1962-2012: I 50 anni del CONCILIO VATICANO II Con questo numero de IL FOPPONINO inizia la rubrica “1962 - 2012: i 50 anni del CONCILIO VATICANO II”. Di settimana in settimana, S. Ecc. Monsignor Carlo Ghidelli ci aiuterà a ricordare e a conoscere “la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX” (Giovanni Paolo II°) presentando brevemente i 16 Documenti promulgati dal Concilio Vaticano II°: 4 Costituzioni, 10 Decreti, 2 Dichiarazioni. Di questi documenti verranno scelti e citati alcuni tra i testi più significativi e innovativi a cui farà seguito una spiegazione proposta da Mons. Carlo che in questo modo ci offrirà alcune chiavi di lettura dei documenti stessi, perché ciascuno sia incuriosito e nuovamente invitato ad una lettura e conoscenza personale. Ecco, prima di rileggere direttamente alcune pagine del Concilio, sembra opportuno caratterizzarlo con alcune espressioni tipiche dei due Papi che l’hanno voluto e celebrato: Giovanni XXIII e Paolo VI. Papa Giovanni e l’intuizione di un nuovo Concilio ecumenico 1. Il Concilio, un dono eccezionale Ecco come Papa Giovanni ha intuito e pensato il Concilio:“Dinanzi a questo duplice spettacolo: un mondo che rivela un grave stato di indigenza spirituale e la Chiesa di Cristo, ancora così vibrante di vitalità, Noi, fin da quando salimmo al supremo Pontificato, nonostante la nostra indegnità e per un tratto della divina Provvidenza, sentimmo subito urgente il dovere di chiamare a raccolta i nostri figli, per dare alla Chiesa la possibilità di contribuire più efficacemente alla soluzione dei problemi dell’era moderna. Per questo motivo, accogliendo come venuta dall’alto una voce intima del nostro spirito, abbiamo ritenuto essere ormai maturi i tempi per offrire alla Chiesa cattolica e al mondo il dono di un nuovo Concilio ecumenico, in aggiunta e in continuazione della serie dei venti grandi Concili, riusciti lungo i secoli una vera provvidenza celeste”. 2. Il Concilio, un atto di fede Ecco un’altra espressione con cui Papa Giovanni, nel suo discorso di chiusura della prima sessione dei lavori, ha caratterizzato il Concilio: “Il Concilio – nella sua realtà – è un atto di fede in Dio, di obbedienza alle sue leggi, di sforzo sincero di corrispondere al piano della Redenzione, per cui “Verbum caro factum est de Maria Virgine”. (…) La previsione di questo ampio orizzonte, che si apre con intensità di promesse su tutto l’arco del prossimo anno, infonde nel cuore un palpito di più ardente speranza per l’avveramento delle grandi finalità, per cui abbiamo voluto il Concilio: affinché “la Chiesa, consolidata nella fede,confermata nella speranza, più ardente nella carità, rifiorisca di nuovo e giovanile vigore; munita di santi ordinamenti, sia più energica e spedita nel propagare il regno di Cristo”.(…) Piaccia al Signore che tali frutti siano raccolti non solo dai figli della Chiesa cattolica, ma ridondino pure su quei nostri fratelli che si fregiano del nome di Cristiani, come pure su quella schiera innumerevole di uomini, non ancora illuminati dalla luce cristiana, ma che si gloriano dell’antichissimo ed insigne patrimonio di civiltà ereditato dagli antenati. Essi non hanno nulla da temere dalla luce del Vangelo, la quale invece, come spesso accadde nei secoli passati, molto potrà contribuire a coltivare e sviluppare quei fecondissimi germi di religiosità e di cultura civile che sono loro propri”. 3. Il Concilio, la nuova Pentecoste E’ stato ancora Giovanni XXIII a definire il Concilio Vaticano II “la nuova Pentecoste”: espressione un po’ ardita ma vera. Il Concilio infatti è stato indubbiamente una speciale effusione dello Spirito Santo sui padri conciliari e su quanti vi hanno collaborato. Ecco le sue parole: “Sarà veramente la nuova Pentecoste che farà fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell’umana attività; sarà un nuovo balzo in avanti del Regno di Cristo nel mondo, un riaffermare in modo sempre più alto e suadente la lieta novella della redenzione, l’annunzio luminoso della sovranità di Dio, della fratellanza umana nella carità, della pace promessa in terra agli uomini di buona volontà, in rispondenza al celeste beneplacito.(…) Un lungo cammino ci rimane da percorrere: ma sappiate che il Supremo Pastore della Chiesa vi seguirà uno per uno, con affetto, nell’azione pastorale, che svolgete nelle singole diocesi; azione che non sarà disgiunta dalle sollecitudini per il Concilio”. Passando da Giovanni XXIII a Paolo VI abbiamo modo di cogliere altre espressioni, una più felice dell’altra, sulla natura e sui caratteri del Concilio Vaticano II. Infatti Papa Paolo VI ha inteso e voluto il suo pontificato come “compimento del Concilio” e a questa missione ha donato tutte le sue grandi energie spirituali, intellettuali e morali al punto che, al termine del Concilio, aveva addirittura pensato alle sue dimissioni; invece poi ne è diventato l’interprete più attento, saggio ed equilibrato nella tormentata stagione postconciliare. Papa Paolo e il cammino del Concilio Vaticano II Il Concilio, una finestra aperta sul mondo Ecco quanto si legge nel primo discorso pronunciato da Papa Montini all’inizio della seconda sessione del Concilio: “Sappia il mondo: la Chiesa guarda ad esso con profonda comprensione, con sincera ammirazione e con schietto proposito non di conquistarlo, ma di valorizzarlo; non di condannarlo, ma di confortarlo e di salvarlo. Ad alcune categorie di persone guarda la Chiesa dalla finestra del Concilio, spalancata sul mondo, con particolare interesse: guarda ai poveri, ai bisognosi, agli afflitti, agli affamati, ai sofferenti, ai carcerati, cioè guarda a tutta l’umanità che soffre e che piange; essa le appartiene, per diritto evangelico; e ama ripetere a quanti la compongono: ‘Venite ad me, omnes’”. (Matteo 11, 28). Guarda agli uomini di cultura, agli studiosi, agli scienziati, agli artisti (…). Guarda ai lavoratori, alla dignità delle loro persone e delle loro fatiche, alla legittimità delle loro speranze, al bisogno di miglioramento sociale e di elevazione interiore che ancora tanto l’affligge, alla missione che può essere loro riconosciuta, se buona, se cristiana, di creare un mondo nuovo, di uomini liberi e fratelli. (…). E ancora l’occhio della Chiesa si distende su altri immensi campi umani: quelli delle nuove generazioni di gioventù che salgono nel desiderio di vivere e di affermarsi, quelli dei popoli nuovi che stanno acquistando coscienza di sé e indipendenza e ordinamento civile, e quelli delle innumerevoli creature umane che si sentono sole (…): a tutti, a tutti lancia il suo grido di saluto e di speranza, a tutti augura ed offre luce di verità, di vita e di salvezza”. Il Concilio, un solenne atto di amore E’ sempre Paolo VI che, nel suo discorso ai padri conciliari in apertura della quarta e ultima sessione, ha caratterizzato il Concilio Vaticano II come un atto d’amore. Dopo aver detto che “la storia della salvezza è storia terrena dell’amore celeste” il Papa afferma: “Il Concilio offre alla Chiesa, a noi specialmente, la visione panoramica del mondo: potrà la Chiesa, potremo noi fare altrimenti che guardarlo e amarlo? Sarà questa contemplazione uno degli atti principali dell’incipiente sessione del nostro Concilio; ancora, e soprattutto, amore; amore agli uomini d’oggi, quali sono, dove sono, a tutti. Mentre altre correnti di pensiero e di azione proclamano ben diversi principi per costruire la civiltà degli uomini, la potenza, la ricchezza, la scienza, la lotta, l’interesse, o altro, la Chiesa proclama l’amore. Il Concilio è un atto solenne d’amore per l’umanità. Cristo ci assista, affinché davvero sia così”. Il Concilio, la sobria ebbrezza dello Spirito Echeggiando una ben nota espressione di sant’Ambrogio, vescovo di Milano, Paolo VI ci offre quest’altra chiave di lettura dell’intero Concilio Vaticano II: “Ora, se qui è la Chiesa, qui è lo Spirito Paraclito, che Cristo ha promesso ai suoi apostoli per l’edificazione della Chiesa medesima. Lo Spirito è qui. Non già per avvalorare di grazia sacramentale l’opera che noi tutti, riuniti in Concilio, stiamo per compiere, sì bene per illuminarla e guidarla a vantaggio della Chiesa e dell’intera umanità. Lo Spirito è qui, Noi lo invochiamo, noi lo attendiamo, noi lo seguiamo. Ricordiamo questa dottrina e questa presente realtà innanzitutto per avvertire, ancora una volta e in misura quanto ci è possibile piena ed ineffabile, la nostra comunione con Cristo vivente: è lo Spirito Santo che a Lui ci unisce. Momento di profonda docilità interiore, momento di somma e filiale adesione alla parola del Signore, momento di fervorosa tensione di invocazione e di amore, momento di ebbrezza spirituale, il Concilio è per noi; sembrano adatti quanto mai a questo singolare avvenimento gli accenti poetici di S. Ambrogio: “Lieti beviamo la sobria ebbrezza dello Spirito”. Così per noi deve essere questo tempo benedetto del Concilio”.