Chiara Fabbrizi
Mente e corpo in Kant
ARACNE
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ISBN
978-88–548–1668–8
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I edizione: marzo 2008
Indice
9
Premessa
Il quadro del problema
L’orizzonte terminologico
La distinzione e il rapporto tra mente e corpo in Kant
1. Mente e corpo negli scritti precritici
1.1. Influsso fisico e armonia prestabilita nei Gedanken
La soluzione nella metafisica
11
13
15
21
21
25
1.2. Influsso fisico e armonia prestabilita nella Nova Dilucidatio 27
Contro l’idealismo materiale
28
Contro il materialismo
30
«Un commercio a opera di cause veramente efficienti»
31
1.3. Il corpo e l’oscurità delle rappresentazioni
33
1.4. Anima, corpo e spazio
Nature diverse in armonia o un mondo comune
Il luogo dell’anima e del corpo. L’orizzonte e il corpo
36
36
37
1.5. I Träume: una nuova impostazione del problema
C’è un organo dell’anima? «Wo ich empfinde, da bin ich»
La semplicità dell’anima e la sua natura rappresentativa
La natura immateriale che interagisce con il corpo
La rappresentazione in vece della forza fondamentale
Il contributo dei Träume
40
41
44
47
49
52
1.6. La svolta della Dissertatio
La sensualitas. Nuova confutazione dell’idealismo
La rationalitas
Tempo e mente, corpo e spazio
Una nuova spiegazione del commercio
Valore e limite della Dissertatio
53
54
56
57
59
62
Appendice. Le Vorlesungen metafisiche precritiche
63
2. Mente e corpo nella filosofia critica
2.1. La prospettiva nel mondo sensibile
La coscienza dello spazio e del tempo
5
71
73
78
6
Indice
Sullo spazio
Sentimento del corpo e orientamento nello spazio
L’acquisizione dello spazio secondo la Anthropologie
Sul tempo
La rappresentazione dello spazio e del tempo
Appercezione e l’unità delle intuizioni
L’oggetto del senso interno
La coscienza della passività: l’appercezione empirica
L’io psicologico
82
84
86
88
90
94
98
101
103
2.2. Mente, corpo e sentimento
Senso interno, senso interiore, senso vitale
Sentimenti, coscienza e oscurità
Sentimento, corpo e istinto
Coscienza e sentimento
105
108
114
118
123
2.3. La prospettiva nel mondo intelligibile
Pensare è un’esperienza?
Un doppio “io”? «Das eigentliche Selbst»
Spontaneità e intelligenza
Semplicità ed esistenza dell’io
131
132
133
137
140
2.4. Mente e corpo non sono due sostanze
L’“io penso” kantiano e il “cogito” cartesiano
Percezione indeterminata vs. intuizione intellettuale
Dalla mente all’anima
143
145
147
150
2.5. La Confutazione dell’idealismo: la mente incarnata
La coscienza di sé per la mente incarnata
Il Loses Blatt Leningrad 1
153
156
159
Appendice. Il tempo e l’apprensione dei fenomeni
163
3. Soluzione del problema e ultimi sviluppi
3.1. Un vocabolario per la “natura pensante”
Anima [Seele] e animus [Gemüt]
L’animo e la divisione in facoltà
Le facoltà dell’animo come fisiologia dell’animo
La mente e la continuità dell’essere vivente
Lo spirito, la ragione e la libertà
Inesistenza dei problemi su commercio e posto dell’anima
Nascita, morte, immortalità e resurrezione
177
178
179
182
186
195
198
204
210
Indice
L’organo dell’anima
7
220
3.2. Il linguaggio tra corpo e pensiero
Ideae materiales e linguaggio
Astrazione e sensibilità nel linguaggio
224
225
230
3.3. La soluzione come armonia tra le facoltà
Teleologia e gradualità tra le facoltà
Riformulazione dell’armonia
240
242
245
3.4. Commercio e influsso tra interno ed esterno
Il commercio nelle Vorlesungen di epoca critica
248
251
3.5. Ultimi sviluppi: l’uomo come realizzazione del commercio 253
Conclusione: la conoscenza dell’uomo
259
Appendice. Carattere sensibile e carattere intelligibile
Bibliografia
261
273
Premessa*
Kant non ha scritto un’opera direttamente dedicata al tema del rapporto tra mente e corpo, benché sia vissuto in un’epoca in cui era ancora forte l’eco delle discussioni sulle teorie cartesiane della distinzione tra corpo e anima, e sebbene sia stato allievo di Martin Knutzen,
autore di un trattato sull’influsso fisico1. Tuttavia è possibile ricostruire la posizione di Kant in merito ai temi connessi al problema
mente−corpo, che occuparono sempre un posto nella sua riflessione,
come testimoniano sia le sue opere pubblicate, sia il lascito manoscritto e il corpus delle Vorlesungen. Non di rado, infatti, Kant si serve
della coppia mente−corpo per delineare in parallelo e per differenziazione, ora ciò che è corpo, materia, ora ciò che è altro dal corpo e dalla
materia2.
Ricostruire la posizione di Kant sul problema mente−corpo ha un
motivo profondo: con la propria “rivoluzione copernicana”, Kant imposta il problema della conoscenza vera e condivisibile − cioè della
* Per le abbreviazioni, edizioni e traduzioni adottate delle opere kantiane e delle altre
fonti, si rimanda alla bibliografia.
1
Cfr. KNUTZEN 1745. Ben noti a Kant, furono molti i filosofi, da Bilfinger a Swedenborg
che scrissero opere sul rapporto mente−corpo, e nelle opere di metafisica veniva regolarmente
inserito un capitolo sul commercium dell’anima con il corpo. Per un quadro introduttivo su
mente e corpo nel diciassettesimo secolo, cfr. GARBER 2003 e GARBER/WILSON 2003. Per una
panoramica sul problema mente−corpo nella scuola leibnizio−wolffiana, cfr. FABIAN 1974, in
particolare pp. 47−193. Fabian distingue i seguaci della dottrina leibnizio−wolffiana ortodossi
(i “parallelisti” Bilfinger, Thümmig, Gottsched, Stiebritz, Baumeister, Hansch, Baumgarten,
Meier; e gli “influssionisti” Ernesti, Winckler, Knutzen, Reisch, Reinbeck, Canz, Reimarus),
eclettici (Hollman, Formey, Plouquet, Gundling) e fisiologi (Teichmeier, Verdries, Hoffmann,
Keßler, Boerhaave); infine pone tra gli oppositori Budde, Walch, Rüdiger, Crousaz, Darjes e
Crusius. Secondo la biografia scritta da Borowski, rivista da Kant stesso, Knutzen fu il docente che Kant seguì più volentieri all’università (cfr. BOROWSKI 1804, trad. it., p. 14).
Nell’ultimo decennio la critica si è spesso interessata al problema della “mente” in Kant (cfr.,
per es., CASSAM 1998 e 2003, BROOK 1994, KITCHER 1993, WAXMAN 1991).
2
Giustamente REINHOLD 1789, nelle lettere sesta, settima e ottava, dà un peso non
indifferente al tema anima e corpo, sia pure puntando la propria attenzione in particolare sul
concetto razionale psicologico. Sulla recente (e meno recente) attenzione data alla relazione
tra mente e corpo e all'importanza del corpo nella filosofia kantiana, nella critica tedesca e
anglo−americana cfr. SVARE 2006, pp. 2−5. Per quanto riguarda l'ambiente italiano si veda il
recente BOCHICCHIO 2007.
9
10
Premessa
possibilità di avere un’esperienza vera che sia posta al riparo
dall’ipotesi di un somnium objective sumptum − facendo perno sul
soggetto conoscente3. Quindi è necessaria un’analisi del soggetto
conoscente stesso nell’ambito della filosofia trascendentale.
Questa analisi non può risolversi sul piano empirico della psicologia, ma deve iscriversi nella nuova prospettiva proposta da Kant,
senza servirsi di strumenti dogmatici. Bisogna determinare (fin dove
questa determinazione sia possibile) la natura del soggetto conoscente,
e stabilire se esso sia solo una mente o piuttosto una mente incarnata,
e su quali basi si possa affermare con legittimità che esso sia una
mente incarnata4. Il primo e fondamentale punto è metodologico: bisogna valutare se conoscere il soggetto della conoscenza segua la stessa
via di ogni conoscenza d’esperienza, o non abbia percorsi privilegiati
che ci permettano di travalicare i normali limiti dell’esperienza per attribuire dei predicati a questo particolare “oggetto” senza sottostare
alle regole della conoscenza d’esperienza.
Alcune delle domande che bisogna porsi sono: è possibile determinare il soggetto conoscente, a prescindere dal soggetto di cui facciamo
esperienza empiricamente? E se la risposta è negativa, è sufficiente
prendere in considerazione il solo senso interno? O si deve necessariamente tenere conto anche del senso esterno, direttamente legato al
corpo? Ma in che modo si è coscienti del proprio corpo? La mente
come può interagire col corpo? Essa è una sostanza? Al corpo si può
attribuire la capacità di pensare?
La comprensione del modo in cui Kant interpreta la distinzione e il
rapporto tra mente e corpo, offre dunque l’occasione di chiarire alcuni
temi centrali della filosofia trascendentale, come i concetti di “vita”,
“io penso”, “senso interno” e “senso esterno”, e la natura dei senti3
Cfr. Prolegomena, AA IV: 376 nota; trad. it., p. 317 nota. Sull’importanza di una garanzia contro l’ipotesi di un sogno collettivo (in particolare in Wolff), cfr. CARBONCINI 1991. Sul
rapporto tra l’esigenza fondamentale della filosofia kantiana e quella di Wolff, cfr. CAPOZZI
1982b, e CAPOZZI 2006c.
4
Chiariamo subito che “determinare” significa porre un predicato con esclusione del suo
opposto in base a una ratio determinante. È questa la definizione che si può leggere in Principiorum nova dilucidatio, II, prop. IV, AA I: 391; trad. it., p. 14. Sul concetto di determinare ciò
che è semplicemente possibile (aliquid), ovvero ciò che è solamente non contraddittorio,
nell’ontologia di Baumgarten, come quadro introduttivo al problema della determinazione in
Kant, cfr. LA ROCCA 1999, pp. 67 ss.
Premessa
11
menti. Senza contare che questa ricerca porta a porre l’attenzione
sull’uomo, obbedendo così a una direttiva kantiana, che vuole l’uomo
come oggetto più importante a cui applicare le conoscenze acquisite5.
Il quadro del problema
Con il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa sorge il
problema della conciliabilità delle due realtà indipendenti e autonome
(l’anima e il corpo) e del conseguente rapporto (o commercio) tra
esse6. Il problema dell’interazione tra il corpo e l’anima si presenta
sotto un duplice aspetto: a) la produzione di rappresentazioni
nell’anima per influsso del corpo; b) l’azione delle rappresentazioni
sul corpo, ad esempio nell’implementare il movimento.
L’occasionalismo e la teoria dell’influsso fisico sono i due principali
tentativi di risposta a questo problema7. Ma il problema può essere anche annullato, come fa Leibniz, rifiutando l’impostazione cartesiana:
ogni corpo vivente è un insieme di sostanze spirituali, di monadi, e ha
una entelechia dominante; questa entelechia «nell’animale è
l’anima»8. Il corpo «forma con l’entelechia ciò che si può chiamare un
vivente, e con l’anima ciò che chiamiamo animale»9. In questo modo
l’unione, o meglio l’accordo [conformité], dell’anima e del corpo, che
d’altra parte seguono ciascuno le proprie leggi, rientra semplicemente
5
Cfr. Anthropologie, AA VII: 119; trad. it., p. 3. Anche se l’indagine non è fondata su
argomenti psicologici (o meglio, kantianamente, antropologici), di essi ci serviremo per completare il quadro.
6
Va da sé che qualora l’animale sia considerato un automa, come è per Descartes, il problema del commercio tra le due sostanze si pone solo nel caso dell’uomo. In ogni caso, affermare che il dualismo discenda dall’impostazione cartesiana non significa sostenere che
Descartes non intendesse l’anima e il corpo effettivamente uniti, come dimostrano in particolare la sesta meditazione e numerose lettere (cfr. DESCARTES 1619−1650, pp. 1547−1549,
1587, 1745−1746, 1749, 1771, 1781, 2387, 2579; di particolare interesse è la corrispondenza
con Regius e con Elisabetta). In proposito cfr. GUEROULT 1952, in particolare cap. XV.
7
Per l’occasionalismo di volta in volta la comunicazione tra corpo e anima viene regolata
direttamente da Dio. La teoria dell’influsso fisico prevede un intervento diretto dell’anima sul
corpo. Cfr. BAUMGARTEN 1739 (in part. § 761), e soprattutto il già citato Knutzen (cfr. supra,
nota 1). Per un quadro generale del problema nella filosofia moderna cfr. NANNINI 2002, pp.
19−42.
8
LEIBNIZ 1714, § 70; trad. it., p. 91. Nell’animale razionale l’entelechia è lo spirito.
9
LEIBNIZ 1714, § 63; trad. it., p. 87.
12
Premessa
nel quadro dell’«armonia prestabilita fra tutte le sostanze, le quali
sono rappresentazioni di un unico e medesimo universo»10. Poiché le
monadi sono chiuse in se stesse e non possono influenzarsi reciprocamente, l’accordo tra esse – e quindi anche la comunicazione tra il
corpo e la “mente” – è simile a quello tra le parti di un orologio: tutte
si muovono armonicamente perché l’insieme è stato regolato così,
sebbene non comunichino propriamente tra loro11.
Anche Descartes nelle Passions utilizza il paragone con l’orologio:
il corpo di un uomo vivo differisce da quello di un morto, come un orologio o un altro automa (ossia una macchina che si muove da sé), quand’è
montato e ha in sé il principio fisico dei movimenti per cui è fatto, con quanto
è richiesto alla sua azione, è diverso dal medesimo orologio, o altra macchina, quando è rotto, e il principio del suo movimento smette di funzionare12.
Tuttavia, il fatto che il paragone con l’orologio sia presente sia in
Descartes sia in Leibniz non deve ingannare: una cosa è paragonare il
solo corpo al meccanismo, ben diverso è considerare l’interazione tra
corpo e anima come un riuscito congegno meccanico che funziona
armonicamente benché composto di parti tra loro dissimili (e, almeno
nel caso di Leibniz, che non comunicano)13.
10
LEIBNIZ 1714, § 78; trad. it., p. 93. Sul ruolo del corpo nella conoscenza in Leibniz, con
frequenti riferimenti anche a Descartes, cfr. PASINI 1996.
11
BILFINGER 1723, passim; BAUMEISTER 1735, §§ 949−960.
12
DESCARTES, AT XI, p. 330, art. 6; trad. it., p. 5.
13
DUMAS 1976, pp. 122−123, sottolinea che non c’è contraddizione tra l’assunzione
leibniziana della materia come continuo di esseri viventi e la definizione del fatto biologico
per eccellenza come una macchina, poiché per Leibniz è in realtà il meccanismo naturale che
serve a dimostrare la macchina artificiale e non viceversa. Sulla ricezione delle teorie
dell’influsso fisico e dell’armonia prestabilita, cfr. PUECH 1990, pp. 101−105. Il paragone con
l’orologio, come nota ISRAEL 2004, p. 64, era la metafora per la mente più comune a partire
dal Cinquecento (sostituita poi nell’Ottocento dal modello di una macchina chimico−dinamica
e nel XX secolo dal calcolatore): «il modello dell’orologio ha un ruolo centrale nella fondazione della scienza moderna. Indubbiamente esso è portato alla ribalta dall’immagine
dell’universo come un sistema meccanico in cui il moto dei pianeti avviene secondo ritmi e
tempi assolutamente regolari e armoniosi, come il concatenarsi dei movimenti delle ruote
dentate di un orologio». A sua volta, nota PALAIA 2005, p. 386 nota: «il confronto con
l’orologio rappresenta l’aggiornamento dell’antica abitudine di raffigurare il mondo come una
macchina». Sull’utilità del modello meccanicista contro le spiegazioni basate su qualità occulte o forme sostanziali, cfr. LAMARRA 2005, p. 402. Per un quadro sull’uso del termine
Premessa
13
Anche da questi brevi accenni a Leibniz e Descartes, emerge il
quadro in cui si inserisce la riflessione kantiana, ovvero un panorama
in cui la distinzione e il rapporto tra mente e corpo hanno un ruolo di
primo piano.
L’orizzonte terminologico
Per quanto riguarda la terminologia, per restare più vicini al lessico
seicentesco e settecentesco, potremmo parlare di rapporto (o di commercio) “anima−corpo” o “spirito−corpo”. In particolare, nel lessico
leibniziano, “spirito” ha il senso ben preciso di anima razionale e non
ha più l’originaria connotazione fisica e materialistica che aveva fino
al sedicesimo secolo. Se “spiritus” mantiene il valore di termine tecnico14, l’equiparazione nell’uomo di anima (intesa qui in senso generico
e non specificamente leibniziano) e pensiero si può evincere, per
esempio, da un passo dei Nouveaux Essais in cui Leibniz fa dire a
Teofilo: «avendo buone ragioni per sostenere che l’anima non è mai
separata dal corpo, credo si possa dire assolutamente che l’uomo
pensa e penserà sempre»15. Descartes, invece, per le implicazioni che
il termine “spiritus” aveva con l’occultismo e con la psicologia religiosa gesuita e «a causa del suo utilizzo promiscuo a indicare sia fe“macchina” in Germania nel XVIII secolo e in particolare in Wolff e Kant, cfr. HINSKE 2005,
pp. 477−488.
14
Nelle diverse traduzioni della Monadologie viene mantenuto nei corrispettivi delle tre
lingue (Esprit – Spiritus – Geist); cfr. LAMARRA/PALAIA/PIMPINELLA 2001, p. 138: «esprit è
reso rispettivamente con Geist e Spiritus ma, nell’unico contesto nel quale esprit non ha il
senso propriamente tecnico di anima dotata di appercezione, esso è reso rispettivamente con
Gemüt e ingenium».
15
LEIBNIZ 1765, libro II, cap. I, § 19; trad. it., p. 112. Cfr. ivi, libro II, cap. I, § 12; trad. it.,
p. 108. Per una panoramica sull’evoluzione del termine “spiritus” e delle voci a esso correlate,
cfr. ARMOGATHE 1984, RICKEN 1984, LAMARRA 1984. Scrive Lamarra: «allo stesso modo che
l’idea di esprit si differenzia da quella di âme, perché più ricca di determinazioni interne, neppure deve essere identificata con l’idea di entendement, né confusa con quella di coscienza o
apperception. La prima infatti è compresa […] nella definizione di esprit, pur senza esaurirla;
mentre l’apperception si configura piuttosto come possibilità inerente all’esprit di conoscere
in maniera distinta quanto contiene in sé di inconsapevole, come virtualità diversamente realizzata nel corso del processo cognitivo e mai totalmente compiuta in ragione del numero infinito di percezioni che afferiscono a ciascun esprit, espressione vivente dell’intero universo e
di Dio stesso». Cfr. BAUMEISTER 1735, § 961: «SPIRITUS est substantia intellectu et voluntate
praedita».
14
Premessa
nomeni corporei, che immateriali»16, adotta in sua vece il termine
“mens”, imponendolo così alla coppia mente−corpo17.
Alla triade mente/anima/spirito va poi unito anche il termine e il
concetto di coscienza, poiché, dopo la rivoluzione cartesiana, il concetto di anima, come scrive Mariano Campo, «si è già ristretto a
quello di mente o di pensiero e conoscenza, e coincide ormai con
quello di coscienza»18. Pertanto nella Psychologia empirica di Wolff
alla definizione di anima, basata sulla coscienza («Ens istud, quod in
nobis sibi sui & aliarum rerum extra nos conscium est»), si aggiunge:
«vocatur etiam subinde Anima humana, item, Mens vel Mens humana»19.
Nel caso di Kant il principio immateriale distinto dal corpo e unito
a esso, comprende una famiglia di termini tra loro diversi come Geist,
Seele, Gemüt, Bewusstsein, ecc., parole che questa indagine aiuterà a
delineare in significati distinti. Tale questione terminologica non è di
poca importanza: analizzare il problema mente−corpo, infatti, significa stabilire cosa sia un corpo animato (cioè un animale) e cosa possa
dirsi del principio che lo anima, e in più stabilire cosa faccia sì che alcuni esseri animati – gli uomini − siano capaci di pensiero, ovvero
siano dotati di una mente.
16
SANTINELLI 2000, p. 49. Espunto dal lessico dell’interiorità, il termine “spirito” va
usato, secondo Descartes, solo in campo fisiologico.
17
Sul termine “mente” in Descartes cfr. LANDUCCI 2002, in particolare pp. 62−64. Nota
Landucci che è il passaggio «dalla questione anima−corpo – a quali condizioni è possibile che
un corpo sia vivente? – alla questione mente−corpo, a inaugurare la nozione del mentale nei
termini in cui arriverà fino a oggi» (p. 63). Il problema si pone con il francese, che non presenta un solo equivalente di mens, reso sia con esprit che con âme. Sul termine “anima” cfr.
SANTINELLI 2000, pp. 41−50. Per l’attribuzione della corporeità all’anima in base al vocabolo
latino che significa aria o alito della bocca secondo Descartes, cfr. DESCARTES 1619−1650, p.
1449, lettera 309, a Mersenne, 21.4.1641.
18
CAMPO 1939, p. 258.
19
WOLFF 1732, p. 15, § 20. Nella medesima proposizione Wolff sottolinea che «quid
[anima] sit & quod a corpore organico diversum sit, in Psychologia rationali demum obstendemus». Cfr. la definizione di “anima” in BAUMEISTER 1735, § 689, p. 128: «Anima est ens
illud, quod in nobis sibi sui et aliarum rerum extra nos conscium est» (e si specifica che tale
definizione, wolffiana, è nominale).
Premessa
15
La distinzione e il rapporto tra mente e corpo in Kant
Kant sostiene che la coscienza di noi stessi come pensanti (quella
che ci fa dire “io”) e la percezione che abbiamo del nostro corpo non
sono la stessa cosa. Tanto in epoca precritica, quanto nell’età matura,
egli ritiene che l’io (o l’anima o la mente) non può essere realmente
trovato all’interno del corpo, dove si trovano sempre solo elementi
corporei, né può essere identificato con il corpo, poiché amputando
alcune parti del corpo, non ne risulta menomato il sentimento di noi
stessi.
Lo dimostra un esempio molto chiaro riportato nella Metaphysik
L1:
un uomo a cui sia stato aperto il corpo, può vedere le proprie viscere e
tutte le proprie parti interne; questo interno è dunque solo un essere corporeo,
affatto distinto dall’essere pensante. Un uomo può perdere buona parte dei
suoi arti e con ciò tuttavia egli resta e può dire: «Io sono». Il piede gli appartiene. Ma se gli viene amputato, egli appunto lo guarda come ogni altra cosa
non più usabile da lui, come un vecchio stivale da gettare. Ma quanto a lui
egli resta sempre immutato, il suo io pensante non perde nulla. Ognuno scopre dunque facilmente, anche col senso più comune, di avere un’anima distinta dal corpo20.
Non possiamo realmente parlare della nostra mente prescindendo
dal fatto che siamo incarnati, ma nemmeno dobbiamo considerare il
20
Metaphysik L1, AA XXVIII: 225 (per la datazione delle lezioni di Metafisica cfr. infra
Appendice al cap. 1); trad. it., pp. 51−52. Cfr. DESCARTES, AT XI, p. 649: se l’anima fosse fusa
al corpo in ogni sua parte, togliendo una parte del corpo si toglierebbe anche l’anima (invece
può verificarsi il caso del cosiddetto “arto fantasma”, cfr. AT VIII, p. 320). Il cervello pensa e
il corpo sente gli effetti (dolore e piacere). Ma allora l’anima o è fusa con tutto il corpo, o abbiamo più anime nelle singole parti. Kant non poteva aver presente la pratica disumana
dell’amputazione chirurgica dei lobi cerebrali prefrontali, ovvero la lobotomia o leucotomia,
introdotta da A. C. Moniz nel 1933. In maniera non dissimile da Kant LEIBNIZ 1765, II, 27, §
11; trad. it., p. 226, affermava che: «il me e il lui sono senza parti, poiché si dice, e con ragione, che si conserva realmente la medesima sostanza, o il medesimo io fisico, ma non si può
dire, parlando secondo l’esatta verità delle cose, che il medesimo tutto si conserva mentre una
sua parte si perde; e ciò che ha parti corporee non può mancare di perderne a ogni momento».
Dunque, sostiene Leibniz poco più avanti nel § 17 (trad. it., p. 230), non è corretto affermare
che un dito è una parte di me, anche se «è vero però che mi appartiene e che fa parte del mio
corpo». Vale a dire che io dichiaro “mio” questo corpo proprio in quanto mi riconosco come
distinto da esso, e a esso, in qualche modo, strettamente legato.
16
Premessa
nostro corpo un impedimento per la mente: il corpo deve interagire
con la mente per la conoscenza, pertanto non il corpo in sé, ma solo un
corpo non funzionante potrebbe essere di impedimento alla mente. A
tal proposito è interessante un passo del Duisburgsche Nachlass nel
quale Kant commenta il commercio del corpo con l’anima:
l’argomento fisiologico è o in senso proprio o in senso analogico
(quest’ultimo è il migliore di tutti in base alla natura umana). Per il primo
non si possono dare argomenti né a favore né contro, poiché non possediamo
alcuna esperienza di un’anima disgiunta dalla relazione con il corpo, poiché
non pensiamo se non per mezzo di tale relazione. Né, al contrario, si possono
addurre argomenti partendo dalla dipendenza dell’anima dal corpo in questa
vita, poiché non vediamo in cosa il corpo ostacoli l’anima, dal momento che
sarebbe d’impedimento a se stesso, come se qualcuno fosse legato a un carro
e non potesse muoversi se non muovendo anche questo. Se le ruote sono unte
in maniera corretta, il moto allora procede liberamente, ma non sono le ruote
cause di questo moto, sebbene, qualora fossero frenate da qualche causa intrinseca al carro, renderebbero l’uomo immobile21.
Poiché non abbiamo prove per partire dall’idea che sia l’anima a
condurre i giochi, separatamente dal corpo, per cui quest’ultimo sarebbe solo d’impaccio, né, viceversa, possiamo sostenere che l’anima
dipenda dal corpo, non ci resta che spiegare l’interazione tra anima e
corpo, che a noi si presentano sempre congiunti, attraverso una analogia: se immaginiamo che il rapporto tra mente e corpo sia come quello
tra un uomo e un carro al quale esso è strettamente legato, vediamo
facilmente che qualora il carro sia ben funzionante, esso non è
d’impedimento, né, d’altra parte, per il fatto che le ruote girano, è lecito supporre che sia il carro a produrre il movimento. Se però le ruote
non funzionano bene, «per qualche causa intrinseca al carro», allora
anche l’uomo risulterà immobile. Vale a dire che se il corpo, per una
sua causa interna, non funziona, anche la mente risulta impedita. Il
problema non è dunque il legame con il corpo ma eventuali freni interni.
21
Duisburgsche Nachlass, AA XVII: 673, Reflexion 4684; trad. it., p. 113. In proposito
cfr. BRUCH 1968, pp. 118−119. Sul fatto che una buona disposizione del corpo possa essere
una diminuzione dell’ostacolo che il corpo rappresenta per l’anima le Reflexionen 5464 (AA
XVIII: 190) e 4556 (AA XVII: 593).
Premessa
17
C’è un dualismo che sembra trasparire chiaramente nella distinzione tra mente e corpo dell’uomo, tuttavia Kant tiene fermo che la
tentazione di definire l’uomo un essere a metà tra l’angelo (che sarebbe pura mente, o spirito) e la bestia (che sarebbe solo un corpo
animato), è illusoria, perché, semmai, in base all’unico nostro oggetto
di conoscenza, ovvero l’uomo nella sua interezza, possiamo cercare di
definire analogicamente cosa sia un animale o un ipotetico angelo22.
Non resta dunque che spostare il piano dell’indagine sul come e
perché esaminando la conoscenza umana, possiamo e dobbiamo supporre una mente distinta da un corpo e tuttavia ad esso connessa23.
È per questo motivo che il problema del rapporto tra mente e corpo
in Kant non può che trovare soluzione nella compiuta impostazione
trascendentale. Tuttavia le questioni alle quali si darà soluzione emergono già nella fase precritica, di cui ci occuperemo nel primo capitolo.
Anzi, alcuni di questi temi sono pressanti in maniera più evidente nei
primi scritti, nei quali Kant si confronta esplicitamente con le dottrine
dell’epoca, come la localizzazione dell’anima e la comunicazione tra
la materia e una sostanza immateriale. Dietro la riformulazione delle
teorie dell’armonia prestabilita e dell’influsso fisico, l’esame del rapporto tra anima, corpo e spazio, e la ricerca di una solida confutazione
dell’idealismo materiale, negli scritti precritici apparirà chiaro come
egli resti sempre insoddisfatto dalle soluzioni offerte.
La ricerca kantiana di una soluzione al problema del rapporto
mente−corpo subisce poi una svolta chiarificatrice e un decisivo spostamento di prospettiva con la Dissertatio del 1770. In quest’opera,
infatti, con l’assunzione dello spazio e del tempo come forme della
sensibilità, il problema di una distinzione e interazione tra mente e
22
Cfr. Die Metaphysik der Sitten, Tugendlehre, AA VI: 461; trad. it., p. 332: «Non è qui il
caso di stabilire se Haller ha colpito più giusto facendo dell’uomo “un intermedio equivoco
tra l’angelo e la bestia”. Ma dividere in due un insieme di cose eterogenee non conduce a nessun concetto determinato, e nulla, nell’ordinamento degli esseri secondo la loro, a noi ignota,
differenza di classi, può guidarci a questo concetto determinato la cui differenza specifica ci è
sconosciuta ».
23
Questo non significa svelare l’origine dell’esperienza secondo le due radici irriducibili
(il che sarebbe il presunto compito della psicologia empirica), ma analizzare come sia composta l’esperienza. Come spiega Kant nel § 21 dei Prolegomena, la psicologia empirica (ma è
noto che essa non è una scienza per Kant) si occupa dell’origine dell’esperienza, la filosofia
trascendentale di ciò che c’è in essa.
18
Premessa
corpo si va delineando come differenza tra senso interno e senso
esterno, e si traduce nella distinzione e interazione delle due irriducibili Erkenntnisquellen (la sensibilità e l’intelletto).
Ciò basta a mostrare perché Kant non abbia dedicato un’opera a
questo tema, e, allo stesso tempo, come esso sia sotteso, in una veste
mutata, alla impostazione fondamentale della filosofia trascendentale,
trasfigurato nella possibilità di una conoscenza tratta da due fonti tra
loro eterogenee.
Passando all’epoca critica, nel secondo capitolo, seguiremo
l’analisi di mente e corpo secondo la distinzione emersa nella Dissertatio tra mondo sensibile e mondo intelligibile, e quindi ci soffermeremo su cosa comporti l’appartenenza dell’uomo al mondo sensibile
[Sinnenwelt] e al mondo intelligibile [Verstandeswelt]24.
Per compiere un primo passo nell’indagine su mente e corpo nel
mondo sensibile, analizzeremo la sensibilità, relativamente alle caratteristiche delle due forme a priori dell’intuizione: lo spazio e il tempo.
Passeremo poi a considerare direttamente il soggetto empirico, oggetto del senso interno. Esso corrisponde al soggetto psicologico che è
dato come flusso di stati d’animo nel tempo. Ma al soggetto empirico
appartiene anche un senso esterno, direttamente collegato al corpo. Ci
troveremo infine a dover chiarire quali siano i rapporti tra coscienza
del proprio stato d’animo, sentimenti e corpo.
Restando nell’ambito del mondo sensibile non troveremo una
mente, e tuttavia noteremo che una mente va presupposta anche perché il corpo ne viene affetto.
Per indagare le caratteristiche e le condizioni di possibilità di questa mente dovremo spostarci nel mondo intelligibile. Qui avremo a
che fare apparentemente con un dualismo tutto interiore alla “mente”:
dovremo chiederci se questo ulteriore dualismo rispecchi quello tra
anima degli animantes e mente umana e se esso sia un vero dualismo.
Inoltre, la questione pressante diventerà se e come il soggetto che si
riconosce come mente possa determinare se stesso solo in virtù
dell’autocoscienza pura della propria spontaneità, fuori da ogni relazione con il mondo. In particolare, può essere determinato questo oggetto sensibile rispetto alla sua sostanzialità? E quindi, la separazione
24
Cfr. GMS, AA IV: 451; trad. it., p. 197.
Premessa
19
dei due sensi nasconde la distinzione di due sostanze (una res cogitans
e una res extensa)? Questo ci porterà nel cuore della trattazione kantiana del paralogismo legato al concetto di anima e alla confutazione
dell’idealismo.
Su queste basi, nel terzo capitolo potremo tirare le fila della soluzione del problema mente−corpo nella filosofia trascendentale e delineare un “vocabolario” per la natura pensante.
Sempre ponendo attenzione a cosa e come è possibile conoscere,
un primo punto che emerge è che se l’io non è una sostanza, e solo in
virtù dell’io penso possiamo attribuire all’uomo una mente, allora va
esclusa l’ipotesi del materialismo. Non solo: se non c’è un’anima
come sostanza, è risolto (o meglio eliminato per inconsistenza) anche
il problema del commercio tra la sostanza corporea e la sostanza pensante, quello relativo al posto dell’anima nel corpo e quelli, tra loro
connessi, della nascita, morte e immortalità dell’anima.
La soluzione è dunque nel commercio tra interno ed esterno,
nell’armonia tra le facoltà che permette la conoscenza, nella mediazione offerta dal linguaggio tra sensibilità corporea e pensiero. Per
fare chiarezza su questi punti analizzeremo anche la trattazione kantiana di temi fisiologici come l’organo dell’anima e le ideae materiales.
Infine, esporremo un ulteriore punto: già nella KrV B, e poi nelle
Vorlesungen metafisiche e nelle opere più tarde, emerge che non solo
l’uomo rappresenta la realizzazione del commercio tra mente e corpo,
ma, grazie all’apporto della moralità, l’uomo rappresenta anche
l’unione tra noumeno e fenomeno.
Ecco come la trattazione dell’uomo nel mondo sensibile e nel
mondo intelligibile trova una unificazione proprio nella coappartenenza dell’uomo ai due mondi in virtù del suo duplice carattere, empirico e noumenico. E come l’indagine sul soggetto conoscente può essere un banco di prova decisivo per l’intera filosofia trascendentale.
Questo libro è la rielaborazione della mia tesi di dottorato in Logica
ed Epistemologia presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Ringrazio la professoressa Mirella Capozzi che ha guidato e seguito da vicino la ricerca in tutte le sue fasi, i professori Simone Gozzano, Mauro
Nasti De Vincentis e Mario Piazza, che hanno discusso la tesi di dottorato, il professor Jocelyn Benoist, che mi ha aiutato a riflettere su al-
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Premessa
cuni punti del lavoro, e il professor Giuseppe Prestipino, che ha accolto questo libro nella collana Passato e Presente. Infine ringrazio gli
amici e la mia famiglia per il sostegno e la fiducia di sempre.