Israele-Palestina_Sion-Nordau-discorso1897-Basilea

TLAXCALA : Max Nordau: Discorso al Primo Congresso Sionista di Basilea, 29 agosto 1897
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Max Nordau - un'introduzione
Gilad Atzmon
Mi è stato chiesto di scrivere un'introduzione al Discorso di Max Nordau al
Primo Congresso Sionista, ma la verità è semplice: il discorso di Nordau non
necessita di un'introduzione. La sua presentazione del 1897 è una brillante
esposizione dell'identità della Diaspora e della sua complessità.
Nonostante le sue origini ungheresi Nordau sentiva di appartenere alla cultura
tedesca, e questo può spiegare il suo atteggiamento Völkisch e romantico.
Tuttavia, come nel caso di Herzl, la conversione di Nordau al Sionismo fu
innescata dall'Affare Dreyfus e da quello che gli apparve come l'inevitabile
manifestazione dell'antisemitismo europeo.
Fino a un certo punto Nordau riuscì a preannunciare il completo
fallimento del futuro stato ebraico. Lo struggimento nostalgico di Nordau
nei confronti del ghetto, della segregazione e dell'isolamento ebraico
possono essere visti come un'anticipazione dell'insostenibile realtà israeliana
contemporanea, con i suoi "muri di difesa" e un possente arsenale nucleare che
minaccia quotidianamente la pace del mondo.
"L'ebreo", dice Nordau, ritiene di "appartenere a una razza a parte, che non ha
niente in comune con gli altri abitanti dello stesso paese. L'ebreo emancipato
è insicuro nelle relazioni con i suoi simili, timido con gli estranei, sospettoso
perfino verso i sentimenti
segreti degli amici". Di conseguenza, secondo
Nordau, l'ebreo non potrà mai riprendersi dalla perdita iniziale del ghetto,
che egli descrive come un "rifugio". Per Nordau l'unico modo per salvare
l'ebreo dalle sue condizioni umilianti era lanciare il progetto nazionale sionista.
Nordau, come molti pensatori romantici tedeschi del suo tempo, rifiuta lo
spirito illuminista e razionalista che ha imposto l'emancipazione agli ebrei e
alle loro nazioni-ospiti. "Le nazioni che hanno emancipato gli ebrei", dice,
"hanno
frainteso
i
propri
sentimenti.
Per
avere
pieno
effetto,
l'emancipazione sarebbe dovuta essere completa nel sentimento prima di
essere dichiarata per legge". Secondo la linea di pensiero di Nordau, poiché gli
ebrei non erano veramente amati dalle nazioni che li ospitavano il progetto di
emancipazione era destinato al fallimento.
Secondo Nordau, alcuni ebrei avrebbero tentato di salvarsi l'anima diventando i
“nuovi marrani”. Avrebbero abbandonato l'Ebraismo "con rabbia e amarezza,
ma in cuor loro, anche se senza riconoscerlo, portano l'umiliazione, la
disonestà, e un odio anche per il Cristianesimo che li ha costretti a mentire".
Questa intuizione espressa da Nordau alla fine del XIX secolo contribuisce a
spiegare la nascita di molte scuole di pensiero ebraiche cosmopolite che
respingevano
tanto il Sionismo quanto l'Ebraismo. Tuttavia, per quanto
riguarda la politica ebraica, nessuna di queste scuole è sopravvissuta
all'Olocausto. Il Bund, che era il principale rivale politico del sionismo, era
scomparso. Di fatto, non una sola scuola politica ebraica cosmopolita è
riuscita a sopravvivere fino al XXI secolo. Il Sionismo è la sola coerente
ideologia politica organica e autentica che gli ebrei abbiano a disposizione.
Come predisse Nordau, il futuro Stato ebraico avrebbe risuscitato il Ghetto
ebraico che egli stesso descrisse come
1. la via verso un'esistenza in cui l'ebreo trova infine le condizioni di vita
più semplici ma più elementari.
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2. un'esistenza sociale sicura in una comunità benevola.
3. un luogo che offre (all'ebreo) la possibilità di mettere a frutto le sue
capacità per lo sviluppo del suo essere autentico.
Per triste che possa essere, questa è una descrizione molto accurata della
sociale sicura in una
realtà israeliana. Si tratta davvero di un'esistenza
comunità benevola
impegnata attivamente
nella pulizia etnica della
popolazione indigena sul territorio, cioè i palestinesi. In Israele l'ebreo
celebra la "la possibilità di impiegare tutte le sue energie per lo sviluppo del
suo vero essere". Questo significa in pratica: affamare gli abitanti di Gaza,
sganciare bombe sui civili e fermare donne incinte ai posti di blocco.
Nello
Stato
ebraico
gli
israeliani
cercano
la
propria
autenticità.
nell'inumana
realtà
Tragicamente,
questa
stessa autenticità si traduce
dell'abuso
totale
nei
confronti
di milioni
di palestinesi: quelli che si
aggrappano disperatamente alla loro terra, quelli che subiscono il terrorismo di
stato nel campo di concentramento di Gaza e quelli abbandonati nella Diaspora
da 60 anni senza il permesso di ritornare alla terra che appartiene a loro e a
loro soltanto.
Se Nordau fu abile nel delineare la complessità intrinseca dell'identità della
Diaspora ebraica, non riuscì invece a intravedere quanto potesse diventare
orribile lo Stato sionista quando gli ebrei avessero avuto la libertà di governare
il loro “Stato ebraico”. In fin dei conti nessuno è perfetto, neanche Nordau.
I 162 delegati ed il programma del congresso
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I 162 delegati ed il programma del congresso
Max Nordau: Discorso al Primo Congresso Sionista
Basilea, 29 agosto 1897
Dr. Max Nordau (Parigi): I rappresentanti speciali dei singoli paesi
vi illustreranno le condizioni dei loro fratelli nei diversi stati. Alcune
delle loro relazioni sono state sottoposte alla mia attenzione, altre
no. Ma anche sui paesi di cui i miei collaboratori non mi hanno detto
niente, ho, in parte grazie alle mie osservazioni e in parte attraverso
altre fonti, ottenuto alcune informazioni che mi permettono di
intraprendere, senza presunzione, il compito di riferire sulla
situazione generale degli ebrei alla fine del XIX secolo.
Per dipingere questo quadro può, complessivamente, essere usato
un solo colore. Ovunque, dove gli ebrei si sono insediati in numero
relativamente consistente tra le nazioni, prevale la miseria ebraica.
Non è la normale miseria che probabilmente costituisce il destino
inalterabile dell'umanità. È una miseria peculiare, di cui gli ebrei non
patiscono in quanto esseri umani, ma in quanto ebrei, e dalla quale
sarebbero liberi se non fossero ebrei.
La miseria ebraica ha due forme, materiale e morale.
Nell'Europa Orientale, nel Nord Africa e nell'Asia Occidentale - le
regioni che ospitano la grande maggioranza, probabilmente nove
decimi della nostra razza - la miseria degli ebrei va intesa
letteralmente. È la fatica quotidiana del corpo, l'ansia per
l'indomani, la dolorosa lotta per conservare la mera sopravvivenza
fisica. Nell'Europa Occidentale la lotta per la sopravvivenza è stata
resa in certo senso più lieve agli ebrei, anche se recentemente si è
fatta visibile anche lì la tendenza a renderla nuovamente difficile. Il
problema del cibo e del riparo, il problema della sicurezza della vita
li tortura di meno; là la miseria è morale. Consiste negli insulti
quotidiani all'onore e al rispetto di sé. Consiste nella rude
repressione
della
ricerca
di
soddisfazioni
spirituali,
un'aspirazione alla quale nessun ebreo deve trovarsi costretto a
rinunciare.
In Russia, la cui popolazione di ebrei ammonta a più di cinque
milioni di persone e che è la patria di più della metà di tutti gli
ebrei, i nostri fratelli sono sottoposti ad alcune limitazioni legali.
Solo una setta ebraica poco numerosa, quella dei Caraiti, gode
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degli stessi diritti dei sudditi cristiani dello zar. Agli altri ebrei è
proibito risiedere in gran parte del paese. Solo certe categorie di
ebrei godono di libertà di movimento; per esempio, i commercianti
della prima corporazione, i possessori di titoli accademici e via
dicendo. Però per appartenere alla prima
corporazione
del
commercio bisogna essere ricchi e pochi ebrei russi lo sono, e
molti non possono neanche conseguire titoli accademici perché i
centri
statali
di istruzione
media
e superiore permettono
l'ingresso a un numero molto limitato di studenti ebrei e i
diplomi stranieri non conferiscono alcun diritto davanti alla legge.
Agli ebrei è proibito esercitare attività che sono consentite a tutti i
russi cristiani. Questi infelici si affollano in alcuni distretti dove non
hanno alcuna possibilità di mettere in pratica le loro capacità e la
loro buona volontà. Le risorse educative dello Stato vengono loro
lesinate e non possono aprire centri propri perché sono troppo
poveri. Quando possono emigrano, per procurarsi all'estero l'aria e
la luce negate loro in patria. Chi è non è abbastanza giovane e
coraggioso continua a vivere nella miseria e nella degradazione
mentale, morale e fisica.
Della Romania, con i suoi 250.000 ebrei, ci raccontano che anche lì
ai nostri fratelli vengono negati dei diritti. Hanno il permesso di
vivere solo nelle città, si trovano alla mercé di qualsiasi abuso
delle autorità e dei funzionari più vili, sono esposti talvolta alla
violenza sanguinaria della gentaglia e vivono nelle peggiori
condizioni economiche. Il nostro rappresentante speciale per la
Romania stima che la metà degli ebrei romeni si trovi nell'indigenza
più assoluta.
Le situazioni che ci descrive il nostro rappresentante speciale per la
Galizia sono spaventose. Secondo i dati del Dr. Salz, dei 772.000
ebrei della Galizia il 70% è costituito da mendicanti, poveri di
professione che chiedono l'elemosina
il più delle volte senza
riceverla. Non voglio anticiparvi troppi dettagli della sua relazione.
Non è necessario che sentiate una volta di più l'orrore che la sua
relazione vi esporrà.
Quanto alla situazione nell'Austria occidentale, con circa 400.000
ebrei, è significativo il dato del Dr Mintz secondo il quale dei
25.000 abitanti ebrei di Vienna 15.000 sono così poveri da non
riuscire a pagare la tassa religiosa. Dei 10.000 che la pagano, il
90%
è soggetto
alla tassa
più bassa. Ma anche in queste
categoria soggetta all'imposta minima, tre quarti non sono nella
condizioni di adempiere a quell'obbligo. Diversamente da quello che
avviene in Russia in Romania, in Austria la legge scritta non fa
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distinzione tra ebrei e cristiani. Però per le pubbliche autorità la
legge è lettera morta, e la pratica ristabilisce la proscrizione
degli ebrei che il legislatore aveva annullato. L'esclusione sociale fa
sì che agli ebrei risulti difficile guadagnarsi da vivere, cosa che nel
futuro prossimo diventerà del tutto impossibile.
Lo stesso lamento risuona dalla Bulgaria: una legge ipocrita che non
fa differenza tra confessioni religiose, alla quale le autorità fanno
però eccezione; un'ostilità che in tutti gli ambienti sociali respinge gli
ebrei; necessità e miseria per l'immensa maggioranza, senza
speranza di miglioramento.
In Ungheria gli ebrei non hanno di che lamentarsi. Godono di
tutti i diritti civili, possono lavorare per guadagnarsi da vivere e
la loro situazione economica è sempre più favorevole.
Di certo questa condizione felice non dura da tanto tempo da
permettere agli ebrei di uscire dall'estrema povertà, così che
anche in Ungheria la maggioranza di loro non è ancora giunta a
conoscere il benessere. Inoltre chi è al corrente della situazione
assicura che anche lì, sotto la superficie, continua ad ardere la
fiamma dell'odio verso gli ebrei e che alla prima occasione divamperà
con forza devastante.
Devo lasciare da parte i 150.000 ebrei del Marocco e quelli della
Persia, di cui non conosco il numero. I più poveri non hanno più la
forza per reagire alla miseria. La subiscono con cupa sottomissione,
non si lamentano e richiamano la nostra attenzione solo quando la
marmaglia assalta il ghetto, lo saccheggia e umilia e uccide i suoi
abitanti.
I paesi che ho menzionato determinano il destino di più di
sette milioni di ebrei. Tutti, a eccezione dell'Ungheria, per
mezzo della limitazione dei diritti e la discriminazione ufficiale o
sociale impongono agli ebrei la condizione
di proletari o di
mendicanti,
senza concedere
loro nemmeno la speranza di
migliorare la propria situazione economica per quanto si sforzino di
farlo individualmente o collettivamente.
Le persone "pratiche", che rinunciano a "sogni vani" e aspirano solo
alle cose immediate e raggiungibili, sono dell'opinione
che
l'abolizione delle limitazioni legali dei loro diritti rimedierebbe
alla miseria degli ebrei dell'Europa Orientale. La Galizia ci offre
la confutazione di questa teoria. E non solo la Galizia. Il rimedio
dell'emancipazione legale è stato tentato in tutti gli Stati altamente
civilizzati. Vediamo cosa ci rivela questo esperimento.
Gli ebrei dell'Europa Occidentale non sono sottoporsi ad alcuna
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restrizione legale. Possono muoversi e svilupparsi liberamente,
esattamente
come i loro connazionali cristiani. Le conseguenze
economiche di questa libertà di movimento sono state senza
dubbio le più favorevoli. Le caratteristiche razziali dell'ebreo l'operosità, la perseveranza, la sobrietà - hanno condotto a un
rapida diminuzione del proletariato ebraico, che in alcuni paesi
sarebbe scomparso completamente
se non fosse alimentato
dall'emigrazione proveniente dall'Est.
Gli ebrei
emancipati
dell'Ovest hanno raggiunto rapidamente un livello di vita simile a
quello della restante popolazione. In ogni caso, la lotta per il pane
quotidiano non prende forme così terribili come quelle descritte a
proposito della Russia, della Romania o della Galizia. Però tra
questi ebrei sorge l'altro genere di miseria: la miseria morale.
L'ebreo occidentale ha il pane, ma l'uomo non vive di solo pane. La
vita dell'ebreo occidentale non è più messa in pericolo dall'ostilità
della folla; ma le ferite fisiche non sono le uniche ferite che causano
dolore e che fanno morire dissanguati. L'ebreo occidentale voleva
che emancipazione si tramutasse in vera liberazione, e si è
affrettato a trarne le conclusioni. Ma le nazioni lo hanno
fatto
temere
di sbagliare nell'essere così sconsideratamente
logico. Le magnanime leggi magnanimamente espongono la teoria
della parità dei diritti. Ma i governi e la Società esercitano la
pratica della parità dei diritti in un modo che la fa sembrare una
parodia, come quando Sancho Panza riceve l'altisonante carica
di governatore dell'Isola di Barataria. Dice l'ebreo ingenuamente:
"Sono un essere umano e non mi è estraneo niente che sia umano",
e la risposta che riceve è: "Piano, i tuoi diritti in quanto uomo vanno
goduti con cautela; ti manca la giusta nozione di onore, il senso del
dovere, il senso morale, il patriottismo, l'idealismo. Devi, dunque,
tenerti alla larga da tutte le occupazioni che presuppongono il
possesso di queste qualità".
Nessuno ha mai tentato di giustificare con i fatti queste accuse
terribili. Al massimo, di tanto in tanto, un singolo ebreo, la feccia
della sua razza e dell'umanità,
viene trionfalmente
citato
come esempio, e contrariamente a tutte le leggi della logica,
l'esempio viene eletto a regola generale. Questa tendenza è
psicologicamente corretta. È pratica dell'intelletto umano inventare
per i pregiudizi suscitati dal sentimento una causa apparentemente
ragionevole. La saggezza popolare conosce bene questa legge
della psicologia, tanto che la esprime con il detto "Se devi annegare
un cane devi prima dichiararlo pazzo". Agli ebrei si attribuiscono
falsamente tutti i generi di vizi perché ci si vuole convincere di
avere il diritto di detestarli. Ma il sentimento preesistente è l'odio nei
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confronti degli ebrei.
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Devo pronunciare la parola dolorosa. Le nazioni che hanno
emancipato gli ebrei hanno frainteso i propri sentimenti. Per avere
pieno effetto, l'emancipazione sarebbe dovuta essere completa nel
sentimento prima di essere dichiarata per legge. Ma non era questo
il caso. La storia dell'emancipazione ebraica è una delle pagine più
notevoli della storia del pensiero europeo. L'emancipazione
degli ebrei non fu la conseguenza della convinzione che a una
razza fosse stata arrecata una grave offesa e riservato un
trattamento terribile e che fosse tempo di espiare un'ingiustizia
durata mille anni; fu soltanto il risultato del metodo di
pensiero geometrico del razionalismo francese del XVIII secolo.
Questo razionalismo si basava sull'aiuto della logica pura, senza
tener conto dei vivi sentimenti
e dei principi della certezza
dell'azione matematica; e insisteva a voler introdurre queste
creazioni puramente intellettuali nel mondo reale. L'emancipazione
degli ebrei fu un'automatica applicazione del metodo razionalista.
La filosofia di Rousseau e gli enciclopedisti hanno portato alla
dichiarazione dei diritti umani. Da questa dichiarazione la logica
stringente
degli uomini della Grande Rivoluzione
dedusse
l'emancipazione
degli ebrei. Formularono
una vera e propria
equazione: Ciascun uomo è nato con certi diritti; gli ebrei sono
esseri umani, dunque gli ebrei sono nati con i diritti degli uomini. In
questo modo fu dichiarata l'emancipazione degli ebrei: non per un
sentimento
fraterno nei confronti degli ebrei, ma perché lo
richiedeva la logica. Il sentimento popolare si ribellava, ma la
filosofia della Rivoluzione decretò che i principi erano superiori ai
sentimenti. Permettetemi allora un'espressione
che non implica
alcuna ingratitudine. Gli uomini del 1792 ci emanciparono solo per
amor di principio.
Il resto dell'Europa Occidentale imitò la Francia, ma ancora una
volta non sotto la spinta del sentimento, ma perché i popoli civilizzati
sentirono una specie di coercizione morale a far propri i principi della
Rivoluzione.
Così come la Rivoluzione Francese diede al mondo i sistemi metrico
e decimale, essa creò anche una sorta di norma
del sistema
spirituale
che altri paesi,
volontariamente
o loro malgrado,
accettarono come l'unità di misura del loro grado di civiltà. Una
nazione che dichiarasse di essere all'apice della cultura doveva
possedere determinate istituzioni create o sviluppate dalla Grande
Rivoluzione; come per esempio la rappresentanza del popolo, la
libertà di stampa, i tribunali con i giurati, la divisione dei poteri, ecc.
L'emancipazione degli ebrei era anch'essa
uno
degli
articoli
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indispensabili di una cultura progredita; proprio come un
pianoforte non può mancare
in un salotto,
anche se nessun
membro della famiglia sa suonarlo. Così in Europa gli ebrei furono
emancipati non per un'innata necessità, ma per imitare una
moda politica; non perché il popolo avesse spontaneamente
deciso di tendere fraternamente la mano agli ebrei, ma perché le
classi dominanti avevano accettato dei principi che esigevano che
anche l'emancipazione degli ebrei figurasse nella loro legislazione.
A un unico paese questo discorso non si applica: l'Inghilterra. Il
popolo inglese non accetta che il progresso gli sia imposto
dall'esterno; elabora il progresso dal proprio interno. In Inghilterra
l'emancipazione degli ebrei è una realtà. Non è solo scritta, è un
fatto. Era già giunta a compimento nei cuori prima che la
legislazione la confermasse espressamente. Per rispetto verso la
tradizione, si esitò in Inghilterra ad abolire le restrizioni legali dei
non-conformisti, in un'epoca in cui gli inglesi già da lungo tempo non
facevano differenze sociali tra cristiani ed ebrei.
Naturalmente una grande nazione con una vita spirituale così
intensa non si libera facilmente dalle correnti intellettuale o dagli
errori dei tempi, e dunque anche in Inghilterra si osservano casi
isolati di antisemitismo. Però ha unicamente
il valore
di
un'imitazione della moda continentale, che alcuni adottano per
snobismo o come presunto segno di distinzione. Nei dati e nelle
cifre della ricca relazione del Signor Haas sulla situazione degli ebrei
in Inghilterra vedrete, insomma, che si tratta della situazione più
confortante che incontreremo.
L'emancipazione ha cambiato completamente la natura dell'ebreo, e
l'ha reso un altro essere. L'ebreo privo di diritti non amava il
contrassegno giallo obbligatorio cucito sugli abiti perché era un
invito ufficiale alla folla a commettere brutalità, giustificandole
anticipatamente. Ma di sua volontà ha fatto molto più di quanto
potesse fare una pezza gialla per distinguere la propria natura
separata. Le autorità non lo chiudevano in un ghetto, e lui se ne
costruiva uno. Dimorava con i suoi e non voleva avere rapporti con i
cristiani che non fossero d'affari. La parola "ghetto" oggi è associata
a sentimenti di vergogna e umiliazione. Ma il ghetto, qualsiasi
fossero le intenzioni del popolo che lo aveva creato, era per l'ebreo
del passato non una prigione ma un rifugio. È verità storica
affermare
che solo il ghetto diede agli ebrei la possibilità di
sopravvivere alle terribili persecuzioni del Medio Evo. Nel ghetto
l'ebreo aveva il proprio mondo; era un rifugio sicuro che aveva per
lui il valore morale e spirituale della casa natale. Qui c'erano dei
simili da cui si voleva essere valutati e potevano a loro volta essere
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valutati; qui c'era un'opinione
pubblica
dalla quale l'ebreo
ambiva
a essere
riconosciuto.
La scarsa considerazione da
parte di quell'opinione pubblica era la punizione per l'indegnità.
Qui venivano apprezzate tutte le specifiche qualità ebraiche, e
sviluppandole si poteva ottenere quel genere di ammirazione che
è il miglior sprone per la mente umana. Che importava che fuori
del ghetto si disprezzasse ciò che all'interno era lodato? L'opinione
del mondo esterno non aveva alcuna influenza, perché era
l'opinione di nemici ignoranti. Si cercava di compiacere i propri
correligionari, e la loro lode era la miglior soddisfazione della vita.
Così gli ebrei del ghetto vivevano, dal punto di vista morale, una vita
davvero completa. La situazione all'esterno era incerta, spesso
gravemente minacciata. Ma all'interno avevano raggiunto uno
sviluppo perfetto delle loro qualità specifiche. Erano esseri umani
in armonia, ai quali non mancavano gli elementi della normale
vita sociale. Sentivano anche istintivamente tutta l'importanza del
ghetto per la loro vita interiore, e dunque avevano una sola
preoccupazione: rendere la sua esistenza sicura attraverso muri
invisibili che erano più spessi e più alti dei muri di pietra che li
circondavano. Tutti gli edifici e gli usi ebraici perseguivano
inconsciamente un solo proposito: preservare l'Ebraismo attraverso
la
separazione
dagli
altri
e
rendere
il
singolo
ebreo
costantementeconsapevole del fatto che avrebbe perso se
stesso e si sarebbe distrutto se avesse rinunciato al proprio
carattere specifico. L'impulso della separazione gli diede anche
la maggior
parte
delle
leggi rituali, che per l'ebreo di oggi
coincidono con la fede stessa; e anche altri segni puramente esteriori
e spesso casuali di differenziazione nell'abbigliamento e negli usi
ricevettero
una
sanzione
religiosa
proprio
perché fossero
conservati. Il caffettano, i riccioli, il cappello di pelliccia e il
gergo
non hanno apparentemente nulla a che vedere con la
religione. Ma essi sentono che queste manifestazioni
da sole
possono offrire loro un legame con la
comunità,
un
legame
senza il quale un individuo non può sopravvivere a lungo
moralmente, intellettualmente e infine fisicamente.
Questa
era la psicologia
dell'ebreo
del ghetto.
Poi giunse
l'emancipazione. La legge assicurò agli ebrei che erano cittadini a
pieno diritto del loro paese. Nella fase più idilliaca attinse anche a
sentimenti cristiani che scaldavano e purificavano il cuore. Gli ebrei,
in una sorta di ebbrezza, si affrettarono a tagliarsi i ponti alle
spalle. Avevano adesso un'altra casa; non avevano più bisogno di un
ghetto; adesso avevano altri legami e non erano più costretti a
vivere solo con il loro correligionari.
Il loro istinto di
conservazione
si adattò immediatamente e completamente alle
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nuove condizioni di vita. In precedenza questo istinto era diretto
solo verso una netta separazione. Adesso si affrettarono a
sostituire la stretta convivenza e assimilazione alla distinzione che
era stata la loro salvezza. Seguì un vero e proprio mimetismo, e
per una o due generazioni l'ebreo ebbe il permesso di credere di
essere solo tedesco, francese, italiano e così via.
All'improvviso,
vent'anni
fa,
dopo
essersi
assopito
per
trenta-sessant'anni,
l'antisemitismo
è esploso nuovamente nelle
profondità remote delle nazioni, e ha rivelato all'ebreo la vera
situazione. L'ebreo poteva ancora votare per eleggere i membri
del parlamento, ma era escluso dai circoli e dagli incontri dei
suoi connazionali cristiani. Poteva andare dove voleva, ma
ovunque si imbatteva nell'insegna: "Vietato l'ingresso agli ebrei".
Aveva ancora il diritto di compiere tutti i doveri di un cittadino, ma i
diritti più nobili riconosciuti al talento e al successo gli erano
assolutamente negati.
Tale è l'attuale liberazione dell'ebreo emancipato in Europa
Occidentale. Egli ha rinunciato al suo carattere specificatamente
ebraico; ma gli altri gli fanno capire che non ha acquisito le loro
caratteristiche speciali. Ha perso la casa del ghetto; ma la terra
in cui è nato gli è negata in quanto patria. I suoi connazionali lo
respingono quando desidera associarsi a loro. Gli manca la terra
sotto i piedi e non ha una comunità a cui appartenga
come
membro a pieno diritto. Presso i suoi connazionali cristiani né il
suo carattere né le sue intenzioni possono contare sulla giustizia, e
tanto meno sul calore umano. Con il suoi connazionali ebrei ha
perso i contatti: per forza deve pensare che il mondo lo odia e non
vede un luogo ove poter trovare del calore quando ne sente il
bisogno.
Questa è la miseria morale degli ebrei, che è peggiore di
quella fisica perché affligge uomini di diversa condizione che
posseggono
i
migliori
e
i
più
fieri
sentimenti.
Prima
dell'emancipazione l'ebreo era uno straniero tra le genti, ma non
pensava neanche lontanamente a opporsi al suo destino. Sentiva
di appartenere a una razza a parte, che non aveva niente in comune
con gli altri abitanti dello stesso paese. L'ebreo emancipato è
insicuro nelle relazioni con i suoi simili, timido con gli estranei,
sospettoso perfino verso i sentimenti segreti degli amici. Le sue
migliori energie si esauriscono nella repressione o almeno nel
difficile occultamento del suo vero carattere. Perché egli teme che il
suo carattere possa essere considerato come ebraico, e non ha mai
la soddisfazione di potersi mostrare com'è in tutti i suoi pensieri
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e sentimenti. È interiormente menomato, e esteriormente finto, e
dunque sempre ridicolo e odioso agli uomini dai più alti sentimenti,
come tutto ciò che è finto.
Tutti i migliori ebrei dell'Europa Occidentale si lamentano di questo,
o cercano sollievo. Non hanno più la fede che dà la pazienza
necessaria a sopportare le sofferenze, perché vedono in esse la
volontà di un Dio punitivo ma non amorevole. Non sperano più
nell'avvento del Messia, che un giorno li porterà in Gloria. Molti
cercano di salvarsi fuggendo
dall'Ebraismo.
Ma l'antisemitismo
razzista nega la possibilità di cambiamento con il battesimo, e
questo genere di salvezza non sembra avere molte prospettive. Ed
è poco raccomandabile che questi ebrei, che sono per lo più senza
fede (non parlo naturalmente della minoranza dei veri credenti),
entrino nella comunità cristiana con una bugia blasfema. In
questo modo nasce un nuovo marrano, peggiore del vecchio.
Quest'ultimo aveva una direzione idealistica, un segreto desiderio
di libertà o un disagio straziante della
coscienza,
e
spesso
cercava l'espiazione e la purificazione attraverso il martirio. I
nuovi marrani abbandonano il giudaismo con rabbia e amarezza, ma
in cuor loro, anche se non lo riconoscono, portano l'umiliazione, la
disonestà, e un odio anche per il Cristianesimo che li ha costretti a
mentire. Penso con orrore allo sviluppo futuro di questa razza di
nuovi marrani, che normalmente non hanno il sostegno di alcuna
tradizione e la cui anima è avvelenata dall'ostilità verso il sangue
proprio e altrui, e il cui rispetto di sé è distrutto dalla permanente
consapevolezza di una fondamentale bugia. Altri contano di
essere salvati dal Sionismo, che per loro non è il compimento
di una promessa mistica delle Scritture, ma la via verso
un'esistenza in cui l'ebreo possa infine trovare le più semplici ed
elementari condizioni di vita, che sono ovvie per ogni ebreo di
entrambi gli emisferi: la sicurezza sociale in una comunità
benevola, la possibilità di impiegare tutte le sue energie per lo
sviluppo del suo vero essere invece di abusarne per reprimerlo
e falsificarlo. Altri, infine, che si ribellano alla menzogna dei marrani
e che si sentono troppo intimamente legati alla terra natale per
non capire il significato del Sionismo, si gettano nelle braccia
della sovversione più selvaggia, con la vaga idea che con la
distruzione di tutto e la costruzione di un nuovo mondo l'odio per
gli ebrei possa non essere uno dei valori che si salveranno dalle
rovine della vecchia situazione.
Questa è la storia di Israele alla fine del XIX secolo. Per riassumerla
in poche parole: la maggioranza degli ebrei è
una
razza
di
mendicanti proscritti. Più industrioso e più abile dell'europeo
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medio, per non parlare dell'indolenza dell'asiatico e dell'africano,
l'ebreo è condannato alla più estrema miseria perché non gli è
consentito di usare liberamente le sue capacità. Questa povertà
opprime
il suo carattere e distrugge il suo fisico. Assetato di
istruzione, si vede respinto dai luoghi che offrono la conoscenza, un
vero supplizio di Tantalo in questa epoca poco mitica. Sbatte la
testa contro lo spesso strato di odio e disprezzo che si forma sulla
sua testa. Un essere sociale come pochi altri, un essere sociale cui
la sua fede insegna che è azione meritoria e cara a Dio che per i
pasti si riuniscano almeno tre persone e almeno dieci per le
preghiere - è escluso dalla società dei suoi connazionali e
condannato a un tragico isolamento. Ci si lamenta che gli ebrei
sono ovunque, ma essi aspirano alla superiorità perché si vedono
negata la parità. Sono accusati di solidarietà con gli ebrei di tutto il
mondo; mentre al contrario, per loro sfortuna, non appena è
stata pronunciata la prima amorevole parola
dell'emancipazione
essi hanno cercato di strappare dal proprio cuore tutta la
solidarietà ebraica fino all'ultima traccia.
Storditi dalla pioggia di accuse antisemite, dimenticano chi sono e
spesso immaginano di essere dei mostri nel corpo e nello spirito
come i loro nemici mortali li raffigurano. Non è raro sentire un ebreo
mormorare che deve imparare dal nemico e tentare di riparare ai
vizi che gli vengono rimproverati. Dimentica, tuttavia, che le
accuse antisemite sono prive di valore, perché non si basano sulla
critica di fatti reali, ma sono il risultato di quella legge psicologica
secondo la quale i bambini, i selvaggi e gli stolti danno la colpa dei
loro mali a cose e persone per le quali hanno antipatia. Ai tempi
della peste si accusava
gli ebrei di avvelenare l'acqua, oggi i
contadini li accusano di far calare il prezzo dei grano, gli artigiani di
danneggiare la loro attività e i conservatori di opporsi al governo.
Dove non ci sono ebrei si prendono come responsabili di questi mali
altri settori odiati della popolazione, generalmente gli stranieri, a
volte le minoranze nazionali, le sette o le piccole comunità. Questa
antropomorfizzazione
del disagio non prova niente contro gli
accusati, prova solo che i loro persecutori li odiavano già prima di
conoscere quel disagio e cercavano solo un capro espiatorio.
Il quadro non sarebbe completo se non aggiungessimo un dettaglio.
Una leggenda, alla quale hanno contribuito anche persone serie e
istruite che non avevano alcun ragione per essere antisemite, dice
che il potere e tutte le ricchezze della terra sono in mano agli ebrei.
Inquietanti manipolatori
del potere, questi ebrei che non sono
nemmeno capaci di proteggere quelli della loro stirpe dall'ansia del
sangue della miserabile marmaglia araba, marocchina e persiana!
Personificazione di Mammona, questi ebrei, la maggioranza dei
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quali non possiede neanche una pietra su cui appoggiare il capo,
né un pezzo di stoffa con cui coprire la propria nudità! Questa beffa
è il veleno instillato nella ferita già causata dall'odio. Di certo
ci sono alcune centinaia di ebrei immensamente ricchi i cui milioni
richiamano l'attenzione in modo stridente.
Ma cos'ha Israele in comune con queste persone? La maggioranza
di loro - con l'eccezione di una fortunata minoranza - appartiene
alla natura più bassa e vile dell'Ebraismo, che una selezione naturale
ha orientato verso attività che hanno consentito di guadagnare
rapidamente milioni e perfino miliardi: non chiedetemi come! In una
normale società ebraica questi individui per le loro infime
caratteristiche sarebbero disprezzati dal popolo, e in nessun caso
riceverebbero i riconoscimenti o i titoli nobiliari con cui li
premia la società cristiana. L'Ebraismo dei profeti e dei Tannaim,
l'Ebraismo di Hillel, Filone, Ibn Gabirol, Jehuda Halevy, Ben
Maimon, Spinoza, Heine non ha niente a che vedere con questi
fanfaroni che disprezzano tutto ciò che veneriamo e esaltano tutto
quello che disprezziamo. Queste persone offrono il pretesto
principale al nuovo odio nei confronti degli ebrei, che ha ragioni più
economiche che religiose. Agli ebrei che soffrono per colpa loro non
hanno fatto altro che gettare un'elemosina
che non costava
loro
alcun
sacrificio,
mantenendo
in
vita
un
cancro
specificatamente ebraico, il parassitismo. Ai fini ideali non c'è
stato mai alcun aiuto da parte loro e probabilmente non ci sarà
mai. Molti abbandonano l'Ebraismo; noi auguriamo loro buona
fortuna e ci dispiace solo che abbiano sangue ebraico, anche se del
tipo peggiore.
Nessuno può rimanere indifferente alla sofferenza ebraica, né il
cristiano né l'ebreo. È un grave peccato lasciare che degeneri
intellettualmente e fisicamente una razza le cui capacità vengono
riconosciute anche dai suoi peggiori nemici. È un peccato contro di
loro e contro l'opera della civiltà, alla quale gli ebrei collaborano in
modo non inutile né secondario. E può trasformarsi in un grave
pericolo per i popoli portare all'esasperazione persone energiche e
volonterose - la cui statura, nel bene e nel male, è superiore alla
media - riservando loro un trattamento che non meritano e
facendone dei nemici dell'ordine stabilito. La microbiologia ci insegna
che i piccoli organismi, che sono stati inoffensivi per lungo tempo
vivendo nell'aria, diventano terribilmente patogeni se li si priva di
ossigeno, se li si trasforma in quelli che tecnicamente vengono
chiamati esseri anaerobi. I governi e le popolazioni dovrebbero
stare attenti a trasformare un ebreo in un essere anaerobo!
Potrebbe costare loro caro, qualsiasi cosa volessero intraprendere
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per sterminare l'ebreo divenuto parassita per colpa loro.
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Quella miseria ebraica lancia un grido d'aiuto. Trovare quell'aiuto
sarà il grande compito di questo Congresso. Cedo ora la parola agli
altri relatori, che esporranno e completeranno il quadro da me
abbozzato; ascoltando le loro relazioni la maggioranza di voi avrà
l'impressione di udire le Lamentazioni.
Max Nordau: Zionistischen Schriften
, Berlino 1923 (2ª ed), pp. 39-57
Originale da:
Zionisten-Kongress in Basel (29., 30. und 31. August 1897), Officielles Protokoll, Verlag des Vereines „Erez Israel“,
Wien, 1898, S. 9 -20, ripubblicato in : Max Nordau : Zionistische Schriften, Berlin 1923 (2. Auflage),S.. 39-57. e Tlaxcala
Articolo originale pubblicato il 21 febbraio 2008
Su Max Nordau e anche qui
Fausto Giudice e Manuela Vittorelli sono membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística. Questo
articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e
la fonte.
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LA TERRA DI CANAAN: 21/02/2
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ORA DI PARIGI 22:19
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