RISPARMIARE CON UN CORRETTO USO DELLE BATTERIE
Raimondo Sgrò
http://www.crystalphoenix.it/raimondosgro/
[email protected]
Questo non vuole essere un trattato sulle batterie, bensì un compendio divulgativo volto a
migliorare l’utilizzo domestico delle batterie nei formati standard ricaricabili e non, al fine di
attuare risparmio economico, energetico e ridurre l’impatto ambientale.
QUALI FORMATI
Prendiamo in considerazione i formati delle celle standard:
• AAA (ministilo)
• AA (stilo)
• C (mezza torcia)
• D (torcia )
• 9V (transistor)
Sia ricaricabili che non
Le batterie nei formati presi in considerazione
Fonte immagini wikipedia
RICARICABILI E NON
All’interno degli standard che prendiamo in considerazione esistono naturalmente le versioni
ricaricabili (meglio definiti come accumulatori) e le versioni a perdere (non ricaricabili).
Le celle ricaricabili hanno una tensione nominale di 1,2V, quelle NON ricaricabili invece di
1,5V. Fa eccezione il tipo “transistor” in cui per le non ricaricabili il valore nominale è di 9V,
contro gli 8,4V delle ricaricabili. Per chi non avesse dimestichezza con i concetti di tensione (V) e
corrente (I) gli basti sapere che la prima si misura in Volt ed è legata all’energia potenziale, come il
salto di quota di una cascata, la seconda si misura in Ampere e misura il flusso vero e proprio degli
elettroni (come il flusso di liquido in idraulica).
Questa differenza va presa attentamente in considerazione, in quanto a prima vista un potrebbe
pensare che le due celle non sono compatibili. In realtà, la tensione di 1,2V si riferisce allo stato in
cui la cella è al 50% circa della sua carica. Infatti quando sono a piena carica la tensione ai suoi
capi è di circa 1,4V. Quindi, nella maggior parte di casi, le apparecchiature che funzionano con
celle non ricaricabili supportano anche le altre, ma è sempre bene leggere il libretto di istruzioni.
Diciamo che in generale, avendo le ricaricabili una tensione lievemente più bassa potrebbero
accadere due cose:
- l’apparecchiatura non si accende (molto raro)
- la gestione dei livelli di carica non è corretta.
La seconda situazione, quando si verifica, è quella che bisogna tener d’occhio perché può accorciare
la vita alle batterie ricaricabili, vedremo dopo perché.
LA DURATA
Questo è un punto molto importante. E’ da dire che le celle ricaricabili sono vendute con
l’indicazione delle capacità nominale espressa in A/h (Amprere ora) come le batterie
dell’automobile o più comunemente, per le celle in questione in mA/h. In questo modo, se si
conosce l’assorbimento di corrente dell’apparecchiatura, si può prevede l’autonomia.
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Esempio:
dispongo di celle tipo AA con capacità di carica nominale 1500 mA/h, il carico assorbe ad esempio
500mA. Pertanto l’autonomia delle batterie è di 1500/500 = 3h.
Negli anni, la capacità nominale delle celle ricaricabili è cresciuta, portandole a livelli di
performance pari o superiori a quelle non ricaricabili. Purtroppo non è possibile fare un confronto
diretto, in quanto le celle non ricaricabili non sono contraddistinte da questa indicazione. Sarebbe
molto più comodo per poter operare una scelta, ma il mercato si affida confronti approssimativi
basati su slogan pubblicitari per i quali non si capisce bene il punti di riferimento.
Ad ogni modo, sul mercato si trovano accumulatori di varia capacità, la scelta fa fatta in funzione
all’utilizzo di destinazione. Il prezzo può essere naturalmente molto diverso.
Si tenga conto ad esempio che al momento attuale si trovano accumulatori tipo AAA con capacità
anche superiori ai 1000mA/h, mentre per il formato AAA si arriva ormai anche ai 3000 mA/h e per
le 9V il limite attuale è di 300mA/h.
Si potrebbe pensare che conviene sempre scegliere un accumulatore molto grande. Personalmente
eviterei di scendere con le AA sotto i 1000mA/h. Infatti in apparecchiature a basso assorbimento, è
quasi più conveniente l’uso di pile a perdere. Uno dei limiti delle celle ricaricabili è la
percentuale di auto scarica. Si tratta di un fenomeno che esaurisce la reazione chimica della
batteria, attraverso percorsi interni, il che fa si che se ne limiti il tempo di impiego dopo la carica
avvenuta. In pratica, è possibile conservare pile non ricaricabili entro la data di scadenza, senza che
le caratteristiche cambino (anche anni), mentre le ricaricabili si scaricano.
QUANDO USARE UNA O L’ALTRA
Anzitutto ci sentiamo di incoraggiare l’uso delle celle ricaricabili, per una serie di motivi come
l’elevato ciclo di vita (oltre 1000 ricariche), il costo ormai molto basso in confronto alle celle non
ricaricabili, le performance ormai elevatissime ed il ridotto impatto ambientale. In alcuni casi è
ancora preferibile l’uso di celle a perdere, si tratta di quelle situazioni in cui l’assorbimento
dell’apparecchiatura è talmente basso che l’auto scarica delle celle ricaricabili sarebbe un
limite. E’ il caso dei telecomandi, nei quali le pile possono durare anche anni. In questi casi è bene
però controllarle periodicamente per evitare che dopo la data di scadenza possa fuoriuscire l’acido.
E’ in realtà si tratta di un incidente comune alla quale si può rimediare.
Per individuare l’assorbimento dell’apparecchiatura è possibile naturalmente ricorrere al libretto di
istruzioni. Nel caso non si disponesse di tale dato è possibile misuralo, ma qui si entra nel tecnico.
Ci si può regolare in maniera un po’ approssimata sapendo che le parti di apparecchiatura che
assorbono molta corrente sono i display, proporzionalmente alla loro dimensione, i motori,
eventuali parti riscaldanti (anche se sono poco diffuse nella versione a pile), le lampade a filamento.
Cosa rimane? I cari vecchi ricevitori Am/Fm, nel caso abbiano un display la cosa cambia, i
telecomandi, piccole svegliette ed orologi, piccole torce a LED, piccoli termostati.
EFFETTO MEMORIA
Si tratta di un fenomeno molto importante che riguarda gli accumulatori al Ni-MH. Non riguarda
celle al piombo o celle al Litio, tuttavia nei formati in questione sono presenti praticamente solo NiMH. Queste celle sono presenti anche in altri formati, pertanto l’indicazione è sempre valida. In
pratica cosa accade: se si ricarica una cella che non aveva esaurito il suo ciclo di scarica, la durata
del prossimo ciclo sarà più breve, ovvero, è come se la cella restituisse solo quanto ha assorbito
nell’ultimo ciclo di ricarica. Quindi se gestite scorrettamente si rischia di accorciare la vita degli
accumulatori e le loro prestazioni. Bisogna quindi accertarsi che le pile siano completamente
scariche. Nel caso in cui non fossero completamente scariche è bene scaricarle anche attraverso
opportuni circuiti di scarica. L’hobbista non avrà problemi a realizzarne uno artigianale, è
sufficiente un carico da collegare alla cella, personalmente consiglio le lampade a filamento, in
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quanto ci danno anche l’indicazione visiva dello stato della scarica. Niente paura se non vi sentite in
grado, poiché in commercio esistono ottimi caricabatterie che sono in grado anche di effettuarne la
scarica. Alcuni commutano anche automaticamente dalla fase di scarica a quella di carica.
VERIFICARE LO STATO DI CARICA
Il modo migliore di verificare lo stato di carica è di misurare la tensione ai capi della cella. Molte
apparecchiature dispongono di un indicatore di pila scarica, ma in generale conviene accertarsi
direttamente per evitare di buttare celle ancora cariche nel caso delle pile a perdere o di ricaricarle
causando effetto memoria, nel caso degli accumulatori. Si tratta di un’operazione molto semplice.
L’hobbista che dispone di un multimetro non avrà problemi ad effettuare quest’operazione. Per chi
non fosse pratico o non disponesse dello strumento vi sono un paio di possibilità, La prima è di
procurarsi un multimetro, non è necessario un dispositivo sofisticato, si trovano multimetri dal
prezzo accessibile di qualche decina di euro adatti allo scopo. La seconda possibilità è quella di
usare un prova batterie. In questo caso, meglio scegliere quelli che vi segnalano esplicitamente la
tensione, piuttosto che vi dicono semplicemente carico o scarico, altrimenti siamo punto a capo. Nel
caso si voglia provare ad utilizzare un multimetro, la cosa è semplice, bisogna selezionare il tipo di
misura, ovvero tensione (V), nel nostro caso continua (indicata solitamente da due tratti paralleli,
uno continuo ed uno tratteggiato):
Non cercate di misurare la corrente ponendo direttamente i morsetti del multimetro si capi della
pila, in questo caso provocate un cortocircuito, in quanto la misura di corrente avviene con lo
strumento quasi privo di resistenza. L’operazione di misura della correte fa effettuata con il
multimetro posizionato su amperometro, posto in serie al carico.
Quindi, a questo punto potete decidere se la cella è da ricaricare o da sostituire. Per gli
accumulatori, è possibile effettuare la ricarica quando la cella scende sotto 1,1V. Spesso accade che
l’apparecchiatura smette di funzionare anche se la cella è parzialmente carica. Nel caso di pile
ricaricabili dunque, si deve procedere alla loro scarica completa e la successiva ricarica.
Nel caso di pile a perdere, si possono sostituire solo le pile veramente scariche, anche se è sempre
meglio impiegare pile con lo stesso grado di carica, oppure destinare la pile ancora parzialmente
cariche ad impieghi meno gravosi, come appunto i telecomandi o la sveglietta.
COME RICARICARE
Si deve naturalmente disporre di un caricabatterie. La scelta è importante poiché i modelli
disponibili sono molto differenti. Anzitutto se non volete scaricarla manualmente, cercatene uno che
sia in grado di scaricarle. E’ importante individuare la corrente di carica. A questo puto apriamo una
piccola parentesi. E’ possibile effettuare la carica delle celle in due modi: carica lenta e carica
veloce. La prima avviene con una corrente pari a circa 1/10 della corrente nominale, la seconda può
arrivare a 4/10 ed oltre. La differenza consiste naturalmente nel fatto che una carica lenta dura di
più appunto, ma è quella che non danneggia l’accumulatore anche se rimane in carica oltre il
raggiungimento della carica massima. Per questa ragione, tipicamente i caricatori che usano la
carica lenta non interrompono la carica che va calcolata dall’utente in base alla capacità
dell’accumulatore. Quelli che usano la carica rapida invece interrompono la carica a fine ciclo
proprio per non danneggiare le pile. Qui la scelta dipende dalle esigenze . I caricatori in grado
ricaricare in 1h necessitano del monitoraggio della temperatura della cella, quindi questo avviene
nei pacchi batteria ad esempio degli utensili come avvitatori ecc., non può essere applicata
direttamente alle celle sfuse.
Recentemente sul mercato si trovano anche i cosiddetti caricatori intelligenti. Si tratta di
dispositivi che sono anche in grado di ricaricare celle a perdere. In realtà non si tratta di una ricarica
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vera e propria, ma di un ripristino parziale della reazione chimica interna delle pile. In questo caso
però, a differenza degli accumulatori, è bene che la pila non sia completamente scarica. Con queste
apparecchiature è possibile prolungare la vita delle celle a perdere arrivando a qualche ciclo di
carica.
Quindi conoscendo bene le due tecnologie ed impiegandole correttamente è possibile attuare un
risparmi economico ed una riduzione importante dell’impatto ambientale.
COME CONSERVARLE
Altro aspetto da tenere in considerazione, è bene conservare e pile con cura. Evitare di lasciarla
sfuse nel cassetto, l’umidità le rovina. Conviene riporle in una scatola possibilmente di plastica,
magari contenente un sacchettino di Silica Gel (si trovano anche nelle confezioni di calzature o di
apparecchiature elettroniche) che può assorbire l’umidità. Anche nella scatolina non conviene
lasciarle sfuse poiché potrebbero toccarsi gli elettrodi e causare scariche o peggio. Usare le loro
confezioni originali o dei sacchettini di plastica o semplicemente un sistema che ne impedisca il
contatto tra i poli.
Infine, una volta che il loro ciclo di vita è esaurito, è bene ricordarsi di smaltirle
correttamente, seguendo le indicazioni delle relative raccolte differenziate.
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