1 alberto massaia il trasferimento d`azienda

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ALBERTO MASSAIA
IL TRASFERIMENTO D'AZIENDA.
PROFILI DI DIRITTO DEL LAVORO, LE ESPERIENZE NEL
SETTORE DEL CREDITO
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SEMINARIO PRESSO:
FISAC / CGIL TORINO 15 GENNAIO 2014
- FISAC / CGIL CAGLIARI 29 OTTOBRE 2014
- FISAC / CGIL PALERMO 20 NOVEMBRE 2014
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Sommario.
1) L'art. 2112 del codice civile nella sua evoluzione normativa: il testo originario del 1942, le
modifiche del 1990, 2001 e 2003; l'interpretazione alla luce della normativa europea.
2) Casi non riconducibili all’art. 2112: la cessione individuale del contratto di lavoro; il distacco; il
trasferimento di pacchetto azionario; la cessazione dell'azienda e l'assunzione dei lavoratori
cessati presso un'altra azienda; l'appalto; il cosiddetto “accordo commerciale”.
3) L’identificazione del ramo d’azienda, evoluzione della giurisprudenza.
4) Altre tematiche relative al trasferimento d'azienda affrontate dalla giurisprudenza.
5) L'art. 17 del CCNL del credito del 2012.
6) Esempi di trasferimenti d'azienda e di rami d'azienda nel settore del credito e delle
assicurazioni: i relativi accordi sindacali, presso Intesa San Paolo, UNICREDIT, Monte dei
Paschi di Siena, UBI Banca, Banca Nazionale del Lavoro, Santander Consumer Bank,
Fondiaria SAI.
7) Qualche osservazione conclusiva.
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1. L'art. 2112 del codice civile nella sua evoluzione normativa: il testo originario del 1942, le
modifiche del 1990, 2001, 2003, 2010, l'interpretazione alla luce della normativa europea.
Il punto di partenza per l'esame del trasferimento d'impresa sotto il profilo del diritto del
lavoro è rappresentato dal ben noto art. 2112 del codice civile.
Tale articolo è stato oggetto di ripetuti interventi di riscrittura e di modifica. Il testo
originario del 1942 è molto semplice e contiene le seguenti disposizioni:
 in caso di trasferimento d'azienda, i rapporti di lavoro continuano con l'acquirente
dell'azienda e i lavoratori conservano i diritti derivanti dall'anzianità maturata sino ad allora;
 esiste un vincolo di solidarietà fra venditore ed acquirente dell'azienda per i crediti in capo ai
lavoratori, purché l'acquirente abbia conoscenza di tali crediti, oppure gli stessi risultino dai
libri dell'azienda o dai libretti di lavoro;
 il cedente dell'azienda può disdettare i rapporti di lavoro; in tale ipotesi, ovviamente, non si
verifica alcuna continuazione dei rapporti stessi;
 le norme di cui all’articolo si applicano non solo ai casi di vendita di azienda, ma anche ai
casi di usufrutto e di affitto.
L'art. 2112 nella versione originaria appare come una norma del tutto neutra, una sorta di
mera precisazione logica; tuttavia, l’articolo va letto considerando il regime di licenziamento ad
nutum vigente quando il civile fu emanato ed ancora per quasi un trentennio successivo. La
possibilità di disdettare i rapporti di lavoro in occasione della cessione d’azienda è emblematica sul
punto.
Dopo l'entrata in vigore delle leggi n. 604/1966 e poi n. 300/1970, uno dei primi interventi di
rilievo della giurisprudenza in tema di trasferimento d'azienda è quello di stabilire che il
trasferimento d'azienda non rappresenta un giustificato motivo di licenziamento.
Il primo importante intervento legislativo sull'art. 2112 codice civile avviene con la legge n.
428/1990, che dà attuazione alle previsioni della direttiva della Comunità Europea n. 187/1977.
L'art. 47 della legge del 1990 sostituisce i primi 3 commi dell'articolo del codice civile e introduce
altresì una procedura sindacale.
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L'art. 2112 nella versione del 1990 stabilisce i seguenti principi:
la continuazione del rapporto di lavoro ed il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
trasferimento d'azienda;
l'obbligazione in solido fra alienante e acquirente in relazione ai crediti vantati dai lavoratori
al momento del trasferimento d'azienda, salvo rinuncia dei lavoratori stessi nelle forme
previste dagli artt. 410 e 411 del codice di procedura civile (quindi con conciliazione in sede
di Direzione Provinciale del Lavoro o nelle sedi previste dalla contrattazione collettiva);
l'obbligo in capo all'acquirente di continuare ad applicare i contratti collettivi vigenti al
momento del trasferimento e sino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti dai contratti
collettivi in uso presso l'azienda dell'acquirente;
l'applicabilità delle norme anche ai casi di usufrutto e affitto di azienda.
Inoltre, la legge del 1990 (art. 47 comma 4) esclude espressamente che il trasferimento
d'azienda rappresenti un giustificato motivo di licenziamento.
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La procedura sindacale introdotta dall'art. 47 della legge n. 428/1990 rappresenta una novità
assoluta rispetto alla normativa del 1942, è obbligatoria, riguarda i trasferimenti di aziende che
occupano oltre 15 dipendenti e, nel testo originale del 1990 , è strutturata secondo i seguenti punti:
 l'alienante e l'acquirente devono dare comunicazione scritta del trasferimento d'azienda con
25 giorni di preavviso (rispetto al perfezionamento dell'atto di trasferimento);
 tale comunicazione deve essere indirizzata alle RSU oppure alle RSA, oltreché ai sindacati
di categoria che hanno siglato il contratto collettivo di lavoro applicato nelle imprese
interessate o in mancanza ai sindacati di categoria più rappresentativi;
 La comunicazione di cui sopra deve indicare i motivi del trasferimento, le conseguenze
giuridiche economiche e sociali per i lavoratori, le eventuali misure previste per i lavoratori
stessi;
 entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, i sindacati possono chiedere un incontro
congiunto;
 le imprese, a loro volta, entro 7 giorni dalla richiesta, devono avviare un esame congiunto
della situazione con i sindacati;
 l'esame congiunto può condurre ad un accordo fra imprese e sindacati; se entro 10 giorni non
sia raggiunto alcun accordo l’esame si dà per concluso e le imprese danno corso al
trasferimento d’azienda applicando ai lavoratori le previsioni dell’art. 2112 codice civile;
 il mancato rispetto della procedura è sanzionabile ai sensi dell'art. 28 della legge n.
300/1970;
 in caso di aziende in crisi o sottoposte a procedura concorsuale, è possibile derogare all'art.
2112 codice civile, in materia di continuità dei rapporti di lavoro e di responsabilità solidale
fra alienante ed acquirente;
 nello stesso caso di cui sopra, i lavoratori esclusi dal passaggio all'impresa acquirente, hanno
diritto di precedenza nelle assunzioni effettuate entro l'anno successivo.
Un secondo intervento legislativo sulla materia avviene con il decreto legislativo n. 18/2001,
emanato in forza della legge delega n. 526/1999 e che rappresenta un miglioramento e un
affinamento delle tutele introdotte nel 1990.
La legge del 2001 apporta alcune modifiche formali alla normativa previgente. Così,
sostituisce la rubrica dell'art. 2112, che diviene “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
trasferimento d'azienda”. Sostituisce i termini “alienante” ed “acquirente” con “cedente” e
“cessionario”, in modo da estendere il più possibile l'ambito di applicazione della normativa, prima
di allora limitata ai soli casi di compravendita, usufrutto e affitto. Inoltre “riversa” nell'art. 2112 il
principio già introdotto dalla legge del 1990 ed in forza del quale il trasferimento d'azienda non
costituiva giustificato motivo di licenziamento.
Una norma introdotta dalla legge del 2001 ed in qualche modo speculare a quella sui
licenziamenti da ultimo citata, è la facoltà di dimettersi per giusta causa attribuita ai lavoratori che
abbiano subito una modifica sostanziale nei 3 mesi successivi al trasferimento d'azienda.
Precisiamo che in caso di dimissioni per giusta causa, poiché si è in presenza di un fatto colpevole
del datore di lavoro, il lavoratore può recedere senza dare alcun preavviso e conservando il diritto
all’indennità di preavviso 1.
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La giurisprudenza ha riconosciuto diverse ipotesi di ”giusta causa” in relazione a gravi inadempimenti del
datore, quali, ad esempio, l’omessa corresponsione della retribuzione, l’omesso versamento dei contributi previdenziali,
le molestie sessuali, la dequalificazione professionale.
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Rilevanti sono altresì le modifiche apportate in ordine all'applicazione dei contratti collettivi
di lavoro vigenti presso l'impresa ceduta al momento del trasferimento: la legge del 2001 precisa
che tali contratti possono essere sostituiti da quelli in uso presso l'impresa cessionaria solo nel caso
in cui siano contratti dello stesso livello (e quindi, a titolo di esempio, un contratto nazionale può
essere sostituito solo da un altro contratto nazionale).
L'art. 2112 come modificato dalla legge del 2001 fornisce quindi la definizione di
trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda.
In particolare, il trasferimento d'azienda è definito come “qualsiasi operazione che comporti
il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al
fine della produzione o dello scambio di beni e servizi, preesistente al trasferimento e che conserva
nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento
sulla base dei quali il trasferimento è attuato.”
Da tale definizione emerge l'intenzione del legislatore di allargare il concetto di azienda
anche oltre il dettato dell'art. 2555 codice civile ed anche in modo da comprendere non solo le
imprese gestite in qualunque forma (società, cooperative, ditte individuali) ma anche gli enti senza
scopo di lucro.
Il trasferimento di ramo d'azienda è invece definito come “articolazione funzionalmente
autonoma di un'attività economica organizzata (…) preesistente come tale al trasferimento e che
conserva nel trasferimento la propria identità.”
La definizione scelta per il ramo d'azienda – prevedendo in particolare i requisiti
dell'autonomia, della preesistenza, dell'identità anche dopo il trasferimento - è dettata dall'intenzione
di evitare o almeno limitare trasferimenti di ramo d'azienda fittizi. Tali trasferimenti in realtà
nascondono operazioni di licenziamento collettivo prive delle tutele di legge proprio grazie al
camuffamento fornito da un utilizzo distorto dell'art. 2112 codice civile.
Le successive modifiche apportate dal decreto legislativo n. 276/2003 attuativo della legge
delega n. 30/2003 (il complesso normativo noto con l'appellativo di “legge Biagi”) sono invece di
segno opposto rispetto a quelle attuate nel 2001 ed hanno condotto al testo dell'art. 2112 codice
civile che è attualmente in vigore.
Una prima modifica attuata dalla legge del 2003 riguarda una precisazione – di carattere
formale – aggiunta al 5° comma dell'art. 2112, che stabilisce l'applicabilità della normativa sul
trasferimento d'azienda anche alle fusioni societarie.
Più insidiose sono invece le ulteriori novità apportate al medesimo 5° comma dell'art. 2112:
il ramo d'azienda è ora definito come “articolazione funzionalmente autonoma di un'attività
economica organizzata identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo
trasferimento.” Per effetto di questa modifica, è quindi scomparso il requisito della preesistenza e
dell'identità dopo il trasferimento; inoltre il nuovo testo dell'art. 2112 attribuisce un amplissimo
potere discrezionale all'imprenditore nell'identificazione del ramo d'azienda.
Egualmente insidioso è il 6° comma aggiunto all'art. 2112. Esso prevede espressamente la
possibilità che il trasferimento d'azienda sia funzionale ad un contratto di appalto fra l'impresa
cedente e quella cessionaria. Il risultato è che i lavoratori continuano a svolgere lo stesso lavoro per
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lo stesso imprenditore, ma alle dipendenze di una società terza che opera in regime di appalto: è di
tutta evidenza come una tale situazione si presti ad abusi e trasferimenti fittizi. Per limitare i rischi
non appare sufficiente la previsione – nello stesso 6° comma – della responsabilità in solido fra
appaltante e appaltatore ai sensi dell'art. 1676 codice civile, responsabilità peraltro limitata al debito
che l'appaltante ha nei confronti dell'appaltatore.
Sulle modifiche legislative introdotte dal governo di centro destra nel 2003, è di tutta
evidenza quale fosse l’intento politico. In quegli anni era già chiaro come le imprese avessero
ormai abbandonato il sistema dell’autosufficienza organizzativa e pertanto cercassero di disfarsi di
settori aziendali non attinenti all’attività principale. Le esternalizzazioni comportavano evidenti
risparmi per le aziende ma creavano altrettanto evidenti effetti collaterali a danno dei lavoratori,
come l’applicazione di contratti collettivi di lavoro meno favorevoli, la creazione di piccole imprese
di servizio anche sotto i 15 dipendenti con conseguente perdita della tutela reale in tema di
licenziamenti, il passaggio a società di dubbia solidità imprenditoriale e finanziaria. Gli intenti del
legislatore del 2003 non solo erano nel senso di assecondare le istanze delle imprese sui temi di cui
sopra, ma probabilmente andavano oltre, nel senso di dare una copertura di legge alla creazione di
rami d’azienda non preesistenti ma ideati sul momento allo scopo di espellere lavoratori considerati
eccedenti alla esigenze aziendali.
Infine, una modifica per quanto indiretta alla normativa di legge in materia di trasferimenti
d'azienda e di rami d'azienda è stata introdotta dall’art. 32 della legge n. 183/2010.
Tale articolo riprende una norma ben nota e consolidata, vale a dire il termine di 60 giorni
per impugnare il licenziamento con qualunque atto anche stragiudiziale purché in forma scritta,
termine previsto dalla legge n. 604/1966, art.6. La legge del 2010 ha aggiunto un ulteriore termine
di 270 giorni – dopo quello di 60 - per impugnare il licenziamento in tribunale oppure in sede di
conciliazione e arbitrato. La legge n. 92/2012 (la c.d. “legge Fornero”) ha ulteriormente appesantito
la situazione riducendo il termine per l'impugnazione a 180 giorni.
Inoltre, la norma sulle decadenze di cui alla legge 604/1966 come sopra modificata, ha
un’applicazione amplissima, più vasta del campo dei licenziamenti e della cessazione del rapporto
di lavoro. Fra i numerosi casi per i quali la legge del 2010 prevede l'applicazione dei termini di cui
sopra, rientra anche il caso di cessione dei contratti di lavoro per effetto di trasferimento di azienda
o ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 codice civile. E’ di tutta evidenza la scelta politica di
inserire dei termini particolarmente stringenti, che rappresentano una deroga nettamente sfavorevole
per il lavoratore rispetto alla legislazione in materia di contenzioso civile.
A questo punto, si può riportare per esteso il testo dell'art. 2112 codice civile nell'attuale
formulazione, risalente al 2003, e riassumerne quindi i principi.
Articolo 2112 - Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda
I. In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il
lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
II. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore
aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 codice di
procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni
derivanti dal rapporto di lavoro.
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III. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai
contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento,
fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili
all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti
collettivi del medesimo livello.
IV. Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di
licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento.
Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi
successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di
cui all'art. 2119, 1° comma.
V. Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda
qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il
mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro,
preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a
prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il
trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del
presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come
articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata
come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
VI. Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui
esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e
appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'art. 29 comma 2 del decreto legislativo
n. 276/2003.
I principi stabiliti dal codice civile possono essere identificati come segue.
 Il trasferimento d’azienda è inteso come mutamento di titolarità e può avvenire con
qualunque strumento giuridico;
 l’azienda trasferita può avere o meno scopo di lucro;
 l’azienda trasferita deve conservare la propria identità dopo il trasferimento;
 il ramo d’azienda è inteso come un’articolazione funzionalmente autonoma di un'attività
economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del
trasferimento;
 il trasferimento d’azienda ed il trasferimento di ramo d’azienda hanno eguale disciplina
giuridica;
 i rapporti di lavoro continuano dall’azienda cedente all’azienda cessionaria ed i lavoratori
mantengono i diritti maturati dal precedente contratto;
 il trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda non costituisce di per sé motivo di
licenziamento;
 i rapporti di lavoro sono disciplinati dai contratti collettivi in uso presso l’azienda cedente
vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza;
 i rapporti di lavoro sono disciplinati dai contratti collettivi in uso presso l’azienda
cessionaria nel caso in cui esistano e siano di pari livello di quelli già in essere presso
l’azienda cedente (ad esempio, un CCNL può essere sostituito da un diverso CCNL);
 è possibile che l'azienda cedente stipuli un contratto di appalto con l'azienda cessionaria,
utilizzando il ramo d'azienda ceduto.
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Tutto questo come mero contenuto testuale dell'art. 2112 del codice civile. Vedremo nei
capitoli successivi quale sia stata l'interpretazione della giurisprudenza dei principali aspetti del
testo normativo.
Peraltro, è necessario evidenziare da subito come l'art. 2112 debba essere letto alla luce della
normativa europea, rappresentata da ultimo dalla direttiva dell'Unione Europea n. 23/2001,
concernente il ravvicinamento della legislazione degli stati membri relative al mantenimento dei
diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di
stabilimenti 2.
Possiamo sintetizzare tale direttiva nei seguenti punti.
 Il trasferimento può avvenire a seguito di cessione contrattuale oppure di fusione;
 il trasferimento deve riguardare “un'entità economica che conserva la propria identità,
intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa
essenziale o accessoria”; la conseguenza logica di tale enunciato è che l’”entità economica”
deve essere preesistente al trasferimento, in quanto solo qualcosa che esiste prima di un
evento (nel caso specifico, il trasferimento) può conservare la propria identità dopo l’evento
stesso;
 la normativa si applica alle imprese pubbliche e private che esercitano un'attività economica
e che perseguano o meno scopo di lucro;
 i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti di lavoro esistenti alla data del trasferimento
passano dal cedente al cessionario;
 dopo il trasferimento, il contratto collettivo in uso presso il cedente è ancora applicato sino
alla scadenza o all'entrata in vigore di un nuovo contratto;
 il trasferimento non è di per sé motivo di licenziamento dei lavoratori coinvolti;
 è prevista una procedura d'informativa sindacale.
La direttiva che abbiamo sopra esposto in sintesi, è diretta agli stati membri dell'Unione
Europea, che sono tenuti ad allineare la propria legislazione ai contenuti della direttiva stessa.
Tuttavia, è evidente come la definizione di ramo d'azienda risultante dall'ultima riscrittura dell'art.
2112 codice civile - risalente al 2003 - sia assai difforme dalle indicazioni della direttiva europea.
Vedremo come la Corte di Cassazione abbia interpretato l'art. 2112 in una forma che potremmo
definire correttiva, che si allontana dal testo legislativo italiano e fa riferimento ai principi della
direttiva europea.
Tuttavia, con la sentenza del 6 marzo 2014, C458/12, la Corte di Giustizia Europea, a
seguito dell’istanza sollevata dal Tribunale di Trento, ha affrontato proprio il tema della conformità
della normativa italiana relativa al trasferimento ramo d’azienda contenuta nell’art. 2112 codice
civile, rispetto alla citata direttiva europea n. 23/2001.
La decisione della Corte Europea è stata nel senso che, secondo l’ordinamento comunitario,
non sussiste un divieto a che gli Stati membri (nel caso di specie quello italiano) possano ritenere
applicabile il regime del trasferimento di ramo di azienda a parti dell’attività produttiva che
diventano autonome, sotto l’aspetto funzionale, al momento del passaggio.
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La direttiva n. 23/2001 ha sostituito la precedente direttiva n. 187/1988, poi modificata dalla direttiva n. 50/1998.
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Il giudice remittente aveva sollevato la questione del controllo del cedente sul cessionario
che si manifesta sotto l’aspetto della committenza e sotto quello di una sorta di commistione dello
stesso rischio d’impresa. In questo caso, la Corte ha affermato la mancanza di ostacoli
nell’applicazione della direttiva 23/2001, arrivando alla conclusione che la cessione dei rapporti di
lavoro non è contraria alle norma comunitaria.
Tale sentenza sembra smentire la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione,
orientata nel senso di un’interpretazione “evolutiva” dell’art. 2112 codice civile alla luce di un
presunto contrasto con la normativa europea .
2. Casi non riconducibili all’art. 2112: la cessione individuale del contratto di lavoro; il
distacco, il trasferimento di pacchetto azionario; la cessazione dell'azienda e l'assunzione
dei lavoratori
cessati presso un'altra azienda; l'appalto; il cosiddetto “accordo
commerciale”.
Una figura giuridica molto diversa dalla cessione di azienda e di ramo d’azienda, pur potendo
essere utilizzata con finalità in parte simili, è la cessione individuale del contratto di lavoro.
E’ un caso estraneo alla normativa dell’art. 2112 codice civile, ma rientra invece nella
normativa generale degli artt. 1406 e sgg. codice civile che disciplinano la cessione dei contratti a
prestazioni corrispettive. L’aspetto rilevante dell’art. 1406 consiste nella possibilità in capo a
ciascuna delle parti contraenti di sostituire un terzo nei rapporti contrattuali, ma con il vincolo che
l’altra parte vi acconsenta.
L’applicazione dell’art. 1406 ai contratti di lavoro, comporta la necessità del consenso del
lavoratore ceduto: in assenza del consenso, la cessione non si perfeziona. Si tratta di una differenza
di estrema rilevanza rispetto a quanto avviene invece nel trasferimento di azienda o di ramo di
azienda, per il quale il consenso invece non occorre.
La giurisprudenza ha precisato che il dissenso del lavoratore alla cessione deve essere
tempestivo ed esplicito; alcune sentenze sono intervenute nel caso di acquiescenza del lavoratore
ceduto protrattasi per anni (Tribunale di Milano 18/9/2008; Tribunale di Venezia 8/8/2008)
ritenendo che in situazioni protrattesi così a lungo nel tempo il consenso si dà per avvenuto.
Caso nettamente diverso dalla cessione del contratto di lavoro, è quello del distacco,
disciplinato dall'art. 30 del decreto legislativo n. 276/2003 e – nel settore del credito – dall'art. 18
del CCNL e che presenta le seguenti caratteristiche:
 un interesse del datore di lavoro distaccante, a che il lavoratore presti la propria opera presso
il soggetto distaccatario;
 la temporaneità della prestazione di lavoro presso il distaccatario;
 la titolarità del rapporto di lavoro – inteso quale obbligo retributivo e contributivo - rimane
in capo al distaccante, mentre il potere direttivo, di controllo e disciplinare passi al
distaccatario.
Inoltre, la legge del 2003 prevede espressamente che non è necessario l'assenso preventivo
del lavoratore interessato al distacco, tranne il caso in cui tale distacco comporti un mutamento delle
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mansioni. Qualora il distacco comporti il trasferimento del lavoratore ad un'unità produttiva ad
oltre 50 km dalla precedente sede di lavoro, è necessario che vi siano comprovate ragioni tecniche,
organizzative, produttive o sostitutive.
Un'altra fattispecie che all'apparenza può presentare qualche affinità con il trasferimento
d'azienda è il caso del trasferimento del pacchetto azionario di controllo di una società di capitali.
Un caso che nell’ambito del credito che ha avuto una certa risonanza è quello di UCCMB
UniCredit Credit Management Bank, la società di recupero crediti nata dalla fusione e
trasformazione dell’Istituto di Credito Fondiario delle Venezie e del Mediocredito delle Venezie,
avvenuta nel 1992-94, poi ampliata da ulteriori fusioni. Ad oggi - ottobre 2014 – sono in corso le
trattative per la vendita del pacchetto azionario da parte del gruppo Bancario UNICREDIT ad un
fondo d'investimenti americano, con scioperi di protesta da parte dei lavoratori.
La giurisprudenza – da ultimo la Corte di Cassazione, sentenza 12 marzo 2013 n. 6131 – ha
escluso che il caso del passaggio del controllo azionario sia riconducibile all'art. 2112 codice civile.
Infatti, in tale situazione si verifica solo una modifica degli assetti azionari, ma non si verifica
alcuna sostituzione nel soggetto giuridico titolare dei rapporti contrattuali, siano essi relativi a
contratti di lavoro che ad altri rapporti giuridici.
Tuttavia, pur nella neutralità della situazione giuridica, è ovvio che un cambiamento negli
assetti azionari, di fatto può sicuramente avere ripercussioni sulla gestione dell’impresa – compresa
la gestione del personale - sulle chance di continuità e sviluppo dell’attività d'impresa,
sull’occupazione.
Caso ancora diverso è quello della cessazione dell'azienda, per qualunque motivo, alla quale
segue l'assunzione di tutti o alcuni dei lavoratori cessati presso un'altra azienda.
Anche in ordine a questa fattispecie, la giurisprudenza – da ultimo la Corte di Cassazione,
sentenza 1° ottobre 2012 n. 16641 e sentenza 16 maggio 2013 n. 11918 – ha escluso l'applicabilità
dell'art. 2112 . La Cassazione ha osservato che per identificare un trasferimento di ramo d'azienda
non è sufficiente il mero esercizio della stessa attività produttiva da parte di due imprese che si
susseguono in tale attività. In questo caso manca il trasferimento dei beni aziendali e la
continuazione dei rapporti di lavoro, che sono interrotti dal licenziamento, al quale segue la
costituzione di nuovi rapporti di lavoro.
Un istituto giuridico assai diverso dal trasferimento di azienda e di ramo d’azienda, ma che
in qualche modo si pone come collaterale a questo, è il contratto di appalto.
Esso è così definito dall’art. 1655 del codice civile: “L'appalto è il contratto col quale una
parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il
compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro . “
Senza entrare nei dettagli, in queste pagine evidenziamo come nel settore del credito, nel
corso del tempo, svariate attività che le banche gestivano con proprie strutture e propri dipendenti
siano state appaltate a società esterne: gli esempi più evidenti sono quelli dei servizi di cassa
centrale (ammazzettamento e conteggio delle banconote) e quelli di vigilanza.
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In questi casi, usualmente non si è verificato un trasferimento di ramo d’azienda:
semplicemente gli elementi materiali – quando erano presenti – sono stati dismessi, i lavoratori sono
stati destinati ad altre mansioni e si sono stipulati dei contratti di appalto con società esterne. In
linea teorica era tuttavia possibile per le banche identificare dei rami di azienda e trasferirli a società
esterne e stipulare quindi dei contratti di appalto con le stesse società.
Per completezza, precisiamo come l’art. 3 del CCNL del Credito stipulato nel 2012 preveda
un elenco delle attività complementari e accessorie appaltabili all’esterno 3, , elenco che peraltro per
espressa previsione contrattuale ha valore soltanto indicativo, lasciando quindi un margine alle
banche.
Una possibile interpretazione per identificare le attività non appaltabili può derivare dall'art.
1 del CCNL del credito, che prevede l'applicazione del CCNL medesimo ai lavoratori delle imprese
creditizie e finanziarie e delle imprese controllate dalle precedenti che svolgono esse pure attività
creditizie, finanziarie o strumentali; il tutto come previsto dagli artt. 1 , 10 e 59 del decreto
legislativo n. 385/1993 (testo unico della legge bancaria).
Da questa interpretazione deriva che le attività descritte nei citati articoli del testo unico
bancario rappresentano il nucleo fondamentale dell'attività bancaria e non sarebbero sarebbero
pertanto appaltabili. Sarebbero identificabili nelle attività di raccolta del risparmio e di esercizio del
credito, nelle attività finanziarie ed in quelle strumentali; queste ultime sarebbero da intendersi a
titolo esemplificativo in quelle di proprietà e gestione degli immobili e di gestione dei servizi anche
informatici.
Tutte le altre attività non comprese nel nocciolo che abbiamo delineato sarebbero invece
appaltabili, ma – ripetiamo - si tratta solo di una tesi interpretativa.
Da quanto abbiamo esposto, emerge chiaramente come la questione dell'appalto da una parte
sia collegata a quella dei trasferimenti di rami d'azienda e d'altra parte si rifletta altresì sulla tenuta
dell'area contrattuale, vale a dire l'applicazione o meno del CCNL del credito ai lavoratori addetti a
certi settori del credito. Ritorneremo su questo punto affrontando nell'ultimo capitolo il contenzioso
sorto in ordine ad alcuni trasferimenti di rami d'azienda attuati nel Gruppo UNICREDIT.
Infine, un caso ancora diverso, non disciplinato da una specifica norma di legge è quello che
possiamo indicare con la definizione di “accordo commerciale”. Si tratta di una definizione che
compare nel recente piano di ristrutturazione aziendale di Santader Consumer Bank, presentato ai
sindacati il 9 settembre 2013. Nel caso concreto, la banca ha previsto che non avrebbe più collocato
il prodotto prestiti personali, ma avrebbe stipulato un accordo commerciale con una società terza,
che avrebbe provveduto alla distribuzione di tale prodotto, trasmettendo alla banca le richieste di
finanziamento. La conseguenza di tale scelta organizzativa, peraltro, determinava che tutti i
lavoratori addetti a tale attività diventavano esuberi e come tali inseriti in una procedura di
licenziamento collettivo ai sensi della legge n. 223/1991.
3
Le attività appaltabili sono le seguenti:
 servizio portafoglio e cassa /trattazione assegni; lavorazioni di data entry relative ad attività di back office;
 trattamento delle banconote ; trattamento della corrispondenza e del materiale contabile; trasporto valori;
 attività di supporto tecnico funzionale per self banking , POS, electronic banking e banca telefonica;
gestione di archivi, magazzini, economato; servizi centralizzati di sicurezza; vigilanza.
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Quindi, in tale caso, l'impresa ha identificato un'attività che in teoria poteva anche
configurarsi come ramo d'azienda e come tale essere trasferito, ma ha preferito semplicemente
dismettere tale attività e valersi di un'impresa esterna. L'accordo che regola i rapporti fra le due
società è per l'appunto un accordo commerciale e come tale estraneo al diritto del lavoro, pur
avendo indubbie conseguenze lavoristiche.
3. L’identificazione del ramo d’azienda, l'evoluzione della giurisprudenza.
Nelle pagine precedenti abbiamo delineato la normativa contenuta nell’art. 2112 codice
civile; tale normativa è stata oggetto di un’elaborazione giurisprudenziale vasta e complessa, che ha
fatto registrare significative oscillazioni.
Come è noto, uno degli argomenti più dibattuti è stata l’identificazione del ramo d’azienda
rilevante ai sensi della normativa codicistica.
Al riguardo, è facile identificare due distinti filoni, per i quali è opportuno risalire indietro
nel tempo di una decina d’anni, che prospettarono – rispettivamente – un’interpretazione estensiva
che rendeva più facile il trasferimento dei rami d’azienda ed un’interpretazione restrittiva, che aveva
ovviamente l’effetto contrario.
Da una parte, le sentenze relative al caso ALCATEL - Corte di Cassazione, sentenze
22/7/2002 n. 10701 e 23/7/2002 n. 10761 – diedero un’interpretazione estensiva dell’art. 2112 cc. e
confermarono la cessione del ramo d’azienda riguardante la manutenzione e la logistica. Tale ramo
fu ritenuto idoneo a consentire lo svolgimento di una determinata attività d’impresa, anche se non
necessariamente la stessa esercitata dal conferente.
Invece, le sentenze appena successive relative al caso ANSALDO SERVIZI - Corte di
Cassazione, sentenze 23/10/2002 n. 14961, 4/12/2002 n. 17207 e 10/7/2004 n. 206 – fornirono
un’interpretazione restrittiva dell’art. 2112 cc. e negarono che la cessione del ramo d’azienda
riguardante i servizi generali rientrasse fra le previsioni di legge. In particolare, la sentenza n.
17207/2002 stabilì che il caso in esame riguardasse il trasferimento ad altra imprese di lavoratori
addetti ad una struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e caratterizza dall’estrema
eterogeneità delle funzioni degli addetti, insuscettibile dunque di assurgere ad unitaria entità
economica. La Corte ritenne pertanto che non potesse configurare una cessione di ramo d’azienda
ai sensi dell’art. 2112 codice civile; di conseguenza, si trattava di una mera cessione di contratti di
lavoro, richiedenti per il perfezionamento il consenso dei lavoratori.
Una linea interpretativa analoga a quella descritta nel caso ANSALDO SERVIZI fu seguita
altresì nella causa del Consorzio MANITAL (scorporato da FINMECCANICA), decisa dalla Corte
di Cassazione con sentenza 28/9/2005 n. 20012. Anche in questo caso, la Suprema Corte escluse
l'applicabilità dell'art. 2112 codice civile, con le medesime argomentazioni già espresse nella
sentenza n. 17207/2002 sopra citata.
Nel frattempo, il quadro normativo diventava più incerto a causa delle modifiche apportate
all’art. 2112 dal decreto legislativo n. 276/2003 - che portarono al testo tuttora in vigore - che come
abbiamo già evidenziato nelle pagine precedenti, hanno previsto che il ramo d’azienda sia
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identificato come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento, con la possibilità
di interpretazioni che rendono amplissimo il concetto di ramo d’impresa.
Sul tema della preesistenza, dapprima vi furono alcune sentenze di merito – a titolo di
esempio, sentenze del Tribunale di Milano 4/5/2007 e 12/2/2008, Tribunale di Roma 3/3/2008 – che
confermarono la necessità del requisito della preesistenza. Tali sentenze interpretano l’art. 2112
partendo dalla disciplina relativa al trasferimento di azienda, che prevede espressamente che
l’azienda trasferita sia un’entità preesistente; quindi, i giudici hanno fatto riferimento alla norma
contenuta nello stesso articolo e che prevede che le disposizioni sul trasferimento d’azienda si
applicano anche ai trasferimenti di rami di azienda. L’interpretazione ha condotto pertanto a
ritenere che il trasferimento di un ramo di azienda abbia come presupposto la preesistenza del ramo
stesso. Nelle medesime sentenze di merito, è emerso altresì come il requisito della preesistenza
fosse richiesto anche dalle due direttive europee n. 50/1998 e n. 23/2001 e come tale sovraordinate
alla legislazione italiana.
L’orientamento dei Tribunali è stato confermato da numerose e recenti sentenze della Corte
di Cassazione, che hanno mostrato come il revirement tentato nel 2003 non abbia sortito l’effetto a
favore delle imprese che il legislatore auspicava. Citiamo in particolare le seguenti: 13/10/2009 n.
21697; 21/11/2012 n. 20422; 4/12/2012 n. 21710; 4/12/2012 n. 21711; 22/1/2013 n. 1456;
25/9/2013 n. 21917; 3/10/2013 n. 22627; 28/10/2013 n.24262; 15/4/2014 n. 8756; 28/4/2014 n.
9361; 30/4/2014 n. 9461; 8/5/2014 n. 9949; 27/5/2014 n. 11832.
Sempre in ordine all’identificazione del ramo d’azienda ed alla genuinità del medesimo ai
sensi della normativa codicistica, un ulteriore argomento affrontato dalla Corte di Cassazione è
rappresentato dal caso dell’impresa cessionaria che chiude i battenti poco dopo l’acquisizione del
ramo di azienda. Sull’argomento, citiamo la sentenza 20/3/2013 n. 6969.
Esaminiamo ora le tredici sentenze sopra citate.
Sentenza n. 21697 / 2009.
Riguarda il trasferimento del ramo servizi generali da parte di Ansaldo Energia. La
Cassazione parte dalla premessa che il concetto di cessione di ramo d'azienda è riconducibile alla
disciplina generale dettata per la cessione di azienda. Il ramo d’azienda è pertanto un’unità
economica organizzata in maniera stabile, che in occasione del trasferimento conserva la propria
identità, il che presuppone una preesistente attività produttiva autonoma e funzionalmente esistente,
e non una struttura produttiva creata "ad hoc" in occasione del trasferimento.
Di conseguenza, la Corte ha ritenuto l’illegittimità della cessione di un generico settore di
servizi generali in quanto non integrano una preesistente unità produttiva autonoma e funzionale;
egualmente illegittimo è il conseguente licenziamento dei lavoratori addetti a tale settore,
licenziamento discriminatorio essendo finalizzato ad evitare il reinserimento in azienda di lavoratori
già in cassa integrazione.
Sentenze n. 20422 / 2012 , n. 24262/2013 e n. 9361 / 2014.
Riguardano entrambe il trasferimento dell'attività di gestione della corrispondenza cartacea
da TELECOM ITALIA a TELEPOST. Anche in queste tre sentenze, la Cassazione osserva che ai
fini della configurabilità di un trasferimento di ramo d'azienda è necessario che oggetto del
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passaggio sia una realtà produttiva funzionalmente autonoma, preesistente al trasferimento e che in
tale operazione conservi la propria identità e consenta l'esercizio di un'attività economica; non è tale
il prodotto dello sembramento di frazioni di uffici non autosufficienti e non coordinati fra loro.
Partendo da tale presupposto, la Corte ha considerato fittizia la creazione del ramo d'azienda,
confermando le sentenze emesse rispettivamente dalle Corti d'Appello di Milano, Potenza e Napoli.
Nei giudizio è emersa non soltanto l'inconsistenza dei beni materiali ceduti, sostanzialmente
inidonei a consentire lo svolgimento dell'attività produttiva del cessionario, ma anche i seguenti
elementi:
la mancanza di autonomi rapporti tra fornitori e cessionario;
la mancata attribuzione di strumentazione informatica autonoma al cessionario come
dimostrato dalla circostanza che per accedere al sistema del preteso cessionario bisognava
prima accedere alla rete intranet del cedente;
la circostanza che neppure i lavoratori coinvolti dal trasferimento risultavano costituire un
gruppo coeso per professionalità, legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifica
competenza professionale, tale da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente
idonea e non come una mera sommatoria di dipendenti.
Inoltre, la sentenza n. 24262/2013 ha altresì rilevato una situazione patrimoniale della
cessionaria caratterizzata dalla macroscopica sproporzione fra gli attivi del tutto modesti a fronte
degli ingentissimi debiti trasferiti con il contratto di cessione di ramo d’azienda.
Sentenze n. 21710 / 2012 e n. 22627 / 2013 n. 9949 / 2014.
Riguardano entrambe il trasferimento dell'attività di gestione del magazzinaggio,
allestimento ordini e distribuzione della documentazione cartacea da TELECOM ITALIA a TNT
LOGISTICS ITALIA (in seguito divenuta CEVA LOGISTICS ITALIA). La Cassazione, con
queste tre decisioni ha confermato le sentenze emesse rispettivamente delle Corti d’Appello di
Genova, Torino e Venezia, che avevano dichiarato la nullità della cessione del ramo d’azienda,
con i conseguenti riflessi sul passaggio dei rapporti di lavoro da cedente a cessionario.
Nella circostanza, le due società coinvolte non hanno fornito elementi adeguati per provare
l'autonomia funzionale della struttura qualificata "logistica"; neppure le società hanno fornito prove
adeguate circa gli elementi materiali e/o immateriali oggetto di trasferimento ed idonei a costituire
una articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, preesistente al
trasferimento e che conservi nel trasferimento la propria identità. Infatti, la società cessionaria non
aveva alcuna disponibilità autonoma di locali, di strumenti informatici, di amministrazione, che
erano rimasti tutti in capo alla società cedente.
Vale la pena di osservare che la sentenza n. 22627/2013 ha precisato per inciso che una volta
accertato che il ramo d'azienda risponde ai requisiti di cui all'art. 2112, resta tale anche nel caso in
cui la motivazione del trasferimento consista nell'intento di superare uno stato di difficoltà
economica.
Sentenza n. 21711 / 2012.
Riguarda il trasferimento del servizio di pulizia da Idea Institute SpA (una società attiva nel
disegno industriale e nella progettazione di prototipi di autovetture) a Bigiesse SRL.
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Si tratta di una sentenza di notevole interesse, in quanto la Cassazione premette come le
normative europee (direttive n. 50/1998 e 23/2001) “perseguano il fine di evitare che il
trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una
pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore
affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell'attitudine a proseguire con continuità l'attività
produttiva.”
Fatta questa premessa, la Cassazione stabilisce che l'art. 2112 è applicabile quando viene
trasferita “una parte d'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività
economica organizzata; (…) deve quindi trattarsi di un'entità economica organizzata in modo
stabile e non destinata all'esecuzione di una sola opera, ovvero di un'organizzazione quale legame
funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni e servizi
determinati.”
Per quanto riguarda il requisito della preesistenza – anche dopo la modifica apportata nel
2003 all'art.2112, considerando che il caso in esame si è verificato nel 2008 – la Cassazione
ribadisce che “l'entità economica trasferita deve ritenersi preesistente al trasferimento, non
potendo conservarsi quello che non c'è.”
La Cassazione continua osservando che “seppure può oggi ritenersi che l'autonomia
funzionale del ramo di azienda ceduto non coincida con la materialità dello stesso (…..) ma possa
consistere anche in un ramo "smaterializzato" o "leggero", costituito in prevalenza da rapporti di
lavoro organizzati in modo idoneo, anche potenzialmente (od al netto dei supporti generali
sussistenti presso l'azienda cedente), allo svolgimento di un'attività economica, ciò non toglie che
tale autonomia dell'entità ceduta debba essere obiettivamente apprezzabile, sia pur con possibili
interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di verificarne
l'imprescindibile requisito comunitario della sua conservazione.” E’ invece estraneo all’art. 2112 il
caso di “una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento o come tale
unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l'esternalizzazione come
forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di
articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore”.
Sentenza n. 1456 / 2013.
Riguarda il trasferimento dello stabilimento di Iglesias da Alcoa Italia SpA a Ali Alluminio
Italia SRL.
La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Milano, che ha escluso
che lo stabilimento di Iglesias fosse riconducibile ad un ramo di azienda. Infatti, “era emerso che
mancava in realtà la presenza di un autonomo impulso organizzativo tale da permettere alla
struttura di funzionare autonomamente sul mercato, impulso organizzativo che è fatto di personale
qualificato e responsabile delle varie funzioni, di dati e di know how, e non solo di macchinari, per
realizzare in concreto una produzione che fosse indipendente da mere commesse ricevute dalla
cedente, dirette esclusivamente a colmare temporaneamente il deficit di autonoma capacità
produttiva dello stabilimento che era stato ceduto".
Inoltre, alla "assenza di una autonoma e compiuta realtà organizzativa si era aggiunta,
l'assenza dell'elemento più importante per connotare la capacità produttiva, consistente
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nell'avviamento: (…) lo stabilimento di Iglesias era privo di un'effettiva autonomia commerciale e
amministrativa, dipendendo, per l'attività commerciale, dagli uffici della sede centrale e, per quella
amministrativa, dallo stabilimento di Portovesme, e l'attività produttiva era proseguita per un certo
periodo di tempo (e cioè fino alla data del fallimento della cessionaria) quasi esclusivamente in
virtù del fatto che la cedente aveva stipulato un contratto con la cessionaria, di validità triennale,
per la trasformazione di 3000 tonnellate di materiale".
Sentenza n. 6969 / 2013.
Riguarda il trasferimento di punti vendita da Gruppo COIN SpA a Gescom SRL e poi a
Donne SRL; si pone in linea con le precedenti pronunce della Corte di Cassazione in argomento,
quali le n. 10108/2006 e n. 21484/2011.
La sentenza n. 6969/2013 ha considerato come rispondente ai requisiti dell’art. 2112 il
contratto di cessione dell'azienda anche nel caso in cui il cessionario, per le caratteristiche
imprenditoriali ed in base alle circostanze del caso concreto, renda probabile la cessazione
dell'attività produttiva e dei rapporti di lavoro. Si tratta di un principio certamente insidioso, che la
Suprema Corte ha giustificato con l’assenza, sia nella legge n. 223/1991 che nell’art. 2112, di un
precetto che vieti di cedere l'azienda in presenza di situazioni che possano condurre ad una chiusura
dell’impresa.
Sentenza n. 21917 / 2013.
Riguarda il trasferimento di un insieme di attività eterogenee – accomunate da essere
estranee all'attività di produzione e vendita di farmaci - da Pfizer SpA a Siram SpA..
La decisione riprende in sostanza le argomentazioni già svolte dalla Corte di Cassazione
nella sentenza n. 21711/2012, già citata ed interpreta quindi l'art. 2112 codice civile come
modificato nel 2003 alla luce della normativa europea. Pertanto, la Corte ha nuovamente
confermato che un ramo d'azienda deve essere “un'entità economica organizzata in modo stabile e
non destinata all'esecuzione di una sola opera ovvero di un'organizzazione quale legame funzionale
che renda l'attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati.”
Sentenza n. 8756 / 2014.
Riguarda il trasferimento del ramo d’azienda della gestione immobili da Telecom Italia SpA
a Pirelli Real Estate Property Management SpA..
La Corte d’Appello di Roma aveva considerato che il trasferimento di ramo d’azienda non
rispondesse alle previsioni dell’art. 2112 codice civile, in quanto
“nessuna prova specifica era stata però offerta da parte della Telecom sugli elementi significativi
per affermare l'autonomia organizzativa e funzionale del Property Management: in particolare non
era stata specificata
 la dotazione organica di personale assegnata alla divisione;
 l’esistenza di una eventuale autonoma direzione del personale medesimo che sovrintendesse
a turnazioni, orari, sostituzioni, ferie e quant'altro;
 l'eventuale nucleo di personale manageriale addetto alla pianificazione della attività della
struttura, alla realizzazione di essa, ad impartire le direttive al personale addetto ed al
controllo di esso;
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 l'assegnazione di un autonomo budget; l'assegnazione di una sede autonoma ovvero di uffici
distinti e separati da quelli di altre strutture;
 l'assegnazione esclusiva di beni strumentali, attrezzature e programmi informatici.
A ben vedere (…) emergeva semplicemente la cessione di un servizio e di un certo numero di
dipendenti addetti ad esso.”
La Cassazione ha rigettato il ricorso di Telecom e Pirelli, confermando la sentenza della
Corte d’Appello. Anche in questo caso la Suprema Corte ha confermato che:
“l'art. 2112 c.c., presuppone che vengano trasferiti, nella loro funzione unitaria e strumentale,
beni materiali destinati all'esercizio dell'impresa, ovvero strutture a tal fine organizzate (cfr., ex
plurimis, Cassazione nn. 18385/2009; 13270/2007; 10193/2002; 20012/2005); ciò in quanto,
seppure un'azienda (o un ramo d'azienda) possa comprendere anche beni immateriali, non può
tuttavia ridursi solo ad essi (….).
Peraltro, anche laddove i beni immateriali assumano
preponderante rilevanza, è d'uopo (…) che il ramo d'azienda trasferito sia caratterizzato
dall'organizzazione e dal coordinamento, in modo stabile, di dipendenti la cui capacità operativa
sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how, o, comunque, dall'utilizzo di
copyright, brevetti, marchi, o altro (cfr. Cassazione n. 5678/2013).
Sentenza n. 9461 / 2014.
Riguarda il trasferimento del ramo d’azienda della gestione amministrativa del personale da
Telecom Italia SpA a Tele Payroll Services S.p.A. .
In questo caso, la Cassazione ha considerato tale trasferimento coerente con le previsioni
dell'art. 2112 codice civile. Questo per il motivo che ramo era preesistente alla cessione (sin dal
1999) e disponeva di una propria organizzazione di beni e persone finalizzate alla fornitura di
servizi per finalità produttive.
Sentenza n. 11832 / 2014.
Riguarda il trasferimento del ramo d’azienda della gestione e manutenzione di strutture
informatiche e dell'assistenza tecnica da Telecom Italia SpA a Hewelett Packard DCS S.R.L..
La Cassazione ha escluso che tale operazione possa rientrare nelle previsioni dell'art. 2112
codice civile: si tratta infatti di un complesso di servizi che dopo il trasferimento restano
disomogenei per funzioni svolte e professionalità coinvolte, non integrati fra loro e privi di
coordinamento unitario.
La sentenza ha considerato irrilevante la mera decisione della società cedente di unificare
alcuni beni e lavoratori; tale decisione non vale da sola a dimostrare la preesistenza del ramo
d'azienda e pertanto è in contrasto con le norme della direttiva europea n. 23/2001. Tale passaggio
interpretativo è assai significativo, perché si pone in continuità con la consolidata giurisprudenza
della Cassazione italiana, senza che appaia un revirement dopo la sentenza del 6 marzo 2014,
C458/12 della Corte di Giustizia Europea.
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Dopo aver tratteggiato queste 13 recenti sentenze della Cassazione, si può giungere alla
conclusione che secondo l'attuale giurisprudenza, si è in presenza di trasferimento di ramo d'azienda
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genuino e per il quale è applicabile l'art. 2112 codice civile quando nel ramo trasferito si riscontrano
i seguenti elementi:
 la preesistenza al trasferimento (e non si tratti di una struttura creata ad hoc in occasione del
trasferimento);
 la presenza di una realtà produttiva dotata di organizzazione stabile e autonomia funzionale,
che renda l'attività dei lavoratori capace di produrre beni e servizi determinati;
 l’autonomia deve intendersi dal punto di vista amministrativo e commerciale;
 l'esatta identificazione degli elementi materiali e/o immateriali oggetto di trasferimento e
con le caratteristiche di cui al punto precedente;
 il mantenimento della propria identità in occasione del trasferimento;
 è possibile che il ramo possa essere "smaterializzato" o "leggero", costituito in prevalenza da
rapporti di lavoro organizzati per lo svolgimento di un'attività economica; ma deve essere
comunque un ramo autonomo e deve avere il requisito del mantenimento dell’identità in
occasione del trasferimento;
 non è necessario che l’impresa cessionaria presenti sin dall’inizio una situazione tale da far
prevedere la capacità di continuare l’attività ceduta;
 una volta accertato che il ramo d'azienda risponde ai requisiti di cui all'art. 2112, resta tale
anche nel caso in cui la motivazione del trasferimento consista nell'intento di superare uno
stato di difficoltà economica.
4. Altre tematiche relative al trasferimento d'azienda affrontate dalla giurisprudenza.
Abbiamo visto come l'identificazione del ramo d'azienda rilevante ai sensi dell'art. 2112
codice civile deriva da una complessa elaborazione della giurisprudenza. Tuttavia, la figura
giuridica del trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda è stata affrontata dai giudici del lavoro
sotto numerosi e diversi aspetti, con la conseguente creazione di una vasta elaborazione
giurisprudenziale, che andiamo ad esaminare nelle diverse tematiche
La cessione del rapporto di lavoro e il trattamento economico e normativo.
Un primo punto fermo stabilito dalla giurisprudenza in tema di cessione del rapporto di
lavoro è l'irrilevanza del consenso del lavoratore alla cessione stessa: ciò fu stabilito già dalla Corte
di Cassazione con sentenza n. 15105 / 2002, relativa alla vicenda di Ansaldo Servizi e già citata
nelle pagine precedenti.
Successivamente, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2609/2008, aveva stabilito che la
cessione del rapporto di lavoro nell'ambito di un trasferimento di ramo d'impresa comporta il
mantenimento dell'anzianità maturata dal lavoratore presso l'impresa cedente.
Infine, appare di notevole rilevanza la sentenza della Corte di Cassazione n. 5882/2010.
Tale sentenza riguarda la fusione per incorporazione della Banca Popolare di Paterno nel Credito
Emiliano: tuttavia, ricordiamo come l'art. 2112 codice civile preveda l'applicazione della normativa
sul trasferimento di azienda anche alle fusioni. In particolare, la causa riguardava il ricorso di un
lavoratore che richiedeva il mantenimento del superminimo salariale individuale e del premio di
rendimento come disciplinati dalla normativa aziendale della Banca Popolare di Paterno.
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La Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato. La premessa posta dalla Corte è che il
premio di rendimento è riconducibile alla contrattazione integrativa aziendale, mentre il
superminimo individuale ad un uso aziendale.
Fatte queste premesse, la tesi sostenuta nella sentenza si sviluppa dalla previsione dell'art.
2112, secondo cui in caso di trasferimento d'azienda o di ramo d'azienda, ai lavoratori ceduti si
applica la contrattazione collettiva già in vigore presso l'impresa cedente soltanto nel caso in cui
presso il cessionario non vi sia un contratto collettivo di pari livello; in caso contrario si applica la
contrattazione collettiva in uso presso l'impresa cessionaria, fatti salvi i diritti quesiti. Ne consegue,
che nel caso di specie, deve essere applicata la contrattazione collettiva in uso presso l'impresa
cessionaria (il Credito Emiliano) anche se questa prevede un premio di rendimento più basso
rispetto a quello previsto dal contratto aziendale della Banca Popolare di Paterno.
Per quanto riguarda gli usi aziendali – vale a dire i comportamenti unilaterali e consolidati
adottati dal datore di lavoro, migliorativi dei contratti collettivi - la Corte ha ritenuto che essi
agiscano sul rapporto di lavoro allo stesso modo dei contratti collettivi. Ne consegue che seguono
la sorte dell'intera contrattazione collettiva in uso presso l'azienda cedente, nei suoi diversi livelli:
anche gli usi aziendali sono sostituiti da quelli adottati dall'azienda cessionaria, senza che sia
applicabile l'art. 2077 codice civile.
La procedura sindacale.
In ordine alla procedura sindacale, si può citare la sentenza della Corte di Cassazione n.
12573/2006 ha stabilito che sono possibili accordi sindacali transattivi anche al di fuori della
consultazione sindacale prevista dalla legge n. 428/1990 e che rechino una deroga alla continuità dei
rapporti di lavoro. Tali accordi possono prevedere la costituzione di nuovi rapporti di lavoro in capo
all'impresa cessionaria e sono vincolanti per i lavoratori iscritti ai sindacati firmatari dell'accordo
stesso.
Condotta antisindacale.
Sono da segnalare alcune sentenze che hanno affrontato il mancato adempimento
dell’obbligo d’informazione per iscritto alle rappresentanze sindacali costituite nelle unità
produttive interessate, obbligo previsto dall’art. 47 della legge 428/1990. Sul punto si sono espresse
le sentenze della Corte di Cassazione n. 23/2000 e n. 17072/2005; la sentenza del Tribunale di
Milano 14/1/2003; le sentenze del Tribunale di Roma 29/12/2005 e 14/1/2010. Tutte queste
sentenze hanno rilevato come tale violazione dell’obbligo d’informazione costituisca condotta
antisindacale; tuttavia hanno negato che ciò potesse determinare la nullità del contratto di cessione
d’azienda; al più determina la temporanea inefficacia della cessione per il tempo necessario a
rinnovare la procedura.
Altre sentenze hanno invece affrontato il caso in cui l’impresa ha dato l’informazione ai
sindacati, ma in forma incompleta o generica. Le sentenze della Corte d’Appello di Milano
11/5/2001 e del Tribunale di Arezzo del 11/2/2008 hanno escluso che ciò possa essere
configurabile come condotta antisindacale, purché tale vizio sia sanato nella successiva fase di
consultazione.
I licenziamenti.
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La Cassazione in ordine agli effetti del trasferimento di azienda o di ramo d’azienda sui
licenziamenti individuali verificatisi nelle more del trasferimento, ha applicato il principio del
subentro del cessionario in tutte le posizioni attive e passive del cedente.
In particolare, la Corte di Cassazione, con le due sentenze n. 15678/2006 e n. 8641/2010, ha
affrontato il caso di un licenziamento intimato dall'azienda cedente, prima del perfezionarsi della
cessione. In base al principio sopra citato, il lavoratore ha l'onere d impugnare il licenziamento nei
confronti del nuovo datore di lavoro e secondo i termini previsti dalla legge n. 604 1966; la
procedura di licenziamento sarà continuata dall'impresa cessionaria in qualità di nuovo datore di
lavoro.
Un caso parzialmente diverso è stato esaminato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n.
20221/2007: si trattava di un licenziamento intimato dall'azienda cessionaria, ma riguardante fatti
avvenuti presso l’azienda cedente prima del perfezionarsi della cessione. Applicando lo stesso
principio, la Cassazione ha confermato la legittimità della procedura di licenziamento.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4130 / 2014, ha poi esaminato il caso di un
lavoratore illegittimamente licenziato prima del trasferimento di azienda. Secondo la Suprema
Corte, se il licenziamento è stato annullato con sentenza intervenuta tra le parti originarie del
rapporto, il rapporto di lavoro continua con il cessionario dell'azienda. Resta salva la possibilità per
il cessionario di opporre le eccezioni relative al rapporto di lavoro, alle modalità della sua
cessazione o alla tutela applicabile al cedente avverso il licenziamento, a prescindere dalle difese
spiegate da quest'ultimo e dalla formazione del giudicato nei suoi confronti ed in favore del
lavoratore.
5. L'art. 17 del CCNL del credito del 2012.
Il CCNL delle aziende di credito del 2012 prevede all’art. 17 una procedura sindacale per i
casi di ristrutturazione, riorganizzazione e trasferimento di azienda. In realtà, l’articolo –
nonostante la rubrica – riguarda soprattutto i primi due casi, mentre è di modestissima rilevanza in
ordine ai trasferimenti di azienda.
La procedura sindacale si avvia dopo la decisione aziendale di attuare le operazioni di cui
sopra. In primo luogo, è prevista un’informativa scritta circa i motivi della ristrutturazione e/o
riorganizzazione; le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; le eventuali
misure previste per i lavoratori. L’informativa è dovuta anche nel caso di trasferimento del
pacchetto azionario di controllo, al fine di una valutazione congiunta con i sindacati in ordine a
possibili ricadute sul personale e all’eventuale avvio della trattativa. Emerge quindi come si tratti di
una procedura che trova larga applicazione.
Quindi, si apre una prima fase di trattativa fra la banca e gli organismi sindacali aziendali,
avente per oggetto le ricadute sulle condizioni di lavoro, che deve esaurirsi entro 15 giorni dopo
l’informativa. Se non si giunge ad un accordo, è poi prevista una seconda fase di trattativa di
ulteriori 30 giorni. A questo punto, o le parti raggiungono un accordo oppure – in mancanza di
accordo – la banca procede comunque con la prevista riorganizzazione.
19
L’art. 17 , per quanto riguarda invece i trasferimenti di azienda, si limita a rinviare alla
disciplina di legge a prescindere dal numero dei dipendenti delle aziende coinvolte; lo stesso
articolo non fa cenno alcuno ai trasferimenti di ramo d’azienda.
Infine, è previsto che durante le procedure indicate nell’articolo, le parti si dovranno astenere
da “ogni iniziativa unilaterale e da ogni azione diretta.” Ciò significa in particolare l’astensione da
iniziative di sciopero.
E' necessario ricordare come la piattaforma per il rinnovo del Contratto Nazionale del
Settore del Credito - presentata dai sindacati il 27 marzo 2014 – richieda un notevole ampliamento
delle tutele di cui all'attuale art. 17; in particolare, si richiede che:
 l'informativa ai sindacati venga attuata sempre e non solo in caso di ristrutturazione
rilevante;
 la sussistenza dei requisiti richiesti per la cessione di ramo d'azienda va verificata
preventivamente;
 la durata della procedura venga aumentata da 30 a 60 giorni;
 la trattativa dovrà affrontare anche gli interventi alternativi alla cessione del personale;
 in caso di mancato accordo aziendale, la trattativa dovrà continuare in sede ABI;
 vengano indicati i requisiti minimi delle garanzie a favore dei lavoratori interessati alla
cessione, con particolare riferimento al welfare di settore.
Tale rafforzamento delle garanzie contrattuali è richiesto al fine di limitare le
esternalizzazioni e la conseguente dispersione di posti di lavoro e di professionalità, anche al fine di
mantenere il perimetro dell'area contrattuale.
6.1 Esempi di trasferimenti d'azienda e di rami d'azienda nel settore del credito: i relativi
accordi sindacali presso Intesa San Paolo.
Presso INTESA SANPAOLO si possono identificare alcune tipologie di accordi: cessioni di
filiali sia all’interno del gruppo bancario che al di fuori del gruppo bancario; cessioni nell’ambito
delle cosiddette “società prodotto” (in particolare quelle del settore previdenza), cessioni di uffici
centrali dalla capogruppo alla società ISGS. Un discorso a parte va fatto per la vicenda di Intesa S.
Paolo Servizi Transnazionali.
Iniziamo con il caso più semplice, rappresentato dagli accordi relativi alle cessioni di filiali
fra banche all’interno del gruppo bancario. Fra il 2008 ed il 2010 sono stati siglati una decina di
accordi, derivanti dalla ripartizione delle diverse banche del gruppo sul territorio nazionale – senza
sovrapposizioni – e della conseguente redistribuzione delle filiali fra le banche 4.
4
Si possono citare i seguenti accordi di cessione di filiali: da Intesa S.Paolo a Banco di Napoli, 24-9-2008; da
Intesa S.Paolo a Cassa di Risparmio del Veneto, 10-9-2008; da Intesa S.Paolo a Cassa di Risparmio di Bologna
e Cassa di Risparmio della Romagna, 9-2-2009; da Intesa S.Paolo a Banca dell’Adriatico, Banca Trento
Bolzano, Cassa di Risparmio del Veneto, Cassa di Risparmio di Venezia, 9-7-2009; da Banca di Trento e
Bolzano a Intesa S.Paolo Private Banking, 3-2-2010; da Intesa S.Paolo a Banca di Trento e Bolzano, Cassa di
Risparmio del Veneto, 29-4-2010; fra Intesa S.Paolo, Cassa di Risparmio di Bologna, Cassa di Risparmio di
20
Tali accordi di cessione, tutti molto simili fra loro, sono successivi agli accordi di
armonizzazione siglati nell’ambito del gruppo bancario.
Pertanto, la cessione è avvenuta non solo nell’ambito dello stesso CCNL, ma anche in un
quadro di normativa aziendale già in gran parte unificata; gli accordi si sono limitati ad alcune
deroghe riguardanti il mantenimento dei trattamenti migliorativi già presenti presso le banche
cedenti, per lo più in materia di:
-
figure professionali, percorsi di carriera, inquadramenti;
contratto a tempo parziale;
previdenza complementare;
assistenza sanitaria integrativa;
condizioni creditizie agevolate;
premi di fedeltà.
*******
Passiamo ora al caso degli accordi relativi alle cessioni di filiali da banche del Gruppo Intesa
S. Paolo a banche di altri gruppi. Le cessioni derivano in parte da imposizioni dell'Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato, che dopo le varie fusioni aveva riscontrato posizioni dominanti, in
parte da scelte di opportunità di commerciale 5.
Tali accordi di cessione di filiali - simili fra loro - sono avvenuti nel settore del credito con
l’ovvia conseguenza che il CCNL di riferimento è sempre il medesimo, quello del credito.
Per quanto riguarda le normative e gli accordi aziendali valgono invece quelli delle banche
cessionarie, ai sensi dell'art. 2112 codice civile, con le deroghe migliorative - per lo più a carattere
temporaneo – previste dagli accordi.
Tali deroghe – a titolo indicativo - riguardano:
-
5
Automatismi di carriera;
Trattamento economico complessivamente più favorevole;
Percorsi professionali;
Mantenimento delle mansioni svolte presso la banca cedente o attribuzione di mansioni
equivalenti;
Possibilità per il solo personale che al momento della cessione abbia aderito o intenda
aderire agli esodi incentivati, di permanere nella sanità integrativa del Gruppo Intesa S.
Paolo, sino alla pensione ed anche successivamente, come personale in quiescenza;
Firenze, Cassa di Risparmio di Pistoia, altre ancora, 19-7-2010; da Cassa di Risparmio di Firenze a Intesa
S.Paolo Private Banking, 28-9-2010.
Si possono citare i seguenti accordi di cessione di filiali: da Intesa S.Paolo a Banca Friuladria, 2-5-2007; da
Intesa S.Paolo a Cassa di Risparmio di Parma, 18-6-2007; da Gruppo Intesa S.Paolo a Banca Popolare di Bari,
7-2-2008; da Gruppo Intesa S.Paolo a Veneto Banca, 7-2-2008; da Gruppo Intesa S.Paolo a Banca Popolare
dell’Alto Adige, 8-2-2008; da Intesa S.Paolo a Gruppo Credito Valtellinese, 9-2-2008; da varie banche del
Gruppo Intesa S.Paolo a Cassa di Risparmio di Genova, 25-2-2008 e 4-4-2008; da Intesa S.Paolo a Banco di S.
Giorgio, 5-2-2009; da varie banche del Gruppo Intesa S.Paolo a Cassa di Risparmio di Orvieto, 18-2-2009; da
varie banche del Gruppo Intesa S.Paolo a Cassa di Risparmio di Parma e Banca Friuladria, 13-1-2011.
21
-
Limitazioni ai trasferimenti;
Mantenimento dei contratti a tempo parziale in essere al momento della cessione;
Ulteriori giornate di festività;
Buoni pasto;
Trattamento di pendolarismo;
Borse di studio;
condizioni creditizie agevolate.
*******
Una realtà più complessa emerge dagli accordi che hanno interessato il cosiddetto “polo
previdenza” – incentrato sulle società Fideuram e Eurizon - del gruppo Intesa S. Paolo.
Dapprima, con l’accordo 26 aprile 2006 (prima della fusione fra Intesa e S. Paolo) viene
conferito a Universo Servizi un insieme di attività già facenti capo a Fideuram: information
technology, back office, call center, servizi generali, gestione immobili.
-
Tale accordo prevede a favore dei lavoratori ceduti il mantenimento di quanto segue:
il CCNL del credito sino al 30/6/2007 (poi prorogato al 31/12/2007);
le normative aziendali di Fideuram;
la disciplina economica vigente al momento del conferimento;
i percorsi professionali già in essere;
le condizioni creditizie agevolate;
l’iscrizione ai fondi pensione di competenza.
E’ da segnalare una clausola di salvaguardia, della durata di 10 anni. In caso di uscita di
Universo Servizi dal Gruppo S. Paolo IMI, qualora si verificassero eccedenze di personale, queste
verrebbero ricollocate presso la capogruppo o altre società del gruppo.
Il successivo accordo 26 febbraio 2007 (dopo la fusione fra Intesa e S. Paolo) ha esteso il
precedente accordo al trasferimento di analogo ramo di azienda da Eurizon Capital (altra società del
“polo previdenza”) a Universo Servizi.
L’accordo 20 dicembre 2007 è successivo alla trasformazione di Universo Servizi in Eurizon
Solutions. Tale accordo riguardava lo scorporo di tale società in diversi rami di azienda ed il
conferimento degli stessi a varie società del gruppo (Banca Fideuram, Eurizon Capital, Eurizon
Vita) ed alla stessa Intesa S. Paolo.
L’accordo prevede l’applicazione dei CCNL in uso presso le società cessionarie (CCNL
credito oppure CCNL assicurazioni); per il resto è conforme ai due accordi precedenti.
*******
Passiamo ora agli accordi 23-1-2009 e 3-8-2012, relativi alle cessioni di numerosi uffici di
sede centrale di Intesa S. Paolo a Intesa S. Paolo Group Service (in breve ISGS), società consortile
creata a seguito dell’abrogazione del regime di esenzione dall’IVA per le prestazioni di carattere
ausiliario rese nell’ambito dei gruppi bancari.
22
Gli uffici centrali coinvolti da tale cessione sono numerosi e con compiti assai diversi fra
loro. Allo stato attuale, fra gli altri, vi sono le strutture che seguono la banca telefonica, la gestione
immobili, i sistemi informatici, la comunicazione interna, gli affari legale, il recupero crediti, gli
acquisti; inoltre ISGS dispone di una propria struttura di gestione del personale e di organizzazione.
La struttura di tali accordi è decisamente garantista a favore dei lavoratori. Infatti, la
struttura degli accordi prevede non solo l’applicazione del CCNL del credito – ISGS è iscritta
all’ABI – ma anche l’applicazione di tutte le normative e gli accordi vigenti tempo per tempo nella
capogruppo Intesa S. Paolo.
Sono poi previste due clausole di salvaguardia occupazionale. La prima clausola, riguarda il
caso di operazioni societarie (conferimento, cessione, scorporo ecc.) riguardanti anche solo
parzialmente ISGS, il personale interessato rientrerà nella capogruppo Intesa S. Paolo. La seconda
clausola, riguarda invece il caso di un mutamento legislativo che intervenga sulle questioni fiscali
all’origine della costituzione di ISGS, facendo venire meno la ragione di ISGS medesima. In tale
situazione, Intesa S. Paolo riprenderà in carico sia le attività che i lavoratori conferiti a ISGS.
E’ da rimarcare come le citate clausole di salvaguardia abbiano una durata illimitata.
*******
Un particolare approfondimento è necessario per la complessa vicenda di Intesa S. Paolo
Servizi Transnazionali.
La vicenda si era aperta con una comunicazione – in data 22 dicembre 2009 – da parte di
Intesa S. Paolo e Intesa S. Paolo Group Services (in breve: ISGS) alle organizzazioni sindacali.
Tale comunicazione delineava una riorganizzazione aziendale in più fasi: rientro di una parte dei
dipendenti di ISGS nella capogruppo, ricollocazione degli stessi presso una società di nuova
costituzione denominata Intesa S. Paolo Servizi Transnazionali (in breve : ISST) , vendita del
relativo pacchetto azionario alla State Street Corporation.
Contro tale ristrutturazione aziendale, i sindacati FABI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UILCA,
DIRCREDITO, SILCEA, SINFUB, hanno presentato ricorso ai sensi dell’art. 28 legge 300/1970: il
Tribunale di Torino, con decreto del 19 gennaio 2010, ha stabilito che la riorganizzazione
prospettata dalla Banca rappresentasse una condotta antisindacale. Il Tribunale ha osservato come la
vicenda oggetto della vertenza sia strettamente connessa al precedente accordo sindacale del 23
marzo 2009, che aveva portato alla creazione di ISGS ed al tempo stesso aveva fissato precise tutele
a favore dei lavoratori coinvolti nello scorporo del ramo d’azienda: mantenimento dei trattamenti
normativi e retributivi in essere al momento della cessione e garanzia che ogni modifica relativa alla
società cessionaria avrebbe determinato il rientro dei lavoratori interessati nella capogruppo. Il
Tribunale ha sottolineato l’impegno sindacale per convincere i lavoratori della serietà delle tutele
stabilite nell’accordo del 23 marzo 2009, ed ha osservato altresì come la successiva operazione
incentrata sulla costituzione di ISST rappresenti un aggiramento proprio di quell’accordo e di
conseguenza “equivale a svilire il ruolo delle organizzazioni sindacali quali credibili controparti
contrattuali” qualificandosi così come condotta antisindacale.
23
Dopo questa importante vittoria sindacale, sono riprese le trattative con la Banca, che si sono
concluse con l’accordo dell’11 marzo 2010, che si pone in un’ottica di continuità e conferma delle
garanzie fissate appena un anno prima.
Così il nuovo accordo ha stabilito per i lavoratori ceduti a Intesa S. Paolo Servizi Transnazionali
quanto segue:
il mantenimento dei trattamenti normativi e retributivi in essere al momento della
cessione;
la conservazione dell’inquadramento acquisito e per quanto possibile delle stesse
mansioni o di mansioni equivalenti;
il mantenimento dell’iscrizione alla Cassa Assistenza sino al 31-12-2010;
successivamente ISST e le Organizzazioni Sindacali s’impegneranno a definire le nuove
modalità di assistenza sanitaria integrativa valide a decorrere dal 1°-1-2011 ferme
restando le contribuzioni del datore di lavoro;
il mantenimento dell’iscrizione alle forme di previdenza complementare sino al 31-122010; successivamente ISST e le Organizzazioni Sindacali s’impegneranno a individuare
un nuovo fondo di riferimento presso il quale, a decorrere dal 1°-1-2011, confluiranno le
contribuzioni;
il mantenimento – tramite apposita convenzione - delle condizioni agevolate in materia
di finanziamenti e mutui esistenti presso Intesa S. Paolo;
la conservazione dei contratti di lavoro a tempo parziale esistenti alla data del
conferimento;
l’impegno, della durata di 10 anni , di riassumere presso Intesa S. Paolo o altra società
del gruppo, i dipendenti di ISST in esubero a causa di tensioni occupazionali conseguenti
a perdita di controllo proprietario, vendita o cessione dell’azienda, crisi aziendale,
trasformazione delle attività, rilevanti processi di riorganizzazione e/o ristrutturazione,
chiusura delle sedi di Milano e/o Torino con conseguente trasferimento collettivo dei
lavoratori ad una distanza superiore a 100 chilometri;
la possibilità per i lavoratori di ISST di formulare, nel corso del dicembre 2015, la
richiesta di rientrare presso Intesa S. Paolo o altra società del gruppo, richiesta che Intesa
S. Paolo s’impegna ad accogliere nel corso del 1° semestre del 2017 e che comporterà
l’applicazione delle condizioni retributive e d’inquadramento in essere alla data di
conferimento;
l’impegno di Intesa S. Paolo ad intervenire nei confronti della società che acquisirà ISST
a procedere all’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori conferiti a ISST con
contratto a tempo determinato;
qualora l’ipotesi di cui sopra non sia praticabile, subentra l’impegno di Intesa S. Paolo ad
assumere presso la capogruppo o presso altre società del gruppo i lavoratori medesimi
purché non presentino evidenze gestionali negative e non abbiano ricevuto o abbiano
rifiutato una proposta di assunzione presso ISST o società italiane del gruppo State
Street.
6.2 Esempi di trasferimenti d'azienda e di rami d'azienda nel settore del credito: i relativi
accordi sindacali presso UNICREDIT.
24
Per quanto riguarda UNICREDIT, lo strumento del trasferimento dei rami d’azienda è stato
largamente utilizzato, in diversi contesti e con modalità articolate; ci limiteremo ad esaminare una
campionatura dei relativi accordi sindacali.
Per chiarezza logica, è opportuno iniziare dal cosiddetto “progetto S3”. Tale progetto
prevedeva in primo luogo – entro il 30 giugno 2002 - la fusione per incorporazione nella
capogruppo UNICREDITO delle diverse banche del gruppo: Cassa di Risparmio di Torino, Cassa
di Risparmio di Verona Vicenza Belluno Ancona, Cassa di Risparmio della Marca Trevigiana,
Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, Cassa di Risparmio di Trieste, Rolo Banca 1473. In
secondo luogo, il progetto prevedeva – entro il 31 dicembre 2002 – che la nuova banca creata con la
fusione delle precedenti e denominata UniCredit Banca, fosse suddivisa in tre banche ciascuna con
un segmento di mercato di riferimento: retail, private, corporate. Tale suddivisione è avvenuta per
mezzo del trasferimento dei corrispondenti rami d’azienda. Anticipiamo da subito come tale
suddivisione sia stata poi superata nel 2010, con il ritorno ad una banca unica.
Il trasferimento dei rami d’azienda relativi alle tre banche retail, private, corporate è stato
disciplinato da un protocollo e da un’intesa sindacale entrambe in data 18-6-2002 e poi da un
accordo finale del 13-12-2002. Ovviamente restava valido per tutte le banche coinvolte il CCNL
del settore credito. Gli accordi di fusione prevedevano la cessazione degli effetti di tutti i contratti e
gli accordi delle aziende originarie, con alcune eccezioni:
mantenimento delle maggiorazioni retributive sotto forma di assegno ad personam;
mantenimento di alcune indennità sino al cessare del corrispondente incarico;
unificazione dei buoni pasto;
adozione del sistema d’inquadramenti e relativa struttura organizzativa presso il Credito
Italiano, peraltro accompagnata dalla creazione di una commissione per ridefinire gli
inquadramenti;
validità del servizio prestato presso le banche originarie agli effetti dei premi di fedeltà.
Dopo l’unificazione, la scissione in tre banche (retail, private, corporate) è poi avvenuta
applicando alla generalità dei lavoratori il contratto e gli accordi aziendali vigenti presso UniCredit
Banca. Quindi, la sequenza di operazioni societarie e accordi sindacali ha prodotto a tutti gli effetti
una situazione di unificazione contrattuale.
*******
Dopo la fusione di CAPITALIA in UNICREDIT, nel 2008, a seguito di quanto stabilito
dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, si diede corso alla vendita di circa 180 filiali
a 12 diverse banche 6, attuati in forma di trasferimento di ramo d’azienda.
Fermo restando il CCNL del Credito, i relativi accordi sindacali – complessivamente simili
fra loro – prevedevano l’applicazione delle normative e degli accordi in vigore presso le banche
cessionarie, con alcune eccezioni, riguardanti fra l’altro:
norme transitorie in materia di automatismi di carriera;
mantenimento delle mansioni, per quanto possibile;
6
Le 12 banche erano le seguenti: Banca Popolare di Milano, Credito Emiliano, Banca Popolare dell’Emilia
Romagna, Banca CARIGE, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca Agricola Popolare di Ragusa,
Banca Popolare di S. Angelo, BCC San Giuseppe di Petralia Sottana, BCC di Lercara Friddi, BCC Don Rizzo,
BCC di Sambuca, BCC G. Toniolo di San Cataldo.
25
-
mantenimento delle maggiorazioni retributive sotto forma di assegno ad personam;
mantenimento di alcune indennità per un periodo transitorio;
limitazioni ai trasferimenti per un periodo transitorio;
mantenimento dei contratti a tempo parziale in essere al momento della cessione.
*******
Passiamo al caso più complesso del trasferimento di ramo d’azienda, riguardante i servizi di
banca depositaria, che coinvolgevano circa 380 lavoratori.
Nel 2005-2006 si diede corso alla cessione dei relativi rami d’azienda provenienti da
UniCredito Italiano, UniCredit Produzioni Accentrate (UPA) e Pioneer Investment Management;
tali rami confluirono in una nuova società denominata 2S Banca. Tale società manteneva
l’iscrizione all’ABI e di conseguenza applicava ai lavoratori il CCNL del credito. L’aspetto di
rilievo era rappresentato dall’uscita dal gruppo UniCredit, in quanto il relativo pacchetto azionario
fu trasferito a Société Générale, perfezionando altresì un contratto di appalto come fornitore unico.
L’accordo sindacale sul trasferimento dei rami d’azienda a 2S Banca fu firmato il 30/6/2006.
Ferma l’applicazione del CCNL del credito, l’accordo prevedeva fra l’altro per i lavoratori di 2S
Banca:
il mantenimento degli accordi aziendali in vigore presso UniCredito Italiano;
il mantenimento delle maggiorazioni retributive sotto forma di assegno ad personam;
una normativa specifica sugli inquadramenti di alcune figure professionali.
L’accordo prevedeva una duplice clausola di salvaguardia, che rivedremo anche in altri
accordi di cui daremo conto nelle pagine seguenti. In primo luogo, l’accordo prevedeva il caso di
tensioni occupazionali derivanti da vicende societarie, crisi aziendali, processi di ristrutturazione,
attribuendo ai lavoratori che non fossero ricollocabili, il diritto alla riassunzione nel Gruppo
UniCredit. I lavoratori avrebbero mantenuto il livello di inquadramento, retribuzione e anzianità
maturato; verranno assegnati, compatibilmente con le esigenze organizzative, nell’ambito
territoriale di provenienza. Tale clausola aveva efficacia per la durata di 5 anni dalla firma
dell’accordo.
In secondo luogo, in caso di tensioni occupazionali derivanti da recesso unilaterale o da
mancato rinnovo da parte di UniCredito Italiano del contratto di servizio stipulato con 2S Banca, i
lavoratori non ricollocabili sarebbero assunti nel Gruppo UniCredit - sempre con il livello di
inquadramento, retribuzione e anzianità maturato - ed assegnati, compatibilmente con le esigenze
organizzative, nell’ambito territoriale di provenienza. Tale clausola aveva efficacia per la durata del
primo contratto di servizio stipulato con 2S Banca.
*******
Un diverso e più complesso filone di trasferimenti di rami d’azienda, riguarda i servizi di
back office e i servizi informatici.
Una prima tappa è rappresentata da due distinti conferimenti attuati nel 2001 dalle diverse
banche del gruppo (UniCredito Italiano, Cassa di Risparmio di Torino, Cassa di Risparmio di
Verona Vicenza Belluno Ancona, Cassa di Risparmio della Marca Trevigiana, Cassa di Risparmio
di Trieste, Rolo Banca 1473) dei rami d’azienda dei servizi di back office e dei servizi informatici a
26
due società di nuova costituzione: UniCredit Produzioni Accentrate (UPA) e UniCredit Servizi
Informatici (USI).
Le due società erano entrambe controllate da UniCredito, aderivano all’ABI ed applicavano
pertanto ai lavoratori il CCNL del settore del credito. Per il resto, l’accordo sindacale del 13/1/2001
prevedeva l’applicazione delle normative e degli accordi in vigore presso le società cessionarie, con
alcune eccezioni, riguardanti fra l’altro il mantenimento delle maggiorazioni retributive sotto forma
di assegno ad personam.
Inoltre, l’accordo stabiliva una duplice clausola di salvaguardia occupazionale. La prima era
valida in caso di tensioni occupazionali derivanti da vicende societarie, crisi aziendali, processi di
ristrutturazione, attribuendo ai lavoratori non ricollocabili, il diritto alla riassunzione presso la banca
d’origine o altra del gruppo, possibilmente nelle stessa provincia. Tale clausola non prevedeva un
limite di durata. La seconda clausola era un’estensione della precedente e valeva in caso di tensioni
occupazionali emerse dopo la cessione di UPA e USI a società non bancarie estranee al gruppo,
entro un limite di 5 anni dalla cessione delle due società in questione .
Con successivi passaggi societari, UPA e USI hanno dato vita prima a UniCredit Business
Partners (UCBP) e poi a UniCredit Business Integrated Solutions (UBIS). Non ci soffermiamo su
questi passaggi intermedi e ci limitiamo a precisare che tali società di servizi facevano comunque
parte del gruppo UNICREDIT come controllate, erano iscritte all’ABI ed applicavano il CCNL del
credito.
Invece, in considerazione della particolare importanza che rivestono, passiamo ai tre
seguenti accordi riguardanti scorpori di rami d’impresa dalla società di servizi UBIS a società
esterne:
-
cessione del ramo d’azienda gestione risorse umane da UBIS UniCredit Business
Integrated Solutions a Enterprises Services Shares Services Center, 27-4-2012;
-
cessione del ramo d’azienda servizi di back office da UBIS UniCredit Business
Integrated Solutions a Accenture Back Office and Administration Services, 12-4-2013;
-
cessione del ramo d’azienda ulteriore servizi informatici da UBIS UniCredit Business
Integrated Solutions a Value Transformation Services, 5-9-2013.
Questi accordi, che hanno coinvolto complessivamente circa 650 dipendenti, hanno diversi
punti in comune. Innanzitutto, occorre premettere che la cessione è avvenuta a favore di società di
nuova costituzione, nelle quali UBIS ha mantenuto solo una partecipazione del 49% mentre la
partecipazione del 51% è andata a società – rispettivamente: Hewlett Packard, Accenture, IBM –
estranee non solo al gruppo UNICREDIT ma estranee addirittura al settore bancario. Fra il Gruppo
UniCredit e le nuove società viene anche stabilito un contratto di fornitura di servizi per la durata di
15 anni.
A fronte di tale situazione societaria, gli accordi prevedono che le società così costituite
s’iscrivano all’ABI ed applicano ai lavoratori – sia quelli provenienti dalla cessione, sia quelli di
nuova assunzione – il CCNL del settore del credito.
27
Inoltre, gli accordi prevedono il mantenimento dei trattamenti salariali migliorativi previsti
dagli accordi di armonizzazione, sotto forma di assegni ad personam. Prevedono altresì varie
deroghe circa l’applicazione di norme degli accordi integrativi (quali buoni pasto e provvidenze per
disabili) ed il mantenimento dei contratti di lavoro a tempo parziale già in essere presso la società
cedente.
Infine, gli accordi stabiliscono una duplice clausola di salvaguardia occupazionale, più
articolata di quella già vista per il caso di UPA e USI. In primo luogo, l’accordo prevede il caso di
tensioni occupazionali derivanti da vicende societarie, crisi aziendali, processi di ristrutturazione,
attribuendo ai lavoratori che non siano ricollocabili, il diritto alla riassunzione in UBIS o altra
Azienda del Gruppo UniCredit. I lavoratori coinvolti mantengono il livello di inquadramento,
retribuzione e anzianità maturato; verranno assegnati, compatibilmente con le esigenze
organizzative, nell’ambito territoriale di provenienza. Tale clausola ha efficacia per la durata di 5
anni dalla firma dell’accordo.
In secondo luogo, in caso di tensioni occupazionali derivanti da recesso unilaterale o da
mancato rinnovo da parte di UBIS del contratto di servizio stipulato con una delle società
cessionarie, i lavoratori non ricollocabili saranno assunti da UBIS o altra Azienda del Gruppo
UniCredit, sempre con il livello di inquadramento, retribuzione e anzianità maturato; verranno
assegnati, compatibilmente con le esigenze organizzative, nell’ambito territoriale di provenienza.
Tale clausola ha efficacia per la durata di 15 anni dalla firma dell’accordo.
6.3 Esempi di trasferimenti d'azienda e di rami d'azienda nel settore del credito: i relativi
accordi sindacali presso Monte dei Paschi di Siena.
Passiamo ora al Monte dei Paschi di Siena, iniziando con un accordo di cessione di ramo
d'azienda costituito da filiali.
Anche in questo caso, si tratta di una cessione derivante dall'imposizione dell'Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato, a fronte di un surplus di filiali venutesi a creare dopo la
fusione con la Banca Antonveneta, filiali – in numero di 50 - che furono vendute alla Cassa di
Risparmio di Firenze.
Il relativo accordo sindacale fu firmato il 22 aprile 2010; come gli altri accordi già esaminati,
prevedeva ovviamente l'applicazione del CCNL del credito ed il mantenimento di varie normative
migliorative in essere presso la banca cedente riguardanti, a titolo di esempio:
maggiorazioni retributive sotto forma di assegno ad personam;
trattamenti economici concessi a seguito di trasferimento, sino alla loro scadenza;
mansioni svolte presso la cedente o assegnazione di mansioni equivalenti;
polizza sanitaria per un periodo transitorio;
le condizioni creditizie agevolate;
contratti a tempo parziale in essere al momento della cessione.
*******
28
Molto più complessa è invece la situazione dei servizi ausiliari, definitasi negli ultimi mesi
del 2013. Dapprima, è stata riorganizzata all'interno della banca la Divisione Attività
Amministrative Contabili Ausiliarie (in breve DAACA), con conseguente avvio in data 15 ottobre
2013 della procedura sindacale ai sensi dell'art. 17 del CCNL. Poco dopo, in data 29 novembre
2013, Monte dei Paschi di Siena ha formalizzato ai sindacati la comunicazione ai sensi dell'art. 47
della legge n. 428/1990 del trasferimento del ramo d'azienda costituito dalla citata DAACA. La
relativa procedura si è chiusa con un accordo sindacale firmato il 21 dicembre 2013, accordo che
peraltro non è stato siglato dalla FISAC/CGIL.
Al momento del trasferimento la DAACA comprende:
 strutture di governo: vendor management, organizzazione e logistica; pianificazione e
controllo costi, risorse umane, service management, controlli e verifiche;
 strutture di linea: attività di assistenza, operatività di rete, attività amministrative e credito,
incassi e pagamenti, monetica, attività ausiliarie, attività contabili;
per un totale di circa 1070 lavoratori.
Il ramo d'azienda è stato trasferito con decorrenza 1° gennaio 2014 ad una società di nuova
costituzione, la Fruendo SRL, partecipata al 60% da Bassilichi SpA ed al 40% da Accenture
Insurance Services SpA, società con la quale Monte dei Paschi di Siena stipulerà un contratto di
appalto.
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Tale accordo è incentrato sui seguenti punti principali:
adesione di Fruendo SRL all'ABI e conseguente applicazione ai lavoratori del CCNL del
credito;
mantenimento degli inquadramenti e dei trattamenti retributivi in essere presso Monte
dei Paschi al momento del passaggio del ramo d'azienda;
cessazione della previsione della sospensione di 6 giornate lavorative annue utilizzando
il fondo di solidarietà;
possibilità per i lavoratori ceduti di restare iscritti ai fondi di previdenza complementare
della banca cedente;
disciplina delle trasferte regolata dal CCNL del credito tempo per tempo vigente;
mantenimento dei contratti a tempo parziale in essere al momento della cessione;
mantenimento della normativa su congedi e permessi in vigore presso la banca cedente;
mantenimento dei conti correnti e dei finanziamenti a condizioni agevolate, presso le
filiali di Monte dei Paschi;
mantenimento degli uffici nelle città ove erano collocati al momento del trasferimento
del ramo d'azienda, per un periodo di 3 anni, al fine di limitare la mobilità territoriale.
La situazione è soltanto in parte simile a quella verificatasi nel gruppo UNICREDIT, con le
tre società di servizi create nel 2012 e 2013. Una prima differenza consiste nel fatto che
UNICREDIT , tramite UBIS, ha mantenuto una partecipazione seppure di minoranza nelle società
di servizi, mentre Monte dei Paschi non ha alcuna partecipazione di capitale nella società Fruendo.
Inoltre, una differenza sostanziale è l'assenza nell'accordo di un impegno da parte di Monte dei
Paschi a riassumere i dipendenti ceduti in caso di tensioni occupazionale: tale lacuna è stata
dirimente nella scelta della FISAC/CGIL di non siglare l'accordo, considerato inadeguato a tutelare i
lavoratori.
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Il successivo trasferimento del ramo d’azienda rappresentato dalla banca on line, è stato
invece condotto con modalità molto diverse rispetto all’operazione Fruendo SRL. La relativa
procedura si è chiusa con un accordo sindacale firmato in data 11 giugno 2014 da tutte le sigle
sindacali compresa la FISAC/CGIL.
La differenza più rilevante e comunque non la sola rispetto alla precedente operazione è
rappresentata dal fatto che il ramo è stato conferito ad una società (la Banca WIDIBA S.p.A.)
interamente partecipata da Monte dei Paschi di Siena.
Tale accordo è incentrato sui seguenti punti principali:
applicazione ai lavoratori del CCNL del credito e degli accordi aziendali tempo per
tempo vigenti in Monte dei Paschi;
mantenimento degli inquadramenti e dei trattamenti retributivi in essere al momento del
passaggio del ramo d'azienda;
possibilità per i lavoratori ceduti di restare iscritti ai fondi di previdenza complementare
della banca cedente;
possibilità per i lavoratori ceduti di restare iscritti alla cassa di mutua assistenza della
banca cedente;
mantenimento dei contratti a tempo parziale in essere al momento della cessione;
conferma dell’applicazione delle misure di contenimento del costo del lavoro (in
particolare le sospensioni lavorative utilizzando il fondo di solidarietà);
dichiarazione delle parti che l’operazione non comporta di per sé mobilità territoriale;
impegno di Monte dei Paschi, in caso di rientro delle lavorazioni cedute nella
capogruppo o in altre società del gruppo, di valutare la possibilità di far rientrare i lavori
ceduti nella capogruppo o in altre società del gruppo, utilizzando l’istituto del distacco.
L’operazione WIDIBA appare quindi come un netto revirement rispetto al precedente
trasferimento di FRUENDO. Non solo la società di nuova costituzione è interamente partecipata
dal Monte dei Paschi – come già evidenziato – ma è stata altresì prevista una clausola di
salvaguardia di durata indeterminata in ordine al caso di rientro delle lavorazioni.
6.4 Esempi di trasferimenti d'azienda e di rami d'azienda nel settore del credito: i relativi
accordi sindacali presso UBI Banca.
Per quanto riguarda UBI Banca, esamineremo tre accordi.
Il più semplice è quello in data 29/11/2007 relativo alla cessione di alcune filiali da Banca
Popolare di Bergamo a Banca Popolare Commercio ed Industria, in ambito infragruppo. Fermo
restando il CCNL del credito, l'accordo prevedeva, fra l'altro le seguenti deroghe migliorative circa
l'applicazione di alcune previsioni in essere presso la cedente:
mantenimento delle maggiorazioni retributive sotto forma di assegno ad personam;
previdenza integrativa;
polizze sanitarie;
automatismi di carriera;
buono pasto.
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Poco dopo, l' 8 /12/2007, fu stipulato l'accordo sindacale relativo al trasferimento di filiali
fra alcune banche del Gruppo UBI alla Banca Popolare di Vicenza, in ottemperanza alle indicazioni
dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Anche in questo caso il CCNL di
riferimento era sempre quello del credito. Inoltre, furono previste alcune deroghe migliorativi:
mantenimento dei percorsi di carriera, per un periodo transitorio;
previdenza integrativa;
buono pasto;
polizze sanitarie;
mantenimento dei contratti di lavoro a tempo parziale;
limitazioni ai trasferimenti, per un periodo transitorio.
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L'accordo sindacale del 9/12/2009 riguarda invece il trasferimento del ramo d'azienda di
banca depositaria da UBI a RCB Dexia Investor Service Bank S.A. filiale di Milano. Anche in
questo caso il CCNL di riferimento resta sempre quello del credito e per il resto, valgono gli accordi
aziendali in essere presso la cessionaria con alcune deroghe migliorative:
mantenimento delle retribuzioni in essere al momento del trasferimento, attuando
un'armonizzazione amministrativa con i criteri in uso presso la cessionaria;
impegno della cessionaria ad avviare una trattativa sindacale al fine di giungere ad un
accordo aziendale migliorativo del CCNL in tema di borse di studio, polizze
assicurative, contratti a tempo parziale, flessibilità di orario;
buono pasto;
mantenimento dei contratti di lavoro a tempo parziale;
mantenimento di varie indennità;
automatismi di carriera, per un periodo transitorio;
previdenza integrativa;
limitazioni ai trasferimenti, per un periodo transitorio.
Infine, l'accordo prevede una clausola di salvaguardia simile a quelle già viste in alcuni
accordi stipulati con UNICREDIT. Così, in caso di tensioni occupazionali derivanti da vicende
societarie, crisi aziendali, processi di ristrutturazione o esternalizzazione, cessazione del contratto di
appalto fra il Gruppo UBI e Dexia, attribuendo ai lavoratori che non siano ricollocabili entro un
raggio di 100 chilometri dalla sede di lavoro, il diritto alla riassunzione in un'azienda del Gruppo
UBI.
I lavoratori coinvolti mantengono il livello di inquadramento, retribuzione e anzianità
maturato; verranno assegnati, compatibilmente con le esigenze organizzative, nell’ambito della
provincia o delle province limitrofe. Tale clausola ha efficacia per la durata di 8 anni dalla firma
dell’accordo. La medesima salvaguardia vale in caso di trasferimento della sede di Dexia da Milano
ad altra località distante oltre 100 chilometri.
6.5 Esempi di trasferimenti d'azienda e di rami d'azienda nel settore del credito: i relativi
accordi sindacali presso Banca Nazionale del Lavoro.
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Esaminiamo ora il complesso di accordi tutti in data 28-5-2014 riguardanti una complessiva
riorganizzazione della Banca Nazionale del Lavoro. Alcuni di questi accordi riguardano la
risoluzione del rapporto di lavoro per coloro che hanno maturato il diritto alla pensione di vecchiaia
e di anzianità; l’utilizzo del fondo esuberi per i lavoratori che matureranno il diritto a pensione a far
tempo dal 2017 e per i successivi 5 anni; la fruizione completa delle ferie e dei permessi per feste
soppresse entro l’anno, la mobilità nell’ambito del gruppo BNP Paribas. Tuttavia, non ci
soffermiamo su tali accordi che non riguardano la presente trattazione.
Gli altri accordi affrontano invece il trasferimento del ramo d’azienda che sarà completato
entro il 30/6/2015 e che comprende le seguenti attività, che coinvolgono circa 2100 lavoratori:
lavorazioni di back office;
metodologie e progetti lean;
consulenza interna;
gestione edifici, sicurezza fisica, veicoli di servizio;
help desk dipendenti;
gestione risorse umane;
recupero crediti.
Tali rami d’azienda confluiranno in una nuova società consortile, che sarà iscritta all’ABI,
sarà partecipata a maggioranza da Banca Nazionale del Lavoro e applicherà ai lavoratori il CCNL
del credito.
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Gli accordi prevedono che la nuova società mantenga:
l’iscrizione dei lavoratori alla previdenza complementare della capogruppo;
l’iscrizione dei lavoratori al fondo sanitario della capogruppo;
i contratti a tempo parziali in essere al momento del trasferimento;
le flessibilità di orario in essere al momento del trasferimento;
il buono pasto tempo per tempo previsto presso la capogruppo.
Infine, gli accordi prevedono una duplice clausola di salvaguardia, simile a quelle già viste
in altri accordi.
Una prima clausola – senza limite di durata - prevede che in caso di tensioni occupazionali
derivanti da crisi aziendali, processi di trasformazione dell’attività, rilevanti ristrutturazioni, vicende
societarie, i lavoratori che risulteranno in esubero avranno il diritto alla riassunzione in un'azienda
del Gruppo BNL, con mantenimento di grado, retribuzione e anzianità, possibilmente nella regione
di appartenenza o nella sede più vicina disponibile.
Una seconda clausola della durata di 15 anni, prevede che in caso di perdita del controllo
azionario della società consortile da parte della Banca Nazionale del Lavoro, i lavoratori ceduti
avranno diritto a richiedere il rientro in BNL o altra società del Gruppo, con le modalità di cui
sopra.
6.6 Esempi di trasferimenti d'azienda e di rami d'azienda nel settore del credito: i relativi
accordi sindacali presso Santander Consumer Bank.
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L'accordo del 28-7-2011 riguardante la cessione da Santander Consumer Bank a Comdata di
un ramo d'azienda - identificato dagli uffici back office, gestione post vendita, posta - merita una
segnalazione particolare.
La deroga più importante è rappresentata della previsione di applicazione ai lavoratori ceduti
del CCNL del credito, anziché del CCNL delle telecomunicazioni in uso presso la società
cessionaria.
Per quanto riguarda la contrattazione aziendale, l'accordo prevede che trovi applicazione
quella in uso presso la cessionaria; tuttavia, è prevista l'applicazione di alcune norme contenute
nella contrattazione aziendale di Santander in materia di :
 previdenza complementare;
 polizza sanitaria;
 buoni pasto;
 condizioni creditizie agevolate;
 permessi.
Sono altresì da citare alcune disposizioni di salvaguardia, recanti:
 l'impegno della cessionaria, nei 4 anni successivi all'accordo ad astenersi da procedure di
licenziamento nei confronti di lavoratori acquisiti da Santander, con la sola eccezione dei
licenziamenti disciplinari;
 l'impegno della cedente a riassumere i lavoratori, nei 4 anni successivi all'accordo, nel caso
in cui l'appalto fra Santander e Comdata cessi per ragioni afferenti a rapporti contrattuali fra
le parti, cessazione di attività o fallimento o liquidazione di Comdata;
 l'impegno della cedente a riassumere i lavoratori, per un ulteriore anno dopo i 4 anni sopra
indicati, nel caso in il rapporto di lavoro con Comdata cessi a causa di procedure concorsuali
contrattuali contro Comdata.
E' di tutta evidenza l'interesse di tale accordo: è vero che riguarda un numero esiguo di
dipendenti – una ventina – ma per la struttura dell'accordo stesso, che contiene importanti deroghe
all'art. 2112 codice civile a favore dei lavoratori. In particolare, spiccano l’applicazione del CCNL
originario – in un’impresa di un diverso settore – ed una sostanziale doppia applicazione degli
accordi integrativi sia dell’impresa cedente che dell’impresa cessionaria.
6.7 Esempi di trasferimenti d'azienda e di rami d'azienda nel settore delle assicurazioni: i
relativi accordi sindacali presso Fondiaria SAI.
Concludiamo con un trasferimento di ramo d'azienda nel settore assicurativo, che ha
riguardato gli uffici informatici del Gruppo Fondiaria SAI, e del relativo accordo sindacale in data
30/1/2007.
L'operazione ha coinvolto circa 130 lavoratori provenienti da diverse società del gruppo 7 ; il
ramo è stato conferito ad una società di nuova costituzione, la Fondiaria SAI Servizi Tecnologici
7
Le società interessate erano le seguenti: Fondiaria SAI, Milano Assicurazioni, Starvox.
33
SRL, partecipata per il 51% da Fondiaria SAI e per il rimanente 49% da EDS Italia (poi Hewlett
Packard); fra la nuova SRL ed il gruppo assicurativo è stato stipulato un contratto di appalto in
esclusiva.
La società costituita nell'occasione applica il CCNL delle assicurazioni. Inoltre, l'accordo è
articolato sui punti di seguito elencati.
 Mantenimento degli inquadramenti, anzianità, retribuzioni maturate al momento del
trasferimento;
 applicazione dei contratti integrativi aziendali e relativi accordi (compresi quelli relativi al
sistema premiante) tempo per tempo vigenti nelle aziende di provenienza;
 adesione da parte di Fondiaria SAI Servizi Tecnologici SRL alla cassa di previdenza di
gruppo, con conseguente garanzia a favore dei lavoratori dei trattamenti previdenziali tempo
per tempo vigenti;
 mantenimento delle piazze di lavoro alle quali erano addetti i lavoratori al momento del
conferimento.
Inoltre, l'accordo prevede un'articolata clausola di salvaguardia occupazionale, così
strutturata:
 i lavoratori hanno diritto a rientrare nella società di provenienza e e presso l'originaria sede
di lavoro qualora si verifichino circostanze tali da far cessare il rapporto di lavoro con
Fondiaria SAI Servizi Tecnologici SRL (ad esempio in caso di cessazione dell'attività,
messa in liquidazione, fallimento, risoluzione del contratto di servizio con il gruppo
assicurativo);
 i lavoratori hanno altresì il diritto a rientrare nella società di provenienza e e presso
l'originaria sede di lavoro qualora la partecipazione di Fondiaria SAI nella SRL cessionaria
scenda sotto il 51%.
Si tratta di un accordo che presenta alcuni punti di notevole interesse, quali l'applicazione
della contrattazione integrativa in uso presso le società cedenti e la doppia clausola di salvaguardia
occupazionale, che – fra l'altro – è di durata illimitata.
7. Qualche osservazione conclusiva.
Per giungere ad una qualche osservazione in termini di bilancio, può essere utile partire dal
contenzioso che si è verificato in ordine ai recenti trasferimenti di rami d'azienda nel gruppo
UNICREDIT, uno dei pochi casi nel settore del credito approdati davanti a un tribunale. In
particolare, il contenzioso è sorto in riferimento alla cessione del ramo d'azienda relativo alla
gestione risorse umane, da UBIS a Enterpirses Services Shares Services Center (in breve ESSSC) .
Peraltro, un contenzioso più ampio risulta ormai avviato in ordine al trasferimento di ramo
d'azienda da Monte dei Paschi di Siena a Fruendo.
Al riguardo, si possono segnalare l'ordinanza del Tribunale di Roma del 13/6/2012 relativa
ad una procedura per condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970 e due
sentenze del Tribunale di Milano, in data 20/3/2013 e 24/5/2013 (del tutto simili nelle
argomentazioni), relative ai ricorsi di alcuni lavoratori coinvolti nell'operazione.
34
Iniziamo con le due sentenze del Tribunale di Milano. Tralasciando alcuni aspetti secondari,
i ricorsi dei lavoratori erano incentrati su una presunta illegittimità del trasferimento di ramo
d'azienda in quanto privo dei presupposti dell'art. 2112 codice civile e come tale avrebbe celato un
vero e proprio programma di espulsione di lavoratori dal gruppo UNICREDIT in frode alla legge.
Più in dettaglio, i ricorsi argomentavano l'assenza dei requisiti di cui all'art. 2112, in quanto gli
uffici trasferiti si presentavano come un insieme si servizi orizzontali e trasversali, strumentali a
tutte le tipologie di attività svolte dalla società cedente; tali uffici fornivano supporto al complesso
delle funzioni aziendali e sarebbero stati privi di autonomia funzionale.
Entrambe le sentenze del Tribunale di Milano hanno smentito la tesi sopra sintetizzata,
riprendendo le argomentazioni della sentenza n. 13171/2009 della Corte di Cassazione. In
particolare, hanno sostenuto che “il ramo d'azienda può consistere in un'articolazione
funzionalmente autonoma che rappresenti, non soltanto una parte essenziale del ciclo produttivo,
ma anche una sua parte accessoria a condizione che, una volta esternalizzata, l'articolazione sia
idonea a realizzare un autonomo risultato produttivo suscettibile di essere collocato sul mercato.”
Ne consegue che il Tribunale ha considerato irrilevante il fatto che il ramo trasferito avesse un
carattere di trasversalità rispetto alle attività principali del cedente.
Inoltre, è importante sottolineare che le sentenze citate hanno escluso un intento fraudolento
nell'operazione di trasferimento di ramo d'azienda, in considerazione delle clausole di salvaguardia
occupazionale contenute nell'accordo sindacale del 27/4/2012, che stabiliscono un vincolo concreto
di riassunzione a carico della cedente.
L'ordinanza del Tribunale di Roma, dal punto di vista del contenuto giuridico in sé non
appare così rilevante. Infatti, l'ordinanza si limita ad eccepire l'incompetenza per territorio del
Tribunale di Roma e ad identificare come competente il Tribunale di Milano, in quanto in tale città
hanno sede tutte le società coinvolte, sono state poste in essere le operazioni societarie ed è stato
altresì firmato l'accordo sindacale.
E' più interessante invece l'argomentazione che identificava la presunta condotta
antisindacale: secondo il sindacato ricorrente, UBIS “avrebbe illegittimamente attuato il
trasferimento d'azienda delle attività complementari e/o accessorie solo appaltabili senza
passaggio di personale.” Il Tribunale di Roma, come già anticipato, non ha affrontato questo tema
essendo incompetente per territorio; tuttavia esso ha non solo una valenza giuridica ma anche
sindacale, che si ricollega alla questione dell'area contrattuale e degli appalti. In un'ottica
strettamente sindacale, la tesi giuridica prospettata nel ricorso ai sensi dell'art. 28 della legge n.
300/1970, può avere una duplice chiave di lettura: è certo possibile che in questo modo si possa
bloccare in via definitiva la cessione del ramo d'azienda, spingere la parte datoriale a stipulare un
contratto di appalto con una società esterna e riassorbire i lavoratori all'interno della banca
destinandoli ad altre mansioni; ma è egualmente possibile che una volta bloccata la cessione del
ramo d'azienda, la banca rifiuti di collocare diversamente i lavoratori coinvolti, aprendo così uno
scenario di esuberi e di rischi di licenziamento.
A questo punto emerge ancora una volta l'estrema importanza e l'estrema delicatezza della
trattativa e dell'accordo sindacale. Le difficoltà derivano dalla consapevolezza di non potere firmare
qualunque accordo purchessia – e la FISAC/CGIL ha scelto di non firmare l'accordo Monte Paschi e
Fruendo – e dall'incertezza degli esiti del giudizio di un tribunale e dei conseguenti riflessi
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sull'azione sindacale. Il tutto inserito in un quadro di forte tensione e incertezza da parte dei
lavoratori coinvolti.
Nel convegno organizzato dalla FISAC/CGIL ad Ischia il 14-16 maggio 2013 è stata
sottolineata la contrarietà di fondo nei confronti dei processi di esternalizzazione e l'importanza
fondamentale che i relativi accordi diano concrete garanzie ai lavoratori coinvolti, che possono
essere così sintetizzate:
A) applicazione del CCNL del credito a tutti i lavoratori coinvolti ed ai futuri assunti;
B) continuità contrattuale, professionale e territoriale;
C) clausola di salvaguardia occupazionale – di durata adeguata - con previsione di rientro nella
società cedente in caso di tensioni occupazionali presso la società cessionaria;
D) ulteriore clausola di salvaguardia - di durata maggiore della precedente - con previsione di
rientro nella società cedente in caso di cessazione del contratto di appalto con la società
cessionaria;
E) divieto di subappalto e/o esternalizzazione delle attività cedute (obbligo in capo ad entrambe
le società);
F) certezza di affidabilità della società cessionaria;
G) sottoscrizione dell'accordo sindacale da parte sia della società cedente che della società
cessionaria;
H) approvazione con voto certificato degli accordi sindacali da parte dei lavoratori ceduti.
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Aggiornamento 12 ottobre 2014
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