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Chiesa cattolica
USA
i
l perduto «common ground»
P
ochi mesi prima di morire
il card. Joseph Bernardin
(1928-1996),1 arcivescovo
di Chicago dal 1982, lanciava la «Catholic Common Ground Initiative». Il documento fondativo, pubblicato il 12 agosto
1996, si intitolava Called to Be Catholic:
Church in a Time of Peril.2 Si può dire che da allora la polarizzazione all’interno della Chiesa americana si sia fatta più grave ed evidente: i membri vicini all’ala conservatrice del cattolicesimo statunitense hanno progressivamente lasciato la «Catholic Common
Ground Initiative»: si sono allontanati a causa dell’opposizione espressa fin
da subito da parte di vescovi e cardinali americani, convintisi ad aderire alla
trincea conservatrice e neo-conservatrice negli anni caratterizzati dal lento
declino di Giovanni Paolo II prima e
dal pontificato di Benedetto XVI poi.
Le due culture del cattolicesimo americano stentano a parlarsi, a ogni livello e
su una lunga serie di questioni.
Per uno storico-teologo cattolico
italiano approdato in America cinque
anni fa, è compito difficile, ma allo
stesso tempo anche urgente, tentare di
rendere conto della polarizzazione che
caratterizza il cattolicesimo degli Stati
Uniti. La polarizzazione politica, che
pure ha caratterizzato alcuni paesi (come l’Italia nel periodo berlusconiano),
non si è riverberata in quei paesi in una
polarizzazione teologica all’interno del
cattolicesimo, anche grazie al concilio Vaticano II. Nel sistema politico e
nel clima culturale degli anni Sessanta,
quando il cattolicesimo europeo era an-
Liberal e conservatori:
cattolicesimi esausti e polarizzati
cora il «canone», lo standard per il cattolicesimo mondiale, il Vaticano II rappresentò un’apertura, una sorta di «disgelo» che permise di costruire ponti tra
culture politiche diverse. In America è
andata diversamente, specialmente dopo lo spartiacque del 1973 con la sentenza della Corte suprema Roe vs. Wade di legalizzazione dell’aborto.
Per tentare di comprendere il problema della polarizzazione politica e teologica all’interno del cattolicesimo statunitense, vale la pena, prima di tutto,
ricordare che l’idea che i cattolici possano avere una cultura politica, e anche diverse culture politiche (al plurale),
è un’acquisizione recente per la Chiesa
cattolica e il magistero cattolico.
Da sinistra a destra e dall’alto in basso:
card. J. Bernardin; card. F. George; papa Benedetto XVI; papa Francesco.
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Nella lunga marcia del cattolicesimo verso la democrazia, fino a qualche decennio fa i cattolici non avevano nemmeno riconosciuto il diritto ad
avere una cultura politica. Dopo lo
shock delle rivoluzioni politiche tra la
fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, «la politica» era vista come
il frutto della separazione del mondo
moderno dalla guida morale della sola vera autorità legittima, quella della
Chiesa cattolica. I politici cattolici erano autorizzati ad avere commerci con
il mondo moderno solo de facto – come
necessità pratica, perché a volte per la
gerarchia era troppo imbarazzante essere coinvolta direttamente con la sfera della politica, di cui non riconosceva
la legittimità. Tuttavia, in molti casi,
l’imbarazzo poteva essere agevolmente superato, e specialmente nel corso
del Novecento, secolo del confronto
con le ideologie, la politica internazionale del Vaticano ha più di una volta
aggirato e avuto la meglio sugli orientamenti politici dei cattolici (dall’Italia
degli anni Venti, fino alla Ostpolitik vaticana in Europa orientale dopo la Seconda guerra mondiale).
Fine della transizione
Con il Vaticano II si ha un cambiamento di scenario, grazie al riconoscimento che la modernità «esiste» e che
i cattolici vivono nella Chiesa, ma anche nella società e in una comunità politica diventata democratica – uno dei
«segni del tempi» a cui la Chiesa doveva iniziare a guardare per comprendere. Il Vaticano II è stato ispirato da un
fondamentale appello all’unità – l’unità
nella Chiesa, ecumenica, interreligiosa,
e del genere umano: i padri e teologi del
Vaticano II videro nella modernità un
momento di progresso verso l’unità, e la
Chiesa come uno degli agenti della promozione di questa unità.3
Tuttavia, la scoperta della politica
da parte della Chiesa cattolica non era
dovuta soltanto alla maggiore consapevolezza delle diverse legittime culture politiche che i cattolici potevano fare proprie ed avevano già fatto proprie.
Derivava anche dal fatto che la Chiesa
cattolica elaborava nel concilio Vaticano II una serie di principi per i cattolici nello spazio pubblico, e in particolare in uno spazio pubblico democratico,
che si può chiamare «democrazia socia-
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le»: una democrazia il cui obiettivo non
è procedurale, ma si misura nella capacità di rispondere alle esigenze di una
dignità umana che la Chiesa proclama
come strettamente collegata alla «natura sociale» della persona umana.4
Oggi la parola «legittima diversità» suona obsoleta per i cattolici americani liberal che si scontrano con una
gerarchia di vescovi che essi percepiscono come politicamente conservatori (se non reazionari), mentre dall’altro
lato dello spettro l’idea di una «legittima diversità» è sempre più allarmante
per quei cattolici preoccupati di mantenere o creare una unanimità politica
dei cattolici attorno ai cosiddetti «valori non negoziabili».
Alla luce di questo straordinario anno 2013 per la Chiesa cattolica, dobbiamo chiederci se la polarizzazione
scomparirà presto assieme alla fine della lunga transizione nella Chiesa postconciliare rappresentata dai 35 anni dei
pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Le dimissioni di Benedetto
XVI hanno segnato la fine di una lunga
transizione dei papi che non erano più
i papi del Concilio Vaticano II, ma in
realtà neanche i papi della Chiesa postconciliare (come invece è papa Francesco). C’è da chiedersi se con la fine di
questa lunga transizione non avranno
fine anche alcune delle caratteristiche
tipiche di un cattolicesimo incentrato
sulle «sfide antropologiche» prodotte
dall’universo morale della modernità.
Ma anche se così fosse, vi è ragione
di credere che nel cattolicesimo americano alcune questioni continueranno
a essere centrali nel dibattito ecclesiale. Lo si è visto nelle settimane scorse,
con la recezione (e la non recezione, in
alcuni ambienti) dell’intervista di papa
Francesco rilasciata alle riviste dei gesuiti in tutto il mondo per il tramite de
La Civiltà cattolica.5 Solo poche settimane prima, il vivace e polemico dibattito tra gli editoriali di America e di
Commonweal circa la politica dei cattolici negli Stati Uniti aveva evidenziato l’importanza della questione politica nel discorso intra-ecclesiale nel cattolicesimo americano.6
I cattolici in una
democrazia competitiva
Il cattolicesimo americano ha una
storia speciale, e questa storia ha crea-
to una Chiesa con caratteristiche uniche – alcune delle quali molto rilevanti per la questione della polarizzazione interna alla Chiesa. Il primo – e più
evidente – elemento è la commistione
tra religione e politica negli Stati Uniti, nonostante il Primo emendamento
alla Costituzione americana (o grazie
al Primo emendamento) – fondamento della libertà religiosa e della «separazione tra stato e Chiesa» – e grazie
alla «religione civile» del popolo americano:7 la posizione personale del singolo in politica dice molto della sua posizione su questioni religiose, e viceversa. La storia di molte «denominazioni»
cristiane negli Stati Uniti è una storia
di adattamento e di cambiamento a seconda delle mutevoli relazioni tra i diversi elementi dello scenario (teologico, politico, culturale, sociale): il cattolicesimo negli Stati Uniti vorrebbe
considerarsi immune da questo fenomeno, ma non lo è.
Il secondo elemento è dato dal fatto che nella classifica dei gruppi religiosi più numerosi in America, il secondo è formato dagli ex cattolici.
Ma, nonostante il continuo aumentare del loro numero (quel fenomeno che lo storico della University of
Chicago Martin Marty ha chiamato
ironicamente la «American Catholic
Alumni Society»), i cattolici in America non hanno lasciato la Chiesa nella stessa misura dei cattolici europei:
in altre parole, il crescere di una massa critica nei confronti della Chiesa è
diventata parte del dibattito interno, e
non, come in Europa, parte del dibattito tra un cattolicesimo più clericale
e un paesaggio culturale radicalmente più secolare.
Il terzo elemento è dato dal fatto
che la Chiesa cattolica negli Stati Uniti vive a stretto contatto con un ambiente democratico particolare, ovvero in una democrazia che non è «consensuale» come le democrazie europee basate su alleanze multi-partitiche (non di rado comprendenti anche partiti nati come «forze anti-sistema»), ma è una democrazia «concorrenziale», cioè con due partiti politici
alternativi. In questo contesto democratico-competitivo, la Chiesa cattolica ha assorbito alcuni di questi meccanismi al suo interno, anche per quanto riguarda l’ethos della partecipazione
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nella Chiesa. La partecipazione alla vita della Chiesa degli Stati Uniti è guidata prevalentemente da visioni «competitive», alternative, più che da istinti
«consensuali».
Più politica che teologia
Risulta chiaro perché i «valori non
negoziabili» sono diventati così importanti per la delimitazione delle varie anime del cattolicesimo americano:
non solo a causa del proverbiale puritanesimo degli americani (anche cattolici), ma anche a causa della cultura
politica americana. L’ethos democratico è diventato parte della cultura della Chiesa, ma nella Chiesa degli Stati
Uniti questo ha creato più «concorrenza» che «consenso» – con tutti i soggetti ecclesiali (gerarchia, laici, teologi,
università cattoliche, ecc.) che prendono parte a questa competizione come
concorrenti. La funzione del «costruttore di consenso» è stata visibilmente carente a tutti i livelli della Chiesa
(specialmente tra i vescovi): non è un
caso se molti vescovi respinsero esplicitamente fin dall’inizio la «Catholic
Common Ground Initiative» del cardinale Bernardin.8
Su questo elemento ha un impatto,
che finora è stato sottovalutato, il sistema politico statunitense. Ci sono molti studi scientifici sugli effetti dei sistemi elettorali sul comportamento politico di un paese e sul comportamento politico dei cattolici negli Stati Uniti, ma
ci sono meno analisi sull’impatto del
sistema elettorale sulla cultura politica
dei cattolici in un dato paese. In altre
parole, l’esistenza di un sistema politico ed elettorale bipartitico ha dato vita in questi ultimi decenni a qualcosa
di molto vicino a una Chiesa cattolica con due «partiti» che competono al
suo interno.
In altri paesi con una popolazione
significativa di cattolici politicamente attivi non si ha una Chiesa con due
partiti perché questi cattolici vivono in
sistemi politici multi-partitici, in cui le
diverse identità teologiche sono molto
più difficili da attrarre e assorbire nel
discorso politico e in narrazioni politiche partigiane. Questo elemento è incomprensibile nel suo impatto sui cattolici americani, se non si riconosce il
fatto che la politica degli Stati Uniti è
diventata più polarizzata: in America
oggi «repubblicano» significa «conservatore», mentre «democratico» significa «liberal». Le sfumature si sono del
tutto perse tra le identità ideologiche
dei due partiti. Anche la cultura politica della Chiesa è diventata più polarizzata in America: «Vaticano II» significa «cattolico liberal», mentre chi
invoca «il magistero» si identifica immediatamente come «cattolico conservatore» – e questo è ovviamente
possibile solo se si accetta una visione
estremamente semplificata (cioè, più
politica che teologica) di termini come «concilio ecumenico» e «tradizione della Chiesa».
Nella Chiesa di Francesco
La polarizzazione dei cattolici americani in una politica polarizzata è parte di un quadro in cui non si è mai avuto un partito politico cattolico o cristiano non-confessionale. Nella maggior
parte dei paesi europei con una presenza cattolica culturalmente e demograficamente significativa, il compromesso politico ha sempre fatto parte
anche della ricezione politica e culturale dei documenti del magistero della Chiesa (per esempio, la scomunica dei comunisti nel 1949 e la ricezione dell’Humanae vitae e degli altri insegnamenti sulle cosiddette life issues).
In America l’effetto di mediazione di
una cultura politica cattolica è sempre
mancato in un partito come tale: oggi sembra essere scomparso del tutto,
anche tra le pur nutrite presenze cattoliche dei due partiti, ormai completamente assorbite dalla retorica partisan (fenomeno da addebitare anche
all’evoluzione del meccanismo delle
elezioni primarie).
Alla luce di questi elementi, vale la pena di riflettere sul momento attuale nella vita della Chiesa. Bisogna chiedersi se il «Catholic Common Ground Initiative» avrà (sotto
questa sigla o nuove sigle) un ruolo diverso nel nostro discorso ecclesiale a
causa e come conseguenza dell’elezione di papa Francesco: in altre parole,
questo momento potrebbe significare
la fine delle «culture wars» in America – oppure, per lo meno, nella Chiesa di papa Francesco sarà più difficile
dichiarare «guerre culturali» facendolo a nome del magistero pontificio. Le
parole e i gesti di papa Francesco han-
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Dalla cananea al cieco di Gerico
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P
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no posto fine alla facile approvazione,
anche indiretta, di un’ideologizzazione del Vangelo al servizio di un programma politico; d’altro canto, Bergoglio è chiaramente distante da una
visione «americanista» del cattolicesimo, da un «eccezionalismo cattolico» statunitense che è parte integrante della cultura di entrambe le opposte trincee della Chiesa negli USA. Da
«cattolico sociale», papa Francesco ha
chiaramente fatto un passo indietro
da una visione di Chiesa che pone naturaliter i cattolici in due campi differenti, in un meccanismo di reciproca
esclusione: l’uso della triade abortocontraccezione-omosessualità come il
test per entrare, rimanere o lasciare
la Chiesa; l’uso dei sacramenti come
strumento di esclusione; l’ideologizzazione della tradizione cattolica come
naturalmente conservatrice o naturalmente liberale.
Nessuno si aspetta che papa Francesco definisca il cattolicesimo conservatore un «progetto ormai esausto»,
come fece con il cattolicesimo liberal
il successore di Bernardin a Chicago,
il card. Francis George, in un discorso del 1998.9 Ma il radicalismo sociale
di papa Francesco sta mettendo fuori
gioco gli ideologi reclutati dagli think
tanks cattolici americani, proprio come sta deludendo i liberal che si aspettavano la ratifica di un’agenda ideologica libertaria e individualistica. In
questo momento di cambiamento nella Chiesa, la riscoperta di un common
ground, di un «terreno comune» è ancora più necessaria oggi, quando per
molti cattolici legati al linguaggio teologico-politico del pontificato di Benedetto XVI è particolarmente difficile
articolare un linguaggio capace di un
«fedele dissenso» rispetto al magistero
della Chiesa.
Un ritiro da evitare
La ricerca di un nuovo common
ground cattolico è anche la risposta
migliore possibile, nell’universo della
teologia cattolica in America, ai crescenti appelli per una fuga dei cattolici dalla «politica», dal «governo», dallo «stato», a favore di un arretramento dei cattolici in un universo alternativo fatto di piccole comunità, socialmente più tradizionali e spiritualmente più radicali rispetto a ciò che la poli-
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tica convenzionale può offrire ai cattolici. Questa posizione è stata articolata
recentemente da teologi come William
Cavanaugh e Michael Baxter.10
Da cattolico europeo che vive in
America, convinto (solo per fare due
esempi evidenti) che l’assistenza sanitaria è un diritto universale e sconvolto dal livello del dibattito sul controllo
delle armi, capisco bene la tentazione
di lasciare ogni speranza nella politica, lo stato, il governo. Ammiro la convinzione dei cattolici che vogliono ricostruire comunità ecclesiali che forniscono servizi sociali alla crescente massa dei poveri in questo paese. Ma questa scelta comporta il rifiuto di entrare
in dialogo con altri, cattolici e non cattolici, alla ricerca di un terreno comune, e lascia campo libero a quelle forze
che hanno preso possesso del common
ground, con costi sociali e umani inimmaginabili.
Inoltre sono evidenti, a mio parere, molti problemi legati a questo invito, rivolto a un cattolicesimo americano politicamente homeless, a deviare
in direzione di una de-politicizzazione
dei cattolici, nel senso di un radicale ritiro di legittimità dalla polis.
Il ritiro dei cattolici dallo stato nazione potrebbe riportare, qui negli Stati Uniti, alla memoria delle prime comunità di cristiani pellegrini, in una
società che non ha mai avuto una
Chiesa established; ma quello che accade in America ha ripercussioni anche nel cattolicesimo globale, e nello
scenario europeo (per esempio) il ritiro dallo stato nazione rischierebbe di
ricondurre le Chiese europee al periodo precedente la pace di Vestfalia del
1648 che portò il continente fuori dalle guerre di religione che avevano devastato l’Europa per almeno un secolo. Un ridimensionamento del cattolicesimo nella forma di «resistenza» radicale contro la legittimità dello stato
moderno implica un radicale ripensamento della visione cattolica della politica – e paradossalmente renderebbe
ancora più «americanista» il cattolicesimo americano. Il ritiro del cattolicesimo dalla scena pubblica darebbe alla
Chiesa una mentalità intellettualmente e spiritualmente settaria che è impossibile da conciliare con la «pretesa» universalista tipica della concezione cattolica.
Come storico non ho certo bisogno di essere convinto della distruttività del potere e della sua tentazione di assorbire ogni aspetto della vita in un modo che oggi non è nemmeno paragonabile ai tempi degli imperi.
Ma come cittadino credo che lo stato
e i poteri pubblici siano l’ultima difesa contro forze ancora più distruttive.
Come studioso e come cattolico, temo
che la teologia e la Chiesa cattolica
negli Stati Uniti potrebbero diventare presto vittime di un sentimento anti-politico che contraddice, tra le altre
cose, il magistero della Chiesa sul servizio alla vita politica come alta forma
di carità.
Massimo Faggioli
1
Questo articolo è tratto dalla XIVAnnual
Cardinal Bernardin Lecture, tenuta dall’autore il 7.10.2013 a Columbia (South Carolina)
presso l’University of South Carolina e intitolata: «Cardinal Bernardin’s “Catholic Common
Ground Initiative”: Can it Survive Current Political Cultures?».
2
Trad. it in Regno-doc. 17,1996,522ss. Cf.
Catholic Common Ground Initiative. Foundational documents, Wipf and Stock Publ., Eugene
(OR) 2002.
3
Cf. ConCIlIo VatICano II, cost. past.
Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 42; EV 1/1449ss.
4
Cf. ConCIlIo VatICano II, dich. Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, n. 3; EV
1/1049. Per un’efficace analisi del contributo
cattolico alle differenze tra Europa e Stati Uniti
negli ultimi 50 anni sono essenziali gli studi dello storico inglese t. Judt (1948-2010), docente negli Stati Uniti dal 1987 fino alla morte, e in
particolare (con t. SnydeR) Thinking the Twentieth Century, London 2012 (trad. it. Novecento,
Laterza, Roma-Bari 2012).
5
«Intervista a Papa Francesco», in La Civiltà cattolica, 164(2013) 3918, 19.9.2013, 449-477
(pubblicata in diverse lingue in tutto il mondo:
in inglese da America 209[2013] 8, 30.9.2013,
col titolo «A Big Heart Open to God»).
6
Cf. M. Malone sj, «Pursuing the Truth
in Love», editoriale di America 208(2013) 19,
3-10.6.2013; «America’s Politics», editoriale di
Commonweal 29.8.2013.
7
Gli studi di Robert Bellah (1927-2013) sono alla base dell’idea della «civil religion» americana.
8
Cf. P. SteInfelS, A People Adrift. The Crisis of the Roman Catholic Church in America,
New York 2003.
9
Cf. f. geoRge, «How Liberalism Fails the
Church», in Commonweal 1.6.2004.
10
Cf. W.t. CaVanaugh, Migrations of the
Holy: God, State, and the Political Meaning of
the Church, Grand Rapids (MI) – Cambridge
(UK) 2011; M. BaxteR, «Murray’s Mistake», in
America 209(2013) 7, 23.9.2013. In questo dibattito è importante il ruolo degli allievi del teologo protestante «post-liberale» Stanley Hauerwas (dal 1970 docente alla University of Notre
Dame, dal 1983 a Duke University).
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