1 La “Primavera araba” e il nodo irrisolto del rapporto tra religione e politica PROGRAMMA DEL CORSO Lunedì 5 novembre: IL QUADRO STORICO-POLITICO-SOCIOLOGICO 1. Che cosa è successo: descrizione degli eventi (i luoghi, le cause, gli attori) 2. Gli sviluppi attuali ed il ruolo dei partiti islamici 3. Tesi interpretative 4. Situare i fatti nella storia: il processo storico di modernizzazione nel mondo islamico ed i suoi effetti secolarizzanti Venerdì 9 novembre: Religione, politica e diritto nel mito originario 1. Il dogma (la concezione del potere) 2. La storia (come sono andate effettivamente le cose) 3. Il pensiero di Abd al-Raziq Lunedì 12 novembre: LE CULTURE POLITICHE NEI PAESI ISLAMICI 1. Il fondamentalismo: nozione e tratti tipici 2. Le correnti integraliste: ----->Il wahabbismo del XVIII secolo ----->Il salafismo del XIX secolo ----->Il fondamentalismo moderato e radicale del XX secolo ----->Il fondamentalismo globale del XXI secolo 3. Le correnti laiche: ---->Il nazionalismo laico (Siria, Iraq,) ---->Laicismo secolarizzato (Turchia) Venerdì 16 novembre: 1. 2. 3. 4. VERSO UNA DEMOCRAZIA ISLAMICA? L’idea di democrazia: contenuti, forme e finalità L’islam è compatibile con la democrazia? Le posizioni in campo Il pensiero di Olivier Roy Il documento di al-Azhar 2 I Incontro: Il quadro storico-politico-sociologico Sintesi dei temi trattati Il 17 dicembre 2010 un giovane laureato disoccupato, Mohammed Bouazizi, cui la polizia aveva impedito anche il piccolo commercio di verdure che costituiva il suo precario lavoro, si dà fuoco per protesta nella cittadina di Sidi Bouzid (nella Tunisia centro-occidentale). E’ la miccia che ha dato fuoco (in modo del tutto inaspettato) alle varie polveriere accumulate nei paesi arabi in decenni di autoritarismo politico, carente sviluppo economico e profondo disagio sociale. In due casi, Tunisia ed Egitto, le proteste hanno portato alla caduta dei regimi di Ben Ali e di Mubarak, due delle figure principali degli ultimi trent’anni di storia della regione, in Libia si è verificata una vera e propria guerra civile e in altri Paesi, come il Marocco o la Giordania, la leadership al potere ha intrapreso una serie di riforme per andare incontro alle richieste della piazza. Questi cambiamenti oltre che avere un’importanza determinante per le future dinamiche nella regione, rappresentano un segnale importante per tutta la Comunità Internazionale e, in primis, per l’Europa e l’Italia. Cercare di analizzare gli eventi cui abbiamo assistito nei mesi scorsi significa, dunque, occuparsi di vicende che ci coinvolgono direttamente non solo perché i paesi interessati sono i nostri “vicini di casa”, ma anche perché con essi intratteniamo importanti relazioni economiche e politiche (sono i nostri fornitori di gas e petrolio e diamo sostegno ai loro regimi) ma anche perché nel nostro paese è presente un rilevante numero di soggetti provenienti da quei territori (persone che vivono con grande partecipazione quelle vicende). Gli eventi che si fanno rientrare nella cosiddetta “Primavera araba” hanno interessato (in modo diretto indiretto) pressoché tutti i paesi arabi che appartengono al Medio Oriente (dai vicini paesi del Magreb e Mashreq a quelli più lontani del golfo Persico)1. Una cronologia degli eventi si può così riassumere: 17 dicembre 2010---->inizio “Rivoluzione dei Gelsomini” 14 gennaio 2011---> caduta del regime di Alì 25 gennaio 2010--->”giornata della collera” in Egitto 11 febbraio 2011--->caduta di Mubarak 15 febbraio 2011--->esplode protesta in pirenaica Marzo 2011--->Lega araba e OCI chiedono a ONU dichiarazione no-fly zone sulla Libia 20 ottobre 2011--->morte di Gheddafi 1 Per mancanza del tempo necessario ad un serio approfondimento, ci occuperemo solo dei fatti accaduti nell’anno 2011 in Tunisia, Libia ed Egitto e degli sviluppi più recenti. 3 Pur nella diversità delle situazioni nazionali, si può affermare che la Primavera araba è stato un fenomeno moderno stimolato da condizioni favorevoli : 1. ampio strato giovanile istruito e disoccupato della classe media aperta alla globalizzazione (economica e culturale) 2. urbano (la popolazione è sempre più concentrata nelle città principali) 3. laico (ad eccezione della Libia---->Qatar, sede dei Fratelli) 4. con motivazioni: --->economiche (disoccupazione e uscita da assistenzialismo di Stato) --->politiche (superamento dei regimi autoritari e corruzione) --->sociali (libertà di espressione della società civile: “rivoluzioni della dignità”) 5. sviluppatosi in forma autonoma (senza interventi dall’estero ad eccezione della Libia) 6. con strumenti moderni (social network, tv satellitari panaraba) Gli esiti delle rivolte (in Tunisia ed Egitto) hanno messo in evidenza: a) L’emarginazione dei promotori della rivolta (incapacità di orientare in senso istituzionale la protesta) b) L’emergere dei partiti islamici c) L’avvio di un processo democratico: --->nuova Costituzione --->Elezioni politiche --->Vittoria dei partiti islamici (Fratelli contro salafiti) ---->Permanere del nodo della laicità In Libia la situazione è molto più complessa a causa della frantumazione politica, sociale e territoriale Alla luce dei fatti accaduti e della realtà storica, economica, politica e sociale dei paesi interessati dalle sommosse è possibile formulare una tesi interpretativa generale che può essere espressa con la seguente scansione logica: 1. Il tratto identificativo prevalente dei paesi del Medio Oriente è quello religioso, sono tutti paesi a maggioranza islamica (allo stesso modo con cui i paesi europei sono a maggioranza cristiana). Si può quindi affermare che l’islam rappresenta il fondamento della “coscienza collettiva” della popolazione, l’elemento principale dell’identità nazionale dei paesi arabi (per il resto divisi per etnie e appartenenze tribali e sociali). 2. In questi paesi, a differenza di quelli occidentali (ed europei in particolare) la religione svolge ancora una importante funzione sia nel determinare la cultura (l’insieme dei valori e dei significati che orientano le azioni degli individui) ed i comportamenti (la morale) che nel legittimare il potere politico. 4 3. Da ciò si deduce che occorre pensare a questi paesi come a luoghi non secolarizzati (la religione conta ancora molto nel determinare la vita sociale) e con regimi politici non laici (la religione svolge un importante ruolo pubblico e politico). 4. Poiché l’islam va quindi considerato non solo come religione ma anche come civiltà (non si dimentichi che una religione esiste solo attraverso una cultura), quando una civiltà si incontra con un altro e diverso modello si mettono in moto delle dinamiche (più o meno conflittuali) di mutamento. 5. Le rivolte avvenute nei paesi arabi si collocano nello storico processo di modernizzazione dei paesi islamici e del confronto/scontro con la modernità occidentale. Esse vallo lette, dunque, come la situazione di crisi in cui si trova la civiltà islamica (crisi culturale, politica, economica, sociale). 6. I movimenti fondamentalisti (soprattutto in Tunisia ed Egitto) non hanno promosso la protesta ma ne hanno cavalcato gli sviluppi. 7. Essi rappresentano l’elemento reazionario delle rivolte ma riescono a mantenere un forte legame con la società civile perché sono una presenza organizzata sul territorio (e non solo su internet) e la loro ideologia fa leva sul comune sentire dell’appartenenza all’islam. 8. Lo sviluppo in senso democratico dei paesi arabi può avvenire solo trovando un compromesso tra il carattere valoriale della concezione politica islamica ed il carattere strumentale della concezione politica occidentale 9. Ciò significa dare alla politica un ruolo più pragmatico (consentire la convivenza pacifica di una società pluralista chiedendo ai cittadini il rispetto delle regole) e meno carico di significati valoriali (lasciati alle credenze dei singoli individui) 10. Questo obiettivo si può realizzare favorendo un processo di secolarizzazione della società inteso non come eliminazione del fenomeno religioso o sua riduzione a fatto privato, ma come affermazione dell’autonomia dei diversi settori in cui si articola un sistema sociale (autonomia che, nel settore politico, viene espressa col termine di laicità) In prospettiva storica, la Primavera araba è il prodotto dell’incontro tra islam e modernità occidentale iniziato con la colonizzazione europea e proseguito con il periodo del Riformismo e del successivo fallimento dei tentativi modernizzanti che hanno lasciato il passo allo svilupparsi delle varie correnti fondamentaliste 5 II Incontro: Religione, politica e diritto nel mito originario Sintesi dei temi trattati Le TESI GENERALI che verranno sviluppate sono le seguenti: 1. La relazione tra religione politica e diritto, così come emerge dalla tradizione islamica, è il risultato di una interpretazione ideale del mito originario non sottoposto ad una adeguata analisi storico-critica. 2. Gli sviluppi storici hanno dimostrato che il potere nei paesi islamici non ha mai rispecchiato il modello ideale (dove la religione domina sul potere) ma è stato caratterizzato da un rapporto strumentale (il potere domina la religione). 3. I poteri islamici sono stati nei fatti di tipo secolare perché hanno usato la religione per legittimarsi senza appropriarsi dell’autorità della religione in quanto tale (come nella teocrazia) L’ORDINE SOCIALE ISLAMICO IN PROSPETTIVA SOCIOLOGICA La prospettiva sociologica ha come presupposto l’idea che ogni società funziona in base ad un determinato ordine. I fattori che costituiscono un ordine sociale sono: la cultura (le credenze, i valori e i significati), la struttura istituzionale (l’organizzazione della società in settori funzionali) e l’ordinamento giuridico (il diritto) Di fronte ad un ordine sociale è importante determinare: qual è la sua natura (divina o secolare) e qual è il soggetto che lo stabilisce (Dio o l’uomo) IMPORTANZA DI EVITARE CONFUSIONI: a) Tra il dogma (la concezione dottrinaria del potere e del diritto) e LA STORIA. Se si afferma che il Califfo è una istituzione stabilita da Dio si è nel campo del dogma. Se si osserva che il potere è stato oggetto di lotte e conflitti si è nel campo della storia b) Tra lo Stato (istituzione politica il cui scopo è quello di stabilire e mantenere l’ordine sociale) e la UMMA (comunità religiosa il cui obiettivo è indicare agli uomini la via della salvezza). Si tratta di entità che hanno natura e finalità diverse La comunità creata da un profeta non è della stessa natura della comunità politica. L’autorità di un profeta non è la stessa di quella di un capo temporale. c) Tra Profeta e suoi successori. Non c’è continuità fra Muhammad ed i suoi successori sia per la diversa natura dei ruoli che per la diversa autorità LA CONCEZIONE DEL POTERE Aspetti dottrinari 6 Il presupposto alla base della concezione dottrinaria del potere nell’islam è la credenza in un Dio onnipotente e creatore continuo di ogni cosa. Da tale concezione consegue che: 1. non esistono cause diverse da quella dell’intervento di Dio per spiegare i fenomeni naturali e sociali (assenza di cause seconde e di una legge naturale e, quindi, impossibilità per l’uomo di trarre dalla natura, utilizzando la ragione, le norme per definire l’ordine sociale) 2. il potere ha natura divina e appartiene solo a Dio (sacralizzazione del potere) 3. l’esercizio del potere passa attraverso il rispetto rigoroso della Legge divina (la shari’a) 4. la teologia viene assorbita nella legge (l’islam è una “religione della Legge” che tende a tradurre in ordinamenti politici e giuridici il messaggio di salvezza trasmesso al Profeta) 5. il Corano diventa una Costituzione 6. il potere politico non è autonomo dalla religione 7. chi detiene il potere non è legibus solutus non è pensabile una teocrazia o una dittatura 8. il potere umano ha valore strumentale Esistono obblighi reciproci fra governante e sudditi. Il governante deve essere una persona sapiente e pia. I suoi doveri fondamentali sono quelli di realizzare la Umma, possedere legittimità, agire con giustizia(cioè applicare la shari’a), mantenere l’ordine, difendere la comunità e diffondere l’islam. I sudditi devono fare il bene e opporsi al male, obbedire2 (se il potere è legittimo e giusto) Aspetti storici La riflessione sulle questione politiche inizia dopo la morte di Muhammad quando si deve decidere sulla successione. Questa riflessione matura nella prassi e si fonda su due eventi: la grande discordia (separazione tra sciiti e sunniti) e la conquista del potere da parte della dinastia Omayyade ( e la conseguente separazione tra politica, che gestiscono loro, e religione, che gestiscono gli ulema). Si rompe la relazione tra “legittimità” e “giustizia” (condizione essenziale per l’accesso al potere) ed il potere verrà inteso come mulk (dinastia fondatrice). Chi lo conquista lo trasmette al suo clan famigliare (è così ancora oggi). Poiché non si può attingere al Corano e ai detti del Profeta per stabilire la legittimazione del potere e definire le pratiche per la sua riproduzione,il potere legittimo è il potere di fatto. Si finì per accettare qualsiasi autorità comunque acquisita purchè conservasse un minimo di legalità e ordine, salvaguardasse 2 Corano, IV,59 (“Obbedisci a Dio, al suo Profeta, obbedisci a coloro che hanno autorità su di te”) riecheggia S. Paolo nella lettera ai Romani 13, 1 (Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio) 7 le pratiche rituali ed i principi morali dell’Islam, difendesse la comunità dai nemici esterni. Tuttavia gli sciiti continuano a richiedere il principio di legittimità e considerano usurpatori i governanti sunniti, mentre i sunniti hanno accantonato il concetto di legittimità (e quindi quello di usurpatore) e mantenuto quello di giustizia nel governo (quindi quello di tiranno). Il dovere di obbedienza diventa un obbligo religioso. E’ questa la cosiddetta tradizione quietista dell’islam che per secoli ha mantenuto l’ordine sociale. I movimenti fondamentalisti, invece, sono attivisti e non quietisti, rifiutano qualunque autorità illegittima e non fondata sul Corano appellandosi a un hadit di Maometto (“nessuna obbedienza è dovuta a coloro che trasgrediscono gli ordini di Dio”). La conseguenza di questa concezione è che il potere dei governanti è sempre precario e deve continuamente rilegittimarsi soprattutto cercando un compromesso con gli intellettuali religiosi). Si crea pertanto il seguente dilemma (riguardante la legittimazione): una legittimazione solo su basi religiose espone alla critica di chi va alla ricerca delle incoerenze dei governanti rispetto alla shari’a (che si possono sempre facilmente trovare), d’altra parte una legittimazione su basi laiche fa perdere la legittimazione religiosa (l’unica riconosciuta dai musulmani) e favorisce la protesta. Il pensiero di Ali Abd al-Raziq (1888 – 1966) Questo intellettuale egiziano si pone la seguente domanda: l’unione di religione e politica avvenuta durante il periodo profetico appartiene all’essenza dell’islam oppure è un dato del tutto contingente? La sua risposta viene formulata prendendo in considerazione tre questioni: l’analisi del rapporto che il Profeta ha avuto col potere, l’esame dell’istituzione califfale e la descrizione dello Stato dopo la morte del Profeta. La sua conclusione è che: a) Muhammad era solo un profeta. La sua missione era solo religiosa (non voleva costruire uno Stato ma la Umma), altrimenti avrebbe lasciato indicazioni sulla forma dello stato islamico b) Il suo potere era eccezionale e non trasmissibile c) Il califfo è una costruzione umana che non trova riscontro nelle fonti del diritto islamico (pertanto non è un articolo di fede) d) Considerare il califfato una credenza religiosa ha consentito al potere politico di impossessarsi di quello religioso (usandolo per i suoi fini) e ha impedito qualunque possibilità di sviluppo e rimessa in discussione di quella identificazione. e) Lo Stato costruito dopo la morte di Muhammad era uno stato arabo (non un modello universalistico come invece pretende di essere l’islam) Niente impedisce ai musulmani di distruggere questo sistema ormai desueto 8 9 III INCONTRO: Le culture politiche (fondamentalismi, nazionalismi e laicismi) Sintesi dei temi trattati 1. 2. 3. Le TESI generali riguardanti le culture politiche sono le seguenti: la cultura politica nel mondo musulmano non deriva da una frattura tra ragione divina e ragione politica, bensì da una enfatizzazione della ragione politica nei confronti della ragione divina (i regimi si richiamano all’islam per legittimare il potere) Le diverse culture politiche presenti nei paesi musulmani sono il prodotto dell’incontro/scontro con l’Occidente e del tentativo di orientare/contrastare il processo di modernizzazione Le culture politiche sono funzionali alla realizzazione di obiettivi politici contrastanti: costruire la Umma o lo stato nazionale; ritornare all’idea di modello di stato islamico (shari’a) o di stato occidentale Le TESI specifiche sul fondamentalismo si possono così formulare: 1. Il fondamentalismo si colloca nella crisi della civiltà islamica e tende a definirsi come religione pura: come ideologia nella sua forma politica e come salafismo nella sua forma religiosa 2. Questa prospettiva comporta un distacco dalla cultura (non si dimentichi che una religione vive sempre all’interno di una cultura) e consente di legittimare la loro proposta a coloro (gli immigrati) che soffrono di un processo di deculturazione. 3. I fondamentalismi religiosi riducono la religione alla dimensione politica in vista della sua redenzione e piegano le ragioni della trascendenza alle banali esigenze della lotta per il potere. 1. Nozioni generali sul fondamentalismo I fondamentalismi si battono per: --->costruire un ordine sociale (uno Stato) avente un fondamento assoluto (Dio) --->rifondare le relazioni sociali su basi religiose (è l’utopia dello Stato etico, i fondamentalisti vogliono moralizzare la società.) I fondamentalismi si battono contro: --->le interpretazioni storico-critiche del testo sacro --->l’ordine sociale secolarizzato --->il pluralismo del credere Distinzioni: 10 a) b) Il fondamentalismo (nato nel protestantesimo) si distingue dall’integralismo (che riguarda il cattolicesimo) perché non presuppone nessuna mediazione tra il credente ed il Libro sacro Il fondamentalismo si distingue dal tradizionalismo perché è contrario alla logica del taqlid (la pedissequa imitazione del commento coranico) I germi del fondamentalismo sono presenti in tutte le religioni perché: tutte le religioni hanno a che fare con l’ordine sociale poiché contengono una offerta di salvezza che richiede credenze (valori e significati) e comportamenti (religiosi e sociali). Se organizzate in chiese, si sforzano di proporre modelli di società che consentano di vivere e sperimentare su questa terra le prescrizioni divine. a) b) Le religioni monoteiste sono più esposte al fondamentalismo perché: Riguardano un Dio che si è rivelato all’uomo e gli ha trasmesso conoscenze, significati e norme di comportamenti Il complesso cognitivo (la verità) e normativo (l’etica) viene codificato in un Libro sacro che rappresenta il fondamento principale del sistema di credenze (e delle verità in esso contenute) nonché il riferimento ultimo dell’agire sociale. Il problema sociologico che si pone alle religioni è quello di costituire una autorità che sorvegli il complesso delle credenze contro gli attacchi dei nemici interni (gli eretici) ed esterni (gli infedeli). Quando il sistema delle credenze diventa una istituzione organizzata gerarchicamente, la tendenza è quella di trasferire ad essa il carattere della sacralità e quindi dell’assolutezza, inerranza ed immutabilità. Le conseguenze sono di tipo teologico (solo l’autorità è autorizzata ad interpretare il Libro sacro e l’obbedienza richiesta al credente è verso l’autorità anziché verso il Libro sacro) e sociale (l’istituzione tende ad autorappresentarsi come portatrice di un modello di società concluso e perfetto) Da tutto ciò si ricavano i tratti tipici dei movimenti fondamentalisti: 1. L’inerranza di quanto contenuto nel Libro sacro in quanto dì provenienza divina 2. L’assunzione del sistema di credenze nella sua totalità (principio di integrità) senza separazioni o distinzioni. 3. La non interpretabilità del testo---->comprensione basata solo sull’evidenza letterale del testo o sull’autorità riconosciuta ad un leader 11 4. L’astoricità della verità contenuta nel Libro sacro ->impossibilità di un suo adeguamento alle mutate condizioni storiche e sociali. 5. La superiorità del modello sociale rivelato rispetto a qualunque altro concepito dalla ragione umana. 6. Il richiamo al mito della fondazione per affermare l’assolutezza del modello originario e la necessità della sua riproduzione nel tempo presente. 7. La costruzione simbolica del “nemico” (speculare all’immagine che di sé ha il fondamentalista) che, in vari modi, si oppone alla realizzazione del modello ideale Un movimento fondamentalista si riconosce dal fatto che: a) la dimensione politica del messaggio religioso diventa preponderante su ogni altro aspetto. b) l’impegno da dedicare alla realizzazione del modello sociale (la città di Dio) diventa un fatto essenziale ai fini dell’appartenenza, della solidarietà, dell’identità e della salvezza personale Da ciò la valorizzazione delle opere considerate come sperimentazione anticipata del Regno di Dio, il segno che annuncia l’avvento della salvezza, il primo compiersi della Parola di Dio Il termine “fondamentalismo” nasce alla fine del secolo scorso negli Stati Uniti, in ambiente protestante, come rifiuto delle correnti teologiche di stampo liberale e reazione all’avvento di una modernità che esaltava l’autonomia della ragione umana, il pluralismo, la libertà di coscienza e le religioni fai-da-te, il relativismo dei valori morali e l’esclusione di Dio dalla vita collettiva. 2. Correnti riformatrici integraliste Il wahabbismo sviluppatosi in Arabia nel XVIII secolo e tuttora al potere Il salafismo sviluppatosi in Egitto nel XIX secolo ad opera del riformatore Rashid Rida Il fondamentalismo moderato dei Fratelli Musulmani sviluppatosi nel XX secolo in Egitto ad opera di Hasan al-Banna e quello più radicale di Sahid Qutb e Ruhollah Khomeyni Il fondamentalismo globale del XXI secolo da cui è conseguito l’islamonazionalismo (sul piano politico), il neofondamentalismo (sul piano dei valori) e il terrorismo globale (uso del corpo come strumento per il jihad) Aspetti comuni alle correnti integraliste: ----> La convinzione che nei periodi di crisi, il ritorno al modello medinese ne permette il superamento (movimenti di riscoperta delle origini sono presenti in tutte le religioni) 12 ---->L’idea fondamentale che il risveglio dell’islam passa attraverso il ritorno alle fonti, una purificazione teologica (eliminazione delle innovazioni dottrinarie, soprattutto derivanti dalla mistica islamica) e antropologica (lotta al culto dei santi) 3 Correnti di pensiero laiche: a) Il nazionalismo sviluppatosi in Egitto (Nasser), in Siria (Assad) e Iraq (Saddam Hussein) b) Il laicismo autoritario esemplificato dall’esperienza turca (Kemal Ataturk) 13 IV INCONTRO: Verso una democrazia islamica? Sintesi dei Temi trattati 1. 2. 3. 4. 5. Le TESI generali che verranno sviluppate sono le seguenti: La costruzione di una democrazia nei paesi islamici deve passare attraverso il processo socio-culturale della secolarizzazione e non di una riforma dottrinale Ciò comporta il passaggio da una “religione politica” (di tipo laico o confessionale) ad una “religione civile” (che individui un principio unificante in grado di consentire l’identificazione dell’individuo con la società) Una “religione civile” non può consistere nel riferimento diretto all’etica religiosa (perché occorre tener conto della secolarizzazione e della globalizzazione) Una “religione civile” non può essere costruita contro l’islam (perché si deve tener conto della tradizione) Una “religione civile” potrà sorgere solo assieme all’islam IL CONCETTO DI DEMOCRAZIA L’idea che comunemente si ha della democrazia riguarda, in senso stretto, la gestione del potere politico (e allora entrano in campo i principi della sovranità popolare, della separazione dei poteri, del suffragio universale, ecc.), mentre in un significato più ampio, che tiene conto anche della dimensione culturale (i valori) e sociale (l’organizzazione della società), ci si riferisce ai principi di uguaglianza, libertà, laicità, pluralismo, ecc.) Se si guarda oltre che ai contenuti anche alle forme della democrazia, si può osservare la presenza di modelli diversi di realizzazione che variano in relazione alla forma del governo (parlamentare o presidenziale), al rapporto tra stato e religione (laicità assoluta, laicità concordataria, religione di stato), alla storia ed alla cultura di un popolo. Oggi si parla di crisi della democrazia in relazione alla manipolazione del consenso, alla presenza di poteri occulti (le multinazionali) o all’eccessivo potere dei sondaggi. LE FINALITA’ DELLA DEMOCRAZIA In senso stretto, la democrazia serve a consentire ai cittadini di scegliere, col metodo maggioritario, i propri governanti incaricati di risolvere i problemi della società (ordine pubblico, istruzione, sanità…) In senso ampio, deve garantire agli individui la libertà di perseguire i loro diversi obiettivi e stili di vita all’interno di un quadro di valori condiviso (stabilito dalla Costituzione) e la coesistenza delle differenze presenti nella società civile (cioè le diverse concezioni circa il cosa è giusto e il come si dovrebbe vivere). Le soluzioni adottate per quest’ultimo obiettivo sono essenzialmente due: quella fondamentalista(imporre una visione etica a tutti 14 in modo coercitivo) e quella liberale (individuare delle meta-norme entro cui lasciare libere le persone di perseguire il loro modus vivendi) ISLAM E DEMOCRAZIA Alla domanda se l’islam è compatibile con la democrazia, si può rispondere ponendosi a due livelli diversi: quello dottrinale (le credenze) e quello storico. Dal punto di vista dogmatico, occorre verificare la presenza dei principi della democrazia all’interno dell’apparato dottrinario ed eventualmente porre in essere una riforma teologica. A questo livello le posizioni in campo sono le seguenti: 1. La posizione fondamentalista ritiene che il dogma islamico sia incompatibile con la democrazia sia perché nell’islam non c’è separazione tra religione e Stato che per il fatto che il Corano è la Parola “dettata” da Dio, che la shari’a è immodificabile e incompatibile con i diritti umani ed infine perché il credente può identificarsi solo nella umma e non con uno Stato. Nessuna riforma teologica è possibile. 2. La posizione riformista ritiene che nell’islam si trovino tutti i principi della democrazia. Si tratta solo di riaprire un processo interpretativo e mettere mano ad una riforma teologica. In fondo, il vero problema non è la laicità dello Stato ma la necessità di evitare la concentrazione del potere (sia esso religioso o laico) perché solo così si garantisce la libertà della società civile (non si dimentichi che l’islam, nella storia, ha garantito la libertà religiosa a cristiani ed ebrei). E’ la posizione di al-Azhar 3. La posizione laica e liberale parte dal presupposto che Corano e Sunna non sono fonti normative ma solo fonti di ispirazione per il legislatore, che la shari’a non va considerata come codice giuridico ma come valore etico (dove il valore prevale sulla norma) e di essa occorre fare una lettura finalistica. Questa posizione afferma l’applicazione dei diritti di libertà e la separazione di religione e politica (senza escludere l’espressione religiosa, senza impedire la formazione di partiti ispirati religiosamente e affermando il principio di alternanza) Dal punto di vista storico si è già visto che il potere politico islamico è sempre stato secolare (la sua fonte non è religiosa, anche se è stato legittimato religiosamente). Da ciò si deduce che per costruire un regime democratico non occorre una riforma teologica ma la secolarizzazione della società (ciò che consente alla popolazione di accettare una legittimazione laica del potere. E’ la posizione di O. Roy. IL PENSIERO DI OLIVIER ROY Questo sociologo francese, in merito alla questione della compatibilità tra islam e democrazia sostiene che: 1. la possibilità di costruire dal basso un regime democratico nei paesi musulmani non dipende da una riforma teologica ma da due processi tra loro collegati: un processo sociale (la secolarizzazione) ed un 15 processo politico (la laicizzazione). Il secondo strettamente dipendente dal primo. 2. La laicità non può realizzarsi senza pluralismo e secolarizzazione. Sono i cambiamenti sociali e culturali (pluralismo) e la marginalizzazione della religione nella sfera pubblica e nella coscienza individuale (cioè la secolarizzazione) che hanno avuto conseguenze sul piano politico (la laicità). Ma non è detto che la secolarizzazione porti alla laicità, ci sono paesi laici ma non secolari come gli Usa e paesi secolari ma non laici come l’Inghilterra. 3. In generale, la laicità è il metodo che consente di mediare tra la dimensione interiore (valori e credenze personali) e la dimensione sociale (incontro con valori e credenze di altri) 4. La laicità non va intesa come filosofia che comprende tutto e spiega tutto (come una “religione politica”) ma come un principio giuridico che si deduce dalle leggi, leggi che traggono validità dalla volontà del legislatore, il suo valore è politico (quindi non assoluto). 5. Sul principio giuridico della laicità si può anche non essere d’accordo (come si può non essere d’accordo sulla legge sull’aborto o sul divorzio), ai cittadini non è chiesto il consenso sui valori ma il rispetto delle regole. Si può essere buoni cittadini anche se non si condividono certi principi 6. E' possibile obbedire alle norme religiose ed al contempo rispettare le norme democratiche (come è avvenuto per il cristianesimo) La Chiesa non accetta la legislazione sul divorzio ma condanna le azioni violente per cambiarla, ciò significa che la laicità non afferma valori comuni ma solo regole del gioco (ha un valore politico). Se in Occidente la laicità dello Stato è stata determinata dal processo di secolarizzazione, occorre chiedersi se un simile processo è in atto anche nei paesi musulmani. L’islam ha conosciuto processi secolarizzanti nei diversi settori della società: nella politica (nell’islam tutti i poteri sono stati secolari perché non determinati dalla religione), nel diritto (il processo di costruzione della shari’a è stato uno sforzo razionale cui poi è stato attribuito un valore sacro), nella teologia (esiste una diversità di scuole teologiche), nella società (importanza delle strutture tribali e dei comportamenti consuetudinari). Oggi, il processo di modernizzazione ha innescato dinamiche di mutamento determinate dai tipici fattori della secolarizzazione: urbanizzazione, industrializzazione, istruzione, sviluppo della scienza e della tecnica, nuovi media, immigrazione. Queste dinamiche secolarizzanti sono alla base delle rivolte arabe e rappresentano un primo segnale di laicizzazione della politica senza dimenticare che l’idea di laicità nel mondo islamico non riguarda il conflitto tra Stato e Chiesa (che non esiste) ma tra Stato e shari’a (che tende a spossessare lo Stato del suo potere legiferante) 16 I DOCUMENTI DI AL-AZHAR Per tentare di orientare la rivolta egiziana l’università di al-Azhar, assieme ad altri intellettuali, ha diffuso due documenti. Il primo, intitolato “Raccomandazioni per il futuro dell’Egitto”, fornisce indicazioni sul corretto rapporto tra Stato e religione e chiarisce le basi di una corretta politica ispirata ai principi della sharî’a (da considerare una delle fonti della legislazione), auspica uno Stato nazionale costituzionale e democratico; l’uguaglianza per tutti i cittadini; suffragio universale e libertà di informazione pensiero e opinione; diritti dell’uomo, della donna, del bambino; pluralismo; cittadinanza; indipendenza dell’istituzione di al-Azhar Il secondo, intitolato “Documento sulle libertà fondamentali” (approvato anche dalle chiese cristiane) consta di 4 punti: Libertà di fede; Libertà d’opinione ed espressione; Libertà della ricerca scientifica; Libertà della creazione artistica e letteraria. Questo documento è un grande passo in avanti, se si potrà mettere in pratica queste libertà, vi sarà un profondo cambiamento. Se esso diventa ispirazione per il nuovo governo, sarà un passo nuovo non solo per l’Egitto, ma anche per gli altri Paesi islamici: il governo del Cairo sarà islamico, ma perlomeno garantirà la tolleranza e il rispetto delle religioni.