DALLE BEATITUDINI ALLA PASQUA ESERCIZI SPIRITUALI CON P. BARBAN Al Centro Garda Family House di Castelletto di Brenzone sul Garda (Verona), Padre Barban Alessandro, superiore generale dei Padri Camaldolesi, ci sviscera passo per passo la tematica “Matteo: dalle Beatitudini alla Pasqua”. Da domenica 27 novembre (I di Avvento) a venerdì 2 dicembre, non ci stanchiamo di ascoltare le interpretazioni che ci offre, frutto di un’attenta lectio divina che, come monaco, egli approfondisce, “rumina” per nutrire, insieme con se stesso, le persone che incontra nella sua predicazione. Impariamo che nessuno chiama più “Vangelo dell’Infanzia” quello di Matteo perché recenti studi hanno confermato che è una lettura teologica della vita di Cristo, alla luce dell’Antico Testamento e della Risurrezione. Nella genealogia di Gesù sono inserite cinque donne che interrompono la consueta modalità ebraica di considerare la dinastia in linea maschile. Proprio queste donne interrompono la regolarità della storia e sono determinanti, così come lo saranno le donne che andranno al sepolcro e lo troveranno vuoto. Fin dall’inizio, l’ottica del Vangelo di Matteo è comprensibile solo collegandola alla fine. Maria, Madre di Gesù, è il compimento delle donne irregolari con la quali Dio comincia una storia nuova, ricolma di pace e di benedizione per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Il suo sì e quello di Giuseppe (confermato nel sogno) permettono di realizzare il disegno di salvezza che il Padre ha per l’umanità. I Magi, sapienti, astronomi, interpretano la storia alla luce di un evento eccezionale. Costoro, personaggi non storici, ma teologicamente reali, confermano l’apertura universale della salvezza e testimoniano la necessità di non asservirsi al potere costituito, che li avrebbe voluti strumenti di una violenza omicida. Non basta, come avvenne per i dottori della legge, la conoscenza della Torah, occorre avere la luce, l’illuminazione, lo Spirito Santo per interpretare correttamente la scrittura e scoprire che Dio è all’opera nella creazione e negli eventi. Passiamo a considerare il capitolo cinque del Vangelo di Matteo in cui Gesù, dall’alto della montagna, come nuovo Mosè, si siede ad insegnare. “Vuoi essere felice? C’è una sola strada: dare la vita, perché chi trattiene la vita, la perde”. Abbiamo il compito di essere il sale che per dare sapore deve essere posto nel cibo nella giusta misura: non di più, non di meno. Dobbiamo essere persone piene di luce, che illuminano e danno gioia. Le beatitudini si completano con il capitolo venticinque, dove Gesù invita ad essere perfetti come è perfetto il Padre che è nei cieli, perfetti nella nostra umanità fatta ad immagine di Dio, perfetti nella misericordia, che è l’identità di Dio stesso. Dobbiamo essere il più perfetti possibile nella nostra carne e nella nostra umanità. Come facciamo ad essere perfetti nella nostra umanità? Siamo perfetti solo se amiamo qualcuno nella nostra vita e gli permettiamo di amarci. La parabola del seminatore (capitolo tredici) ci presenta il Padre che esce per seminare con semi di vita e li sparge ovunque, su qualsiasi tipo di terreno, perché è convinto che dappertutto crescerà qualcosa. Infatti, Gesù (il seme) è stato accolto dai poveri, dai malati, dai peccatori. Dove umanamente sembrava non ci fosse nulla da fare, rinasce la vita. È nella parte malata dell’uomo che il seme porta energia e trasformazione. Se ci lasciamo toccare dalla misericordia la nostra vita cambia, perché Gesù non è venuto per i sani, ma per i malati, non è venuto per i giusti, ma per i peccatori. Dio continua a seminare, anche nei luoghi di guerra, anche in mezzo ad altre religioni, anche nelle persone più disperate della terra. Perché Dio non si ferma di fronte ai nostri errori, ci sorprende e ci fa rinascere. Basta solo offrirgli la nostra parte malata e lasciarci guarire. Nel capitolo diciotto di Matteo ci lasciamo raggiungere dalla logica di Dio che non strappa la zizzania (che ha altresì una funzione positiva, perché allontana gli animali che vorrebbero cibarsi del grano), ma attende che cresca il grano. Ci colma di stupore scoprire che la parte negativa di noi, la parte malata, convive con quella buona. Siamo esseri deboli e possiamo cadere ogni momento. Dobbiamo accettare questa nostra debolezza, accettare di essere limitati, di avere dei deficit. Più li accettiamo in noi, senza cessare di combatterli (ovviamente), più comprendiamo gli altri. Se ci lasciamo amare da Dio e toccare dalla sua grazia, se ci perdoniamo e ci lasciamo perdonare, depotenziamo il male, togliamo forza alla sua azione distruttiva e creiamo le premesse per la civiltà dell’amore. Siamo chiamati ad individuare qual è la zizzania che cresce nel nostro cuore, a vincere la volontà di estirparla in noi e negli altri, perché è solo il perdono la medicina che ci permette di fare del nostro vivere insieme una comunità di fratelli e di sorelle uniti nell’amore al di là di ogni limite. Sempre nel capitolo diciotto Matteo ci presenta un Dio che perdona sempre e che condona debiti enormi. Egli ci rende capaci di condonare a nostra volta quanti hanno nei nostri confronti qualche piccola insolvenza. Se sperimentiamo veramente la misericordia di Dio e scopriamo che egli ci ama lo stesso, così come siamo, diveniamo capaci di costruire una comunità riconciliata. Se abbiamo la fede pasquale, dono del Risorto, ci apriamo alla speranza che nulla è perduto. Il perdono offerto a se stessi e agli altri trasfigura i rapporti, rigenera i cuori, cementa le relazioni. Nel discorso escatologico del capitolo ventiquattro, Gesù ci invita ad essere persone pasquali che non si fermano alla sofferenza e non temono la morte. La crocifissione è un passaggio, la risurrezione è la meta, la gloria è la futura esistenza. Come Noè, dobbiamo costruire la Chiesa quale arca che accoglie tutti. Come nella parabola del fico dobbiamo sperare nei frutti che cresceranno dopo il gelo dell’inverno. Come le giovani donne con le lampade accese, dobbiamo attendere la venuta certa dello sposo. Come coloro che trafficano i talenti, dobbiamo impegnarci a realizzare grandi cose con quello che abbiamo ricevuto in dono. Nella Passione e Pasqua di Risurrezione ai capitoli ventisei e ventotto abbiamo compreso che c’è un’alternanza tra luce e tenebre, sia nella vita di Cristo che nella nostra vita. Per vincere le tenebre, Cristo le ha assunte e poi le ha trasformate. Grazie al suo continuo incontro con il Padre, ha accordato la sua volontà a quella dell’Onnipotente. Anche noi dobbiamo vivere un’unità profonda con Cristo nella preghiera, non accontentandoci di quella liturgica, ma riservando dei tempi anche a quella personale. Solo così riusciremo a vincere le notti oscure e a cogliere il progetto di Dio su di noi, nella fedeltà quotidiana. Cristo sulla croce ha fatto una preghiera di consegna, una professione di fede: “Se anche io muoio, Tu rimani il mio Dio. Anche se tu mi abbandoni, io credo, io so che Tu realizzerai il Regno” dice il Figlio al Padre. E il Padre risponde con la Risurrezione. Anche nella nostra debolezza si rivela la potenza della Misericordia di Dio, che non abbandona mai chi confida in lui. Siamo chiamati a non fermarci alla croce, ma ad annunciare che il sepolcro è vuoto e che noi abbiamo incontrato il Cristo, il Vivente, il Risorto. Il corso di esercizi termina. Rimane il desiderio di vivere quanto abbiamo ricevuto, di scommettere su una vita sempre più piena di significato perché impregnata di Dio, vissuta nella donazione, finalizzata alla piena comunione d’Amore, quando lo vedremo faccia a faccia e staremo con Lui per sempre. Suor Emanuela Biasiolo