Capitolo 2 I Centri Oracolari I centri oracolari8 erano luoghi sacri in

Capitolo 2
I Centri Oracolari
I centri oracolari8 erano luoghi sacri in cui si praticavano riti che avvicinavano
gli uomini ai loro Dei. La loro origine è antichissima, risale alle prime civiltà,
come quella sumerica ed egiziana. Si chiamano oracolari perché, spesso, i
sacerdoti davano anche dei responsi, gli oracoli. Si credeva che gli oracoli fossero
inviati dal dio cui il centro era dedicato. I più noti centri oracolari sono quelli
dell’antica Grecia e il più conosciuto tra questi è quello di Delfi.
Il centro oracolare aveva come simbolo principale una pietra, di forma ovale,
quasi-sferica o conica, definita anche pietra-ombelico (omphalos). Per questo
motivo questi centri si definivano ombelico del mondo a volte in contrapposizione
con altri della stessa nazione. Il dio di Delfi era Apollo ed era rappresentato con
una pietra ovale. Delfi diventò l’ombelico del mondo greco, soppiantando il più
antico centro di Dodona, un tempo unico centro oracolare e indiscusso ombelico
greco, come riporta Erodoto9 nelle sue Storie (II, 52). A Delfi, fin dall’VIII secolo
a.C., affluivano genti da tutti i paesi del Mediterraneo, compresa l’Etruria, e la
località diventò il centro di quel mondo. Anche in altre civiltà come quella egizia,
babilonese o ittita c’era la stessa usanza da cui, verosimilmente, era derivata quella
greca. A Tebe, in Egitto, una pietra ovale rappresentava il Dio Ammon. Nel
Vecchio Regno il Dio Sokar era rappresentato sempre con una pietra ovale, su cui
erano appollaiati due piccioni, come riprodotto nella Tomba di Tumosi III (Fig. 4).
Nella lunghissima storia dell’Egitto gli ombelichi del paese sono stati diversi
come Eliopoli, Karnack, Tebe e spesso in contrasto tra loro per questioni di potere.
Hebron e Gerusalemme lo sono stati per gli Ebrei. Altri ombelichi li troviamo
presso altre civiltà in altri continenti, per esempio Cuzco (Perù), isola di Pasqua
(Oceano Pacifico), Angkor (Cambogia), e chissà quanti altri ce ne sono che
rimangono a noi ancora sconosciuti. Sembra che tali ombelichi avessero anche un
importante significato geodetico, cioè servissero a marcare punti della Terra con
conosciuta latitudine e longitudine. Tali luoghi erano spesso posti su montagne con
vette gemellari facilmente individuabili. Il monte Parnasso a Delfi è un monte
gemellare, il Monte Ararat (sito oracolare di Metsamor) in Armenia è gemellare,
ecc. Il centro oracolare più importante, definito appunto ombelico, aveva attorno a
sè altri centri a distanze ben definite ed è molto probabile che fossero in
comunicazione tra loro.
Sopra le pietre-ombelico, o nelle vicinanze, spesso venivano incisi due volatili,
posti uno di fronte all’altro, molto probabilmente colombe. Una testimonianza per
Delfi la troviamo in antichi bassorilievi conservati al Museo di Londra (Fig. 5).
Queste colombe erano con molta probabilità piccioni o colombi viaggiatori che
servivano per inviare i messaggi ai vari centri. I due colombi stavano a indicare
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ROBERT TEMPLE, 2001
ERODOTO, Storie
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che per ogni colombo che arrivava ve ne era un altro che partiva con la risposta o
andava in un altro centro oracolare con lo stesso messaggio.
Fig. 5 - Disegno che riproduce il rilievo votivo in marmo trovato a Aigina dove si vede la
Pietra Ovale con sopra due colombi (da WILHELM HEINRICH ROSCHER, Omphalos, Lipsia
1913. In questo libro vi sono rappresentate anche diverse monete, provenienti da Mileto e sue
colonie, con figure di omphalos con serpente attorcigliato)
Tale affermazione è confermata da tradizioni greche riportate anche da Erodoto
dove ritroviamo colombe che volano dai centri oracolari di Karnack o Tebe a
quelli greci di Delfi o Dodona.
Riporta infatti Erodoto9 (II, 54):
Le profetesse di Dodona dicono che due colombe nere volate via da Tebe d’Egitto
sarebbero giunte l’una in Libia l’altra presso di loro. Questa posatasi su una quercia
ordinò con voce umana che doveva sorgere lì un oracolo di Zeus, ed essi, i Dodonei,
ritennero che tale ordine provenisse da un Dio ed agirono di conseguenza. Dicono poi
che la colomba andata in Libia abbia ordinato ai Libici di fondare l’oracolo di Ammone,
e anch’esso è di Zeus. Dunque le sacerdotesse, delle quali la più anziana ha nome
Promeneia, quella che viene dopo Timarete e la più giovane Nicandre, mi narrarono
questo e con esse concordavano anche gli altri Dodonei addetti al tempio [..]
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Fig. 6 - Riproduzione recente della pietra ovale a Delfi che serve a indicare dove era
posta quella antica andata perduta ma riprodotta su diversi rilievi in marmo. Una copia
del periodo romano è conservata al Museo di Delfi.
Ovviamente neppure Erodoto riteneva che fossero piccioni viaggiatori perché se
lo avesse saputo lui, lo avrebbe saputo chiunque, e questo mezzo di comunicazione
segreto e potente avrebbe perso la sua efficacia: non avrebbe dato ai sacerdoti
oracolari, allora e per i successivi secoli, il potere della presunta preveggenza.
A conferma di queste deduzioni ricordiamo che Erodoto (II, 57) dice,
successivamente, che tali colombe potrebbero essere donne straniere e che il loro
strano linguaggio poteva essere confuso con quello delle colombe.
Vale la pena ricordare, poi, che ancora oggi in alcuni paesi è vietato ai privati
usare piccioni viaggiatori e fino a qualche decennio fa il loro uso era considerato
un segreto militare.
Ad ogni centro oracolare era anche associato un codice arboreo: Dodona aveva
la quercia, Delfi aveva l’alloro, Delo la palma, Hebron l’acacia, Sidone il cedro,
ecc.. Come riporta Temple10, la pianta serviva come codice per individuare il
centro oracolare. Era un codice postale che presumibilmente veniva apposto nei
messaggi inviati con i colombi viaggiatori per indicarne la provenienza. Si può
quindi immaginare una rete di centri che comunicavano tra loro e il mezzo di
comunicazione – i piccioni - era noto solo ai sacerdoti e ai loro adepti. I piccioni o
colombi viaggiatori possono fare cento chilometri in un’ora e permanere in volo
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ROBERT TEMPLE, 2001
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senza posarsi anche per dieci ore consecutive. In questo modo le notizie potevano
oltrepassare i mari in poco tempo giungendo a destinazione molto prima, a volte
anche mesi, di qualsiasi messaggero terrestre, suffragando così la presunta
preveggenza degli oracoli.
Dodona, chiamata ora Dodoni, è situata nel nord ovest della Grecia in una
regione montuosa dell’Epiro. Era il centro oracolare più antico dedicato al dio
Zeus e alla dea Madre, che veniva chiamata Dione. Vedi Fig. 3.
Come abbiamo già ricordato il codice arboreo di Dodone era la quercia e le
sacerdotesse dicevano che i loro oracoli erano captati dal brusio delle foglie della
sacra quercia. Nel terzo secolo a.C., dopo una invasione, il centro fu distrutto ma
subito dopo fu ricostruito dagli epiroti. Durante la conquista romana nel 167 a.C.
fu di nuovo distrutto ma l’imperatore Augusto nel 31 a.C. lo ricostruì più ampio di
prima ed il centro continuò ad essere meta di pellegrini fino all’avvento del
cristianesimo che nel 391 lo distrusse tagliando perfino la millenaria quercia sacra
che però è ricresciuta ed ora ombreggia di nuovo sulle rovine del tempio.
Simboli usati per individuare un Centro Oracolare
I simboli più usati per identificare un centro oracolare erano la pietra ovale, i
due piccioni posti uno di fronte all’altro ed il codice arboreo.
Un altro simbolo che ci permette di individuare un centro sacro è un serpente
attorcigliato attorno alla pietra. Il serpente era il guardiano del centro sacro e
custode dei tesori, che certamente dovevano essere cospicui, dato che a questi
luoghi affluivano genti anche di altri paesi che portavano al tempio doni molto
preziosi.
Venivano ad interrogare l’oracolo non solo privati cittadini, ma anche città
intere che chiedevano pareri su problemi di varia natura come, per esempio,
indicazioni per la fondazione di una colonia. I doni erano cospicui al punto tale che
molte città offerenti avevano nel centro oracolare loro propri tempietti, definiti
Thesaurus, dove custodire i doni più preziosi. La città etrusca di Spina, per citare
un caso particolare, aveva a Delfi il proprio Thesaurus i cui resti permangono
ancora. Si dice che Nerone, per ricostruire Roma, abbia usato il tesoro depredato a
Delfi: un tesoro che doveva essere enorme nonostante fosse già stato in parte
sottratto da altri imperatori.
L’immagine del serpente, o le leggende ad esso correlate, aveva lo scopo di
impaurire ladri solitari che volessero tentare di derubare il tesoro del tempio.
Quando il centro oracolare era anche centro geodetico della nazione, veniva
definito ombelico, ed era situato al centro di una serie di altri centri oracolari che
comunicavano tra loro con i piccioni. Un tale centro ombelico aveva come simbolo
una croce inscritta in un cerchio che poteva essere incisa sulla pietra o posta nelle
vicinanze del tempio.
La croce equilatera inscritta nel cerchio si trova per esempio su alcune monete
di Delfi.
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Quella sotto riportata è una moneta del 480 a.C., riprodotta anche recentemente
in J. Boardman11. Su una faccia vi è la croce e all’interno, in ciascuno dei quattro
riquadri, un delfino. Sull’altra faccia ci sono due teste di ariete e due delfini. Nel
testo di Boardman viene dato un significato con cui non mi sento di concordare: i
due arieti e i delfini sarebbero il bottino di guerra preso ai persiani, la parte con la
croce indicherebbe la divisione a cassettoni del soffitto del tempio di Apollo!
Le due teste di ariete le troviamo spesso riprodotte sulle tombe o nelle steli
etrusche come pure i delfini e vedremo quale sarà il loro più probabile significato.
Alcune versioni sostengono che la croce inscritta in un cerchio raffigurerebbe la
ruota di un carro; altrove la figura viene interpretata come raffigurazione della
divisione dello spazio in quattro parti!
Fig. 7 - Moneta di Delfi del 480 a.C. riportata in JOANNES N.
SVORONOS, Νοµισµατικη των ∆ελφων, «Bulletin de Correspondance
Hellénique», 20 (1896), pp. 40-46.
Riconoscere una ruota – come fanno ancora molti testi - nella croce inscritta nel
cerchio, comune in molti reperti villanoviani, svuota la raffigurazione di ogni
valore simbolico. Sorge poi spontanea la domanda: perchè su una stele funeraria
villanoviana dovrebbe stare nel centro, in alto, solitaria, una ruota? Molto più
logico pensare che per i villanoviani, come per i Sumeri12 loro antenati, fosse un
simbolo legato alla divinità.
La croce inscritta nel cerchio per gli antichi Sumeri e per gli egiziani
rappresentava il dio Sole e nell’antica lingua sumerica il sole stesso era
rappresentato in identico modo. Analoga idea dovevano avere anche i greci. La
croce in un reperto di Delfi schiaccia un serpente. Non è dunque difficile capire
che rappresenta il dio Apollo seguendo racconti mitologici in cui Apollo uccide il
serpente Pitone, guardiano del centro oracolare di Delfi. Come, dunque, poter
dedurre una semplice rappresentazione di una ruota o una banale divisione dello
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JOHN BOARDMAN (a cura di), Storia Oxford dell’arte classica, Roma-Bari 2003, pag 69
GIOVANNI PETTINATO, I Sumeri, Milano 2005
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spazio in quattro parti? Come altrimenti si potrebbe interpretare la presenza del
serpente?
Fig. 8 - Reperto ripreso presso le rovine della fonte di Castalia a Delfi. Notare,
nel cerchietto, il serpente. Qui la croce indica probabilmente il Dio Apollo.
Foto di Stelio Calabresi, per gentile concessione.
Concludiamo il capitolo con alcune osservazioni:
La croce inscritta nel cerchio indicava un centro oracolare e poteva non esserci
se il centro oracolare non era anche centro geodetico, cioè ombelico.
L’unico simbolo diverso per ogni centro oracolare era il codice arboreo, che
rappresentava una pianta del luogo (o il suo fiore) e serviva per poter identificare i
mittenti dei messaggi arrivati mediante piccioni o colombi viaggiatori.
Il sistema di comunicazione era molto semplice, era comune a centri oracolari
importanti e li distingueva da altri centri sacri meno importanti e non oracolari. Il
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sistema di comunicazione, che usava piccioni viaggiatori13, era uno strumento
segreto che permetteva di sapere prima di tutti gli altri gli avvenimenti che
potevano accadere in luoghi molto distanti. Si faceva credere di avere la capacità
di colloquiare con la divinità che faceva prevedere il futuro. Bastava un paio di tali
presunte preveggenze per diventare famosi e quindi enormemente potenti e ricchi:
potenti, perché in tal modo si poteva influire anche sulle decisioni di re ed
imperatori. Fortunatamente i sacerdoti di quei luoghi erano allora scelti tra le
persone più sagge della nazione per cui i loro consigli erano certamente molto
oculati. Ricordiamo che Plutarco, filosofo e scrittore greco del I secolo d.C.,
divenne uno degli ultimi sacerdoti di Delfi.
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Il piccione, o colombo, viaggiatore può volare alla velocità di 50-100 Km all'ora, ed in un giorno
può coprire distanze anche di 1000 chilometri e con una capacità di orientamento eccezionale nel
ritrovare il suo luogo di origine. Ovviamente ogni centro doveva avere diversi piccioni provenienti
dai diversi centri e ciascuno, quando veniva lasciato libero, tornava al suo luogo di origine portando
l'eventuale messaggio. Non poteva certo andare in altri luoghi. Questa sua capacità di ritornare al
luogo di origine era però limitata nel tempo. Dopo circa un anno la perdeva e quindi doveva essere
sostituito da un nuovo piccione proveniente dalla stessa zona. Probabilmente gli addetti al trasporto
di questi nuovi piccioni si camuffavano da pellegrini che portavano doni ai diversi centri oracolari
aggregandosi a carovane che periodicamente raggiungevano i vari luoghi sacri sia in Asia Minore che
in Europa probabilmente seguendo in parte i tracciati dei vari fiumi per orientarsi. Il fiume più
importante era il Danubio che dalla sua foce, nel Mar Nero, si poteva raggiungere il centro
dell’Europa. In Italia il fiume più importante per questo scopo era il Po con i suoi affluenti. Seguendo
questi tracciati i pellegrini, gli emigranti, i commercianti come pure i portatori di piccioni potevano
raggiungere i luoghi principali dell’Etruria padana. Seguendo il tracciato del nostro fiume Reno, che
allora era affluente del Po e si chiamava Spinete, si poteva raggiungere facilmente Montovolo che era
individuabile perché situato in corrispondenza della confluenza con il fiume Limentra (ed è inoltre un
monte gemellare isolato dagli altri monti come si vede dalla Fig. 10).
Una conferma del fatto che i Sumeri, oltre quattro mila anni fa, usavano già colombi come
messaggeri mi venne da una conversazione con il dottor Romano Romoli riguardo le etimologie
scoperte dal filologo prof. GIOVANNI SEMERANO. La sua monumentale opera spiega, con i suoi
dizionari etimologici (Le origini della Cultura Europea , Leo Olschki editore 1984-94), che lingue
come il Greco, il Latino, il Basco, l'Etrusco, mai decifrato, e anche il Sancrito sono figlie di quella
stessa matrice mediorientale, il sumero-accadico. Lo stesso vale per le nostre lingue europee
moderne, come inglese, tedesco, ecc. Per esempio Semerano scoprì che la parola Europa deriva da
Erebu, che in accadico significava terra del tramonto, che Asia deriva da Asu, levarsi del Sole, che
Italia deriva da Atalija, oscurarsi del Sole e che Roma deriva da Ramu, gettare le fondamenta.
Romano, che aveva già letto le mie ricerche, mi fece notare, pieno di felicità, l'etimologia di un'altra
parola che per le mie ricerche ha avuto un ruolo fondamentale, colomba (latino columbus) e che
deriva dall'accadico kallabu che significava messaggero. Ora in questa parola accadica kallabu
ritrovavo un'altra conferma che si unisce a tutte le altre prove e che ci fa capire ulteriormente quanto
già allora fosse importante usare i colombi o piccioni viaggiatori come portatori di messaggi. Inoltre
questo riscontro tra simboli e linguaggio primario conferma che il simbolismo è il punto di partenza
che porta alle prime forme di linguaggio e che scoperto il primario significato di vari simboli, che poi
nei secoli e nei millenni successivi si sono modificati spesso perdendo il loro significato originario,
possiamo ricostruire le nostre origini. Nel nostro caso le nostre lontane origini le troviamo in oriente,
nella lontana Mesopotamia dei Sumeri, come del resto doveva essere ovvio, ma per ragioni
ideologiche e di pretesa superiorità culturale l'Europa con molti dei suoi storici l'aveva finora esclusa.
Vedere http://www2.fci.unibo.it/~baccolin/montovolo-retreats.html
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Fig. 9 - Il centro sacro di Delfi: resti dell’anfiteatro e del tempio di Apollo.
Fig. 10 - Il massiccio del Montovolo, a sinistra, con accanto la cima più alta del
Vigese e il picco di Vigo.
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