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Prove sperimentali della Teoria della Relatività
La Teoria della Relatività si suddivide in Relatività Ristretta e Generale. La prima fu presentata nel 1905 in un articolo che
unificava il principio di relatività galileiano con le equazioni delle onde elettromagnetiche di Maxwell. La Relatività
Generale venne pubblicata a partire dal 1915 con una serie di articoli. Anche se si trattava di una teoria non vagliata da
prove empiriche, era in grado di unificare la legge di Gravitazione Universale di Newton e la Teoria della relatività
ristretta. Motivo per cui venne accettata fin da subito. Fu dimostrata empiricamente a partire dal 1919 con tre esperimenti
passati alla storia come prove storiche della Teoria delle Relatività.
Oggi la Teoria della Relatività trova riscontri positivi in molti esperimenti ed è essenziale per spiegare il mondo
dell'infinitamente grande, ma anche alcuni particolari fenomeni come la vita media del muone.
Procediamo per gradi, conosciamo le tre prove storiche che hanno confermato la correttezza della Teoria della Relatività.
Deflessione della luce dal Sole
Secondo la Teoria della Relatività Generale, la luce viene curvata quando si trova in prossimità di un corpo dotato di
massa. Già i fisici Henry Cavendish, nel 1784, e Johann Georg von Soldner, nel 1801, sostenevano che un oggetto
massivo, ossia dotato di massa, fosse in grado di deviare la luce proveniente dalle stelle. Einstein fu il primo che misurò
con precisione il valore di tale deflessione.
La prova di questo fenomeno arrivò nel 1919 durante una spedizione all'isola di Principe, sulla costa occidentale
dell'Africa, a opera dell'astrofisico inglese Arthur Eddington
durante l'eclisse di Sole.
Immagine dell'eclissi solare del 1919 ripresa da Sir Arthur Eddington nella
spedizione che portò alla verifica della curvatura della luce intorno al Sole
come prevista nella Teoria della Relatività Generale di Einstein.
Fonte: Wikipedia
L'esperimento doveva essere in grado di osservare la deviazione dei raggi luminosi di una stella in prossimità di un
oggetto massiccio come il Sole. Secondo la teoria della relatività, infatti, poiché la luce proveniente da una stella visibile
in prossimità del Sole viene deflessa, l'astro sarebbe dovuto apparire in una posizione leggermente più lontana
(posizione apparente) rispetto alla sua posizione reale.
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La presenza di una grande massa, in questo caso il Sole, devia il percorso della luce di certo un angolo. Dalla Terra la stella appare in
una posizione diversa (apparente) da quella reale. Fonte: www.castfvg.it
Eddington fece molte fotografie dell'evento, ma a causa delle brutte condizioni meteo i risultati non furono molto precisi e
per lungo tempo furono criticati, tuttavia rappresentarono la prima prova sperimentale della deviazione della luce e
conferirono a Einstein un enorme prestigio, permettendo alla sua teoria di essere conosciuta in tutto il mondo.
Si racconta che quando venne chiesto a Einstein quale sarebbe stata la sua reazione se l'esperimento di Eddington
avesse confutato la sua teoria, Einstein rispose in tono ironico: "Mi sarebbe dunque dispiaciuto per il caro signore, ma la
teoria è corretta comunque".
Verifiche successive hanno pienamente confermato la previsione di Einstein e oggi la deflessione della luce è diventata
uno strumento efficace di indagine astrofisica. Per esempio, il fenomeno delle Lenti gravitazionali (vedi speciale Quando
la gravità funziona da lente) si spiega solo grazie alla deflessione della luce, infatti, le immagini distorte sono prodotte
quando la luce proveniente da un corpo celeste lontano viene deviata dal campo gravitazionale di una galassia o di un
ammasso di galassie.
La precessione del perielio di Mercurio
Secondo la fisica newtoniana, in un sistema a due corpi, costituito da un solo oggetto in orbita intorno a una massa
sferica, come nel caso dell'orbita di Mercurio attorno al Sole, la forma dell'orbita è un'ellisse di cui il Sole occupa uno dei
due fuochi. Si osserva però che a causa di diversi fattori, il perielio dei pianeti, il punto di massimo di avvicinamento al
Sole, risulta spostato. Uno dei motivi principali è l'attrazione gravitazionale degli altri pianeti. Nel caso di Mercurio il
fenomeno è dovuto sostanzialmente all'attrazione di Terra, Venere e Giove, ed è ancora più curioso. Infatti, fin dalle
prime osservazioni, il pianeta ha presentato una precessione decisamente anomala, tanto che, nel 1859 venne definito
come uno dei problemi della meccanica celeste.
Il perielio di Mercurio, cioè il punto in cui il pianeta è più vicino
al Sole, avanza di 574 '' ogni secolo. 531 '' sono dovuti
principalmente alle perturbazioni gravitazionali di Terra,
Venere e Giove, mentre i restanti 43 '' si spiegano con la
Teoria della Relatività Generale.
Fonte: bo.astro.it
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Le misure della precessione del perielio di Mercurio vennero effettuate osservando il transito di Mercurio sul disco del
Sole. Il risultato è che il valore di tale precessione si discosta da quello calcolato con la meccanica Newtoniana di circa
43'' (arcosecondi). La Relatività Generale è in grado invece di prevede esattamente tale spostamento del perielio, motivo
per cui fu accettata subito nella comunità scientifica.
Spostamento verso il rosso gravitazionale della luce (redshift)
Il redshift gravitazionale, ossia lo spostamento verso il rosso, è la variazione di lunghezza d'onda, e quindi di colore, dello
spettro prodotto dalla radiazione luminosa in presenza di un campo gravitazionale. Quando la luce prodotta da un corpo
celeste si allontana da un campo gravitazionale, perde energia, quindi diminuisce la sua frequenza. Più intenso è il
campo gravitazionale, più rosso risulterà il suo spettro.
Un raggio luminoso (un fotone), allontanandosi in un campo
gravitazionale perde energia. Il risultato è una diminuzione
della frequenza della luce, quindi uno spostamento verso il
rosso.
Fonte: www.introni.it
Il redshift gravitazionale venne misurato con precisione soltanto nel 1959 con l'esperimento di Pound-Rebka alla Harvard
University.
Nell'esperimento venne misurato lo spostamento verso il rosso di due sorgenti di raggi gamma di 57F posizionate
rispettivamente in cima e alla base della Torre Jefferson. I risultati erano in perfetto accordo con quanto previsto dalla
Relatività Generale.
Una prova moderna: lo strano caso della vita media del muone
Tra le tante prove moderne a sostegno della Teoria della Relatività, una delle più curiose riguarda la vita media del
mesone µ, definito muone. Il muone è prodotto nell'interazione dei raggi cosmici provenienti dallo spazio con le particelle
che compongono l'atmosfera. Sono particelle fondamentali, instabili, poiché vivono per un tempo medio di circa 1,5
microsecondi(µs) per poi decadere in un elettrone e in una coppia neutrino-antineutrino.
I muoni si muovono a velocità elevatissime, prossime a quelle della luce (300.000 km/s). Se si considera il tempo di vita
media e lo si moltiplica per la velocità, si scopre che prima di disintegrarsi le particelle percorrono circa 450 metri in
atmosfera.
Ed ecco la particolarità del muone: l'atmosfera terrestre ha uno spessore di circa 15 chilometri. Come è possibile allora
che si riesca a misurare l'arrivo di muoni sulla Terra? Non dovrebbero disintegrassi in alta atmosfera dopo aver percorso
450 metri?
La spiegazione è molto semplice se si utilizza il concetto di tempo relativo a un osservatore della Teoria della Relatività,
secondo il quale se due osservatori in moto relativo, cioè che si muovono uno rispetto all'altro, misurano un evento,
accade che ciò che misurano non è uguale per entrambi gli osservatori. Il fenomeno è valido sempre, ma diventa
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evidente per osservatori che si muovono a velocità prossime a quelle della luce.
Consideriamo allora i muoni che attraversano gli strati superiori dell’atmosfera. Secondo la Teoria della Relatività
Ristretta un evento che accade in un luogo, visto da un osservatore che sta fermo in quel luogo avrà una certa durata,
definita tempo proprio dell’evento. Nel caso del muone il tempo proprio è la vita media del muone (1,5 µs).
Per un osservatore posto sulla Terra il tempo di decadimento si dilata, cioè diventa molto più grande. La dilatazione del
tempo dipende dalla velocità dell'oggetto. Maggiore è la velocità, maggiore sarà la dilatazione temporale. Nel caso del
muone il tempo si dilata di 25 volte. Questo vuol dire che, per un osservatore posto sulla Terra, il tempo di decadimento è
diventato di 37,5 µs. Di nuovo, moltiplicando questo intervallo temporale per la velocità del muone si osserva che il
muone avrà percorso circa 11 km, ben maggiore rispetto ai 450 metri. Ecco svelato il mistero del perché circa il 40% dei
muoni arriva a Terra.
Osserviamo ora ciò che accade dal punto di vista del muone, o meglio di un osservatore che si muove solidale al muone.
Nel suo sistema di riferimento il muone vive 1,5 µs, come fa quindi ad arrivare a Terra in così poco tempo?
Ci viene in aiuto sempre la Teoria della Relatività Ristretta. Questa volta consideriamo però la contrazione delle
lunghezze. Una certa lunghezza L, misurata in un sistema di riferimento in cui L é ferma, si contrae se la guardo da un
sistema in movimento rispetto a questa.
Il risultato è che secondo il muone lo spessore dell’atmosfera (L=15 km) è più corto di un fattore γ. o fattore di Lorentz.
L'atmosfera apparirà quindi spessa circa 600 metri.
A cura di Simona Romaniello
Astrofisica e divulgatrice scientifica, per il Planetario di Torino si occupa di formazione e di sviluppo e allestimenti
museali.