra le grandi nazioni? Per saperlo è opportuno consultare all'Archivio di guerra di Vienna i rapporti dell'amministrazione militare austriaca in Albania e il relativo patrimonio fotografico. È una analisi accurata, diffusa, quasi un inventario di tutti gli aspetti ambientali, anche umani, che fa capire come l'Austria vedesse realizzarsi il sogno, coltivato ancor prima della guerra, di annettere quel territorio per impedire all'odiata Serbia un accesso all'Adriatico, segnatamente a Durazzo. Proprio e solo per vanificare l'aspirazione serba l'Austria aveva caldeggiato l'indipendenza albanese, proclamata a Valona nel novembre 1912. Per mantenere l'equilibrio balcanico fu riconosciuta agli albanesi quell'unità nazionale che le rivalità tribali avevano negato al 120 grande Scanderbeg nel Quattrocento. Fu comunque una conquista effimera. Il conflitto mondiale esploso due anni dopo e che avrebbe ridisegnato, tra l'altro, l'equilibrio nei Balcani, risvegliò nelle grandi potenze la voglia di dominio sull'Albania e gli appetiti, già stuzzicati nelle guerre balcaniche, di montenegrini, serbi e greci. Nell'ottobre 1914 l'Italia, non ancora in guerra, occupava l'isolotto di Saseno e due mesi dopo Valona. Non si andava tanto per il sottile: nel gennaio 1916, incuranti delle proteste della neutrale Grecia, i francesi si impossessavano di Corfù. Le invasioni di greci, bulgari, italiani e austriaci lacerarono presto l'appena sorta Albania. Che l'Austria e l'Italia mirassero a fissarsi dov'erano, lo provano gli arruolamenti avviati sul posto per formare delle truppe ausiliarie. Gli imperiali costituirono nel 1916 una milizia di otto battaglioni, ciascuno di ottocento uomini, e l'anno dopo due batterie di artiglieria da montagna e una compagnia di artiglieria da fortezza. Nel dicembre 1917, per combattere il banditismo, crearono una gendarmeria mobile. Gli italiani risposero mettendo insieme due battaglioni di truppe locali. Fu tutto inutile, per gli austriaci perdenti e per gli italiani vincitori. Tornata la pace, l'indipendenza fu confermata all'Albania entro i confini del 1913, con lievi modifiche. Tutto questo si dipana dalla tragedia del 55° senza volerla ridurre a un episodio isolato, ma inserendola in quel momento della storia albanese di cui è parte. 121 122 I QUADERNI DI BIBLOS COLLANA N. TITOLO AUTORE Società e istitu/ioni l/l 1* Manali (a cura di) II sasso di N. Barbato Letteratura 2/1 M. Mandala Le poesie inedite di Carlo Dolce Storia 3/1 M. Mandala Sviluppi demografici a Piana degli Albanesi Letteratura 4/2 A.N. Bcrisha Tre saggi sull'opera di Cì. Schirò Teatro 5/1 6/2 G. Schifò Di Maggio I la molti fiori la ginestra 1*. Manali (a cura ili) Le scuole dell'obbligo per la salvaguardia e la promo/ione della cultura arbcrcshc 7/3 8/2 A.N. Berischa Dove antico dolore (i. Schifò Cenni sulla origine delle colonie albanesi di Sicilia Società e Istitu/ioni 9/3 (ì. Damiani II diritto delle minoranze ( iuidc e manuali 10/1 P. Manali (a cura di) Piana Albanesi - I torà e Arbereshevet Storin Guide e manuali P. Manali (a cura di) P. Manali (a cura di) Cì. Costantini, Studi storici G. Schirò dì Modica Udhetimi paralel (i. Schifò di Modica Vjcrshe Sti >ria 11/3 12/2 13/3 14/4 15/4 C ì. ( ^asarrubca La strage di Portclla delle Canestre - Documenti I I Letteratura 16/5 A.N. Bcrisha Su due opere di ( ì in ilanio De Rada Storia 17/5 tì. Lo 1 afono ('aro Renato Società e Istitu/ioni 18/4 Storia 18/6 ÌJetnomosaico europeo: diritto, lingua e identità minoriiarin, Palermo 201)6 M. Mandala - P Ortaggio P. Ci. Gu//etta, L"0ssenvin^a (a cura di) del nlo presso gli albanesi d'Italia Pcrcìié ffniino ti ir e ,/ Miti hi Mesa Società e- Istitu/ioni Letteratura Storia Guide e- manuali letteratura Skandt-rbeg 3000 H Cianci Guide e manuali 19/4 G. Gerbillo Dizionario Storia 20/7 G. Casarrubca M.j. Cercghino L'SA, eversione nera e guerra al comunismo in Italia (1945-47) Storia 21/8 P. Manali (a cura di) C!. D'Angelo- Vita di P. (!. (ìuxxetta 123 COLLANA N. AUTORE (!. Schifò Hi Maggio Teatro Società e istitu/ioni 22/2 23/5 Teatro Teatro Teatro Teatro Storia Storia 24/3 25/4 26/5 27/6 28/9 29/10 Società e Istìtu/ioni Teatro Storia 30/7 31/7 32/11 I1'. I .concini (a cura di) 124 I1'. Cianci (•. Schiro DÌ Maggio Cì. Schiro Di Maggio Cì. Schirò Di Maggio Margherita Sdlippa (.ìmseppe l.o [acono Matteo Mandala (a cura di) H Manali (a cura di) (I. Schiro Di Maggio TITOLO Shiinii; vi/ita - Molte visite l,a tutela delle minoraii/c etmma/ionali e linguistiche attraverso i meccanismi dulia rappresentaii/a (tra questioni teonche e di diritto) Batracomiomachia Paja Tri Ycpra te shkurfra Kesulkutjja 1, 'Italia in Albania P. ( i. ( ìu/xetta e la cultura dui SUO tempo (in ™/™ di \tamfa) Miscellanea arbercshc Mosto - M u s h d 1860 Italia, Albania, Arbereshe fra le due guerre mondiali Finito di stampare nel mese di marzo 2013 coi tipi della Pitti Grafica sas con sede in Palermo Via Salvatore Pelligra n. 6 Tei. 091.481521 -091.6614212 e-mail: pittiedi/ioni(«)lihcro.it www.pittiedizioni.it