Paolo Contini L’Oggetto e il senso per una lettura sociologica della comunicazione nella società dei consumi ARACNE Copyright © MMV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 88–548–0090–2 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: maggio 2005 A coloro che più amo, nel tempo, oltre il tempo Indice Introduzione ...................................................................................... 9 PARTE PRIMA La sociologia dei consumi 1. Radici storiche del consumo ...................................................... 1.1 La nascita della cultura del consumo ................................ 1.2 Lo sviluppo della cultura del consumo: la società dei consumi Americana ..................................................... 1.3 Penetrazione dell’ideologia del consumo in Italia ............. 19 19 31 34 2. La sociologia e lo studio sui consumi ....................................... Premessa ..................................................................................... 2.1 La prima sociologia dei consumi ...................................... 2.2 La sociologia dei consumi dal secondo dopoguerra ........ 39 39 40 47 3. Il consumo oltre le cose ............................................................. 3.1 Il consumo come simbolo .................................................. 3.2 Dal consumo di massa alla personalizzazione del consumo ........................................................................ 57 57 63 PARTE SECONDA Consumo e comunicazione 4. Consumare e (è) comunicare ..................................................... 4.1 Quando il consumo incontra la comunicazione ............... 4.2 Il consumo e la comunicazione: logica dei significati e categorie culturali ............................................................ 4.3 Il marketing, ovvero il principale raccordo tra imprese e consumatori ..................................................................... 7 75 75 84 89 8 Indice 5. Comunicazione e consumo ........................................................ 5.1 La pubblicità e il consumo ................................................ 5.2 Il prodotto ed il messaggio: uno sguardo semiotico al marketing ........................................................................ 5.3 Testo, ipertesto, parole ed immagini ................................. 101 101 113 122 6. La crisi del globale ed il ritorno al singolare ............................ 135 6.1 La rivoluzione dei consumi nelle aziende: dal marketing di massa al marketing di nicchia ............... 144 6.2 Il differente uso delle parole e delle immagini nella comunicazione tradizionale e in prospettiva futura ................................................................................... 155 Note conclusive Tendenze attuali e sviluppi futuri: verso un’etica della pubblicità? ......................................................................... 163 Bibliografia essenziale ..................................................................... 175 Introduzione Questo lavoro si pone come obiettivo quello di affrontare due aspetti strettamente interconnessi — le mode di consumo e le strategie di comunicazione — contestualizzate in una realtà estremamente complessa e sfuggente, variamente definita, qual è la contemporaneità. Si tratta di un periodo storico e sociale definito nei modi più vari: nella letteratura sociologica e filosofica si incontrano sovente definizioni articolate, come era o società postmoderna1, neo–barocca2, globalizzata / glocalizzata, flessibile3, trasparente4, liquida e dell’incertezza5, del rischio6; dell’accesso e della new economy7, dell’appartenenza multipla, dell’io debole8, del narcisismo9, della crisi della famiglia, delle tribù affettive, del consumo10, della trasmutazione dei valori, del crollo delle grandi nar1 Featherstone M., Cultura del consumo e postmodernismo. Trad. It. Milano, Edizioni Seam, 1994 2 Calabrese O., La società neo–barocca, Bari, Laterza, 1992 3 Cesareo V., La società flessibile, Milano, Franco Angeli, 1987; Sennet R., L’uomo flessibile, Milano, Feltrinelli, 1999 4 Vattimo G., La società trasparente, Milano, Garzanti, 1989 5 Bauman Z., La società dell’incertezza, Bologna, Il Mulino, 1999; Liquid Modernity, Cambridge, Polity Press, 2000; Liquid Love. On the Frailty of Human Bonds. Cambridge, Polity Press, 2003 6 Back U., La società del rischio, trad it. Roma, Carocci, 2000 7 Rifkin J., L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, trad. it. Milano, Mondadori, 2000 8 Vattimo G., La fine della modernità, Milano, Garzanti, 1989 9 Lasch C., La cultura del narcisismo, trad. it. Milano, Bompiani, 1979 10 Maffesoli M., Il tempo delle tribù, Roma, Armando Editore, 1988 9 10 Introduzione razioni11, dell’avvento di saperi alternativi, del disembedding12, della computerizzazione13, dell’informatizzazione14, dell’estetizzazione15, della smaterializzazione16, dell’iperconsumo / iperspesa17, della mcdonaldizzazione, del disincantamento e reincantamento18, dell’ironia, dell’apparenza, della simulazione19, della spettacolarizzazione20, della vetrinizzazione e della disneyficazione21, dell’entertainment e della ludicizzazione22; dell’edonismo23, 11 Lyotard J.F., La condizione postmoderna, trad. it. Milano, Feltrinelli, 1982 12 Giddens A., The Consequences of Modernity, Cambridge, Polity Press, 1990 13 Lyotard J. F., op. cit. 14 Castells M., La nascita della società in rete, trad. it. Milano, Univ. Bocconi Editrice, 2002 15 Maffesoli F., Le paradigme estetique. In Sociologia e Sociétés, vol. 17, 1985; Ferry L., Homo aesteticus, Paris, Grasset, 1990 16 Fabris G.P., Consumatore & mercato, Milano, Sperling & Kupfer, 1995; Fabris G.P. – Minestroni L., Valore e valori della marca, Milano, Franco Angeli, 2004 17 Ritzer G., L’era dell’iperconsumo. McDonaldizzazione, carte di credito, luoghi del consumo e altri temi, Milano, Angeli, 2003; Morace F. – Terzi A. – Tomassini N., Iperspesa, Milano, Lupetti & Co., 1990 18 Ritzer G., La religione dei consumi, trad. it., Bologna, Il Mulino, 2000 19 Baudrillard J., Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, trad. it. Milano, Cappelli, 1980; Baudrillard J., Simulations, New York, Semiotex(e), 1983 20 Codeluppi V., Lo spettacolo della merce. Il luoghi del consumo dai passages a Disney World. Milano, Bompiani, 2000; Debord G., La società dello spettacolo, Milano, Baldini & Castaldi, 1997 21 Augè M., Disneyland e altri nonluoghi, trad. it. Torino, Bollati Boringhieri, 1999; Skorin M., Variations on a Theme Park: The New American City and the End of Public Space, New York, Hill and Wang, 1992 22 Huizinga J., Homo Ludens, Torino, Einaudi, 1946 Introduzione 11 del decontrollo controllato delle emozioni24, dell’individuo senza passioni25; della ricerca di sensazioni26; della polisensorialità27; della femminilizzazione, della fusività, dell’ecopragmatismo28; dell’islamofobia29, del pacifismo, o altro ancora. Certamente, quale che sia il punto di vista adottato, la contemporaneità presenta caratteristiche tali da legittimare tutte le definizioni. In sostanza è ampiamente condiviso il limite del paradigma moderno, il quale si rivela incapace di rendere ragione di una situazione tanto caotica30, pregna di turbolenze, contraddittoria, che non segue le logiche tradizionali ispirate ai principi illuministico– cartesiani, razionalistici, meccanicistici, deterministici, utilitaristici, o ai funzionalismi. Nel vissuto dell’hic et nunc, della quotidianità, che tende a divenire centrale 23 Campbell C., L’etica romantica e lo spirito del consumismo, Roma, Ed. Lavoro, 1992; Cutolo G., L’edonista virtuoso, Milano, Lybra, 1989 24 Wouters C., Formalization and Informalization: Changing Tension Balances in Civilizing Processes, in Theory, Culture & Society, 3, 1986 25 Pulcini E., L’individuo senza passioni, Torino, Bollati Boringhieri, 2001 26 Zuchermann M., Sensation seeking, Hillsdale, Erlaum, 1979 27 Cattaneo A., La società sensibile: tra postmodernismo e polisensorialità. In Ferraresi M., La società del tempo libero, Milano, Arcipelago Edizioni, 2003 28 Fabris G.P., Il nuovo consumatore verso il postmoderno, Milano, Angeli, 2003 29 Cattaneo A., Local people and newcomers in a multicultural and multiethnic town: Milan, Italy. Book of abstracts VI European Congress of Sociology ESA, 23–26/9/03, 2003 30 Gleick J., Caos, Milano, Rizzoli, 1989 12 Introduzione nell’esistenza dell’individuo e della società stessa31, viene sempre più valorizzato il ruolo dell’esperienza con le sue cinque componenti identificate da Schmitt (sense, feel, think, act, relate)32. Ed è proprio l’esperienza nella sua natura polimorfa e sfaccettata, a definire e dare senso a un’esistenza estremamente frammentata, connotata da tensioni olistiche33, ibride34, implosive35 che producono una graduale, costante riduzione dei confini tra reale e virtuale, rendendoli fungibili e innescando un conseguente assottigliamento della classica distinzione manichea immanente – trascendente, lavoro – divertimento, tempo sacro – profano, quotidianità – ferialità, tempus otii – tempus negotii. Si celebrano così l’avvento dell’attimo–universo36, della nowaness, dei mondi – di – sogno / possibili37, dell’iperrealtà38, dell’xpannow39, 31 Maffesoli M., op. cit., Schmitt B., Experiential Marketing: How to Get Customers to Sense. Feel, Think, Act and Relate to Your Company and Brands, New York, The Free Press, 1999 33 Fabris G.P., op. cit., 34 Schmitt B., op. cit., 35 Ritzer J., op. cit., 36 Turner V., Dreams, field, and metaphors, London, Ithaca & London Cornell University Press, 1974 37 Eco U., Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979; Semprini A., La marca. Dal prodotto al mercato, dal mercato alla società, Milano, Lupetti, 1996 38 Baudrillard J., op. cit. 39 Cattaneo A., Experiential glances et transformations and changes occuring in Reflexive Modernization. Atti del VI International Conference on Social Science Methodology, Recent Developements and Applications in Social Research Methodology, Session “Is There a Fundamental Change in The Individual Shaping of The Life Course?”, Amsterdam 16–20/4/2004; Cattaneo A., L’xpannow e polisensorialità come dimensione comunicativa e globalizzante, Relazione 32 Introduzione 13 del bricoleur40, dell’uomo consumatore41, dell’homo patiens42, sentiens43, aesteticus44, ludens45. Come in tutti i momenti di cambiamento di paradigma, che preludono all’avvento di nuove epoche storiche, non mancano di sorgere incertezze, dubbi, perplessità, timori, e persino voci che preconizzano futuri dipinti in toni apocalittici. A complicare ulteriormente il quadro, si riscontrano anche varie evidenze, comprovate scientificamente46, di una profonda crisi di identità nella quale sembra versare la parte più giovane di questa società contemporanea, incapace di ricoprire il tradizionale ruolo trainante di gruppo di riferimento, di innovatore, di gruppo che detta le mode, le tendenze. Inserendoci in questo dibattito — ad oggi complesso e ancora aperto — ci sembra legittimo affermare che la società Occidentale contemporanea sia (non solo, ma soprattutto) una società del consumo. In diverse misure chiunque riesce a connotare i tratti generali della presenza inscindibile del mondo degli oggetti nella vita di ogni essere umano. presentata al Convegno Nazionale AIS Comunicazione e Globalizzazione. Sessione: Metodologia della ricerca, 23–24/9/2004, Urbino 40 De Certau M., L’invenzione del quotidiano, trad. it, Roma, Ed. Lavoro, 2001 41 Katona G., L’uomo consumatore, Milano, Etas Kompass, 1962 42 Cattarinussi B., Sentimenti, passioni, emozioni. La ricerca del comportamento sociale, Milano, Angeli, 2000 43 Cattaneo A., op. cit. 44 Maffesoli M., op. cit.; Ferry L., op. cit. 45 Huizinga J., op. cit. 46 Fabris G.P., op. cit. 14 Introduzione D’altro canto ricercare nel passato gli elementi costitutivi di tale processo, senza incorrere nelle facili generalizzazioni con le quali all’espressione società dei consumi è stata associata una valutazione critica piuttosto che una descrizione neutrale, non è così semplice. L’ambiguità che l’espressione società dei consumi porta con sé ha spesso associato questo fenomeno alla sua degenerazione naturale, il consumismo. Depurare il campo di analisi da questa lettura volta ad attaccare la continua e instancabile ricerca di oggetti e servizi nuovi e distintivi ancorché superflui, che molti critici sociali hanno associato alle fasi avanzate dello sviluppo capitalistico trova risoluzione in una indagine sociologica e storiografica dello sviluppo della società dei consumi avulsa da connotazioni critiche e moralistiche. Nasce l’esigenza di tracciare una linea guida che non necessariamente associ società dei consumi e rivoluzione industriale, espansione del sistema capitalistico e massificazione delle merci. Seguire la storia del consumo è ripercorrere le tappe dello sviluppo dell’Europa e degli Stati Uniti, poiché il valore economico si costruisce culturalmente nel corso di processi storici di lungo periodo, tenendo conto che esistono particolari periodi e luoghi in cui la storia del consumo sembra scorrere più velocemente. La curvatura dello studio sui consumi si estrinseca nel processo di personalizzazione degli oggetti, che rispondono in parte a logiche di gruppi sociali e che trovano massima espressione di soddisfazione nel più grande mercato che il mondo abbia mai conosciuto: internet. Consumo e comunicazione, dunque. Fino all’ipotesi di una comunicazione per il consumo che supera, paradossalmente, l’oggetto. Un oggetto che perde progressivamente materia ed acquista senso. Il desiderio che si insinua negli spazi e Introduzione 15 nei tempi dell’uomo. Perché non c’è consumo, senza produzione. E il tempo della produzione non permette la libera espressione del desiderio di avere. Consumo, legato a doppio filo alla struttura capitalistica. Nella misura dei modi e dei tempi che si dedicano al mantenimento del sistema come in un equazione si sviluppano i modi e i tempi volti al consumo. Società delle comunicazioni e/o società dei consumi, quella contemporanea non si riconosce più negli antichi paradigmi, quelli che Marcel Gauchet definì come “nati dal periodo assiale”47. Quale che sia la griglia ermeneutica che si adoperi per la lettura sociologica della contemporaneità, appare evidente come si tratti di un nuovo momento di transizione, il cui novum si situa nell’essere, questa fase, altra dalle precedenti cronologicamente, ma anche — diremmo — ontologicamente. Il pauroso processo di tecnologizzazione che ha caratterizzato il XX secolo ha introdotto una velocizzazione disarmante nei processi di cambiamento. Le mode di consumo, le strategie di comunicazione e le interconnessioni che si stabiliscono tra le due sono indicatori efficaci, a nostro avviso, dell’essere della contemporaneità e del suo ”essere sé stessa”. 47 Gauchet M., Il disincanto del mondo, Einaudi, Torino, 1992 PARTE PRIMA La sociologia dei consumi Capitolo 1 Radici storiche del consumo 1.1 La nascita della cultura del consumo Il concetto di consumo si è evoluto parallelamente alle trasformazioni sociali ed economiche avvenute nell’ultimo secolo in Europa e negli Stati Uniti, con le dovute differenze e gli inevitabili ritardi generazionali di un occidente non ancora globalizzato. Numerose sono le opinioni sui contesti che hanno portato alla nascita della cultura dei consumi. Gli studiosi McKendrick, Brewer, Plumb1, Codeluppi2, si trovano d’accordo nel collocare l’inizio della cultura dei consumi nel periodo della rivoluzione industriale, epoca durante la quale il consumo si estende e si trasforma da fenomeno di élite a fenomeno collettivo. Il consumo, in quanto tratto dell’“agire umano, al tempo stesso individuale e sociale, dotato di senso, che si fonda su un processo di acquisizione di beni e servizi, attraverso uno scambio di denaro”3, diviene tema centrale nelle teorie sulla società a partire dalla metà del diciannovesimo secolo. In quel periodo infatti si compie il passaggio da un’economia caratterizzata da derrate agricole e manufatti artigianali alla produzione in serie. L’industria chiave, simbolo della produzione di massa, è stata l’industria degli autoveicoli e in particolare dell’automobile. Essa aprì un 1 McKendrick N., Brewer J., Plumb J. M., The birth of a consumer society: the commercialization of eighteenth century England, Indiana University Press, Bloominghton, 1982 2 Codeluppi V., La sociologia dei consumi: teorie classiche e prospettive contemporanee, Carocci, Roma, 2002 3 Marcuse, H., L’uomo ad una dimensione, Einaudi, Torino, 1963 19 20 I. La sociologia dei consumi mercato rilevante per i prodotti siderurgici e metalmeccanici, come la gomma, il vetro, il petrolio. Provocò la ristrutturazione degli insediamenti urbani secondo direttrici periferiche e collegò i mercati rurali e urbani; stimolando la formazione di un settore economico "indotto" di industrie, organizzazioni commerciali e servizi connessi. Mise, inoltre, in moto una spesa pubblica consistente (strade, infrastrutture dell’urbanizzazione, ecc.); contribuendo a trasformare sostanzialmente i modi di vita connotanti l’ancien regime economico. Assumendo l’automobile quale indice della "rivoluzione dei consumi", salta subito all’occhio la rilevante sfasatura tra Stati Uniti ed Europa: la piena espansione dell’industria automobilistica si ha negli Stati Uniti tra le due guerre, in Europa soltanto a partire dagli anni Cinquanta. Henry Hobhouse4 tuttavia scrive, nel suo Seedes of Change, “il punto di partenza per l’espansione Europea al di fuori del Mediterraneo […] non ha avuto nulla a che fare con la religione o lo sviluppo del Capitalismo, ma ha avuto molto a che fare con il pepe. Le Americhe sono state scoperte come effetto non previsto della ricerca del pepe”. Lungi dal voler individuare la genesi delle traversate transoceaniche esclusivamente nei nuovi bisogni di consumo, a promuovere il capitalismo non è stata solo la rivoluzione industriale, che raggiunge il suo apogeo nel secondo Ottocento, o la mentalità calcolatrice dei piccoli borghesi ispirati dall’ascetismo calvinista del Sei–Settecento, ma anche i consumi, dai piccoli lussi del popolo alle stravaganze della nobiltà già a partire dal tardo Medioevo. 4 1985 Hobhouse H., Seeds of Change, Harper and Row, New York, 1. Radici storiche del consumo 21 Diviene indispensabile precisare che, parafrasando Weber5, si può considerare la “società dei consumi” come un tipo di società in cui la “soddisfazione dei bisogni quotidiani“ avviene “per via capitalistica”, vale a dire tramite l’acquisto e l’utilizzo di merci sul mercato. Seguendo Weber, se in tutti i periodi storici troviamo forme di capitalismo, intese come forme produttive volte alla massimizzazione del profitto, solo in Occidente, e da un determinato momento in poi, nello sviluppo della società capitalistica moderna possiamo rinvenire questo tipo di società, dove i bisogni anche più elementari vengono soddisfatti tramite delle azioni di consumo. Il consumo è una sfera di azioni con luoghi e tempi dedicati, con pratiche contrapposte e separate da quelle del lavoro. Il quotidiano vede l’alternarsi di tempi di lavoro e tempi di consumo, svolti in luoghi tendenzialmente diversi. La tesi di Weber6 concentra nelle credenze e nelle pratiche protestanti, in particolar modo calviniste, uno spirito calcolatore affine al capitalismo che avrebbe materialmente permesso, mediante la coazione ascetica al risparmio, la formazione del capitale necessaria allo sviluppo dell’impresa capitalistica. Coesisteva però uno spirito edonistico, incarnato non solo dai nobili e dall’alta finanza, ma anche, e in maniera sempre maggiore, dalle classi popolari, che vedevano nel consumo negli agi e persino negli sprechi forze di azione significativa. La netta distinzione tra domanda e offerta dell’analisi economica classica non tiene conto, spesso, degli usi, delle 5 Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano, 1991 6 Weber M., op. cit. 22 I. La sociologia dei consumi associazioni simboliche, del valore che connota un oggetto, rendendo il consumo come un fenomeno passivo. Per integrare l’ipotesi Weberiana è opportuno considerare le caratteristiche della cultura del consumo nel Sei– Settecento. Sociologia e storiografia hanno seguito per molto tempo una visione dualistica che lasciava alla sola organizzazione produttiva il ruolo attivo di motore della storia e considerava la società dei consumi quale epigono novecentesco della rivoluzione industriale. La radicale trasformazione della struttura economica e produttiva avrebbe attivato la rivoluzione della domanda, e la società dei consumi viene di conseguenza concepita quale risposta culturale ad una più profonda trasformazione economica. In quest’ottica la cultura del consumo coincide con il consumismo, a sua volta ridotto alla associazione tra pratiche di consumo e pubblicità ricondotte entrambe alla cultura di massa, derivato primo della produzione di massa. La svolta anti–produzionista vede i lavori di Neil McKendrick7, Colin Campbell8 e Jean De Vries9 retrodatare la rivoluzione della domanda al Settecento o alla seconda metà del Seicento sottolineando, ciascuno in modo diverso, che i desideri di consumo hanno avuto un ruolo attivo e creativo nel dar forma alla modernità. La svolta negli studi sul consumo di Mc Kendrick si evince dalla considerazione secondo la quale “la rivoluzione dei consumi” è stata “il necessario corrispettivo della rivoluzione industriale”, “l’inevitabile sussulto dal lato 7 McKendrick N., op. cit. Campbell C., L’etica romantica e lo spirito del consumismo moderno, Lavoro, Roma, 1982 9 De Vries J., Peasant demand patterns and economics developement: Friesland 1550–1750, in Parker W. N. e Jones E. L., European Peasant and their markets: Essay in Agrarian economic History, Princeton university Press, Princeton, N. Y., 1975 8 1. Radici storiche del consumo 23 della domanda nell’equazione economica, corrispondente ad una analogo sussulto nella produzione”10, da collocarsi nella seconda metà del Settecento in Inghilterra, sullo sfondo di una società progressivamente più flessibile come risultato delle aspirazioni di status delle nuove classi borghesi. L’elevazione sociale della classe borghese si estrinsecava nell’emulazione dei consumi dei custodi della raffinatezza dell’epoca: i nobili. A questo proposito, le porcellane di Josiah Wegwood facevano leva sulle aspirazioni di status, e pur non utilizzando ancora tecniche produttive industriali, utilizzavano tecniche di vendita sofisticate. Wegwood capisce e sfrutta le pretese dei nobili e le aspirazioni dei borghesi sponsorizzando le sue porcellane tra le case reali, per poi sfruttare l’aura creata attorno ai suoi manufatti e vendere ai “nuovi ricchi”. Adotta vere e proprie tecniche di marketing e di design per produrre a costi accessibili una grande quantità di beni per soddisfare il gusto e la raffinatezza della classe borghese in ascesa. McKendrick offre, in definitiva, una spiegazione che potremmo definire consumista, per cui il processo di industrializzazione sarebbe stato l’effetto e non la causa dei nuovi desideri di consumo, sospinto dalla dimostrazione di status tramite tecniche promozionali. Tratteggia la domanda come parte attiva del processo storico, dipingendola come “frutto naturale” dell’inclinazione dell’uomo ad imitare chi ha potere e status. I limiti della sua teorizzazione emergono proprio dall’appiattimento delle particolarità di un ambiente sociale in cui diviene lecito e possibile seguire la moda, godere dell’ostentazione, attribuendo ai primi borghesi la voglia di consumare di più sull’emulazione, l’invidia, la voglia di dimostrazione del proprio status. 10 McKendrick N., op. cit. 24 I. La sociologia dei consumi In aperto dissenso con McKendrick proprio sull’accentuazione di motivi di consumo a–storici e universali come l’emulazione e la voglia di rivalsa, Campbell cerca di completare il saggio di Weber, L’etica protestante e lo spirito del Capitalismo fornendo una spiegazione che si può definire Modernista, nel suo saggio L’etica romantica e lo spirito del consumismo moderno. Il sociologo e storico scozzese vuole dimostrare che non solo l’orientamento alla produzione ma anche quello al consumo hanno contribuito alla modernità capitalistica. Il consumo è frutto di un nuovo atteggiamento etico ed estetico che aspira alla novità ed all’originalità affondando le proprie radici nell’atteggiamento romantico. Tendendo a ciò che di propriamente moderno c’è nella cultura materiale descrive il consumatore come un moderno “edonista” che “si allontana dalla realtà non appena la incontra, spostando i suoi sogni sempre più avanti nel tempo, attaccandoli a oggetti del desiderio e poi, successivamente, staccandoli da tali oggetti non appena li ha ottenuti e ne ha fatto esperienza”11. Il consumismo moderno è un esercizio privato di edonismo particolare, potenzialmente infinito, e l’interesse si concentra soprattutto sui “significati e sulle immagini che possono essere attribuiti ad un prodotto, qualcosa che ne richiede la presenza di novità”12. Collocando la rivoluzione dei consumi tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento Campbell sostiene inoltre che i consumatori moderni tendono a costruire il proprio contesto personale di godimento “rimestando e manipolando illusioni”, riproducendo i propri “sogni ad occhi aperti” primariamente tramite gli oggetti. 11 12 Campbell C., op. cit. Ibid. 1. Radici storiche del consumo 25 I romantici ritenevano che il compito degli esseri umani fosse essenzialmente realizzarsi come singoli: in opposizione alla società e fedeli al principio sviluppano l’edonismo moderno definito dai piaceri dell’immaginazione e legato alla capacità di gestire emozioni. Campbell da una spiegazione a quella che appare come una contraddizione nello sviluppo del capitalismo, ovvero il fatto che fossero quegli stessi borghesi inglesi, tra cui era più viva la fede protestante, a dare vita alla rivoluzione dei consumi, sostenendo che fu proprio il controllo delle emozioni appreso tramite l’etica protestante a rendere possibile la concezione moderna del piacere, incentrata sulla capacità di contemplare oggetti e di manipolarne i significati. Pur dando senso culturale alle fantasie individuali, Campbell trascura quei processi sociali che permettono lo sviluppo di certe fantasie verso determinati soggetti piuttosto che altri, a seconda del loro genere, razza, sessualità. Quella che per Campbell è una sindrome Sette–Ottocentesca si riscontra in ogni comunità urbana sufficientemente vasta e sviluppata commercialmente dove vi siano tempo e ricchezza sufficienti per impegnarsi in forme complesse di costruzione e presentazione del sé attraverso un numero sempre crescente di beni disponibili sul mercato. In definitiva non tiene conto del fatto che l’edonismo dell’immaginazione si è innestato su una tendenza culturale di lungo periodo che predilige il materialismo e che si è combinata, a partire dal Settecento con la propensione a definire gli attori sociali come “consumatori”. Gli studiosi McKendrick, Brewer e Plumb confermano il ruolo di promotore della cultura del consumo svolto dalle imprese presentando il caso Josiah Wedgwood. Quella di Wedgwood è un’azienda inglese di ceramiche che nel 26 I. La sociologia dei consumi XVIII secolo sfrutta le strategie di marketing per promuovere i suoi prodotti, in un primo momento, presso le classi più elevate e poi presso la classe media. Quest’ultima vede le prime come un modello di stile e di raffinatezza da imitare mediante la fruizione degli stessi beni di consumo. Wedgwood, cosciente di tale meccanismo imitativo, sceglie di mostrare le proprie ceramiche nelle case di alcuni nobili in modo da trasferire un’aura di prestigio ai propri prodotti. Le imprese, in generale, propongono dei modelli di consumo che si oppongono a quelli tradizionali e locali adottando i nuovi strumenti del marketing e della pubblicità. La nascita della cultura del consumo nel XVIII secolo rende la donna protagonista: lavorando presso le imprese inglesi incomincia a disporre di un reddito per l’acquisto di quei beni che essa stessa ha in precedenza fabbricato a casa: abiti, biancheria, tendaggi ed accessori13. Il desiderio di beni materiali viene alimentato dallo sviluppo nella società inglese di un sistema di valori all’interno dei quali il consumo viene visto come portatore di benessere e del bene collettivo. La nascita della cultura del consumo si diffonde inoltre in seguito alla metamorfosi che il negozio subisce durante la rivoluzione industriale14. Fino al XVIII secolo il negozio mantiene al suo interno il laboratorio dove vengono costruite artigianalmente le merci. Quest’ultime non sono visibili all’acquirente, in quanto stipate in enormi armadi. L’acquirente entra in bottega non sapendo cosa comprare e lascia che sia il negoziante a proporre dei pezzi, magnificandoli in ogni loro aspetto. Il cliente si sente dunque in obbligo di comprare in cambio del tempo a lui dedicato dal negoziante. Tutto questo cambia con 13 McKendrick N., Brewer J., Plumb J. M., op. cit. Codeluppi V., Lo spettacolo della merce. I luoghi del consumo, dai passages a Disney World, Bompiani, Milano, 2000 14 1. Radici storiche del consumo 27 l’inizio del XVIII secolo grazie alla nascita delle prime vetrine. Esse hanno un aspetto non proprio simile a quelle attuali visto che sono realizzate unendo tanti frammenti di vetro. Si incomincia dunque ad esporre le prime merci. Lo stesso negozio al suo interno cambia fisionomia liberandosi degli armadi con grandi cassetti che vengono sostituiti da mobili idonei ad esporre i prodotti. Il laboratorio viene spostato dal negozio e va ad occupare le zone della periferia della città. In seguito, s’incomincia a produrre grandi lastre di cristallo che sostituiscono le “prime” vetrine. Le nuove vetrine dei negozi rendono più brillanti i colori delle merci esposte. L’uso inoltre dell’illuminazione artificiale e i giochi di luce di specchietti opportunamente posizionati accentuano la trasparenza delle vetrine. I negozianti cercano di attirare l’attenzione dei passanti mettendo in scena i prodotti come se fossero gli attori che recitano davanti al proprio pubblico su di un palcoscenico, la vetrina. I beni perdono quindi il loro significato originario legato al rapporto diretto e personale del cliente con il negoziante e vengono contestualizzati all’interno delle rappresentazioni messe in scena nelle vetrine. Il cliente non fa più affidamento sul venditore, ma è lasciato solo davanti al prodotto. È proprio il cliente, divenuto ormai consumatore, che sceglie i prodotti più belli, più seducenti in base alle sue competenze d’acquisto. Con gli inizi dell’Ottocento, la rivoluzione industriale stimola la produzione in grandi quantità di merci che hanno dunque bisogno di luoghi in cui possano venire vendute15. Si moltiplicano i negozi grazie anche ai piani di riurbanizzazione realizzati a Parigi. Nella capitale francese si moltiplicano i consumi sulla spinta dell’ingordigia di beni manifestata dalle masse. I negozi diventano ormai insufficienti, in quanto non riesco15 Codeluppi V., op. cit. 28 I. La sociologia dei consumi no a soddisfare le richieste distributive delle imprese. Si realizzano in centro a Parigi degli spazi di vendita accessibili a tutti, ma allo stesso tempo lussuosi e intimi come degli spazi privati. Nascono le prime gallerie commerciali o passages16. Tali luoghi del consumo presentano una struttura singolare: essi sono delle vie dotate di soffitti a vetrate in cui negozi lussuosi convivono con sale da the, librerie ed appartamenti. È qui che i parigini amano passeggiare, incontrare i nuovi amori, discutere e naturalmente consumare. Nasce in quegli anni la figura del flaneur che passa la giornata a vagare per la città senza meta per il puro desiderio di esplorare e vagabondare immerso nell’orgia di merci luccicanti. Con il progresso industriale e la produzione massificata i luoghi del consumo si modificano nuovamente. Nascono spazi d’acquisto più ampi e sviluppati in altezza anche a causa dei costi degli affitti. È il periodo dei grandi magazzini — enormi palazzi raggiungibili dalla periferia grazie alle nuove arterie ferroviarie e tranviarie — che godono di enormi spazi di vendita dove tutto è spettacolarizzato. Il consumatore vi trova tutto ciò che può desiderare e viene stimolato da décor espositivi a tema. La messa in scena tipica delle vetrine dei negozi viene sostituita da spazi interni caratterizzati da rappresentazioni esotiche. L’ingordigia di beni, il moltiplicarsi e trasformarsi dei luoghi di consumo e l’incessante riversarsi sul mercato di prodotti sono naturalmente stimolati da dei sistemi di valori a cui fanno capo l’etica protestante per l’agire delle imprese e l’etica romantica per l’agire dei consumatori17. La prima teorizzazione sulla capacità di mediazione simbolica dei beni risale a Marx che definì la differenza tra “valore 16 17 Ibid. Campbell C., op. cit. 1. Radici storiche del consumo 29 d’uso” e “valore di scambio” di un oggetto, dove il primo è legato all’effettivo utilizzo del bene mentre il secondo gli viene attribuito dal mercato in base ad una sorta di percezione sociale del suo valore. Al di là degli elementi che costituiscono le parti strutturali e sovrastrutturali del concetto di consumo, già Marx pone le basi per l’elaborazione weberiana — che sarà ripresa dallo stesso Campbell — del concetto di stile di vita, concependo il consumo come un atto sociale. Weber, infatti, è il primo ad ipotizzare un legame tra la strutturazione del sistema sociale e lo stile di consumo, mediante l’introduzione del concetto di “condotta di vita”, inteso come “quantità di onore e distinzione a cui un individuo può aspirare attraverso un comportamento di consumo”. La condotta di vita weberiana funziona da indicatore distintivo dei ceti. E la dialettica, la tensione, tra individuazione e omogeneizzazione del soggetto, tra il consumo di massa e l’individualismo, tra l’eccentricità (libertà di appropriarsi di segni) e l’atteggiamento blasé (indifferenza di fronte al loro carico di significazione), viene già colta nella speculazione di Simmel, per il quale la Moda realizza perfettamente lo spirito della società che si lascia per la prima volta travolgere dai beni di consumo. Collin Campbell lega l’etica protestante di Weber ad una concezione romantica del consumo. Sono i ceti medi della società inglese di tradizione protestante a guidare le imprese e lo fanno reinvestendo continuamente i profitti. Il successo della propria attività viene visto come la condotta ottimale, segno della benevolenza divina. L’accumulo di ricchezza viene quindi sostituito dal continuo reinvestimento che conduce alla produzione di quantità crescenti di beni prodotti. Parallelamente all’etica protestante, nasce l’esigenza di gratificare il proprio sé attraverso qualsiasi esperienza piacevole. È all’interno di tale contesto che la cultura industriale fa nascere il desiderio incessante di 30 I. La sociologia dei consumi consumare, il quale spinge gli individui a volere consumare sempre di più. Campbell spiega che questo desiderio non è legato all’acquisto di particolari beni, ma è fine a se stesso: “Noi non desideriamo in genere un oggetto particolare, sebbene questo a volte possa accadere; in linea di massima desideriamo desiderare e desideriamo cose nuove e diverse in una girandola continua d’insoddisfazione.”18 L’autore inserisce l’incessante desiderio di consumare nel concetto di etica romantica. Esso guida gli individui ad aprirsi a tutte le esperienze possibili di consumo ricercando in ognuna la gratificazione de proprio sé. La donna assume un ruolo fondamentale nella diffusione della concezione romantica del consumo: incomincia a vedere la lettura di romanzi non più come fonte da cui trarre insegnamenti morali, ma come esperienza emozionante e gratificante. Con l’Ottocento la donna della classe media diventa una lettrice di romanzi che le permettono dunque di vivere le storie raccontate attraverso gli occhi degli autori. In seguito, l’etica romantica guida gli individui nel desiderare beni non solo culturali ma appartenenti a tutti i comparti del consumo. L’etica romantica lega il consumo all’esperienza del sogno ad occhi aperti, il cui piacere svanisce una volta realizzato. L’acquisto effettivo del bene desiderato pone dunque fine al sogno, deludendo l’individuo che, in risposta, produce altri nuovi desideri. Il tutto va a creare una situazione di desiderio incessante di consumare nell’individuo. La contrapposizione e l’assoluta inscindibilità tra massa e individuo e quindi tra consumo omogeneizzante e consumo come fattore distintivo individuale è già perfettamente presente nello spirito che anima le grandi metropoli europee di fine Ottocento: ciò che libera l’individuo, il denaro, il suo spirito che permea tutto il reale, contempo18 Ibid. 1. Radici storiche del consumo 31 raneamente dissolve lo stesso individuo, lo omogeneizza. È la tragedia del moderno che altri non è che "una tragedia senza Eroi”19. Dentro tale contesto, la moda è il medium perfetto per analizzare tale contraddizione, è "la palestra della conquista dell’individualità, e quindi della distinzione". Il teatro di tale tragedia è necessariamente la metropoli: è quella Berlino che nell’ultimo trentennio dell’Ottocento moltiplica i suoi abitanti e il suo tessuto urbano, è quella Parigi che così bene Baudelaire e Rilke avevano dipinto nelle loro opere, ma il consumo indotto dalla moda ha un posto cruciale perché concilia la dicotomia tra ciò che è distinto e ciò che è omologato. 1.2 Lo sviluppo della cultura del consumo: la società dei consumi Americana Tra la fine dell’Ottocento e i primi vent’anni del Novecento gli Stati Uniti ottengono la supremazia in campo industriale superando l’Inghilterra, culla della rivoluzione industriale. Dalle idee di un ingegnere di nome Ford, nasce la produzione di massa applicata prima al settore dell’automobile ed in seguito a tutta l’industria. Il modello industriale fordista si fonda sull’idea dell’efficienza ottenuta dalla parcellizzazione del processo industriale che scompone il prodotto in tante componenti compatibili le une alle altre ed assemblate da una catena di montaggio. Il risultato è la produzione di un prodotto unico e la messa sul mercato di un’offerta omogenea. La ricerca dell’efficienza conduce all’abbassamento dei costi di produzione attraverso le economie di scala che rendono i prezzi dei prodotti accessibili a tutti. Un esempio può essere l’auto19 Simmel G., La differenziazione sociale, Laterza, Bari, 1982 32 I. La sociologia dei consumi mobile prodotta da Ford, il modello T, che prevede una sola colorazione e nessun accessorio o personalizzazione. Tutto questo permette di rendere l’automobile accessibile anche alle classi operaie. Fino agli anni Venti l’industria americana deve far fronte ad un’eccedenza della domanda rispetto all’offerta e risponde con un orientamento di marketing al prodotto; la situazione economica positiva cambia con la crisi del 1929 legata alla sovrapproduzione. Le imprese americane cambiano direzione e, dall’orientamento al prodotto (omogeneo), passano all’orientamento alle vendite. Esse si pongono dunque come imperativo quello di vendere tutto ciò che si produce. Si persegue tale scopo sfruttando tutti gli strumenti commerciali e di marketing nelle loro mani. Le imprese sono convinte che per stimolare la ripresa dei consumi sono necessari nuovi modelli di vita i cui valori sono radicati nella storia della società americana20. Tali modelli oltretutto rispettano la struttura sociale americana caratterizzata da una forma piramidale, stratificata e permeabile. La civiltà americana da sempre ha dimostrato un’aspirazione al successo e alla voglia di rimarcare la propria superiorità. Lo ha fatto a livello industriale, proponendo il modello della produzione di massa successivamente usato in Europa, e a livello di consumi con l’esportazione dell’American way of life. Le imprese americane vedono nell’American dream la spinta alla ripresa dei consumi, possibile grazie al reddito elevato di tutta la popolazione. Il sogno consiste nell’impegno di ogni americano a scalare la piramide sociale attraverso il sacrificio e la carriera professionale. Ogni strato vede quello superiore come un modello da imitare e raggiungere attraverso l’appropriazione dei suoi comportamenti e delle sue scelte di consumo. I valori tipici dell’American 20 Fabris G., Sociologia dei consumi, Hoepli, Milano, 1971 1. Radici storiche del consumo 33 dream sono il successo e l’ambizione professionale, la famiglia, il rapporto con il vicinato, la casa unifamiliare, le amicizie fra le famiglie dei colleghi, le gite nel week end. Le imprese americane si fanno promotrici di tali valori attraverso la pubblicità. L’advertising ricrea con precisione l’American way of life in modo da declinare tutti i suoi valori in una combinazione d’oggetti d’uso21. Le imprese americane propongono dunque una serie di beni il cui possesso è segno di appartenenza alla “comunità”22. La combinazione di tali beni è resa accessibile a quasi tutte le classi grazie alla massificazione dei mercati. Questi beni sono dunque posseduti da molti strati sociali, i quali aspirano a raggiungere la sommità della piramide. È proprio tale aspirazione che porta alla nascita del fenomeno dello status symbol. Lo status symbol è quel prodotto che l’americano cerca di possedere a tutti i costi. Il suo possesso si traduce in sacrifici il cui risultato finale è l’illusione di appartenere allo strato sociale superiore. L’ascesa sociale non pone fine alla seduzione dello status symbol, anzi la alimenta sempre di più. Lo status symbol seduce sia l’uomo sia la donna attraverso prodotti come l’automobile sportiva, la villa al mare… All’interno di tale contesto si inserisce la teoria della “goccia a goccia” o “trickel down theory”, formulata negli anni Cinquanta da Fallers23, il quale fornisce una spiegazione dell’introduzione delle mode. Essa, in particolare, afferma che le mode nascono come innovazioni ai vertici della società e mano a mano scendono per effetto del “trickel effect” perdendo il loro significato simbolico iniziale. All’arrivo dell’innovazione agli strati sociali più bassi, essa viene sostituita da un’altra 21 Ibid. Alberini F., Statu Nascenti, Il Mulino, Bologna, 1968 23 Fabris G., op. cit. 22 34 I. La sociologia dei consumi moda che percorre lo stesso tragitto della precedente. Il tessuto politico e mediale, insieme alle grandi aziende, contribuisce a promuovere l’American way of life diffondendo modelli di vita e di successo tra gli americani. Un notevole contributo è da imputarsi al cinema e alla televisione che promuovono una società del benessere in cui l’aspirazione di ognuno è consumare e soddisfare sempre più nuovi bisogni emergenti. 1.3 Mutamenti socioculturali e penetrazione dell’ideologia del consumo in Italia Paolo Falabrino in “Pubblicità serva e padrona”24 fornisce un’interpretazione storica dello sviluppo in Italia della società dei consumi, inserendola nel secondo dopoguerra in occasione della liberazione dell’esercito americano. Egli afferma che sono proprio i soldati americani a far incontrare la società italiana con la cultura dei consumi, simbolo del periodo di benessere sociale e politico degli Stati Uniti. Tale incontro non risulta facile e privo di rallentamenti ed opposizioni. Notevoli sono le differenze fra la popolazione americana rappresentata dai suoi militari e quella italiana: la prima è industriale e potentemente avviata verso il secolarismo, mentre la seconda è legata alla tradizione contadina e — non irrilevante — cattolica. Inizialmente viene visto con invidia e ostilità tutto ciò che gli americani rappresentano. Essi non sembrano aver mai visto la povertà e la miseria, e il loro stesso equipaggiamento è segno del benessere della società in cui vivono. Gli italiani si avvicinano al consumo scambiando generi di 24 Falabrino P., Effimera e bella. Storia della pubblicità italiana, Gutemberg, Torino, 2000 1. Radici storiche del consumo 35 prima necessità come cibo, coperte e bevande con gli americani. I soldati diffondono i nuovi modelli di vita che contrastano con i valori tipicamente cattolico–contadini come il risparmio, l’onestà, il dovere, la rinuncia, la non considerazione del lusso… La cultura del consumo viene vista come qualcosa di veramente negativo ed effimero, in quanto promuove il consumo piuttosto che il risparmio, il piacere al posto della rinuncia25. Questo clima di condanna ha durata breve visto che, già dagli anni Cinquanta, con il boom economico incominciano ad inserirsi i modelli di consumo della società americana. L’Italia vive tra il 1950 e il 1963 un periodo di grande crescita economica, la quale trasforma il paese arretrato del secondo dopoguerra in una delle prime dieci potenze industriali del mondo. In questo periodo le grandi e medie imprese rivoluzionano la loro struttura e il loro funzionamento, razionalizzando la gestione delle risorse e l’organizzazione dei processi produttivi e del lavoro. I principi quali la serialità, la standardizzazione dei processi, la divisione tayloristica del lavoro portano al successo settori industriali come quello delle automobili, della chimica, della carta e della meccanica di precisione. La crescita italiana si traduce in un aumento del tenore di vita reso possibile dagli alti profitti delle industrie che garantiscono un’ottima copertura occupazionale e elevati salari. Le imprese italiane, godendo di elevati profitti grazie alla loro efficienza, sono stimolate ad investire in tecnologia sulla spinta di un mercato potenziale disposto ad acquistare grazie ad un buon livello di reddito. La situazione di benessere generale è il riflesso di una trasformazione della società italiana avvenuta durante gli anni del miracolo italiano. Negli anni precedenti, l’Italia si caratterizza per una struttura sociale rigida e suddivisa in 25 Falabrino P., op. cit. 36 I. La sociologia dei consumi classi che permettevano poca mobilità sociale di tipo ascensionale. S’individuano le due classi sociali di riferimento, rese più riconoscibili dall’indirizzamento economico in atto, di cui una è di dimensioni ridotte e l’altra, più ampia, coincide con gran parte della popolazione. Ognuna è portatrice di un proprio sistema di valori che rende difficile l’incontro poiché verte su tendenze politiche opposte. In realtà, tra le due classi si interpone uno “strato cuscinetto” che non può né appartenere alla classe superiore, quella della borghesia, né alla classe inferiore, quella del proletariato. Il boom economico mette in ombra l’importanza delle classi sociali lasciando lo spazio ad una “(…) gigantesca struttura sociale di ceti medi. Quello che era apparso come una sorta di strato cuscinetto tra borghesia e proletariato appariva in realtà divenire — in concomitanza ad un processo di terziarizzazione della società, destinato a fagocitare o ridurre grandemente la numerosità degli appartenenti alle classi sociali contrapposte nell’ambito della piramide sociale — la fascia più consistente e tendenzialmente egemone nel sociale”26. Il nuovo assetto sociale italiano rimane inizialmente legato ai vecchi valori tipici della cultura contadino-cattolica della rinuncia sostituiti rapidamente dalla cultura del consumo sulla spinta delle imprese. Esse diventano le promotrici di nuovi modelli di riferimento i cui valori vengono promossi attraverso la pubblicità. Egli individua nella società italiana una iniziale resistenza nell’abbandonare i vecchi valori per abbracciare immediatamente quelli di tipo capitalistico. Essa ha bisogno quindi di essere rassicurata sul fatto che i beni promossi non vanno ad urtare categorie come la genuinità, la cura nel fare le cose, il sacrificio per ottenere ciò che si 26 Fabris G., Consumatore e mercato. Le nuove regole, Sperling & Kupfer, Milano, 1995 1. Radici storiche del consumo 37 desidera27. Le imprese concepiscono attraverso gli strumenti del marketing e dell’advertising un modo per rassicurare tali ansie. Lo trovano associando i valori contadini e familiaristici a prodotti industriali che celano la loro reale veste. Le pubblicità si dotano di meccanismi di seduzione rassicurante in modo da smentire le convinzioni sulla dannosità dei prodotti industriali. Esse inseriscono in rappresentazioni di vita rurale prodotti industriali come frutto di tradizioni centenarie e di attività artigianali. Le resistenze alla cultura del consumo cadono; si sviluppano tra il ceto medio comportamenti di consumo che non risultano essere solo il frutto dell’euforia di una situazione di benessere, la quale sembra aver cancellato i sacrifici dei primi anni del dopoguerra, ma vengono spinti dal desiderio comune di ostentazione e di prestigio. Il già citato economista Duesenberry28 vede nell’impulso dell’individuo a migliorare continuamente le proprie condizioni di vita lo stimolo a comportamenti di consumo di tipo ostentativo. Bisogna tenere conto che tale teoria va inserita nel contesto di una società stratificata e dinamica come quella americana, ma può comunque trovare applicazione nella situazione italiana. Sia la società americana sia quella italiana sono spinte ad acquistare continuamente nuovi beni per soddisfare il desiderio di miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Il continuo ingresso sul mercato di nuovi beni stimola i comportamenti di consumo alimentando l’impulso a conoscere e fare propri modelli superiori. Nasce così quell’effetto che Duesenberry chiama “effetto di dimostrazione” che tende a limitare gli atti di consumo abituali. Lo stesso autore sostiene che la frequenza dei contat27 Alberoni F., op. cit. Duesenberry J. S., Reddito, risparmio e teoria del comportamento del consumatore, Etas Kompass, Milano, 1969 28 38 I. La sociologia dei consumi ti con i beni di qualità superiore tende ad aumentare in situazioni in cui le spese di consumo delle persone aumentano. Il risultato porta a consumi incessanti a scapito del risparmio. Lo sviluppo del fenomeno consumo in Italia verrà ripreso nella seconda parte del lavoro quando la curvatura odierna della società dei consumi verterà sul circuito della comunicazione di massa. Nel prossimo capitolo si prenderanno in esame diversi approcci sociologici allo studio sui consumi.