APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 1 - di 21 La scarica elettrica nei gas rarefatti Lo studio del passaggio dell'elettricità in gas rarefatti iniziò verso la metà dell'800. Le osservazioni vennero effettuate in tubi di vetro pieni d'aria o di altri gas, con due piastre metalliche (elettrodi) fissate all'interno e collegate ad un generatore di corrente. Quando il tubo è pieno d'aria, anche applicando agli elettrodi una differenza di potenziale molto elevata non si osserva alcun fenomeno in quanto l'aria (e più in generale i gas) a pressione normale, non conduce l'elettricità. (Se l’aria conducesse l’elettricità basterebbe un fulmine per mandarci tutti all’altro mondo; la cosa diventa pericolosa quando il fulmine cade in mare perché l'acqua di mare conduce l'elettricità.) Il fisico inglese William Crookes, riuscì a fissare, saldando, vetro con metallo costruendo un recipiente detto appunto “tubo di Crookes” in cui era possibile applicare una differenza di potenziale e fare il vuoto con una pompa aspirante. Molti scienziati studiarono, utilizzando tale tubo, il comportamento di gas ionizzati rarefatti, tra questi il fisico inglese Thomson a cui si deve la scoperta dell’elettrone. Estraendo l'aria dal tubo, per mezzo di una pompa aspirante, fino a ridurre la pressione a pochi millimetri di mercurio, si nota il passaggio della corrente elettrica, prima sotto forma di una scintilla che procede a zigzag, poi sotto forma di una luminosità diffusa che riempie il tubo fino a fargli assumere l'aspetto familiare di quelli al neon. Il colore della luce dipende dal gas con il quale è stato riempito il tubo: rosso per il neon, blu per l'azoto, rosa per l'idrogeno, e così via. Sottraendo ancora aria dall'interno del tubo, fino a raggiungere pressioni dell'ordine del decimo di millimetro di mercurio, la luminosità scompare del tutto, mentre diventa fluorescente la parete di vetro dirimpetto al catodo. Se ora si volesse dare un'interpretazione a questo fenomeno, è evidente che debba trattarsi di un "quid" che si sprigiona dal catodo eccitando prima la materia che si trova nel tubo e poi, quando questa è stata praticamente eliminata, la zona del tubo posta di fronte ad esso. Già nel 1876, il fisico tedesco Eugen Goldstein, nella convinzione di avere a che fare con una qualche forma di energia, dette, alla radiazione che partiva dal catodo, il nome di "raggi catodici". Alcuni anni più tardi, il fisico inglese William Crookes, per indagare sulla natura della radiazione catodica, apportò alcune modifiche ai tubi di scarica. Spostando lateralmente l'anodo, egli osservò che la radiazione continuava a procedere in linea retta dal catodo verso la parete di fronte (anticatodo): i raggi si propagavano in linea retta -1- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 2 - di 21 Se nel tubo veniva introdotto un leggerissimo mulinello, scorrevole su un binario, si osservava che esso, sotto l'effetto della radiazione, rotolava, dalla zona del catodo, verso quella opposta. Inoltre, interrompendo la radiazione catodica con un ostacolo, si poteva osservare, sulla parete di vetro posta di fronte, il formarsi di un'ombra netta, priva di aloni: i raggi erano anche dei corpuscoli dotati di una propria massa Gli esperimenti mettevano in evidenza che la radiazione che usciva dal catodo non poteva essere della stessa natura della luce, perché una forma di energia immateriale non sarebbe stata in grado di spingere un mulinello a pale; essa inoltre, incontrando un ostacolo, avrebbe dovuto generare, oltre all'ombra, un alone di penombra molto ben visibile. Le evidenze sperimentali suggerivano che doveva trattarsi di uno sciame di corpuscoli. In seguito si dimostrò che i raggi catodici venivano deviati da un campo magnetico e si orientavano verso la polarità positiva del campo magnetico; pertanto non solo questi raggi erano delle particelle ma dovevano possedere anche una carica elettrica, la quale, tenuto conto del senso della deviazione, doveva essere di segno negativo. Fu infine deciso di riservare a queste particelle, e non alle cariche elettriche, come si era fatto in precedenza, il nome di elettroni. Si scoprì successivamente il valore della carica e della massa dell’elettrone che diventava così la più piccola particella di materia mai conosciuta. Esso pesa 1836 volte di meno del peso dell'atomo di idrogeno, il più leggero che esista in natura. I “raggi canale” e i “raggi X” La materia, in condizioni normali, si presenta elettricamente neutra. Era quindi logico pensare che se da essa si era riusciti ad estrarre corpuscoli carichi di elettricità negativa, gli elettroni appunto, dovessero essere presenti residui carichi positivamente. Era altrettanto naturale attendersi che tali frammenti di materia avrebbero dovuto seguire, nell'interno del tubo di scarica, un percorso in senso contrario a quello degli elettroni. Venne pertanto praticato un foro nel catodo in modo che le particelle, provenienti dalla zona anodica, potessero attraversarlo. Fu così possibile rendere evidente una radiazione, a cui fu assegnato, da Eugen Goldstein (1850-1930), il nome provvisorio di "raggi canale". -2- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 3 - di 21 Anche questa radiazione, sottoposta all'azione del campo magnetico, deviava dalla sua traiettoria, ma in direzione opposta a quella dei raggi catodici. Si trattava perciò di particelle cariche di elettricità positiva, per le quali fu possibile determinare il valore del rapporto carica/massa, utilizzando tecniche analoghe a quelle adottate per l'elettrone. Quando fu possibile misurare la carica elettrica di questi nuovi corpuscoli, e risultò essere dello stesso valore di quella trovata per l'elettrone (anche se di segno opposto), fu possibile conoscere la massa di tali particelle: essa risultava praticamente identica a quella degli atomi o delle molecole che riempivano il tubo di scarica. Si pensò che i raggi canale, quindi, fossero ioni positivi. Sono i nuclei dei gas a cui i raggi catodici hanno sottratto gli elettroni. Se per riempire il tubo veniva impiegato l'idrogeno, la massa delle particelle positive risultava la più piccola di tutte. Il fatto che l'idrogeno formasse uno ione di massa inferiore a quella di qualsiasi altro elemento, fece pensare che lo ione idrogeno potesse essere una particella fondamentale. A questa particella fu assegnato pertanto il nome di protone, parola che in greco significa "di primaria importanza". Negli stessi anni in cui venivano compiuti gli studi sui raggi catodici e sui raggi canale, Wilhelm Röntgen (1845-1923) premio Nobel per la fisica nel 1901, scoprì un altro tipo di radiazione: i raggi X. Egli notò che se i raggi catodici urtavano un corpo posto di fronte al catodo, lasciavano fuoriuscire delle radiazioni invisibili, con stesse caratteristiche della luce che rendevano fluorescenti alcuni cristalli di sale. Essi possiedono fra l'altro, la proprietà di impressionare una lastra fotografica avvolta con carta nera. I raggi X assumeranno grande rilevanza per le loro applicazioni in fisica, in chimica e soprattutto in medicina. Oggi conosciamo il motivo per il quale gli elettroni, quando vanno ad urtare contro un ostacolo emettono radiazioni. Gli elettroni veloci hanno una grande energia cinetica e, quando colpiscono una parete che ne rallenta fortemente la corsa, perdono buona parte della loro energia. Questa energia, però, non va dispersa nel nulla ma -3- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 4 - di 21 semplicemente tramutata in un'altra forma. Nel caso del bombardamento elettronico contro l'anticatodo, l'energia riappare sotto forma di raggi X. Il modello atomico di Thomson Subito dopo la scoperta degli elettroni, quando ancora non si aveva un'idea precisa di come fosse distribuita la carica positiva, vennero formulati i primi modelli di atomo. Il più noto di questi fu proposto, nel 1904, da Joseph John Thomson. Si tratta di un modello che potremmo definire pieno a cariche diffuse. Secondo lo scienziato inglese l'atomo doveva essere costituito da una sfera omogenea di elettricità positiva, ma senza peso, nella quale si trovavano disseminati gli elettroni, come si trattasse di uvetta nel panettone. Per questo motivo all'atomo di Thomson venne anche assegnato il nome irriverente (ma efficace) di "modello a panettone". Il modello non era, come a volte si vuol far credere, una costruzione ingenua e banale: si trattava, invece, di una struttura fisica perfettamente coerente e sostenuta da rigorosi calcoli matematici. La situazione di equilibrio, all'interno dell'atomo, si realizzava, secondo Thomson, perché le forze di repulsione degli elettroni con carica negativa venivano bilanciate dall'attrazione esercitata dalla carica positiva, diffusa all'interno dell'atomo, sugli elettroni stessi. Fu tuttavia un fondamentale esperimento condotto dal fisico inglese Ernest Rutherford (1871-1937) a dimostrare che il modello di Thomson era del tutto inadeguato. La radioattività Nel 1898 il fisico francese Henry Becquerel (1852-1908), impegnato nello studio del fenomeno della fluorescenza aveva scoperto, quasi per caso, che l’uranio emetteva radiazioni capaci di impressionare le lastre fotografiche. Successivamente i coniugi Curie (Pierre e Marya Sklodowska, premi Nobel per la fisica nel 1903) dedicarono tutta la loro vita allo studio di questo fenomeno, che da loro venne chiamato "radioattività". Alla fine di un lungo ed impegnativo lavoro, i Curie riuscirono ad estrarre da alcune tonnellate di pechblenda (ossido complesso di uranio estratto nelle miniere a Jachimov nella repubblica ceca) pochi decigrammi di due elementi altamente radioattivi, a cui essi stessi dettero il nome di polonio, per onorare la Polonia, terra natale di Marya Sklodowska, e di radio, sostanza 400 volte più radioattiva dell'uranio. Lo studio sulla natura di queste radiazioni venne condotto soprattutto dal fisico inglese di origine neozelandese Ernest Rutherford, uno dei più grandi fisici sperimentali che il mondo scientifico abbia mai conosciuto. Egli pose un pezzetto di una sostanza radioattiva in una cavità ricavata all'interno di un blocchetto di piombo, che aveva la funzione di trattenere la radiazione, ma che presentava un canalicolo attraverso il quale la radiazione stessa poteva uscire. All'esterno venivano poste due piastre elettriche (o anche le espansioni di un magnete) in modo che la radiazione venisse sottoposta all'azione di un campo elettrico (o magnetico). -4- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 5 - di 21 Si poteva così osservare che la radiazione proveniente dalla sostanza radioattiva si divideva in tre parti: la prima subiva una forte deviazione verso il polo positivo del campo elettrico, la seconda risultava deviata dalla parte opposta, ma in minor misura; la terza, infine, procedeva in linea retta senza risentire dell'effetto del campo. Successivamente si chiarì che le radiazioni deviate dal campo elettrico erano di natura corpuscolare e possedevano carica elettrica, mentre quella che procedeva senza risentire della presenza del campo elettrico era una radiazione simile ai raggi X. La prima radiazione venne chiamata "raggi ", ed identificata più tardi con un flusso di elettroni; la seconda venne chiamata "raggi ", e riconosciuta in seguito come un flusso di ioni elio (cioè atomi di elio privati dei due elettroni periferici); la terza venne chiamata "raggi " (raggi gamma). Il fenomeno della radioattività metteva in luce, fra l'altro, che l'atomo, oltre ad espellere elettroni, emetteva anche particelle positive. In questo modo la struttura uniforme del modello atomico di Thomson veniva ulteriormente messa in dubbio e il termine di "atomo" (nel senso di struttura indivisibile) andava perdendo, con sempre maggiore evidenza, il suo significato primitivo. Tuttavia, l'esperimento decisivo, quello che avrebbe cambiato radicalmente il modello, doveva ancora essere eseguito. Modello atomico di Rutherford Rutherford, nel 1911, in uno dei suoi tanti esperimenti divenuti famosi per la semplicità e la genialità dell'impostazione, dimostrò che l'atomo non poteva avere una struttura omogenea, come l'immaginava Thomson, ma doveva possedere un nucleo di dimensioni molto piccole e di carica elettrica positiva, nel quale era concentrata praticamente tutta la sua massa. L'esperimento di Rutherford, nelle sue linee essenziali, consistette nel lanciare, contro una sottilissima fogliolina d'oro, le particelle emesse spontaneamente dalle sostanze radioattive ed osservare la loro deviazione (il cosiddetto scattering). Egli così poté notare che la quasi totalità di queste particelle passava indisturbata attraverso la lamina d'oro, ma che una piccola percentuale di esse subiva delle deviazioni. -5- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 6 - di 21 Si trattava normalmente di deviazioni di minima entità ma, cosa sorprendente ed imprevista, alcune particelle deflettevano notevolmente e a volte venivano addirittura respinte all'indietro. "Era l'evento più incredibile che mi fosse mai capitato di vedere; - commentò successivamente lo stesso Rutherford - era come sparare un proiettile contro un foglio di carta velina e vederselo tornare indietro, a colpire chi l'aveva sparato". Questa osservazione non poteva che avere un’ unica spiegazione: l'atomo, nel suo complesso, era un edificio vuoto, con tutta la massa concentrata in un nucleo centrale carico positivamente, molto piccolo e di conseguenza anche molto denso. Gli elettroni, necessariamente, dovevano muoversi su ampie orbite, intorno al nucleo, come i pianeti ruotano intorno al Sole, grazie all’azione combinata di due forze: quella di attrazione del nucleo quella centrifuga dovuta alla velocità di rotazione. Per questo motivo, il modello atomico di Rutherford, venne anche detto modello planetario. I fatti sperimentali mostravano che il nucleo doveva possedere dimensioni di circa 10.000 volte minori di quelle dell'atomo intero. Per farci un'idea di queste dimensioni possiamo immaginare di ingrandire un atomo fino a fargli assumere le dimensioni di un ampio salone: il nucleo, al centro, non sarebbe più grande della capocchia di uno spillo. Il periodo che precede il 1900 è quello classico, caratterizzato da teorie fisiche solide (in particolare Meccanica ed Elettromagnetismo) ma dalla sostanziale separazione fra di esse. Questo insieme di teorie non è in grado di spiegare quasi nulla al livello atomico sicché la chimica e la nascente fisica atomica erano prive di una solida teoria di base. Quindi, nonostante il modello di Rutherford fosse molto seducente, soprattutto per la descrizione unitaria che dava della struttura del micro- e del macrocosmo, esso aveva il difetto di essere assolutamente incompatibile con le leggi classiche della meccanica e dell'elettrodinamica. Secondo queste leggi infatti, un corpo carico di elettricità che si muova con moto che non sia rettilineo ed uniforme, irradia energia a scapito della propria. L'elettrone pertanto, nel suo moto circolare intorno al nucleo, poiché è soggetto ad una continua accelerazione centripeta, e cambia quindi velocità ad ogni istante, dovrebbe irradiare e subire una progressiva diminuzione della propria energia. Ciò lo porterebbe a cadere, seguendo una traiettoria a spirale, sul nucleo. Si ricordi a questo proposito ciò che accadeva agli elettroni quando, urtando contro le pareti del tubo di scarica, emettevano radiazioni elettromagnetiche sotto forma di raggi X, proprio a seguito della decelerazione che subivano penetrando nel vetro. -6- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 7 - di 21 E' stato calcolato che l'atomo, se fosse costruito secondo il modello proposto da Rutherford, sarebbe destinato a disintegrarsi in una frazione di secondo. L'atomo, invece, per nostra fortuna, è stabile. C'era, evidentemente, qualche cosa che non funzionava nel modello proposto da Rutherford: non rimaneva che cambiare modello, a meno che non si volesse cambiare le leggi della fisica. La spettroscopia ottica I fisici, caparbiamente impegnati nella ricerca di un modello atomico soddisfacente, dopo averle tentate tutte, rivolsero alla fine la loro attenzione alla luce. La luce è una forma di energia, la cui origine deve risiedere nell'atomo, visto che corpi eccitati termicamente o elettricamente emettono luce (si pensi ad esempio al filamento incandescente di una lampadina). Vi è un fenomeno luminoso che già Newton, verso la metà del '600, aveva osservato e descritto: quando un raggio di luce solare attraversa un prisma di vetro, si scompone in una fascia continua di colori diversi, alla quale si è dato il nome di "spettro" Il fenomeno prende il nome di dispersione della luce, e i colori presenti nello spettro sono quelli dell'arcobaleno: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e viola. La luce bianca è pertanto una mescolanza di luce di diversi colori. Nel 1814 il fisico tedesco Joseph Fraunhofer, osservando attentamente lo spettro solare, ottenuto facendo passare la luce attraverso una sottile fessura posta davanti al prisma, notò che era solcato da numerose righe scure, delle quali però non seppe dare una giustificazione. Lo spettro continuo della luce solare possiede circa 600 righe scure che Fraunhofer osservò (e che ora hanno il nome di righe di Fraunhofer) Quello che si sapeva era che gli elementi riscaldati emettono uno spettro discreto di righe colorate (spettro di emissione). Fraunhofer stava scoprendo che c’é un altro modo in cui gli elementi possono produrre uno spettro. Invece di un campione riscaldato, si consideri un gas freddo attraversato da un fascio di luce bianca (che contiene luce visibile di ogni lunghezza d’onda). Tutte le frequenze attraversano tranquillamente il gas, tranne quelle con una particolare lunghezza d’onda che vengono invece assorbite. lo spettro con queste frequenze mancanti è det- -7- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 8 - di 21 to spettro di assorbimento. Confrontando spettro di emissione e spettro di assorbimento per uno stesso elemento si nota che: le righe scure di uno spettro di assorbimento appaiono alle stesse lunghezze d’onda alle quali si trovano le righe luminose del corrispondente spettro di emissione. Nessuno fu in grado di spiegare il significato delle righe spettrali per decine di anni... Le ricerche pionieristiche di FRAUNHOFER e quelle sistematiche di altri studiosi portarono a formulare le basi dell'analisi spettrale, che possiamo riassumere brevemente nei tre punti seguenti. 1. Un corpo incandescente, solido o liquido oppure gas ad alta pressione, presenta uno spettro continuo. E quello che si potrebbe osservare, per esempio, con una comune lampada ad incandescenza. 2. Un gas incandescente ma a bassa pressione produce uno spettro discontinuo formato da una serie di brillanti righe di emissione, corrispondenti a varie lunghezze d'onda; ogni elemento chimico presenta alcune righe di emissione che gli sono caratteristiche, per cui dall'esame dello spettro di emissione di un gas è possibile dedurne la composizione. 3. Se la luce proveniente da un corpo che emette uno spettro continuo passa attraverso un gas a bassa pressione, questo "sottrae" alcune lunghezze d'onda. Si produce così uno spettro continuo interrotto da righe oscure, le righe di assorbimento (o di Fraunhofer), che corrispondono esattamente alle lunghezze d'onda delle righe luminose che quello stesso gas emetterebbe in stato di eccitazione. Come si può comprendere, gli spettri sono una specie di impronte digitali dei vari elementi chimici In sintesi: uno spettro a righe luminose è detto spettro di emissione. Viceversa, è detto spettro di assorbimento lo spettro che si forma quando un gas freddo viene attraversato da un fascio di luce bianca: al di là del prisma si vedrà apparire uno spettro luminoso continuo (cioè comprendente tutti i colori) solcato da alcune righe nere. Per uno stesso gas si osserva che le righe nere dello spettro di assorbimento corrispondono esattamente alle righe luminose dello spettro di emissione. Tutte le sostanze assorbono infatti le stesse radiazioni che sono in grado di emettere. Quanti . Alla fine del 1800 i fisici ritenevano di aver compreso tutto quello che succedeva in natura Proprio in quel periodo alcuni di loro volevano capire le caratteristiche della luce emessa da un oggetto ad una certa temperatura. O meglio, della radiazione emessa: non era necessariamente luce visibile, o perlomeno non lo era a tutte le temperature. -8- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 9 - di 21 Questi fisici notarono che il “tipo” di luce emessa da un corpo caldo – il suo colore dipende dalla sua temperatura. Ad una certa temperatura, un corpo emette luce (o meglio radiazione) di più “tipi” (di più colori, o, più precisamente di diverse lunghezze d’onda); ed emette ogni tipo di luce con una diversa intensità. La somma di questi “tipi” di luce a diverse intensità ne determina il colore. Per esempio il sole ci appare giallo, ed il colore che vediamo dipende proprio dalla sua temperatura, e dal particolare miscuglio di radiazioni di diversa lunghezza d’onda (con diverse intensità) che emette. Nel grafico che segue in ascissa viene rappresentato il “tipo” di luce – il suo colore, in ordinata l’intensità della luce emessa per quel particolare “colore” (ovvero, per quella lunghezza d’onda). Il problema è che nessuna delle equazioni della fisica di fine 1800, quelle sembravano descrivere così bene tutti meccanismi naturali conosciuti, riusciva a descrivere questa curva e si cercava quindi una legge che governasse le differenti radiazioni elettromagnetiche emesse da un corpo surriscaldato. Gli strumenti teorici che avevano a disposizione consistevano essenzialmente nelle equazioni di uno scienziato scozzese di nome Maxwell, che aveva messo insieme elettricità e magnetismo in un quadro eccezionalmente coerente ed elegante. Il problema era che, partendo da questi presupposi “classici”, i fisici arrivavano a conclusioni che andavano bene per descrivere soltanto una parte della curva a campana. Due inglesi, Rayleigh e Jeans, avevano trovato una formula che permetteva di descrivere la curva nella regione delle grandi lunghezze d’onda, ovvero nell’infrarosso. Peccato che non poteva essere sfruttata nella regione dell’ultravioletto, in quanto dava valori inconcepibili, in quanto lì l’intensità della luce diventava infinita. I fisici di allora chiamarono questo fenomeno (inesistente) la catastrofe ultravioletta. Nella vita reale l’intensità della luce raggiunge un massimo e poi ridiscende a valori più bassi mano a mano che ci spostiamo verso lunghezze d’onda più corte. La legge di Rayleight-Jeans è semplicemente sbagliata. -9- APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 10 - di 21 Nel 1900, il fisico tedesco Max Planck (1858-1947), considerato a ragione uno dei padri della fisica moderna, propose un artifizio matematico attraverso il quale era possibile elaborare una formula in grado di spiegare i dati sperimentali. Planck non aveva idea del perché la legge di R. e J. non funzionasse, né di come risolvere il problema. Utilizzò la formula di R. e J. e la corresse con un termine matematico che non portava la curva all’infinito. Cominciò dopo a preoccuparsi di capire quale significato nascosto contenesse la sua formula, e se questa potesse dirci qualcosa di più sulla natura della luce. La formula di Planck implica che la luce sia formata da granelli; ci rivela che l’energia proveniente dalle molecole del corpo che abbiamo scaldato viene emessa in pacchettini, ognuno dei quali è multiplo di un pacchettino minimo proporzionale alla frequenza della luce emessa (dunque in qualche modo al suo “colore”) e a una costante universale che, guarda caso, chiamiamo la costante di Planck. L'energia radiante che esce dal corpo riscaldato, non è quindi emessa in modo continuo, come fosse un fluido, ma per quantità discrete, come si trattasse di corpuscoli energetici che escono, uno per volta, ad intervalli regolari di tempo. Il fisico tedesco dette il nome di quantum (“quanto”), al minimo pacchetto di energia che può uscire da un corpo incandescente. L'energia elettromagnetica esce ed entra nella materia a "pacchetti", cioè in quantità discrete, come si trattasse di corpuscoli. Tutti gli scienziati pensavano che la luce fosse un’onda: questa era l’assunzione di base di Maxwell ora Planck, per trovare una soluzione a qualcosa che non quadra, afferma: “la luce è sì un’onda, ma si comporta anche come fosse composta da particelle”. Successivamente Einstein, spiegò l’effetto fotoelettrico – usando l’ipotesi dei granelli di luce di Planck. Era nata la meccanica quantistica, da quantum, che in latino vuol dire proprio pezzettino, granello. Il termine quanto fu sostituito da fotone Con Planck nasce quindi la domanda sfruttata dalla chimica: se la luce è un’onda, e abbiamo anche scoperto che si comporta come una particella, non è per caso che la materia – che è fatta di particelle – si comporta anche come un’onda?“. L'atomo di Bohr Applicando, come già si è detto, le leggi dell'elettromagnetismo al modello planetario di Rutherford, l'elettrone, muovendosi di moto non rettilineo ed uniforme, avrebbe dovuto irradiare energia e, seguendo un percorso a spirale, cadere sul nucleo. L'atomo quindi, in teoria, non solo avrebbe dovuto essere instabile, ma anche emettere radiazioni di tutte le lunghezze d'onda (quindi formare uno spettro continuo), corrispondenti alle infinite posizioni occupate dall'elettrone nella sua traiettoria a spirale verso il nucleo. L'atomo invece, nella realtà, è stabile ed emette solo alcune radiazioni di determinate lunghezze d'onda, come si può osservare dallo spettro di emissione a righe. Il modello di Rutherford era quindi in contrasto sia con le leggi della fisica note a quel tempo (quelle che in seguito verranno chiamate "classiche"), sia con i dati sperimentali. Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr si prefisse l'obiettivo di modificare il modello ato- - 10 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 11 - di 21 mico di Rutherford per eliminarne l'aspetto contraddittorio. Egli inizialmente accettò per buona l'idea del nucleo centrale con gli elettroni esterni, proposto da Rutherford, anche perché quel modello era il risultato di un fatto sperimentale inconfutabile. Poi però vi apportò delle modifiche sostanziali avvalendosi della teoria dei quanti di Planck. Bohr affrontò il problema nella sua forma più elementare: la costruzione del modello dell'atomo dell'idrogeno. Scelse l'idrogeno sia perché si trattava dell'atomo più semplice di tutti (un nucleo centrale con carica positiva con un unico elettrone che gli gira intorno), sia perché lo spettro di quell'elemento si presentava anch'esso in forma molto semplice, con pochissime righe ben distanziate fra loro. Bohr ragionò nel modo seguente: se la materia assorbe ed emette energia in modo discontinuo significa che l'atomo, che è il suo costituente fondamentale, può esistere solo in determinate configurazioni ciascuna con un proprio contenuto energetico. Quando l'atomo passa da una configurazione con un certo contenuto energetico ad un'altra con contenuto energetico diverso, esso assorbe o emette energia sotto forma di fotoni e per tale motivo lo spettro appare con una linea scura o con una linea colorata in corrispondenza di quel determinato valore dell'energia. Lo spettro dell'idrogeno pertanto, non è altro che la rappresentazione visiva del passaggio da atomi con un certo contenuto energetico ad altri con diverso contenuto energetico. La conseguenza dell'ipotesi avanzata da Bohr era che l'elettrone dell'atomo di idrogeno poteva muoversi solo su orbite preferenziali, dette orbite stazionarie, e che movendosi su tali orbite non emetteva energia. Questa limitazione corrispondeva, in un certo senso, a considerare l'elettrone come qualche cosa di speciale e comunque qualche cosa di diverso da un corpo carico di elettricità che, girando su un'orbita circolare, è tenuto a rispettare le leggi dell'elettromagnetismo. L'elettrone emetteva energia solo quando passava spontaneamente da un'orbita più esterna verso una più interna. Viceversa l'elettrone poteva passare da un'orbita più - 11 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 12 - di 21 interna (a minore contenuto energetico) ad una più esterna solo se assorbiva dall'ambiente l'energia necessaria. L'elettrone poteva quindi venirsi a trovare solo a determinate distanze dal nucleo (fra l'altro mai al di sotto di una distanza minima rappresentata da quella che viene chiamata “orbita fondamentale”), e poteva inoltre assumere solo determinati valori dell'energia, il cui minimo era, per l'appunto, quello relativo all'orbita fondamentale. Senza entrare nei dettagli della teoria, ed evitando i calcoli che comunque esulerebbero dalla nostra trattazione, possiamo farci un'idea del modello atomico di Bohr ricorrendo ad un esempio macroscopico. Consideriamo allora un piano inclinato perfettamente liscio, con a fianco un altro simile, ma a gradini. Immaginiamo ora di far rotolare sul piano inclinato liscio una pallina. Essa, nel suo moto, potrà assumere tutte le posizioni possibili lungo il piano e quindi anche tutti i valori possibili di energia potenziale. Se invece facessimo rotolare la pallina lungo il piano a scale, questa non potrebbe fermarsi in tutte le possibili quote rispetto al livello di riferimento (livello 0), ma solo in corrispondenza dei vari scalini; anche l'energia potenziale che la pallina potrà assumere lungo la strada avrà solo determinati valori e precisamente quelli corrispondenti all'altezza dei diversi scalini. Il modello atomico di Bohr permette di dare un'interpretazione chiara e convincente dello spettro a righe dell'idrogeno. Possiamo infatti immaginare che quando all'idrogeno viene fornita energia, ad esempio all'interno di un tubo di scarica, gli elettroni, dal livello fondamentale, passino ai livelli energetici più esterni; dalle orbite più elevate gli elettroni ritornano quindi immediatamente (e spontaneamente) a quelle più basse. Nella caduta spontanea degli elettroni vengono emessi fotoni. L'energia posseduta da questi fotoni corrisponde alla differenza energetica degli stati stazionari tra i quali è avvenuta la transizione. Quando gli elettroni, dalle orbite più elevate, ritornano a quella fondamentale (la più bassa di tutte), si ha emissione di fotoni molto energetici, corrispondenti alle righe dell'ultravioletto (serie di Lyman). Quando gli elettroni ricadono, dalle orbite periferiche, sulla seconda orbita stazionaria, si ha emissione di fotoni la cui energia corrisponde alle righe dello spettro visibile (serie di Balmer). Un discorso analogo vale per gli spostamenti sulla terza, sulla quarta orbita, e così via. Gli spettri che si ottengono in questi casi sono spettri di emissione. Gli spettri di assorbimento si ottengono invece quando gli atomi di idrogeno vengono illuminati con luce di tutte le lunghezze d'onda. Tutti i fotoni in questo caso passano indisturbati, tranne alcuni. Non passano quei fotoni che, possedendo una quantità di energia esattamente uguale a quella necessaria per far saltare l'elettrone su un'orbita più esterna, vengono utilizzati per questa operazione. Questi fotoni scompaiono quindi dalla scena e pertanto avremo uno spettro continuo di luce di tutti i colori, solcato da alcune linee scure. - 12 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 13 - di 21 Con questo modello atomico Bohr ipotizzò livelli energetici distanti dal nucleo, che indicò con numeri che andavano da 1 a 7. Nasce così il primo numero quantico fondamentale n. L'atomo di Sommerfeld Con l'aiuto di spettroscopi molto perfezionati, si era potuto osservare che molte delle righe dello spettro dell'idrogeno erano in realtà costituite da un certo numero di altre righe molto vicine fra loro, corrispondenti a piccolissime variazioni dell'energia. Il modello di Bohr non era in grado di giustificare questa struttura fine dello spettro dell'idrogeno. Aveva finora spiegato bene il comportamento spettroscopico dell'idrogeno e, in parte, quello di alcuni metalli alcalini come il litio ed il sodio ma era del tutto inadeguato per l'interpretazione degli spettri di altri elementi. Lo spettro dell'elio, per esempio, non si accorda con le previsioni del modello di Bohr in quanto presenta delle righe non previste. D'altra parte, anche il fatto di prendere in considerazione, per il moto dell'elettrone, solo orbite circolari, veniva considerata una limitazione artificiosa. L'orbita circolare di un corpo che si muove intorno ad un altro è infatti un caso particolare delle più generali orbite ellittiche (si pensi ad esempio ai pianeti che girano intorno al Sole). L'elettrone quindi, girando intorno al nucleo, avrebbe dovuto percorrere, oltre all'orbita circolare, un'infinità di altre orbite ellittiche. Inoltre, l’atomo di Bohr andava bene per atomi con pochi elettroni, ma non per atomi più grandi, non si poteva generalizzare. Nel 1916, il fisico tedesco Arnold Sommerfeld, tentò di dare un significato alla struttura fine dell'idrogeno introducendo anche le traiettorie ellittiche per il moto degli elettroni. Innanzitutto egli ipotizzò che, poiché i fatti sperimentali mostravano che le righe della struttura fine erano in numero limitato, anche il numero delle orbite possibili sarebbe dovuto essere limitato: l'obiettivo di limitare questo numero poteva essere raggiunto applicando le stesse condizioni di quantizzazione introdotte da Bohr. Sommerfeld dimostrò che per ciascun valore del numero quantico n doveva esistere un numero determinato di orbite ellittiche (oltre a quella circolare), di eccentricità variabile (cioè più o meno schiacciate), ma aventi tutte l'asse maggiore uguale al diametro della circonferenza presente in quel determinato livello energetico. Si potrebbe dimostrare che, anche ammettendo la presenza di una serie di orbite ellittiche per ogni stato stazionario, la struttura fine dello spettro dell'idrogeno, non troverebbe comunque spiegazione. Queste orbite infatti, pur di eccentricità diversa, presentano tutte la stessa energia perché posseggono tutte la stessa lunghezza dell'asse maggiore. - 13 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 14 - di 21 Numero Quantico principale Numero Quantico angolare n=1 l=0 l=0 n=2 Pertanto non si potrà avere emissione o assorbimento di energia nel passaggio dell'elettrone dall'una all'altra di esse. Sommerfeld pensò allora che la soluzione del problema risiedesse nell'alta velocità posseduta dagli elettroni. Ai corpi che si muovono a grandissima velocità diventa infatti indispensabile, per descriverne correttamente il movimento, applicare le leggi della relatività. Queste leggi prevedono che quando un corpo viaggia a velocità elevatissima la sua massa debba variare in modo significativo. l=1 Se un elettrone si muove a notevole velocità su un'orbita circolare, esso conserva, lungo tutto il percorso, la stessa l=0 velocità e quindi anche la stessa massa; se l'elettrone però si muove, sempre a velocità elevatissima, lungo un'orbita l=1 n=3 ellittica molto eccentrica, nel tempo in cui percorre il tratto più vicino al nucleo (perielio) viaggia più velocemente e, l=2 per effetto di questa accelerazione, aumenta di massa. (Naturalmente, quando si trova a viaggiare in prossimità del punto più lontano, decelera e quindi perde massa.) Se ora noi ammettiamo che per un certo valore del numero quantico principale n possano esistere, oltre all'orbita circolare, anche alcune orbite ellittiche più o meno eccentriche, l'elettrone che le percorre, cambiando massa lungo il percorso, dovrà cambiare anche contenuto energetico. Pertanto gli elettroni che percorrono l'una o l'altra orbita avranno energia diversa (ma non di molto), e il passaggio da un'orbita all'altra comporterà l'apparire di una serie di righe, anche se molto vicine fra loro, e non di una sola. In questo modo veniva spiegato il fatto che una riga dello spettro era in realtà composta da un insieme di altre righe. La teoria di Sommerfeld prevedeva che, al crescere di n, aumentasse il numero delle orbite ellittiche possibili e quindi aumentasse anche il numero delle suddivisioni delle righe spettrali. Sommerfeld introdusse un nuovo numero quantico, ℓ, detto numero quantico azimutale o secondario o angolare. Si dimostra che ℓ può assumere tutti i valori interi positivi compresi fra 0 ed n-1. Questo numero determina, come abbiamo spiegato sopra, la forma dell'orbita. Frattanto, un nuovo fatto sperimentale metteva in evidenza un'ulteriore possibilità di alterazione energetica in seno alle varie orbite. Si era osservato infatti che sottoponendo alcuni elementi all'azione di un campo magnetico, si verificava lo sdoppiamento di alcune righe spettrali. Il fenomeno è detto, dal nome del suo scopritore, “effetto Zeeman”. - 14 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 15 - di 21 Per comprendere il meccanismo di questo fenomeno, dobbiamo considerare che l'elettrone, oltre ad una massa, possiede anche una carica elettrica. Ora, secondo le leggi dell'elettromagnetismo, una carica elettrica che percorre un circuito chiuso, genera un campo magnetico, come qualsiasi corrente elettrica che percorre una spira. Si viene così a creare, all'interno dell'atomo, per effetto del moto dell'elettrone un minuscolo magnete, il quale, tuttavia, non produce alcun effetto, così come un ago magnetico, da solo, non subisce alcuna forza. Quando però si applica un campo magnetico all'esterno, questo interagisce con il "magnetino" (elettrone in rotazione) presente nell'atomo costringendolo a sistemarsi secondo determinate posizioni, così come un ago calamitato subisce uno spostamento per l'azione di una calamita. Si rese quindi necessario imporre, anche in questo caso, delle limitazioni alle posizioni che l'orbita percorsa dall'elettrone poteva assumere nello spazio. Si introdusse infatti un terzo numero quantico, detto numero quantico magnetico e simboleggiato con la lettera m. Il numero m può assumere tutti i valori interi compresi fra - ℓ e + ℓ, incluso lo zero. Pertanto, quando ℓ vale zero, m può assumere solo il valore zero; quando ℓ vale 1, i possibili valori di m sono -1, 0, +1: sul secondo livello energetico esistono quindi tre orbite ellittiche possibili con la stessa energia, ma orientate diversamente nello spazio. Quando ℓ vale 2 i possibili valori di m sono 5, rispondenti a cinque posizioni diverse nello spazio delle cinque orbite ellittiche con la stessa energia; e quando ℓ vale 3 i possibili valori di m sono 7. Oltre all'effetto Zeeman, che come abbiamo visto si è potuto giustificare con la quantizzazione spaziale, rimaneva ancora da spiegare il fatto che nella struttura fine di alcuni metalli si osservava un numero di righe ancora superiore a quello previsto dalla teoria delle orbite ellittiche di Sommerfeld. Si trattava di una particolare "struttura a doppietti" che si riscontrava per esempio nel sodio, nel magnesio e nel mercurio. Nel 1926 due fisici statunitensi di origine olandese, George Eugene Uhlenbeck e Samuel Abraham Goudsmit seppero dare una spiegazione teorica anche alle nuove righe spettrali. Essi immaginarono che l'elettrone, oltre che girare intorno al nucleo, potesse girare anche su sé stesso come fosse una trottola. In questo modo l'elettrone, dotato di carica, creerebbe un suo proprio campo magnetico del tutto distinto da quello che lo stesso produce girando intorno al nucleo. Anche in questo caso fu necessario quantizzare la rotazione attraverso l'introduzione di un quarto numero quantico, s, detto numero quantico (magnetico) di spin ("to spin", in inglese, significa girare). Poiché possiamo immaginare l'elettrone girare su sé stesso, o in senso orario, o in senso antiorario, i valori che s può assumere sono solo due: +½ e -½. L'ipotesi di de Broglie Il modello di atomo costruito da Bohr e poi perfezionato ed arricchito da Sommerfeld e da altri, nonostante fosse in grado di spiegare alcuni fatti sperimentali, e in particolare gli spettri atomici, lasciava tuttavia i fisici perplessi e sostanzialmente insoddisfatti. Il motivo di tale disagio andava ricercato nel fatto che il modello non poteva rispecchiare la realtà oggettiva perché era stato ottenuto manipolando arbitrariamente le leggi della fisica. - 15 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 16 - di 21 Era come trovarsi di fronte ad un problema con lo svolgimento impreciso, ma con il risultato finale esatto. Com'è possibile che un problema, elaborato con procedimento sostanzialmente errato, possa poi presentare la soluzione esatta? Semplice, basta conoscere in anticipo il risultato finale e condizionare il procedimento, attraverso una serie di operazioni arbitrarie, fino a pervenire alla soluzione desiderata. Allo stesso modo si era proceduto nella costruzione del modello atomico. Alla fine ci si rese conto che le lacune e le incongruenze presenti nel modello non derivavano tanto da un formalismo incompleto, quanto piuttosto dalla insufficienza delle stesse basi teoriche su cui era stato impostato e sviluppato. Il problema non era quindi quello di apportare qualche superficiale modifica al modello esistente, ma piuttosto di rivedere radicalmente i concetti fondamentali della fisica. Ci si convinse cioè che per descrivere il comportamento delle piccole particelle di cui sono fatti gli atomi non potevano essere usate le stesse leggi valide per descrivere il comportamento degli oggetti di grandi dimensioni. Si trattava, in altre parole, di costruire una nuova meccanica che fosse in grado di descrivere il comportamento degli oggetti di piccolissime dimensioni, come quelli presenti negli atomi, ma che poi si avvicinasse a quella classica, se applicata agli oggetti più grandi. Si abbandona la fisica classica per introdurre la meccanica quantistica. Il punto di partenza della nuova meccanica atomica è rappresentato da un'audace intuizione di un giovane aristocratico francese di lontane origini italiane, Louis Victor de Broglie (1892-1987). Egli, nel 1923, convinto che dovesse esistere un principio unitario che lega fra loro tutti i fenomeni naturali, con l'entusiasmo e la spregiudicatezza che caratterizza molti giovani, avanzò l'ipotesi che le particelle materiali potessero presentare anche le proprietà delle onde. Come si era dimostrato che la luce, che normalmente viene interpretata come un fenomeno di natura ondulatoria, a volte si comporta come se fosse composta di particelle, così, secondo de Broglie, le particelle, in condizioni adatte, avrebbero dovuto presentare anche proprietà ondulatorie: teoria dualistica dell’elettrone. Si trattava, in realtà, di un'ipotesi molto azzardata, anche perché non esisteva, a quel tempo, alcun dato sperimentale che facesse sospettare che i corpi materiali avessero una natura diversa da quella che ognuno poteva osservare direttamente. Quando de Broglie espose la sua idea, molti fisici la trovarono completamente assurda ed alcuni scienziati stranieri la definirono addirittura una "comédie française". I fatti però daranno loro gravemente torto. - 16 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 17 - di 21 Solo alcuni anni più tardi, dopo il 1927, ci si convinse che un qualsiasi corpo in movimento (elettrone, protone, atomo, o anche palla da tennis), oltre all'aspetto corpuscolare, doveva presentare quello ondulatorio. In pratica però, quando la massa di un corpo materiale è molto grande, la lunghezza dell'onda ad essa associata diventa estremamente piccola e difficilmente evidenziabile. Quando invece un elettrone si muove intorno al nucleo di un atomo, esso si trova nelle condizioni di mostrare il suo aspetto ondulatorio. Ora si comprende perfettamente il motivo per il quale un elettrone può viaggiare solo su orbite nettamente separate fra loro. L'elettrone, infatti, quando viaggia intorno al nucleo, non deve essere considerato una particella, ma un'onda e, visto sotto questo aspetto, lo si deve immaginare distribuito in tutte le parti dell'orbita su cui, in quel momento, staziona. Il modello atomico di de Broglie , pur derivando da quello di Bohr-Sommerfeld, non conservava più nulla della struttura planetaria originaria: esso ora assomigliava piuttosto ad una serie di corde concentriche vibranti (appunto le onde stazionarie) di diametro via via crescente a mano a mano che ci si allontanava dal nucleo. L'elettrone quindi è un'entità estremamente piccola che non siamo in grado di osservare direttamente, pertanto di esso possiamo affermare solo che, quando interagisce con uno strumento rilevatore di un certo tipo, appare come un'onda e quando interagisce con uno strumento rilevatore di altro tipo, appare come una particella. Quindi l'elettrone (ma anche il protone, il fotone ed altre entità di piccole dimensioni), appare onda o particella a seconda del modo in cui viene condotto l'esperimento atto a metterlo in evidenza. Dobbiamo quindi concludere che l'elettrone è un oggetto strano che si comporta in modo contraddittorio quando si tenta di interpretarlo secondo gli schemi classici, cioè facendo uso di quelle leggi che normalmente si applicano alle strutture di grandi dimensioni. Secondo EINSTEIN e DE BROGLIE le particelle sono onde e corpuscoli insieme. Un elettrone, ad esempio, è un corpuscolo materiale dotato di attributi fisici ben definiti (massa, energia, impulso, ecc.) che viaggia nello spazio associato ad un'onda che lo guida nel suo movimento. Una deformazione dell'onda dovuta ad una causa qualsiasi fa si che un'azione venga esercitata sull'elettrone, la cui traiettoria devierà. Quindi, già il semplice fatto che l'elettrone appaia a volte come un'onda e a volte come un corpuscolo sta a significare che esso è qualche cosa di speciale che non può essere descritto con le leggi della meccanica classica. Queste leggi descrivono infatti con la massima precisione il comportamento ad esempio di un'onda del mare o quello di una palla da tennis in movimento. Per descrivere le proprietà di elettroni, protoni e fotoni devono esistere leggi speciali che non sono le stesse che descrivono il mondo macroscopico. Queste leggi in realtà sono state scoperte e risiedono all'interno di una nuova teoria, detta "meccanica quantistica". Il principio di indeterminazione Il principio di indeterminazione è un principio fisico che impone delle regole e dei - 17 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 18 - di 21 limiti nei processi di misurazione di grandezze di piccole dimensioni, e fu enunciato, nel 1927, dal fisico tedesco Werner Heisenberg. Prima di chiarire il contenuto di questo principio è indispensabile una premessa di carattere generale: "La scienza si occupa esclusivamente di quei fenomeni sui quali è possibile effettuare delle misurazioni; ciò che non è misurabile esula dal campo dell'indagine scientifica". Questo è un concetto di fondamentale rilevanza nell'ambito della ricerca scientifica ed era stato introdotto già da Einstein nella sua teoria della relatività. Se si volesse determinare simultaneamente con la massima precisione la posizione di un elettrone e la sua velocità, ciò risulterebbe impossibile in quanto, la misura accurata di una grandezza porterebbe ad una valutazione imprecisa dell'altra; anzi, l'aumento dell'accuratezza di una delle due misure, renderebbe sempre più imprecisa l'altra. Cerchiamo di chiarire meglio questo concetto. Immaginiamo di voler localizzare nello spazio un elettrone. Per farlo, sarebbe indispensabile quanto meno illuminarlo, altrimenti non lo si vedrebbe, e di esso non si potrebbe dire niente. Per illuminare un elettrone è necessario, però, lanciargli contro almeno un fotone. Ora, il fotone è anch'esso un'entità fisica delle dimensioni più o meno dell'elettrone, e quando va ad interagire con questo, lo sposta dalla sua posizione. Nel momento in cui il fotone urta l'elettrone, lo sposta dalla sua posizione perché gli trasferisce una parte della sua quantità di moto (proprio come quando due biglie più o meno della stessa grandezza si scontrano), modificando velocità e direzione del suo movimento. Per evitare che il fotone sposti l'elettrone nel momento in cui lo urta, si potrebbe utilizzare un fotone con piccola energia, ossia con piccolo valore della quantità di moto. Un tale fotone, però, avrebbe un'onda associata molto lunga (la lunghezza dell'onda associata alla particella è infatti, come si ricorderà, inversamente proporzionale alla sua quantità di moto); ma un'onda molto lunga passerebbe sull'elettrone senza rilevarne la presenza, come fa un'onda del mare molto lunga quando incontra un piccolo galleggiante: "non se ne accorge nemmeno". Ci si trova quindi di fronte ad una situazione senza soluzione: volendo determinare con la massima precisione la posizione di una particella in movimento non è poi più possibile conoscere, nello stesso momento, e con la stessa precisione, la sua quantità di moto, e quindi non è possibile sapere in che direzione la particella si sposterà. D'altra parte, pretendere di conoscere con esattezza la quantità di moto di una particella per poter sapere dove andrà, impedisce di conoscere, con altrettanta precisione, la posizione che la particella occupa nello spazio, in quel preciso istante. Quello che abbiamo esposto indeterminazione di Heisenberg rappresenta il contenuto del principio di Il principio di indeterminazione sarebbe valido, in teoria, per qualsiasi oggetto materiale, ma in pratica ha conseguenze importanti solo se applicato a particelle di dimensioni atomiche o subatomiche Ora è chiaro il motivo per il quale non è possibile, nemmeno in linea di principio, verificare sperimentalmente il percorso seguito dall'elettrone in movimento intorno al nucleo: esiste un ostacolo, in natura, che ce lo impedisce. Nel 1927, il fisico tedesco Max Born dette, alla funzione d'onda, un significato di tipo probabilistico. Egli introdusse il concetto di probabilità affrontando in modo del tutto originale il problema relativo alla posizione dell'elettrone intorno al nucleo atomico . - 18 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 19 - di 21 Il concetto di orbitale Se fossimo in grado di cogliere alcune posizioni occupate dall'elettrone attorno al nucleo e di determinare contemporaneamente la velocità con cui si sposta, potremmo costruire un modello di atomo perfettamente aderente alla realtà. Sappiamo invece che ciò non è possibile e quindi non sapremo mai dove si trovano effettivamente gli elettroni che stazionano intorno al nucleo degli atomi. Gli stati stazionari individuati da Bohr ci permettevano di affermare che, se un elettrone ha una determinata energia, esso transita con maggior frequenza ad una certa distanza dal nucleo, in un’orbita che ci permetteva di sapere in ogni istante la posizione precisa dell’elettrone. La meccanica quantistica invece non fornisce informazioni relativamente al percorso seguito dall'elettrone nel suo movimento, ma solo una descrizione probabilistica della sua posizione. Con il principio di indeterminazione ed il concetto di probabilità si sostituisce il termine orbita dettato da Bohr con quello di orbitale. Orbitale deriva da orbita, ma non ha nulla a che vedere con esso. Anzi, i due concetti sono opposti e si escludono a vicenda: orbita racchiude infatti un concetto deterministico, mentre orbitale ne racchiude uno probabilistico. Si definisce quindi orbitale la regione di spazio in cui si ha la probabilità del 90% di trovare l’elettrone. Poiché l'onda associata ad un corpuscolo, è un'onda tridimensionale, ogni orbitale elettronico viene definito dai valori di una terna di numeri interi detti numeri quantici: ad ogni terna di valori corrisponde un'unica funzione, cioè un unico orbitale. I numeri quantici, che si designano con le lettere n, l e m, sono gli stessi che abbiamo già incontrato nel modello di Bohr e Sommerfeld. Il quarto numero quantico, ms (numero di spin), non ha nulla a che vedere con la legge probabilistica, in quanto esso riguarda lo stato intrinseco dell'elettrone che ovviamente è indipendente dalla posizione che assume nello spazio. Il numero quantico principale, n, è legato all'energia dell'elettrone e determina, in un certo senso, le dimensioni dell'orbitale: più aumenta il valore di n più aumenta il volume entro il quale è grande la probabilità di trovarvi l'elettrone. Il numero quantico secondario, l, determina la forma dell'orbitale: per l=0, l'orbitale assume forma sferica (esso è detto anche orbitale di tipo s da sharp che vuol dire nitido, netto), per l=1 l'orbitale assume forma bilobata (esso è detto anche orbitale di tipo p da principal che vuol dire principale). Gli orbitali di forma più complessa (l=2, l=3,...) possono essere chiamati anche orbitali di tipo d da diffuse che vuol dire - 19 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 20 - di 21 diffuso, orbitali di tipo f da fundamental che vuol dire fondamentale, e così via, facendo uso della stessa simbologia incontrata nel modello di Bohr-Sommerfeld. Il numero magnetico, m, determina l'orientamento nello spazio dell'orbitale. L'orbitale di tipo s è di forma sferica e, poiché per la sfera non è possibile distinguere fra posizioni diverse nello spazio, il numero magnetico in questo caso vale zero. Per gli orbitali di tipo p, m può assumere tre valori distinti, che fissano le tre posizioni possibili nello spazio di quel tipo di orbitale. Gli orbitali di tipo d e di tipo f si possono orientare nello spazio rispettivamente in 5 posizioni diverse e in 7 posizioni diverse. Orbitali dei primi quattro livelli energetici n l m 1 0 0 1s ↑↓ 2 0 1 0 -1, 0, +1 2s 2p ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ 0 1 0 -1, 0, +1 -2, -1, 0, +1, +2 3s 3p 3d ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ 0 -1, 0, +1 -2, -1, 0, +1, +2 4s 4p 4d ↑↓ 3 2 4 0 1 2 3 orbitale -3, -2, -1, 0, +1, +2, +3 4f ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ ↑↓ Regole per il riempimento degli orbitali Il riempimento degli orbitali per ottenere la configurazione elettronica di un elemento prevede il rispetto di tre regole: 1. Principio dell’aufbau : ogni orbitale viene riempito per energie crescenti, partendo quindi da quello a minore energia. 2. Principio di esclusione di Pauli : in ogni orbitale si possono inserire al massimo due elettroni a spin opposto. (Non è possibile inserire un terzo elettrone perché avrebbe gli stessi numeri quantici di uno dei due) - 20 - APPUNTI DI SCIENZE della TERRA L’atomo Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Stat. Vito Volterra Pagina - 21 - di 21 3. Regola di Hund o della massima molteplicità : in orbitali isoenergetici gli elettroni si collocano alla massima distanza l’uno dall’altro, cioè uno per orbitale a spin parallelo, per minimizzare la repulsione elettronica. Energia degli orbitali 1s 2s 3s 4s 5s 6s 7s 2p 3p 3d 4d 4f 5f I sottolivelli hanno energie diverse. Gli s hanno energie più basse, seguono i sottolivelli p, poi gli d ed infine gli f. 4p 5p 5d 6p 6d 7p I sottolivelli d ed f inoltre si comportano in modo anomalo rispetto agli altri: difatti i sottolivelli d saltano un livello energetico (un 4d si colloca non al livello 4, ma 5, così un 5d non al 5, ma al 6) i sottolivelli f saltano di due livelli energetici ( un 4f si colloca non al livello 4, ma 6, così un 5f non al livello 5, ma 7) - 21 -