ALGEBRA 3 — TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI 1. Definizioni

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ALGEBRA 3 — TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
ALESSANDRO D’ANDREA
I NDICE
1. Definizioni
1.1. Anelli, algebre e moduli
1.2. Somma diretta di anelli e moduli
2. Semisemplicità
2.1. Moduli semisemplici
2.2. Commutante e bicommutante
2.3. Teorema di Densità
2.4. Struttura degli anelli semisemplici
2.5. Struttura degli anelli semplici e semisemplici
2.6. Algebra di Weyl
2.7. Il radicale di Jacobson
2.8. Serie di composizione e il Teorema di Jordan-Hölder
2.9. Moduli indecomponibili
2.10. Decomposizione di Fitting
2.11. Il teorema di Krull-Schmidt
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3
3
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6
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1. D EFINIZIONI
1.1. Anelli, algebre e moduli.
Definizione 1.1. Un anello (unitario) è un insieme A dotato di una struttura di gruppo abeliano
rispetto ad un’operazione + detta somma, il cui elemento neutro è indicato con 0, e di un’operazione · detta moltiplicazione, associativa e distributiva rispetto alla somma. La moltiplicazione
deve possedere un elemento neutro 1 6= 0, detto unità.
Un anello è commutativo se la moltiplicazione è commutativa; è un dominio se il prodotto di
elementi non nulli è non nullo. Un dominio commutativo è detto anche dominio d’integrità.
Esempi 1.2.
(1) L’insieme dei polinomi ad una indeterminata a coefficienti su un anello A è a sua
volta un anello, denotato con A[x]. Tale anello è commutativo se e soltanto se A è
commutativo.
(2) Se V è uno spazio vettoriale sul corpo K, l’insieme EndK (V ) delle applicazioni lineari di
V in sè è un anello rispetto alle operazioni di somma e composizione di applicazioni.
La moltiplicazione è sempre non commutativa se dim V > 1, o se K non è un campo.
EndK (V ) si identifica1, nel caso in cui V abbia dimensione finita n, con l’anello delle
matrici quadrate di ordine n e a coefficienti nel corpo opposto Kop .
Definizione 1.3. Una K-algebra è un anello A dotato di una struttura di spazio vettoriale nel
quale la moltiplicazione sia K-bilineare.
Definizione 1.4. Sia A un’algebra. Il suo centro Z(A) è l’insieme degli elementi di A che
commutano con ogni altro elemento in A. Un sottoinsieme di un’algebra è detto centrale se è
contenuto nel centro.
Osservazione 1.5. Si osservi che in una K-algebra A, l’omomorfismo ι : K → A definito da
ι(k) = k.1 è iniettivo, e la sua immagine è contenuta nel centro di A.
1una volta scelta una base di V
1
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ALESSANDRO D’ANDREA
Definizione 1.6. Sia A un anello. Un A-modulo (sinistro) M è un gruppo abeliano rispetto ad
un’operazione di somma + dotato di una moltiplicazione · : A × M → M per elementi di A che
verifica
a · (m + m0 ) = a · m + a · m0 ,
(a + a0 ) · m = a · m + a0 · m,
0
a · (a0 · m) = (aa0 ) · m,
1 · m = m,
0
per ogni scelta di a, a ∈ A, m, m ∈ M . Un sottoinsieme N di un A-modulo M si dice sottomodulo
se è un A-modulo per le operazioni ereditate da M .
Esercizio 1.7. Mostrare che se N, N 0 sono sottomoduli di un A-modulo M , sono sottomoduli
anche N ∩ N 0 e N + N 0 = {n + n0 | n ∈ N, n0 ∈ N 0 }.
Osservazione 1.8. Dalla distributività del prodotto rispetto alle due operazioni di somma,
seguono immediatamente 0 · m = 0, (−1) · m = −m. Inoltre, un sottoinsieme N ⊂ M è un
sottomodulo se e solo se è un sottogruppo di M chiuso rispetto al prodotto per elementi di A.
Osservazione 1.9. Si possono definire in maniera analoga moduli destri su un anello A, come anche bimoduli, cioè moduli sia destri che sinistri, anche relativamente ad anelli diversi.
Questo è più che altro un esercizio di stile, in quanto un A-modulo destro è un modulo sinistro rispetto all’anello opposto Aop , mentre un (A, B)-modulo è un modulo sinistro sull’anello
prodotto A ⊗ B op .
Osservazione 1.10. Ogni anello è un modulo (sia destro che sinistro) su se stesso. In particolare, i sottomoduli dell’A-modulo sinistro A sono i suoi sottogruppi abeliani chiusi rispetto alla
moltiplicazione sinistra per elementi di A, cioè tutti e soli gli ideali sinistri di A.
Osservazione 1.11. Gli Z-moduli sono tutti e soli i gruppi abeliani. In effetti, da 1 · g = g segue
che n · g = (1 + 1 + · · · + 1) · g è uguale alla somma di n copie di g, se n > 0. Allo stesso modo,
−n · g = −(n · g), mentre abbiamo già osservato come 0 · g = 0. La struttura additiva di gruppo
abeliano individua quindi l’unica struttura di Z-modulo compatibile.
Esercizio 1.12. Mostrare che quella appena descritta è effettivamente una struttura di Zmodulo su ogni gruppo abeliano.
Definizione 1.13. Siano M e N due A-moduli. Un’applicazione φ : M → N è un omomorfismo
di A-moduli o, più brevemente, un A-omomorfismo se
φ(m + m0 ) = φ(m) + φ(m0 ),
φ(am) = aφ(m),
0
per ogni scelta di a ∈ A, m, m ∈ M . Un A-omomorfismo invertibile si dice anche A-isomorfismo,
o isomorfismo di A-moduli.
Esercizio 1.14. Mostrare che l’inverso di un A-isomorfismo è ancora un A-isomorfismo.
Valgono anche nel contesto degli A-moduli tutti i principali teoremi di omomorfismo.
Teorema 1.15 (Primo teorema di isomorfismo). Sia φ : M → N un omomorfismo di A-moduli.
Allora ker φ ⊂ M e φ(M ) ⊂ N sono sotto A-moduli ed il quoziente M/ ker φ è isomorfo all’immagine
φ(M ).
Esercizio 1.16. Mostrare che ker φ è un sottomodulo di M e che per ogni sottomodulo N ⊂ M ,
le operazioni di M ben definiscono una struttura di A-modulo sul quoziente M/N .
Esercizio 1.17. Si dimostrino il secondo ed il terzo teorema di isomorfismo per A-moduli:
• Se N, N 0 ⊂ M sono A-moduli, allora (N + N 0 )/N 0 ' N/(N ∩ N 0 ).
• Se N ⊂ M ⊂ L sono A-moduli, allora L/M ' (L/N )/(M/N ).
Tramite il teorema di omomorfismo, è possibile dare subito un teorema di struttura per gli
A-moduli ciclici, nel senso della seguente
Definizione 1.18. Un A-modulo M è ciclico se esiste m0 ∈ M tale che ogni m ∈ M possa
esprimersi nella forma m = am0 per qualche a ∈ A.
Teorema 1.19. Ogni A-modulo ciclico è isomorfo ad un quoziente di A, visto come A-modulo
sinistro, per un suo ideale sinistro.
Dimostrazione. Se l’A-modulo M è generato dal suo elemento m0 , consideriamo l’applicazione
φ : A → M definita da φ(a) = am0 . E’ immediato mostrare che φ è un A-omomorfismo, che è
suriettivo per costruzione. Ma allora il primo teorema di isomorfismo ci garantisce che M è
isomorfo a A/ ker φ. Il fatto che i sottomoduli di A siano i suoi ideali sinistri è già stato illustrato
nell’Osservazione 1.10.
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
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1.2. Somma diretta di anelli e moduli. Sia per anelli e algebre che per moduli è possibile
definire la somma diretta semplicemente definendo le operazioni in questione componente per
componente. Ad esempio, se A e B sono due anelli, allora la loro somma diretta ha come
insieme sostegno il prodotto cartesiano e come operazioni
(a1 , b1 ) + (a2 , b2 ) = (a1 + a2 , b1 + b2 )
e
(a1 , b1 )(a2 , b2 ) = (a1 a2 , b1 b2 )
Si noti che gli elementi del tipo (a, 0) (risp. (0, b)) formano un ideale nella somma diretta
A ⊕ B isomorfo ad A (risp. B). Nel caso degli anelli resta verificata una proprietà piuttosto
interessante, che andiamo a subito a discutere, previa la seguente
Definizione 1.20. Un elemento a di un anello è detto idempotente se a2 = a
Proposizione 1.21. Siano A = A1 ⊕ A2 ed e1 = (1, 0), e2 = (0, 1). Allora Aj = Aej . Viceversa, se e
è un elemento idempotente e centrale di un anello A, allora A ∼
= Ae ⊕ A(1 − e).
Dimostrazione. La prima implicazione è evidente. Viceversa, sia a ∈ A, osserviamo che
a = a1 = a(e + 1 − e) = ae + a(1 − e)
Dunque Ae + A(1 − e) = A. Resta da mostrare che Ae ∩ A(1 − e) = {0}. Sia allora a = be = c(1 − e),
allora ae = be2 = be = a, Analogamente a(1 − e) = a. Ora a(1 − e) = be(1 − e) = 0 e quindi
a = a(1 − e) = 0. Con ciò abbiamo mostrato che A, come spazio vettoriale, è somma diretta di Ae
e A(1 − e). Resta allora da mostrare che questi sono ideali e a tal fine sfruttiamo la centralità
di e. Mostriamo ad esempio che Ae è un ideale. Da quanto appena visto, basta mostrare che
b(1 − e)ae ∈ Ae per ogni a, b ∈ A. Effettivamente b(1 − e)ae = bae − beae = bae − be2 a = bea − bea =
0 ∈ Ae.
L’ipotesi di centralità è fondamentale. Come esempio si può prendere come A = End(Cn )
e come idempotenti (non centrali!) l’insieme delle matrici elementari diagonali: quelle, cioè,
che hanno unico coefficiente non nulla sulla diagonale, uguale ad 1. Questi idempotenti non
decompongono A in somma diretta: vedremo in seguito che A è semplice, e non ha quindi
ideali non banali.
Osservazione 1.22. Ogni anello unitario ha due elementi idempotenti e centrali, che sono
ovviamente 0 e 1. Ad essi corrisponde, tuttavia, una decomposizione banale.
Lemma 1.23. Sia M un A1 ⊕ A2 -modulo. Allora M ∼
= e1 M ⊕ e2 M .
Dimostrazione. Sia Mj = ej M . Se A = A1 ⊕ A2 , la centralità di ej garantisce che AMj = Aej M =
ej AM = ej M , e quindi ciascun Mj è un sottomodulo. Mostriamo che hanno intersezione nulla
e che la loro somma è tutto M .
Se m = e1 m1 = e2 m2 , allora e1 m = e2 m = 0, in quanto e1 e2 = 0. D’altra parte e1 è idempotente e
quindi e1 m = m. Segue che m = 0.
Infine, m = 1m = (e1 + e2 )m = e1 m + e2 m.
2. S EMISEMPLICITÀ
Durante lo studio delle rappresentazioni lineari di gruppi finiti, abbiamo visto che l’algebra
gruppo CG di un gruppo finito G si può scrivere come somma diretta di algebre di matrici.
In questo capitolo vogliamo mostrare che questo fatto non è peculiare dell’algebra gruppo, ma
caratterizza i cosiddetti anelli semisemplici.
2.1. Moduli semisemplici. In questo paragrafo, R è un anello con 1, non necessariamente
commutativo.
Definizione 2.1. Un R-modulo M è semisemplice se ogni sottomodulo N ⊆ M possiede un
sottomodulo complementare, cioè un N 0 ⊆ M tale che
M = N ⊕ N 0.
Esempi 2.2.
• L’R-modulo banale (0) è semisemplice.
• Ogni R-modulo irriducibile U è semisemplice. In effetti, gli unici sottomoduli di U sono
in questo caso (0) e U , e sono ciascuno complementare all’altro.
• Chiaramente, ogni R-modulo isomorfo ad un R-modulo semisemplice è ancora semisemplice.
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ALESSANDRO D’ANDREA
Osservazione 2.3. Sia M un R-modulo, e N ⊂ M un suo sottomodulo. Allora la proiezione al
quoziente π : M → M/N possiede un’inversa destra s : M/N → M , rispetto alla composizione,
se e solo se N possiede un sottomodulo complementare in M . In tal caso, s è detta sezione o
spaccamento, e si dice che l’R-omomorfismo π spacca.
In effetti, è facile mostrare che se s : M/N → M soddisfa π ◦s = idM/N , allora M = N ⊕s(M/N ):
preso m ∈ M , l’elemento m0 = s(π(m)) soddisfa π(m) = π(m0 ); ma allora π(m − m0 ) = 0 e quindi
n = m − m0 ∈ ker π = N , o equivalentemente m = m0 + n con m0 ∈ s(M/N ) e n ∈ N . Questo mostra
che M = N + s(M/N ). Mostrare che tale somma è diretta è facile: se n ∈ N ∩ s(M/N ), allora
n = s(x) per qualche x ∈ M/N . Ma allora 0 = π(n) = π(s(x)) = x, e quindi n = s(0) = 0.
Viceversa, se M = N ⊕ N 0 , la proiezione sul secondo fattore π2 : M → N 0 possiede N come
nucleo, e quindi N 0 ' M/N . L’inclusione di N 0 in M costituisce allora un inversa destra a π2 .
Possiamo riassumere queste osservazioni affermando che un R-modulo M è semisemplice
se e solo se ogni suriezione da M in un R-modulo spacca. Inoltre, ogni quoziente di un modulo
semisemplice si identifica (= è isomorfo) ad un suo sottomodulo.
Proposizione 2.4. I sottomoduli e i quozienti di moduli semisemplici sono a loro volta semisemplici.
Dimostrazione. Mostriamo innanzitutto che i sottomoduli di moduli semisemplici sono semisemplici.
Sia M un R-modulo semisemplice e N un suo sottomodulo; vogliamo mostrare che ogni
sottomodulo di N possiede un sottomodulo complementare. Sia allora U ⊂ N un sottomodulo;
U è anche un R-sottomodulo di M , ed esiste quindi un sottomodulo U 0 ⊂ M tale che M = U ⊕U 0 .
Vogliamo mostrare che N 0 = U 0 ∩ N è un complementare di U in N . In effetti, U ∩ N 0 =
U ∩ (U 0 ∩ N ) = (U ∩ U 0 ) ∩ N = 0; è sufficiente allora mostrare che N = U + N 0 . L’inclusione
U + N 0 ⊂ N è ovvia, poiché U, N 0 ⊂ N . Sia n ∈ N ; poiché N ⊂ M = U + U 0 , allora possiamo
trovare u ∈ U, u0 ∈ U 0 tali che n = u + u0 . Ma allora u0 = n − u ∈ N poiché u ∈ U ⊂ N . Quindi
u0 ∈ U 0 ∩ N , e n ∈ U + (U 0 ∩ N ) per ogni n ∈ N . In conclusione N = U + N 0 .
Per semisemplicità di M , ogni quoziente di M è isomorfo ad un suo sottomodulo, e la seconda
parte dell’enunciato segue allora dalla prima.
La proprietà di semisemplicità non è ereditata solamente da sottomoduli e quozienti, ma
anche dalle somme dirette. Si può vedere anzi che i moduli completamente irriducibili sono
tutti e soli quelli che sono somma dei propri sottomoduli irriducibili.
Iniziamo da un risultato classico. Ricordiamo che un ideale sinistro I ( R si dice massimale
se non vi sono ideali sinistri strettamente compresi tra I ed R.
Lemma 2.5. (Krull) Sia R un anello con unità 1. Ogni ideale sinistro proprio di R è contenuto in
un ideale sinistro massimale.
Dimostrazione. Sia I ⊂ R un ideale sinistro. L’insieme
F = {J ( R | I ⊂ J, J è un ideale sinistro di R}
è parzialmente ordinato per inclusione,
ed è non vuoto, dal momento che I ∈ F. Se {Jα | α ∈ A}
S
è una catena in F, allora J = α∈A Jα è ancora un elemento di F. Si mostra facilmente che J è
un ideale sinistro di R, e inoltre 1 ∈
/ J, dal momento che 1 ∈
/ Jα per ogni α ∈ A.
L’insieme F soddisfa allora le ipotesi del Lemma di Zorn, e contiene quindi elementi massimali.
Corollario 2.6. Ogni R-modulo semisemplice M 6= (0) contiene almeno un sottomodulo irriducibile.
Dimostrazione. Sia 0 6= m ∈ M . Allora Rm ⊂ M è un sottomodulo ciclico di M , ed è quindi
isomorfo a R/I per qualche ideale sinistro I ⊂ R. I sottomoduli di Rm sono allora in corrispondenza biunivoca con i sottomoduli (cioè gli ideali sinistri) di R che contengono I. Se J ⊂ R è un
ideale sinistro massimale che contiene I, allora Jm è un sottomodulo massimale di Rm. Dalla
semisemplicità di Rm ⊂ M segue Rm = Jm ⊕ N , e poiché N ' Rm/Jm ' R/J, N deve essere un
R-modulo irriducibile.
Lemma 2.7. Sia M un R-modulo che è somma dei suoi sottomoduli irriducibili. Allora, ogni
sottomodulo N ⊂ M possiede un sottomodulo complementare che è somma diretta di sottomoduli
irriducibili di M .
Dimostrazione. Vista a lezione: troppo lunga da scrivere (per ora).
Proposizione 2.8. Sia M un R-modulo. Sono affermazioni equivalenti:
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
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(1) M è somma diretta di (alcuni) suoi R-sottomoduli irriducibili.
(2) M è somma di tutti i suoi R-sottomoduli irriducibili.
(3) M è semisemplice.
Dimostrazione. (1 ⇒ 2).
Se M è somma diretta di alcuni sottomoduli irriducibili, sarà somma di tali sottomoduli, e
aggiungendo i sottomoduli irriducibili si ottiene sempre M .
(2 ⇒ 1).
Si consideri M0 ⊆ M massimale tra gli R-sottomoduli che sono somma diretta di R-sottomoduli
irriducibili di M (Zorn ne garantisce l’esistenza!). Se M0 6= M allora esisterà un sottomodulo
irriducibile U ⊂ M non contenuto in M0 . Se U non è contenuto in M0 , poichè è irriducibile, avrà
intersezione nulla con M0 . Consideriamo l’insieme L = M0 + U , tale somma è diretta poichè
U ∩ M0 = 0. Osservando allora che M0 ( L, resta contraddetta la massimalità di M0 .
(2 ⇒ 3).
Sia N ⊆ M un sotto R-modulo, si consideri N0 ⊆ M massimale tra gli R-sottomoduli che
intersecano N banalmente. Dimostriamo che N0 è il complementare di N in M .
Per definizione N0 ∩ M = 0, se N0 + N = M abbiamo finito, altrimenti esisterà un sottomodulo
di M , U irriducibile non contenuto in N + N0 . Si può arrivare ad un assurdo dimostrando
che N0 + U continua ad intersecare N0 banalmente contro l’ipotesi di massimalità di N0 . U è
irriducibile e non è contenuto in N + N0 sarà quindi vero che U ∩ N + N0 = (0) e in particolare
U ∩ N = 0, questa condizione e la disgiunzione tra N e N0 sono sufficienti a mostrare che
(U + N0 ) ∩ N = (0).
(3 ⇒ 2).
Per prima cosa dimostriamo che ogni modulo non nullo contiene un sottomodulo irriducibile.
Sia m0 ∈ M, m0 6= 0, il sottomodulo Rm0 è completamente riducibile e uguale ad R/I dove I è
l’ideale sinistro corrispondente al nucleo dell’omomorfismo φ : R → Rm0 .
Per il lemma di Zorn esiste un ideale sinistro massimale T contenente I. T /I sarà quindi un
sottomodulo massimale di R/I. Dalla completa riducibilità di M si può dedurre una scrittura
di R/I del tipo R/I = T /I ⊕ N dove N è un sottomodulo minimale.
Ogni sottomodulo minimale è irriducibile, abbiamo così trovato un sottomodulo irriducibile per
Rm0 .
Definiamo M0 come il sottomodulo di M massimale dato dalla somma diretta di moduli irriducibili e andiamo a verificare che M0 = M.
Se M0 6= M potremmo scrivere M = M0 ⊕ U , ma U contiene un sottomodulo irriducibile S e
l’insieme M0 ⊕ S contraddice la massimalità di M0 .
Corollario 2.9. Se {Mα , α ∈ A} sono R-moduli semisemplici, allora M = ⊕α∈A Mα è semisemplice.
Dimostrazione. Poiché ciascun Mα è somma diretta di R-moduli irriducibili, allora anche M
gode della stessa proprietà.
Abbiamo visto che, nel caso dell’algebra gruppo CG di un gruppo finito G, tutti i CG sono
completamente riducibili, e quindi semisemplici. In generale, per verificare che tutti i moduli
su un anello R siano semisemplici è sufficiente controllare che lo sia R visto come R-modulo.
Proposizione 2.10. Se R, considerato come R-modulo (sinistro), è semisemplice, allora ogni
R-modulo è semisemplice.
Dimostrazione. Se {mi , i ∈ I} sono generatori dell’R-modulo M , possiamo costruire un omomorfismo suriettivo di R-moduli dato da
φ : R⊕I → M
(ai )i∈I 7→
X
ai mi .
i∈I
Ma allora, per il Teorema di isomorfismo, M ' R⊕I /kerφ. Ma l’R-modulo R⊕I è semisemplice
per il Corollario 2.9. Pertanto, anche M è semisemplice, in quanto isomorfo ad un quoziente
di un modulo semisemplice.
Definizione 2.11. Un anello con unità R è semisemplice se è semisemplice come modulo
sinistro su se stesso.
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ALESSANDRO D’ANDREA
2.2. Commutante e bicommutante. In questa sezione vogliamo soltanto introdurre dei concetti che saranno fondamentali nel paragrafo prossimo.
Definizione 2.12. Sia M un R-modulo. Chiamiamo commutante di R l’anello
R0 = EndR (M )
Osservazione 2.13.
• Il termine commutante deriva dal fatto che gli elementi di R0 commutano con l’azione di
R su M .
• M ha una naturale struttura di R0 -modulo con l’azione R0 × M → M definita da (φ, m) =
φ(m).
• Se M è un R-modulo irriducibile, il Lemma di Schur mostra che R0 è un corpo.
• Se R è una K-algebra, allora i multipli scalari di idM sono contenuti in R0 = EndR (M );
pertanto anche R0 è una K-algebra.
Definizione 2.14. Chiamiamo bicommutante di R l’anello
R00 = EndR0 (M )
Osservazione 2.15. Il termine bicommutante deriva dal fatto che gli elementi di R00 devono
commutare con gli elementi di R0 , dovendo conservare la struttura di M come R0 -modulo.
Osservazione 2.16. Esiste un omomorfismo canonico R → R00 che è precisamente quello che
manda r ∈ R nell’endomorfismo fr : M → M definito da fr (m) = rm. Tale omomorfismo non è in
generale iniettivo, nè suriettivo. Lo scopo del prossimo teorema di densità è fornire condizioni
sotto le quali sia suriettivo. Per quanto riguarda l’iniettività, qualcosa possiamo dire subito.
Definizione 2.17. L’R-modulo M è detto fedele se l’omomorfismo canonico R → R0 = EndR (M )
è iniettivo, o equivalentemente se l’unico r ∈ R tale che rM = 0 è r = 0.
2.3. Teorema di Densità. Del Teorema di densità di Jacobson darò due dimostrazioni: la
prima si applica ai soli R-moduli irriducibili, ed è più esplicita. La seconda è più generale, e pur
essendo la sua dimostrazione più rapida, spiega meno – a mio parere – cosa stia succedendo.
Ricordate che se M è un R-modulo irriducibile, allora EndR (M ) è un corpo per il Lemma di
Schur.
Teorema 2.18. Sia M un R-modulo irriducibile, K = EndR (M ). Se m1 , . . . , mk ∈ M sono elementi
K-linearmente indipendenti, per ogni scelta di n1 , . . . , nk ∈ M esiste a ∈ R tale che ami = ni , i =
1, . . . , k.
Dimostrazione. Per induzione su k. Se k = 1, allora Rm1 = M per irriducibilità, e quindi per
ogni scelta di n1 ∈ M esiste a ∈ R tale che am1 = n1 .
Per quanto riguarda il passo induttivo, abbiamo bisogno di un lemma preliminare. Supponiamo per ipotesi induttiva che il teorema sia vero nel caso di k elementi K-linearmente
indipendenti.
Lemma 2.19. Se m1 , . . . , mk , mk+1 sono elementi K-linearmente indipendenti di M , allora esiste
a ∈ R tale che am1 = · · · = amk = 0 ma amk+1 6= 0.
Dimostrazione. Per assurdo: supponiamo che am1 = · · · = amk = 0 implichi amk+1 = 0. Se
n ∈ M , esiste per ipotesi induttiva a ∈ R tale che am1 = n, am2 = · · · = amk = 0. Poniamo
φ(n) = amk+1 : tale elemento è ben definito per l’ipotesi che abbiamo fatto.
E’ facile dimostrare che φ è un R-omomorfismo, ed è pertanto un elemento di K; di conseguenza amk+1 = φn = φamk = aφmk , o equivalentemente a(mk+1 − φmk ) = 0. Questo è vero per
ogni scelta di n ∈ M , e quindi per ogni a ∈ R che soddisfi am2 = · · · = amk = 0.
In conclusione da am2 = . . . amk = 0 segue a(mk+1 − φmk ) = 0, e quindi i k elementi m2 , . . . , mk ,
mk+1 − φmk devono essere K-linearmente dipendenti. Ma allora lo sono anche m1 , . . . , mk , mk+1 ,
da cui un assurdo.
Possiamo adesso concludere: se m1 , . . . , mk , mk+1 sono K-linearmente indipendenti, esiste
per ipotesi induttiva r ∈ R tale che rm1 = n1 , . . . , rmk = nk . Ma allora scelto s ∈ R tale che
sm1 = · · · = smk = 0, smk+1 = n 6= 0, la cui esistenza è assicurata dal appena dimostrato,
scegliamo t ∈ R tale che tn = nk+1 − rmk : un tale t esiste per la base dell’induzione. Allora
a = r + ts è tale che ami = ni per ogni i = 1, . . . , k + 1.
Il Teorema di densità vale in realtà per tutti i moduli semisemplici, ma il suo enunciato deve
essere lievemente riformulato.
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
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Teorema 2.20. (Teorema di densità, Jacobson) Sia M un R-modulo semisemplice. Per ogni
f ∈ R00 e m1 , ...mk ∈ M esiste a ∈ R tale che f (xi ) = axi , ∀i = 1, . . . , k.
Nel caso in cui M sia un R-modulo irriducibile, questo enunciato è riconducibile a quello
del Teorema 2.18. In effetti, in tal caso R0 = K, e f ∈ R00 non è altro che un’applicazione
K-lineare. Se f coincide con la moltiplicazione per a ∈ R, anch’essa K-lineare, sugli elementi
m1 , . . . , mk , allora lo stesso è vero sul K-sottospazio vettoriale di M generato da tali elementi:
questo fatto può essere controllato su una K-base del sottospazio, che è composta da elementi
K-linearmente indipendenti, per i quali l’enunciato del Teorema 2.18 è sufficiente. Anche in
questo caso, abbiamo bisogno di alcune osservazioni preliminari.
Lemma 2.21. Sia M un R-modulo semisemplice e f ∈ R00 , fissato x ∈ M esiste a ∈ R tale che
f (a) = ax.
Dimostrazione. Se x 6= 0, possiamo esprimere M come Rx ⊕ N . La proiezione sul primo fattore
π : M → Rx è un R-omomorfismo; essa appartiene quindi ad R0 e commuterà allora con
f . Sicuramente π(x) = x poichè x ∈ Rx, abbiamo dunque la relazione f (x) = πf (x) che ci
garantisce che f (x) ∈ Rx cioè l’esistenza di a ∈ R tale che f (x) = ax.
Lemma 2.22. Siano M un R-modulo semisemplice, f ∈ R00 , S = EndR (M n ) e f n : M n → M n
definito da f n (x1 , . . . , xn ) = (f (x1 ), . . . , f (xn )). Allora f n ∈ EndS (M n ).
Dimostrazione. Sia πi la proiezione di M n sul fattore i-esimo. Sia φ : M n → M n , denotiamo con
φij : M → M n definita da φij = πi φ|Mj . Si verifica subito che
X
X
φ(x1 , ..., xn ) = (
φ1j (xj ), ...
φnj (xj ))
j
j
n
n
Sia ora φ ∈ S, dobbiamo mostrare che f φ = φf . Effettivamente
X
X
f n φ(x1 , ...xn ) = f n (
φ1j (xj ), ...
φnj (xj )) =
j
j
dal momento che f è un omomorfismo che conserva la struttura di R0 -modulo
X
X
=(
φ1j f (xj ), ...
φnj f (xj )) = φf n (x1 , ...xn )
j
j
Dimostrazione del Teorema 2.20. Se n = 1 si ricade esattamente nel caso del primo lemma.
Altrimenti, sia M n la somma diretta di n copie di M e si definisca l’applicazione f n : M n → M n ,
tale che f (x1 , ..., xn ) = (f (x1 ), ...f (xn )). Il secondo lemma ci garantisce che possiamo applicare
il primo con x = (m1 , ..., mn ) ∈ M n e con f n al posto di f . Sappiamo allora l’esistenza di a ∈ M
tale che f n (x) = ax. Esplicitando tale relazione si riconosce la tesi.
Il seguente corollario permette di dimostrare che in alcuni casi l’omomorfismo canonico
R → R00 è anche suriettivo.
Corollario 2.23. Se M è finitamente generato come R0 -modulo, allora l’applicazione R → R00 è
suriettiva.
Dimostrazione. Siano m1 , ...mn generatori di M come R0 -modulo. Dal teorema di Jacobson,
ogni f ∈ R00 agisce su mi come f (mi ) = ami , per un opportuno a. Dunque f coincide con la
moltiplicazione per a su un sistema di R0 -generatori e, poiché f è R0 -lineare, si ha f (m) = am
per ogni m ∈ M .
Mostriamo ora con un controesempio che esistono effettivamente dei casi in cui l’omomorfismo canonico R → R00 non è suriettivo.
Esempio 2.24. Mettiamoci nel caso in cui M è uno spazio vettoriale di dimensione infinita su
K e sia S l’insieme degli endomorfismi di M di rango finito. S non è una K-algebra in quanto
idM non ha rango finito. Consideriamo allora R = KidM +S. Questa è certamente un K-algebra.
Lemma 2.25. R agisce irriducibilmente su M .
Dimostrazione. Sia N un sottomodulo di M contenente almeno un elemento 0 6= n0 e stabile
per l’azione di R. Mostriamo che N coincide con M . A tal fine, completiamo n0 ad una base di
M . Fissiamo m ∈ M e consideriamo l’endomorfismo che manda m0 in m e annulla tutti gli altri
elementi della base precedentemente ottenuto. Trattasi dunque di un endomorfismo di rango
8
ALESSANDRO D’ANDREA
finito, che denotiamo con φm . Dal momento che deve essere φm (m0 ) ∈ N segue allora che ogni
m ∈ M appartiene anche ad N .
Lemma 2.26. Sia R0 = EndR (M ). Allora R0 = KId.
Dimostrazione. Ricordiamo gli elementi di R0 sono precisamente quelli che commutano con gli
endomorfismi di rango finito. Siano ora φ ∈ T , N ⊆ M di dimensione finita e π : M → M
la proiezione su N , ovvero l’endomorfismo che fissa gli elementi di N e annulla quelli che
non vi appartengono. Dal momento che dimN < ∞, allora π ha rango finito. Dunque φπ =
πφ. Questa relazione, scritta per n ∈ N diventa allora φ(n) = π(φ(n)) e quindi φ(n) ∈ N e di
conseguenza N è stabile per l’azione di φ. Questo è vero per ogni sottospazio di dimensione
finita, di conseguenza, ogni vettore in M deve essere trasformato in un suo multiplo, in quanto
esso genera un sottospazio di dimensione uno. Quindi φ(m) = λ(m)m.
Mostriamo ora che λ(m) non dipende in realtà da m. A tal fine, fissiamo comunque m0 , m1 ∈
M indipendenti e completiamo l’insieme {m0 , m1 } ad una base di M . Consideriamo adesso
l’endomorfismo che scambia m0 con m1 e fissa gli altri vettori della base precedentemente
ottenuta. Tale endomorfismo ψ ha rango finito e quindi deve commutare con φ. L’esplicitazione
della relazione φψ = ψφ porta allora a λ(m0 )m0 = λ(m1 )m0 e quindi λ(m1 ) = λ(m0 ). Infine, se
m0 , m1 non sono linearmente indipendenti, basta considerare un terzo vettore m2 indipendente
a m0 e m1 . Un procedimento analogo a quello appena descritto mostra allora che λ(m0 ) =
λ(m2 ) = λ(m1 ). In conclusione, φ è un multiplo dell’identità.
Di conseguenza, R00 = EndK (M ) e quindi R → R00 può non essere suriettiva in dimensione
infinita.
2.4. Struttura degli anelli semisemplici. In questa sezione vogliamo mostrare come lo studio degli anelli semisemplici si riconduce a quello degli anelli semplici e semisemplici. Più
precisamente, dimostreremo che ogni anello semisemplice è somma diretta finita di ideali
semplici.
Lemma 2.27. Sia R un anello semisemplice. Gli R-moduli irriducibili sono, a meno di isomorfismo, tutti e soli gli ideali sinistri minimali di R.
Dimostrazione. I sottomoduli di R, visto come R-modulo per moltiplicazione sinistra, sono esattamente gli ideali sinistri di R. Un ideale sinistro minimale è quindi automaticamente un
R-modulo irriducibile.
Viceversa, sia U un R-modulo irriducibile. Ogni R-modulo irriducibile è ciclico, e quindi U
è isomorfo ad un quoziente R/I, dove I è un ideale sinistro. Ora, R è semisemplice e quindi I
possiede un ideale sinistro complementare J, tale cioè che R = I ⊕ J. Ma allora U ∼
= J, e
= R/I ∼
J, essendo irriducibile come R-modulo, deve essere minimale tra gli ideali sinistri.
Lemma 2.28. Siano I un ideale sinistro minimale dell’algebra R e U un R-modulo irriducibile.
Se I e U non sono isomorfi, allora IU = 0.
Dimostrazione. Dal momento che U è un R-modulo, allora RU ⊆ U e, di conseguenza, IU ⊆
RU ⊆ U . Da R(IU ) = (RI)U ⊆ IU ⊆ U , osserviamo che IU è un sottomodulo di U ; per
irriducibilità di U deve essere IU = 0, oppure IU = U .
Ricordiamo che U , essendo irriducibile, è non nullo. Se accade IU = U 6= (0), allora possiamo
trovare 0 6= u ∈ U tale che Iu 6= (0). Ma allora Iu è un sottomodulo non nullo di U , e deve
coincidere, per irriducibilità, con U . Pertanto, l’omomorfismo di R-moduli φu : I → U definito
da φu (i) = iu è un isomorfismo per il Lemma di Schur: I e U sono entrambi irriducibili, e
l’omomorfismo φu è sicuramente non identicamente nullo, essendo suriettivo.
Lo studio di un anello semisemplice R passa attraverso la decomposizione isotipica dell’anello, visto come R-modulo sinistro. Poiché tale modulo è semisemplice, sarà somma diretta
delle sue componenti isotipiche, che sappiamo già essere sottomoduli e quindi, in questo caso,
ideali sinistri.
E’ possibile tuttavia dimostrare, con minimo ulteriore sforzo, che le componenti isotipiche di
un anello semisemplice sono in realtà ideali bilateri.
Se I è un ideale sinistro minimale, indichiamo con RI la componente I-isotipica di R, visto
come R-modulo sinistro. Ricordiamo che R è somma (diretta) di tali componenti isotipiche, e
che RI = RJ se I, J sono isomorfi come R-moduli.
Lemma 2.29. Sia R un’algebra semisemplice, I, J ideali sinistri non isomorfi come R-moduli.
Allora RI RJ = 0.
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
9
Dimostrazione. Abbiamo già visto nel lemma precedente che IJ = 0, se I, J sono ideali sinistri
minimali non isomorfi di R, poiché ogni ideale sinistro minimale è un R-modulo irriducibile. A
questo punto
X
X
IK = (0),
=
RI RJ = I
K∼
=J
K∼
=J
poiché gli ideali sinistri K, essendo isomorfi a J, non possono esserlo a I, e quindi IK = (0).
Lemma 2.30. Gli RI sono ideali bilateri di R.
Dimostrazione. Sappiamo già che gli RI sono ideali sinistri di R. Ricordiamo che ogni modulo
semisemplice
è somma (diretta) delle proprie componenti isotipiche, e quindi in particolare
P
R = I RI . Ma allora è facile calcolare
X
X
RI R = RI
RJ =
RI RJ = RI RI ⊆ RI ,
J
J
e quindi ciascun RI è anche un ideale destro di R.
Osservazione 2.31. Abbiamo appena mostrato che RI R ⊆ RI . In realtà vale l’uguaglianza,
poiché RI = RI · 1 ⊂ RI R.
Abbiamo quindi mostrato che
Proposizione 2.32. Ogni anello semisemplice R è somma diretta delle sue componenti isotipiche
RI , che sono tutte ideali bilateri di R.
Lemma 2.33. Un anello semisemplice possiede un numero finito di componenti isotipiche. Equivalentemente, se R è un anello semisemplice, allora esiste solo un numero finito di R-moduli
irriducibili a meno di isomorfismo.
Dimostrazione. Ciascun elemento di R è somma (finita) di elementi appartenenti alle varieP
componenti isotipiche. Questo accade, in particolare, per l’unità, e possiamo scrivere 1 = I uI
dove uI ∈ RI , e uI 6= 0 solo per un numero finito di componenti isotipiche.
Se x ∈ RJ fosse un elemento non nullo di una componente
RJ che non compare
P isotipica
P
nella decomposizione di 1, allora si avrebbe 0 6= x = x · 1 = x I uI = I xuI , e quindi x sarebbe
contenuto nella somma di altre componenti isotipiche. Poiché la decomposizione isotipica è
diretta, otteniamo subito un assurdo. Questo mostra che ogni componente isotipica di R dà
contributo non nullo alla decomposizione di 1, e che le componenti isotipiche sono quindi in
numero finito.
P
Osservazione 2.34. E’ importante osservare che se 1 = I uI è la decomposizione isotipica di
1 ∈ R, allora ogni uI è elemento neutro di RI rispetto alla struttura di anello ereditata da R.
Gli elementi uI sono idempotenti e centrali in R.
Lemma 2.35. Le componenti isotipiche RI sono anelli semplici.
Dimostrazione. Ogni ideale sinistro minimale contenuto in RI deve essere isomorfo a I come
R-modulo, poiché RI è una componente isotipica.
Calcoliamo ora il prodotto I ·I: si tratta di un sottomodulo dell’R-modulo I, che è irriducibile,
e quindi abbiamo le sole possibilità I · I = (0) oppure I · I = I. Se fosse I · I = (0), allora gli
elementi di I ⊂ R agirebbero banalmente sull’R-modulo I, e questo sarebbe vero per ogni Rmodulo isomorfo ad I; poiché RI è somma di tali R-moduli, si dovrebbe necessariamente avere
IRI = (0) e, ragionando in modo simile, RI RI = (0), che abbiamo visto essere falso. Ma allora
I · I = I, e quindi I · J = J per ogni ideale J isomorfo, come R-modulo, a I; analogamente, se
J, J 0 sono ideali sinistri minimali contenuti in RI , si ha JJ 0 = J 0 .
Sia ora K un ideale bilatero non nullo di RI . K è un ideale sinistro non nullo, e contiene
quindi un
minimale
P ideale sinistro
P
P J ⊂ R per il Lemma di Krull. Ma allora K deve contenere
JRI = J J 0 'I J 0 = J 0 'I JJ 0 = J 0 'I J 0 = RI , e quindi K = RI .
Osservazione 2.36. L’ultima affermazione mostra, in particolare, che un anello semisemplice
è semplice se e solo se tutti i suoi moduli irriducibili sono isomorfi tra loro.
Possiamo riassumere quanto mostrato finora nel seguente
Teorema 2.37. (Struttura degli anelli semisemplici) Ogni anello semisemplice è somma diretta finita di anelli semplici e semisemplici.
10
ALESSANDRO D’ANDREA
Dimostrazione. L’anello R è somma diretta delle sue componenti isotipiche, ed abbiamo quindi
un isomorfismo di R con ⊕I RI , che è sicuramente additivo. Sappiamo che componenti isotipiche distinte hanno prodotto nullo, e questo è sufficiente a garantire (mostratelo per esercizio)
che l’isomorfismo di R-moduli R → ⊕I RI è in realtà un isomorfismo di anelli.
L’unico dettaglio da mostrare è che ciascun ideale semplice RI è ancora un anello semisemplice. Si vede subito che nell’azione di R su RI data dalla struttura di R-modulo, le componenti
isotipiche di R diverse da RI agiscono banalmente. Questo mostra che un sottoinsieme di RI è
un R-modulo se e solo se è un RI -modulo.
Sappiamo già che RI è un R-modulo semisemplice (ogni R-modulo lo è). Poiché il concetto di
R-sottomodulo e di RI -sottomodulo di RI coincidono, ogni RI -sottomodulo di RI deve possedere
un RI -sottomodulo complementare, ed RI è di conseguenza un anello semisemplice.
2.5. Struttura degli anelli semplici e semisemplici. Se R è un anello semisemplice, abbiamo
già visto che ogni componente isotipica di R, visto come R-modulo sinistro, è in realtà un ideale
bilatero. Tali ideali decompongono R in una somma diretta di anelli, che sono necessariamente
sia semplici che semisemplici. Comprendere la struttura degli anelli semplici e semisemplici
porta quindi ad una descrizione completa della struttura degli anelli semisemplici. Iniziamo
con un esempio.
Proposizione 2.38. Se K è un corpo, l’anello S = EndK (K n ) è semplice e semisemplice, e si
decompone nella somma diretta di n irriducibili come S-modulo.
Dimostrazione. Dimostreremo la semisemplicità di S facendo vedere che l’S-modulo S è somma
diretta di irriducibili, e la sua semplicità mostrando che sono tutti isomorfi tra loro.
Se e1 , . . . , en è la base canonica di K n , indichiamo con Mi l’insieme di tutti gli endomorfismi
K-lineari di K n che si annullano su ogni ej , j 6= i. E’ chiaro che S = M1 ⊕ · · · ⊕ Mn . Inoltre,
ciascun Mi è un S-sottomodulo di S, ed è isomorfo all’S-modulo K n , come si può verificare
controllando che l’applicazione φi : Mi → K n definita da φi (T ) = T (ei ) è effettivamente un
isomorfismo S-lineare.
Per terminare la dimostrazione, è sufficiente ora dimostrare che l’S-modulo K n è irriducibile.
Questo segue immediatamente dal fatto che per ogni v, w ∈ K n , con v 6= 0, esiste T ∈ EndK (K n )
tale che T (v) = w. Ma allora, se (0) 6= V ⊂ K n è un S-sottomodulo, e 0 6= v ∈ V , V deve contenere
ogni w ∈ K n , e quindi V = K n .
Osservazione 2.39.
• Si noti che S = EndK (K n ) contiene tutte le moltiplicazioni destre per elementi di K.
Pertanto, gli elementi di S 0 = EndS (K n ) sono tutte applicazioni K-lineari a destra. Non
è difficile mostrare, giocando con le matrici, che S 0 contiene tutte e sole le moltiplicazioni
sinistre per gli elementi di K, e quindi che K n è un S 0 -modulo di dimensione n.
• Le moltiplicazioni destre per elementi di K formano un sottoanello di S isomorfo a K op .
Pertanto S, così come ogni suo ideale destro e sinistro, è uno spazio vettoriale su K op .
Poiché dim S = n2 sia per la struttura destra che per quella sinistra di spazio vettoriale,
ogni catena crescente o decrescente di ideali destri o sinistri di S deve stabilizzarsi,
perché la dimensione di tali ideali non può crescere illimitatamente. Con un linguaggio
più nobile, l’anello S è noetheriano e artiniano sia a destra che a sinistra.
• Se S = EndK (K n ), abbiamo visto che S è semplice e semisemplice. Ma i moduli irriducibili di un anello semplice e semisemplice sono tutti isomorfi tra loro. Se U è un
S-modulo irriducibile, allora l’isomorfismo U ' K n induce un corrispondente isomorfismo di anelli EndS (U ) ' EndS (K n ) = K. Le dimensioni di U e K n , come spazi vettoriali
sui corpi EndS (U ) e EndS (K n ), devo ugualmente coincidere, e sono entrambi uguali ad
n.
Questo mostra che è possibile ricavare sia n che K, quest’ultimo a meno di isomorfismo, dalla sola struttura algebrica di S. Come immediata conseguenza, EndK (K n ) è
0
isomorfo a EndK 0 (K 0n ) se e solo se n = n0 e K ' K 0 .
Passiamo ora a far vedere che questi esempi esauriscono la varietà degli anelli semplici e
semisemplici.
Lemma 2.40. Se R è un anello semplice e semisemplice, allora tutti gli R-moduli irriducibili sono
tra loro isomorfi.
Dimostrazione. La decomposizione isopica di R può contenere, per semplicità, un solo addendo
diretto, poiché ogni componente isotipica è un ideale bilatero di R.
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
11
Lemma 2.41. Se R è un anello semplice e semisemplice, e U è un R-modulo irriducibile, allora
R è isomorfo, come R-modulo sinistro, a U ⊕n per qualche n ∈ N .
Dimostrazione. R è un R-modulo semisemplice, ed è quindi somma diretta di irriducibili, tutti
isomorfi ad U . Se φ : R → U ⊕I è un isomorfismo di R-moduli, φ(1) avrà componenti non nulle
soltanto su un sottoinsieme finito I0 ⊂ I di indici. Ma allora φ(a) = aφ(1) ha supporto sullo
stesso insieme I0 di indici. Per suriettività di φ, deve essere I0 = I, ed I è quindi finito.
Proposizione 2.42. Se R è un anello semplice e semisemplice, e U è un R-modulo irriducibile,
allora EndR (R) è isomorfo a Matn×n (K), dove K = EndR (U ) è un corpo.
Dimostrazione. Sappiamo già che R ' U ⊕n come R-moduli, e K = EndR (U ) è un corpo per il
Lemma di Schur. Ad ogni modo, EndR (U ⊕n ) è isomorfo, come già visto nel Lemma 2.22, a
Matn×n (EndR (U )) e quindi a Matn×n (K).
Lemma 2.43. Se R è un anello con unità, allora R è antiisomorfo a EndR (R). Equivalentemente,
R è isomorfo a EndR (R)op .
Dimostrazione. Sia φ : R → R un omomorfismo di R-moduli. Allora φ(ar) = aφ(r) per ogni scelta
di a, r ∈ R. In particolare φ(r) = rφ(1), e quindi φ coincide con la moltiplicazione destra per
φ(1) ∈ R.
Se indichiamo con Da : R → R la moltiplicazione destra per a, è immediato verificare che D è
R-lineare (a sinistra!). Inoltre Da+b = Da +Db e Dab = Db Da . La suriettività dell’antiomomorfismo
R 3 a 7→ Da ∈ EndR (R) è già stata illustrata prima. La sua iniettività dipende dal fatto che
Da = 0 è solo possibile se a = Da (1) = 0.
Teorema 2.44. Sia R un anello semplice e semisemplice, U un R-modulo irriducibile, K =
EndR (U ). Allora U è uno spazio vettoriale di dimensione finita sul corpo K, e R è isomorfo a
EndK (U ).
In particolare, se dimK U = n, allora R è isomorfo all’anello delle matrici n × n a coefficienti nel
corpo K op .
Dimostrazione. Se n indica la molteplicità dell’irriducibile U nell’R-modulo R, allora R è antiisomorfo a EndR (R) ' EndR (U ⊕n ) che è a sua volta isomorfo all’anello delle matrici n × n a
coefficienti in K. Pertanto, R è isomorfo a Matn×n (K)op ' Matn×n (K op ).
L’anello Matn×n (K op ) è chiaramente isomorfo a S = EndK (K n ): l’isomorfismo è dato dalla
rappresentazione matriciale degli endomorfismi del K-spazio vettoriale (sinistro) K n . Abbiamo
già visto che la dimensione dell’unico irriducibile K n di S, come spazio vettoriale su S 0 =
EndS (K n ), coincide con n. Ritraducendo questa osservazione su R, che è isomorfo ad S, si
ottiene che U è uno spazio vettoriale di dimensione n su R0 = K.
Possiamo allora applicare il Lemma 2.23 e concludere che l’omomorfismo naturale R →
EndK (U ) è suriettivo. La semplicità di R garantisce anche la sua iniettività.
Possiamo ora elencare una serie di risultati che chiariscono la struttura delle algebre semplici, anche in assenza di ipotesi di semisemplicità, in molti casi concreti.
Teorema 2.45 (Burnside). Siano V uno spazio di dimensione finita su un campo algebricamente
chiuso K e R una sottoalgebra di EndK (V ). Se V è R-irriducibile, allora R = EndK (V ).
Dimostrazione. Dal lemma di Schur, R0 = KidV e quindi R00 = EndK (V ). L’omomorfismo
canonico è quindi l’inclusione R ,→ EndK (V ). Da 2.23, sappiamo che è anche suriettivo.
Teorema 2.46 (Wedderburn). Sia M un R-modulo irriducibile e fedele. Se M ha dimensione
finita n come spazio vettoriale su R0 , allora R ∼
= Matn×n (R0 ).
Dimostrazione. Consideriamo ancora l’omomorfismo canonico R → R00 . Questo è suriettivo,
in quanto M è finitamente generato e iniettivo perchè M è fedele. Dunque R ∼
= R00 tramite
00
l’omomorfismo canonico. Basta allora ricordare che R è per definizione l’algebra degli R0 endomorfismi di M , che, una volta fissata una base di M , si identifica canonicamente con
Matn×n (R0 ).
Il seguente risultato, ancora dovuto a Wedderburn risponde completamente alla questione di
quale sia la struttura delle algebre semplici, almeno nel caso che a noi interessa, ossia quello
di algebre semplici di dimensione finita su un campo algebricamente chiuso e di caratteristica
0, tipicamente C.
Teorema 2.47 (Wedderburn). Sia R una C-algebra semplice e di dimensione finita. Allora R ∼
=
EndC (U ) per qualche spazio vettoriale complesso U di dimensione finita.
12
ALESSANDRO D’ANDREA
Dimostrazione. Sia U un ideale sinistro minimale (ad esempio, un ideale sinistro non nullo di
dimensione minima) di R; U è chiaramente un R-modulo irriducibile di dimensione finita, e
R0 = EndR (U ) è isomorfo a CidU per il Lemma di Schur.
Allora l’omomorfismo naturale R00 → EndC (U ) è suriettivo per il Lemma 2.23, ed è iniettivo
per semplicità di R.
E’ naturale chiedersi se ogni anello semplice sia necessariamente semisemplice.
Come vedremo in seguito questo è vero per le algebre di dimensione finita, e in generale per gli
anelli artiniani, ma è falso in generale.
2.6. Algebra di Weyl. Sia V = C[x] lo spazio dei polinomi in x a coefficienti complessi. Indichiamo con X l’operatore di moltiplicazione per x e con D l’operatore di differenziazione rispetto
a x. Chiaramente, X, D ∈ EndC (V ).
Definizione 2.48. L’algebra di Weyl è la sottoalgebra A = ChX, Di di EndC (V ) generata da X e
D.
E’ importante osservare come gli operatori X, D non commutino tra loro, e quindi A non
sia (un quoziente di) un’algebra di polinomi in due indeterminate. In effetti, poiché Xp(x) =
x · p(x), Dp(x) = p0 (x), valgono le relazioni:
DX(p(x)) = D(x · p(x)) = p(x) + xp0 (x)
XD(p(x)) = xp0 (x),
da cui
[D, X] = DX − XD = 1 = idC[x] .
Lemma 2.49. Se f è un polinomio in un’indeterminata, allora [D, f (X)] = f 0 (X). Analogamente,
[f (D), X] = f 0 (D).
Dimostrazione. E’ sufficiente, per questioni di linearità, mostrare che [D, X n ] = nX n−1 . Questo
si fa facilmente per induzione, utilizzando la regola di Lebniz: in effetti, [D, X n+1 ] = [D, XX n ] =
[D, X]X n + X[D, X n ], e utilizzando l’ipotesi induttiva, si ottiene X n + X(nX n−1 ) = (n + 1)X n .
Per quanto riguarda la seconda affermazione, si noti che [−X, D] = 1, e si ripeta la dimostrazione con D, X rimpiazzati da −X, D. Si conclude osservando che [f (D), X] = [−X, f (D)] =
f 0 (D).
Lemma 2.50. E’ possibile esprimere ogni monomio in X, D come combinazione lineare complessa
dei monomi X i Dj .
Dimostrazione. Saremo più precisi: mostreremo che ogni monomio di lunghezza n in X, D è
esprimibile come combinazione lineare complessa dei monomi X i Dj , i + j ≤ n. La base dell’induzione è ovvia, in quanto l’unico monomio di lunghezza 0 è 1, che è chiaramente una
combinazione lineare di X 0 D0 = 1.
Per quanto riguarda il passo induttivo, sia m un monomio in X, D di lunghezza n + 1. Allora
m è della forma Xm0 oppure Dm0 per qualche monomio m0 di lunghezza n. Per ipotesi induttiva,
m0 è combinazione lineare complessa di monomi della forma X i Dj , i + j ≤ n. Essendo sia la
moltiplicazione sinistra per X, che quella per D, operazioni lineari, è sufficiente mostrare che
moltiplicando per X o per D un monomio della forma X i Dj , i+j ≤ n si ottiene una combinazione
lineare di monomi della stessa forma, e di grado limitato da n + 1.
Ma questo è facile: nel primo caso si ha X(X i Dj ) = X i+1 Dj , e (i + 1) + j = (i + j) + 1 ≤ n + 1; nel
secondo, invece, possiamo scrivere D(X i Dj ) = (DX i )Dj = (X i D+[D, X i ])Dj = X i Dj+1 +iX i−1 Dj ,
ed entrambi i monomi a secondo membro hanno grado ≤ (i + j) + 1 ≤ n + 1.
Proposizione 2.51. Ogni elemento di A si può esprimere in maniera unica nella forma a =
P
n
i
j=1 aj (X)D , dove aj (x) ∈ C[x] sono polinomi.
Dimostrazione. Ogni elemento di A è combinazione lineare complessa finita di monomi in X, D,
i j
e ciascuno
di questi è a sua volta
P
P combinazione linearePdi monomi della forma X D . Se
a = i,j cij X i Dj , ponendo aj (X) = i cij X i , si ottiene a = j aj (X)X i .
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
13
P
Tale scrittura è inoltre unica. Per mostrarlo, è sufficiente far vedere che se φ = j φj (X)Dj =
0 in A, allora φj = 0 per ogni j. In effetti, se l’azione di φ su V = C[x] è nulla, allora
X
φ(1) = (
φn (X)Dn )1 = φ0 (x) = 0,
X
φ(x) = (
φn (X)Dn )x = φ0 (x) · x + φ1 (x) = φ1 (x) = 0,
..
.
φ(xk+1 )
=
(k + 1)!φk+1 (x) = 0,
e quindi tutti i coefficienti della combinazione lineare sono nulli.
Proposizione 2.52. A è un dominio.
Dimostrazione. E’ facile mostrare, per induzione, che a(X)Di · b(X)Dj = a(X)b(X)Di+j a meno
di termini con grado di D inferiore. Ma allora, nel prodotto
m
n
X
X
ai (X)Di ·
bj (X)Dj ,
i=0
j=0
se am , bm sono polinomi non nulli, il coefficiente che moltiplica Dm+n coincide con am (X)bm (X),
e pertanto il prodotto non può essere nullo.
Proposizione 2.53. A è semplice.
Dimostrazione. Se I ⊆ A un ideale bilatero I 6= 0, vogliamo mostrare che I = A. Scegliamo
PN
0 6= φ ∈ I, e scriviamo φ = n=0 φn (x)Dn . Se a ∈ A, allora sia aφ che φa appartengono ad I, e di
conseguenza anche [a, φ] ∈ I. E’ facile osservare come
[D, a(X)Di ] = [D, a(X)]Di + a(X)[D, Di ] = a0 (X)Di ,
PN
e quindi [D, φ] = n=0 φ0n (X)Dn . Commutando φ con D un numero opportuno di volte, si otterrà
un elemento non nullo di I la cui espressione come combinazione C[X]-lineare di potenze
di D non conterrà X in nessuno dei coefficienti. Pertanto, I deve contenere un’espressione
polinomiale, non nulla, in D.
Poiché, tuttavia, [f (D), X] = f 0 (D), commutando tale elemento a destra per X un numero
opportuno di volte, si otterrà un multiplo non nullo di 1, che deve ancora appartenere all’ideale
bilatero I. Ma allora 1 ∈ I, e quindi I = A.
Proposizione 2.54. A non è semisemplice.
Dimostrazione. Basta esibire un ideale sinistro di A che non possiede un ideale sinistro complementare. Sia I = AD P
l’ideale sinistro generato dall’elemento D. I contiene tutti e soli gli
elementi della forma φ = i≥1 ai (X)Di , ed è quindi un ideale proprio. Supponiamo che I abbia un complementare J, e studiamone la struttura: poiché A = I + J, allora J ' A/I come
A-modulo.
P
Dal momento che ogni elemento di A è esprimibile (in modo unico) nella forma i≥0 ai (X)Di ,
e che tutti i termini con i > 0 appartengono a I, allora ogni elemento di A/I è della forma [a0 (X)]
per qualche polinomio a0 .
Si noti che l’A-modulo A/I è generato come A-modulo da [1], e che D[1] = [D] = [0]. Dal
momento che J è isomorfo a A/I come A-modulo, J deve essere generato da un elemento
x ∈ J ⊂ A tale che Dx = 0. Tuttavia, A è un dominio, e quindi Dx = 0 implica x = 0.
Concludiamo che J è generato da 0, e quindi che J = (0), un assurdo.
2.7. Il radicale di Jacobson. Il radicale di Jacobson è una delle nozioni che controlla più da
vicino la semisemplicità di un anello. Abbiamo già visto che un anello semisemplice è sempre
artiniano; nella classe degli anelli artiniani, quelli semisemplici sono precisamente quelli a
radicale di Jacobson nullo.
Lo studio del radicale di Jacobson ci permetterà anche di mostrare che, sempre nel caso
degli anelli artiniani – come ad esempio le algebre di dimensione finita – la semplicità ha come
conseguenza la semisemplicità; abbiamo già visto come questa affermazione sia, in generale,
falsa, come ad esempio nel caso dell’algebra di Weyl.
Definizione 2.55. Il radicale di Jacobson J(R) di un anello R è l’intersezione di tutti i suoi
ideali sinistri massimali.
La capacità del radicale di Jacobson di un anello di misurare la semisemplicità dipende dal
fatto che i suoi elementi non vedono i moduli irriducibili.
14
ALESSANDRO D’ANDREA
Lemma 2.56. Se a ∈ J(R), allora 1 − a possiede un inverso sinistro in R. Di conseguenza, 1 − xa
è invertibile a sinistra per ogni x ∈ R.
Dimostrazione. Supponiamo che 1 − a non sia invertibile a sinistra. Allora l’ideale sinistro
I = R(1 − a) non contiene 1, ed è quindi un ideale sinistro proprio di R. Ma allora I è contenuto
in qualche ideale sinistro massimale M di R, per il Lemma di Krull. Ora, M contiene sia 1 − a
che a, poiché a appartiene a tutti gli ideali sinistri massimali, e contiene quindi anche la loro
somma a + (1 − a) = 1. Ma questo è impossibile, poiché M è un ideale massimale, e quindi
proprio, di R.
La seconda affermazione segue dal fatto che J(R) è un ideale sinistro di R, in quanto
intersezione di ideali sinistri. Pertanto, se a ∈ J(R), allora xa ∈ J(R) per ogni x ∈ R.
Proposizione 2.57. Gli elementi di J(R) sono tutti e soli quelli che agiscono banalmente (cioè
annullano) ogni R-modulo irriducibile.
Dimostrazione. Innanzitutto, se l’azione di a è nulla su ogni R-modulo irriducibile, allora a
appartiene certamente a tutti gli ideali massimali. In effetti, abbiamo già visto che ogni Rmodulo irriducibile U è ciclico, ed è pertanto isomorfo ad un quoziente R/M , dove M è un
ideale sinistro massimale di R. Se a agisce banalmente su U ' R/M , allora deve annullare
anche [1] ∈ R/M , e quindi [0] = a[1] = [a], da cui a ∈ M .
Se a appartiene a J(R), che è un ideale sinistro di R, allora xa ∈ J(R) per ogni x ∈ R, e quindi
1 − xa possiede un inverso sinistro in R per ogni x ∈ R. Sia U un R-modulo irriducibile sul
quale a non agisca banalmente. Allora esiste u ∈ U tale che au 6= 0; si noti che u 6= 0, e quindi
U = Ru per irriducibilità.
Poiché au ∈ U è un elemento non nullo, anche au è un generatore ciclico di U come Rmodulo. Pertanto u ∈ R(au), e quindi u = x(au) per qualche x ∈ R. Ma allora (1 − xa)u = 0, e
moltiplicando per l’inverso sinistro di 1 − xa, si ottiene u = 0. Di conseguenza, U = Ru = (0), un
assurdo.
Corollario 2.58. Se R è un anello semisemplice, J(R) = (0).
Dimostrazione. Se R è semisemplice, allora R, visto come R-modulo sinistro, è somma diretta
di R-moduli irriducibili. Se a ∈ J(R), l’azione di a su ogni R-modulo irriducibile è banale, e così
deve essere anche sulle loro somme dirette; ma allora l’azione di a su R visto come R-modulo
sinistro deve essere anch’essa banale. Poiché a.1 = a, l’unica possibilità è che a sia uguale a 0.
Pertanto, il radicale di Jacobson di un anello semisemplice contiene solo lo 0.
Proposizione 2.59. J(R) è un ideale bilatero di R.
Dimostrazione. Sappiamo già che J(R) è un ideale sinistro di R perchè intersezione di ideali
sinistri. Verificheremo che J(R) è un ideale destro mostrando che se a ∈ J(R), allora ar agisce
banalmente su tutti gli R-moduli irriducibili per ogni r ∈ R. Di conseguenza, J(R)R ⊂ J(R).
In effetti, sia U un R-modulo irriducibile. Sicuramente rU ⊂ U per ogni r ∈ R. Ma allora, se
a ∈ J(R), avremo (ar)U = a(rU ) ⊂ aU = (0).
La seguente caratterizzazione degli elementi del radicale di Jacobson è utile a mostrare la
simmetria destra-sinistra della definizione
Proposizione 2.60. Sono affermazioni equivalenti:
• a ∈ J(R)
• 1 − xay è invertibile in R per ogni x, y ∈ R.
Dimostrazione. Se 1 − xay è invertibile in R per ogni x, y ∈ R, allora lo è in particolare quando
y = 1. In tal caso, si ottiene l’invertibilità di 1 − xa per ogni x ∈ R, e di conseguenza l’invertibilità
sinistra di tutti tali elementi, che garantisce l’appartenenza di x a J(R).
Viceversa, quando a ∈ J(R), allora anche xay ∈ J(R), poiché J(R) è un ideale bilatero di R; di
conseguenza 1 − xay possiede un inverso sinistro b. Allora b(1 − xay) = 1, e quindi b = 1 − bxay.
Anche l’elemento (bx)ay appartiene a J(R), e quindi b = 1 − bxay possiede anch’esso un inverso
sinistro, che indichiamo con c. Ma allora il prodotto c · b · (1 − xay) è uguale sia a c che a 1 − xay.
In conclusione, b è inverso sia destro che sinistro di 1 − xay.
Corollario 2.61. Sia R un anello, a ∈ R. Sono condizioni equivalenti:
• a appartiene a tutti gli ideali sinistri massimali di R.
• a agisce banalmente su tutti gli R-moduli sinistri irriducibili.
• 1 − xa è invertibile a sinistra per ogni x ∈ R.
• 1 − xay è invertibile in R per ogni x, y ∈ R.
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
15
• 1 − ay è invertibile a destra per ogni x ∈ R.
• a agisce banalmente su tutti gli R-moduli destri irriducibili.
• a appartiene a tutti gli ideali destri massimali di R.
Dimostrazione. L’equivalenza delle prime tre affermazioni con la quarta è stata già dimostrata.
Sostituendo R con l’anello opposto Rop , si ottiene l’equivalenza delle ultime tre affermazioni con
la quarta. Ciascuna delle affermazioni fornisce una caratterizzazione degli elementi di J(R). Almeno nel caso di anelli artiniani, gli elementi di J(R) sono caratterizzabili in termini di
nilpotenza.
Proposizione 2.62. J(R) contiene tutti gli ideali idempotenti di R.
Dimostrazione. Sia I un ideale sinistro di R tale che I n = (0). Se U è un R-modulo irriducibile,
allora IU è un sottomodulo di U , poiché R(IU ) = (RI)U ⊂ IU ; per irriducibilità di U , si ha
IU = (0) oppure IU = U .
Tuttavia, se IU = U , allora I 2 U = I(IU ) = IU = U , e una facile induzione mostra che I k U = U
per ogni k > 0. Tuttavia I n = (0) e quindi (0) = I n U = U , da cui un assurdo. Pertanto, IU = (0)
per ogni R-modulo irriducibile U , e quindi I ⊂ J(R).
Osservazione 2.63. Sembrerebbe a prima vista che sostituendo all’ideale nilpotente I un generico elemento nilpotente a la dimostrazione precedente funzioni ugualmente. Avremmo così
dimostrato che J(R) contiene tutti gli elementi nilpotenti, ma questo non è sempre vero. L’errore è quello di considerare aU un R-sottomodulo di U , cosa non sempre vera nel caso di anelli
non commutativi. In effetti, nel caso in cui R sia commutativo, J(R) contiene tutti gli elementi
nilpotenti di R.
Nel caso non commutativo abbiamo visto che l’insieme degli elementi nilpotenti non costituisce un ideale. Introduciamo la nozione di nilpotenza forte che generalizza l’idea di nilpotenza
nel caso non commutativo.
Definizione 2.64. Un elemento a ∈ R è detto fortemente nilpotente se esiste n ∈ N tale che ogni
prodotto di elementi di R in cui n fattori coincidano con a sia nullo.
L’insieme degli elementi fortemente nilpotenti costituisce effettivamente un ideale. Sotto
opportune ipotesi di finitezza su R, il radicale di Jacobson J(R) contiene tutti e soli gli elementi
fortemente nilpotenti di R.
Definizione 2.65. R è detto artiniano se ogni catena decrescente di ideali si stabilizza.
Osservazione 2.66. La condizione di artinianità è equivalente alla seguente: ogni famiglia non
vuota di ideali sinistri di R possiede (almeno) un elemento minimale. In effetti, se nessuno dei
suoi elementi fosse minimale, si potrebbe costruire una catena infinita di inclusioni (discendenti) proprie, confutando l’ipotesi di artinianità. Viceversa, se ogni famiglia non vuota di ideali
sinistri possiede elementi minimali, allora anche una catena discendente deve possederne, e
quindi stabilizzarsi.
Teorema 2.67. Sia R un anello artiniano. Allora R è semisemplice se e solo se J(R) = (0).
Dimostrazione. Sappiamo già che un anello semisemplice ha radicale di Jacobson banale, a
prescindere dall’ipotesi di artinianità.
Viceversa, supponiamo che J(R) = (0). Siano M1 , . . . , Mn ideali sinistri massimali di R tali
che M1 ∩ · · · ∩ Mn 6= (0). Poiché l’intersezione di tutti gli ideali sinistri massimali di R è uguale
a (0), allora deve esistere qualche ideale sinistro massimale M di R che interseca M1 ∩ · · · ∩ Mn
propriamente, e M1 ∩ · · · ∩ Mn ∩ Mn+1 è propriamente contenuto in M1 ∩ · · · ∩ Mn . Pertanto, è
possibile costruire una catena discendente di inclusioni proprie
M1 ⊃ M1 ∩ M2 ⊃ M1 ∩ M2 ∩ M3 ⊃ . . .
fintantoché tali intersezione non diventano nulle. Tuttavia, per artinianità, tale catena discendente deve terminare in un numero finito di passi. Pertanto, è possibile trovare un numero
finito di ideali sinistri massimali di R con intersezione nulla.
Consideriamo ora l’applicazione φ : R → R/M1 ⊕ · · · ⊕ R/Mn che associa ad ogni elemento
di R le sue proiezioni al quoziente modulo M1 , . . . , Mn . φ è chiaramente un omomorfismo di
R-moduli, e il suo nucleo coincide con l’intersezione degli Mi , ed è pertanto banale. Ma allora
φ è iniettiva, ed identifica R con un sottomodulo di R/M1 ⊕ . . . R/Mn , che è semisemplice in
quanto somma diretta di irriducibili. Poiché sottomodulo di semisemplice è semisemplice, R è
un R-modulo semisemplice, e quindi R è un anello semisemplice.
16
ALESSANDRO D’ANDREA
Corollario 2.68. Se R è un anello semplice artiniano, allora R è semisemplice.
Dimostrazione. Dalla proposizione 2.59 sappiamo che J(R) è un ideale bilatero di R, che non
può essere tutto R, in quanto 1 ∈
/ J(R). Ma allora, J(R) = (0), e R è allora semisemplice.
Osservazione 2.69. L’ipotesi di artinianità dell’anello è essenziale per controllare la semisemplicità attraverso il radicale di Jacobson. Un facile controesempio nel caso non artiniano è dato
dall’anello R = C[x]. I suoi ideali (sinistri) massimali sono quelli della forma Mλ = (x − λ), λ ∈ C,
e la loro intersezione è (0).
Tuttavia, il quoziente C[x]/(x2 ) è un R-modulo non semisemplice, e quindi R non è un anello
semisemplice.
Una delle applicazioni fondamentali del radicale di Jacobson, specie nel caso di anelli commutativi, è il cosiddetto Lemma di Nakayama.
Lemma 2.70 (Nakayama). Sia M un R-modulo finitamente generato. Se J(R)M = M , allora
M = 0.
Dimostrazione. Tra gli insiemi finiti di generatori di M come R-modulo, scegliamone uno di
cardinalità minima m1 , . . . , mk .
P
Poiché M = J(R)M , possiamo trovare a1 , . . . , ai ∈ J(R), m1 ,P
. . . , mi ∈ M tali che mP
ai mi .
1 =
i
i
ij
Ciascun m è R-combinazione lineare di m1 , . . . , mk . Se m = j r mj , allora m1 = i,j ai rij mj .
P
P
Se poniamo bj = i ai rij , allora m1 = j bj mj . Inoltre, poiché J(R) è un ideale destro di R,
bj ∈ J(R) per ogni j.
Ma allora (1 − b1 )m1 = b2 m2 + · · · + bk mk , e 1 − b1 deve essere invertibile a sinistra. Moltiplicando a sinistra per il suo inverso, riusciamo ad esprimere m1 come R-combinazione lineare
di m2 , . . . , mk . Pertanto anche m2 , . . . , mk è un insieme di generatori R-lineari di M , il che
contraddice la minimalità dell’insieme di generatori scelto inizialmente.
Osservazione 2.71. L’ipotesi di finita generazione è essenziale per la validità dell’enunciato.
Per un facile controesempio, si consideri l’anello R = C[[x]] delle serie formali a coefficienti
complessi. R possiede un unico ideale massimale (x), e quindi J(R) = (x). Lo spazio delle serie
di Laurent M = C[[x]][x−1 ] è un R-modulo, non finitamente generato, e J(R)M = M . Tuttavia,
M 6= (0).
Teorema 2.72. Sia R è un anello artiniano, J(R) è un ideale nilpotente.
Dimostrazione. La catena discendente di ideali J(R) ⊃ J(R)2 ⊃ J(R)3 ⊃ . . . si stabilizza per
artinianità, ed esiste dunque n tale che J(R)n = J(R)m per ogni m ≥ n. Il nostro obiettivo è
quello di mostrare che J(R)n = (0). Intanto, poniamo I = J(R)n . Si ha, chiaramente, J(R)I =
I 2 = I. Supponiamo per assurdo che I 6= (0). Allora I · I = I 6= (0).
Consideriamo la famiglia degli ideali J ⊂ R, contenuti in I, finitamente generati come Rmoduli, e tali che IJ 6= (0). Tale famiglia è sicuramente non vuota: in effetti, dal momento
che I · I 6= (0), deve esistere x ∈ I tale che Ix 6= (0); ma allora I · Rx 6= (0), e Rx ⊂ I è un
R-modulo generato dal singolo elemento x. Per l’ipotesi di artinianità, questa famiglia deve
possedere almeno un elemento minimale. Indichiamo quindi con K un ideale contenuto in
I, R-finitamente generato, e tale che IK 6= (0). Il nostro obiettivo è quello di mostrare che
J(R)K = K, e di applicare il Lemma di Nakayama per mostrare che K = (0), ed ottenere così
un assurdo – dal momento che IK 6= (0).
L’ideale sinistro non nullo (0) 6= IK ⊂ K soddisfa I(IK) = I 2 K = IK 6= (0), e contiene
quindi elementi x ∈ IK tali che Ix 6= (0). Ma allora Rx ⊂ IK è un ideale sinistro che soddisfa
I(Rx) 6= (0). Poiché Rx ⊂ IK ⊂ K, per minimalità di K deve essere Rx = K, in quanto Rx è un
ideale sinistro, è contenuto in I, è finitamente generato come R-modulo, e soddisfa I(Rx) 6= (0).
Ma allora tutte le inclusioni sono uguaglianze, e IK = K.
In conclusione, K = IK ⊂ J(R)K ⊂ K da cui J(R)K = K, e possiamo concludere per assurdo,
come spiegato prima.
Osservazione 2.73. Una dimostrazione più chiara e più pratica consiste nel costruire una
catena di ideali sinistri
(0)I0 ⊂ I1 ⊂ I2 ⊂ · · · ⊂ In−1 ⊂ In = R,
con la proprietà che Ij /Ij−1 sia un R-modulo irriducibile per ogni j = 1, . . . , n. In tal caso, J(R)
agisce banalmente su ciascun Ij /Ij−1 e quindi J(R)Ij ⊂ Ij−1 . Ma allora J(R)n R = J(R)n In ⊂
I0 = (0), e quindi J(R)n = (0). Questo mostra che ogni elemento di J(R) è fortemente nilpotente.
Tuttavia, la costruzione di una tale catena di ideali sinistri (cioè, di una serie di composizione
per R, visto come R-modulo) richiede di conoscere sia l’artinianità che la noetherianità di R.
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
17
Ora, è un fatto che ogni anello artiniano sia anche noetheriano, ma non lo abbiamo (ancora)
dimostrato: in effetti, la dimostrazione più semplice di tale fatto utilizza la nilpotenza del
radicale di Jacobson.
Nel caso in cui noetherianità e artinianità valgono in maniera evidente, come nel caso delle algebre di dimensione finita, l’argomento dato sopra illustra in modo chiaro, tuttavia, il
fenomeno di nilpotenza del radicale di Jacobson.
Corollario 2.74. Se R è un anello artiniano, gli elementi di J(R) sono tutti fortemente nilpotenti.
Dimostrazione. Un elemento a ∈ R è fortemente nilpotente se e solo se Ra è un ideale sinistro
nilpotente. Ad ogni modo, J(R) è un ideale sinistro.
La caratterizzazione di semisemplicità data in termini di elementi fortemente nilpotenti
permette, ora, di rendere più preciso l’enunciato del Teorema di Maschke.
Proposizione 2.75. Sia G un gruppo finito e K un campo di caratteristica prima p. Allora K[G] è
semisemplice se e soltanto se p non divide |G|.
Dimostrazione. se p non divide G, allora ogni rappresentazione di G è completamente riducibile
(Maschke), quindi K[G] è semisemplice.
P
Viceversa, supponiamo che p divida |G|. L’elemento x = g∈G g ∈ KG è centrale, e soddisfa
hx = xh = x per ogni h ∈ G ⊂ KG. Ma allora x2 = |G|x = 0. Pertanto x è nilpotente, ed
essendo centrale è fortemente nilpotente. Poiché 0 6= x ∈ J(KG), l’algebra gruppo KG non è
semisemplice.
2.8. Serie di composizione e il Teorema di Jordan-Hölder. Gli R-moduli che sono sia noetheriani che artiniani condividono molte buone proprietà con gli spazi vettoriali di dimensione
finita. L’obiettivo di questo paragrafo è duplice: da un lato studiamo in dettaglio tale analogia,
dall’altra otteniamo una descrizione fine della struttura dei moduli non semisemplici, sotto
ipotesi di noetherianità e artinianità, che approssima quella fornita da una decomposizione in
somma diretta di irriducibili, e dalle informazioni di molteplicità che tale decomposizione si
porta dietro.
Definizione 2.76. Sia R un anello, e M un R-modulo. Una serie di composizione di M è una
famiglia finita di sottomoduli
(0) = M0 ( M1 ( . . . ( Mn = V,
con la proprietà che il quoziente Mi /Mi−1 è un R-modulo irriducibile, per ogni i = 1, . . . , n.
Osservazione 2.77. Se R è una K-algebra, e M è un R-modulo di dimensione finita su K,
allora M possiede sicuramente almeno una serie di composizione: è sufficiente porre M0 = (0)
e scegliere induttivamente Mk+1 di dimensione minima tra i sottomoduli di M che contengono
propriamente Mk . Per la minimalità di Mk+1 , Mk deve essere massimale in Mk+1 , e il quoziente
Mk+1 /Mk è necessariamente irriducibile. La catena è finita perché uno spazio vettoriale di
dimensione finita non ammette una catena infinita di inclusioni proprie tra sottospazi vettoriali.
Definizione 2.78. Un R-modulo M si dice artiniano (risp. noetheriano) se ogni catena discendente (risp. ascendente) di sottomoduli di M si stabilizza; equivalentemente, se ogni famiglia
non vuota di sottomoduli di M possiede elementi minimali (risp. massimali). M si dice di tipo
finito se è sia noetheriano che artiniano.
Lemma 2.79. Ogni R-modulo di tipo finito possiede una serie di composizione.
Dimostrazione. Come già fatto nell’osservazione precedente, poniamo M0 = (0), e scegliamo
induttivamente Mk+1 minimale tra i sottomoduli di M che contengono propriamente Mk : questo
è possibile fintantoché Mk 6= M , poiché in tal caso la famiglia di tali sottomoduli è non vuota,
contenendo M . L’inclusione Mk ⊂ Mk+1 è stretta, e il quoziente Mk+1 /Mk è irriducibile, dal
momento che la minimalità di Mk+1 garantisce la massimalità di Mk dentro Mk+1 .
Per noetherianità, la catena di inclusioni strette
(0) = M0 ⊂ M1 ⊂ M2 ⊂ . . .
non può continuare indefinitamente. Deve allora interrompersi dopo un numero finito di passi,
il che è possibile, come abbiamo visto, solo se Mn = M per qualche n.
Vedremo in seguito che gli R-moduli dotati di una serie di composizione sono tutti e soli
quelli di tipo finito.
18
ALESSANDRO D’ANDREA
Proposizione 2.80. Se l’R-modulo M ammette una serie di composizione, ogni sottomodulo e
ogni quoziente di M ammette una serie di composizione.
Dimostrazione. Sia N ⊂ M un sottomodulo, e
(0) = M0 ⊂ M1 ⊂ · · · ⊂ Mn = M
una serie di composizione per M . Consideriamo le intersezioni Ni = N ∩ Mi . Chiaramente
N0 = (0) e Nn = N ; inoltre, Ni−1 ⊂ Ni per ogni i = 1, . . . , n.
Il quoziente Nj /Nj−1 = (N ∩ Mj )/(N ∩ Mj−1 ) = (N ∩ Mj )/((N ∩ Mj ) ∩ Mj−1 è isomorfo a ((N ∩
Mj ) + Mj−1 )/Mj−1 per uno dei teoremi di isomorfismo. Inoltre ((N ∩ Mj ) + Mj−1 )/Mj−1 si inietta
in Mj /Mj−1 . Pertanto, Nj /Nj−1 è isomorfo ad un R-sottomodulo di Mj /Mj−1 , che è irriducibile;
di conseguenza, Nj /Nj−1 è uguale a (0), oppure è irriducibile.
Possiamo concludere che, nella catena di inclusioni
(0) = N0 ⊂ N1 ⊂ N2 ⊂ · · · ⊂ Nn = N,
quelle strette danno quozienti irriducibili. Rimuovendo i sottomoduli coincidenti, si ottiene
allora una serie di composizione per N .
La dimostrazione per un quoziente M/N di M è simile. In tal caso, consideriamo i sottomoduli Ni = N + Mi , ed osserviamo che N0 = N, Nn = M , e che Ni−1 ⊂ Ni per ogni
I = 1, . . . , n.
Il quoziente Nj /Nj−1 = (N + Mj )/(N + Mj−1 ) = (Mj + (N + Mj−1 ))/(N + Mj−1 ) è isomorfo a
Mj /(Mj ∩ (N + Mj−1 ). Poiché Mj−1 è contenuto sia in Mj che in N + Mj−1 , il quoziente Mj /Mj−1
proietta su Mj /(Mj ∩ (N + Mj−1 )), e quindi Nj /Nj−1 è isomorfo ad un quoziente dell’R-modulo
irriducibile Mj /Mj−1 . Pertanto Nj /Nj−1 è uguale a (0), oppure è irriducibile, e si conclude
come sopra, una volta osservato che la catena di inclusioni N ⊂ · · · ⊂ M fornisce, dopo aver
quozientato tutto per N , una serie di composizione per M/N .
Teorema 2.81 (Jordan-Hölder). Due serie di composizione di un R-modulo M hanno la stessa lunghezza, e i quozienti irriducibili delle due serie di composizione coincidono, a meno di
isomorfismo e permutazione degli indici.
Dimostrazione. Mostriamo, per induzione su h ≥ 0, che se (0) = M0 ⊂ M1 ⊂ · · · ⊂ Mh = M
e (0) = N0 ⊂ N1 ⊂ · · · ⊂ Nk = M sono due serie di composizione di M , allora h = k, e che i
quozienti irriducibili corrispondenti sono gli stessi, a meno di isomorfismo e di permutazione
degli indici. La base dell’induzione è ovvia, in quanto h = 0 implica M = (0), e quindi anche
k = 0.
Se h > 0, distinguiamo due casi. Se Mh−1 = Nk−1 , allora rimuovendo M si ottengono due
serie di composizione di Mh−1 , che devono avere la stessa lunghezza per ipotesi induttiva.
Pertanto h − 1 = k − 1 da cui h = k, e i primi h − 1 quozienti sono gli stessi a meno di isomorfismo
e permutazione sempre per ipotesi induttiva; l’ultimo quoziente è comunque in entrambi i casi
M/Mh−1 .
Se invece Mh−1 e Nk−1 non coincidono, allora sono sottomoduli massimali distinti di M .
La loro somma li contiene entrambi propriamente, e deve quindi coincidere con M . Inoltre,
Mh−1 /(Mh−1 ∩Nk−1 ) ' (Mh−1 +Nk−1 )/Nk−1 = M/Nk−1 è irriducibile, e così anche, in modo simile,
Nk−1 /(Mh−1 ∩ Nk−1 ) ' M/Mh−1 . I quozienti irriducibili relativi a Mh−1 ∩ Nk−1 ⊂ Mh−1 ⊂ M e a
Mh−1 ∩ Nk−1 ⊂ Nk−1 ⊂ M sono quindi isomorfi tra loro, dopo aver scambiato i secondi.
Sia ora (0) = L0 ⊂ L1 ⊂ · · · ⊂ Lr = Mh−1 ∩ Nk−1 una serie di composizione dell’intersezione
Mh−1 ∩Nk−1 . Allora (0) = L0 ⊂ L1 ⊂ · · · ⊂ Lr = Mh−1 ∩Nk−1 ⊂ Mh−1 è una serie di composizione di
Mh−1 , e per ipotesi induttiva r + 1 = h − 1. Inoltre (0) = L0 ⊂ L1 ⊂ · · · ⊂ Lr = Mh−1 ∩ Nk−1 ⊂ Nk−1
è una serie di composizione di lunghezza r + 1 = h − 1 di Nk−1 , del quale abbiamo già una
serie di composizione di lunghezza k − 1. Sempre per ipotesi induttiva h − 1 = r + 1 = k − 1, e
di conseguenza h = k, e sia i quozienti Mj /Mj−1 che gli Nj /Nj−1 coincidono con gli Lj /Lj−1 , e
quindi tra loro, a meno di isomorfismo e permutazione.
Se l’R-modulo M ammette serie di composizione, la loro lunghezza dipende solamente da M .
Questo numero è detto lunghezza di M e si indica con `(M ).
Corollario 2.82. Sia M un R-modulo che ammette una serie di composizione, e N ⊂ M un suo
sottomodulo. Allora:
(1) `(M ) = 0 se e solo se M = (0);
(2) `(M ) = 1 se e solo se M è irriducibile;
(3) `(M ) = `(N ) + `(M/N );
(4) `(M ) ≥ `(N );
TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
19
(5) `(M ) = `(N ) se e solo se M = N .
Dimostrazione. Le prime due affermazioni seguono direttamente dalle definizioni. Per quanto
riguarda la terza, indichiamo con π : M → M/N la proiezione canonica al quoziente. Se 0 =
N0 ⊂ N1 ⊂ · · · ⊂ Nh = N e 0 = P0 ⊂ P1 ⊂ · · · ⊂ Pk = M/N sono serie di composizione, allora
0 = N0 ⊂ N1 ⊂ · · · ⊂ Nh = N = π −1 (P0 ) ⊂ π −1 (P1 ) ⊂ · · · ⊂ π −1 (Pk ) = M
è una serie di composizione di M , di lunghezza h + k.
Poiché la lunghezza di un modulo è sempre non negativa, da (3) segue (4). Inoltre, se N ⊂ M
e `(M ) = `(N ), allora `(M/N ) = 0, e quindi M/N = (0) per (1).
Corollario 2.83. Se un R-modulo M possiede una serie di composizione, allora è di tipo finito.
Dimostrazione. Se M 0 ( M 00 sono sottomoduli di M , allora `(M 0 ) < `(M 00 ) ≤ `(M ). Questo
mostra che non sono possibili catene infinite di inclusioni strette, sia crescenti che decrescenti,
e quindi M è sia noetheriano che artiniano.
2.9. Moduli indecomponibili.
Definizione 2.84. Un R-modulo M =
6 (0) è indecomponibile se ogni decomposizione in somma
diretta di sottomoduli M = M1 ⊕ M2 è banale, cioè M1 = (0) oppure M2 = (0).
Esempi 2.85. Consideriamo il C[x]-modulo M = C2 su cui x agisce per moltiplicazione come la
matrice
0 1
0 0
M non è semisemplice, dal momento che l’unico sottomodulo non banale è C(1, 0). M non è
irriducibile poichè contiene sottomoduli non banali ma allo stesso tempo è indecomponibile
poichè contiene un solo sottomodulo non banale.
2.10. Decomposizione di Fitting. Sia M un R-modulo, f ∈ EndR M . Una decomposizione di
Fitting per f è una scelta di sottomoduli M0 , M × ⊂ M con la proprietà che f |M0 sia nilpotente,
f |M × sia invertibile e M = M0 ⊕ M × .
Lemma 2.86 (Fitting). Se M è un R-modulo di tipo finito e f ∈ EndR M , allora esiste una
decomposizione di Fitting per f .
Dimostrazione. Le successioni di inclusioni
Imf ⊃ Imf 2 ⊃ · · · ⊃ Imf n ⊂ . . .
ker f ⊂ ker f 2 ⊂ · · · ⊂ ker f n ⊂ . . .
si stabilizzando per artinianità e noetherianità, rispettivamente. Pertanto si può trovare N
tale che Imf N = Imf k , ker f N = ker f k per ogni k ≥ N . Allora M × = Imf N , M0 = ker f N sono
sottomoduli di M , stabili per l’azione di f .
Dimostriamo innanzitutto che M = M0 ⊕ M × . In effetti, se m ∈ M , allora f N (m) ∈ Imf N =
Imf 2N , e possiamo quindi trovare x ∈ M tale che f N (m) = f 2N (x). Ma allora f N (m − f N (x)) = 0,
e quindi m = (m − f N (x)) + f N (x), con m − f N (x) ∈ ker f N = M0 e f N (x) ∈ Imf N = M × .
Questo mostra che M = M0 + M × . Ad ogni modo, se m ∈ M0 ∩ M × , allora m = f N (x), da cui
0 = f N (m) = f 2N (x); pertanto x ∈ ker f 2N = ker f N e quindi m = f N (x) = 0, e la somma è diretta.
La nilpotenza di f |M0 è chiara, dal momento che M0 = ker f N . Per quanto riguarda l’invertibilità di f |M × , notiamo che ogni elemento di Imf N = Imf N +1 è della forma f N +1 (x) = f (f N (x))
e quindi si ottiene applicando f a qualche elemento di Imf N ; inoltre, se f (y) = 0 per qualche
y ∈ Imf N , allora y ∈ ker f ⊂ ker f N e quindi y ∈ Imf N ∩ ker f N = (0). Di conseguenza, f |M × è sia
iniettiva che suriettiva.
Osservazione 2.87. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita su un campo algebricamente chiuso K e consideriamo un endomorfismo lineare T : V → V . Allora la decomposizione
di Fitting per T si ottiene scegliendo com V0 l’autospazio generalizzato relativo all’autovalore 0,
e come V × la somma di ogni altro autospazio generalizzato.
20
ALESSANDRO D’ANDREA
2.11. Il teorema di Krull-Schmidt. La decomposizione di Fitting permette di dimostrare i due
seguenti lemmi, cruciali per il teorema di Krull-Schmidt.
Lemma 2.88. Sia M un R-modulo indecomponibile di tipo finito. Se {φj }nj=1 ⊆ EndR M è una
Pn
famiglia finita di endomorfismi nilpotenti, allora anche j=1 φj è un endomorfismo nilpotente.
Dimostrazione. E’ sufficiente fornire una dimostrazione nel caso n = 2. Sappiamo, per il Lemma di Fitting, che un endomorfismo φ ∈ EndR M è invertibile oppure nilpotente, poiché la
decomposizione di Fitting del modulo indecomponibile M non può che essere banale.
.
Per assurdo, sia f = φ1 + φ2 invertibile. Allora IdM = f −1 φ1 + f −1 φ2 e quindi IdM − f −1 φ1 =
f −1 φ2 . Si noti ora che f −1 φ1 , f −1 φ2 sono entrambi nilpotenti, in quanto devono essere o invertibili oppure nilpotenti, e non possono essere invertibili, altrimenti lo sarebbero anche i φj . Ma
allora idM − f −1 φ1 è invertibile, in quanto somma dell’identità con un endomorfismo nilpotente,
mentre f −1 φ2 è nilpotente; questo fornisce un assurdo, in quanto un endomorfismo di M 6= (0)
non può essere contemporaneamente invertibile e nilpotente.
Lemma 2.89. Siano M, N R-moduli, con M indecomponibile e di tipo finito. Se φ : M → N ,
ψ : N → M sono R-omomorfismi tali che φ ◦ ψ ∈ EndR N sia invertibile, allora φ, ψ sono entrambi
invertibili.
Dimostrazione. Consideriamo la composizione f = ψ(φ ◦ ψ)−1 φ ∈ EndR M . Si vede subito che
f ◦ f = f . Per il lemma precedente, f è nilpotente oppure invertibile. Se f è nilpotente, da
f ◦ f = f segue f = 0; ma allora φ = φ ◦ f, ψ = f ◦ ψ sono entrambe nulle, e φ ◦ ψ non può essere
invertibile. Pertanto, f è invertibile, e da f ◦ f = f segue f = idM .
A questo punto, l’iniettività di φ e la suriettività di ψ seguono dall’invertibilità di f , mentre la
suriettività di φ e l’iniettività di ψ seguono dall’invertibilità di φ ◦ ψ.
Lemma 2.90. Sia M = M1 ⊕ ... ⊕ Mh e siano ir : Mr → P
M e πr : M → Mr rispettivamente
l’immersione e la proiezione canoniche. Allora πr ir = idMr e r ir πr = idM .
Dimostrazione. Sono proprietà che seguono evidentemente dalla definizione di immersione e
proiezione canoniche.
Teorema 2.91 (Krull-Schmidt). Sia M un R-modulo di tipo finito e M = M1 ⊕ · · · ⊕ Mh , M =
M10 ⊕ · · · ⊕ Mk0 due decomposizioni di M in somma diretta di sottomoduli indecomponibili. Allora
h = k e, a meno di una permutazione degli indici, Mi ' Mi0 per ogni i.
Dimostrazione. Per induzione sulla lunghezza di M , la base dell’induzione `(M ) = 1 essendo
ovvia, dal momento che M è in tal caso irriducibile.
Useremo le notazioni ιr : Mr → M, ι0r : Mr0 → M per indicare le inclusioni degli addendi diretti
0
0
in M e πr : M → MP
r , πr : M → Mr per indicare le corrispondenti proiezioni. Per il Lemma 2.90,
0
0
sappiamo che πr ◦ ( s ιs πs ) ◦ ιr = idMr0 . Possiamo riscrivere tale uguaglianza nel modo seguente:
X
(πr0 ιs ) ◦ (πs ι0r ) = idMr0 .
s
Fissato r, la somma degli endomorfismi (πr0 ιs ) ◦ (πs ι0r ) ∈ EndR Mr0 è invertibile, e quindi gli
addendi non possono essere tutti nilpotenti, a causa del Lemma 2.88. Pertanto, per ogni r
esiste s tale che (πr0 ιs ) ◦ (πs ι0r ) è invertibile e, per il Lemma 2.89, sia πr0 ιs che πs ι0r sono invertibili.
Scegliamo allora r = 1; a meno di una permutazione degli indici, possiamo supporre che π10 ι1 :
M1 → M10 e π1 ι01 : M10 → M1 siano entrambi R-isomorfismi.
E’ importante osservare che M10 + (M2 + . . . + Mh ) = M1 + (M2 + . . . + Mh ) = M . In effetti,
se m0 ∈ M10 , allora se m0 = m1 + . . . + mh , con mi ∈ Mi , si ha π1 ι01 (m0 ) = m1 . Poiché π1 ι01 è
invertibile, per ogni scelta di m1 ∈ M1 possiamo trovare m0 ∈ M10 tale che π1 ι01 (m0 ) = m1 . Ma
allora M1 3 m1 = m0 − (π2 ι01 (m0 ) + . . . + πh ι01 (m0 )) ∈ M10 + (M2 + . . . + Mh ).
In realtà, la somma M10 +(M2 +. . .+Mh ) è diretta. Se m0 ∈ M10 appartiene a M2 +. . .+Mh , allora
π1 ι01 (m0 ) = 0 e quindi, per invertibilità di π1 ι01 , m0 = 0. In altre parole, M = M10 ⊕ (M2 + . . . + Mh ) =
M10 ⊕ M2 ⊕ . . . ⊕ Mh .
Abbiamo ormai concluso. Sappiamo che M = M10 ⊕ M2 ⊕ . . . ⊕ Mh = M10 ⊕ M20 ⊕ . . . ⊕ Mk0 .
Quozientando per M10 , si ottiene M/M10 = M2 ⊕. . .⊕Mh = M20 ⊕. . .⊕Mk0 , dove abbiamo identificato
ciascun Mr , Mr0 con la corrispondente proiezione al quoziente per M10 . Sappiamo però che
`(M/M10 ) < `(M ) e possiamo quindi usare l’ipotesi induttiva per concludere che h − 1 = k − 1 e
che, a meno di una permutazione degli indici, Mr ' Mr0 per ogni r ≥ 2. L’isomorfismo M1 ' M10
era comunque già stato dimostrato.
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