La bioraffineria da canapa e il progetto VeLiCa (di Fabrizio Forlini e Daniele Piovani) Un tema di particolare interesse scientifico ed industriale è rappresentato dalla “bioraffineria”. Con questo termine si intende un sistema integrato dove, partendo da certi quantitativi di biomasse (cioè da residui organici, residui agricoli o residui provenienti da lavori di giardinaggio, oppure da determinate coltivazioni agricole) si ottengono, con trasformazioni chimiche, chimico-fisiche o enzimatiche, da un lato energia, dall’altro molecole diverse da quelle di partenza e che sono la base per arrivare, sempre tramite trasformazioni dello stesso tipo, a materiali e/o a prodotti chimici ad alto valore aggiunto, vale a dire economicamente molto attraenti. Le bioraffinerie giocheranno un ruolo fondamentale nel futuro, grazie al loro potenziale nello sviluppo della sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Questo concetto mira a svincolare l’uso delle colture non alimentari da una loro esclusiva destinazione in campo energetico, che comporterebbe un pesante limite sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista economico. Tra le biomasse di interesse vi è la canapa, che ha costituito l’oggetto del progetto VeLiCa (acronimo di Vegetali Lino e Canapa), in cui hanno cooperato 4 Istituti del CNR, fra cui l’Istituto per lo Studio delle Macromolecole (ISMAC) e l’Italian Biocatalysis Center. Tale progetto è stato finanziato dalla Regione Lombardia attraverso il Fondo per la promozione di Accordi Istituzionali che sostiene lo sviluppo di azioni concertate tra organismi di ricerca lombardi per lo sviluppo e la realizzazione di Programmi di R&S nei settori Energia e Ambiente, Agroalimentare, Salute e Manifatturiero Avanzato. Il progetto VeLiCa si è proposto di studiare la possibile reintroduzione sul territorio italiano, in particolare in Lombardia, delle colture tradizionali di canapa e lino, rendendone nuovamente remunerativa la coltivazione attraverso l’uso razionale di tutti i prodotti ottenibili dalle varie parti della pianta. Da un punto di vista storico la canapa, insieme al lino, era una coltura molto diffusa in Italia, in particolare in Lombardia e nel ferrarese, fino alla prima metà del XX secolo, e ha rappresentato una preziosa risorsa economica. La produzione di canapa italiana era seconda a livello mondiale quantitativo solo a quella russa, ma aveva il primato dal punto di vista qualitativo. Il declino successivo, durato fino ai primi anni di questo secolo, è stato dovuto alla industrializzazione, che ha imposto sul mercato le fibre sintetiche al posto di quelle naturali, e alla campagna contro gli stupefacenti. Negli ultimi anni vi è stata una forte ripresa di interesse nei confronti della canapa, ed è recente (14-1-2017) la legge che incentiva la coltivazione della Cannabis sativa L. in quanto, come sostiene il Parlamento, la normativa antidroga non si applica alla canapa industriale. Da un punto di vista tecnico la canapa può essere coltivata più volte sullo stesso terreno, in quanto non lo impoverisce. Può arrivare anche a 7 metri di altezza, ed è una barriera naturale contro le impollinazioni di altre colture, perché il suo olio è un antiparassitario naturale. Il primo scopo del progetto VeLiCa è stato proprio quello di supportare anche dal punto di vista scientifico la reintroduzione delle colture di canapa e lino. Per quanto riguarda in particolare la canapa, le attività di ricerca sono state finalizzate ad utilizzare tutte le parti della pianta, per formulare prodotti ad alto valore aggiunto, in modo, come è stato sottolineato anche prima, sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico (la si potrebbe definire “la bioraffineria ideale”). Uno dei possibili utilizzi concreti degli oli vegetali di canapa è come base per ottenere lubrificanti biodegradabili, che rispetto agli oli minerali hanno non solo maggior potere lubrificante, ma sono degradati nell’ambiente in modo molto più rapido: in 28 giorni se ne degrada il 75-95%, contro il 10-40%. Nel settore tessile una maturazione della pianta tale da consentire una buona produzione in semi da olio fornisce una fibra, detta fibra tecnica, che può trovare sbocchi applicativi nella preparazione di materiali compositi più che nel settore tessile classico. Le fibre di canapa sono state utilizzate presso la sede di Genova di ISMAC per produrre compositi di nuova formulazione, che sono poi stati caratterizzati con le più moderne tecniche di analisi termica. Infine sono state effettuate anche prove tensili, che hanno dato ottimi risultati. Presso la sede di Milano sono invece stati preparati biocompositi innovativi a base di acido polilattico e di lignina, ottenendo una buona distribuzione delle particelle di quest’ultima nella matrice polimerica. Anche in questo caso si sono applicate le tecniche di caratterizzazione termica più avanzate. Con questa fibra si possono produrre pannelli isolanti, usati nella bioedilizia, e materiali compositi con materie plastiche tradizionali o con plastiche biodegradabili. Materiali di questo tipo sono già stati impiegati in vetture prototipo di Lotus e Citroen e anche in aeronautica, poiché sono fortemente resistenti all’urto e molto leggeri. La ricerca svolta presso la sede di Biella ha portato a brevettare nuovi materiali compositi, costituiti da canapa tecnica e lana di scarto, per la produzione di pannelli isolanti, che possiedono ottime caratteristiche in termini di densità, spessore, porosità, proprietà meccaniche e conducibilità termica. In particolare è possibile modulare tutte queste caratteristiche variando trattamenti e quantità di fibra di canapa. In generale le fibre di canapa sono più leggere di quelle di vetro e consentono il riciclaggio del materiale e lo smaltimento finale per l’incenerimento. Si può pensare quindi ad una loro applicazione anche in sostituzione del vetro. E’ anche importante sottolineare come nel nostro Paese vi sia una crescente disponibilità di lana di scarto non impiegata nell’industria tessile perché di bassa qualità, ma che può invece trovare un proficuo utilizzo proprio se accoppiata alle fibre tecniche di canapa. Altri vantaggi di questi pannelli biocompositi sono la resistenza alla fiamma e una buona funzione termoregolatrice. Le possibili applicazioni sono come isolanti acustici e termici da parete, sottotetto, cappelliera, interno soffitto, interni porte, tappetini e pannelli fonoassorbenti visibili. Le fibre tecniche inoltre sono state usate per estrarre nanofibre di cellulosa, che possono essere impiegate come rinforzo nei compositi a base di poliolefine, da utilizzare nel campo dell’imballaggio. Le nanofibrille sono state sottoposte a reazioni di esterificazione in presenza di riscaldamento con microonde, con tempi di reazione inferiori rispetto a quelli richiesti da un riscaldamento tradizionale. Queste reazioni sono state condotte in fase eterogenea e in condizioni controllate, per avere una parziale modifica della nanofibrille di cellulosa, ma senza alterarne la struttura. Nell’ambito del progetto sono state inoltre studiate presso la sede di Milano le potenzialità dell’olio vegetale di canapa e di lino per un loro utilizzo in diversi settori. Oltre al più noto impiego per la produzione di biodiesel, sono stati ottenuti poliesteri di sintesi traendo vantaggio dalla mono-insaturazione degli oli. Infatti, come tutti i grassi, gli oli vegetali sono esteri della glicerina con una diversa miscela di acidi grassi mono e polinsaturi, aventi lungo la catena un numero variabile di doppi legami. Ad esempio, i semi di Cannabis sativa sono ricchi in acido linoleico C18:2. La presenza di elevate quantità di componenti poli-insaturi rende improponibile la reazione di metatesi, che darebbe origine a tantissimi prodotti. Attraverso un trattamento di idrogenazione selettiva si ottengono oli contenenti elevate quantità di acido oleico, che è il substrato ideale per reazioni di self- e cross-metatesi. Il lavoro di ricerca si è concentrato sulla sintesi di building-block ,dienico ottenuto a partire dall’acido oleico, attraverso una reazione di metatesi con etilene e successiva reazione con un opportuno diolo. A partire da questo “macrodiene” si sono potuti ottenere dei poliesteri di sintesi a struttura ben definita e peso molecolare variabile, che rispondono pienamente all’esigenza di produrre materiali per imballaggio e manufatti in genere partendo da fonti rinnovabili, biocompatibili e/o biodegradabili. Nel progetto sono state infine valorizzate le proteine provenienti dal pannello residuo della spremitura della canapa, e addirittura la lignina che costituisce il materiale di scarto dopo la lavorazione della fibra degli steli.