Leggi la relazione del prof. Scognamiglio

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CHE COSA INSEGNA LA CRISI
(testo 25.06.09)
di Carlo Scognamiglio Pasini
E’ per ora ancora prematuro trarre conclusioni e insegnamenti dalla crisi finanziaria e
dalla flessione dell’attività economica che ha colpito il sistema delle economie
mondiali a partire dall’estate del 2007.
Gli analisti continuano a interrogarsi sul profilo che la crisi potrebbe assumere
ricorrendo alla lettere dall’alfabeto “L”, “U” e “V”. Ci si domanda cioè se alla caduta
verticale delle variabili dell’economia reale farà seguito una lunga stagnazione come
è descritto dal tratto orizzontale della lettera “L”; oppure se vi sarà prima un
rallentamento della caduta, a cui farebbe seguito una inversione del ciclo
caratterizzata da una ripresa inizialmente lenta e poi in accelerazione, come nella
lettera “U”, e come attualmente qualche cenno di rallentamento della crisi potrebbe
fare sperare; o – infine – se, una volta toccato il rock bottom della recessione, la
ripresa potrà avere luogo con velocità e intensità paragonabili a quelle che hanno
caratterizzato la fase di caduta, disegnando una forma a “V”.
Di fatto fino ad oggi le previsioni formulate hanno dovuto essere sistematicamente
riviste al ribasso sulla base dei dati a consuntivo. Nel caso dell’Italia, per esempio, i
dati del primo trimestre 2009 registrano una caduta del Pil del 6% rispetto al trimestre
corrispondente del 2008, (mentre la stima preliminare prevedeva una discesa del
5,9%). Le ultime - in ordine di tempo - previsioni dell'OCSE danno una caduta del
PIL italiano pari a 5,5% per l'anno in corso: Via via che la crisi si approfondisce si
allontanano anche le prospettive di ripresa.
Ciò segnala che la crisi si è manifestata in un’area particolarmente debole della teoria
e dei modelli macroeconomici che descrivono il funzionamento dell’economia.
Infatti, mentre è del tutto ovvio che una crisi quale quella in corso – che ha colpito
con violenza il settore bancario – debba avere conseguenze molto rilevanti sugli
aspetti reali (produzione, domanda, prezzi), le serie storiche sulla base delle quali i
modelli di previsione vengono costruiti non consentono di cogliere adeguatamente il
nesso causale fra le variabili finanziarie e le variabili macroeconomiche quando le
seconde sono trainate dalle prime in un ciclo negativo. Il precedente della Grande
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Depressione iniziata nel 1929, pur presentando molti aspetti qualitativamente
assimilabili alle vicende attuali, risulta di scarsa utilità ai fini della previsione, perché
la definizione statistica e la rilevazione sistematica delle grandezze macroeconomiche
(a cominciare dal PIL) ha avuto origine proprio come conseguenza di quella ormai
lontana catastrofe.
Se, dunque, la durata e l’intensità della crisi sono ad oggi di difficile se non
impossibile previsione, è tuttavia già oggi è possibile dare inizio a una riflessione su
alcune riforme che dovrebbero scaturire dall’esperienza che ci ha condotto alla crisi.
Il modello di sviluppo degli ultimi anni si era fondato sul crescente squilibrio della
bilancia dei pagamenti americana, determinato dal deficit di risparmio dovuto alla
politica fiscale US e dal risparmio negativo per il complesso delle famiglie. Tale
squilibrio era compensato da forti surplus di Cina,Germania, e Giappone, oltre ai
Paesi dell’OPEC.
I mercati finanziari nello svolgere la specifica funzione di intermediare fra gli
operatori in deficit e gli operatori in surplus avevano sviluppato tecniche sofisticate il
cui effetto era sostanzialmente l’occultamento del rischio connesso all’eventuale
insolvenza del debitore finale.
La particolare funzione del dollaro, che costituisce allo stesso tempo la principale
moneta che denomina gli scambi internazionali sia direttamente, sia indirettamente
per effetto della connessione fra il cambio del dollaro e quello dello renminbi cinese,
ha ritardato il processo di processo di aggiustamento spontaneo del sistema che
avrebbe dovuto determinarsi attraverso la svalutazione del cambio del Paese in forte
deficit. All’aumento della domanda finale trainato dall’espansione americana hanno
fatto riscontro eccezionali tassi di crescita delle attività produttive e delle esportazioni
e una pressione senza precedenti sui prezzi delle materie prime.
La crisi si è poi determinata non a seguito di una fuga dal dollaro, ma dallo scoppio
della “bolla immobiliare” e dal conseguente deprezzamento dei prodotti cosiddetti di
“finanza strutturata”.
I recenti sviluppi economici e finanziari
Le economie dei Paesi sviluppati hanno registrato una flessione senza precedenti nel
quarto trimestre del 2008, pari al 7.5% dei rispettivi PIL. Dato che la spesa pubblica
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in questi Paesi è poco o per nulla elastica alle variazioni del PIL, le flessioni in parola
corrispondono a dinamiche molto più pesanti nella produzione di beni e servizi del
settore privato.
Sebbene l’economia americana abbia risentito per prima delle conseguenze
finanziarie della rapida discesa dei prezzi e dei valori del mercato degli immobili, i
Paesi esportatori europei e asiatici sono stati colpiti dal collasso del commercio
globale, mentre i Paesi fortemente indebitati risultano essere i più colpiti dalla crisi a
causa del venire meno dei flussi di finanziamenti dall’estero. Il complesso delle
economie emergenti ne ha risentito fortemente, con una flessione media del 4% dei
loro PIL.
Le politiche messe in atto per reagire alla caduta della domanda, della produzione e
dei prezzi, per quanto massicce e articolate con una varietà di strumenti anche non
ortodossi, non hanno permesso di allentare la morsa rappresentata dal calo dei
consumi e dalle restrizioni creditizie. Le manovre intese ad arrestare l’emorragia
hanno riguardato l’immissione di capitali freschi, iniezioni di liquidità, riduzioni dei
tassi e stimoli fiscali, senza tuttavia riuscire a fare risalire la fiducia nei mercati.
Il vuoto formatosi nei bilanci degli intermediari, e l’effetto dell’incertezza,
determinano una forte contrazione dell’attività creditizia che si estende ben oltre il
finanziamento a breve termine, con una paralisi dei finanziamenti nel mercato delle
nuove emissioni e un riflusso di fondi esteri dalle economie in via di sviluppo.
Previsioni e rischi nella situazione corrente
Le proiezioni del World Economic Outlook dell’ FMI assumono che la
stabilizzazione dei mercati finanziari richiederà tempi non brevi, che potrebbero
prolungarsi a tutto il 2010, e conseguentemente che le restrizioni al credito
continueranno per tutto il periodo malgrado il forte sostegno delle politiche
macroeconomiche. I tassi di interesse sui mercati monetari resteranno vicini allo zero,
mentre i deficit fiscali sono destinati ad aumentare rapidamente sia nelle economie
sviluppate che in quelle in via di sviluppo. La flessione dell’attività produttiva a
livello globale è oggi prevista a - 1.3% . La ripresa della crescita è prevista per il
2010, ma a un livello estremamente contenuto pari al 1.9%, in considerazione del
fatto che il recupero dopo una crisi finanziaria risulta generalmente molto più lento di
quanto avviene nel caso di un semplice ciclo di scorte.
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Le previsioni risultano particolarmente incerte a causa dei defaults crescenti delle
imprese e delle famiglie che provocano ulteriori flessioni del valore delle attività e
ulteriori perdite nei bilanci delle banche, non compensati a sufficienza dalle iniezioni
di liquidità delle autorità monetarie, e il cui effetto negativo si sommerà in
prospettiva a quello determinato dall’ aumento della propensione al risparmio per
scopo precauzionale da parte delle famiglie.
Anche quando il meccanismo perverso della crisi si fosse esaurito permarrebbe la
necessità di ridurre il grado di indebitamento delle imprese, delle famiglie e degli
intermediari, con la conseguenza di prospettare flussi finanziari e creditizi più ridotti
rispetto all’esperienza del recente passato, specialmente nelle economie emergenti e
in via di sviluppo. Inoltre i grandi deficit fiscali determinati aritmeticamente dalla
recessione e dalla spesa aggiuntiva che ha origine dalle misure anticicliche dovranno
essere riassorbiti, con effetti di stagnazione nel medio periodo che risulterebbero
rafforzati dalla prevedibile propensione delle famiglie a ricostituire stock adeguati di
risparmio.
Le sfide per le politiche economiche nel breve periodo
Le criticità e le incertezze della situazione corrente richiedono interventi molto
radicali sia sotto il profilo degli assetti finanziari che sotto quello delle politiche
macroeconomiche.
La crisi comporterà ristrutturazioni e riforme nel settore dell’intermediazione
finanziaria, in particolare negli USA. La revoca del Glass-Steagall Act avvenuta
mediate il Gramm-Leach- Bliley Act del 1999 ha avuto esiti a dire poco disastrosi,
che hanno condotto alla virtuale nazionalizzazione delle principali banche americane
e britanniche. Malgrado l’esito minimalista dello “stress test“ disposto dal ministro
del Tesoro US Timothy Geithner, i fabbisogni di ricapitalizzazione sono stimati per le
banche US fra 300 e 500 miliardi di dollari; per le banche britanniche la stima si
colloca fra 150 e 250 miliardi di dollari, mentre per le banche dell’area euro i
fabbisogni sono stimati in 500-900 miliardi di dollari.
Una profonda riforma degli istituti dell’intermediazione finanziaria e dei controlli sui
mercati rappresenta una condizione essenziale per il recupero di condizioni di
normalità delle economie. Ciò naturalmente non può avvenire nello spazio di un
tempo breve, e nel frattempo le tre principali priorità saranno rappresentate da: a)
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assicurare che le istituzioni finanziarie mantengano un accesso adeguato alla
liquidità; b) identificare e gestire le troubled assets; c) ricapitalizzare le imprese
bancarie e industriali che si sono indebolite come conseguenza della crisi, ma che
mantengono validità economica.
Fino ad ora gli interventi hanno riguardato soprattutto la somministrazione di
liquidità al sistema e agli intermediari, ma non vi è dubbio che anche le due fasi
successive rappresentino passi obbligati nella soluzione della crisi.
Il principale obiettivo delle politiche monetarie rimane la necessità di contrastare le
tendenze deflazionistiche, e i tassi di interesse a breve si manterranno prossimi allo
zero o si ridurranno ulteriormente nell’area euro.
Nel panorama internazionale risulta evidente il contrasto fra i Paesi sviluppati, le cui
economie godono della protezione degli stabilizzatori automatici costituiti
dall’estensione del settore pubblico – come nel caso dei maggiori Paesi UE - o di
forti interventi “keynesiani” (USA), e i Paesi emergenti o in via di sviluppo, per i
quali il venire meno del traino costituito dalle esportazioni rende l’accessibilità al
credito una condizione di fondamentale importanza per il sostegno dell’attività
economica.
A questi fini la triplicazione delle risorse a disposizione del FMI (da 250 a 750
miliardi di dollari) decisa nel corso del G20 di Londra costituisce un importante
fattore nel porre le premesse per la stabilizzazione del ciclo. Evitare la crisi
finanziaria e i defaults dei governi di tali Paesi rappresenta un obiettivo molto
rilevante allo scopo di evitare che la crisi finanziaria e produttiva globale si inasprisca
ulteriormente.
Le aree critiche e i rischi
Le forti iniezioni di liquidità e la politica dei tassi di interesse a breve e persino
l’esplosione dei deficit fiscali (negli USA il deficit del bilancio federale è previsto
crescere al 13% del PIL nel 2009 e al 10% nel 2010 come effetto dei salvataggi bail
outs di banche, assicurazioni e imprese) non rappresenteranno un pericolo
inflazionistico finché gli aggregati dell’economia reale (produzione, domanda e, di
conseguenza, prezzi) saranno in flessione. Al contrario, le politiche delle banche
centrali devono preoccuparsi – per ora - di quella sorta di “trappola della liquidità”
che si verifica nei bilanci bancari. Mentre la massa monetaria misurata da M2 negli
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USA sta crescendo a un ritmo annuo superiore al 15%, le eccedenze del sistema
bancario misurate dalle riserve detenute presso la Banca centrale (FED) si sono
gonfiate enormemente: da meno di 3 miliardi di dollari nel 2008 ai 700 miliardi di
dollari attuali.
E’ peraltro del tutto evidente che quando si manifesteranno segnali di ripresa questa
massa enorme di riserve inutilizzate tenderà a trasformarsi in prestiti, determinando il
rischio di una forte fiammata inflazionistica.
Nel considerare questa prospettiva di inflazione potenziale creata dalle politiche
monetarie in corso occorre non dimenticare che le Banche centrali (ovvero la BCE
come pure la FED) hanno come vincolo statutario il mantenimento della stabilità dei
prezzi. Tuttavia il riassorbimento di una massa così ingente di liquidità potrebbe
creare problemi insostenibili connessi al livello dei tassi di interesse a breve e alle
politiche di “open market”. Si tratta però di anticipazioni che riguardano il mediolungo periodo che – per ora - non sembrano influenzare significativamente i mercati,
come dimostra il livello dei tassi di interesse a lungo termine, che si mantiene a livelli
tali da escludere – almeno per ora – anticipazioni inflazionistiche.
Quanto alle politiche fiscali, il rientro dai colossali deficit aperti dalla crisi avverrà in
parte in conseguenza dell'esaurirsi della necessità di stanziare fondi per il salvataggio
di banche, assicurazione e imprese, e del possibile rimborso di prestiti e anticipazioni.
Tuttavia l'invecchiamento delle popolazioni renderà problematici ulteriori tagli della
spesa pubblica per sanità e pensioni. Riduzioni sostanziali sarebbero possibili soltanto
nel campo delle spese per la Difesa, e - in Occidente - soltanto negli US, dato che gli
altri Paesi NATO hanno già ridotto le spese per la Difesa, e dovrebbero
eventualmente compensare i tagli americani.
Gli scenari delle politiche monetarie e fiscali proiettano una fase particolarmente
critica in futuro, che potrebbe determinare elementi di instabilità nei livelli dei cambi.
Le prospettive del sistema monetario e dei cambi
Queste preoccupazioni risultano evidenti nella proposta formulata dal Governatore
della Bank of China (PBOC) Zhou Xiaochuan nello scorso mese di aprile durante la
conferenza “Boao Forum for Asia” volta a rafforzare il ruolo dei SDR (Special
Drawing Rights- Diritti Speciali di Prelievo), la quasi moneta emessa dal FMI e
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costituita da un paniere di valute (dollaro, euro, yen e sterlina), come strumento di
riserva monetaria internazionale e (eventualmente) di regolazione degli scambi. In
effetti la PBOC detiene due terzi delle proprie riserve (2.000 miliardi di dollari) in
titoli denominati in dollari come conseguenza del forte avanzo della bilancia
commerciale cinese e della politica che ha mantenuto la moneta cinese agganciata
(pegged ) al cambio del dollaro. Dunque la prospettiva di una svalutazione del
cambio del dollaro si rifletterebbe non solo sulla competitività delle esportazioni
cinesi, ma anche sulla consistenza delle riserve della Banca centrale.
La decisione raggiunta nel corso del G20 di Londra di autorizzare il FMI ad emettere
il controvalore attuale di 250 miliardi di dollari di nuovi SDR rappresenta un
(piccolo) passo nella direzione della creazione di uno strumento monetario sostitutivo
sia dell’oro che del dollaro US, che – si può ritenere – sarebbe stato approvato da
Keynes.
Le sfide del medio-lungo termine
La drammatica market failure della finanza globale da cui ha origine la crisi che
stiamo attraversando è stata provocata da un eccesso di ottimismo nutrito dal lungo
periodo di rapida crescita in presenza di bassi tassi di interesse e di moderata
inflazione. Le regolazione dei mercati finanziari si è dimostrata del tutto inadeguata
per contrastare la concentrazione dei rischi e l’effetto ingannevole delle innovazioni
finanziarie. Le politiche macroeconomiche e le scuole di pensiero economico da cui
esse traevano origine si sono dimostrate inadeguate per contrastare le “bolle”
speculative e il fenomeno del ciclo finanziario.
Tutto ciò solleva rilevanti problemi e sfide per la comunità internazionale e per i suoi
governanti. Le istituzioni finanziarie dovranno essere riformate in modo da impedire
l’eccessiva propensione alla assunzione di rischi, uniformare le regole contabili per i
sistemi bancari e rendere trasparente la valutazione e la distribuzione dei rischi
comunque assunti.
La riflessione sulla crisi dovrebbe riguardare anche la possibilità di condurre un
approccio prudenziale delle politiche monetarie, con strumenti che consentano di
mitigare l’effetto pro-ciclico delle politiche economiche nelle macro aree. Allo stesso
tempo è necessario scoraggiare le politiche di corta veduta (beggar thy neighbour)
mediante il completamento del Doha Round per il commercio internazionale.
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Un ripensamento del ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali (FMI , Banca
Mondiale) potrebbe offrire, oltre alla soluzione dei gravi problemi prospettici legati
agli andamenti dei cambi, anche gli strumenti per limitare gli effetti devastanti della
crisi economica e finanziaria sulle economie dei Paesi emergenti e in via di sviluppo.
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