PARTE III MECCANICA DEI SISTEMI MATERIALI 1 CAPITOLO X CONCETTI FONDAMENTALI DI MECCANICA X.1. MODELLI MATEMATICI DI SISTEMI MECCANICI Prima di affrontare lo studio della Meccanica, dobbiamo procurarci dei modelli matematici dei sistemi meccanici di cui si vuole studiare il moto o l’equilibrio. Per costruire un modello matematico di un fenomeno fisico, la prima cosa da fare è scegliere lo schema matematico in grado di descrivere il fenomeno in esame. Come si è già visto nello studio della cinematica, il più semplice modello rappresentativo di sistema meccanico è il punto materiale. Si adotta tale schema quando si studia il moto o l’equilibrio di un corpo le cui dimensioni sono piccole rispetto alla regione dello spazio in cui avviene il fenomeno e non interessano le sue deformazioni o il suo orientamento. Ad esempio se si considera il moto di un aeroplano, o di un satellite artificiale, e si è interessati semplicemente alle prestazioni del velivolo (ad es. alla velocità massima che esso può raggiungere), prescindendo dunque dal moto dell’aereplano ”intorno” al suo baricentro, si può utilizzare lo schema punto materiale. Un sistema materiale discreto o particellare è un sistema costituito da un numero finito di punti materiali. Diversi fenomeni meccanici possono essere studiati adottando lo schema sistema particellare. Ad esempio se si vuole studiare il moto del sistema solare prescindendo dai moti di rotazione dei pianeti e dei satelliti lo si può modellizzare come un sistema di punti materiali. Tale modello non è più adatto quando si vogliono studiare fenomeni come la successione del giorno e della notte. o quando si vuole studiare il moto di un’automobile. Per tali fenomeni può essere utile il modello corpo rigido. Un sistema materiale è detto rigido se le mutue distanze tra i punti del sistema non cambiano nel tempo. Questo schema può essere utilizzato tutte le volte in cui non si abbia interesse alle deformazioni che il corpo subisce, per le cause più svariate. Il modello corpo rigido è utile in meccanica del volo, nei limiti in cui sono trascurabili i fenomeni aeroelastici, quando si vuole studiare l’assetto del velivolo ”attorno” al baricentro, cioè per lo studio della sua stabilità e controllabilità. Quando invece si è interessati alle deformazioni che il corpo subisce, lo schema matematico da adottare sarà lo schema continuo deformabile: questo modello si usa nella Scienza delle Costruzioni, quando non si possono trascurare le deformazioni, anche piccole, che il corpo subisce, nella idrodinamica e nella termofluidodinamica. Dopo aver scelto il modello rappresentativo del fenomeno che si vuole studiare, si applicano a questo modello le leggi fondamentali della meccanica (le tre leggi di Newton), eventualmente introducendo alcune ipotesi semplificatrici, pervenendo ad un sistema di equazioni (algebriche o differenziali) che lo descrivono in termini matematici. Si 2 passa quindi allo studio (analitico o numerico) delle soluzioni del modello matematico che è stato costruito, per effettuare un confronto tra i risultati ottenuti e l’esperimento. X.2. FORZE Osservando svariati fenomeni naturali si è portati ad ammettere che lo stato di equilibrio o di moto di un corpo dipende dalla tipologia dei suoi legami meccanici con gli altri corpi, cioè da quelle pressioni, attrazioni o repulsioni che esso subisce in seguito a queste interazioni. Cosı̀ ad esempio la velocità posseduta da una biglia si altera palesemente quando questa viene urtata da un’altra, un quadro appeso ad una parete rimane fermo fino a che non si rompe il chiodo che lo sostiene, una matita lasciata libera, con velocità nulla, ad una data altezza dal suolo, cambierà posizione e velocità avvicinandosi rapidamente al pavimento, ecc. Dall’osservazione di tali fenomeni si giunge alla conclusione che i corpi di influenzano reciprocamente, anche quando nessun apparente collegamento sia presente tra loro. L’insieme delle influenze che un dato elemento di materia esercita su un altro è ciò che viene chiamato comunemente forza. Un’analisi più accurata porta ad attribuire alle forze una direzione, un verso, una grandezza ed un punto di applicazione. In altri termini, le forze si schematizzano matematicamente come vettori applicati. Sono forze le azioni dovute alla presenza di molle (aventi uno o entrambi gli estremi in punti del sistema stesso), o le trazioni dovute a funi, o le azioni dovute a contatti interni tra le varie parti del sistema o a contatti con l’ambiente circostante, come dispositivi, interni o esterni, di controllo della mobilità del sistema di vario tipo: appoggi, cerniere, incastri, carrelli, ecc. . X.2.1. RAPPRESENTAZIONE MATEMATICA DELLE FORZE Studieremo qui i possibili modi di rappresentare matematicamente le forze. Dalla legge fondamentale della meccanica del punto materiale libero (la seconda legge di Newton): F = ma (10.2.1) nascono due tipi di problemi, l’uno inverso dell’altro: 1) Conosciuto in qualche modo il moto del punto P, di data massa m, cercare la forza atta ad imprimergli, come forza totale applicata, il moto considerato. 2) Data la forza totale applicata, determinare il moto del punto P . Il primo problema è immediatamente risolubile, almeno in un certo senso, con sole derivazioni: infatti, se è noto il moto P = P (t) (o in un riferimento cartesiano, x = x(t), y = y(t), z = z(t)) del punto P , si deduce dalla (10.2.1) che la forza totale applicata al punto P è data, in funzione del tempo, da F(P (t)) = mP̈ (t) ossia in componenti F(P (t)) = (mẍ(t), mÿ(t), mz̈(t)) 3 (10.2.2) Più difficile è il secondo problema, che costituisce appunto il problema fondamentale della dinamica del punto; per poterlo formulare matematicamente, occorre anzitutto precisare in qual senso e in qual modo debba intendersi data una forza. X.2.2. FORZE POSIZIONALI Consideriamo ad esempio la forza peso p agente su un punto P di massa m: p = mg (10.2.3) dove g è il vettore accelerazione di gravità. Come sappiamo la forza peso dipende dal punto dello spazio in cui P si trova; se allora consideriamo la regione di spazio circostante alla Terra, ad esempio l’atmosfera, e immaginiamo di potervi liberamente trasportare in una posizione qualsiasi il punto P , possiamo associare ad ogni punto della regione considerata la forza peso che agirebbe sul punto P qualora fosse ivi collocato. Generalizzando, possiamo immaginare che in una data regione A dello spazio sussistano condizioni fisiche tali che un punto materiale libero P , collocato in ogni singola posizione di A, subisca una forza F, dipendente esclusivamente dalla posizione di P . In questo caso scriveremo: F = F(P ) (10.2.4) In un riferimento ortogonale, indicando con X, Y, Z le componenti di F e con x, y, z le coordinate della posizione occupata da P , è: X = X(x, y, z), Y = Y (x, y, z), Z = Z(x, y, z). (10.2.5) Chiameremo forza posizionale una forza soddisfacente le (10.2.4) (o le (10.2.5)); assegnare una forza posizionale significa assegnare, in ogni punto P di una data regione A di spazio, il vettore che rappresenta la forza stessa. X.2.3. LEGGE DI FORZA Il concetto di forza posizionale si generalizza immediatamente immaginando che le condizioni fisiche che determinano la forza F varino nel tempo; in tal caso la forza F sarà funzione non solo del punto P di applicazione, ma anche del tempo t; avremo cioè: F = F(P ; t) (10.2.6) ovvero, in componenti: X = X(x, y, z; t), Y = Y (x, y, z; t), Z = Z(x, y, z; t). (10.2.7) Generalizzando ulteriormente, possiamo supporre che la forza F dipenda non soltanto dal punto di applicazione e dal tempo, ma anche dalla velocità v con cui il punto P si muove nell’istante considerato (ciò accade, ad esempio, per le forze viscose); in questo caso scriveremo: F = F(P, v, t) (10.2.8) 4 ovvero, in componenti: X = X(x, y, z, ẋ, ẏ, ż; t), Y = Y (x, y, z, ẋ, ẏ, ż; t), Z = Z(x, y, z, ẋ, ẏ, ż, ; t). (10.2.9) Le leggi di forza che si presentano in natura sono, nella maggior parte dei casi, del tipo (10.2.8). Nel seguito diremo conosciuta la legge di una forza in una data regione A, quando il vettore F, che rappresenta la forza è noto come funzione della posizione P occupata dal punto, della velocità con cui il punto si muove ed eventualmente dell’istante di tempo, cui si riferiscono tali posizioni e velocità. Supporremo inoltre che le componenti (10.2.9) della forza siano, rispetto ai loro sette argomenti, funzioni uniformi (a un sol valore), finite, continue e derivabili quante volte occorra. Le forze posizionali (10.2.4) e le forze di tipo (10.2.6) rientrano come casi particolari in quelle cosı̀ caratterizzate. Nei problemi di Statica le forze saranno spesso costanti, altrimenti posizionali. X.2.4. FORZE MOTRICI E RESISTENTI. RESISTENZE PASSIVE. È opportuno dare per le forze la seguente distinzione qualitativa. Se un punto P si muove ed F è la forza, o una delle forze che lo sollecitano, si dirà che F è, in un dato istante, forza motrice o forza resistente rispetto al moto considerato, secondo che, in quell’istante, la direzione del moto e quella della forza formino un angolo acuto od ottuso. Una forza posizionale può essere, secondo i casi, motrice o resistente. Infatti, in una data posizione, la forza è sempre la stessa, qualunque sia la velocità con cui il punto P vi transita; pertanto, basta che cambi (ad esempio, che si inverta) la direzione di questa velocità, perchè la forza, da motrice divenga resistente o viceversa. Cosı̀, in particolare, la forza di gravità ha carattere di forza motrice quando il punto P scende, di forza resistente, quando sale. Vi sono invece alcune forze naturali che non si presentano mai come motrici. Tali forze assumono il nome di resistenze passive; forme tipiche sono le varie resistenze di mezzo (per esempio dell’aria o dell’acqua) o d’attrito, dovute al contatto con altri corpi. Esse agiscono sempre in una direzione che contrasta il moto, anzi in direzione opposta ad esso, quando si considerano soltanto punti materiali. X.2.5. CAMPI DI FORZA. CAMPI VETTORIALI. Sia F(P ) una forza posizionale. La regione A, in cui è definita F dicesi campo di forza. Si chiama anche campo di forza di base A la legge che ad ogni punto P ∈ A associa il vettore F(P ) che la forza assume nel punto P . Più in generale, prende il nome di campo vettoriale di base A la legge che ad ogni punto P ∈ A associa un vettore v(P ): P −→ v(P ) Un esempio di campo vettoriale è il campo delle velocità di un fluido in moto. Nel seguito, ci occuperemo essenzialmente di campi di forza, avvertendo che quanto diremo per essi vale anche per un campo vettoriale generico. 5 Un campo di forza si dice uniforme, se la rispettiva forza è costante, ossia non varia da punto a punto. Ciò accade, in una prima approssimazione, per la forza di gravità, quando si considera una regione terrestre abbastanza ristretta, da poter trascurare le variazioni della direzione verticale. Prende il nome di forza specifica del campo di forza in un suo dato punto P la forza f che ivi agirebbe sull’unità di massa. Ad esempio, la forza specifica del campo di gravità coincide con l’accelerazione di gravità g. La forza che agisce su un punto P di massa m, chiamata peso, è allora p = mg. Nei campi di forza che si presentano in natura si constata che, se f è la forza specifica del campo in un dato posto (cioè quella che agisce sull’unità di massa ivi collocata), la forza da cui risulta sollecitata una qualsiasi massa m collocata nel medesimo posto è F = mf . Questo fatto sperimentale, si esprime talvolta dicendo che la massa gravitazionale (cioè quel coefficiente per il quale bisogna moltiplicare g per avere il suo peso) coincide con la massa inerziale (cioè con il rapporto tra la forza e la conseguente accelerazione). X.2.6. LINEE DI FORZA. LINEE DI FLUSSO. Per avere un’immagine geometrica del modo in cui in un dato campo varia la direzione della corrispondente forza F si ricorre alle cosiddette linee di forza o linee del campo o anche linne di flusso. Prende il nome di linea di forza ogni curva γ che, in ogni suo punto P (x, y, z), risulta tangente alla forza F in quel punto. Il verso di percorrenza fissato su γ determina il verso secondo cui agisce la forza. Per definire analiticamente le linee di forza basta osservare che esse sono caratterizzate dalla condizione che lo spostamento elementare dP lungo una qualsiasi di esse, a partire da un suo generico punto P , deve avere la stessa direzione e lo stesso verso della forza F in P . Pertanto, le linee di forza risultano definite, in ogni punto di A in cui la forza non si annulli, dalla relazione dP k F e sono quindi le ∞2 curve soluzioni del sistema dx dy dz = = X Y Z (10.2.10) Tale sistema è equivalente ad un sistema di due sole equazioni del primo ordine. Ad esempio, se X(P ) 6= 0 possiamo sostituire il sistema (10.2.10) con il seguente sistema di due equazioni nelle incognite y = y(x) e z = z(x): ( dy dx dz dx = = Y X Z X (10.2.11) Pertanto, le linee di forza costituiscono un sistema di ∞2 curve, di cui una ed una sola passa per ogni fissato punto del campo (in cui sia F 6= 0). 6 X.2.7. FORZE CONSERVATIVE. Tra i campi di forza sono particolarmente notevoli, per ragioni che chiariremo meglio nel seguito, quelli per cui il prodotto scalare F · dP della forza F per un qualsiasi spostamento elementare dP del punto di applicazione P è il differenziale esatto di una funzione U di P : F · dP = dU (10.2.12) Il prodotto scalare F · dP = X(x, y, z)dx + Y (x, y, z)dy + Z(x, y, z)dz, si suole anche chiamare forma differenziale lineare . Se esiste una funzione U soddisfacente la (10.2.12) la forma differenziale lineare si dice esatta. Come vedremo, F · dP è il lavoro compiuto dalla forza F corrispondente allo spostamento elementare dP , e prende il nome di lavoro elementare. Tali campi di forza prendono il nome di campi conservativi, mentre la funzione U = U (x, y, z), che supporremo uniforme (a un sol valore), finita, continua e derivabile, almeno fino al secondo ordine, in tutto il campo, dicesi potenziale. Osserviamo che, se esiste una funzione U soddisfacente la (10.2.12), allora anche tutte le funzioni U + c, con c costante additiva arbitraria, soddisfano la (10.2.12). Talvolta si sceglie questa costante per fare in modo che il potenziale assuma in una data posizione un valore prefissato, ad esempio lo zero. La proprietà (10.2.12), caratteristica dei campi di forza conservativi, è indipendente dal riferimento, e rimane inalterata qualunque sia la terna di assi considerata. Scelto un riferimento {O, xyz}, la (10.2.12), con le notazioni del numero precedente, si scrive: Xdx + Y dy + Zdz = ∂U ∂U ∂U dx + dy + dz ∂x ∂y ∂z (10.2.13) da cui si deduce, notando che questa identità deve sussistere per qualsiasi scelta dello spostamento elementare dP = (dx, dy, dz): X= ∂U , ∂x Y = ∂U , ∂y Z= ∂U ∂z (10.2.14) Notiamo che la derivata del potenziale secondo una direzione qualsiasi non è altro che la componente della forza secondo quella direzione. Ciò si verifica facilmente, osservando che si può scegliere l’asse delle x parallelo alla forza F, ed utilizzando la prima delle (10.2.14). Si può anche ricavare direttamente, ricordando la definizione di derivata secondo una direzione. Dalla (10.2.14), ricordando la definizione di gradiente di un campo scalare, si deduce che i campi conservativi si possono anche caratterizzare come quelli tali che F = ∇U (10.2.15) Differenziando le (10.2.14) ed eliminando la U , otteniamo le tre equazioni: ∂X ∂Y ∂X ∂Z ∂Y ∂Z − = − = − =0 ∂y ∂x ∂z ∂x ∂z ∂y 7 (10.2.16) da cui constatiamo che l’esistenza di un potenziale (cioè il fatto che Xdx + Y dy + Zdz sia un differenziale esatto) implica condizioni restrittive per le tre funzioni X, Y, Z di x, y, z. Pertanto una generica forza posizionale F non è conservativa. A titolo d’esempio si consideri la forza F di componenti: X = −y, Y = x, Z = 0. che non è conservativa, essendo ∂Y ∂X − = 2 6= 0 ∂y ∂x Infine osserviamo che, nel definire le forze conservative, abbiamo supposto che la funzione U (P ) soddisfacente la (10.2.12) sia uniforme in tutto il campo A, cioè, per ogni punto P , dotata di un solo valore. Come vedremo nell’esempio d), in alcuni casi è possibile abbandonare questa limitazione e considerare potenziali non uniformi. Ricordando la definizione di rotore di un campo vettoriale, possiamo dire che se una forza è conservativa il suo rotore deve annullarsi: ∇∧F=0 Più in generale diremo che un campo vettoriale conservativo è necessariamente un campo irrotazionale. Il viceversa non è in generale vero, cioè non tutti i campi irrotazionali sono campi conservativi. X.2.8. SUPERFICI EQUIPOTENZIALI In un campo di forza conservativo di potenziale U prendono il nome di superfici equipotenziali le ∞1 superfici U (P ) = c (10.2.17) cioè le superfici luogo dei punti aventi un dato potenziale. Per ogni punto P0 = (x0 , y0 , z0 ) del campo passa una ed una sola superficie equipotenziale, quella di equazione U (P ) = U (P0 ) U (x, y, z) = U (x0 , y0 , z0 ). (10.2.18) Se al punto di applicazione della forza si fa subire uno spostamento elementare dP sulla superficie equipotenziale passante per la sua posizione iniziale, si ha F · dP = Xdx + Y dy + Zdz = ∂U ∂U ∂U dx + dy + dz = dU = 0 ∂x ∂y ∂z (10.2.19) da cui si deduce che la F è ortogonale allo spostamento elementare dP . Poichè ciò vale qualunque sia lo spostamento dP sulla superficie equipotenziale, si conclude che in ogni punto del campo la forza è normale alla superficie equipotenziale passante per esso. In altre parole, in un campo conservativo le linee di forza sono le traiettorie ortogonali alle superfici equipotenziali (f ig. 10.2.1). 8 f ig. 10.2.1 f ig. 10.2.2 X.2.9. ESEMPI DI CAMPI CONSERVATIVI. a) È conservativo ogni campo uniforme. Infatti, se F è una forza costante (in intensità, direzione e verso) e scegliamo l’asse z di riferimento, di versore k, nella direzione e nel verso di F, si ha allora F = Fz k, e quindi: F · dP = Fz dz = d(Fz z + c) = dU −→ U = Fz z + c (10.2.20) In questo caso le superfici equipotenziali sono i piani z = c, ortogonali alla direzione fissa della forza (f ig. 10.2.2). FORZA PESO: La forza peso, che possiamo con buona approssimazione considerare costante, è una forza conservativa. Se si sceglie l’asse z parallelo e concorde con la verticale discendente, il potenziale della forza peso agente su un punto P di massa m è dato da U g = mgz + c (10.2.21) Se si sceglie invece l’asse z verticale ascendente il potenziale della forza peso è espresso da: U g = −mgz + c (10.2.22) Come si vede, l’espressione del potenziale dipende dalla scelta del riferimento. Le superfici equipotenziali sono i piani orizzontali. b) Sia F una forza posizionale di direzione fissa e la cui intensità dipende soltanto dalla distanza del punto di applicazione da un piano fisso, ortogonale alla direzione della forza. Scelto questo piano come piano di riferimento z = 0, le componenti della forza secondo gli assi x ed y risulteranno nulle, mentre quella secondo l’asse z sarà una determinata funzione q(z) della sola coordinata z, avremo dunque F · dP = q(z)dz Integrando, a partire da un valore z0 fissato ad arbitrio, si ottiene come potenziale la funzione della sola variabile z: U (z) = Z z z0 q(ζ)dζ + c Anche in questo caso le superfici equipotenziali sono i piani ortogonali alla direzione fissa della forza (f ig. 10.2.2). 9 c) Si consideri un campo di forza centrale, cioè un campo in cui la forza F sia in ogni punto P diretta verso un punto fisso O ed abbia una intensità dipendente esclusivamente dalla distanza ρ = OP del punto di applicazione dal centro O. La forza F, nei singoli punti del campo, può essere diretta dal centro O verso il punto di applicazione (forza repulsiva) o nel senso contrario (forza attrattiva); indicando con φ(ρ) la componente della F secondo la retta orientata OP la φ risulterà positiva o negativa secondo che la forza sia repulsiva o attrattiva. figura 10.2.3 Il prodotto scalare F · dP , vedi figura 10.2.3, è dato da: F · dP = φ(ρ)dρ; (10.2.23) integrando si ottiene il potenziale: U (ρ) = Z ρ ρ0 φ(ρ)dρ + c (10.2.24) Le superfici equipotenziali in questo caso sono le sfere concentriche in O, mentre le linee di forza sono le semirette della stella di centro O (f ig. 10.2.4). f ig. 10.2.4 10 In natura si incontrano frequentemente esempi di forze centrali. Sono infatti forze centrali la forza elastica, la forza di attrazione gravitazionale, la forza elettrostatica. FORZE ELASTICHE. Sono, ad esempio, quelle che si esercitano agli estremi di una molla che collega un punto P di un dato sistema ad un punto fisso o due punti distinti P e Q dello stesso sistema. In base alla legge di Hooke sui corpi elastici, si assume che tali forze siano proporzionali alla deformazione subita dalla molla. I CASO: Consideriamo il caso in cui la molla collega il punto P con un punto fisso O, detto centro della forza elastica. Detta d la lunghezza a riposo della molla non deformata e ρ la lunghezza della molla quando è deformata (in trazione o compressione), si ha: F = −k(ρ − d)û (10.2.25) dove k > 0 è la costante di proporzionalità, detta rigidezza o costante elastica ed û è il versore di OP . L’elongazione è positiva se la molla è in tensione, negativa se la molla è compressa. Si ha φ(ρ) = −k(ρ − d), e quindi U (ρ) = Z ρ 1 [−k(ρ − d)]dρ + c = − k(ρ − d)2 + c 2 ρ0 (10.2.26) Nel caso in cui la lunghezza a riposo d della molla è trascurabile, le (10.2.25-26) si semplificano in: F = −kρû = −kOP (10.2.27) 1 U (P ) = − k|OP |2 + c (10.2.28) 2 II CASO: Supponiamo adesso che la molla colleghi due punti P e Q di uno stesso sistema. Vogliamo calcolare il potenziale complessivo delle due forze elastiche che la molla esercita sui due punti P e Q del sistema. Per la legge di azione e reazione la forza che la molla esercita su P è opposta alla forza che la molla esercita su Q. Per semplicità supporremo nulla la lunghezza a riposo della molla. Si ha: FP · dP + FQ · dQ = −kQP · dP − kP Q · dQ = −kP Q · (dQ − dP ) = −kP Q · d(P Q) e quindi: 1 U = − k|P Q|2 + c (10.2.29) 2 FORZA GRAVITAZIONALE. La legge di gravitazione universale stabilisce che due punti materiali P ed O, di masse m ed M rispettivamente, si attraggono con una forza, diretta lungo la loro congiungente, direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza ρ: mM u ρ2 (10.2.30) mM mM +c −K 2 dρ + c = K ρ ρ (10.2.31) Fg (r) = −K Si ha φ(ρ) = −K mM , e quindi ρ2 U (ρ) = Z ρ" ρ0 # 11 d) Diamo anche un esempio di potenziale non uniforme, dapprima in due, poi in tre dimensioni. Sia {O, xy} un riferimento ortogonale positivo nel piano. Introdotte le coordinate polari ρ e θ (di polo O e asse polare Ox), legate alle cartesiane dalle relazioni ½ x = ρ cos θ, y = ρ sin θ, sia F(P ) la forza, definita in tutto il piano, privato dell’origine O nel seguente modo: direzione normale al raggio vettore OP , verso delle anomalie crescenti, intensità h/ρ, con h costante. Detto k il versore ortogonale al piano {O, xy}, u il versore del raggio vettore OP e w il versore, contenuto nel piano {O, xy}, ad esso ortogonale (rotato di π/2 in verso antiorario), si ha: F= h h h k ∧ OP = k ∧ u = w 2 ρ ρ ρ dP = dρu + ρdθw Si ha, in coordinate polari: F · dP = hdθ cosicchè U = hθ + c. Se ne deduce che il potenziale U non è una funzione uniforme del posto: infatti, se si parte da una posizione θ0 e si gira attorno all’origine con continuità, sempre nello stesso verso, si ritorna in P con successive determinazioni aumentate (o diminuite secondo il verso di percorrenza) di 2hπ ad ogni giro. Lo stesso potenziale U = hθ + c risulta invece funzione uniforme del posto, qualora si consideri come campo non l’intero piano, ma una regione che escluda l’origine e sia inoltre tale che non si possa (senza uscire dalla regione) girare attorno l’origine O. È facile trasportare l’esempio nello spazio {O, xyz}, utilizzando le coordinate cilindriche: x = ρ cos θ y = ρ sin θ z=z con le stesse notazioni del caso precedente, consideriamo la forza posizionale definita ancora dalla relazione: h F= k∧u ρ anche in questo caso il potenziale è dato dalla funzione U = hθ + c che è non uniforme in quanto si accresce di ±2hπ ogni qualvolta si gira, in un senso o nell’altro, attorno all’asse delle z. X.3. LAVORO. Il concetto di lavoro è un concetto fondamentale della fisica, ed in particolare della meccanica. Nel linguaggio comune, si dice che un uomo lavora quando, ad esempio, 12 compie uno sforzo muscolare per produrre lo spostamento di un oggetto; come si vede, anche nel linguaggio comune, l’idea di lavoro è connessa all’idea di forza e all’idea di spostamento. Richiameremo adesso brevemente la nozione di lavoro compiuto da una forza. X.3.1. LAVORO DI UNA FORZA COSTANTE Sia P un punto materiale e sia (P, F) la forza in esso applicata, che inizialmente supponiamo costante. Si chiama lavoro della forza costante F, corrispondente allo spostamento P0 P1 del suo punto di applicazione il prodotto scalare: LP0 P1 = F · P0 P1 (10.3.1) Il lavoro LP0 P1 si dice motore o resistente secondo che risulti positivo o negativo, cioè secondo che l’angolo che la forza forma con lo spostamento risulti acuto o ottuso. In particolare, se lo spostamento è ortogonale alla forza il lavoro è nullo. Fissato nello spazio in cui P si muove un riferimento {O, x, y, z}, denotate con (X, Y, Z) le componenti della forza F e con (∆x, ∆y, ∆z) le componenti del vettore P0 P1 , si ha: LP0 P1 = F · P0 P1 = X∆x + Y ∆y + Z∆z (10.3.2) In particolare, per uno spostamento infinitesimo ∂P di componenti (∂x, ∂y, ∂z), si ha: ∂L = F · ∂P = X∂x + Y ∂y + Z∂z (10.3.3) X.3.2. LAVORO DI UNA FORZA VARIABILE Sia ora F una forza arbitraria, dipendente, nel caso più generale, dalla posizione del suo punto di applicazione, dalla sua velocità e dal tempo: F = F(P, v, t) = F(x, y, z; ẋ, ẏ, ż, t) (10.3.4) e sia P = P (t) un moto qualsiasi per il punto di applicazione della forza, non coincidente necessariamente con il moto che la forza imprimerebbe al punto P , qualora esso fosse soggetto soltanto all’azione di F. Durante questo moto, la forza F è una funzione del tempo: F = F(P (t), v(t), t) = F(t) (10.3.5) Si definisce lavoro elementare compiuto dalla forza (P, F) nell’intervallo [t, t + dt], il lavoro compiuto dalla forza (P, F) in corrispondenza allo spostamento elementare dP = vdt: dL = F · dP = F · vdt (10.3.6) In un riferimento cartesiano ortogonale, dette (X, Y, Z) le componenti della forza F e (dx, dy, dz) quelle del vettore dP , è: dL = Xdx + Y dy + Zdz = (X ẋ + Y ẏ + Z ż)dt (10.3.7) dove le componenti della forza F sono calcolate per P = P (t) e v = v(t); cioè: X = X(P (t), v(t), t) Y = Y (P (t), v(t), t) Z = Z(P (t), v(t), t) 13 Si chiama lavoro totale compiuto dalla forza (P, F), corrispondente al moto P = P (t), tra i due istanti t0 e tf (o dalla posizione P (t0 ) alla posizione P (tf ), lungo l’arco di traiettoria γ) l’integrale: L[t0 ,t1 ] = Z tf F(t) · v(t)dt t0 (10.3.8) Sia γ l’arco di traiettoria descritta dal punto P nel tempo [t0 , tf ]. Ricordando la definizione di integrale, dividiamo l’intervallo [t0 , tf = tn ] in intervalli parziali [ti , ti+1 ]; posto Pi = P (ti ), consideriamo la poligonale, inscritta in γ, che ha come estremi tali punti (vedi f ig. 10.3.1). f ig. 10.3.1 Calcoliamo la sommatoria (somma integrale): n−1 X F(ti ) · Pi Pi−1 i=0 Si ha Pi Pi−1 = v∆t + o(∆t); sostituendo nella sommatoria, otteniamo: n−1 X F(ti ) · [v(ti )∆t + ~o(∆t)] = i=0 n−1 X F(ti ) · v(ti )∆t + i=0 n−1 X F(ti ) · ~o(∆t) i=0 Passando al limite per ∆t tendente a zero, la seconda sommatoria tende a zero, mentre per la prima si ha: lim t→0 n−1 X F(ti ) · v(ti )∆t = i=0 Z tf t0 F(t) · v(t)dt Spesso per indicare il lavoro totale compiuto dalla forza F nell’intervallo di tempo [t0 , t1 ] si usa la notazione formale: Z L[t0 ,t1 ] = Z γ F · dP = γ Xdx + Y dy + Zdz (10.3.9) Tuttavia, bisogna tener presente che tale notazione è leggermente fuorviante: infatti, in generale, il lavoro L[t0 ,t1 ] dipende anche dalla velocità con cui il punto P percorre la 14 curva γ e quindi dalla legge oraria s = s(t). Conseguentemente, se invece di percorrere la traiettoria γ con la legge oraria s = s(t), la si percorre con una legge diversa s = s1 (t) il lavoro (in generale) cambia. X.3.3. LAVORO INFINITESIMO, POSSIBILE, VIRTUALE Si chiama lavoro della forza (P, F) corrispondente allo spostamento infinitesimo ∂P del punto P di applicazione della forza, il prodotto scalare: ∂L = F · ∂P = X∂x + Y ∂y + Z∂z (10.3.10) Si chiama lavoro possibile il lavoro corrispondente allo spostamento possibile dP del punto P : dL = F · dP = Xdx + Y dy + Zdz (10.3.11) Si chiama lavoro virtuale il lavoro corrispondente allo spostamento virtuale dP del punto P : δL = F · δP = Xδx + Y δy + Zδz (10.3.12) X.3.4. LAVORO DELLE FORZE POSIZIONALI. Se F(P ) è una forza posizionale, per il calcolo del lavoro, non è necessaria, come nel caso generale considerato nella sezione 3.2, la conoscenza delle equazioni del moto del punto di applicazione P , ma basta conoscerne la traiettoria. Infatti, se si scrivono le equazioni parametriche della traiettoria in funzione dell’ascissa curvilinea s: P = P (s), x = x(s), ossia y = y(s), (10.3.13) z = z(s) la forza posizionale F(P ) risulta funzione della sola variabile s e lo spostamento elementare dP non è altro che il prodotto tra l’elemento d’arco ds ed il versore dP/ds = T, tangente alla traiettoria, anch’esso funzione della sola variabile s. Il lavoro elementare in questo caso si può esprimere sotto la forma à ! dx dy dz dL = F · dP = F · Tds = X ds +Y +Z ds ds ds (10.3.14) indicando con FT la componente della forza secondo la tangente alla traiettoria di P nel verso delle s crescenti, si ha: dL = FT ds; (10.3.15) e, poichè FT dipende esclusivamente da s, il lavoro compiuto dalla forza F lnngo la curva (10.3.13) fra due punti generici P1 = P (s1 ) e P2 = P (s2 ) sarà dato, qualunque sia la legge temporale secondo cui il punto d’applicazione descrive la curva γ, dall’integrale definito ordinario: Lγ(P1 P2 ) = Z s2 s1 F(s) · Tds = Z s2 s1 FT ds = Z s2 à 15 s1 ! dy dz dx +Y +Z ds X ds ds ds (10.3.16) In questo caso la notazione Z Lγ(P1 P2 ) = Z γ(P1 P2 ) F · dP = γ(P1 P2 ) Xdx + Y dy + Zdz risulta pienamente giustificata. Deduciamo in particolare che, se si inverte il senso del cammino del punto di applicazione, il lavoro di una forza posizionale cambia segno (e conserva inalterato il suo valore assoluto). Questo ovviamente non è più vero per una forza dipendente dal tempo o dalla velocità, poichè in questo caso nel calcolo del lavoro interviene essenzialmente, oltre alla conoscenza della traiettoria, la legge temporale, con cui si muove il punto P . X.3.5. LAVORO DELLE FORZE CONSERVATIVE. Ricordiamo che prende il nome di forza conservativa una forza F tale che F · dP = dU (10.3.17) dove la funzione U = U (x, y, z) rappresenta il potenziale della forza. Per questa particolare classe di forze posizionali accade che il lavoro da esse compiuto non dipende dalla traiettoria del punto di applicazione della forza, ma soltanto dagli estremi P1 = (x1 , y1 , z1 ) e P2 = (x2 , y2 , z2 ). Infatti, dalla (10.3.17), deduciamo subito che il lavoro elementare è dato da: dL = dU, (10.3.18) pertanto, integrando lungo una qualsiasi curva che unisce P1 con P2 , si ottiene: LP1 P2 = U (P2 ) − U (P1 ) = U (x2 , y2 , z2 ) − U (x1 , y1 , z1 ) (10.3.19) Possiamo quindi enunciare l’importante risultato: Qualunque sia il cammino descritto dal punto di applicazione di una forza conservativa entro il suo campo, il lavoro da essa compiuto è eguale alla differenza di potenziale fra la posizione di partenza e quella di arrivo del punto di applicazione. Se, scegliendo opportunamente la costante additiva arbitraria, facciamo in modo che il potenziale si annulli in un certo punto P0 del campo, detto P (x, y, z) un punto generico, possiamo scrivere: LP0 P = U (P ) = U (x, y, z) (10.3.20) Dalla (10.3.20) constatiamo che il potenziale in P può essere definito come il lavoro compiuto dalla forza, quando il suo punto di applicazione si sposta dalla posizione P0 alla P , lungo una qualsiasi traiettoria. Da questo fatto si deduce la proprietà già osservata di indipendenza del potenziale dal sistema di riferimento scelto per rappresentarlo matematicamente. La proprietà ora stabilita è caratteristica per le forze conservative, infatti si può dimostrare che se per una forza F il lavoro compiuto per un qualsiasi cammino del punto di applicazione, fra due punti generici P1 e P2 di A, dipende esclusivamente dalle posizioni estreme P1 e P2 (e non dalla traiettoria), la F è conservativa. 16 Notiamo infine che dalla (10.3.19) discende in particolare che, se il punto di applicazione di una forza conservativa ritorna alla sua posizione di partenza, dopo aver descritto entro il campo un cammino chiuso, il lavoro totale compiuto della forza è nullo. In questo risultato risiede la giustificazione della qualifica di conservative attribuita alle forze, che ammettono un potenziale. Quando si fa descrivere al punto di applicazione della forza F un ciclo chiuso, non si guadagna nè si perde lavoro. Considerando il lavoro di una forza come una forma di energia fisica, ceduta o eventualmente sottratta al suo punto di applicazione, constatiamo che questa energia è complessivamente nulla se il punto P ritorna al punto di partenza; vi è dunque, nel senso accennato, conservazione di energia. X.3.6. POTENZA È evidente, soprattutto in vista delle applicazioni tecniche, che occorre valutare il lavoro non soltanto in se stesso, ma anche in rapporto al tempo richiesto per produrlo; a tale scopo si introduce il concetto di potenza. Se una forza F, di natura qualsiasi, è applicata ad un punto P , dicesi potenza media della forza nell’intervallo di tempo da t a t + ∆t il rapporto tra il lavoro compiuto in quell’intervallo di tempo e la durata dell’intervallo medesimo: 1 Z t+∆t Pm = F · dP. (10.3.21) ∆t t Dicesi poi potenza nell’istante t il limite, per ∆t → 0, della potenza media, cioè il rapporto tra lavoro elementare dL e l’intervallo di tempo infinitesimo (tempuscolo) dt. Si ha dunque: dL dP P= =F· = F · v, (10.3.22) dt dt ricordando la (10.3.7), possiamo scrivere: P = X ẋ + Y ẏ + Z ż. (10.3.23) Risulta di qui che, anche quando la forza è posizionale (o conservativa) e il lavoro non dipende dalla legge oraria del moto del punto di applicazione, il calcolo della potenza richiede la conoscenza della velocità del punto P . 17 X.4. MECCANICA DEL PUNTO LIBERO X.4.1. MECCANICA DEL PUNTO LIBERO IN UNO SPAZIO INERZIALE Sia P un punto materiale, di massa m, mobile in uno spazio inerziale E3∗ e sia F la forza totale agente su esso, dipendente, nel caso più generale, dalla posizione del punto, dalla sua velocità e dal tempo. Il moto di P deve soddisfare, per la seconda legge di Newton, l’equazione (differenziale) vettoriale: ma = F(P, v, t). (10.4.1) Scelto in E3∗ un riferimento {O, xyz}, la (10.4.1) equivale alle tre equazioni differenziali del 20 ordine mẍ = X(x, y, z; ẋ, ẏ, ż, t), mÿ = Y (x, y, z; ẋ, ẏ, ż, t), (10.4.2) mz̈ = Z(x, y, z; ẋ, ẏ, ż, t). L’insieme di tutte le possibili soluzioni dell’equazione differenziale vettoriale ((10.4.1) (o del sistema (10.4.2)), che prende il nome di integrale generale della (10.4.1) (o del sistema (10.4.2)) dipende da sei costanti arbitrarie; pertanto sono possibili per il punto P ∞6 moti diversi, ciascuno dei quali sarà individuato prefissando opportunamente sei condizioni ulteriori, dette condizioni iniziali o condizioni di Cauchy, che consistono nell’imporre che il punto P , in un dato istante t0 , occupi un’assegnata posizione P0 = (x0 , y0 , z0 ) ed abbia un’assegnata velocità v0 = (ẋ0 , ẏ0 , ż0 ). In alcuni casi il problema della risoluzione analitica delle (10.4.2) può essere semplificato. Se ad esempio la forza F è parallela ad una giacitura fissa, basta scegliere il piano di riferimento z = 0 parallelo a questa giacitura, perchè la componente Z della forza F risulti identicamente nulla; in tal caso la terza delle (10.4.2), si scrive: mz̈ = 0 si ottiene cosı̀, integrando due volte: ż = ż0 , z = ż0 t + z0 , (10.4.3) dove ż0 e z0 sono la terza componente della velocità e la terza coordinata del punto nell’istante t0 = 0 (che sono due arbitrarie costanti); in particolare, se la velocità iniziale si suppone parallela alla giacitura fissa (ż0 = 0), il moto risulta appartenere al piano parallelo al piano xy di equazione z = z0 . In ogni caso, sostituendo le (10.4.3) nella (10.4.2), il problema si riduce all’integrazione del sistema di due sole equazioni differenziali nelle incognite x(t) e y(t): ½ mẍ = X(x, y, ẋ, ẏ, t), . mÿ = Y (x, y, ẋ, ẏ, t) Un caso ancora più semplice, si ha quando la forza F ha direzione fissa. Scegliendo l’asse x parallelo alla F, le componenti Y e Z della forza F sono nulle, cosicchè la seconda e la terza delle equazioni (10.4.2) assumono la forma mÿ = 0, mz̈ = 0. 18 Di qui, integrando, si deduce ẏ = ẏ0 , ż = ż0 , (10.4.4) e integrando una seconda volta: y = ẏ0 t + y0 , z = ż0 t + z0 , (10.4.5) dove ẏ0 , ż0 , y0 e z0 designano quattro costanti arbitrarie. Se, in particolare, la velocità iniziale è parallela alla direzione fissa della forza, il moto del punto P è rettilineo. In ogni caso, sostituendo le (10.4.4), (10.4.5) nel sistema (10.4.2), il problema si riduce alla ricerca delle soluzioni dell’unica equazione differenziale del secondo ordine, nella sola incognita x = x(t): mẍ = X(x, ẋ, t), il cui integrale generale conterrà due costanti arbitrarie. X.4.2. EQUILIBRIO DI UN PUNTO LIBERO IN UNO SPAZIO INERZIALE Sia P un punto materiale mobile in uno spazio inerziale. Una posizione P ∗ si dice posizione di equilibrio per P , se accade che, posto ad un istante t0 il punto P nella posizione P ∗ con velocità nulla, esso rimane ivi indefinitamente. Ciò vuol dire che la condizione P (t0 ) = P ∗ implica P (t) = P ∗ , ∀t > t0 . (10.4.6) Derivando la (10.4.6) rispetto al tempo deduciamo che, in ogni istante t successivo a t0 , si annullano sia la velocità v del punto P che la sua accelerazione a: v = 0, a = 0, ∀t > t0 . Indichiamo con m la massa del punto P , con F la forza attiva che agisce su di esso (ad esempio una forza elastica dovuta alla presenza di una molla, o la forza gravitazionale o una forza di tipo elettrico, ecc.) Ricordando la legge (10.4.1), deduciamo che in una posizione di equilibrio risulta: F(P ∗ , 0, t) = 0. Possiamo dunque affermare: una posizione P ∗ è posizione di equilibrio per il punto libero P se in tale posizione è nulla la forza attiva agente su P , calcolata per valori nulli della velocità. ESERCIZIO. Moto di un punto libero soggetto ad n forze elastiche ed alla forza peso. X.4.3. MECCANICA DEL PUNTO LIBERO IN UNO SPAZIO NON INERZIALE Sia E3∗ uno spazio inerziale, T ∗ una terna di riferimento in E3∗ . Sia E3 uno spazio mobile in modo qualsiasi rispetto allo spazio E3∗ e T una terna di riferimento ad esso solidale. 19 Sia P un punto materiale, che per semplicità supporremo qui non vincolato, mobile sia rispetto ad E3 che rispetto ad E3∗ . Per il teorema di Coriolis, detta m la massa di P , si ha: maa = mar + maτ + mac (10.4.11) Sostituendo questa relazione nell’equazione fondamentale della meccanica del punto libero (10.4.1), che riscriviamo: maa = F, (10.4.12) valida in un riferimento inerziale, si ha: maa = mar + maτ + mac = F (10.4.13) mar = F − maτ − mac . (10.4.14) da cui: La (10.4.14) prende il nome di equazione fondamentale della dinamica del punto in un riferimento non inerziale. I vettori −maτ e −mac , che hanno dimensioni di forza, si chiamano forze apparenti del moto relativo, la prima forza di trascinamento, la seconda forza di Coriolis o complementare. Posto Fr = F − maτ − mac , (10.4.15) l’equazione fondamentale della meccanica in uno spazio non inerziale si scrive: mar = Fr . (10.4.16) Come si vede, l’equazione fondamentale della meccanica (10.4.2) rimane valida anche in uno spazio non inerziale, purchè alle forze effettive agenti sul punto P si aggiungano le forze apparenti del moto relativo. X.4.4. STATICA DEL PUNTO LIBERO IN UNO SPAZIO NON INERZIALE Sia E3∗ uno spazio inerziale, T ∗ una terna di riferimento in E3∗ . Sia E3 uno spazio mobile in modo qualsiasi rispetto allo spazio E3∗ e T una terna di riferimento ad esso solidale. Sia P un punto materiale mobile sia rispetto ad E3 che rispetto ad E3∗ . In analogia con la definizione data in un riferimento inerziale, si ha la seguente definizione: Una posizione P ∗ ∈ E3 si dice posizione di equilibrio relativo per P , se accade che, posto ad un istante t0 il punto P nella posizione P ∗ con velocità nulla, rispetto allo spazio mobile E3 , esso rimane ivi indefinitamente. Dall’equazione fondamentale della meccanica relativa (10.4.6) si deduce che, affinchè ∗ P sia una posizione di equilibrio relativo, deve annullarsi, in tale punto, in ogni istante di tempo successivo a t = t0 , la forza (relativa) calcolata per valori nulli della velocità (relativa). Detta m la massa del punto P ed F la forza attiva che agisce su di esso, la condizione di equilibrio relativo si scrive: Fr (P ∗ , 0, t) = F(P ∗ , 0, t) − maτ (P ∗ , 0, t) = 0 20 (10.4.17) X.4.5. MOTO DI UN PUNTO LIBERO IN UNO SPAZIO IN MOTO TRASLATORIO RISPETTO AD E3∗ . PRINCIPIO DI RELATIVITÀ DI GALILEO Se E3 si muove di moto traslatorio rispetto ad E3∗ , è ωτ = 0, ac = 0, aτ = aΩ . In questo caso, l’equazione fondamentale del moto di P si scrive: mar = F − maΩ . (10.4.18) Se in particolare E3 si muove di moto traslatorio uniforme rispetto ad E3∗ , si ha aΩ = 0, e pertanto la (10.4.17) si riduce a mar = F. (10.4.19) Confrontando con la (10.4.1) notiamo che l’equazione fondamentale della meccanica del punto assume la stessa forma se il moto di E3 rispetto ad E3∗ è traslatorio uniforme. Se, in particolare, lo spazio E3∗ è uno spazio inerziale, deduciamo l’importante risultato: l’equazione fondamentale della meccanica del punto è invariante nel passaggio da un riferimento inerziale ad un altro che si muove rispetto a questo di moto traslatorio uniforme. Ciò implica, se il punto P non è soggetto a forze, che ar = aa = 0 e anche il riferimento E3 è un riferimento inerziale. Come conseguenza di ciò possiamo dire che ogni legge meccanica è esprimibile nella stessa forma in ogni spazio inerziale. Osservatori inerziali che eseguono esperienze meccaniche in condizioni sperimentali identiche (stesso sistema materiale, stesse condizioni iniziali) trovano risultati identici. Tali esperienze, quindi, non consentono a due osservatori inerziali di accertare il loro moto relativo. X.4.6. MOTO DI UN PUNTO LIBERO IN UNO SPAZIO IN MOTO ROTATORIO RISPETTO AD E3∗ . FORZA CENTRIFUGA Sia E3 uno spazio in moto rotatorio rispetto ad E3∗ . Scegliamo le due terne T e T ∗ , rispettivamente solidali a E3 ed E3∗ con il terzo asse coincidente con l’asse del moto rotatorio, inoltre scegliamo Ω ≡ O. Sia ω ~τ = ω ~ τ (t) = θ̇(t)c3 = θ̇(t)j3 (10.4.20) la velocità angolare, nel moto di trascinamento. Le forze apparenti del moto relativo in questo caso si scrivono: Fτ = −maτ = −m d (~ωτ ∧ ΩP ) = −m~ ατ ∧ ΩP − mωτ2 QP, dt Fc = −2m~ωτ ∧ vr , (10.4.21) (10.4.22) essendo Q la proiezione di P sull’asse di rotazione. Pertanto, l’equazione del moto di P rispetto a E3 assume la forma: mar = F − m~ ατ ∧ ΩP − mωτ2 QP − 2m~ωτ ∧ vr . (10.4.23) Nel caso particolare in cui E3 si muove di moto rotatorio uniforme, si ha α ~ τ = 0, e la forza di trascinamento assume l’espressione Fτ = −mωτ2 QP, 21 (10.4.24) e prende il nome di forza centrifuga. Concludendo, l’equazione fondamentale del moto di un punto P in uno spazio in moto rotatorio uniforme rispetto ad uno spazio inerziale si scrive: mar = F − mωτ2 QP − 2m~ωτ ∧ vr . (10.4.25) X.4.7. MECCANICA TERRESTRE. PESO Consideriamo lo spazio dei punti solidali alla Terra, supposta rigida. Applicheremo i concetti stabiliti nei numeri precedenti per scrivere l’equazione fondamentale della meccanica rispetto ad un sistema di riferimento solidale alla Terra. Chiameremo questo spazio spazio terrestre e lo indicheremo con ET . FIGURA 10.4.1 Sia P un punto mobile in prossimità della superficie terrestre. Per scrivere l’equazione fondamentale della meccanica per il punto P rispetto ad ET , dobbiamo prima esaminare il moto dello spazio terrestre rispetto ad un osservatore inerziale. Uno spazio che, con buona approssimazione, può essere considerato inerziale è uno spazio solidale con le nebulose extragalattiche, che chiameremo EN . Nello studiare il moto di ET rispetto ad EN , dobbiamo tener conto dei seguenti moti: a) Il moto verso la costellazione d’Ercole dello spazio ES , dei punti solidali ad una terna con origine nel centro del Sole ed assi puntati verso tre stelle fisse. Tale spazio si muove di moto (che può essere considerato) traslatorio uniforme rispetto alle nebulose extragalattiche. b) Il moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole. Se si considera un intervallo temporale non troppo lungo (ad esempio un giorno), anche questo moto può essere considerato traslatorio uniforme. c) Il moto di precessione regolare della Terra. In tale moto l’asse terrestre (che non è perpendicolare all’eclittica) compie una rotazione completa, intorno all’asse perpendicolare all’eclittica, in 26000 anni. A causa di tale moto di precessione, ogni 13000 anni l’estate e l’inverno si scambiano. d) Il moto di rotazione della Terra intorno al suo asse. Introdotto lo spazio EO dei punti solidali ad una terna con origine nel centro della Terra ed assi puntati verso tre stelle fisse, il moto di EO rispetto ad EN può quindi ritenersi, in un arco di tempo non troppo lungo, traslatorio uniforme. Conseguentemente possiamo considerare EO come uno spazio (approssimativamente) inerziale. Il moto di ET rispetto ad EO è una precessione regolare, cioè un moto composto dalla rotazione della Terra intorno al suo asse e dalla rotazione di tale asse intorno ad 22 un asse ortogonale all’eclittica. In intervalli temporali di alcuni anni questo moto può essere trascurato. Trascurando allora quest’ultima rotazione, il moto di ET rispetto ad EO può essere considerato come un moto rotatorio uniforme con velocità ω ~ τ uguale a quella della rotazione diurna della Terra: ω ~τ = 2π −1 s 86164 (10.4.26) Come conseguenza, le forze apparenti del moto relativo di ET rispetto ad EO sono la forza di trascinamento, che in questo caso riduce alla forza centrifuga −maτ = mωτ2 QP, (10.4.27) dove con O si è indicata la proiezione di P sull’asse terrestre, e la forza di Coriolis −mac = −2m~ωτ ∧ vr . (10.4.28) Su un punto P , libero sulla superficie della terra, oltre a tali forze apparenti, agisce la forza di gravitazione universale che la Terra esercita su di esso. Tale forza è ovviamente il risultante delle forze che i vari punti della Terra esplicano su P . Per determinarla supponiamo la Terra costituita da strati sferici omogenei, la cui densità dipende solo dalla distanza dal centro O della Terra. Per ragioni di simmetria, la forza di gravitazione universale si può rappresentare con un vettore mA, diretto verso O, la cui intensità è inversamente proporzionale al quadrato della distanza del punto P dal centro della terra. Indicata con MT la massa terrestre, con r la distanza di P dal centro della Terra e con u in versore della congiungente il punto P con il punto O, possiamo scrivere: mA = h MT m u r2 =⇒ A=h MT u. r2 (10.4.29) L’equazione fondamentale della Meccanica del punto P libero in prossimità della superficie terrestre è, pertanto: ma = F + mA + mωτ2 QP − 2m~ωτ ∧ vr , (10.4.30) dove F esprime l’eventuale forza presente distinta da quella di gravitazione universale agente su P . Da quest’equazione si riconosce che la forza esplicata dalla Terra su un punto di massa m è espressa (nel suo moto relativo) da F(T) = m(A + ωτ2 QP ) − 2m~ωτ ∧ vr . (10.4.31) Se il punto è in quiete rispetto alla Terra la sua velocità relativa vr si annulla e la forza totale esplicata dalla Terra sul punto in quiete diventa: p = m(A + ωτ2 QP ) (10.4.32) e prende il nome di peso. Vediamo dunque che il peso è il risultante dell’attrazione terrestre e della forza centrifuga dovuta alla rotazione della Terra. 23 In corrispondenza si vede che l’accelerazione di gravità, g, è espressa da g = A + ωτ2 QP (10.4.33) e coincide con l’attrazione gravitazionale A soltanto ai poli, dove la forza centrifuga si annulla. Il peso p e l’accelerazione di gravità g variano con l’altezza e con la latitudine. Precisamente, tenuto conto che il termine centrifugo, essendo diretto verso l’esterno della Terra, ha effetto di alleggerimento (vedi Figura 10.4.1), si deduce che peso e accelerazione diminuiscono con la distanza dalla superficie terrestre in quanto se aumenta r A diminuisce e |QP | cresce, mentre aumentano con la latitudine per il fatto che, spostandosi P dall’Equatore ai Poli, A rimane sensibilmente costante (rigorosamente nell’ipotesi della Terra a strati sferici concentrici omogenei) mentre |QP | diminuisce dal valore del raggio terrestre, all’Equatore, al valore zero, ai Poli. Si constata infatti che g varia da 978 cm sec−2 all’Equatore a 983 cm sec−2 ai Poli, circa. La retta di applicazione del vettore (P, A) passa sempre per il centro della Terra mentre quella di (P, ωτ2 QP ) vi passa solo all’Equatore. Ne segue che la direzione della verticale (per definizione coincidente con la retta di applicazione del peso, cioè del vettore applicato (P, mg)) non passa per il centro della Terra, ad eccezione che all’Equatore e ai Poli. Introdotto il peso, l’equazione fondamentale della meccanica terrestre (10.4.30) si può scrivere nella forma ma = F + mg − 2m~ωτ ∧ vr . (10.4.34) Nella pratica, se la velocità vr del punto P rispetto alla Terra non è troppo elevata, l’ultimo termine nella (10.4.34) risulta trascurabile rispetto all’attrazione gravitazionale mA. Per tale motivo, in molti problemi dell’Ingegneria, si può trascurare la forza di Coriolis (10.4.28). Ne segue che il moto di un grave libero nel vuoto si può ritenere come un moto ad accelerazione costante. Però se si vuole spiegare qualche speciale effetto, come quello della deviazione dalla verticale dei gravi nel moto di caduta o si ha a che fare con velocità elevate, non è lecito trascurare la forza di Coriolis. X.5. TEOREMA DELL’ENERGIA CINETICA Sia F una forza variabile applicata, come forza totale, ad un punto materiale libero P di massa m. Consideriamo il lavoro compiuto da F durante un tempuscolo dt. In base all’equazione fondamentale della Dinamica F = ma, (10.5.1) P = ma · v (10.5.2) La potenza istantanea della forza F è: e poichè l’accelerazione a del punto P è proprio la derivata del1a velocità v, possiamo scrivere µ ¶ d 1 2 dv ·v = mv ; (10.5.3) ma · v = m dt dt 2 24 da cui si deduce, se si pone 1 1 T = mv · v = mv 2 2 2 (10.5.4) la seguente relazione: dT (10.5.5) dt La grandezza scalare T introdotta nella (10.5.4) prende il nome di energia cinetica o forza viva del punto nell’istante considerato. L’equazione (10.5.5) esprime il cosiddetto primo enunciato del P= TEOREMA DELLA FORZA VIVA o TEOREMA DELL’ENERGIA CINETICA: Durante il moto di un punto materiale libero soggetto ad una forza totale qualsiasi F, la potenza istantanea della forza uguaglia in ogni istante la derivata rispetto al tempo dell’energia cinetica T del punto. Moltiplicando la (10.5.3) per dt, si ottiene il lavoro elementare della F per lo spostamento dP = vdt, che P subisce nel considerato intervallo temporale dt: dL = dT (10.5.6) da cui si deduce il seguente secondo enunciato del teorema della forza viva: Durante il moto determinato da una forza su di un punto materiale libero, il lavoro elementare compiuto dalla forza è uguale, in ogni istante, al differenziale dell’energia cinetica, cioè, ricordando il significato del differenziale, il lavoro elementare compiuto dalla forza è, a meno di infinitesimi di ordine superiore a dt, uguale all’incremento subito dall’energia cinetica, nell’intervallo temporale considerato. Più espressivamente si può dire che: tutte le vo1te che la forza F spende lavoro, di altrettanto si accresce l’energia cinetica del punto; tutte le volte che F assorbe lavoro, di altrettanto diminuisce l’energia cinetica del punto P . OSSERVAZIONE: Una giustificazione intuitiva del nome di energia cinetica dato alla quantità T si ha notando che i corpi materiali, quando sono in movimento, acquistano un’attitudine a produrre lavoro, che non hanno in condizione di quiete: per esempio, un martello, quando ha una certa velocità, è in grado di conficcare un chiodo in una tavola, mentre non produce quasi nessun effetto se viene semplicemente appoggiato sulla testa del chiodo; cosı̀ l’aria in quiete non determina alcun effetto dinamico, mentre una corrente d’aria può far girare le pale di un mulino a vento, o di una centrale eolica, producendo lavoro nel senso economico della parola, ecc. Questa forma di energia, che i corpi materiali acquistano in dipendenza del loro stato di moto, si manifesta con effetti tanto più sensibili quanto è maggiore, a parità di massa, il valore assoluto della velocità, e, a parità di ve1ocità, la massa. L’altro nome di forza viva è forse poco opportuno, in quanto l’energia cinetica non è una forza, ma tale nome ha una origine storica, in quanto Leibniz contrapponeva la forza morta, che chiameremmo oggi forza statica (ad esempio, la pressione di un corpo fermo su di un piano d’appoggio, e la forza viva o forza con moto. 25 Consideriamo adesso il lavoro L[t0 t] compiuto da F nell’interva1lo di tempo da un istante fisso t0 ad un istante variabile t, ed integriamo la (10.5.6) da t0 a t; otteniamo: L[t0 ,t] = T − T0 (10.5.7) dove T0 indica l’energia cinetica del punto P nell’istante t0 . Otteniamo cosı̀ il seguente terzo enunciato del teorema della forza viva: La variazione, che, in un qualsiasi intervallo di tempo, subisce l’energia cinetica di un punto libero sollecitato da una data forza F, è eguale al lavoro compiuto in quell’intervallo di tempo dalla forza. ENERGIA POTENZIALE. Se (come già fatto nel paragrafo precedente) interpretiamo il lavoro L[t0 ,t] , compiuto dalla forza totale che sollecita un punto materiale, come l’energia somministratagli dalla forza F che ne determina il moto, la quantità −L[t0 ,t] misurerà l’energia ceduta dal punto all’esterno. Osservando che la (10.5.7) si può scrivere T − L[t0 ,t] = T0 = costante, (10.5.8) potremo dire che durante il moto di un punto libero sollecitato da una data forza (totale) ad ogni istante è costante la somma dell’energia T , posseduta dal corpo sotto forma cinetica, e l’energia −L[t0 ,t] , che, da un istante generico t0 in poi, esso è andato cedendo all’esterno sotto forma di lavoro. INTEGRALE DELL’ENERGIA MECCANICA. Questa conclusione diviene particolarmente espressiva nel caso in cui la forza F è conservativa. In questo caso, l’energia −L[t0 ,t] (a meno di una inessenziale costante additiva) è proprio il potenziale U cambiato di segno. Si ha allora dalla (10.5.8), denotando con E una costante, la seguente relazione importantissima tra T ed U (cioè in sostanza tra la velocità e la posizione del punto): T −U =E (10.5.9) soddisfatta durante tutto il moto. La funzione −U , opposto del potenziale U , prende il nome di energia potenziale. La (10.5.9), che si suol chiamare integrale dell’energia meccanica, esprime il principio di conservazione dell’energia (meccanica), nel caso di un punto materiale libero soggetto ad una forza conservativa. Ogni atto di moto del punto (caratterizzato dalla velocità e dalla posizione) si può riguardare dotato di due forme intrinseche di energia: cinetica e potenziale. Il moto si presenta cosı̀ come un fenomeno di trasformazione di energia cinetica in potenziale o viceversa; ma la quantità totale E di energia rimane costantemente la stessa, senza che dall’esterno ne venga mai ceduta o sottratta. Risulta cosı̀ ben giustificato il nome di energia totale meccanica che si suol dare alla costante E. 26 X.6. AZIONE MECCANICA DEI VINCOLI Abbiamo esaminato i vincoli da un punto di vista cinematico, come dispositivi atti a limitare le posizioni di un sistema materiale. È facile convincersi che i vincoli agiscono su un corpo, sia esso in moto o in equilibrio, anche da un punto di vista meccanico, come dispositivi atti ad esercitare forze. Un corpo che, sotto l’azione di forze applicate, tende ad effettuare uno spostamento impedito da un vincolo agisce su quest’ultimo con un insieme di forze, dette forze di pressione sul vincolo. Contemporaneamente, per il principio di azione e reazione, il vincolo agirà sul corpo con una forza uguale in modulo, ma opposta in verso. Ad esempio, sia P un punto materiale, di massa m, soggetto ad un vincolo (ad esempio di appartenenza ad una curva o ad una superficie) e ad una forza F(P,v,t). Si constata che i moti possibili per il punto P sono diversi da quelli possibili per lo stesso punto P, soggetto alla stessa forza F, ma supposto libero. Deduciamo da questo fatto che il vincolo agisce sul punto P, non solo cinematicamente, limitandone la posizione e la velocità, ma anche meccanicamente, cioè esplicando sul punto P una forza (P,Φ), che, assieme alla F, ne determina il moto. Quanto detto si generalizza ad un generico sistema materiale con il seguente postulato, noto come POSTULATO DELLE REAZIONI VINCOLARI: Postulato 10.6.1: L’azione che un vincolo esplica su un sistema materiale S è rappresentabile con un sistema di forze, applicate in punti di S. Tali forze prendono il nome di reazioni vincolari. Una forza non dovuta a vincoli prende il nome di forza attiva. MECCANICA DEL PUNTO VINCOLATO In base a quanto appena detto, l’equazione fondamentale della meccanica del punto vincolato si scrive: ma = F(P, v, t) + Φ. (10.6.1) dove con Φ si è indicata la reazione del vincolo. EQUILIBRIO DI UN PUNTO VINCOLATO Dalla (10.6.1) deduciamo che in una posizione di equilibrio risulta: F(P, 0, t) + Φ = 0. (10.6.2) Possiamo pertanto affermare: una posizione P ∗ è posizione di equilibrio per il punto vincolato P se in tale posizione il vincolo è capace di esplicare una reazione vincolare in grado di equilibrare la forza attiva agente su P . FORZE ATTIVE E FORZE VINCOLARI Le forze attive hanno la particolarità di non dipendere dalle altre forze che agiscono sul sistema materiale. Le reazioni vincolari, invece, dipendono dalle forze attive e, solitamente, sono incognite. Pertanto, nei problemi di meccanica di sistemi vincolati, oltre a determinare la legge del moto del sistema o le condizione di equilibrio, bisogna determinare anche le reazioni vincolari. Una tale determinazione ha una grande importanza, soprattutto applicativa: infatti i dispositivi che realizzano i vincoli subiscono 27 delle forze opposte a quelle che esplicano; pertanto, per dimensionarli opportunamente, bisogna conoscere tali forze. Esaminare il comportamento meccanico dei vincoli significa determinare, ad esempio attraverso l’esperimento, le reazioni vincolari che essi possono esplicare. Possiamo ad esempio considerare un punto P in quiete sotto l’azione di una forza F. La condizione (10.6.2) (necessaria e sufficiente per l’equilibrio) ci permette di determinare la reazione vincolare che esplica il vincolo: Φ = −F Variando F, possiamo determinare l’insieme di tutte le possibili reazioni esplicate dal vincolo. La corretta determinazione delle direzioni delle reazioni vincolari ha una grande importanza nella risoluzione dei problemi della statica e della dinamica. Considereremo adesso più in dettaglio la direzione delle reazioni vincolari in alcuni essenziali tipi di vincoli, soffermandoci, in particolare sul caso in cui le superfici a contatto sono prive di scabrosità. X.6.1. ATTRITO RADENTE (STATICO) Sia P un punto materiale appoggiato su di un piano fisso π, inclinato di un angolo i rispetto all’orizzontale, soggetto solo al proprio peso (fig. 10.6.1). Figura 10.6.1 L’esperienza mostra che P rimane in quiete se l’angolo i non supera un angolo critico φs , minore di π/4, detto angolo di attrito statico, dipendente dalla costituzione e dallo stato fisico del piano π. Decomponiamo la reazione vincolare in due componenti, ortogonale e parallela al piano inclinato: Φ = Φn + A. Proiettando la (10.6.3) sulle direzioni ortogonale e tangente a π, si ottiene: |A| ≤ |Φn | tan i ≤ |Φn | tan φs ; Posto tan φs = fs 28 (10.6.3) l’equazione (10.6.3) si scrive: |A| ≤ fs |Φn |, ed è nota come legge di Coulomb dell’attrito statico. Il coefficiente fs < 1 prende il nome di coefficiente di attrito statico. Il componente A della reazione vincolare tangente al piano inclinato prende il nome di attrito statico. Come si vede dalla f ig. 10.6.1, se il punto P è in equilibrio, (cioè se l’angolo i non supera l’angolo di attrito statico φs ) il vincolo esplica una reazione vincolare che forma con la normale N al piano π un angolo i e non è, quindi, ad esso ortogonale. L’esperienza mostra tuttavia che, maggiore è lo stato di levigatezza della superficie di π, minore è l’angolo φs che la reazione Φ forma con la normale N a π. Diremo che il piano π è un vincolo privo di attrito o liscio se esso può esplicare soltanto reazioni ad esso ortogonali. Per quel che riguarda in particolare i problemi di equilibrio, un gran numero di problemi di Statica dei sistemi materiali si tratta con facilità ammettendo che i vincoli siano privi di attrito. I risultati a cui si giunge sono accettabili anche nel caso in cui è presente l’attrito. E’ ovvio infatti che, se una data configurazione è per un sistema materiale configurazione di equilibrio, in assenza di attrito, essa resterà posizione di equilibrio in presenza di attrito. L’attrito infatti ostacola il movimento. Conseguentemente, in un problema di equilibrio, trascurando l’attrito si agisce in favore della sicurezza. X.6.2. LAVORO COMPIUTO DAI VINCOLI. VINCOLI IDEALI Il concetto di vincolo ideale è strettamente legato al tipo di lavoro che può compiere l’insieme di reazioni vincolari da esso esplicate. ESEMPIO 10.6.1: Punto materiale appoggiato su di una superficie liscia, fissa o mobile. Sia P un punto materiale appoggiato su di una superficie liscia σ, che per semplicità supporremo fissa, e sia π il piano tangente a σ in P . Figura 10.6.2 Determiniamo il lavoro virtuale che il vincolo esplica sul punto P . Tale lavoro si ottiene moltiplicando scalarmente la reazione vincolare Φ per lo spostamento virtuale 29 δP che può subire il punto P : δL(v) = Φ · δP (10.6.2) Uno spostamento virtuale è in questo caso (vincolo fisso e unilaterale) uno spostamento possibile; esso porta il punto P dalla configurazione P0 sul piano π ad un’altra configurazione consentita dal vincolo, cioè ad una posizione P che, o appartiene ancora al piano π, oppure si trova nella regione di spazio consentita dal vincolo (vedi f ig. 10.6.2). In ogni caso tale vettore δP forma con la reazione vincolare Φ un angolo minore di π/2. Risulta dunque: δL(v) ≥ 0 (10.6.3) In particolare, se lo spostamento virtuale che subisce il punto P è uno spostamento virtuale reversibile, cioè uno spostamento che porta da una configurazione di confine ad un’altra configurazione di confine, il lavoro compiuto dalla reazione vincolare Φ, in corrispondenza a tale spostamento, è nullo δL(v) = 0. Se invece lo spostamento virtuale che subisce il punto P è uno spostamento virtuale irreversibile il lavoro compiuto dalla reazione vincolare è positivo δL(v) > 0. ESEMPIO 10.6.2: Punto materiale vincolato ad appartenere ad una superficie liscia σ, fissa o mobile. In questo caso il vincolo è bilaterale e δP deve appartenere necessariamente al piano π (f ig. 10.6.3), tangente a σ; pertanto: δL(v) = Φ · δP = 0 (10.6.4) Figura 10.6.3 ESEMPIO 5.3: Punto materiale vincolato a restare su una curva liscia γ, fissa o mobile. Sia P un punto materiale vincolato a restare su una curva liscia γ, che supporremo fissa. Possiamo immaginare che il vincolo sia effettuato costringendo il punto P (ad esempio una pallina di piombo, di diametro estremamente piccolo) a scorrere all’interno di un tubicino il cui diametro è appena più grande del diametro della pallina. Se la superficie interna del tubo è priva di attrito la reazione vincolare che essa offre alla pallina è ortogonale alla tangente T alla curva γ nel punto P (vedi fig. 10.6.4). 30 Figura 10.6.4 Determiniamo il lavoro virtuale che il vincolo (il tubo) esplica sul punto P . In questo caso - vincolo fisso e bilaterale - uno spostamento virtuale (essendo uno spostamento possibile) è un vettore tangente alla curva γ nel punto P . Si ha dunque: δL(v) = Φ · δP = 0 (10.6.5) VINCOLI IDEALI L’analisi dei precedenti esempi ci porta a dare la seguente definizione di vincolo privo di attrito o ideale: DEFINIZIONE: Prende il nome di vincolo ideale un vincolo che può esplicare soltanto reazioni il cui lavoro virtuale risulta positivo o nullo. In particolare, se lo spostamento virtuale che subisce il sistema S è uno spostamento virtuale reversibile il lavoro compiuto dalla reazione vincolare, in corrispondenza a tale spostamento, è nullo δL(v) = 0. Se invece lo spostamento virtuale che subisce il sistema S è uno spostamento virtuale irreversibile il lavoro compiuto dalla reazione vincolare è negativo δL(v) > 0. Se il sistema S è soggetto soltanto a vincoli bilaterali (come negli esempi 5.4 e 5.6), ogni spostamento virtuale che esso può subire è uno spostamento reversibile e quindi in tal caso il lavoro che possono esplicare le reazioni vincolari è nullo. X.7. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO. ATTRITO DINAMICO Nelle applicazioni si ha spesso la necessità di studiare il moto di un punto P vincolato. In questo caso l’equazione che regge il moto di P è la (10.4.1). In essa compare la reazione vincolare Φ che il vincolo esplica sul punto P durante il suo moto. Conseguentemente, in un problema di dinamica del punto vincolato, oltre alla legge con cui il punto P si muove, bisogna determinare anche la reazione vincolare Φ, che ovviamente dipenderà da t. Pertanto in un problema di dinamica del punto vincolato le incognite sono: P = P (t) ≡ (x(t), y(t), z(t)), Φ = Φ(t) = (Φx (t), Φy (t), Φz (t)). 31 (10.4.35) Per poter determinare la reazione vincolare Φ che il vincolo (solitamente il vincolo di appartenenza ad una superficie o una curva) esplica sul punto P durante il moto, è necessario avere qualche informazione sulla natura del vincolo. Nel capitolo VI abbiamo studiato questo problema nel caso di un punto in equilibrio sotto l’azione di forze attive e reattive. Adesso ci occuperemo del caso di un punto mobile vincolato. 10.4.6.1. Attrito dinamico. Consideriamo un punto P in moto su una superficie fissa. l’esperienza mostra che la presenza del vincolo si manifesta dinamicamente con la presenza di una forza, la reazione vincolare. Decomponiamo la reazione vincolare in due componenti, ortogonale e tangente alla superficie (o alla curva) su cui il punto P è vincolato a muoversi: Φ = Φn + A. (10.4.36) Il componente A tangente alla superficie (o alla curva) su cui il punto P si muove prende il nome di attrito dinamico. Le esperienze di Coulomb e Morin, mostrano che A è parallelo, ma di verso opposto alla velocità v del punto P e soddisfa la relazione: |A| = fd |Φn |; fd è il coefficiente di attrito dinamico, sempre inferiore a quello di attrito statico, e come quello dipendente sensibilmente solo dalla natura dei corpi a contatto, dallo stato delle superfici a contatto e dall’eventuale presenza di lubrificanti. Concludendo, in un problema di dinamica del punto vicolato con attrito, risulta Φ = Φ n + fd |Φn | v. |v| (10.4.37) FIGURA 10.4.2 Se il vincolo è privo di attrito, la reazione vincolare che il vincolo può esplicare sul punto P è ortogonale alla superficie (o alla curva) su cui P è vincolato. Nel seguito, considereremo essenzialmete sistemi soggetti a vincoli privi di attrito. X.8. EQUAZIONI INTRINSECHE DEL MOTO DI UN PUNTO Talvolta conviene proiettare l’equazione fondamentale (10.4.1) non sugli assi cartesiani (fissi), ma sui tre spigoli del triedro principale (mobile) della traiettoria, determinati, punto per punto, in direzione e verso, dai tre versori T, N, B (tangente, normale principale, binormale). 32 Ricordando le espressioni delle componenti tangenziale e centripeta dell’accelerazione di un punto P si ottengono le tre cosiddette equazioni intrinseche del moto del punto: ms̈ = (F + Φ) · T = FT + ΦT v2 (10.4.38) = (F + Φ) · N = FN + ΦN m R 0 = (F + Φ) · B = FB + ΦB dove s indica l’ascissa curvilinea, R il raggio di curvatura, v il modulo del vettore velocità del punto P , mentre FT , FN , FB , ΦT , ΦN , ΦB denotano le componenti della forza attiva F e della reazione vincolare Φ secondo le direzioni orientate di T, N, B rispettivamente. L’ultima delle (10.4.38) mostra che la forza totale agente sul punto P appartiene al piano osculatore. Le (10.4.38) contengono 4 incognite: l’ascissa curvilinea s in funzione del tempo s(t) e le tre componenti della reazione vincolare Φ(t). Tuttavia, se è nota la natura del vincolo (cioè se si conosce il coefficiente di attrito dinamico) a queste equazioni q va associata la legge di Coulomb-Morin (10.4.37) ed, osservando che risulta Φn = Φ2N + Φ2B , il moto di P può essere determinato. In particolare, nel caso di vincolo privo di attrito, risulta ΦT = 0 ed il sistema (10.4.38) si riduce ad un sistema di 3 equazioni nelle 3 incognite s, ΦN e ΦB . X.9. PROBLEMI DI DINAMICA DEL PUNTO Esempio 10.9.1. Punto soggetto a una forza dipendente dal tempo. Un punto P, di massa m, si mette in moto (dallo stato di quiete) su un piano π liscio orizzontale, sotto l’azione di una forza F, di direzione costante, la cui intensità cresce proporzionalmente al tempo secondo la legge F = F u = ktu. (10.9.1) Determinare la legge del moto del punto. FIGURA 10.9.1 Soluzione. Scegliamo l’origine delle coordinate O nella posizione iniziale di P e orientiamo l’asse x nel senso del moto (si veda la Figura 10.9.1). L’unica forza che influenza il moto è la forza Fx = F ; dall’equazione fondamentale della meccanica per il punto P deduciamo allora: mẍ = Fx = F = kt 33 È questa un’equazione differenziale del secondo ordine nella incognita x= x(t). Si cerca la soluzione di quest’equazione che soddisfa le seguenti condizioni iniziali: x(0) = 0, ẋ(0) = 0. Per risolvere quest problema di Cauchy, posto ẋ = v, si ha: m dv = kt dt (10.9.2) Moltiplicando i due membri dell’uguaglianza per dt, separiamo immediatamente le variabili e, integriamo; si ottiene v= 1k 2 t + c1 . 2m Sostituendo i dati iniziali, si ottiene c1 = 0. Ricordando che v = dx/dt, possiamo scrivere: 1k 2 ẋ = t. 2m Moltiplicando ambedue i membri di quest’uguaglianza per dt, separando nuovamente le variabili e integrando, si ottiene: x= 1 k t3 + c2 2m 3 La sostituzione del dati iniziali fornisce c2 = 0 e si ottiene, infine, la legge del moto del punto P : 1k 3 x= t. (10.9.3) 6m Quindi, il cammino percorso da P cresce proporzionalmente al cubo del tempo. Esempio 10.9.2. Punto soggetto ad una forza dipendente dalla posizione. Trascurando l’attrito e la resistenza dell’aria, determinare il tempo necessario ad un corpo per percorrere un tunnel scavato attraverso la Terra lungo la corda AB dall’entrata A all’uscita B (Figura 10.9.2). Per il calcolo, si prenda il raggio R della Terra uguale a 6370 chilometri e si supponga che quando P si trova all’interno della Terra esso venga attratto verso il suo centro con una forza F direttamente proporzionale alla distanza r di P dal centro della terra. Soluzione. Tenendo presente che per r = R (cioè sulla superficie terrestre), la forza F è uguale al peso del corpo (F = mg), si deduce che all’interno della Terra è: r F = mg , R dove r = CP è la distanza del punto P dal centro C della Terra. Scegliamo l’asse x secondo la direzione del tunnel, poniamo l’origine O nel punto medio del tunnel (come vedremo, in questo punto il corpo all’interno del tunnel sarebbe 34 in equilibrio). Denotando con 2a la lunghezza del tunnel, le condizioni iniziali del problema sono x(0) = a, ẋ(0) = v(0) = 0. In una posizione arbitraria P subisce l’azione della forza gravitazionale F e della reazione Φ del vincolo, che supponiamo perpendicolare al tunnel (vincolo liscio). Di conseguenza, abbiamo ma = F + Φ, da cui si deduce: ½ mẍ = −F cos α, 0 = −F sin α + Φy . (10.9.4) Si ha r cos α = x, e quindi: −F cos α = −mg r cos α x = −mg . R R Vediamo dunque che la forza applicata risulta dipendente dalla coordinata x del punto P. La prima delle (10.9.4) fornisce l’equazione differenziale del moto di P: g mẍ = −m x. R (10.9.5) Si tratta dell’equazione differenziale di un moto armonico di pulsazione q g/R. FIGURA 10.9.2 Per integrarla possiamo procedere in due modi. 1) metodo: L’equazione (10.9.5) è un’equazioneqdifferenziale lineare del secondo ordine omogenea a coefficienti costanti. Posto ω = g/R, e scritta la (10.9.5) ẍ + ω 2 x = 0 (10.9.6) cerchiamone una soluzione del tipo x = eλt ; si ottiene λ = ±iω. Deduciamo dunque che due integrali particolari dell’equazione (10.9.6) sono le due funzioni: x = cos t = eiωt + e−iωt , 2 sin t = eiω − e−iωt 2i (10.9.7) Conseguentemente l’integrale generale della (10.9.6) si scrive: x(t, c1 , c2 ) = c1 cos ωt + c2 sin ωt 35 (10.9.8) con c1 e c2 costanti arbitrarie, o equivalentemente x(t, A, φ) = A cos(ωt + φ) (10.9.9) con A e φ costanti arbitrarie. A prende il nome di ampiezza dell’oscillazione, ω di pulsazione, 2π/ω di periodo dell’oscillazione e φ di fase. 2) metodo: Per determinare l’integrale generale dell’equazione differenziale (10.9.5), possiamo moltiplicare primo e secondo membro per la velocità vx = ẋ(t) e quindi scrivere: g mẋẍ = −m xẋ R cioè 1 dv 2 mg dx2 m =− 2 dt 2R dt e quindi: · ¸ d 1 2 mg 2 mv + x =0 dt 2 2R otteniamo cosı̀: 1 2 mg 2 1 2 mg 2 mv + x = mv0 + x (10.9.10) 2 2R 2 2R 0 Vediamo dunque che la quantità 1 mg 2 E(x, v) = mv 2 + x 2 2R (10.9.11) (l’energia meccanica) si conserva durante il moto del punto P. L’equazione (10.9.3) prende il nome di integrale primo dell’equazione differenziale (10.9.10), o anche integrale primo del moto del sistema meccanico. Sostituendo nella (10.9.10) i dati iniziali, x(0) = a, v(0) = 0, si ha: 1 2 mg 2 mv = (a − x2 ) 2 2R da cui: r g 2 (a − x2 ) R Tenendo presente che nella posizione in esame la velocità è diretta da P verso O, cioè vx < 0, poniamo davanti alla radice il segno − (è facile, tuttavia, verificare che lo stesso risultato si otterrà anche se scegliamo il segno q +). Sostituendo allora dx/dt a vx , e ponendo ω = Rg otteniamo v=± q v = − ω(a2 − x2 ) Separando le variabili, riduciamo quest’equazione alla forma −√ dx = ωdt − x2 a2 e, integrando, otteniamo: arccos x + c = ωt a 36 (10.9.12) Sostituendo infine in quest’equazione il dato iniziale (per t = 0, x = a), si ottiene c = 0. Si ha, infine, la legge del moto del corpo nel tunnel: x = a cos ωt. (10.9.13) Di conseguenza, il corpo effettuerà nel tunnel AB oscillazioni armoniche con ampiezza a. Determiniamo ora il tempo t1 impiegato dal punto P per arrivare all’estremità B del tunnel. Nel punto B risulta x = −a. Sostituendo questo valore nell’equazione (10.9.12), otteniamo cos ωt1 = −1 =⇒ ωt1 = π =⇒ t1 = π/ω. q Ma in base alla notazione introdotta, ω = g/R. Ne segue che la durata del moto all’interno del tunnel AB non dipende dalla sua lunghezza ed è uguale sempre a s t1 = π R . g Questo risultato, molto interessante, ha generato una serie di progetti (per il momento fantastici) di scavo di tale tunnel. Determiniamo infine la velocità massima raggiunta dal punto P durante il moto. E’ noto che se una funzione f (x) (nel nostro caso v = ẋ) ha un massimo in un punto P0 , in quel punto si annulla la derivata f 0 (x). Un facile calcolo porta alla conclusione che il punto P raggiunge la sua massima velocità nel centro del tunnel, cioè nel punto O in cui si ha x = 0. Si ha, quindi, per la (10.9.12) r vmax = vx=0 = ωa = a g . R R Ad esempio, se risulta 2a = 10 = 637km (una distanza approssimata da Roma a Milano), allora vmax ' 395m/s = 1422km/h. Esempio 10.9.3. Punto soggetto ad una forza dipendente dalla velocità. Una barca di massa m = 40kg è spinta con velocità iniziale v0 = 0.5m/s. Si supponga che la resistenza dell’acqua, per piccole velocità, sia schematizzabile con una forza proporzionale alla prima potenza della velocità, applicata nel baricentro G della barca: R = −µv (10.9.15) (dove µ = 9, 1kg/s). Determinare in quanto tempo la velocità della barca si dimezzerà e lo spazio percorso in questo tempo. Determinare anche lo spazio percorso dalla barca prima di fermarsi. Soluzione. Scegliamo l’origine O nella posizione iniziale del baricentro G della barca e l’asse x nel senso del moto (Figura 10.9.3). In quest’esempio, prescinderemo dal moto 37 della barca intorno al baricentro e supporremo che essa si possa schematizzare come un punto materiale soggetto alla forza peso p, alla spinta archimedea N ed alla forza di resistenza R (vedi Figura 10.9.3). Le condizioni iniziali per t = 0 sono OG(0) = (0, 0, 0), vG (0) = (v0 , 0, 0). Indicando con x = xG l’ascissa del punto G, l’equazione fondamentale della meccanica, proiettata sull’asse x orizzontale, porge: mẍ = −µẋ. (10.9.16) FIGURA 10.9.3 In quest’equazione manca la variabile indipendente x. Possiamo dunque ricondurre il problema alla risoluzione dell’equazione: m dv = −µv. dt (10.9.17) Integriamo quest’equazione per separazione delle variabili. m m dv = −µdt, v Z v du v0 u = −µ Z t 0 ln v − ln v0 = − dτ, µ t. m Di qui abbiamo, infine: m v0 ln . (10.9.18) µ v Il tempo cercato t1 si determina ponendo v = 0.5v0 . Come si vede, tale tempo non dipende da v0 . Si ha allora (essendo ln 2 ' 0.69) t= t= m v0 ln ≈ 3sec. µ v Per determinare il cammino percorso è opportuno osservare che dv dx dv dv = = v dt dx dt dx Si ottiene allora mv dv = −µv dx 38 Da cui, dividendo per v e separando le variabili, si ottiene: m(v − v0 ) = −µ(x − x0 ) di conseguenza, tenendo presente le condizioni iniziali, otteniamo l’espressione che fornisce lo spazio percorso: m x = (v0 − v) (10.9.19) µ Ponendo v = v0 /2, si ottiene: m v0 ' 1.1m µ Per determinare la distanza percorsa dalla barca prima di fermarsi, poniamo nell’equazione (10.9.19) v = 0. Si ha allora x1 = x2 = m v0 ' 2.2m µ Se infine vogliamo determinare il tempo impiegato dalla barca prima di fermarsi, basterà sostituire nell’equazione (10.9.19) v = 0. Si ottiene: t2 = ∞. Ciò significa che, secondo la legge di resistenza assegnata (R = µv), la barca si avvicinerà alla posizione finale (determinata dalla coordinata x2 ) in modo asintotico. Poichè, invece, è sperimentalmente noto che la barca si ferma in un tempo finito, si deduce che, al decrescere della velocità, la legge R cambia, e conseguentemente anche la dipendenza tra v e t. Esempio 10.9.4: Caduta libera di un corpo in un mezzo resistente (nell’aria) Un altro esempio importante di moto sotto l’azione di una forza dipendente dalla velocità è il moto di un corpo in un mezzo resistente. Un corpo, in moto in un qualunque mezzo, subisce una resistenza dipendente dalla forma e dalle dimensioni del corpo e dalla sua velocità, nonchè dalle proprietà del mezzo stesso. La forza di resistenza R del mezzo viene determinata di solito dalla formula R = −Aαρf (v) versv (10.9.20) Nella (10.9.20) A è l’area investita (l’area della proiezione del corpo sul piano perpendicolare alla direzione del moto), ρ la densità del mezzo (a temperatura di 15o C e pressione di 760 mm Hg, per l’aria, ρ = 18 Kg s2 /m4 ); α un coefficiente di resistenza adimensionale, detto fattore di forma, dipendente solo dalla forma e dall’orientamento del corpo rispetto alla direzione del moto (per esempio, per il paracadute α = 10.9.4; per il pallone α = 0.5; per certi corpi a forma di fuso, con buone caratteristiche aerodinamiche, α è minore di 0.03; nella maggioranza dei casi, tra cui l’aria, si può porre α = costante), f (v) una funzione continua, non negativa e crescente del modulo di v. Sperimentalmente si constata che per v < 2m/s è f (v) ∼ v e la resistenza R si dice viscosa; per 2m/s< v < 200m/s è f (v) ∼ v 2 e la resistenza R si dice idraulica, per v > 200m/s è f (v) ∼ v 3 , poi è f (v) ∼ v 4 , infine, per valori ancora più grandi di v è nuovamente f (v) ∼ v. 39 Consideriamo il problema di caduta libera di un punto P nell’aria da un’altezza non molto grande rispetto al raggio della Terra (in modo da poter considerare costanti il peso del corpo p e la densità ρ dell’ aria). Trascurando la forza di Coriolis e la spinta archimedea, l’equazione del moto di P si scrive: ma = mg + R (10.9.21) Scelto un riferimento con origine in P0 (posizione iniziale del grave) e l’asse z verticale discendente, in componenti la (10.9.21) si scrive: f (v) mẍ = −Aαρ v ẋ mÿ = −Aαρ f (v) ẏ v f (v) mz̈ = −Aαρ v ż + mg (10.9.22) FIGURA 10.9.4 Mostriamo anzitutto che se P parte dalla quiete il moto avviene lungo l’asse verticale. A tale scopo, moltiplichiamo la prima e la seconda delle (10.9.22) rispettivamente per ẋ e ẏ, e quindi sommiamo le equazioni cosı̀ ottenute. Si trova: m(ẋẍ + ẏ ÿ) = −Aαρ ´ f (v) ³ 2 ẋ + ẏ 2 ≤ 0 v da cui: ´ ´ d1 ³ 2 f (v) ³ 2 m ẋ + ẏ 2 = −Aαρ ẋ + ẏ 2 ≤ 0 (10.9.23) dt 2 v Quest’equazione ci dice che la derivata rispetto al tempo della quantità (ẋ2 + ẏ 2 ) è non positiva, cioè questa quantità può soltanto diminuire o restare costante. Essendo per ipotesi il punto P fermo all’istante iniziale, tale quantità assume inizialmente valore zero, conseguentemente: ´ d ³ 2 ẋ + ẏ 2 = 0 dt ⇒ x = 0, y = 0, ∀t (10.9.24) Pertanto il sistema (10.9.22) si riduce a: mz̈ = −Aαρf (ż) + mg (10.9.25) È questa un’equazione differenziale del secondo ordine, nella incognita z = z(t), in cui non compare esplicitamente la variabile z. Ponendo ż = v, otteniamo subito la 40 seguente equazione differenziale di primo ordine nella incognita v: m dv = −Aαρf (v) + mg dt (10.9.26) Cerchiamo prima di tutto se esistono soluzioni costanti v = V di questa equazione; un tale valore V deve soddisfare l’equazione: −Aαρf (V ) + mg = 0 (10.9.27) Ricordando che f (v) è una funzione crescente di v, nulla per v = 0, deduciamo che l’equazione (10.9.27) ammette una sola soluzione, espressa da: f (V ) = mg Aαρ (10.9.28) Tale soluzione V prende il nome di velocità critica del grave; essa corrisponde ad un moto di P con velocità costante (moto stazionario). Come si verifica immediatamente l’integrale v = V , cui corrisponde il moto z = V t, non soddisfa le condizioni iniziali poste. Utilizzando la (10.9.28) l’equazione differenziale (10.9.26) si scrive: dv g =− (f (v) − f (V )) dt f (v) (10.9.29) Separando le variabili ed integrando otteniamo subito: Z v 0 dξ g = t (f (V ) − f (ξ)) f (V ) (10.9.30) La (10.9.30) definisce implicitamente v come funzione di t; integrando la v = v(t) che si ottiene invertendo, si ricava la z = z(t). Mostriamo che la velocità critica V , introdotta nella (10.9.23) è il valore asintotico della velocità, mostriamo cioè che ∀t v < V, lim v = V t→+∞ (10.9.31) Come prima cosa, notiamo che sono verificate le ipotesi di esistenza ed unicità per le soluzioni dell’equazione differenziale (10.9.29) e ricordiamo che v = V è soluzione dell’equazione (10.9.29), che non soddisfa le condizioni iniziali. Pertanto, la funzione v = v(t) soluzione del problema di Cauchy posto, non può assumere mai il valore V , ed essendo una funzione continua, che si annulla per t = 0, assumerà sempre valori minori di V . Si vede cosı̀ che ∀t > 0 → 0 < v < V. Per mostrare che V è il valore asintotico di v, passiamo al limite per t → +∞ nella (10.9.30). Otteniamo: Z v dξ lim = +∞ t→+∞ 0 f (V ) − f (ξ) 41 e il limite dell’integrale a primo membro è +∞ solo se, al tendere di t a +∞, v → V (la funzione integranda è infatti, per 0 < ξ < V , una funzione continua di V ). Riepilogando, poichè il moto parte dalla quiete, se f (V ) = mg/Aαρ < (2m/s)2 il moto si svolge tutto in regime viscoso; se (2m/s)2 < f (V ) = mg/Aαρ < (200m/s)2 il moto inizia in regime viscoso, con f (v) = 2(m/s)v, dopo un certo tempo il regime diventa idraulico, e cosı̀ rimane. Se f (V ) > (200m/s)2 avremo un primo intervallo a regime viscoso, un secondo a regime idraulico, un terzo in cui f (v) ∼ v 3 , ecc. Per quel che riguarda il moto di un grave nell’aria, risulta (solitamente) (2m/s)2 ≤ f (V ) ≤ (200m/s)2 . Il moto inizia in regime viscoso, dopo un tempo molto breve (meno di 1 secondo), passa in regime idraulico e ivi permane. Per semplicità supporremo che il moto sia in regime idraulico sin dall’istante iniziale. Consideriamo dunque il caso particolare f (v) = kv 2 (10.9.32) a cui corrisponde: R = −Aαρkv 2 versv (10.9.33) Dalla (10.9.28) deduciamo che la velocità critica del regime idraulico è: s V = mg Aαρk (10.9.34) Integriamo l’equazione differenziale del moto nel caso considerato: Z v g dξ 1 V +v t = = ln 2 2 2 V 2V V −v 0 V −ξ Ricavando v in funzione di t: à v=V 1− ! 2 2g 1 + eV t (10.9.35) Da quest’equazione si deduce che la velocità si avvicina molto rapidamente alla velocità critica; ne segue che, dopo pochi secondi, il moto si può ritenere uniforme con velocità costante uguale a V . Esempio 10.9.5: Deviazione dalla verticale di un corpo che cade. Si è osservato che un corpo, cadendo nel vuoto (o anche nell’aria) devia dalla verticale. Ciò si spiega tenedo conto della forza di Coriolis dovuta alla rotazione della terra intorno al proprio asse. 42 FIGURA 10.9.5 L’equazione del moto di un grave in prossimità della terra, trascurando la resistenza dell’aria si scrive: ma = mg − 2m~ω ∧ v (10.9.36) Proiettiamo quest’equazione in un riferimento con origine nella posizione iniziale del grave, l’asse z orientato come la verticale ascendente, l’asse x secondo la tangente al meridiano per P0 diretto verso Nord, l’asse y tangente al parallelo per P0 diretto verso Ovest. Si ha: vP = (ẋ, ẏ, ż) aP = (ẍ, ÿ, z̈) g = (0, 0, −g) (10.9.37) ω ~ = (ω cos α, 0, ω sin α) ω ~ ∧ v = (−ω sin α ẏ, −ω cos α ż + ω sin α ẋ, ω cos α ẏ) Si ottiene il seguente sistema differenziale del sesto ordine: ẍ = 2ω sin α ẏ ÿ = 2ω(cos α ż − sin α ẋ) z̈ = −g − 2ω cos α ẏ (10.9.38) Il moto cercato è l’integrale particolare di questo sistema che soddisfa le condizioni iniziali P (0) = 0 e v(0) = 0, cioè, in componenti: x(0) = 0, y(0) = 0, x(0) = 0, ẋ(0) = 0, ẏ(0) = 0, ż(0) = 0. (10.9.39) Per determinarlo integriamo la prima e la terza equazione, ẋ = 2ω sin α y, ż = −gt − 2ω cos α y (10.9.40) e sostituiamo i valori ottenuti nella seconda: ÿ = 2ω[cos α (−gt − 2ω cos α y) − 2ω sin2 α y] Si ottiene ÿ + 4ω 2 y = −2ω cos α g t L’integrale generale di quest’equazione si scrive: y = A cos 2ωt + B sin 2ωt − 43 g cos α t 2ω (10.9.41) sotituendo le condizioni iniziali y(0) = 0 e ẏ(0) = 0, si ottiene A = 0, B= g cos α 4ω 2 l’integrale particolare cercato è y(t) = g cos α (2ωt − sin 2ωt) 4ω 2 (10.9.42) Si vede cosı̀ che, poichè per t > 0 risulta 2ωt > sin 2ωt, la coordinata y di P è per t > 0 negativa. Si deduce da ciò che il grave devia verso est. Per valori di t piccoli, dell’ordine di decine di secondi, è lecito sviluppare il seno in serie di Mac-Laurin, ottenendo: g cos α 3 y(t) ' −2 ωt 3 Per conoscere il moto del grave dobbiamo ancora determinare x(t) e z(t). Sostituendo nella prima delle (10.9.38) la derivata dell’equazione (10.9.42), si ottiene: ẍ = −g sin α cos α(1 − cos 2ωt) (10.9.43) Integrando successivamente due volte ed utilizzando le condizioni iniziali, si ottiene: x(t) = − g sin α cos α (2ω 2 t2 − cos 2ωt − 1) 2 4ω (10.9.44) Sviluppando il coseno in serie di Mac-Laurin si ottiene: cos 2ωt > 1 − (2ωt)2 2 e, per piccoli valori di t g sin α cos α (2ωt)4 4ω 2 4! Si vede da ciò che per t > 0 risulta x(t) > 0, cioè che il punto devia verso l’equatore. Tale deviazione è però di ordine inferiore rispetto a quella verso est. Infine, derivando la (10.9.42) e sostituendo nella terza equazione del sistema (10.9.38), si ottiene, dopo due integrazioni: x(t) ' − 1 g cos2 α z(t) = − gt2 + (2ω 2 t2 + cos 2ωt − 1) 2 4ω 2 (10.9.45) Esempio 10.9.6: Pendolo semplice. Si chiama pendolo semplice un punto materiale soggetto al proprio peso e vincolato a muoversi su una circonferenza γ, priva di attrito, situata in un piano verticale. Sia O il centro della circonferenza, R il suo raggio (lunghezza del pendolo semplice) e θ l’angolo formato tra OP e la verticale discendente, contato in verso antiorario. 44 FIGURA 10.9.6 L’equazione (2.1) per il pendolo si scrive: ma = mg + Φ. (10.9.46) Per determinare l’equazione del moto di P , utilizzeremo le equazioni intrinseche (2.38), che in questo caso, si scrivono: ms̈ = (mg + Φ) · T = −mg sin θ 2 m vR = (mg + Φ) · N = −mg cos θ + ΦN 0 = (mg + Φ) · B = ΦB (10.9.47) Contando l’ascissa curvilinea, s, a partire dal punto più basso di γ e in verso concorde a θ, si ha: s = Rθ, ṡ = Rθ̇, s̈ = Rθ̈. (10.9.48) Sostituendo nelle (10.9.47) si ottiene: mRθ̈ = −mg sin θ mRθ̇2 = −mg cos θ + ΦN (10.9.49) ΦB = 0 la prima delle (10.9.49), fornisce: θ̈ = − g sin θ R (10.9.50) che è l’equazione differenziale del moto del pendolo. In quest’equazione non compare esplicitamente la variabile θ̇. Possiamo allora procedere come nell’esercizio 2 (II metodo). Si ottiene: s θ̇ = ± 2g (cos θ − cos θ0 ) + θ̇02 R (10.9.51) In quest’equazione θ0 e θ̇0 individuano la posizione e la velocità angolare iniziali del punto P . Rinunciamo ad occuparci della soluzione dell’equazione (10.9.51), che si 45 riconduce agli integrali ellittici, osserviamo che, utilizzando il risultato (10.9.51), possiamo determinare la reazione vincolare che la circonferenza esplica sul punto P , in funzione della posizione da esso occupata. Dalla seconda delle (10.9.49) otteniamo, infatti: ΦN = mRθ̇2 + mg cos θ = mg(3 cos θ − 2 cos θ0 ) + mRθ̇02 (10.9.52) X.10. ESERCIZI DI RIEPILOGO Esercizio 1 Due punti P1 e P2 di massa m1 = 0.5 Kg e m2 = 0.8 Kg, sono collegati ad una molla di costante elastica k = 2 N/cm. Il sistema si trova a riposo nella sua posizione di equilibrio, quando viente tolta la massa P2 . Determinare l’equazione del moto el il periodo delle piccole oscillazioni del peso rimasto. Esercizio 2 Un punto P di massa m è libero di muoversi in un piano orizzontale. Su di esso agiscono due forze elastiche di costante elastica k1 e k2 e centri in due punti A1 e A2 distanti tra loro d. Determinare le equazioni differenziali del moto di P . 46 CAPITOLO XI STATICA DEI SISTEMI MATERIALI. La Statica è quella parte della meccanica che studia le condizioni di equilibrio dei corpi materiali sottoposti all’azione di forze. Per equilibrio si intende uno stato di riposo di un corpo rispetto ad un osservatore. Se il movimento dell’osservatore rispetto al quale si studia l’equilibrio può essere trascurato, l’equilibrio viene detto assoluto, altrimenti si parla di equilibrio relativo. In pratica, nei calcoli, si può considerare come assoluto l’equilibrio rispetto alla Terra, o ai corpi rigidamente collegati alla Terra. La validità di questa affermazione sarà dimostrata nella dinamica, dove sarà esaminato in dettaglio il problema dell’equilibrio relativo dei corpi. Tutti i solidi esistenti in natura modificano più o meno la loro forma (si deformano) sotto l’influenza di forze esterne. In molti problemi di statica, tuttavia, le deformazioni che subiscono i corpi sono molto piccole e possono essere trascurate. Un corpo solido tale che la distanza tra due qualsiasi suoi punti non vari nel corso del tempo prende il nome di corpo rigido. Nel seguito, risolvendo i problemi di statica, supporremo spesso i corpi rigidi. Come vedremo, le condizioni di equilibrio che otterremo per i corpi rigidi, possono essere ugualmente applicate a corpi deformabili. Conseguentemente, la statica dei corpi rigidi ha delle applicazioni assai vaste. Perchè un corpo rigido, sotto l’azione di un sistema di forze sia in equilibrio, è necessario che queste forze soddisfino le condizioni di equilibrio. Per studiare tali condizioni è necessario saper comporre le forze agenti su un corpo rigido, sostituire l’azione di un sistema di forze con un altro, ed in particolare ridurre un dato sistema di forze ad uno di forma più semplice. Le forze sono rappresentate matematicamente con vettori applicati: la teoria dell’equivalenza e della riducibilità dei sistemi di vettori applicati è quindi parte integrante della statica. In questo corso studieremo anche le condizioni di equilibrio di un sistema materiale costituito da più punti e corpi rigidi vincolati tra di loro e al mondo esterno. I problemi della statica possono essere risolti sia per mezzo di costruzioni geometriche adeguate (metodi geometrici e grafici), sia per mezzo di calcoli numerici (metodi analitici). In questo corso studieremo entrambi i metodi, tenendo presente che le costruzioni geometriche illustrative giocano un ruolo importante nei problemi di statica del corpo rigido. XI.1. FORZE INTERNE AD UN SISTEMA MATERIALE Consideriamo un sistema materiale qualsiasi S, costituito dai punti materiali Pi (i = 1, 2, ...n). Per semplicità consideremo n finito; tuttavia, le formule che scriveremo possono estendersi anche agli insiemi di infiniti punti, come accade, per esempio, nei P sistemi materiali continui, in cui le sommatorie del tipo ni=1 vengono sostituite da integrali. 47 Le forze agenti sul generico punto P di S si distinguono in forze interne ed esterne. Si chiamano forze esterne agenti sul punto Pi le forze trasmesse a tale punto da qualche ente fisico non facente parte del sistema; si chiamano forze interne agenti sul punto Pi le forze trasmesse al punto Pi da altri punti Pj , appartenenti anch’essi allo stesso sistema. Denotiamo con Σ(i) l’insieme delle forze interne e con Σ(e) l’insieme delle forze esterne agenti su S. Conseguenza del principio di azione e reazione è la seguente proprietà: Proprietà 1.1: la sollecitazione interna agente su un sistema è in ogni istante equivalente a zero (costituisce un sistema di forze equilibrato). Dimostrazione: Siano Pi e Pj due generici punti del sistema S. Sia (Pi , Fij ) la forza che Pj esplica sul punto Pi ; la direzione di tale forza, come è noto, è quella della retta che passa per Pi e Pj . Per il principio di azione e reazione il punto Pi deve esplicare sul punto Pj una forza (Pj , Fji ) uguale e contraria. Conseguentemente, le forze che a due a due si esplicano i punti del sistema S sono coppie di braccio nullo. Deduciamo cosı̀ che il sistema Σ(i) delle forze interne è l’unione di un numero finito di coppie di (i) braccio nullo. Denotando con R(i) e MQ risultante e momento risultante rispetto al polo Q del sistema delle forze interne, possiamo scrivere: ( R(i) = 0 MQ (i) = 0 (11.1.1) Ovviamente, essendo nullo il risultante delle forze interne, dal teorema di trasposizione dei momenti deduciamo che è nullo il momento delle forze interne relativo ad ogni altro polo dello spazio. XI.2. DEFINIZIONE DI EQUILIBRIO. Sia S un sistema materiale che possiamo supporre composto da un numero finito di punti materiali. Sia P un generico punto di S. Come è stato già detto, una posizione P ∗ si dice posizione di equilibrio per P , se accade che, posto ad un istante t0 il punto P nella posizione P ∗ con velocità nulla, esso rimane ivi indefinitamente. Ciò vuol dire che la condizione P (t0 ) = P ∗ implica P (t) = P ∗ , ∀t > t0 . (11.2.1) Derivando la (11.2.1) rispetto al tempo deduciamo: vP = 0, aP = 0, ∀t > t0 . (11.2.2) Consideriamo adesso il sistema S. Diremo che una configurazione S è configurazione di equilibrio per il sistema S se in tale configurazione ogni punto P di S si trova in equilibrio. Possiamo dunque dare la seguente definizione per l’equilibrio di un sistema materiale: Una configurazione S ∗ si dice configurazione di equilibrio per il sistema S, se posto il sistema in tale configurazione con atto di moto nullo, ivi rimane indefinitamente. 48 Se il sistema S è un sistema olonomo ad N gradi di libertà la configurazione S ∗ è ∗ ), cioè dal vettore q∗ dello spazio RN . Conindividuata dagli N parametri (q1∗ , q2∗ , ..., qN ∗ seguentemente la configurazione S ∗ , corrispondente ai valori (q1∗ , q2∗ , ..., qN ) dei parametri lagrangiani, è una configurazione di equilibrio se la condizione q(t0 ) = q∗ implica q(t) = q∗ , ∀t > t0 . (11.2.3) Indichiamo con mP la massa del generico punto P di S, con FP la forza attiva che agisce su di esso e con ΦP la forza che un eventuale vincolo esplica sul punto P . Tenendo presente la (11.7.2) e la legge di Newton: mP aP = FP + ΦP , (11.2.4) deduciamo che in una posizione di equilibrio risulta: FP + ΦP = 0, ∀P ∈ S. (11.2.5) Riassumendo si hanno le seguenti definizioni equivalenti per l’equilibrio di un punto e di un sistema materiale: Punto libero: una posizione P ∗ è posizione di equilibrio per il punto libero P se in tale posizione è nulla la forza attiva agente su P . Punto vincolato: una posizione P ∗ è posizione di equilibrio per il punto vincolato P se in tale posizione il vincolo è capace di esplicare una reazione vincolare in grado di equilibrare la forza attiva agente su P . Sistema materiale: una configurazione S ∗ è una configurazione di equilibrio per il sistema S, se i vincoli che agiscono su di esso sono capaci di esplicare un insieme di reazioni vincolari atte ad equilibrare le forze attive. XI.3. EQUAZIONI CARDINALI DELLA STATICA Sia S un sistema materiale costituito da un numero finito di punti. Sia Ps il generico punto di S, ms la sua massa, as la sua accelerazione. La legge fondamentale della meccanica per tale punto Ps si scrive: ms as = e s + is (11.3.1) dove si sono indicati con es e is rispettivamente i risultanti delle forze esterne e delle forze interne agenti sul punto Ps . Il sistema S sarà in equilibrio se ogni suo punto sarà in equilibrio (non varierà cioè il suo stato di quiete). La condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio del punto Ps si deduce subito dalla (11.3.1) imponendo che la sua accelerazione as sia nulla; si ottiene: es + is = 0. (11.3.2) Sommando sull’indice s otteniamo: n X s=1 es + n X s=1 49 is = 0 Denotando con R(e) e R(i) rispettivamente il risultante delle forze esterne e quello delle forze interne, la (11.3.2) si scrive: R(e) + R(i) = 0; ricordando infine la (11.1.1)1 ricaviamo R(e) = 0 (11.3.3) nota come prima equazione cardinale della statica dei sistemi materiali. Moltiplichiamo adesso la condizione di equilibrio (11.3.2) per il punto Ps vettorialmente a sinistra per il vettore TPs ; si ottiene: TPs ∧ es + TPs ∧ is = 0 sommando sull’indice s: n X TPs ∧ es + s=1 (e) n X TPs ∧ is = 0 s=1 (i) Denotando con MQ e MQ rispettivamente il risultante delle forze esterne e quello delle forze interne, la (11.3.2) si scrive: (i) (e) MQ + MQ = 0; ricordando infine la (11.1.1)2 ricaviamo (e) MQ = 0, (11.3.4) nota come seconda equazione cardinale della statica dei sistemi materiali. Le equazioni (11.3.3), (11.3.4) prendono il nome di Equazioni Cardinali della Statica dei Sistemi Materiali. Poichè tali equazioni sono state dedotte supponendo che il sistema S sia in equilibrio, esse forniscono una condizione necessaria per l’equilibrio dei sistemi materiali. Come mosteremo negli esempi seguenti le equazioni cardinali sono condizione necessaria, ma, in generale non sufficiente, per l’equilibrio dei sistemi materiali. ESEMPIO 11.3.1: Consideriamo un sistema S, costituito da due punti P1 e P2 , collegati da una molla. Se la molla è allungata rispetto alla sua posizione di riposo, su S agiscono due forze, (P1 ,F) e (P2 ,-F), di modulo uguale alla deformazione della molla (f ig. 11.3.1). Il sistema di queste due forze è un sistema equilibrato (le due forze costituiscono una coppia di braccio nullo); sono pertanto soddisfatte le equazioni cardinali della statica, ma il sistema non è in equilibrio (i due punti, infatti si muovono sotto l’azione della molla). ESEMPIO 11.3.2: Consideriamo un sistema S, costituito da due aste rigide OA ed AB incernierate in O e soggette alle due forze (A, F) e (B, −F) come in f ig. 11.3.2. Anche in questo caso le equazioni cardinali della statica sono soddisfatte, ma il sistema S non è in equilibrio. 50 fig. 11.3.1 fig. 11.3.2 XI.4. STATICA DEI CORPI RIGIDI Enunceremo adesso alcune delle leggi fondamentali dell’equilibrio dei corpi rigidi. Alcuni degli assiomi che enunceremo sono in realtà dei teoremi e verranno dimostrati in seguito, utilizzando la statica analitica. Enunciamo la seguente fondamentale legge: Legge fondamentale della Statica dei corpi rigidi: Condizione necessaria e sufficiente perchè un corpo rigido soggetto a un sistema di forze Σ sia in equilibrio, rispetto ad un dato osservatore, è che in ogni istante il sistema Σ sia equivalente a 0. ( R(e) = 0 (11.4.1) MQ (e) = 0 La prima di queste equazioni viene spesso chiamata equazione dei risultanti, la seconda equazione dei momenti. Quando si applica la prima equazione per studiare l’equilibrio di un corpo rigido, si suole dire, un po’ impropriamente, che si studia l’equilibrio alla traslazione; quando si applica la seconda equazione si suole dire che si studia l’equilibrio alla rotazione intorno al punto Q. Nel paragrafo 4 è stato mostrato che le Equazioni Cardinali della Statica sono condizioni necessarie per l’equilibrio dei sistemi materiali. Mostreremo in seguito, facendo uso della statica analitica, che esse, debitamente interpretate, sono anche sufficienti per l’equilibrio dei corpi rigidi. Enunciamo adesso alcuni corollari, che si deducono dalla teoria dei sistemi di vettori applicati: Corollario 11.4.1: Un sistema rigido, soggetto a due sole forze (P1 , F1 ) e (P2 , F2 ) può stare in equilibrio se e solo se tali forze formano una coppia di braccio nullo (sono uguali in modulo ed in direzione, ma hanno verso opposto F1 = −F2 , inoltre la loro direzione comune deve essere parallela alla congiungente i due punti P1 e P2 di applicazione delle due forze). Questo corollario determina il più semplice sistema di forze sotto la cui azione un corpo rigido può stare in equilibrio, dato che, come mostra l’esperienza, un corpo rigido soggetto ad una sola forza (non nulla), non può essere in equilibrio. Corollario 11.4.2: Un sistema rigido, soggetto a tre sole forze (P1 , F1 ), (P2 , F2 ) e (P3 , F3 ) può stare in equilibrio se e solo se tali forze sono linearmente dipendenti (sono 51 complanari e hanno risultante nullo) e le loro rette di applicazione concorrono tutte in uno stesso punto. Infatti, solo in questo caso le tre forze costituiscono un sistema equilibrato. Corollario 11.4.3: L’azione di un sistema di forze su un corpo rigido non varia se ad esso si aggiunge o si toglie una coppia di braccio nullo. Corollario 11.4.4: L’azione di una forza su un corpo rigido non varia spostando il punto di applicazione di questa forza lungo la sua retta di azione in un altro punto di questo corpo. Corollario 11.4.5: L’azione di due forze (P, F1 ), (P, F2 ), applicate nello stesso punto P è equivalente all’azione del loro risultante applicato nello stesso punto. Corollario 11.4.6: L’azione di più forze (A1 , F1 ), (A2 , F2 ), ...,(An , Fn ) le cui rette di azione concorrono tutte in uno stesso punto A è equivalente all’azione del loro risultante applicato in A. Osserviamo che, in base all’assioma fondamentale, l’equilibrio di un corpo rigido non è alterato quando si sostituisce un dato sistema di forze con un sistema di forze equivalenti. È da tener presente tuttavia che questo risultato può essere utilizzato nei calcoli pratici, solo nel caso in cui vengono determinate le condizioni di equilibrio, ad esempio, di una costruzione, senza tener conto degli sforzi interni che agiscono sulle sue parti. Ad esempio la trave AB di f ig. 11.4.1a sarà in equilibrio se F1 = −F2 . Spostando i punti di applicazione delle due forze in un punto C della trave (f ig. 11.4.1b), o trasportando la forza F1 nel punto B e la forza F2 nel punto A (f ig. 11.4.1c), l’equilibrio della trave non sarà compromesso. Tuttavia, gli sforzi interni alla trave nei tre casi risultano differenti. Nel primo caso, sotto l’azione delle forze applicate, la trave è in trazione, nel secondo non subisce alcuna tensione, nel terzo è compressa. Pertanto nel determinare gli sforzi interni a un continuo deformabile, non è lecito spostare il punto di applicazione della forza lungo la sua retta di azione. fig. 11.4.1a fig. 11.4.1b fig. 11.4.1c Le equazioni cardinali della statica trovano largo impiego nella pratica ingegneristica anche quando vengono applicate a corpi non rigidi. Vale infatti la seguente seconda legge della statica dei corpi rigidi: Assioma di corpo rigido. L’equilibrio di un sistema deformabile, soggetto ad un assegnato sistema di forze, non sarà compromesso, supponendo questo corpo rigido. 52 Questo assioma viene largamente usato nei calcoli ingegneristici. Esso permette, nella determinazione delle condizioni di equilibrio, di considerare un qualunque sistema materiale (un filo, una catena o una costruzione deformabile) come rigido e di applicare ad esso i procedimenti della statica del corpo rigido. Se è già noto per altra via (o dall’esperimento) che il sistema si trova in equilibrio, questo metodo consente di determinare alcune forze incognite in funzione di forze note. Se il numero delle equazioni ottenute non è sufficiente per determinare tutte le incognite del problema si possono scrivere le condizioni di equilibrio di alcune parti rigide del sistema, se neanche in questo modo si riescono a determinare tutte le incognite bisogna tener conto della loro deformazione. XI.5. REAZIONI VINCOLARI PER CORPI RIGIDI VINCOLATI Sia S un sistema materiale, costituito da un numero finito n di punti Pi , che supponiamo vincolati. L’azione che i vincoli esplicano sul sistema sarà rappresentabile con un sistema di reazioni vincolari, una per ciascun punto Pi ; detta Φi la reazione vincolare che il vincolo esplica sul punto Pi , il sistema delle reazioni vincolari è: Σ(v) = {(Pi , Φi )} (11.5.1) Il lavoro (virtuale) che tale sistema di reazioni vincolari esplica è ovviamente la somma dei lavori che le varie reazioni vincolari esplicano sui punti Pi di S: δL(v) = n X Φi · δPi (11.5.2) i=1 Quando il sistema S è un corpo rigido, il lavoro virtuale si può esprimere in un modo particolarmente semplice. Innanzi tutto decomponiamo il sistema delle reazioni vincolari nel sistema delle reazioni vincolari esterne, e nel sistema delle reazioni vincolari interne, dovute al vin(v) colo di rigidità. Siano R(v) e MΩ il risultante ed il momento risultante del sistema (e,v) delle reazioni vincolari, R(e,v) e MΩ il risultante ed il momento risultante del sistema (i,v) delle reazioni vincolari esterne e R(i,v) e MΩ il risultante ed il momento risultante del sistema delle reazioni vincolari interne. Utilizzando l’espressione dello spostamento rigido (virtuale): δPi = δΩ + δΨ ∧ ΩPi dove δΨ = ω ~ δt è la rotazione infinitesima virtuale del corpo rigido, possiamo scrivere, ad esempio per il sistema delle reazioni vincolari esterne: δL(e,v) = n X Φi · δPi = i=1 = n X i=1 n X Φi · (δΩ + δΨ ∧ ΩPi ) = i=1 Φi · δΩ + n X Φi · δΨ ∧ ΩPi i=1 Si ottiene cosı̀: (e,v) δL(e,v) = R(e,v) · δΩ + MΩ 53 · δΨ (11.5.3) ESEMPIO 11.5.1: Vincolo di rigidità Un semplice ragionamento che mostra che il vincolo di rigidità è un vincolo ideale è il seguente: Siano P1 e P2 due punti collegati rigidamente tra di loro, che possono essere liberi, oppure appartenere ciascuno ad un altro corpo: P1 ∈ S1 e P2 ∈ S2 . Schematizziamo tale vincolo immaginando i punti P1 e P2 collegati da un’asta di lunghezza fissa e massa trascurabile (figura 11.5.1a). Siano (P1 , Φ1 ) e (P2 , Φ2 ) le reazioni dell’asta rispettivamente su P1 e P2 . Per il principio di azione e reazione sull’asta agiscono le forze (P1 , N1 ) e (P2 , N2 ), tali che: N1 = −Φ1 , N2 = −Φ2 (11.5.4) Poichè abbiamo supposto trascurabile la massa dell’asta, le equazioni del moto dell’asta si identificano con le equazioni di equilibrio: ½ N1 + N2 = 0 ΩP1 ∧ N1 + ΩP2 ∧ N2 = 0 (11.5.5) Da quest’ultima relazione deduciamo che le due forze N1 ed N2 agenti sull’asta costituiscono un sistema equilibrato (sono una coppia di braccio nullo, figura 11.5.1b). Allora, per le (11.5.4), si ha: ( R(i,v) = Φ1 + Φ2 = 0 (i,v) MΩ = ΩP1 ∧ Φ1 + ΩP2 ∧ Φ2 = 0 (11.5.6) Deduciamo dunque che le due reazioni vincolari Φ1 e Φ2 che l’asta esplica sui due punti P1 e P2 sono una coppia di braccio nullo. Figura 11.5.1 Calcoliamo il lavoro virtuale compiuto da tali forze, per un generico spostamento virtuale del sistema. Si ha: (i,v) δL(i,v) = R(i,v) · δΩ + MΩ ·Ψ=0 (11.5.7) Possiamo cosı̀ concludere che il vincolo sopra descritto è un vincolo ideale. Schematizzando un corpo rigido come un insieme di particelle a cui è applicato il vincolo sopra descritto, possiamo affermare che il vincolo di rigidità è un vincolo ideale. 54 ESEMPIO 11.5.2: Filo. Come sappiamo il filo è un vincolo unilaterale e reagisce solo quando è teso. Il vincolo realizzato sotto forma di filo inestensibile (f ig. 11.5.2), teso alle due estremità A e P , non permette al punto P di allontanarsi da A nella direzione di AP . In questo caso la reazione vincolare ~τ è parallela al filo teso, e prende il nome di tensione del filo. fig. 11.5.2 fig. 11.5.3a fig. 11.5.3b ESEMPIO 11.5.3: Appoggio liscio. Si tratta di una superficie, priva di attrito, che impedisce al corpo rigido di assumere posizioni interne a una delle due regioni in cui la superficie divide lo spazio. Tale superficie reagisce sul corpo impedendo che esso si sposti nella direzione della normale comune alle due superfici (quella del corpo e della superficie Σ) nel loro punto di contatto. In questo caso la reazione vincolare è diretta ortogonalmente al piano tangente comune alla superficie Σ ed alla superficie del corpo rigido (f ig. 11.5.3a).Quando una delle due superfici è un punto, la reazione è diretta ancora lungo la normale all’altra superficie, come mostrato nella f ig. 11.5.3b. REAZIONI VINCOLARI NELLE COPPIA CINEMATICHE Determiniamo adesso il lavoro compiuto dal vincolo quando il contatto tra due parti rigide non è solo in un punto, ma è esteso su una superficie finita σ. Questo accade nelle coppie cinematiche. In questi casi, dette σ ∗ e σ le due superfici a contatto, accade che ogni elemento dσ ∗ di σ ∗ trasmette all’elemento dσ di σ con cui è a contatto una reazione elementare dΦ che, in assenza di attrito, ha la direzione della normale comune ai due elementi dσ e dσ ∗ . Fissando la nostra attenzione, ad esempio, sulla sollecitazione che σ ∗ esplica su σ, l’insieme di queste sollecitazioni è perciò rappresentabile con un insieme di reazioni vincolari elementari, applicate in ogni punto di σ. La teoria dei sistemi di vettori applicati mostra che questa sollecitazione è riducibile al risultante R, applicato in un punto Q, e ad una coppia, di momento MQ , definiti come: Z R (v) = σ dΦ, (v) MQ Z = σ QP ∧ dΦ (11.5.8) La sollecitazione vincolare complessiva è dunque costituita non solo da una forza, ma anche da una coppia di reazione. ESEMPIO 5.4: Coppia prismatica. Sia C un corpo rigido vincolato con la coppia prismatica rappresentata in f ig. 11.5.4. Scegliamo un riferimento ortogonale {O, xyz} solidale alla superficie σ ∗ , che supponiamo fissa. Sia x l’asse della coppia. In assenza 55 di attriti le superfici a contatto si scambiano delle reazioni che sono ortogonali all’asse x; risulta dunque, relativamente a ciascun elemento dσ: dΦ = dΦy c2 + dΦz c3 (11.5.9) R(v) = Ry(v) c2 + Rz(v) c3 (11.5.10) Integrando su σ otteniamo: mentre, calcolando il momento ad esempio rispetto ad O ed integrando si ottiene: (v) MO = Mx(v) c1 + My(v) c2 + Mz(v) c3 (11.5.12) Il sistema di reazioni vincolari che può esplicare una coppia prismatica è dunque individuato da 5 quantità scalari: le due componenti del risultante, secondo due direzioni ortogonali all’asse della coppia e le tre componenti del momento risultante rispetto agli assi. Ogni incognita scalare di reazione toglie uno dei 6 gradi di libertà che avrebbe C se fosse libero. Ritroviamo quindi nuovamente che la coppia prismatica è un vincolo quintuplo. fig. 11.5.4 fig. 11.5.5 Mostriamo infine che, nell’ipotesi che tra le superfici a contatto non vi sia attrito, il vincolo ”coppia prismatica” è un vincolo ideale. Calcoliamo a tale scopo il lavoro compiuto dal sistema di reazioni vincolari. Ricordiamo che, detto Ω un punto generico del corpo rigido C vincolato con la coppia prismatica, lo spostamento virtuale consentito a C è individuato dai due vettori caratteristici:: δΩ = ±|δΩ|c1 δΨ = 0 Applicando la (11.5.3), si ottiene subito: (e,v) δL(e,v) = R(e,v) · δΩ + MΩ · δΨ = R(e,v) · δΩ (11.5.12) Tenendo presente la (11.5.10), concludiamo che , essendo il risultante delle forze vincolari R(e,v) ortogonale a δΩ, il vincolo, in questo caso non compie lavoro: δL(e,v) = R(e,v) · δΩ = ±Rx(e,v) |δΩ| = 0 (11.5.13) ESEMPIO 11.5.5: Coppia prismatica piana . Nei sistemi piani la coppia prismatica si schematizza come in f ig. 11.5.5 (ottenuta sezionando la coppia di f ig. 11.5.4 con un piano contenente l’asse z). Essa è costituita da un corsoio rettangolare ABA0 B 0 vincolato a strisciare su due guide fisse r ed r0 , la cui direzione è parallela all’asse 56 della coppia. Ciascun elemento (lineare) delle guide r ed r0 trasmette all’elemento ds a contatto con esso una reazione vincolare elementare dΦ; nell’ipotesi che il vincolo sia liscio, tali reazioni hanno tutte componente nulla secondo l’asse della coppia. Si tratta di un sistema di forze piane e parallele tra di loro. Si ha dunque, posto dΦ = dΦ c2 : Z R(v) = σ dΦ c2 = Ry(v) c2 (11.5.14) La scelta del punto rispetto a cui effettuare la riduzione del sistema di vettori applicati è arbitraria. Possiamo scegliere l’origine O o anche il baricentro G di C. In quest’ultimo caso otteniamo: Z (v) (v) MG = GP ∧ dΦ c2 = MGz c3 (11.5.15) σ Come si vede, le incognite scalari di reazione sono due: Ry(v) (che individua il modulo e il verso di R(v) ) e la coppia di reazione di momento perpendicolare al vettore R(v) (f ig. 11.5.6a). fig. 11.5.6a Poichè il sistema di forze reattive è piano (e quindi a invariante scalare nullo), si può ridurre ulteriormente il sistema di reazioni vincolari ad un solo vettore R(v) , applicato sull’asse centrale a (f ig. 11.5.6b). Per determinare tale asse, ricordiamo che i suoi punti sono caratterizzati dal fatto che il momento del sistema di forze reattive rispetto a tali punti deve essere nullo. Detto A un punto di a, deve dunque essere: (v) (v) MA = MG + AG ∧ R(v) = 0 (11.5.16) Dette xA , yA le coordinate del punto generico di a e xG , yG quelle del baricentro di C, dopo semplici calcoli, si trova che l’asse centrale è la retta di equazione: (v) xA = xG + MGz (v) Ry fig. 11.5.6b 57 (11.5.17) Concludiamo che il sistema di reazioni vincolari in una coppia prismatica piana, priva di attrito, può essere ridotto al solo risultante (ortogonale alle rette di contatto) applicato sull’asse centrale. In particolare, la distanza b dell’asse centrale a dal baricentro (v) G di C è data da b = MGz /Ry(v) . Si noti che la posizione dell’asse centrale (cioè xA ) non è nota a priori, ma è un’incognita del problema, insieme a Ry(v) . Anche in questo caso, il sistema di forze reattive compie lavoro nullo; si ha infatti: δL(e,v) = R(e,v) · δA = 0 (11.5.18) ESEMPIO 11.5.6: Carrello. Nel caso limite in cui il corsoio rettangolare ABA0 B 0 ha dimensioni trascurabili (rispetto alle dimensioni del resto del sistema, come nella f ig. 11.5.7) esso può essere schematizzato con un punto P , vincolato a scorrere su un asse x. Il vincolo può quindi essere assimilato ad un carrello. In questo caso risulta (v) ovviamente b trascurabile e quindi MGz = 0. La reazione vincolare esplicata dall’asse x è riducibile cosı̀ ad un solo vettore Φ, applicato in P . fig. 11.5.7 Anche in questo caso, il sistema di forze reattive compie lavoro nullo; si ha infatti: δL(e,v) = Φ · δP = 0 (11.5.19) ESEMPIO 11.5.7: Corpo rigido con un punto fisso Ω (cerniera sferica). Ragionando come negli esempi precedenti, concludiamo facilmente che, se supponiamo che le due superfici sferiche a contatto siano prive di attrito, la reazione elementare relativa a ciascun elemento superficiale passa per il centro delle due superfici sferiche, conseguentemente l’insieme delle reazioni vincolari è riducibile ad un vettore applicato nel punto fisso Ω la cui direzione è arbitraria nello spazio. fig. 11.5.8 Calcoliamo il lavoro compiuto dal sistema di reazioni vincolari. Lo spostamento virtuale consentito a C in questo caso è individuato dai due vettori caratteristici:: δΩ = 0 δΨ arbitrario 58 Applicando la (5.3), si ottiene subito: (e,v) δL(e,v) = R(e,v) · δΩ + MΩ (e,v) · δΨ = MΩ · δΨ e quindi, ricordando che il risultante delle forze reattive passa per il punto fisso Ω, concludiamo che il vincolo non compie lavoro: δL(e,v) = 0 (11.5.20) ESEMPIO 11.5.8: Corpo rigido piano, con un punto fisso Ω (cerniera piana) (f ig. 11.5.9). In questo caso l’insieme delle reazioni vincolari è riducibile ad un vettore, che giace nel piano del sistema, applicato nel punto fisso Ω (f ig. 11.5.9a). Ovviamente, anche la cerniera piana, se priva di attrito, non compie lavoro. f ig. 11.5.9 f ig. 11.5.9a ESEMPIO 11.5.9: VINCOLO DI PURO ROTOLAMENTO Mostriamo che il vincolo di puro rotolamento, pur essendo un vincolo che nella sua realizzazione richiede la presenza dell’attrito, è un vincolo ideale. f ig. 11.5.10 Siano σ ∗ e σ due superfici che rotolano l’una sull’altra senza strisciare. In particolare supponiamo che in ogni istante le due superfici abbiano lo stesso piano tangente π. Per fissare le idee, possiamo supporre la superficie σ ∗ fissa, mentre la superficie σ rotola senza strisciare su di essa. Supposte le due superfici completamente rigide, in ogni istante esse hanno un unico punto di contatto C. La reazione vincolare che σ ∗ esplica su σ è allora una forza Φ, applicata nel punto di contatto C. Determiniamo il lavoro virtuale che compie tale vincolo. Risulta: δL = Φ · δC 59 Determiniamo lo spostamento virtuale del punto C. Il vincolo di puro rotolamento di σ su σ ∗ è un vincolo fisso e bilaterale. Lo spostamento virtuale che esso subisce è allora uno spostamento possibile. Si ha dunque: δC = dC = vC dt (11.5.21) Poichè nel puro rotolamento la velocità vC del punto di contatto C è nulla, deduciamo che in un qualunque spostamento virtuale di σ risulta nullo lo spostamento virtuale del punto P . Conseguentemente è nullo il lavoro virtuale che compie la reazione vincolare Φ, qualunque sia lo spostamento virtuale della superficie rigida σ: δL = 0 (11.5.22) Resta cosı̀ dimostrato che il vincolo di puro rotolamento è un vincolo ideale. REAZIONI VINCOLARI INTERNE: Abbiamo considerato le reazioni prodotte da un vincolo esterno su un generico sistema rigido, cioè le reazioni vincolari che il telaio esplica sul sistema rigido. Dobbiamo però sottolineare che i risultati ottenuti continuano a valere se il vincolo collega tra di loro due parti rigide dello stesso sistema. In questo caso le reazioni vincolari devono essere considerate come forze interne al sistema, e conseguentemente, se si scrivono le equazioni cardinali della statica per il sistema (non rigido) nel suo complesso (che, come sappiamo non sono sufficienti, da sole, per l’equilibrio dell’intero sistema), in esse le reazioni vincolari interne non devono comparire. Esse compariranno invece quando si studierà l’equilibrio dei singoli corpi rigidi C1 , C2 , ..., Cn che compongono un dato sistema non rigido S. Per il principio di azione e reazione, se la parte C1 esercita su C2 una reazione vincolare Φ1 , la parte C2 esercita su C1 una reazione vincolare Φ2 uguale e contraria: Φ 1 + Φ2 = 0 (11.5.23) XI.6. APPLICAZIONI DELLE EQUAZIONI CARDINALI DELLA STATICA ALL’EQUILIBRIO DI CORPI RIGIDI VINCOLATI Distinguendo le forze esterne in attive e vincolari, le equazioni cardinali della statica si scrivono: ( R(e,a) + R(e,v) = 0 (11.6.1) (e,a) (e,v) MQ + MQ = 0 Come già osservato, in esse compaiono solo le forze esterne, poichè le forze interne sono a due a due uguali e contrarie e quindi hanno risultante e momento risultante nullo. Esse sono condizioni necessarie, ma, in generale, non sufficienti, per l’equilibrio di un sistema materiale, mentre sono necessarie e sufficienti per l’equilibrio di un corpo rigido. Una prima conseguenza delle equazioni cardinali della statica è la seguente: 60 PROPRIETÀ 11.6.1: La sostituzione di un sistema di forze con uno equivalente non altera l’equilibrio di un sistema rigido. In particolare, ricordando la teoria dei sistemi di vettori applicati, sarà sempre lecito, anche nel caso dei sistemi rigidi continui, sostituire al sistema delle forze direttamente applicate un sistema equivalente costituito da una forza e da una coppia. In questo paragrafo le applicheremo allo studio dell’equilibrio dei corpi rigidi e dei sistemi vincolati di corpi rigidi. CASO a: Equilibrio di un sistema rigido: SISTEMA RIGIDO PIANO: È questo il caso che si presenta quando studiamo l’equilibrio di un corpo rigido piano soggetto a forze tutte contenute nel piano che contiene il sistema. In questo caso, le equazioni cardinali costituiscono un sistema di tre equazioni scalari, due equazioni fornite dall’equazione dei risultanti, una dall’equazione dei momenti. SISTEMA RIGIDO NELLO SPAZIO: In questo caso le equazioni cardinali della statica danno luogo a 6 equazioni scalari: tre equazioni fornite dall’equazione dei risultanti e tre dall’equazione dei momenti. CASO b: Sistema costituito da più corpi rigidi: Sia S un sistema materiale costituito da più corpi rigidi C1 , C2 , ..., Cn vincolati tra di loro e vincolati al telaio. Un tale sistema sarà in equilibrio se ogni sua parte rigida sarà in equilibrio. Si scrivono dunque le equazioni cardinali per ogni parte rigida Ci di S. In tali equazioni compariranno anche le forze, sia attive che reattive, che le parti restanti di S trasmettono a Ci . Tali forze, infatti, pur essendo interne per il sistema S sono esterne per ciascuna sua parte Ci . Se S è piano ed è costituito da n corpi rigidi le equazioni cardinali danno luogo a 3n equazioni scalari. Se S è spaziale ed è costituito da n corpi rigidi le equazioni cardinali danno luogo a 6n equazioni scalari. CASO c: Sistema costituito da più punti e corpi rigidi: Sia S un sistema materiale costituito dai corpi rigidi C1 , C2 , ..., Cn vincolati tra di loro e vincolati al telaio e dai punti materiali P1 , P2 , ..., Pr . Un tale sistema sarà in equilibrio se ogni sua parte sarà in equilibrio. Si scrivono dunque le equazioni cardinali per ogni parte rigida Ci e le equazioni di equilibrio per ogni punto Ps di S. In tali equazioni compariranno anche le forze, sia attive che reattive, che le parti restanti di S trasmettono alla parte in esame (Ci o Ps ). Tali forze, infatti, pur essendo interne per il sistema S, sono esterne per ciascuna sua parte (Ci o Ps ). Se S è piano ed è costituito da n corpi rigidi e da p punti le equazioni cardinali danno luogo a 3n + 2p equazioni scalari. Se S è spaziale ed è costituito da n corpi rigidi e da p punti le equazioni cardinali danno luogo a 6n + 3p equazioni scalari. 61 ASSIOMA DEL CORPO RIGIDO VINCOLATO Nello studio dell’equilibrio dei sistemi vincolati di corpi rigidi è utilizzando il seguente Assioma: Tutti i corpi rigidi vincolati possono essere considerati liberi sostituendo ai vincoli le reazioni vincolari che essi esplicano. Per esempio l’asta AB di f ig. 11.6.1, di peso p è vincolata con due appoggi in A e D, e si trova in equilibrio sotto l’azione del cavo teso OK. Essa può essere considerata come un corpo rigido libero che si trova in equilibrio sotto l’azione della forza data p e della tensione ~τ del cavo e delle reazioni vincolari ΦA e ΦD . f ig. 11.6.1 INCOGNITE IN UN PROBLEMA DI STATICA: In un problema di statica le incognite sono a) le coordinate lagrangiane corrispondenti alla posizione di equilibrio. b) le reazioni vincolari interne ed esterne nella posizione di equilibrio. Se il numero delle incognite uguaglia il numero delle equazioni scalari che si deducono dalle equazioni cardinali, il problema si dice staticamente determinato. Se il numero delle incognite è maggiore del numero delle equazioni scalari che si deducono dalle equazioni cardinali, il problema si dice staticamente indeterminato. CONDIZIONI PURE DI EQUILIBRIO. Come si è già accennato, nello studio dell’equilibrio dei sistemi materiali le incognite sono i valori assunti dai parametri lagrangiani (se il sistema è labile) nelle posizioni di equilibrio e le reazioni che i vincoli esplicano nelle suddette posizioni. Si chiamano condizioni pure di equilibrio le equazioni caratteristiche di equilibrio scritte in termini delle sole forze attive applicate. Tali equazioni risultano particolarmente utili nei problemi di statica poichè, contenendo come incognite le sole coordinate lagrangiane, consentono di determinare le eventuali configurazioni di equilibrio. Quando si possono scrivere le equazioni pure di equilibrio, si può spezzare un problema di statica in due successivi punti: (a) ricerca e risoluzione delle equazioni pure di equilibrio; (b) determinazione delle reazioni vincolari nella (o nelle) configurazioni di equilibrio trovate. 62 XI.6.2. EQUILIBRIO DEI SISTEMI RIGIDI. Studieremo adesso alcuni casi notevoli, esaminando dapprima il caso di sistemi piani vincolati con vincoli privi di attito. Successivamente considereremo l’equilibrio di corpi rigidi nello spazio ed il caso in cui i vincoli non siano ideali. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO ESEMPIO 11.6.1. Calcolare le reazioni vincolari ΦA e ΦB della trave appoggiata indicata in figura 11.6.2, soggetta al solo carico verticale F, applicato nel punto P . Figura 11.6.2 Le reazioni vincolari cercate, essendo gli appoggi lisci, sono verticali. Per calcolarle possiamo procedere in due modi: (a) applicare direttamente le due equazioni cardinali della statica. (b) scrivere due equazioni di momento rispetto ad A ed a B. Utilizzeremo questo secondo metodo. Si hanno le due equazioni ½ AP ∧ F + AB ∧ ΦB = 0 (11.6.2) BP ∧ F + BA ∧ ΦA = 0 Proiettando direttamente queste due equazioni sulla retta perpendicolare al piano della figura otteniamo il seguente sistema: ½ da cui si ricava −aF + (a + b)ΦB = 0 bF − (a + b)ΦA = 0 ( ΦA = ΦB = b F a+b a F a+b (11.6.3) ESEMPIO 11.6.2. L’asta OA indicata in figura 6.3 è incernierata in O ed è in equilibrio sotto l’azione di una coppia di momento M ortogonale al piano della figura e di una forza F di assegnata retta d’azione r. Calcolare il valore di F e la reazione vincolare in O. Figura 11.6.3 63 Poichè il vincolo in O è liscio, la reazione vincolare si riduce ad una forza ΦO , applicata in O. Per determinare il valore del modulo di F applichiamo l’equazione dei momenti rispetto al polo O: M + OA ∧ F = 0 (11.6.4) Poichè M risulta perpendicolare a F, quest’equazione ammette soluzioni. Proiettandola sull’asse z, otteniamo, detta b la distanza della retta r da O: M F = (11.6.5) b La reazione vincolare Φ0 in O si determina applicando l’equazione dei risultanti. Si ottiene: Φ0 = −F. (11.6.6) Osserviamo che la reazione Φ0 , insieme alla forza F applicata in r, costituisce una coppia eguale e contraria alla coppia attiva di momento M. ESEMPIO 11.6.3. Il sistema di figura 11.6.4 è costituito da una piastra rettangolare omogenea pesante vincolata senza attrito tra due guide parallele inclinate di un angolo α sull’orizzontale (coppia prismatica). In un punto P della piastra è collegato l’estremo di una fune di peso trascurabile che si avvolge sulla carrucola di centro O, ed ha l’altro estremo collegato ad un peso F. In condizioni di equilibrio determinare il valore di F e le reazioni vincolari sulla piastra e sul centro O della carrucola. Figura 11.6.4 Sulla piastra agiscono il peso mg applicato nel baricentro G, la forza incognita F applicata in P e parallela al piano inclinato, e le reazioni trasmesse dalle guide. Pensando queste ultime ridotte ad un unico vettore Φ applicato sul loro asse centrale a, incognito e normale al piano inclinato, la piastra risulta soggetta a tre forze. Per l’equilibrio occorre che tali tre forze concorrano nello stesso punto, che non può essere altro che il punto di intersezione D della verticale per G con la retta d’azione di F. La forza F e il risultante delle reazioni vincolari Φ si determinano allora scomponendo il peso mg secondo la parallela e la normale al piano inclinato. Le due equazioni cardinali della statica per la piastra si scrivono ( F + mg + R(e,v) = 0 (e,v) OP ∧ F + OG ∧ mg + M0 = 0 64 (11.6.7) dove con O si è indicato un punto qualsiasi della piastra. Se si sceglie O coincidente con il punto di intesezione D tra la retta di applicazione della forza peso e la retta di applicazione della forza F, la seconda equazione cardinale si scrive: (e,v) MD = 0; (11.6.8) pertanto il sistema delle reazioni vincolari che la coppia prismatica esercita sulla piastra è riducibile ad un unico vettore applicato in D. Per determinare questo vettore, che denoteremo con Φ, utilizziamo la prima equazione cardinale. Otteniamo: Φ = −F − mg. (11.6.9) Poichè la reazione vincolare Φ che la coppia prismatica esercita sulla piastra è un vettore ortogonale alle superfici di contatto, si deduce che la condizione necessaria sufficiente perchè la piastra risulti in equilibrio è che il risultante dei due vettori F+mg risulti ortogonale alle due guide. In formule, dall’equazione dei risultanti si ottiene, proiettando sulla direzione delle guide: F = mg sin α (11.6.10) mentre, proiettando sulla direzione orogonale alle guide, si ottiene Φ = mg cos α (11.6.11) Supponiamo adesso che le reazioni della guida siano localizzate nei due punti A e B (vedi figura 11.6.5). In questo caso risulta ( ΦA = ΦB = b0 Φ a0 +b0 a0 Φ a0 +b0 = = b0 mg cos α a0 +b0 a0 mg cos α a0 +b0 (11.6.12) dove abbiamo indicato con a0 e b0 le distanze di A e B dall’asse centrale, passante per il punto D. Figura 11.6.5 Un modo alternativo per calcolare ΦA e ΦB consiste nel pensare il peso (G, mg) scomposto secondo la parallela al piano inclinato che vale mg sin α = F , e la normale mg cos α. Le reazioni ΦA e ΦB dovranno allora equilibrare (vedi figura 11.6.6): 1) la mg cos α normale al piano inclinato, applicata in G. 2) la coppia formata dai vettori, paralleli al piano inclinato, (P, F) e (P, −F). 65 Figura 11.6.6 Le due reazioni hanno pertanto i valori seguenti: ( ΦA = ΦB = b mg cos α + a+b a mg cos α − a+b F ·h a+b F ·h a+b = = mg (b cos α + h sin α) a+b mg (a cos α − h sin α) a+b (11.6.13) dove abbiamo indicato con a e b le distanze di A e B dalla normale per G al piano inclinato (diverse da a0 e b0 , ma tali che a + b = a0 + b0 ), e dove h è la distanza tra le parallele al piano inclinato passanti rispettivamente per P e per G. Si osservi che a, b ed h, a differenza di a0 e b0 , sono dati del problema. Infine la reazione vincolare ΦO nel centro O della carrucola si determina come indicato in figura 11.6.7 e vale in modulo: µ ¶ ¶ µ ¶ √ µ √ π α α α α α ΦO = 2F cos − = 2F cos + sin = 2mg sin α cos + sin 4 2 2 2 2 2 Figura 11.6.7 11.6.4. CENNO AI SISTEMI IPERSTATICI Consideriamo il sistema indicato in figura 11.6.4a, costituito da un’asta incernierata in A ed appoggiata in B, e soggetta ad una forza attiva F, applicata nel punto medio P dell’asta. Esso presenta tre incognite scalari di reazione, che possono essere determinate mediante le tre equazioni che si deducono dalle equazioni cardinali della statica: ½ F + ΦA + ΦB = 0 (11.6.14) AP ∧ F + AB ∧ ΦB = 0 Poichè è nota la direzione della reazione vincolare ΦB , queste equazioni, proiettate sugli assi di riferimento, danno luogo ad un sistema di tre equazioni in tre incognite scalari di reazione e pertanto consentono di risolvere completamente il problema statico. 66 Figura 11.6.8 Particolarmente espressiva, in questo caso, è la risoluzione grafica, che consiste nell’osservare che le tre forze (P, F), (A, ΦA ) e (B, ΦB ) si fanno equilibrio solo se concorrono in uno stesso punto, che è ovviamente il punto D di intersezione tra la retta r di azione di F e la retta s normale all’appoggio in B. Le reazioni vincolari risultano univocamente determinate effettuando la decomposizione di F secondo le due direzioni r ed s. Supponiamo ora di aggiungere al sistema un altro vincolo semplice, ad esempio sostituendo in B l’appoggio con una cerniera, come in figura 11.6.4b. Le incognite scalari di reazione diventano quattro anzichè tre, mentre le equazioni scalari di equilibrio dedotte dalle equazioni cardinali restano sempre tre. È chiaro allora che le reazioni vincolari non possono più essere determinate univocamente da tali equazioni. Ciò si vede molto bene con una soluzione grafica analoga alla precedente. Abbiamo ancora tre forze, e cioè (P, F), (A, ΦA ) e (B, ΦB ), che per farsi equilibrio devono concorrere in uno stesso punto, ma, a differenza dal caso precedente, per la (B, ΦB ) non è più assegnata la direzione. Si può pertanto prendere un punto arbitrario sulla retta d’azione r di F, come ad esempio D1 , o D2 , o D3 , unirlo con A e B, e corrispondentemente scomporre la F. La soluzione del problema non è più unica: il numero di incognite scalari di reazione è maggiore del numero di equazioni di equilibrio. Generalizzando l’esempio ora considerato diremo che i sistemi a vincoli completi, cioè senza nessun grado di libertà, si distinguono in: sistemi isostatici in cui il numero di incognite scalari di reazione è uguale al numero di equazioni scalari (indipendenti) fornite dalle equazioni cardinali e sistemi iperstatici in cui il numero di equazioni scalari di reazione è maggiore del numero di equazioni suddette. È chiaro che mentre nei sistemi isostatici le equazioni cardinali permettono di determinare univocamente tutte le reazioni vincolari, nei sistemi iperstatici invece le equazioni cardinali, pur continuando ad essere necessarie per l’equilibrio, non sono sufficienti per determinare univocamente tutte le reazioni vincolari incognite. Ciò è legato al fatto fisico che con l’introduzione di ulteriori vincoli, oltre a quelli corrispondenti alla situazione di isostaticità, la schematizzazione del sistema come rigido non descrive più in maniera completa il sistema. Le varie parti costituenti il sistema vengono ad essere soggette a deformazioni ed a stati di tensione. Tali fenomeni sono oggetto di studio in altri corsi, come ad esempio la Scienza delle Costruzioni. 67 PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO 11.6.5. SISTEMA RIGIDO CON UN PUNTO FISSO Ω. Sia S un solido vincolato senza attrito ad un punto fisso Ω e soggetto ad una sollecitazione attiva Σ(a) . Ricordiamo che un solido con un punto fisso è un sistema a tre gradi di libertà e la sua configurazione nello spazio è individuata dagli angoli di Eulero. Poichè abbiamo supposto il vincolo ideale, l’insieme delle reazioni vincolari si riduce ad una sola forza ΦΩ applicata in Ω. Pertanto il sistema delle reazioni vincolari ha momento nullo rispetto al polo Ω. Applicando dunque la seconda equazione cardinale della statica, scegliendo come polo dei momenti Ω, si deduce immediatamente la seguente condizione di equilibrio: (e,a) MΩ =0 (11.6.15) È questa la condizione pura di equilibrio di un corpo rigido con un punto fisso. Quest’equazione vettoriale corrisponde a tre equazioni scalari in tre incognite (gli angoli di Eulero) e pertanto consente di determinare le (eventuali) configurazioni di equilibrio di S. Per determinare il risultante delle reazioni vincolari R(e,v) = ΦΩ si utilizza la prima equazione cardinale della statica: ΦΩ = R(e,v) = −R(e,a) (11.6.16) Nel caso di un corpo rigido soggetto soltanto al proprio peso, la condizione di equilibrio si traduce nei seguente fatto geometrico, la cui verifica è lasciata al lettore: Il baricentro G del sistema deve trovarsi sulla verticale condotta dal punto fisso Ω: se G 6= Ω esistono due configurazioni di equilibrio, se G ≡ Ω tutte le configurazioni sono di equilibrio. 11.6.6. SISTEMA RIGIDO CON UN ASSE FISSO Sia S un solido vincolato senza attrito con un asse fisso d e soggetto ad una sollecitazione attiva Σ(a) . Sia û il versore dell’asse fisso. Ricordiamo che un solido con un asse fisso è un sistema a un grado di libertà e la sua configurazione nello spazio è individuata da un angolo, l’angolo (diedro) θ tra un piano solidale al corpo rigido passante per l’asse d e un piano fisso, passante anch’esso per d. Supponiamo che il corpo rigido sia vincolato con una cerniera sferica in un punto Ω di d e con un collare cilindrico in un altro punto A dell’asse fisso. Poichè abbiamo supposto i vincoli privi di attrito, l’insieme delle reazioni vincolari si schematizza con una reazione ΦΩ di direzione arbitraria applicata in Ω, e con una reazione ΦA , perpendicolare all’asse fisso, passante per A. Pertanto il sistema delle reazioni vincolari ha momento nullo rispetto all’asse fisso d. Proiettando dunque la seconda equazione cardinale della statica, scritta scegliendo come polo dei momenti Ω, sull’asse fisso d, si deduce immediatamente la seguente condizione di equilibrio: (e,a) MΩ (e,a) · û = Md 68 =0 (11.6.17) (e,a) dove con Md si è indicato il momento assiale rispetto all’asse fisso d delle forze esterne attive applicate al solido. È questa la condizione pura di equilibrio di un corpo rigido con un asse fisso. Si tratta di un’equazione scalare nella incognita θ e pertanto la sua risoluzione consente di determinare le (eventuali) posizioni di equilibrio di S. Per determinare le cinque componenti delle reazioni vincolari si utilizzano la prima equazione cardinale della statica e le due componenti della seconda equazione cardinale rispetto a due assi perpendicolari all’asse fisso. Come si può verificare facilmente alla condizione (11.6.17) si giunge anche quando il solido è vincolato con due cerniere sferiche o anche con una cerniera sferica e più di un collare cilindrico, punchè naturalmente tutti i vincoli siano supposti ideali. In questo caso però le incognite scalari di reazione sono più di cinque e conseguentemente le equazioni cardinali della statica non consentono di determinare tutte le componenti delle reazioni vincolari. In questo caso si dice che il sistema è staticamente indeterminato. Nel caso di un sistema rigido soggetto solo al proprio peso la condizione di equilibrio si traduce nel seguente fatto geometrico: Il baricentro G del sistema deve trovarsi nel piano verticale contenente l’asse fisso d: se G non si trova sull’asse fisso d o se d non è verticale esistono due configurazioni di equilibrio, diversamente tutte le configurazioni sono di equilibrio. 11.6.7. SOLIDO CON TRE PUNTI P1 , P2 , P3 NON ALLINEATI APPOGGIATI SU UN PIANO π orizzontale (vincolo unilatero). Assunto il piano π come piano z = 0 e supposto il vincolo privo di attrito, le reazioni (P1 , Φ1 ), (P2 , Φ2 ), (P3 , Φ3 ) sono dirette secondo l’asse z e quindi si ha R(e,v) = R(e,v) =0 x y (11.6.18) Inoltre, se c3 è rivolto verso il semispazio delle z positive, essendo il vincolo unilatero, (2) (3) si ha Φ(1) z = Φ1 · c3 ≥ 0, Φz = Φ2 · c3 ≥ 0 e Φz = Φ3 · c3 ≥ 0. Ne segue che, detto T il triangolo di vertici P1 , P2 , P3 e C l’intersezione dell’asse centrale del sistema di vettori applicati (P1 , Φ1 ), (P2 , Φ2 ), (P3 , Φ3 ) con il piano π, risulta certamente C non esterno al poligono T. Pertanto il solido sarà in equilibrio se e solo se la forza attiva agente su esso sarà riducibile ad un solo vettore la cui retta di applicazione è ortogonale al piano π ed incontra tale piano in un punto non esterno al triangolo di appoggio T. Supposte verificate queste ipotesi, detto p il risultante delle forze attive, le condizioni di equilibrio si scrivono: ½ Φ1 + Φ2 + Φ3 = p OP1 ∧ Φ1 + OP2 ∧ Φ2 + OP3 ∧ Φ3 = OC ∧ p (11.6.19) Essendo le reazioni vincolari Φh e la forza attiva p ortogonali al piano π, la prima equazione darà luogo ad una sola equazione scalare significativa (la sua componente lungo l’asse z), invece la seconda equazione avrà componenti non nulle soltanto lungo gli assi x e y. Pertanto le (11.6.19) danno luogo a 3 equazioni scalari. Le incognite 69 in questo problema sono costituite dai moduli delle 3 reazioni vincolari, pertanto le (11.6.19) consentono di determinare le tre reazioni vincolari. Si osservi che se i punti di appoggio sono più di tre, il numero delle incognite del problema è maggiore delle equazioni di equilibrio che si possono scrivere. In questo caso le equazioni cardinali della statica non consentono di determinare tutte le incognite ed il problema si dice staticamente indeterminato. ESEMPIO. Sullo sgabello triangolare ABC appoggiato sopra un piano orizzontale (fig. 11.6.5) è collocato un punto materiale pesante P . Calcolare le reazioni vincolari nei piedi dello sgabello. Figura 11.6.9 Detto G il baricentro complessivo del punto P e dello sgabello, ed M g il loro peso complessivo, possiamo calcolare le tre reazioni incognite ΦA , ΦB e ΦC , ovviamente verticali e dirette verso l’alto, o applicando le equazioni (11.6.19) o anche mediante tre equazioni di momento rispetto alle rette BC, AC ed AB. Otteniamo cosı̀: lA lB lC , ΦB = mg , ΦC = mg , hA hB hC dove hA , hB , hc sono le altezze del triangolo relative ai lati BC, CA ed AB rispettivamente, ed lA , lB ed lC sono le distanze di G dai rispettivi tre lati suddetti. ΦA = mg 11.6.8. STATICA DEI SISTEMI RIGIDI VINCOLATI CON ATTRITO. Nel caso di un punto (appartenente ad un corpo rigido) vincolato a stare su di (o a non attraversare) un piano π, il vincolo esplica una reazione vincolare la cui direzione non è perpendicolare al piano π, ma appartiene ad un cono, detto cono di attrito statico. Come già osservato, ogni configurazione di equilibrio ottenuta assumendo che i vincoli siano lisci, resta tale se questa ipotesi viene abbandonata. Pertanto se si studia un problema di statica trascurando la presenza dell’attrito il risultato che si ottiene resta valido anche in presenza di attrito. In presenza di vincoli con attrito si possono però avere configurazioni di equilibrio non realizzabili se gli stessi vincoli sono supposti lisci. Ciò è sottolineato dal seguente classico esempio della scala appoggiata. ESEMPIO. In un piano verticale si consideri un’asta materiale rigida AB, appoggiata con gli estremi A e B rispettivamente su una retta verticale e su una retta orizzontale 70 (vincoli unilaterali) e soggetta ad una forza verticale F applicata ad un suo punto P (vedi figura). In assenza di attrito la sola configurazione di equilibrio è quella in cui l’asta è verticale. Supponiamo invece che i vincoli possiedano attrito e che le rispettive reazioni siano costituite da forze applicate nei punti A e B. Tracciati i ”coni” d’attrito relativi ad A e B, questi si intersecano nel quadrilatero C1 C2 C3 C4 : si verifica facilmente che le configurazioni di equilibrio sono caratterizzate dal fatto che la retta d’azione della forza (P, F) interseca il quadrilatero; supposta verificata questa ipotesi, le corrispondenti reazioni vincolari non sono univocamente determinate (salvo nel caso limite in cui l’intersezione è ridotta al punto C3 ). Figura 11.6.10 Si completi l’esercizio esaminando i casi in cui sia liscio il solo vincolo in A o il solo vincolo in B. In generale, quando un sistema rigido è vincolato all’esterno mediante un vincolo (ad esempio una cerniera sferica o cilindrica) supposto non ideale, questo esplica un sistema di reazioni vincolari che è equivalente, per la teoria dei sistemi di vettori applicati, ad una forza reattiva applicata e ad una coppia di reazione. 11.6.9. STATICA DEI SISTEMI COMPLESSI. Per un sistema costituito da parti rigide Ci e da punti Ps tra loro vincolati, la condizione necessaria e sufficiente di equilibrio è che le equazioni cardinali della statica siano soddisfatte per ciascuna parte rigida del sistema, mentre per ogni punto Ps deve essere soddisfatta la corrispondente equazione di equilibrio. In tali equazioni vanno pure incluse le reazioni che i vincoli interni producono su ciascuna delle componenti del sistema. In più, se qualche vincolo, ad esempio una cerniera, collega due o più parti rigide del sistema, si deve imporre anche l’equilibrio della cerniera. Ci limiteremo per semplicità a considerare sistemi articolati nel piano. 71 ESEMPIO 1. L’arco a tre cerniere Si consideri il sistema di figura 11.6.7, noto come arco a tre cerniere. Si tratta di un sistema isostatico: infatti le tre cerniere levano esattamente i sei gradi di libertà che avrebbero i due archi AB e BC considerati liberi nel piano. La cerniera interna B si chiama anche nodo. Il sistema è soggetto alla forza verticale F1 , applicata sull’arco AB, alla forza F2 , anch’essa verticale, applicata nel nodo B ed alla forza F3 , formante un angolo α con l’orizzontale, applicata sull’arco BC. Figura 11.6.11 Il sistema sarà in equilibrio se sarà in equilibrio ogni parte che lo compone, dobbiamo allora scrivere le equazioni cardinali della statica per i due archi AB e BC e l’equazione di equilibrio del nodo. Consideriamo dapprima la cerniera B, che schematizziamo come un punto materiale. La cerniera è soggetta oltre che alla forza attiva F2 , alle due reazioni vincolari, che chiameremo −Φ1 e −Φ2 che i due archi AB e BC esplicano su di essa. L’equazione di equilibrio della cerniera allora si scrive: F2 − Φ1 − Φ2 = 0. (11.6.19) Scriviamo adesso le equazioni cardinali per i singoli archi. Per il principio di azione e reazione, la cerniera B esplica sull’arco AB una reazione uguale e contraria a quella che l’asta AB esplicava sulla cerniera. Detto P1 il punto di applicazione della forza F1 , per l’arco AB si ha: ½ F1 + ΦA + Φ1 = 0 (11.6.20) AP1 ∧ F1 + AB ∧ Φ1 = 0 Analogamente, per l’arco BC si ha: ½ F3 + Φ2 + ΦC = 0 CP3 ∧ F3 + CB ∧ Φ2 = 0 72 (11.6.21) Figura 11.6.12 Poichè il sistema è isostatico, le equazioni cardinali (11.6.19), (11.6.20) e (11.6.21) consentiranno di determinare le otto incognite scalari di reazione. Infatti, tali equazioni, proiettate sugli assi della terna {A; x, y, z} danno luogo al seguente sistema lineare di equazioni: Φ1x + Φ2x = 0 Φ1y + Φ2y = F2 ΦAx + Φ1x = 0 Φ + Φ1y = F1 (11.6.22) Ay −b Φ + a Φ = a F 2 1x 2 1y 1 1 Φ + Φ = F sin α Cy 2y 3 −b2 Φ2x + (l − a2 )Φ2y = dF3 che individua univocamente le otto componenti scalari di reazione. ESEMPIO 2 Nel manovellismo di figura 11.6.13 è applicata sulla manovella OA una coppia antioraria di momento assegnato M, e sulla biella AB una forza F avente retta d’azione assegnata r, ma modulo sconosciuto. Determinare il modulo di F in modo che la configurazione indicata sia di equilibrio. Figura 11.6.13 Consideriamo per prima cosa la biella ed osserviamo che su di essa agiscono, oltre alla forza F, le reazioni vincolari ΦB trasmessa in B dal telaio, e ΦA trasmessa in A 73 dalla manovella. Si osservi che in questo caso sulla cerniera A non agiscono forze e conseguentemente non è necessario scrivere l’equazione di equilibrio della cerniera. Supponendo tutti i vincoli privi di attrito, la reazione ΦB sarà normale alla retta s sulla quale è vincolato il piede di biella B. Si tratta dunque di tre forze che in condizioni di equilibrio dovranno concorrere in un unico punto. Tale punto è il punto d’intersezione D fra la retta assegnata r e la normale per B alla retta s. Ne consegue che la reazione vincolare ΦA dovrà avere la direzione della retta AD. Passando allora alla manovella, essa dovrà essere in equilibrio sotto l’azione della coppia assegnata M e delle reazioni (A, ΦA ) e (O, ΦO ). Queste ultime dovranno pertanto costituire una coppia oraria di momento −M uguale e opposto al momento attivo. Detta allora b la distanza di O dalla retta AD risulta: ΦO = −ΦA , ΦA = M b (11.6.23) Per determinare l’intensità della forza F basterà scomporre la reazione ΦA ottenuta secondo le direzioni note della retta r e della normale alla retta s. Questa scomposizione determina completamente, oltre alla F anche la reazione vincolare ΦB . ESEMPIO 3 Il quadrilatero articolato indicato in figura 11.6.10 è costituito dalla manovella OA, dalla biella AB e dall’asta BC. La biella è incernierata in A alla manovella ed in B all’asta. Sapendo che alla manovella è applicata una coppia antioraria di momento assegnato M1 si vuole determinare quale coppia M2 si deve applicare all’asta BC affinchè il sistema sia in equilibrio nella configurazione indicata in figura. Figura 11.6.14 Conviene considerare anzitutto la biella AB ed osservare che ad essa sono applicate due sole forze, e cioè le reazioni incognite trasmesse in A e in B rispettivamente dalla manovella OA e dall’asta BC. Queste due reazioni, che chiameremo rispettivamente −ΦA e −ΦB , dovranno essere eguali e contrarie ed avere AB per retta d’azione. Di conseguenza la reazione trasmessa in A dalla biella alla manovella per il principio d’azione e reazione sarà eguale a ΦA . La manovella OA dovrà dunque essere in equilibrio sotto l’azione della coppia assegnata M1 e delle reazioni vincolari incognite ΦA e ΦB . Per questo è necessario che dette reazioni costituiscano una coppia oraria di momento −M1 uguale e opposto al momento applicato. 74 Poichè in base a quanto sopra detto ΦA deve aver la direzione di AB, anche ΦO dovrà avere la stessa direzione. Risulterà inoltre: ΦO = −ΦA , ΦA b1 = M1 , (11.6.24) dove con b1 abbiamo indicato la distanza di O dalla retta AB. In maniera pertettamente analoga si deduce che le reazioni ΦB e ΦC trasmesse all’asta BC rispettivamente ,dalla biella AB e dalla cerniera fissa C valgono rispettivamente: ΦB = −ΦA , ΦC = ΦA (11.6.25) e quindi il momento incognito M2 , indicando con b2 la distanza di C dalla retta AB, ha intensità data da: b2 (11.6.26) M2 = ΦA b2 = M1 b1 e risulta orario. PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE DEGLI EFFETTI Un’osservazione importante riguardo le eqyazioni cardinali della statica, è che esse sono lineari nelle forze attive Fh e nelle reazioni vincolari Φk . Tale linearità porta alla seguente importante conseguenza: Se un sistema materiale è in equilibrio in una certa configurazione C sotto l’azione (v) (a) di un sistema di forze attive Σ1 e di un sistema di forze reattive Σ1 e inoltre è in equilibrio nella stessa configurazione C sotto l’azione di un altro sistema di forze attive (a) (v) Σ2 e di un altro sistema di forze reattive Σ2 allora esso è anche in equilibrio sotto l’azione simultanea dei sistemi di forze. Cosı̀ ad esempio, se il problema di statica considerato si presenta in modo tale che il sistema sia in equilibrio sotto l’azione separata di m forze attive note e di certe reazioni vincolari incognite, allora esso può risolversi determinando separatamente il sistema delle reazioni vincolari che equilibrano ciascuna delle forze attive e quindi sommando, per ogni punto di applicazione delle reazioni vincolari, le reazioni parziali cosı̀ determinate. Questa proprietà rientra come caso particolare del principio di sovrapposizione degli effetti, il quale afferma che tutte le volte che un certo effetto dipende linearmente dalle cause che lo producono, l’effetto complessivo prodotto da più cause risulta come somma degli effetti singolarmente prodotti da ciascuna di quelle cause considerata come la sola presente. All’atto pratico il principio di sovrapposizione degli effetti si rivela utile per la risoluzione dei problemi qualora sia possibile scomporre il sistema complessivo delle forze attive e reattive in due distinti sistemi parziali che assicurino separatamente l’equilibrio in una stessa configurazione. Cosı̀ ad esempio consideriamo di nuovo il sistema materiale già considerato nell’esempio 2 di questo numero, riportato in fig. 11.6.15, in cui sia anche applicata una forza nota F sulla biella AB, oltre alla coppia M1 applicata alla manovella OA. Si vuole de75 terminare quale coppia M2 si deve applicare all’asta BC affinchè il sistema sia in equilibrio nella configurazione indicata in figura. Figura 11.6.15 Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti possiamo pensare il momento incognito M2 come somma di due opportuni momenti: (1) (2) M2 = M2 + M2 (11.6.27) (1) di cui il primo M2 è quello già determinato nell’esempio 2 (equazione (11.6.18)), (2) capace di stabilire l’equilibrio in presenza della sola coppia M1 , il secondo M2 è quello necessario per l’equilibrio del sistema in presenza della sola forza F applicata alla biella AB. (2) Per determinare questo secondo momento M2 osserviamo che la biella AB, oltre (2) (2) che alla forza F è anche soggetta alle reazioni vincolari ΦA e ΦB ad essa trasmesse dalle manovelle OA e AC. Poichè l’asta OA è scarica, cioè è soggetta alle sole reazioni (1) vincolari ΦA e ΦO , esse dovranno avere la direzione dell’asta OA stessa. Ciò consente (2) (2) di determinare il punto D, intersezione delle tre forze F, ΦA e ΦB agenti sulla biella. (2) (2) Le reazioni ΦA e ΦB si determinano subito scomponendo la forza nota F secondo le direzioni della AD e DB, il che permette di portare a termine in modo completo la (2) determinazione delle reazioni vincolari ΦO , ΦA , ΦB e ΦC e quindi del momento M2 . Con riferimento alla figura 11.6.15 si ottiene: (2) (2) M2 = b2 ΦB (11.6.28) e risulta antiorario. I valori delle reazioni vincolari e della coppia incognita M2 saranno la somma (vettoriale) di quelli determinati ora e di quelli determinati nel precedente esempio. 76 XI.7. STATICA ANALITICA IL PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI Per i sistemi a vincoli ideali possiamo dare la seguente importante condizione, necessaria e sufficiente per l’equilibrio; tale condizione, a causa della sua fondamentale importanza nella Meccanica dei Sistemi, è nota come Principio dei lavori virtuali. Condizione necessaria e sufficiente affinchè una configurazione S ∗ per il sistema S, a vincoli ideali, sia una configurazione di equilibrio è che il lavoro compiuto dalle forze attive risulti non positivo per qualunque spostamento virtuale del sistema, a partire dalla configurazione S ∗ : δL(a) ≤ 0 (11.7.1) Ci limiteremo qui a mostrare semplicemente la necessità della condizione, nell’ipotesi, non restrittiva, in cui il sistema S sia costituito da un numero finito n di punti materiali Pi . Se S ∗ è per S configurazione di equilibrio, per ogni punto Pi di S la posizione Pi∗ è posizione di equilibrio. Sia Fi la forza attiva agente sul generico punto Pi di S, che per semplicità supponiamo posizionale: Fi = Fi (Pi ) (11.7.2) e sia Φi la forza che eventuali vincoli esplicano sul punto Pi . Se Pi∗ è posizione di equilibrio per Pi ciò vuol dire che, in tale posizione, il vincolo è capace di esplicare una reazione Φi in grado di equilibrare la forza attiva calcolata in Pi : Fi (Pi∗ ) + Φi = 0 (11.7.3) Sia δPi un generico spostamento virtuale per il punto Pi . Moltiplicando scalarmente la (11.7.3) per δPi , e sommando l’uguaglianza cosı̀ ottenuta sull’indice i, si ottiene: n X [Fi · δPi + Φi · δPi ] = 0 (11.7.4) i=1 da cui: δL(a) + δL(v) = 0 (11.7.5) Ricordando la definizione di vincolo ideale si ha l’asserto. In particolare, se lo spostamento virtuale che subisce il sistema S è uno spostamento virtuale reversibile il principio dei lavori virtuali deve essere essere verificato come uguaglianza: δL(a) = 0. Infatti, sia δS (1) = (δP1 , δP2 , ..., δPn ) uno spostamento virtuale reversibile e δS (2) = −δS (1) = (−δP1 , −δP2 , ..., −δPn ) il suo opposto. Il principio dei lavori virtuali afferma che, per essere il sistema in equilibrio deve essere non positivo sia il lavoro virtuale δL(1) compiuto dalle forze attive in corrispondenza allo spostamento virtuale δS (1) , che il lavoro virtuale δL(2) compiuto dalle forze attive in corrispondenza allo spostamento virtuale δS (2) : δL(1) ≤ 0, δL(2) ≤ 0 77 Ma risulta δL(2) = −δL(1) −→ δL(1) = δL(2) = 0 Se invece lo spostamento virtuale che subisce il sistema S è uno spostamento virtuale irreversibile il principio dei lavori virtuali deve essere verificato come disuguaglianza δL(a) ≤ 0. Osserviamo infine che, se il sistema S è soggetto solo a vincoli bilaterali, (come nell’esempio 2), ogni spostamento virtuale che esso può subire è uno spostamento reversibile e quindi in tal caso il principio dei lavori virtuali si enuncia: Condizione necessaria e sufficiente affinchè una configurazione S ∗ per un sistema S, soggetto a vincoli ideali olonomi e bilaterali, sia una configurazione di equilibrio è che il lavoro compiuto dalle forze attive risulti nullo per qualunque spostamento virtuale del sistema, a partire dalla configurazione S ∗ : δL(a) = 0 (11.7.6) XI.7.1. COMPONENTI GENERALIZZATE DELLE FORZE Ricordiamo che se il sistema S è un sistema olonomo ad N gradi di libertà, il lavoro virtuale compiuto dalle forze attive può essere scritto in funzione degli incrementi (virtuali) δq1 , δq2 , ..., δqN che possono subire i parametri lagrangiani. Infatti detto P un generico punto di S, le sue coordinate risultano funzioni dei parametri lagrangiani; si ha dunque: P = P (q1 , q2 , ..., qN , t) (11.7.7) lo spostamento virtuale del punto Pi , si ottiene differenziando la (11.7.7), considerando in questa equazione il tempo come costante: δP = N X ∂P ∂P ∂P ∂P δq1 + δq2 + ... + δqN = δqh ∂q1 ∂q2 ∂qN h=1 ∂qh (11.7.8) Sostituendo la (11.7.8) nell’espressione del lavoro delle forze attive, si ottiene: δL (a) = n X (a) Fi i=1 · δPi = n X i=1 (a) Fi · " N X ∂P h=1 ∂qh avendo posto: Qh = # δqh = " n N X X h=1 n X (a) Fi · i=1 ∂P ∂qh i=1 # (a) Fi N X ∂P δqh = · Qh δqh ∂qh h=1 (11.7.9) (11.7.10) Le quantità Qh ora introdotte prendono il nome di componenti lagrangiane (o generalizzate) della forza attiva. 78 XI.7.2. EQUAZIONI DI EQUILIBRIO DI UN SISTEMA OLONOMO SOGGETTO A VINCOLI BILATERALI. Il principio dei lavori virtuali nel caso di un sistema olonomo ad N gradi di libertà e a vincoli bilaterali porge: δL(a) = N X Qh δqh = 0 (11.7.11) h=1 La (11.7.11) vale qualunque sia lo spostamento virtuale del sistema S, cioè qualunque siano le quantità δqh . Essendo gli incrementi δqh completamente arbitrari, deduciamo: Qh = 0 (h = 1, 2, ..., N ) (11.7.12) Possiamo quindi enunciare la seguente proprietà: Condizione necessaria e sufficiente perchè una data configurazione S ∗ sia configurazione di equilibrio per un sistema S olonomo ad N gradi di libertà, soggetto soltanto a vincoli bilaterali, è che si annullino le N componenti lagrangiane della sollecitazione attiva. Le (11.7.12) costituiscono un sistema di N equazioni algebriche, nelle incognite (q1 , q2 , ..., qN ), non contenenti le reazioni vincolari, dette anche equazioni pure di equilibrio del sistema S. XI.7.3. EQUAZIONI DI EQUILIBRIO DI SISTEMI SOGGETTI A SOLLECITAZIONE CONSERVATIVA Sia S è un sistema olonomo, a vincoli bilaterali e indipendenti dal tempo, soggetto solamente a forze conservative. Indichiamo con U il potenziale delle forze attive agenti su S. Dal principio dei lavori virtuali si deduce la seguente importante conseguenza: Condizione necessaria e sufficiente perchè una data configurazione, per il sistema S, sia una configurazione di equilibrio è che in tale configurazione il potenziale delle forze attive agenti sul sistema risulti stazionario: dU = 0 (11.7.13) Se il sistema S è un sistema olonomo, a vincoli bilaterali, il principio dei lavori virtuali ci consente di affermare che una data configurazione per S è una configurazione di equilibrio se il lavoro virtuale compiuto dalle forze attive a partire da tale configurazione risulta nullo qualunque sia lo spostamento virtuale del sistema. Se il sistema S è un sistema olonomo, a vincoli indipendenti dal tempo, soggetto solamente a forze conservative, detto U il potenziale di tali forze, risulta: δL = dL = dU (11.7.14) Tenendo presente la (11.7.6), si ha l’asserto. Se il sistema S è un sistema ad N gradi di libertà, detto (q1 , q2 , ..., qN ) un insieme di coordinate lagrangiane, il potenziale U è una funzione di tali parametri: U = U (q1 , q2 , ..., qN ) 79 (11.7.15) Poichè è: ∂U ∂U ∂U dq1 + dq2 + ... + dqN ∂q1 ∂q2 ∂qN le equazioni pure di equilibrio in questo caso si scrivono: dU = ∂U ∂U ∂U = 0, = 0, ..., =0 ∂q1 ∂q2 ∂qN (11.7.16) (11.7.17) XI.7.5. APPLICAZIONI DEL PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI Esercizio 1: In un piano verticale {O, x, y}, con l’asse x verticale discendente, sia dato un punto materiale P , di massa m, vincolato a muoversi su una guida circolare di centro O e di raggio r. Sul punto P agisce anche una forza elastica, di costante elastica k, che ha come centro il punto P 0 proiezione del punto P sull’asse x, e lunghezza a riposo trascurabile (fig. 5). Determinare le posizioni di equilibrio del sistema. f ig. 7.1 Io metodo. Applichiamo il principio dei lavori virtuali. Si tratta di un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo, ad un grado di libertà. Come parametro lagrangiano per determinare la posizione di P possiamo scegliere l’angolo θ di fig. 5. Le forze attive che agiscono sul punto sono la forza peso mg e la forza elastica −k P 0 P . Determiniamo il lavoro virtuale che esse compiono, quando il punto P subisce un generico spostamento virtuale δP . Poichè il vincolo è fisso, lo spostamento virtuale è uno spostamento possibile. Risulta: ½ xP = r cos θ yP = r sin θ (11.7.18) differenziando rispetto al parametro lagrangiano θ si ottengono le espressioni delle componenti (δxP , δyP ) dello spostamento δP del punto P : ½ δxP = −r sin θ δθ δyP = r cos θ δθ (11.7.19) Nel riferimento {O, x, y} di figura, la forza peso mg ha le componenti (mg, 0). Risulta dunque, denotando con δLg il lavoro compiuto dalla forza peso: δLg = mg · δP = −mgr sin θ δθ 80 (11.7.20) Nel riferimento {O, x, y} di figura, la forza elastica −k P 0 P ha le componenti (0, −kyP ). Denotando con δLel il lavoro compiuto dalla forza elastica, possiamo scrivere: δLel = −kP 0 P · δP = −kr2 sin θ cos θ δθ (11.7.21) Il principio dei lavori virtuali ci consente di affermare che sono posizioni di equilibrio per il punto P quelle a partire dalle quali risulta nullo il lavoro virtuale compiuto dalle forze attive (qualunque sia lo spostamento δP considerato). E’: δLa = δLg + δLel = [−mgr sin θ − kr2 sin θ cos θ]δθ (11.7.22) e tale lavoro deve essere nullo, qualunque sia lo spostamento δP : δLa = [−mgr sin θ − kr2 sin θ cos θ]δθ = 0 (11.7.23) Un generico spostamento virtuale del punto P , a partire dalla posizione corrispondente al valore θ del parametro lagrangiano, è espresso dalle (11.7.19); al variare di δθ, abbiamo uno spostamento virtuale diverso, a partire dalla stessa configurazione. Deve dunque essere δL(a) = 0 qualunque sia δθ. Deduciamo dunque che sono posizioni di equilibrio per P quelle che annullano la quantità in parentesi quadra nella (11.7.23), cioè quelle che annullano la componente generalizzata Q: Q = −mgr sin θ − kr2 sin θ cos θ = 0 (11.7.24) Sono dunque posizioni di equilibrio per P quelle corrispondenti ai valori del parametro θ che soddisfano le uguaglianze: mg sin θ = 0 cos θ = − (11.7.25) kr Dalla prima relazione, otteniamo i valori θ1 = 0 θ2 = π (11.7.26) Deduciamo dunque che sono posizioni di equilibrio per il punto P quelle corrispondenti ai valori (11.7.26) del parametro lagrangiano. Consideriamo adesso la seconda delle (11.7.25). Osserviamo che a tale eguaglianza corrispondono altre due configurazioni di equilibrio, se i dati del problema sono tali che risulti mg < kr. Se invece i dati del problema sono tali che mg > kr, non otteniamo altre posizioni di equilibrio oltre a quelle fornite dalle (11.7.26). Consideriamo il caso particolare in cui risulta k = 2mg/r. In tal caso la seconda delle (11.7.25) si scrive: mg 1 cos θ = − =− (11.7.27) kr 2 deduciamo dunque che il sistema ammette anche le due posizioni di equilibrio: 2 θ3 = π 3 2 θ4 = − π 3 IIo metodo. Applichiamo la stazionarietà del potenziale. 81 (11.7.28) Il potenziale della forza peso è: U g = mgxP = mgr cos θ (11.7.29) Il potenziale della forza elastica è: 1 1 1 U el = − k|P P 0 |2 = − kyP2 = −k r2 sin2 θ 2 2 2 (11.7.30) Il potenziale delle forze attive che agiscono sul punto P è: 1 U = U g + U el = mgr cos θ − kr2 sin2 θ 2 (11.7.31) Derivando rispetto al parametro lagrangiano θ si ottiene: dU = −mgr sin θ − kr2 sin θ cos θ dθ (11.7.32) Imponendo l’uguaglianza a zero di quest’ultima relazione si ottiene la (11.7.24). Esempio 2: Nel piano verticale {o, x, y}, con l’asse x verticale discendente, l’asta omogenea OA, di lunghezza l e massa m ha un estremo incernierato nell’origine del riferimento. Un disco D, di raggio r e massa M è mobile nello stesso piano, ed il suo centro è vincolato al secondo estremo A dell’asta. In un punto P della periferia del disco agisce una forza costante F, di direzione orizzontale. Determinare le posizioni di equilibrio dell’asta. f ig. 7.2 Io metodo. Applichiamo il principio dei lavori virtuali. Si tratta di un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo, a due gradi di libertà. Come parametri lagrangiani possiamo scegliere i due angoli θ e φ di fig. 3. Le forze attive che agiscono sul sistema sono la forza peso mg che agisce sull’asta OA, la forza peso M g che agisce sul disco D e la forza costante F, applicata nel punto P del disco. Determiniamo il lavoro virtuale che esse compiono, quando il sistema S subisce un generico spostamento virtuale. Poichè il sistema è a due gradi di libertà un suo spostamento virtuale sarà fissato scegliendo i valori degli incrementi angolari δθ e δφ. Poichè il vincolo è fisso, ogni spostamento virtuale è uno spostamento possibile. Si ha: δL(a) = δLgOA + δLgD + δLF = mg · δG + M g · δA + F · δP 82 (11.7.33) Risulta: ( ½ xG = 2l cos θ yG = 2l sin θ (11.7.34) xA = l cos θ (11.7.35) yA = l sin θ ½ xP = l cos θ + r cos φ (11.7.36) yP = l sin θ + r sin φ Differenziando rispetto ai parametri lagrangiani θ e φ si ottengono le espressioni degli spostamenti δG del baricentro G dell’asta, δA del punto A e δP del punto P : ( δxG = − 2l sin θ δθ δyG = 2l cos θ δθ (11.7.37) ½ δxA = −l sin θ δθ δyA = l cos θ δθ ½ δxP = −l sin θ δθ − r sin φ δφ δyP = l cos θ δθ + r cos φ δφ (11.7.38) (11.7.39) Nel riferimento {O, x, y} di figura, la forza mg ha le componenti (mg, 0); la forza M g le componenti (M g, 0), la forza F le componenti (0, F ). Otteniamo cosı̀, sostituendo nella (11.7.33): · δL(a) = − µ ¶ ¸ m + M gl sin θ + F lcosθ δθ + r cos φ δφ 2 (11.7.40) Ricordando l’espressione (11.7.9) del lavoro virtuale per un sistema olonomo, otteniamo, per identificazione, le due componenti generalizzate Qθ e Qφ della sollecitazione attiva agente sul sistema S: µ Qθ = − ¶ m + M gl sin θ + F lcosθ 2 (11.7.41) Qφ = r cos φ (11.7.42) Le posizioni di equilibrio del sistema si ottengono, in base alle (11.7.12), annullando le componenti lagrangiane della sollecitazione. Esse sono dunque le soluzioni del sistema: ( ³ ´ − m2 + M gl sin θ + F lcosθ = 0 r cos φ = 0 Otteniamo dunque: ( (11.7.43) 2F tan θ = (m+2M )g cos φ = 0 Posto, ad esempio: µ (11.7.44) ¶ m +M g 2 le configurazioni di equilibrio del sistema sono: F = µ S1∗ = θ = π π ,φ = 4 2 µ ¶ S2∗ = θ = 83 (11.7.45) π π ,φ = − 4 2 ¶ µ S3∗ 5 π = θ = π, φ = 4 2 ¶ µ S4∗ 5 π = θ = π, φ = − 4 2 ¶ (11.7.46) IIo metodo. Applichiamo la stazionarietà del potenziale. Risulta: µ ¶ m U = mgxG + M gxA = + M gl cos φ 2 U F = F yP = F (l sin θ + r sin φ) g (11.7.47) (11.7.48) Il potenziale della forze attive è la somma dei potenziali delle forze che agiscono sul sistema: ¶ µ m + M gl cos φF (l sin θ + r sin φ) (11.7.49) U = Ug + UF = 2 Derivando rispetto ai parametri lagrangiani θ e φ si ottengono le relazioni (11.7.41) e (11.7.42), che sono proprio le componenti lagrangiane della sollecitazione attiva. Imponendo l’uguaglianza a zero di queste relazioni si ottiene il sistema (11.7.43). ESERCIZI DI RIEPILOGO Esercizio 1 Si consideri l’arco a tre cerniere, formato dalle due aste AB e BC, di uguale lunghezza, collegate tra di loro con una cerniera in B e fissato a terra in A e in C con due cerniere fisse. Nel punto medio M dell’asta BC è applicata una forza costante F, parallela all’asse y; una seconda forza F1 , parallela all’asse x, è applicata nel punto N dell’asta AB, ad una distanza da A pari ad un terzo della lunghezza delle due aste. Determinare, applicando il principio dei lavori virtuali, la reazione vincolare in C. Esercizio 2 Un ponte è costituito da tre campate: AC, CD e DF incernierate tra di loro, ed appoggiate come in figura. Le dimensioni sono: AC=DF=80m , CD=20m , AB=EF=50m La densità della campata centrale del ponte èµ1 = 4t/m, quella delle laterale è µ2 = 3t/m. Sul ponte transitano tre automobili A1 A2 e A3 , di masse m1 = 1t, m2 = 2t, m3 = 3t. Schematizzando le automobili come punti materiali, determinare le reazioni sugli appoggi e sulle cerniere nell’ipotesi che la prima automobile si trovi a metà del tratto AB, la seconda al centro del ponte, la terza a metà del tratto DE. 84 Esercizio 3 Un ponte è composto da due parti, collegate tra di loro con una cerniera A ed è fissato al terreno da altre due cerniere B e C. Il peso di ognuna delle due parti del ponte è 10t; i baricentri sono rispettivamente nei punti D ed E, indicati in figura. Sul ponte è appoggiato un corpo P, il cui peso è 4t. Le dimensioni sono indicate in figura. Determinare le reazioni vincolari interne ed esterne. Esercizio 4 Un’asta omogenea AB, di lunghezza 2l e massa m, è posta tra due appoggi scabri C e D, come in figura. Il coefficiente di attrito tra l’asta e i due appoggi è uguale ad fs . La distanza tra i due punti C e D è uguale ad a, mentre la distanza tra l’appoggio C e l’estremo A dell’asta è uguale a b. L’asta è inclinata di un angolo α sull’orizzontale. Quale condizione deve soddisfare la lunghezza dell’asta perchè quest’ultima sia in equilibrio? [Si trascuri lo spessore dell’asta]. Esercizio 5 Un’asta omogenea AB, di lunghezza l e massa m, è appoggiata sull’asse x orizzontale in A, mentre il punto B è trattenuto da un filo, come in figura. Il coefficiente di attrito tra l’asta e l’asse x è uguale ad fs . L’asta è inclinata di un angolo α = 45o sull’orizzontale. 85 Per quale valore dell’angolo φ d’inclinazione del filo rispetto all’orizzontale l’asta AB inizia a strisciare? Esercizio 6 Un ponte è costituito da due travi orzzontali uguali, vincolate tra di loro con una cerniera A e collegate al suolo dalle aste rigide 1,2,3,4, le aste estreme verticali, le aste intermedie inclinate di un angolo α = 60o rispetto all’orizzontale. Le dimensioni sono AB = 8 m, BC = 6 m. Un corpo P , di massa m = 1500 Kg è fermo sul ponte ad una distanza a = 4 m dalla cerniera B. Determinare gli sforzi sulle sbarre dovute all’azione di questo carico. Esercizio 7 Determinare le reazioni vincolari negli appoggi A, B e C e nella cerniera D della struttura considerata in figura. Esercizio 8 Determinare le reazioni vincolari negli appoggi A, B e C e nella cerniera D della struttura considerata in figura. 86 Esercizio 9 Nel piano orizzontale, un’asta AB ha i due estremi vincolati ripettivamente a scorrere sugli assi y e x. Nel punto medio C dell’asta è incernierata una manovella OA, il cui altro estremo è incernierato nell’origine O degli assi. Sull’estremo A dell’asta AB è applicata una forza p parallela all’asse y, diretta verso il punto O. a) Applicando il principio dei lavori virtuali, determinare il momento della coppia da applicare alla manovella affinchè il sistema sia in equilibrio, quando l’angolo ϕ che la manovella forma con l’asse delle x è uguale a 45o . b) Determinare le reazioni vincolari interne ed esterne. Esercizio 10 Quattro aste rigide, AB, CD, EG ed HK, sono incernierate tra di loro, a terra ed a parete, come in figura. Sull’estremo B della prima asta agisce una forza F, orizzontale. Determinare le reazioni vincolari interne ed esterne. Si trascuri la massa di tutte le aste. Esercizio 11 Due aste AC e BD di uguale massa m = 40 Kg e uguale lunghezza sono incemierate tra di loro in D, e ad un muro verticale in A e in B. L’asta AC è orizzontale, l’asta BD forma un angolo di 60o con il muro verticale (vedi figura). Oltre al peso, sul punto 87 C è applicata una forza costante F, inclinata di 30o rispetto all’asta AC. Supposti i vincoli privi di attrito, determinare le reazioni sulle cerniere A e B e sull’asta DE. Esercizio 12 Una lamina piana ABCD, rettangolare, omogenea, di massa m = 180 Kg e lati CD = a = 2.30 m e CE = b = 0.75 m ha il lato CE vincolato a ruotare intorno all’asse fisso x per mezzo di due cerniere cilindriche A e B; Si ha AE = BC = 0.15 m. Essa è vincolata a rimanere in posizione orizzontale da un montante F G, di massa trascurabile; si ha EF = 1.5m. Determinare le reazioni vincolari in A, B ed F . Esercizio 13 Dall’estremo D di un rettangolo omogeneo ABCD, di lati AB = a e AD = b condurre una retta DE in modo che, tagliando il rettangolo secondo la retta DE il trapezio ABED che si ottiene sia tale che, appendendolo per il punto E, il lato AD sia orizzontale. 88 Esercizio 14 I risultanti F = 5200 t e P = 8000 t delle forze di pressione dell’acqua su una diga, perpendicolari alle facce corrispondenti (vedi figura), sono applicati nei punti A e B del piano verticale mediano, rispettivamente alle distanze H = 4 m e h = 2.4 m dalla base. La parte rettangolare della diga è omogenea ed ha un peso p1 = 12000 t, mentre la parte triangolare, anch’essa omogenea, ha un peso p2 = 6000 t. La larghezza della base della diga è b = 10 m, quella della sua parte superiore è a = 5 m. Si ha inoltre tan α = 5/12. Nel riferimento di figura, determinare l’intensità e la retta di applicazione del risultante delle reazioni vincolari che il suolo, su cui è fondata la diga, esercita sulla diga. Esercizio 15 Un quadrato di massa m e lato l è vincolato a ruotare intorno al suo vertice O rimanendo sempre nello stesso piano verticale π = {O, x, y}. Sul suo vertice C agisce una forze costante F orizzontale. Sul quadrato, inoltre, agisce una coppia di forze, di momento M, ortogonale al piano π. Supposti i vincoli privi di attrito, applicando il principio dei lavori virtuali determinare il valore del momento M, affinche la posizione θ = π/6 sia posizione di equilibrio. Ritrovare lo stesso risultato applicando le equazioni cardinali della statica. Esercizio 16 Durante il montaggio di un ponte è necessario sollevare una trave ABC con tre cavi, disposti come indiin figura. Il peso della trave è 420 Kg. Il baricentro della trave si trova nel punto D. Sapendo che 89 AD=4 m; DB=2 m; BF= 1 m e supponendo che la trave rimanga orizzontale, determinare le tensioni dei cavi. Esercizio 17 Un’asta omogenea AB, di lunghezza l = 3r e massa m = 16 Kg, ha il suo estremo A incernierato a terra. Essa si appoggia sulla superficie di un cilindro di raggio r, che è appoggiato su di un piano orizzontale ed è tenuto in equilibrio da un filo inestensibile AC = 2r. Determinare la tensione del filo e la pressione dell’asta sulla cerniera A. Esercizio 18 Un’asta rigida omogenea AB, di massa mAB = 100 Kg, ha il suo estremo A vincolato alla parete con una cernera fissa. Essa è mantenuta nella posizione indicata in figura da un filo inestensibile, di massa trascurabile, che passa sulla carrucola C e sostiene un corpo G di massa m. Un secondo corpo Q, di massa mQ = 200 Kg è appeso al punto D dell’asta. Supponendo i vincoli privi di attrito, determinare la massa del corpo G. Determinare inoltre la reazione nella cerniera A e la tensione del filo. 90 Esercizio 19 Nel piano verticale, quattro aste rigide, AB, AC, DE ed FG, sono incernierate tra di loro e a terra come in figura 1. Dall’estremo B della prima asta pende un corpo di massa m. Determinare le reazioni vincolari sulle aste DE ed FG e la reazione del suolo aull’asta AC. Si trascuri la massa di tutte le aste. Esercizio 20 Nel piano verticale, si consideri il sistema di figura. Un carrello P, di massa m = 480Kg, scende su di un piano privo di attrito, inclinato di 60o rispetto all’orizzontale. Esso è in equilibrio, trattenuto da un filo inestensibile, di massa trascurabile, fissato ad una carrucola C, anch’essa di massa trascurabile, posta nel vertice di un triangolo omogeneo ABC, di lato l. Il punto A di questo triangolo è appoggiato sull’asse x (orizzontale), mentre il punto B è incernierato sul punto (0, l) dell’asse x. La massa del triangolo è mT = m/2 = 240Kg. Supponendo i vincoli privi di attrito, considerando il carrello come un punto materiale, trascurando la distanza tra il filo ed il triangolo, determinare a) la tensione del filo e la reazione vincolare che il piano inclinato esplica sul carrello P; b) le reazioni vincolari nei punti A e B del triangolo. 91 CAPITOLO XII ELEMENTI DI DINAMICA DEI SISTEMI MATERIALI XII.1. EQUAZIONI CARDINALI DELLA DINAMICA. Consideriamo la legge fondamentale della meccanica per il generico punto Ps del sistema materiale S, che riscriviamo nel seguente modo: es − ms as + is = 0 (12.1.1) Poichè la quantità F0s = −ms as ha le dimensioni di una forza, possiamo porre la seguente DEFINIZIONE 12.1.1: Prende il nome di Forza d’inerzia del punto Ps il vettore applicato: (Ps , F0s ) = (Ps , −ms as ) (12.1.2) Si stia attenti a non confondere le forze d’inerzia ora definite, con le forze inerziali (o forze apparenti) che compaiono quando l’osservatore che studia il moto o l’equilibrio di un sistema S non è un osservatore inerziale. L’equazione (12.1.1) può essere interpretata nel seguente modo: durante il moto di S, in uno spazio E3 , in ogni istante si fanno equilibrio le forze attive, le forze d’inerzia e le reazioni vincolari: F0 s + es + is = 0 (12.1.4) È questo il principio di d’Alembert, che permette di ricondurre ogni problema di dinamica ad un problema di statica, introducendo tra le forze che agiscono sul punto P anche le forze d’inerzia. Dalla (12.1.4), sommando sull’indice s, otteniamo: n X s=1 F0 s + n X es + s=1 n X is = 0. (12.1.5) s=1 Denotando con R0 , R(e) e R(i) rispettivamente il risultante delle forze d’inerzia, quello delle forze esterne e quello delle forze interne, la (12.1.5) si scrive: R0 + R(e) + R(i) = 0; ricordando, infine, che il sistema delle forze interne è un sistema equilibrato, ricaviamo R0 + R(e) = 0 nota come prima equazione cardinale della meccanica dei sistemi materiali. Moltiplicando la (12.1.4) vettorialmente a sinistra per TPs , si ottiene: TPs ∧ F0 s + TPs ∧ es + TPs ∧ is = 0 92 (12.1.6) sommando sull’indice s: n X TPs ∧ F0 s + s=1 n X TPs ∧ es + s=1 (e) n X TPs ∧ is = 0 (12.1.7) s=1 (i) Denotando con M0 Q , MQ e MQ il momento risultante rispetto al polo Q rispettivamente delle forze d’inerzia, delle forze esterne e delle forze interne, la (12.1.7) si scrive (e) (i) M0 Q + MQ + MQ = 0, ricordando, infine, che il sistema delle forze interne è un sistema equilibrato, ricaviamo (e) M0 Q + MQ = 0 (12.1.8) nota come seconda equazione cardinale della meccanica dei sistemi materiali. Le equazioni (12.1.6) e (12.1.8) prendono il nome di Equazioni Cardinali della Meccanica dei Sistemi Materiali. Se effettuiamo la decomposizione delle forze esterne in attive e in vincolari, esse si scrivono: ( R0 + R(e,a) + R(e,v) = 0 M0Q + MQ (e,a) + MQ (e,v) = 0 (12.1.10) Le (12.1.10) valgono per un qualunque sistema materiale, anche non rigido, e si possono estendere ai sistemi continui sostituendo le sommatorie con integrali. Per poterle utilizzare nella risoluzione di uno specifico problema di meccanica, occorre esprimere i vettori R0 ed M0Q in termini di opportune grandezze dinamiche. Queste sono la quantità di moto Q del sistema: Q= n X ms vs (12.1.11) s=1 ed il momento risultante delle quantità di moto KQ (chiamato anche momento angolare) rispetto al polo Q: KQ = n X QPs ∧ ms vs (12.1.12) s=1 12.1.1. TEOREMI DELLA QUANTITÀ DI MOTO E DEL MOTO DEL BARICENTRO. La prima equazione cardinale si suole presentare spesso in una forma (seconda forma) in cui interviene la quantità di moto del sistema. Derivando rispetto al tempo la (12.1.11), otteniamo: Q̇ = n X ms as = −R0 (12.1.13) s=1 e sostituendo nella prima delle (12.1.10) otteniamo: Q̇ = R(e) 93 (12.1.14) La (12.1.14) costituisce il teorema della quantità di moto e si legge: durante il moto di un qualunque sistema materiale in ogni istante il derivato rispetto al tempo della quantità di moto è uguale al risultante delle forze esterne. Alla prima equazione cardinale si può dare anche un’altra forma molto espressiva approfittando di una relazione che intercorre tra il risultante delle forze d’inerzia e l’accelerazione del baricentro del sistema. Infatti, basta ricordare la definizione di baricentro: OG = Pn s=1 ms OPs e derivarla due volte rispetto al tempo, per dedurre: maG = n X ms as = −R0 (12.1.16) s=1 e da questa, sostituendo nella prima delle (12.1.10), si ottiene la sequente importante relazione maG = R(e) (12.1.17) che costituisce il teorema del moto del baricentro. Esso si enuncia: durante il moto di un qualunque sistema materiale il baricentro si muove come un punto materiale dotato della massa dell’intero sistema e sollecitato dal risultante delle forze esterne. Si riconosce pertanto che se le forze esterne hanno risultante nullo (e, in particolare, in assenza di forze esterne) il baricentro si muove di moto rettilineo ed uniforme. Ciò accade, con buona approssimazione, per il sistema solare. Infatti, l’insieme dei corpi che lo costituiscono (Sole, Pianeti e Satelliti) è soggetto alle forze di attrazione che mutuamente essi si esplicano -che hanno il carattere di forze interne- e alle forze esterne- di attrazione da parte delle stelle. Ma queste ultime, data l’enorme distanza delle stelle dal sistema solare, riescono trascurabili di fronte alle prime. Pertanto il sistema solare si può considerare come un sistema non soggetto a forze esterne, o come suol dirsi un sistema isolato. Il suo baricentro -che coincide approssimativamente con il centro del Sole- si muove di moto rettilineo uniforme. Le osservazioni astronomiche confermano questo risultato e rivelano che il sistema solare si muove di moto rettilineo uniforme verso la costellazione d’Ercole. OSSERVAZIONE 12.1.1. Il teorema del moto del baricentro, rivelando per ogni corpo l’esistenza di un punto ad esso collegato che segue rigorosamente le leggi fondamentali del moto di un punto materiale dà piena consistenza al concetto di punto materiale come il più semplice modello di sistema meccanico. In particolare, nel moto di un corpo pesante nel vuoto il baricentro si muove con accelerazione costante descrivendo una parabola (o, in particolare, una retta). OSSERVAZIONE 12.1.2. L’equazione (12.1.17) non permette, in generale, da sola, di determinare il moto di G. Infatti R(e) può dipendere da variabili che sono influenzate dal moto intorno al baricentro (e quest’ultimo può a sua volta dipendere dalle forze esterne). Ciò accare nel volo degli uccelli. In tal caso R(e) è costituito dal peso e 94 dalla resistenza dell’aria, e quest’ultima dipende dalla posizione e dall’orientamento dell’animale, che varia a causa delle forze interne. Invece, se l’animale cade nel vuoto, esso non potrà mai -con le forze interne- modificare la traiettoria del baricentro. in questo caso R(e) è costituito dal solo peso, che è un vettore indipendente dalle forze interne. Consequentemente l’equazione (12.1.17) consente (da sola) di determinare il moto di G solo se R(e) non dipende dal moto intorno al baricentro, se cioè risulta: R(e) = R(e) (G, vG , t) (12.1.18) 12.1.2. TEOREMA DEL MOMENTO DELLE QUANTITÀ DI MOTO. Anche la seconda delle (12.1.10) si suole trasformare facendo intervenire il momento della quantità di moto. Per determinare la seconda forma dell’equazione cardinale dei momenti deriviamo la (12.1.12) rispetto al tempo: à ! n n n X X d d X d KQ = QPs ∧ ms vs = QPs ∧ ms vs + QPs ∧ ms as = dt dt s=1 s=1 dt s=1 = n X (vs − vQ ) ∧ ms vs + s=1 n X QPs ∧ ms as = s=1 n X vs ∧ ms vs − s=1 n X vQ ∧ ms vs − M 0 Q . s=1 (12.1.19) Poichè il prodotto vettoriale tra vettori paralleli è nullo e ricordando le definizioni (12.1.9) e (12.1.11), otteniamo d KQ = −vQ ∧ Q − M0 Q dt e quindi, sostituendo nell’equazione cardinale dei momenti: (12.1.20) d (e) (12.1.21) KQ + vQ ∧ Q = M Q . dt La (12.1.15) costituisce la seconda forma della seconda equazione cardinale, valida per ogni sistema materiale e per qualsiasi scelta del polo Q. Se il polo Q è fisso (vQ = 0) o coincide con il baricentro del sistema (Q = G) o è in ogni istante mobile con velocità parallela a quella di G la (12.1.21) si semplifica in d (e) KQ = MQ , (12.1.22) dt che esprime il teorema del momento delle quantità di moto e si legge: durante il moto di un qualunque sistema materiale il derivato rispetto al tempo del momento delle quantità di moto rispetto ad un polo fisso o coincidente con il baricentro, o mobile in ogni istante con velocità parallela a quella di G, uguaglia il momento risultante delle forze esterne rispetto al polo Q. Il sistema di equazioni vettoriali (12.1.14) (o (12.1.16)) e (12.1.21), che riscriviamo dividendo le forze esterne in attive e vincolari: ( maG = R(e,a) + R(e,v) , (e,a) (e,v) d K + vQ ∧ Q = MQ + MQ , dt Q 95 (12.1.23) permette di determinare il moto e le reazioni vincolari di un sistema olonomo ad N gradi di libertà. Per utilizzare concretamente il teorema del momento delle quantità di moto occorre ancora esprimere il vettore KQ in funzione dei parametri lagrangiani. Ciò sarà fatto nel paragrafo XII.7. XII.2. ENERGIA 12.2.1. TEOREMA DELL’ENERGIA CINETICA. Nel caso di un sistema materiale S il teorema del numero X.5 si generalizza nel seguente Teorema dell’energia cinetica (o delle forze vive): Durante il moto di un sistema materiale, la derivata rispetto al tempo dell’energia cinetica uguaglia, in ogni istante, la potenza delle forze applicate, attive e reattive, interne ed esterne. Dimostrazione: Sia S un qualunque sistema materiale e sia Ps un punto di S. Consideriamo la legge fondamentale della meccanica del punto (1.1), scritta per il generico punto Ps : decomponendo le forze che agiscono sul punto in esterne ed interne possiamo scrivere: ms as = es + is , (12.2.1) avendo indicato con es e is i risultanti delle forze esterne ed interne che agiscono sul punto Ps . Moltiplichiamo scalarmente primo e secondo membro della (14.1) per la velocità vs del punto Ps ms as · vs = es · vs + is · vs , (12.2.2) che può anche scriversi: µ ¶ d 1 ms vs · vs = es · vs + is · vs , dt 2 (12.2.3) sommando sull’indice s, si ottiene: µ ¶ 2 2 2 X X d X 1 ms vs · vs = es · vs + i s · vs , dt s=1 2 s=1 s=1 (12.2.4) Denotata con T l’energia cinetica del sistema e con P (e) e P (i) rispettivamente la potenza delle forze interne e delle forze esterne, la (12.2.4) si scrive: dT = P (e) + P (i) . dt (12.2.5) Una formulazione equivalente della (12.2.5), in termini di quantità infinitesime, di ottiene moltiplicando la (1o.5) per l’intervallo infinitesimo temporale dt. Si ottiene dT = P (e) dt + P (i) dt = dL(e) + dL(i) , (12.2.6) La (12.2.6) vale per ogni sistema materiale e costituisce la forma differenziale il teorema delle forze vive per i sistemi. Osservando che dT si confonde con la variazione 96 subita da T nell’intervallo di tempo infinitesimo dt, possiamo enunciare il teorema delle forze vive nel seguente modo: durante il moto di un qualunque sistema materiale la variazione subita in ogni intervallo di tempo infinitesimo dalla forza viva uguaglia il lavoro effettuato in quello stesso intervallo da tutte le forze, esterne ed interne. In particolare la (12.2.6) mostra che nell’intervallo di tempo infinitesimo dt si ha una variazione dell’energia cinetica totale del sistema solo se l’insieme di tutte le forze applicate, attive e vincolari, interne ed esterne, compie un lavoro elementare complessivo non nullo. 12.2.2. IL CASO DELLE FORZE CONSERVATIVE. Se si distinguono le forze esterne in attive e vincolari, il termine dL(e) nella (12.2.6) si decompone nella somma dei due termini dL(e,a) e dL(e,v) , corrispondenti ai lavori elementari delle forze esterne attive e vincolari e la (12.2.6) si traduce in dT = dL(e,a) + dL(e,v) + dL(i) . (12.2.7) Supponiamo che le forze esterne attive e le forze interne siano conservative, in tal caso, introdotti i loro potenziali U (e,a) e dU (i) , possiamo scrivere: dT = dU (e,a) + dU (i) + dL(e,v) , (12.2.8) Se integriamo nell’intervallo [t0 , t1 ] otteniamo: T − T0 − (U − U0 ) = Z t1 t0 (e,v) dL(e,v) = Ltotale , (12.2.9) dove abbiamo indicato con U la somma dei potenziali delle forze esterne attive e delle forze interne U = U (e,a) + U (i) . (12.2.10) Ricordando adesso che l’energia potenziale di una data forza èper definizione l’opposto del suo potenziale, indicando con Π l’energia potenziale di tutte le forze conservative agenti sul sistema Π = −U = −U (e,a) − U (i) , (12.2.11) possiamo scrivere la (12.2.9) nella seguente forma: E − E0 = T − T0 + (Π − Π0 ) = Z t1 t0 (e,v) dL(e,v) = Ltotale , (12.2.12) Dove con E =T −U =T +Π (12.2.13) si è indicata l’energia totale meccanica del sistema, somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale. La (12.2.12) esprime l’enunciato, in termini finiti, del teorema delle forze vive, e mostra che durante il moto di un qualunque sistema soggetto ad una sollecitazione esterna attiva conservativa e a forze interne pure conservative la variazione dell’energia totale uguaglia il lavoro totale effettuato dalle reazioni vincolari. 97 12.2.3. INTEGRALE PRIMO DELL’ENERGIA MECCANICA. Vogliamo adesso determinare sotto quali ipotesi per il sistema materiale l’energia meccanica si conserva. Vale il seguente teorema di conservazione dell’energia meccanica. Durante il moto di un sistema materiale soggetto a vincoli fissi e ideali e a forze interne ed esterne conservative, l’energia meccanica di conserva. Dimostrazione: Consideriamo la formulazione in termini infinitesimi (12.2.8) del teorema delle forze vive valida nel caso di forze conservative, che riscriviamo, introducendo l’energia meccanica: dE = d(T − U ) = dL(e,v) , (12.2.14) Se i vincoli sono fissi, lo spostamento elementare si identifica con uno spostamento virtuale e quindi il lavoro elementare compiuto dalle forze reattive si identifica con un lavoro virtuale. Poichè abbiamo supposto i vincoli ideali, tale lavoro è nullo, e la (12.2.14) si scrive dE = 0, (12.2.15) deduciamo quindi che l’energia meccanica totale del sistema si mantiene constante nel corso del tempo E = E0 , (12.2.16) La (12.2.16) costituisce il principio di conservazione dell’energia meccanica in quanto afferma l’invariabilitá dell’energia meccanica totale in ogni fenomeno di tipo meccanico di un qualunque sistema materiale soggetto a vincoli le cui reazioni fanno lavoro elementare nullo e a forze attive esterne e interne conservative. La (12.2.13) scritta nel seguente modo: T − U = E0 , (12.2.17) prende il nome di integrale primo dell’energia meccanica, e consente di determinare il moto di un sistema ad un solo grado di libertà, soggetto a vincoli fissi e ideali ed a forze conservative. Infatti, in questo caso, detto q l’unico parametro lagrangiano, risulta T = T (q, q̇) U = U (q), (12.2.18) e, di conseguenza, il primo membro della (12.2.17) è una funzione soltanto di q e di q̇. mentre il secondo membro è una costante, dipendente solo dalle condizioni iniziali. La (12.2.17) è quindi un’equazione differenziale del primo ordine nella incognita q = q(t), le cui soluzioni individuano i possibili moti del sistema. L’equazione differenziale del moto (che è un’equazione del secondo ordine) si ottiene semplicemente derivando rispetto al tempo la (12.2.17); essa si scrive: 1 ∂T ∂T ∂U q̈ = − . q̇ ∂ q̇ ∂q ∂q 98 (12.2.19) Ncaso in cui il sistema sia a più gradi di libertà, l’equazione (12.2.17) non consente (ovviamente, essendo una sola equazione scalare) di determinare il moto del sistema, ma in ogni caso fornisce utili informazioni sul suo comportamento dinamico. Per utilizzare concretamente il teorema delle forze vive e l’integrale primo dell’energia meccanica, occorre ancora esprimere l’energia cinetica T in funzione dei parametri lagrangiani. Ciò sarà fatto nel sucessivo paragrafo XII.7. XII.3. DINAMICA DEI SISTEMI OLONOMI. EQUAZIONI DI LAGRANGE Come abbiamo visto nel Capitolo XI, il principio dei lavori virtuali fornisce un procedimento generale di risoluzione dei problemi della statica. D’altra parte, il principio D’ Alembert permette di utilizzare i metodi della statica per la risoluzione dei problemi della dinamica. Di conseguenza, applicando simultaneamente questi due principi, potremo ottenere un procedimento generale di risoluzione dei problemi della dinamica. 12.3.1. CARATTERIZZAZIONE DEL MOTO IN COORDINATE LAGRANGIANE. Sia S un sistema materiale ad N gradi di libertà e sia (q1 , q2 , ..., qN ) un insieme di coordinate lagrangiane. Il moto del sistema S è noto quando sono note le N funzioni: q1 = q1 (t) q2 = q2 (t) ............. qN = qN (t) (12.3.1) dette equazioni del moto del sistema olonomo in coordinate lagrangiane. Infatti detto P un generico punto di S, le sue coordinate risultano funzioni dei parametri lagrangiani; si ha dunque: P = P (q1 , q2 , ..., qN , t) (12.3.2) Sostituendo le (12.3.1) nelle (12.3.2) otteniamo l’equazione vettoriale del moto di P : P = P [q1 (t), q2 (t), ..., qN (t), t] = P (t) (12.3.3) La (12.3.3) consente di determinare, in ogni istante la posizione occupata dal punto P. 12.3.2. EQUAZIONI DI LAGRANGE Mostreremo adesso che, se il sistema S è soggetto a vincoli bilaterali e ideali, si può scrivere facilmente un sistema di N equazioni differenziali nelle incognite (12.3.1), dette equazioni differenziali del moto. Consideriamo dunque il sistema S, che supporremo formato da un numero finito (ad esempio n) di punti materiali, in generale vincolati. Il moto di ciascuno di tali punti Pi deve soddisfare la legge di Newton, che scriviamo nel seguente modo: −mi ai + Fi + Φi = 0 99 (12.3.4) Nella (12.3.4), come al solito Fi è il risultante delle forze attive agenti su Pi e Φi quello delle reazioni vincolari. Moltiplichiamo entrambi i membri della (12.3.4) per lo spostamento virtuale δPi del punto Pi e sommiamo sull’indice i le relazioni cosı̀ ottenute: n X [−mi ai + Fi + Φi ] · δPi = 0 (12.3.5) i=1 0 Indicato con δL il lavoro delle forze di inerzia: 0 δL = n X −mi ai · δPi (12.3.6) i=1 la (12.3.5) si scrive: 0 δL + δL(a) + δL(v) = 0 (12.3.7) Se il sistema S è soggetto semplicemente a vincoli bilaterali e ideali, ricordando che in tal caso tali vincoli compiono lavoro nullo, la (12.3.7) porge: 0 δL + δL(a) = 0 (12.3.8) La (12.3.8) è nota come equazione simbolica della dinamica; come vedremo, tale equazione consente di scrivere le equazioni del moto del sistema S. La (12.3.8) può anche scriversi: n X [Fi − mi ai ] · δPi = 0 (12.3.9) i=1 Lo spostamento virtuale del punto Pi , si ottiene differenziando la (12.3.2), considerando in questa equazione il tempo come costante: δP = ∂P ∂P ∂P δq1 + δq2 + ... + δqN ∂q1 ∂q2 ∂qN (12.3.10) Sostituendo la (12.3.10) nella (12.3.9), si deduce: N X [Qh − τh ] δqh = 0 (12.3.11) h=1 avendo posto: Qh = n X i=1 Fi · ∂P ∂qh τh = n X mi ai · i=1 ∂P ∂qh (12.3.12) Le Qh sono le componenti lagrangiane (o generalizzate) della sollecitazione attiva già introdotte, le τh prendono il nome di componenti lagrangiane (o generalizzate) dell’opposto delle forze d’inerzia. La (12.3.11) vale qualunque sia lo spostamento virtuale del sistema S, cioè qualunque siano le quantità δqh . Ciò implica: Qh − τh = 0 (h = 1, 2, ..., N ) (12.3.13) Concludiamo che le (12.3.13) sono necessarie e sufficienti per determinare il moto del sistema S a vincoli olonomi, bilaterali e ideali. 100 Le quantità τh possono calcolarsi direttamente tramite le (12.3.12)2 . Esse possiedono anche la seguente utile espressione, che non dimostriamo, dipendente dalla energia cinetica T del sistema S: à ! d ∂T ∂T τh = − (12.3.14) 0 dt ∂qh ∂qh Utilizzando le (12.3.14) le (12.3.13) si scrivono: d dt à ∂T ∂qh0 ! − ∂T = Qh ∂qh (h = 1, 2, ..., N ) (12.3.15) ed in questa forma prendono il nome di equazioni di Lagrange. Le (12.3.15) sono un sistema di N equazioni differenziali, nelle incognite (12.3.1), dette anche equazioni pure del moto di S. Per determinare il moto di S, basterà dunque risolvere il sistema di equazioni differenziali ottenuto. XII.4. CALCOLO DELLE QUANTITÀ MECCANICHE. 12.4.1. CALCOLO DEL MOMENTO ANGOLARE. Per il calcolo del momento delle quantità di moto sono utili i seguenti importanti risultati. 12.4.1. Teorema di trasposizione del momento angolare Se P e Q sono due punti qualunque dello spazio, risulta KP = KQ + P Q ∧ Q (12.4.1) Per dimostrare questa formula, basta considerare il sistema di vettori applicati {(Ps , ms vs )} ed applicare il teorema di trasposizione dei momenti, studiato nella teoria dei sistemi di vettori applicati. 12.4.2. Moto relativo al baricentro Come è noto la velocità e l’accelerazione di un punto, dipendono dall’osservatore. È evidente che gli elementi cinematici fin qui considerati (quantità di moto, momento risultante delle quantità di moto, forze di inerzia, loro risultante e momento risultante) dipendono dall’osservatore. Fissato un determinato osservatore, ad esempio un osservatore inerziale, a cui immaginiamo solidale una terna di riferimento, T , si chiama moto relativo al baricentro il moto del sistema rispetto alla terna, TG , avente l’origine nel baricentro G , ed assi di direzione invariabile rispetto al sistema di riferimento prescelto. Assumiamo come assoluto il moto del sistema rispetto alla T . Il moto di TG rispetto a T (moto di trascinamento) è evidentemente traslatorio. Di conseguenza le velocità relative dei singoli punti, Ps , del sistema sono espresse da vs(G) = vs − vG . 101 (12.4.2) Denotando con K(G) il momento delle quantità di moto del sistema nel suo moto relativo al baricentro, per la (12.1.12), si ha (G) KQ = n X QPs ∧ ms (vs − vG ) (12.4.3) s=1 Osservando che risulta n X QPs ∧ ms vG = n X ms QPs ∧ vG = mQG ∧ vG = QG ∧ Q, s=1 s=1 dalla (12.4.3) segue: (G) KQ = KQ − QG ∧ Q (12.4.4) In particolare se scegliamo Q ≡ G, si ha: (G) KG = KG (12.4.5) Si può dunque affermare che nel moto relativo al baricentro di un qualunque sistema materiale il momento delle quantità di moto coincide con quello che si ha nel moto assoluto solo se il polo dei momenti è lo stesso baricentro. 12.4.3. Momento angolare per un sistema rigido L’espressione del momento delle quantità di moto assume una particolare forma nel caso che il sistema sia rigido e che si scelga come polo dei momenti un punto Ω del corpo rigido. Per determinarla introduciamo nella definizione del momento angolare l’espressione della velocità, vs , del generico punto Ps del sistema rigido S, fornita dalla formula fondamentale della Cinematica dei sistemi rigidi: vs = vΩ + ω ~ ∧ ΩPs . (12.4.6) Assumendo come polo dei momenti il punto Ω, si ha: KΩ = n X ΩPs ∧ ms (vΩ + ω ~ ∧ ΩPs ) = s=1 n X ms ΩPs ∧ vΩ + s=1 n X ms ΩPs ∧ (~ω ∧ ΩPs ) (12.4.7) s=1 Ricordando la definizione di baricentro, la prima sommatoria a secondo membro vale n X ms ΩPs ∧ vΩ = mΩG ∧ vΩ (12.4.8) s=1 e si annulla, in particolare, se Ω è un punto fisso oppure coincide con il baricentro. Per calcolare la seconda sommatoria supponiamo per un momento Ω fisso o coincidente con il baricentro. In tal caso la (12.4.8) si annulla e quindi possiamo scrivere: KΩ = n X ms ΩPs ∧ (~ω ∧ ΩPs ) = − s=1 n X ms ΩPs ∧ (ΩPs ∧ ω ~) (12.4.9) s=1 La (12.4.9) può essere riguardata come un’applicazione che ad ogni vettore ω ~ , che individua la velocità angolare del corpo rigido, associa il momento angolare KΩ corrispondente a quella data velocità angolare. Indicheremo con IΩ quest’applicazione, e 102 scriveremo: n X KΩ = − ms ΩPs ∧ (ΩPs ∧ ω ~ ) = IΩ ω ~ (12.4.10) s=1 L’operatore IΩ cosı̀ definito è un operatore lineare (un endomorfismo), infatti ciascun singolo addendo della sommatoria si ottiene mediante la successiva applicazione di due prodotti vettoriali, cioè di due operatori assiali -che come sappiamo, sono particolari endomorfismi- e moltiplicando il risultato ottenuto per ms . Pertanto l’operatore IΩ , come combinazione lineare di endomorfismi, è un endomorfismo. All’operatore IΩ è quindi associata, in una data base, una matrice (la matrice delle sue componenti). Scegliamo di scrivere la matrice delle componenti di IΩ in un riferimento solidale al corpo rigido, di origine Ω, assi y1 , y2 , y3 e versori j1 , j2 , j3 . Come si verifica facilmente, Ω denotate con Iik le componenti dell’operatore IΩ , risulta: Ω Ω Iik = ji · (IΩ jk ) = jk · (IΩ ji ) = Iki La matrice delle componenti di IΩ è pertanto una matrice simmetrica. Le componenti di IΩ , in un riferimento solidale, si indicano solitamente nel seguente modo: A −C 0 −B 0 IΩ = −C 0 B −A0 0 0 −B −A C (12.4.11) da cui, denotando con p, q, r, le componenti secondo gli assi solidali di ω ~ , segue A −C 0 −B 0 p 0 0 −C B −A K Ω = IΩ ω ~ = q −B 0 −A0 C r (12.4.12) pertanto, indicando con j1 , j2 , j3 i versori della terna solidale, possiamo scrivere: KΩ = (Ap − C 0 q − B 0 r)j1 + (−C 0 p + Bq − A0 r)j2 + (−B 0 p − A0 q + Cr)j3 (12.4.13) Nel caso generale, in cui Ω non è fisso nè coincide con il baricentro (e nemmeno risulta costantemente vΩ = vG ), il termine (12.4.8) non si annulla e l’espressione del momento delle quantità di moto, del sistema rigido si scrive: KΩ = IΩ ω ~ + mΩG ∧ vΩ (12.4.14) Gli elementi A, B, C, e A0 , B 0 , C 0 che compaiono nella matrice (12.4.11) si calcolano utilizzando la (12.4.10), calcolando i doppi prodotti vettoriali che in essa compaiono ed uguagliando il risultato al secondo membro della (12.4.13). Siano xi , yi , zi le coordinate del generico punto Pi del corpo rigido nel sistema di riferimento scelto, solidale al corpo rigido con origine in Ω. Si ottiene: A= n X i mi (yi2 + zi2 ), B= n X mi (x2i + zi2 ), C= n X mi (x2i + yi2 ). (12.4.15) i i Vediamo dunque che gli elementi della diagonale principale della matrice delle componenti di IΩ sono proprio i momenti d’inerzia del corpo rigido rispetto agli assi del 103 sistema di riferimento. Gli elementi fuori diagonale risultano espressi da: A0 = n X B0 = mi yi zi , n X i mi xi zi , C0 = n X i m i xi y i . (12.4.16) i e prendono il nome di momenti di deviazione o prodotti d’inerzia o prodotti misti. La matrice IΩ caratterizza completamente le proprietà geometriche delle masse che costituiscono un dato corpo rigido. Essa è reale e simmetrica. Queste ultime proprietà ci consentono di affermare che esiste una base (cioè un sistema di riferimento solidale al corpo rigido, con origine in Ω) rispetto alla quale essa assume la seguente forma diagonale: A 0 0 IΩ = 0 B 0 (12.4.17) 0 0 C Questa base ortonormale è costituita dagli autovettori di IΩ relativi ai suoi tre autovalori (reali) A, B, C. Denoteremo con i1 , i2 , i3 gli autovettori di IΩ di modulo unitario. Gli assi del riferimento {Ω, i1 , i2 , i3 }, che distingueremo dagli assi della generica terna solidale indicandoli con ξ, η, ζ, sono chiamati assi principali d’inerzia relativi ad Ω, e gli elementi non nulli A, B, C di IΩ sono i momenti principali d’inerzia rispetto agli assi ξ, η, ζ. Essi sono ancora definiti dalle (12.4.15), che ora si scrivono: A= n X mi (ηi2 + ζi2 ), B= n X i mi (ξi2 + ζi2 ), C= i n X mi (ξi2 + ηi2 ). (12.4.18) mi ξi ηi = 0. (12.4.19) i mentre le (12.4.16) diventano: 0 A = n X i mi ηi ζi = 0, 0 B = n X mi ξi ζi = 0, 0 C = i n X i Se ne conclude che nel sistema di riferimento solidale più appropriato, costituito dalla tetna principale {Ω, ξ, η, ζ}, si annullano tutti i momenti di deviazione e il momento risultante KΩ assume l’espressione canonica: KΩ = Api1 + Bqi2 + Cri3 (12.4.20) dove il polo Ω è fisso e solidale con il sistema oppure coincidente con il suo baricentro, e A, B, C sono i momenti principali d’inerzia relativi ad Ω. Il calcolo di KΩ per sistemi rigidi è cosı̀ ricondotto alla determinazione del vettore velocità angolare ω ~ definito nel capitolo V (paragrafo V.7) e dei momenti principali d’inerzia. OSSERVAZIONE 12.4.1. Il momento angolare è un vettore solidale con il corpo rigido, in generale non parallelo al vettore ω ~. Ad esempio, nel caso di un solido con asse fisso, a, la velocità angolare è parallela all’asse. Di conseguenza assunto a come asse delle x3 , risulta y3 ≡ x3 e j3 ≡ c3 . Scelto 104 il punto Ω sull’asse fisso, si ha vΩ = 0, p = q = O, (12.4.21) e la (12.4.13) diviene KΩ = −B 0 rj1 − A0 rj2 + Crj3 (12.4.22) La componente di KΩ secondo l’asse, che si chiama momento delle quantità di moto rispetto all’asse, è data da Ka = KΩ · j3 = Cr. (12.4.23) Tenendo presente che, detto θ l’angolo formato da un semipiano uscente da a e solidale al corpo (ad esempio, il piano y3 y1 ) con uno fisso pure uscente da a, è ω ~ = rj3 = θ̇j3 , (12.4.24) Ka = KΩ · j3 = Ia θ̇, (12.4.25) la (12.4.23) può scriversi dove è stato indicato con Ia il momento d’inerzia del sistema rispetto all’asse fisso y3 . Da (12.4.22), (12.4.23), si riconosce che si ha KΩ = Crj3 = I θ̇j3 = Ia θ̇c3 , solo se l’asse fisso è asse principale d’inerzia rispetto ad Ω. OSSERVAZIONE 12.4.2. Alla (12.4.25) si può giungere direttamente osservando che, nel caso di un corpo rigido con un asse fisso, la velocità di ogni punto del sistema è ortogonale all’asse di rotazione e di grandezza δs ω, se δs è la distanza del punto Ps dall’asse. Ne segue che il momento della quantità di moto rispetto all’asse del punto Ps è dato da ms δs2 ω, ove è da prendersi il segno + o il segno - a seconda che il moto abbia in quell’istante andamento levogiro o destrogiro rispetto a j3 , cioè a seconda che θ̇ sia positivo o negativo. Si può quindi dire che il momento delle quantità di moto rispetto all’asse del punto Ps è ms δs2 θ̇. Ne segue, per l’intero corpo Ka = n X ms δs2 θ̇ = Ia θ̇, s=1 cioè, ricordando la definizione di momento d’inerzia di un sistema rispetto ad un asse, proprio la (12.4.25). 12.4.4. CALCOLO DELL’ENERGIA CINETICA Per il calcolo dell’energia cinetica di un sistema materiale sono utili i seguenti importanti risultati. 12.4.4. Teorema di König Come è noto l’energia cinetica di un sistema materiale, come la velocità dei punti del sistema, dipende dall’osservatore. Per il calcolo di T , ha grande importanza il concetto di moto relativo al baricentro, definito nel numero 12.4.2 di questo capitolo. 105 Chiamiamo assoluto il moto del sistema rispetto alla T e moto relativo il moto del sistema rispetto al baricentro. Il moto di TG rispetto a T (moto di trascinamento) è traslatorio e pertanto le velocità dei singoli punti Ps del sistema sono espresse da vs(G) = vs − vG . (12.4.45) Denotando con vs(G) la velocità del punto Ps nel moto relativo al baricentro, si ha: T = n X 1 s=1 2 ms (vs + vG ) · (vs + vG ) (12.4.46) Sviluppando i prodotti scalari " n n n X X 1 X 2 +2 ms vs(G) · vG T = m s vG ms [vs(G) ]2 + 2 s=1 s=1 s=1 # (12.4.47) Il terzo addendo è nullo perchè rispetto al sistema che riferimento che trase che ha origine in G la velocità del baricentro è nulla. Denotando con T (G) l’energia cinetica del sistema nel suo moto relativo al baricentro, espressa da: n 1X (G) T = ms [vs(G) ]2 (12.4.48) 2 s=1 e con m la massa totale del sistema, la (12.4.47) si scrive: 1 2 T = T (G) + mvG 2 (12.4.49) Quest’ultima relazione esprime l’importante Teorema di König: L’energia cinetica di un sistema materiale è la somma dell’energia cinetica del sistema nel suo moto relativo al baricentro e dell’energia cinetica che avrebbe il baricentro, qualora in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema 12.4.5. Energia cinetica per un corpo rigido Determiniamo l’energia cinetica di un sistema rigido. Consideriamo l’espressione della velocità, vs , del generico punto Ps del sistema rigido S: vs = vΩ + ω ~ ∧ ΩPs . (12.4.50) sostituendola nell’espressione dell’energia cinetica si ottiene: T = n 1X ms vs · (vΩ + ω ~ ∧ ΩPs ) 2 s=1 (12.4.51) Sviluppando i prodotti scalari, si ottiene: T = n n 1X 1X ms vs · vΩ + ms vs · (~ω ∧ ΩPs ) 2 s=1 2 s=1 106 (12.4.52) da cui, ricordando la definizione di baricentro, ed applicando le proprietà del prodotto misto di tre vettori, otteniamo: n 1 X 1 T = mvG · vΩ + ω ~· ms (ΩPs ∧ vs ) 2 2 s=1 (12.4.53) si ottiene infine, ricordando la definizione di momento angolare: 1 1 ~ · KΩ T = mvG · vΩ + ω 2 2 (12.4.54) dove KΩ è il momento delle quantità di moto del corpo rigido rispetto al punto (arbitrario) Ω, ad esso solidale. Se Ω è un punto fisso, il primo termine a secondo membro della (12.4.54) si annulla; in tal caso, utilizzando l’espressione (12.1.37) per il calcolo di KΩ , si ottiene: ´ 1 1³ 2 T = ω ~ · KΩ = Ap + Bq 2 + Cr2 − 2A0 qr − 2B 0 pr − 2C 0 pq 2 2 (12.4.55) dove p, q, r sono le componenti della velocità angolare ω ~ nel riferimento, solidale con il corpo rigidoprescelto. In particolare, se si sceglie come terna solidale al corpo rigido la terna principale d’inerzia, la (12.4.55) si semplifica in: T = ´ 1³ 2 Ap + Bq 2 + Cr2 2 (12.4.56) dove A, B, C sono ora i momenti principali d’inerzia, mentre p, q, r sono le componenti di ω ~ rispetto alla terna principale d’inerzia, solidale con il corpo rigido e con origine nel punto fisso Ω. Questo è anche il caso che si presenta per il calcolo del termine T (G) nella (12.4.49), perchè nel moto del sistema relativo al suo baricentro, G è ovviamente un punto fisso. Pertanto il teorema di Konig per un corpo rigido è espresso dalla formula: T = ´ 1³ 2 1 2 Ap + Bq 2 + Cr2 − 2A0 qr − 2B 0 pr − 2C 0 pq + mvG 2 2 (12.4.57) Anche in questo caso, se si sceglie come terna solidale al corpo rigido la terna principale d’inerzia, la (12.4.57) si semplifica in: T = ´ 1³ 2 1 2 Ap + Bq 2 + Cr2 + mvG 2 2 (12.4.58) dove A, B, C sono ora i momenti centrali d’inerzia, mentre p, q, r sono le componenti di ω ~ rispetto alla terna principale d’inerzia, solidale con il corpo rigido e con origine nel baricentro G. CASI PARTICOLARI Sistema rigido in moto traslatorio. Se il moto di C è traslatorio (e, anche, in un semplice atto di moto traslatorio) si annullano p, q, r e tutti i punti hanno la stessa velocità (di traslazione) τ . 107 La (12.4.57) fornisce, in questo caso, la semplice espressione: 1 2 T = mvG 2 (12.4.59) Sistema rigido con asse fisso. Questo è un caso particolare di sistema rigido con un punto fisso. In questo caso la velocità angolare ω ~ è data da: ω ~ = rj3 = θ̇j3 La (12.4.55) fornisce, in questo caso, la semplice espressione: 1 1 T = Cr2 = Ia θ̇2 2 2 (12.4.60) dove Ia è il momento d’inerzia del sistema rispetto all’asse fisso (non necessariamente principale d’inerzia). La (12.4.60) si può anche ottenere direttamente, sfruttando la circostanza che il moto di S è rotatorio attorno all’asse fisso. Indicata con rs la distanza di ogni punto di S dall’asse di rotazione, si ha semplicemente: à ! n n n 1X 1 1X 1 X 2 2 T = ms rs2 θ̇2 = Ia θ̇2 m s vs = ms (rs θ̇) = 2 s=1 2 s=1 2 s=1 2 Sistema rigido piano, mobile in un piano. La formula (12.4.60) fornisce anche l’energia cinetica di un sistema rigido piano che ruota con velocità angolare ω ~ = θ̇j3 , attorno ad un punto fisso O, dove Ia è il momento d’inerzia del sistema rispetto all’asse perpendicolare al piano del moto e passante per il punto fisso O. Se, pur non avendo il corpo rigido punti fissi, è nota la posizione del centro istantaneo di rotazione del sistema rigido piano, si può ancora usare la formula (12.4.60), dove in questo caso Ia è il momento d’inerzia del sistema rispetto all’asse perpendicolare al piano del moto e passante per il centro istantaneo di rotazione C. Se invece il corpo rigido piano non ha punti fissi, la sua energia cinetica si ottiene dal teorema di König, ed è fornita dalla (12.4.59) che in questo caso p = q = 0, r = θ̇, si scrive: 1 2 1 (12.4.61) T = IG θ̇2 + mvG 2 2 con IG momento centrale d’inerzia del corpo rigido rispetto all’asse perpendicolare al piano del moto e passante per il baricentro G. 108 XII.5. PROBLEMI DI DINAMICA DEI SISTEMI MATERIALI Esempio 12.5.1: Determinare l’equazione differenziale del moto del punto P dell’esercizio 1 del paragrafo XI.7.5. FIGURA 12.5.1 Si tratta di un sistema olonomo, ad un grado di libertà, soggetto a vincoli bilaterali fissi ed a forze conservative. Per determinare l’equazione differenziale del moto di P possiamo utilizzare diversi metodi. Possiamo infatti proiettare l’equazione fondamentale della meccanica del punto ma = F + Φ sulla tangente alla traiettoria di P , infatti, essendo la reazione vincolare ortogonale alla traiettoria, tale proiezione costituisce una equazione pura del moto; possiamo anche osservare che nel nostro sistema, soggetto a vincoli ideali, fissi e bilaterali, l’energia meccanica (somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale) si conserva ed utilizzare questa proprietà per determinare il moto; possiamo infine scrivere l’equazione di Lagrange. Utilizzeremo quest’ultimo metodo. Scelto θ come parametro lagrangiano, il moto del punto P è retto dalla unica equazione: à ! d ∂T ∂T =Q (12.5.16) − 0 dt ∂θ ∂θ E’: 1 1 T = mvP2 = mr2 θ02 2 2 (12.5.17) ∂T = mr2 θ0 0 ∂θ (12.5.18) Differenziando rispetto a θ0 : Derivando quindi rispetto al tempo: d dt à ∂T ∂θ0 ! = mr2 θ00 Si ha poi: (12.5.19) ∂T =0 (12.5.20) ∂θ La componente lagrangiana della sollecitazione è stata già calcolata nel capitolo precedente: Q = −mgr sin θ − kr2 sin θ cos θ (12.5.21) 109 Sostituendo nella (12.5.16), si ottiene l’equazione differenziale cercata: mr2 θ00 = −mgr sin θ − kr2 sin θ cos θ (12.5.22) Esempio 2: Determinare le equazioni differenziali del moto del sistema S dell’esempio 2 del capitolo precedente. FIGURA 12.5.2 Si tratta di un sistema olonomo, a due gradi di libertà, soggetto a vincoli bilaterali fissi ed a forze conservative. Determineremo le due equazioni differenziali del moto di S scrivendo le equazioni di Lagrange. Scelti gli angoli θ e φ come parametri lagrangiani, il moto di S è retto dalle due equazioni differenziali: ³ ´ d ∂T0 − ∂T = Qθ dt ³ ∂θ ´ ∂θ d ∂T − ∂T = Q φ ∂φ dt ∂φ0 (12.5.23) Le componenti generalizzate della forza attiva sono già state calcolate nel capitolo precedente: µ ¶ m Qθ = − + M gl sin θ + F lcosθ (12.5.24) 2 Qφ = r cos φ (12.5.25) Resta dunque da calcolare l’energia cinetica T di S. Essendo l’energia cinetica una quantità additiva, essa si ottiene sommando l’energia cinetica TOA dell’asta OA e l’energia cinetica TD del disco D. Poichè l’asta OA ruota intorno ad O con velocità angolare θ0 , detto IOA il suo momento d’inerzia rispetto all’asse z, risulta: 1 TOA = IOA θ02 (12.5.26) 2 e quindi, poichè risulta IOA = 13 ml2 : 1 TOA = ml2 θ02 (12.5.27) 6 Per il calcolo dell’energia cinetica del disco D, possiamo applicare il teorema di König; osservato che il baricentro del disco D coincide con il punto A, si ha: 1 (A) (12.5.28) TD = TD + mvA2 2 110 (A) avendo indicato con TD l’energia cinetica del disco D nel suo moto relativo al baricentro. Tale energia cinetica è quella che misura un osservatore solidale al riferimento {A, ξη} di figura. Rispetto a tale riferimento (mobile) il disco D si muove di moto rotatorio intorno ad A, con velocità angolare φ0 . Detto ID il momento d’inerzia del disco rispetto ad un asse parallelo all’asse z passante per A, si ha dunque: 1 (A) TD = ID φ02 2 (12.5.29) e quindi, poichè risulta ID = 12 M r2 : 1 TD = M r2 φ02 4 (12.5.30) vA = lθ0 (12.5.31) Si ha poi: e quindi, sostituendo nella (12.5.28), si ottiene: 1 1 TD = M r2 φ02 + M l2 θ02 4 2 (12.5.32) Risulta quindi: µ ¶ 1 1 1 T = TOA + TD = m + M l2 θ02 + M r2 φ02 6 2 4 (12.5.33) Differenziando rispetto alle derivate dei due parametri lagrangiani θ0 e φ: µ ¶ ∂T 1 = m + M l2 θ0 ∂θ0 3 ∂T 1 = M r2 φ0 ∂φ0 2 (12.5.34) d ∂T 1 = M r2 φ00 dt ∂φ0 2 (12.5.35) Derivando rispetto al tempo: d dt à ∂T ∂θ0 ! µ = ¶ 1 m + M l2 θ00 3 Si ha poi: ∂T ∂T =0 =0 (12.5.36) ∂θ ∂φ Sostituendo nelle (12.5.23), si ottengono le equazioni differenziali del moto: (³ 1 m 3 ´ + M l2 θ00 = − 1 M r2 φ00 = r cos φ 2 ³ m 2 ´ + M gl sin θ + F lcosθ (12.5.37) Si tratta di un sistema di due equazioni differenziali, ciascuna di secondo ordine, nelle incognite θ = θ(t) e φ = φ(t). 111 CAPITOLO XIII STABILITÀ E VIBRAZIONI XIII.1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE Il concetto di equilibrio come è stato trattato finora si rivela insufficiente per uno studio adeguato dei problemi di statica, come appare dai due esempi seguenti. Figura 13.1.1 ESEMPIO 1. Consideriamo un punto pesante P vincolato a muoversi su di una linea γ (fig. 13.1.1) contenuta in un piano verticale che presenta un minimo in P1 , un massimo in P2 ed un tratto orizzontale in prossimità di P3 . Applicando il principio dei lavori virtuali δL(a) = 0 (si osservi che il vincolo è bilaterale) si deduce che tutte e tre le posizioni P1 , P2 e P3 sono di equilibrio. Tuttavia è chiaro che nel primo caso spostando il punto P su γ dalla posizione P1 alla posizione (sufficientemente vicina) P10 il punto P tende a ritornare in P1 . Nel secondo caso spostando il punto P dalla posizione P2 alla posizione (comunque vicina) P20 sulla curva γ esso tende ad allontanarsi da P2 . Nel terzo caso spostando P dalla posizione P3 ad una qualsiasi posizione prossima P30 esso vi rimane. Figura 13.1.2 ESEMPIO 2. Consideriamo un cono circolare retto (fig. 13.1.2) con la base appoggiata su di un piano orizzontale π oppure col vertice O appoggiato sullo stesso piano π in modo che il baricentro G stia sulla verticale passante per O. Anche in questo caso il principio dei lavori virtuali δL(a) ≤ 0 (si osservi che in questo caso il vincolo è 112 unilaterale) ci assicura che le due configurazioni sono entrambe di equilibrio. Infatti nel primo caso se si solleva il cono il lavoro virtuale dalla forza peso applicata in G è ovviamente negativo; se lo si fa ruotare attorno ad una retta r del piano π tangente alla circonferenza di base del cono il lavoro virtuale compiuto dal peso è ancora negativo. Se infine si trasla il cono parallelamente a se stesso il lavoro virtuale è nullo. Nel secondo caso se si solleva il cono il lavoro virtuale della forza peso è negativo mentre se si fa ruotare il cono attorno ad un asse qualsiasi passante per O il lavoro virtuale compiuto dalla forza peso risulta nullo perchè qualunque sia l’asse della rotazione lo spostamento virtuale δG = δΨ ∧ OG è sempre perpendicolare alla verticale OG e quindi orizzontale. Come si vede dai due esempi, c’è una sostanziale differenza tra le configurazioni di equilibrio sopra descritte, anche se dal punto di vista del principio dei lavori virtuali esse non possono essere distinte. Nelle applicazioni concrete ha molto interesse non solo individuare le posizioni di equilibrio del sistema ma anche conoscere il comportamento del sistema nell’intorno delle suddette posizioni. Sono infatti sempre possibili piccole perturbazioni che spostano il sistema dalla posizione di equilibrio ad una vicina. Si riconosce pertanto la necessità di introdurre dei criteri atti a distinguere i diversi tipi di configurazioni di equilibrio. Introdurremo dapprima la nozione statica di stabilità dell’equilibrio, per i sistemi soggetti a forze di natura conservativa. Il concetto più generale di stabilità dinamica verrà introdotto successivamente. XIII.2. NOZIONE STATICA DI STABILITÀ DELL’EQUILIBRIO Sia S un sistema olonomo a vincoli bilaterali fissi ed ideali, soggetto a forze esterne ed interne di tipo conservativo. Sia S ∗ una configurazione di equilibrio per S. Poichè le forze attive sono conservative, il lavoro da esse compiuto si può scrivere come differenziale del potenziale ed il principio dei lavori virtuali si traduce nel principio di stazionarietà del potenziale, che dice che per un sistema soggetto a forze conservative sono posizioni di equilibrio quelle in cui il potenziale è stazionario: δL(a) = δU (a) = 0 (13.2.1) Detto N il grado di libertà di S, sia q = (q1 , q2 , ..., qN ) una N-pla di coordinate ∗ ) la lagrangiane corrispondenti ad una configurazione di S e sia q∗ = (q1∗ , q2∗ , ..., qN ∗ N-pla corrispondente alla configurazione S . Risulta: " ∂U δU = ∂q1 # " ∂U δq1 + ∂q2 q∗ # " ∂U δq2 + ... + ∂qN q∗ # δqN = 0, (13.2.2) q∗ da cui deduciamo, osservando che l’uguaglianza deve valere qualunque sia lo spostamento virtuale di S, cioè qualunque siano δq1 , δq2 , ..., δqN : " ∂U ∂q1 # " = 0, q∗ ∂U ∂q2 # " = 0, q∗ 113 ... ∂U ∂qN # = 0. q∗ (13.2.3) Ciò premesso, diremo che la configurazione S ∗ è per il sistema S una configurazione di equilibrio stabile se, portando il sistema in una configurazione S 0 , sufficientemente prossima ad S ∗ , le forze attive tendono a riportarlo in S ∗ . Ciò vuol dire che il lavoro L compiuto da tutte le forze attive agenti sul sistema an corrispondenza allo spostamento δS è positivo. Precisiamo tale definizione. Diremo che q∗ è una configurazione di equilibrio stabile per S se esiste un numero reale positivo σ tale che, per ogni punto q verificante la relazione: |q − q∗ | = q ∗ 2 ) <σ (q1 − q1∗ )2 + (q2 − q2∗ )2 + ... + (qN − qN (13.2.4) risulti positivo il lavoro compiuto da tutte le forze attive agenti su S: L[S,S ∗ ] = L[q,q∗ ] > 0 (13.2.5) Se esiste un solo punto q0 per cui risulti L[q0 ,q∗ ] ≤ 0 l’equilibrio si dice instabile. Tra le posizioni di equilibrio instabile, si distinguono quelle per le quali esiste un intorno di q∗ nel quale risulti sempre L[q,q∗ ] = 0; in tali posizioni l’equilibrio si dice indifferente. Poichè le forze che agiscono sul sistema sono conservative, si ha: L[q,q∗ ] = U (q∗ ) − U (q) (13.2.6) Pertanto q ∗ è una posizione di equilibrio stabile se esiste un intorno di q ∗ in cui risulti U (q∗ ) > U (q) (13.2.7) cioè se nel punto q∗ il potenziale U ha un massimo relativo proprio. Figura 13.2.1 Figura 13.2.2 ESEMPIO 2.1: PENDOLO. Si consideri un punto materiale pesante P , vincolato a muoversi senza attrito sulla circonferenza di centro l’origine e raggio r, posta nel piano verticale (figura 13.2.2). Come già sappiamo, le posizioni di equilibrio di P sono le posizioni che rendono il potenziale stazionario. Se scegliamo come parametro lagrangiano l’angolo che il raggio vettore OP forma con la verticale discendente passante per O, il potenziale della forza peso che agisce sul punto P è U = mgx = mgr cos θ (13.2.8) Le posizioni di equilibrio sono quelle che annullano la componente lagrangiana delle forze attive: ∂U Q= = −mgr sin θ = 0 (13.2.9) ∂θ 114 Vediamo dunque che il sistema ammette due posizioni di equilibrio θ1 = 0, θ2 = π (13.2.10) Per studiarne la stabilità basta analizzare il segno assunto dalla derivata seconda del potenziale in tali posizioni. Si ha " ∂ 2U ∂θ2 " # ∂ 2U ∂θ2 = [−mgr cos θ]θ=0 = −mgr < 0 (13.2.11) = [−mgr cos θ]θ=π = mgr > 0 (13.2.12) θ=0 # θ=π Conseguentemente, la posizione θ = 0 è una posizione di equilibrio stabile, la posizione θ = π è una posizione di equilibrio instabile. ESEMPIO 2: Si consideri il sistema già studiato nell’esercizio 1 del paragrafo VI.7.5 e nell’esercizio VIII.8.1 (figura 13.2.2). In questo caso il potenziale delle forze attive è: 1 1 U = mgx − ky 2 = mgr cos θ − kr2 sin2 θ 2 2 (13.2.12) Le posizioni di equilibrio sono quelle che annullano la componente lagrangiana delle forze attive: Q= ∂U = −mgr sin θ − kr2 sin θ cos θ = −r sin θ[mg + kr cos θ] = 0 ∂θ (13.2.13) da cui deduciamo mg (13.2.14) kr Dalla prima delle (13.2.14) deduciamo che il sistema ammette, qualunque siano i valori dei parametri k ed r le due posizioni di equilibrio sin θ = 0 cos θ = − θ1 = 0, θ2 = π (13.2.13) mentre le due posizioni di equilibrio µ ¶ mg θ3 = arccos − , kr µ mg θ4 = − arccos − kr ¶ (13.2.14) esistono soltanto se risulta mg < kr. Per studiarne la stabilità basta analizzare il segno assunto dalla derivata seconda del potenziale in tali posizioni. Si ha " ∂ 2U ∂θ2 " # ∂ 2U ∂θ2 h = −mgr cos θ − kr2 cos 2θ i θ=0 # h = −mgr cos θ − kr2 cos 2θ θ=π θ=0 = −mgr − kr2 (13.2.15) = mgr − kr2 (13.2.16) i θ=π vediamo cosı̀ che la posizione θ = 0 è sempre stabile, mentre la posizione θ = π è stabile se mg < kr, instabile nel caso contrario. 115 Analizziamo adesso la stabilità delle due soluzioni (13.2.14), nell’ipotesi che esse esistano, cioè che risulti mg < kr. Si ha: " ∂2U ∂θ2 # h = −mgr cos θ − kr2 (2 cosθ −1) θ3 ,θ4 i θ3 ,θ4 =− m2 g 2 + kr2 > 0 k (13.2.17) Conseguentemente, le due posizioni di equilibrio (13.2.14), quando esistono, sono entrambe posizioni di equilibrio instabile. Osserviamo che la presenza delle due posizioni di equilibrio instabile cambia la natura della posizione di equilibrio θ = π. Infatti, come abbiamo visto, tale posizione di equilibrio è instabile se k < mg/r (cioè quando non esistono le due posizioni θ3 e θ4 ), stabile se k < mg/r, cioè quando esistono le due posizioni di equilibrio θ3 e θ4 . Per il valore di k = mg/r si dice che il sistema presenta una biforcazione. XIII.3. SISTEMI AD UN GRADO DI LIBERTÀ. PICCOLE OSCILLAZIONI NELL’INTORNO DI UNA CONFIGURAZIONE DI EQUILIBRIO STABILE. Sia S un sistema meccanico a vincoli bilaterali, fissi ed ideali, ad un solo grado di libertà e soggetto a forze interne ed esterne di tipo conservativo. In questa ipotesi, detta q l’unica coordinata lagrangiana, la posizione di ciascun punto Pi del sistema S può essere espressa in funzione dell’unico parametro lagrangiano q: Pi = Pi (q) (i = 1, 2, ..., N ) (13.3.1) e quindi anche il potenziale U delle forze conservative può essere espresso in funzione di q: U = U (q) (13.3.2) L’ipotesi che le forze attive siano conservative, nel caso di sistema ad un solo grado di libertà, può essere sostituita da quella meno restrittiva che tali forze siano posizionali: Fi = Fi (q). (13.3.3) Infatti in questo caso il lavoro effettivo (elementare) vale: (a) dL = n X i=1 Fi (q) · dPi = n X Fi (q) · i=1 ∂Pi dq = Q(a) (q)dq ∂q (13.3.4) ed è un differenziale esatto perchè la componente lagrangiana delle forze attive Q(a) (q) dipende dalla sola variabile q, e quindi risulta, essendo U definito a meno di una costante, Z U = Q(a) (q)dq. (13.3.5) L’energia cinetica del sistema in questo caso si scrive: à n 1X ∂Pi T = mi 2 i=1 ∂q 116 !2 (q̇)2 (13.3.6) e quindi, posto a(q) = Pn i=1 mi ³ ∂Pi ∂q ´2 , l’energia cinetica assume l’espressione: 1 T = a(q)q̇ 2 2 (13.3.7) Un primo modo per studiare il moto del sistema consiste nell’applicare l’integrale primo dell’energia meccanica (T − U = T0 − U0 = E0 ), che si scrive: 1 T − U = a(q)q̇ 2 − U (q) = E0 2 (13.3.8) Da qui, derivando rispetto al tempo, otteniamo: 1 a(q)q̇ q̈ + a0 (q)q̇ 3 − U 0 (q)q̇ = 0 2 (13.3.9) dove con l’apice si è indicata la derivata rispetto al parametro lagrangiano q. Dalla (13.3.9) si ottiene, dividendo per q̇, l’equazione differenziale del moto di S: 1 a(q)q̈ + a0 (q)q̇ 2 − U 0 (q) = 0 2 (13.3.10) Non sempre l’equazione differenziale (13.3.10) si può risolvere in forma chiusa, ed è allora necessario ricorrere a soluzioni approssimate. Un metodo è quello di linearizzare l’equazione (13.3.10); tuttavia non è detto che le soluzioni dell’equazione linearizzata, al crescere dell’intervallo temporale (t0 , t1 ) (cioè in istanti t molto discosti dall’istante iniziale) siano ancora una buona approssimazione delle soluzioni dell’equazione non linearizzata. Vedremo, nel seguito, che una condizione perchè le soluzioni dell’equazione linearizzata siano una buona approssimazione delle soluzioni dell’equazione effettiva (e cioè che descrivano con sufficiente approssimazione il moto effettivo del sistema meccanico in istudio) è che il potenziale delle forze attive che agiscono sul sistema abbia in q∗ un massimo relativo proprio, e che inoltre l’esistenza di questo massimo possa essere dedotta dallo studo delle derivate seconde della funzione potenziale. Supponiamo che per un certo valore q = q ∗ della coordinata lagrangiana risulti: U 0 (q ∗ ) = 0, U ”(q ∗ ) < 0 (13.3.11) cioè che in q ∗ vi sia una configurazione di equilibrio stabile, allora è possibile effettuare la linearizzazione dell’equazione differenziale del moto. I fondamenti teorici atti a legittimare la linearizzazione poggiano sul concetto di stabilità dinamica, di cui ci occuperemo in seguito. Per il momento ci limitiamo a dire che si ipotizza che la differenza (q − q ∗ ) nonchè la velocità lagrangiana q̇ si mantengano piccole durante il moto, in modo che sia lecito trascurare nell’equazione del moto i termini non lineari rispetto a (q − q ∗ ) e alle sue derivate q̇ e q̈. Si integra poi l’equazione linearizzata e si controlla alla fine che quanto ipotizzato in partenza è vero, cioè si controlla che le soluzioni trovate soddisfino effettivamente le ipotesi (q − q ∗ ) e q̇ piccole. Applichiamo questo procedimento all’equazione (13.3.10). A tale scopo trascuriamo il termine con q̇ 2 (che è almeno di secondo grado), mentre al posto delle due funzioni a(q) e U (q) sistituiamo i loro sviluppi in serie di Taylor nell’intorno di q = q ∗ , arrestati 117 rispettivamente all’ordine 0 ed all’ordine 1. Infatti il primo termine della (13.3.10) contiene già il fattore lineare q̈, e pertanto dello sviluppo della a(q) a(q) = a(q ∗ ) + a0 (q ∗ )(q − q ∗ ) + ... (13.3.12) si deve tenere solo il primo termine a(q ∗ ), che è costante. Per quel che riguarda lo sviluppo del potenziale U (q) 1 U (q) = U (q ∗ ) + U 0 (q ∗ )(q − q ∗ ) + U 00 (q ∗ )(q − q ∗ )2 + ... 2 (13.3.13) il primo termine è inessenziale ed il secondo è nullo per la prima delle (13.3.11); derivando la (13.3.13), in queste ipotesi, si ottiene: U 0 (q) = U 00 (q ∗ )(q − q ∗ ) + ... (13.3.14) Con queste approssimazioni, l’equazione differenziale del moto linearizzata si scrive: a(q ∗ )q̇ − U 00 (q ∗ )(q − q ∗ ) = 0. (13.3.15) L’equazione (13.3.15) si può anche ottenere direttamente, senza passare attraverso la (13.3.10) nel seguente modo. Nell’equazione di Lagrange, che nel nostro caso si scrive: d ∂T ∂U − =0 (13.3.16) dt ∂ q̇ ∂q si approssima l’energia cinetica T al secondo ordine in q̇, ponendo q = q ∗ nell’espressione di a(q), ottenendo: 1 T ' a(q ∗ )q̇ 2 (13.3.17) 2 ed il potenziale U (q) col suo termine quadratico in (q − q ∗ ), ottenendo: 1 U ' U 00 (q ∗ )(q − q ∗ )2 2 (13.3.18) Sostituendo i valori approssimati (13.3.17) e (13.3.18) di T e di U nell’equazione (13.3.16), si perviene subito alla (13.3.15). Per determinare le soluzioni della (13.3.15), posto v u u U 00 (q ∗ ) ω = t− ∗ a(q ) (13.3.19) e introdotta per comodità la differenza: x = q − q∗ (13.3.20) la (13.3.15) assume la forma tipica dell’equazione dei moti armonici ẍ + ω 2 x = 0 (13.3.21) x(t) = A sin(ωt + φ) = c1 cos ωt + c2 sin ωt (13.3.22) Essa ammette l’integrale generale: 118 con A e φ, oppure c1 e c2 , costanti arbitrarie. Vediamo dunque che il moto è oscillatorio armonico con pulsazione ω data dalla (13.3.19) e quindi periodo: v u u a(q ∗ ) 2π τ= = 2π t− 00 ∗ ω U (q ) (13.3.23) Le costanti d’integrazione si determinano utilizzando i dati iniziali. Supposto, ad esempio, che per t = 0 risulti x(0) = x0 , ẋ(0) = ẋ0 , si ottiene: c1 = A sin φ = x0 , c2 = A cos φ = ẋ0 . ω (13.3.24) Quest’ultima relazione mostra che se i dati iniziali sono tali che l’ampiezza A = q 2 x0 + (ẋ0 /ω) sia sufficientemente piccola, allora x(t) e ẋ(t) si mantengono piccole in tutti gli istanti successivi in modo da assicurare che la linearizzazione fatta fosse lecita. Osserviamo infine che in questa teoria l’ipotesi U 00 (q ∗ ) < 0 gioca un ruolo essenziale, perchè se fosse ad esempio U 00 (q ∗ ) > 0, e cioè la configurazione fosse di equilibrio instabile, si otterrebbe in luogo della (13.3.21) la: ẍ − σ 2 x = 0 con σ = (13.3.25) q U ”(q ∗ )/a(q ∗ ), il cui integrale generale x = C1 eσt + C2 e−σt (13.3.26) tende (se c1 6= 0) ad infinito per t −→ ∞, anche se i dati iniziali sono piccoli fin che si vuole. Dunque in questo caso la linearizzazione, che formalmente si può sempre fare, fornisce soluzioni approssimate della soluzione effettiva solo in un piccolo intervallo temporale a partire dall’istante iniziale. ESEMPIO 3.1: PENDOLO. Come già sappiamo, l’equazione differenziale del moto di un punto materiale pesante, vincolato a muoversi senza attrito sulla circonferenza di centro l’origine e raggio r, posta nel piano verticale è: g θ̇ = − sin θ (13.3.27) r essa si linearizza subito, sostituendo sin θ con θ. Si ottiene g θ̇ = − θ r (13.3.28) vediamo dunque che i piccoli motoqdi P nell’intorno della soluzione θ = 0 sono dei moti armonici, con pulsazione ω = g/r. ESEMPIO 3.2: Come visto nel paragrafo XI.5.1, l’equazione differenziale del moto del punto P di figura 13.2.2 è: mr2 θ̈ = −mgr sin θ − kr2 sin θ cos θ 119 (13.3.29) nell’intorno della soluzione θ = 0, essa si linearizza sostituendo ” sin θ” con ”θ” e ” cos θ” con ”1”. Si ottiene mrθ̇ = −mgrθ − kr2 θ = −(mg + kr)θ (13.3.30) vediamo dunque che i piccoli moti q di P nell’intorno della soluzione θ = 0 sono dei moti armonici, con pulsazione ω = (mg + kr)/kr. Nell’ipotesi mg < kr la posizione di equilibrio θ = π è anch’essa una posizione di equilibrio stabile. La (13.3.29) si linearizza nell’intorno della posizione θ = π, sostituendo al posto di sin θ e cos θ i primi termini dei loro sviluppi in serie di Taylor di punto iniziale theta0 = π. Si ottiene sin θ = −(θ − π) cos θ = −1 (13.3.31) e l’equazione linearizzata si scrive: mrθ̇ = −(kr − mg)(θ − π) (13.3.32) vediamo cosı̀ che le piccole oscillazioni q di P nell’intorno della soluzione θ = π sono dei moti armonici, con pulsazione ω = (kr − mg)/kr. ESERCIZI DI RIEPILOGO Esercizio 1 Nel piano verticale, un pendolo è formato da un’asta AB, di massa trascurabile e da un disco omogeneo di massa m e raggio R il cui centro si trova sul prolungamento dell’asta. Determinare quale punto dell’asta deve essere fissato con una cerniera nel punto O affichè il periodo delle piccole oscillazioni del pendolo sia uguale a T . Esercizio 2 Un carrello A, di massa M si muove senza attrito su di un’asta BD priva di massa. Nel baricentro del carrello è incernierato l’estremo di un’asta omogenea C1 C2 , di massa m e lunghezza l. a) Determinare le equazioni differenziali del moto del sistema. b) Determinare le reazioni vincolari nei punti B e D durante il moto. 120 Esercizio 3 La parte mobile ABCD di un ponte levatoio è costituita da una lastra omeogenea di massa m = 1500Kg. Essa è sollevata da una catena CE, passante su una carrucola E. Il punto E è situato nel piano verticale CBy. a)Determinare, nella posizione indicata in figura, la tensione della catena CE e le reazioni nei punti A e B. b)Supposto che la catena si rompa, determinare l’equazione differenziale del moto del ponte e le reazioni vincolari sulle cerniere durante il moto. Esercizio 4 Nel piano verticale, due aste AB e BC, omogenee di massa m e lunghezza 2l, sono vincolate con una cerniera in B ed appoggiate su un asse x orizzontale. Esse sono tenute in equilibrio da un filo EF , di lunghezza l. Risulta |AE| = |F C| = l/2. Supponendo i vincoli privi di attrito, determinare a) le reazioni vincolari in A e C e la tensione del filo. b) supposto che il filo si spezzi, determinare la velocità del punto B nell’istante in cui la sua distanza dall’asse x è la metà della distanza iniziale e nell’istante in cui urta l’asse x. 121 Esercizio 5 In un piano verticale un’asta AB, omogenea, di massa m e lunghezza R, ha gli estremi A e B vincolati a muoversi rispettivamente sull’asse y e su una semicirconferenza di centro O e raggio R. Oltre al peso, l’asta è soggetta ad una forza elastica F = kBB 0 , essendo B 0 è la proiezione orizzontale di B sull’asse y. Sull’asta inoltre è applicata una coppia di forze di momento M = mgl sin θc3 , essendo θ l’angolo indicato in figura Supponendo i vincoli privi di attrito, determinare a) applicando il principio dei lavori virtuali, le posizioni di equilibrio del sistema, b) la reazione vincolare in O, nella posizione di equilibrio. c) l’equazione differenziale del moto dell’asta. Esercizio 6 Il sistema di figura, posto in un piano verticale, è costituito da due aste omogenee AB e OC, la prima di lunghezza 2a, la seconda di lunghezza b; le due aste hanno uguale densità µ e sono fissate ad angolo retto nel punto C, punto medio dell’asta AB. Nei punti A e B sono appesi, con due fili inestensibili, di massa trascurabile, due punti P1 e P2 , di massa m1 e m2 (m2 > m1 ). Determinare il valore dell’angolo α che l’asta AB forma con l’asse orizzontale, nella posizione di equilibrio. 122 Esercizio 7 Nel piano verticale, si consideri il sistema di figura. Un’asta AB di massa 2m e lunghezza 2l, ha i due estremi vincolati ripettivamente a scorrere sugli assi y e x. Una manovella OC, di massa m e lunghezza l, ha un estremo incernierato nell’origine O degli assi, mentre l’altro estremo è vincolato a scorrere sull’asta AB. Nel punto A è applicata una forza p parallela all’asse y, diretta verso il basso. Supponendo i vincoli privi di attrito, a) determinare, applicando il principio dei lavori virtuali, le posizioni di equilibrio del sistema. b) determinare, applicando la conservazione dell’energia meccanica, l’equazione differenziale del moto del sistema. Esercizio 8 Nel piano verticale un’asta AB, di lunghezza l e massa m, è libera di ruotare intorno al suo punto A. Nell’altro estremo B è applicata una forza costante F formante un angolo α = π/3 con l’asta (come in figura). L’asta AB è sostenuta in posizione orizzontale da una seconda asta CD di uguale lunghezza, anch’essa di massa m, che ha l’estremo C collegato con una cerniera in un punto della prima asta e l’estremo D fissato anch’esso con una cerniera in un punto sulla verticale per C. a) Determinare sia graficamente che analiticamente, le reazioni vincolari in A e in D. b) Supposto che la cerniera in C si rompa, determinare il moto delle due aste e le reazioni vincolari nelle cerniere A e D durante il moto. 123 Esercizio 9 Nel piano verticale {O, xy}, un’asta rigida omogenea AB, di massa m e lunghezza 2l è appoggiata allo spigolo Ω di un gradino di altezza l. L’asta ha il suo estremo A vincolato a scorrere sulla guida orizzontale x. Oltre al peso sull’asta agisce la forza elastica F = −kOA. Supponendo i vincoli privi di attrito, a) determinare, utilizzando il principio dei lavori virtuali, le configurazioni di equilibrio dell’asta. b) ritrovare, applicando le equazioni cardinali della statica, le posizioni di equilibrio dell’asta, calcolando inoltre le reazioni vincolari. c) scrivere l’equazione differenziale del moto dell’asta. Esercizio 10 Nel piano verticale, due aste rigide, OB e AB, omogenee, di uguale massa m e uguale lunghezza 2l, sono vincolate mediante due cerniere prive di attrito (vedi figura 1). Oltre al peso agiscono sul sistema la forza elastica Fe = k AO (k > 0) ed una coppia, agente sull’asta OB di momento M = 8mgl cos θc3 . Supposti i vincoli perfetti, e scelto come parametro lagrangiano l’angolo θ di figura, determinare a) la velocità e l’accelerazione del punto A, b) il centro istantaneo di rotazione dell’asta AB, c) le posizioni di equilibrio del sistema, d) le reazioni vincolari nei punti O ed A, in una delle posizioni di equilibrio. e) l’equazione differenziale del moto del sistema. 124 Esercizio 11 In una macchina per l’equilibraura statica delle ruote di un automobile, l’asse che mette in rotaziome la ruota è inclinato di un angolo α rispetto alla verticale. Si schematizzi la ruota da equilibrare con un disco, omogeneo, di momento d’inerzia J rispetto all’asse, sul quale è fissato un punto P , di massa m, posto ad una distanza r dall’asse. Supposti i vincoli privi di attrito a) Scrivere l’equazione differenziale del moto della ruota, b) determinare le posizioni di equilibrio e le reazioni vincolari in una delle posizioni di equilibrio. Esercizio 12 Nel piano verticale due punti P e Q, di massa mP e mQ sono vincolati agli estremi di un filo inestensibile, di massa trascurabile, che si avvolge si una carrucola in O. punto P inoltre agisce una elastica, di costante k e lunghezza a riposo trascurabile, con centro nel punto Ω sull’asse orizzontale, distante a dal punto O. Supposti i vincoli ideali, a) determinare le posizioni di equilibrio del sistema. b) scrivere le equazioni differenziali del moto del sistema. Esercizio 13 Nel piano verticale, un’asta omogenea AB, di massa m e lunghezza 2l, è vincolata a ruotare senza attrito intorno al suo centro O; una seconda asta OP , di lunghezza l e massa trascurabile, è vincolata rigidamente ad angolo retto alla prima asta. Nell’estremo 125 P della seconda asta è vincolato rigidamente un punto OP , di massa m. Il sistema è soggetto, oltre al peso, a due forze elastiche F1 = kAA0 e F2 = kBB 0 , agenti rispettivamente sugli estremi A e B della prima asta, e ad una coppia di forze di momento M = mgl cos αc3 , essendo α l’angolo indicato in figura. Supponendo i vincoli privi di attrito, determinare Si supponga che il sistema sia soggetto ad un vincolo unilaterale espresso dalla condizione 0 ≤ α ≤ π. Supponendo i vincoli privi di attrito, determinare a) le posizioni di equilibrio ordinarie e di confine del sistema e studiarne la stabilità. b) l’equazione differenziale del moto del sistema, c) la frequenza delle piccole oscillazioni del sistema intorno ad una posizione di equilibrio stabile. d) la reazione vincolare in O, durante il moto. Esercizio 14 Nel piano verticale, un’asta omogenea AB, di massa m e lunghezza l, ha gli estremi vincolati a scorrere sugli assi x e y.Un punto P di massa m è vincolato a muoversi sull’asse y. Il sistema è soggetto, oltre al peso, alla forza elastica dovuta alla presenza di una molla, che collega il punto P all’estremo B dell’asta. Supponendo i vincoli privi di attrito, determinare a) le equazioni di equilibrio del sistema, b) le equazioni differenziali del moto del sistema. 126 Esercizio 15 Il sistema di figura, posto nel piano verticale, è costituito da due aste AD e DC di lunghezza l prive di massa, da due aste AB e BC omogenee,√di uguale lunghezza l e massa m e da una quinta asta BD omogenea, di lunghezza l 2 e massa M . Tutte le aste sono vincolate tra di loro con cerniere piane, come in figura, mentre il punto A è vincolato ad un punto fisso del piano. Nel punto D è applicata una forza F verticale. Supponendo i vincoli privi d’attrito, determinare a) l’intensità della forza F perchè il sistema si trovi in equilibrio quando l’asta BD è orizzontale, b) le reazioni vincolari interne ed esterne nella suddetta configurazione, c) l’equazione differenziale del moto del sistema. Esercizio 16 Un punto A di massa m è posto all’interno di un recipiente contenente un liquido ed è fissato all’estremo di un’asta AB, di lunghezza l e massa trascurabile. L’asta ruota intorno all’asse fisso verticale O1 O2 con velocità angolare iniziale ω0 . Il liquido oppone al moto del punto A una forza viscosa, di intensità proporzionale alla velocità angolare FV = cv ω (cV costante). Calcolare l’intervallo di tempo dopo il quale l velocità angolare di rotazione si riduce alla metà della velocità angolare iniziale. Determinare inoltre il numero di giri che fanno l’asta ed il punto in questo intervallo di tempo. 127 Esercizio 17 Un quadrato di massa m e lato l è vincolato a ruotare intorno al suo vertice O rimanendo sempre nello stesso piano verticale π = {O, x, y}. Sul suo vertice C agisce una forza elastica F = k CC 0 , con centro nel punto C 0 , proiezione del punto C sull’asse verticale. Supposti i vincoli privi di attrito, a) determinare il valore della costante elastica k, affinchè la posizione θ = π/6 sia posizione di equilibrio. b) determinare, applicando la conservazione dell’energia meccanica, l’equazione differenziale del moto del sistema. c) determinare la frequenza delle piccole oscillazioni del sistema intorno ad una posizione di equilibrio stabile. Esercizio 18 Un tubo CD, di lunghezza l e massa M , è libero di ruotare intorno all’asse z verticale, restando sempre nel piano orizzontale (vedi figura, si supponga l’asta AB priva di massa). Un punto M è fermo all’interno dal tubo, ad una distanza M C = a dall’asse di rotazione. Ad un dato istante il tubo inizia a muoversi con una velocità angolare iniziale ω0 . Trascurando l’attrito, determinare a) le equazioni differenziali del moto del sistema; b) la velocità angolare dell’asta CD nell’istante in cui il punto M lascia il tubo; c) le reazioni vincolari in A e in B durante il moto di M all’interno del tubo. 128 Esercizio 19 Nel piano verticale, una lamina quadrata omogenea, di massa M e di lato a, è vincolata con una cerniera piana nell’origine O degli assi. Nel vertice A della lamina è attaccato un filo inestensibile, di lunghezza l e massa trascurabile, passante su una piccola carrucola B posta √ sulla vertical per O, ad una distanza a dal punto O. Un punto Q, di massa m = 2/2M è fissato all’altra estremità del filo. Supposti i vincoli privi di attrito, determinare a) le posizioni di equilibrio del sistema; b) la stabilità delle suddette posizioni di equilibrio; c) la tensione del filo in A in una posizione di equilibrio; d) la frequenza delle piccole oscillazioni del sistema intorno ad una posizione di equilibrio stabile. Esercizio 20 Un cilindro di massa m, di raggio r e altezza h è appeso tramite una molla AB, di costante elastica k, al punto fisso B; il cilindro è immerso nell’acqua. Nella posizione di equilibrio il cilindro è immerso per metà della sua altezza. All’istante iniziale il cilindro è immerso per 2/3 della sua altezza, poi, senza velocità iniziale si muove verticalmente. Detto y l’asse verticale, determinare il moto del cilindro rispetto alla sua posizione di equilibrio. Per determinare l’azione dell’acqua sul cilindro si utilizzi il principio di Archimede, denotando con γ il peso specifico dell’acqua. 129