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Rubriche: Risiko - QT n. 12, dicembre 2015
L’antico sogno del califfato e la realpolitik
Chi ha davvero interesse a sconfiggere l’Isis?
di Carlo Saccone
Ben strano destino è quello dei popoli arabi, che pur si fregiano dell’onore di avere dato i natali al profeta dell’Islam e di
parlare la stessa lingua della parola di Dio, ovvero del discorso che Allah svolge come un lungo interminabile monologo nelle
114 sure del Corano. Strano perché, dopo la morte di Maometto (632), già con la dinastia califfale degli Omayyadi di Damasco
(680-750 ca.) - che nel 711 portava i confini del califfato sull’Indo a est e fino a Gibilterra a ovest, gli Arabi diventano in realtà
una minoranza all’interno dell’impero islamico, pur conservando l’egemonia politica e culturale. Con la successiva dinastia
abbaside (750-1250 ca.) che regna da Baghdad, anche la loro egemonia andrà rapidamente sgretolandosi: prima l’elemento
persiano, poi a partire dalla metà dell’XI sec. l’elemento turco (selgiuchide), prendono saldamente in mano le redini
dell’impero: il califfo arabo di Baghdad da allora in poi “regna ma non governa”, come graziosamente si dice della regina
d’Inghilterra, mentre il potere è saldamente in mano al sultano turco di turno. E sarà ancora l’elemento turco a dare inizio nel
XVI sec. al grande impero turco-ottomano che si protrae sino a dopo la prima guerra mondiale dominando la costa
meridionale e orientale del Mediterraneo e scontrandosi a est solo con la Persia safavide, potenza sciita, altro impero
non-arabo sorto pure nel XVI sec.
Ho voluto richiamare queste poche basilari nozioni storiche per sottolineare che gli Arabi, in sostanza, dopo i primi secoli
“gloriosi” sono stati sempre sotto il giogo di elementi non arabi (turchi e iranici, in primo luogo). L’impero turco-ottomano,
sunnita, sarà il dominus del mondo arabo fino alla fine della prima guerra mondiale: pochi rammentano che la prima potenza
coloniale per gli Arabi non fu certo l’Inghilterra o la Francia, ma proprio quella turco-ottomana e che anzi, proprio grazie
all’aiuto e agli intrighi di Francia e Inghilterra (patto segreto Sykes-Picot del 1916), gli Arabi poterono liberarsi del loro più
antico dominatore.
Queste nozioni ci servono per meglio inquadrare la situazione odierna in Medio Oriente, in cui a rivalità religiose
(sunniti-sciiti, ebrei-musulmani, musulmani-cristiani) si sovrappongono più recenti, ma non meno forti, rivalità
etno-nazionalistiche (arabi-turchi, arabi-persiani, turchi-kurdi ecc.) e ideologiche (riformisti-fondamentalisti); e tutto questo
poi va inserito nel grande gioco delle potenze planetarie, Usa e Russia in primis, e nel piccolo gioco - ma non meno insidiosodelle potenze nucleari regionali, Israele (e Pakistan).
Riesumando una parola antica, califfato, l’ISIS ha cercato con un certo innegabile successo di ridare lustro a glorie antiche,
solleticando oltretutto il revanscismo arabo la cui egemonia nel mondo musulmano, come abbiamo visto, tramontò molto
presto. Certo il califfato dell’ISIS è ben poca cosa sul piano della estensione territoriale, forse solo la conquista di Damasco gli
darebbe uno spessore diverso; in ogni caso, nulla a che vedere con gli immensi califfati omayyade e abbaside di cui s’è detto.
Ancor più inconsistente è la reale forza militare dell’ISIS, se paragonata a quella non dico di Russia o USA, ma anche solo a
quella delle medie potenze dell’area, Turchia, Iran e Israele. E tuttavia...
E tuttavia l’ISIS ha tenuto in scacco due paesi non proprio irrilevanti come Siria e Iraq e altri ne minaccia in Africa con le sue
azioni spericolate. Sappiamo bene come Siria e Iraq siano stati scientificamente destabilizzati da lunghe guerre civili interne
tra fazioni religiose, appoggiate da interessi stranieri; sappiamo anche bene, e ormai non lo si dice neppure più a bassa voce,
che paesi come l’Arabia Saudita o il Qatar, sulla carta solidi alleati dell’Occidente, finanzino alla grande l’ISIS in funzione, si
dice, anti-iranica e anti-sciita.
La manifesta simpatia e l’appoggio discreto della Turchia di Erdogan all’ISIS sono anche un dato di fatto che è emerso ormai
alla luce del sole. Le domande che ci si pone sono dunque almeno due: 1. perché gli USA, così solerti in passato a redigere
liste di stati-canaglia, siano così manifestamente recalcitranti ad aggiornare quella lista; 2. la Turchia di Erdogan, il baluardo
orientale della Nato, quali obiettivi si pone?
Eliminato l’Isis, che succederà?
Appare evidente che, almeno fino all’attentato di Parigi, non v’era nessuna seria intenzione nell’amministrazione americana
di eliminare l’ISIS: anzi, dopo l’accordo nucleare con l’Iran, che tanto aveva agitato Turchia e Arabia Saudita, c’è il fondato
sospetto che gli USA non volessero ulteriormente irritare i loro alleati premendo l’acceleratore sulla guerra al califfato. Ci ha
pensato l’ISIS stesso, con la sua folle strategia di attentati in Europa, a rimettere al centro dell’agenda americana
l’eliminazione del califfato di al-Baghdadi. E la Russia di Putin non si è fatta sfuggire l’occasione per venire in soccorso alla
Francia e per mettersi in prima fila nella nuova Santa Alleanza anti-califfato, che invano Erdogan ha tentato di far abortire
con l’abbattimento del Sukhoi 24 russo.
Ma la domanda delle domande è forse un’altra ancora: davvero Russia e USA, al di là delle dichiarazioni ufficiali, hanno
interesse a cancellare il califfato? E poi, che succederà?
La Russia di Putin, una volta cancellato il califfato, avrebbe il problema di giustificare la sua permanenza in Siria con forze
militari ingenti, mai dispiegate in precedenza, qualcosa che le ha permesso di riaffermare il suo ruolo di grande potenza; gli
USA dovrebbero probabilmente arrivare a una drammatica resa dei conti con i paesi fiancheggiatori dell’ISIS, ossia proprio
quei paesi che sono i pilastri della sua influenza nella zona, per non parlare della prospettiva di lasciare campo libero all’Iran,
che così realizzerebbe, a danno di arabi e sunniti, il suo sogno “neo-achemenide” di tornare in forze sulle sponde del
Mediterraneo attraverso la stabilizzazione di una mezzaluna sciita (Iran-Iraq-Libano-Siria).
Il convitato di pietra, Israele, per ora tace fragorosamente, verrebbe da pensare che se la ride sotto i baffi finché i musulmani
si scannano tra di loro. In realtà Israele è preoccupato, perché sa che come l’ISIS lo ha risparmiato finora per calcoli intuibili
(il nemico dell’Iran, ossia del mio nemico, meglio lasciarlo in pace), domani potrebbe cambiare strategia. Per cui oggi Israele
apertamente approva il sostegno di Putin alla malandata Siria di Assad e mantiene ottimi rapporti con i Kurdi, che
attualmente forniscono gli “scarponi nella sabbia” nella lotta all’ISIS.
Insomma non c’è apparentemente da preoccuparsi, si potrebbe pensare che l’interesse delle potenze grandi e piccole sia
quello di contenere, circoscrivere il conflitto, renderlo per così dire endemico evitando guai maggiori. Quali?
Per esempio un’invasione della Siria da parte della Turchia (magari col facile pretesto di proteggere la minoranza turcomanna
o difendersi dai kurdi del PKK), il paese che ha il maggiore esercito di terra dell’area; uno sviluppo che, come in un domino,
spingerebbe subito l’Iran a fare altrettanto. Perché, ed è questo lo scenario peggiore che si possa immaginare, ancora una
volta Turchi e Persiani - non immemori delle loro glorie imperiali passate - potrebbero mirare a spartirsi le spoglie dei
malandati paesi arabi della regione, storicamente incapaci di darsi unità d’azione dopo la fine dei califfati storici. La
tentazione probabilmente ce l’hanno (forse oggi più la Turchia che l’Iran, che da tempo ha messo l’Irak sotto la sua ala
protettiva), se non fosse che le potenze planetarie che li tengono a bada, rispettivamente USA e Russia, non hanno interesse a
scaraventare il Medio Oriente in una guerra generalizzata, pericolosa per tutti, in cui Israele sarebbe prima o poi tirato dentro
e da cui non si uscirebbe tanto presto.
Le incertezze dell’Europa
Resta l’Europa. L’unica potenza (oltre a Iran e Kurdi) che, in teoria, avrebbe interesse a eliminare davvero l’ISIS, che ormai
come un cancro semina bombe e propaganda nelle periferie europee. Ma i fiancheggiatori sunniti dell’ISIS sono anche tra i
più potenti e oculati investitori alla borsa di Parigi o di Londra... E sono tra i migliori clienti della boccheggiante industria
europea, dei suoi resort turistici. Sappiamo bene come è andata a finire la richiesta di aiuto ai partners europei fatta da
Hollande all’indomani degli attentati. Per eliminare l’ISIS, l’Europa dovrebbe coerentemente scendere in campo a fianco
dell’Iran, rompere con Erdogan e certi stati arabi del Golfo, aiutare i kurdi a farsi uno stato: fantapolitica.
L’Europa è entrata ormai in una ottica andreottian-berlusconiana di contenimento del danno piuttosto che della sua
eliminazione. Si sogna di trovare un nuovo Gheddafi per la Libia e si spera che Assad, o un suo successore dalla faccia
presentabile, regga l’urto dei fondamentalisti. E si spera - con l’aiuto di Obama e Putin -che il sanguinario minicaliffato di
al-Baghdadi resti quello che è, una velleitaria sgangherata riproposta -senza l’antico lustro né troppo appeal per i diseredati
delle banlieues- del più antico sogno degli Arabi.
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