Seminario Estivo 26 luglio – 2 agosto 2015 Reg. Num. 6188 – A FISICA E SPIRITUALITÀ Dalla conoscenza alla coscienza Villa Nazareth – Fondazione “Comunità Domenico Tardini” ONLUS Via D. Tardini 33-35, 00167 Roma – Tel. 06-895981, Fax. 06-6621754 Siti web: www.villanazareth.org, collegio.villanazareth.org, www.vnservizi.it E-mail: [email protected], info@vnservizi. FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO PROGRAMMA “FISICA E SPIRITUALITÀ” Domenica 26 Luglio Pomeriggio: Arrivo e sistemazione presso il Centro Vacanze e Cultura Grand Hotel Dobbiaco Ore 18:45 Celebrazione eucaristica Ore 20:00 Cena e saluto del card. Achille Silvestrini, di mons. Claudio Maria Celli, della prof.ssa Angela Groppelli, del prof. Carlo Felice Casula, del dott. Marco Catarci, del dott. Stefano Pepe, del dott. Massimo Gargiulo, della dott.ssa Anna Berloco. A seguire Presentazione del seminario a cura degli studenti della Commissione Cultura Lunedì 27 Luglio Ore 8:00 Colazione Ore 9:15 Escursione di tutta la giornata Ore 18:45 Celebrazione eucaristica Ore 19:30 Cena Martedì 28 luglio Ore 8:00 Colazione Ore 9:15 Conferenza: “Il paradigma rivoluzionario dei quanti” Relatore: Sigfrido Boffi, Professore Emerito di Fisica Teorica presso l’Università di Pavia Moderatore: Davide Sabeddu Ore 13:00 Pranzo 2 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Ore 16:30 Incontro Gruppi Regionali (studenti residenti e non residenti) Ore 18:45 Celebrazione eucaristica Ore 19:30 Cena Ore 20.30 Commissione Cultura Mercoledì 29 Luglio Ore 8:00 Colazione Ore 9:15 Escursione di tutta la giornata Ore 18:45 Celebrazione eucaristica Ore 19:30 Cena Giovedì 30 Luglio Ore 8:00 Colazione Ore 9.15 Conferenza: “La ricerca spirituale con la fisica quantistica” Relatori: Padre Gabriele Gionti S.I., fisico teorico della Specola Vaticana a Tucson, AZ, USA Moderatore: Giacomo Della Posta Ore 16:00 Laboratorio degli studenti Ore 18:45 Celebrazione eucaristica presieduta dal card. Achille Silvestrini nell'anniversario della morte del Cardinale Domenico Tardini Ore 19:30 Cena Dopo cena proseguimento del laboratorio 3 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Venerdì 31 Luglio Ore 8:00 Colazione Ore 9:15 Escursione di tutta la giornata Ore 18:45 Celebrazione eucaristica Ore 19:30 Cena Sabato 1 agosto Ore 8:00 Colazione Ore 9:15 Conferenza: “Pensiero contemporaneo e meccanica quantistica” Relatore: Mons. Gianfranco Basti, Professore Ordinario di Filosofia della Natura e della Scienza presso l’Università Pontificia Lateranense Moderatore: Matteo Piu Ore 13:00 Pranzo Pomeriggio libero Ore 18:30 Celebrazione eucaristica Ore 19:30 Cena Tipica Domenica 2 agosto Ore 8:00 Colazione A seguire saluti e partenze 4 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO INDICE Introduzione, p. 6 Biografie dei relatori, p. 7 Articolo n. 1: Introduzione alla meccanica quantistica, Brendan Sweetman, p. 9 Articolo n. 2: Probabilità in meccanica quantistica, Nicolas Delerue, p. 11 Articolo n. 3: Introduzione agli effetti della meccanica quantistica, Frytiof Capra, p. 14 Articolo n. 4: Esempio di esperimento paradossale della fisica quantistica, il gatto di Schrödinger, Redazione di lescienze.it, p. 15 Articolo n. 5: Una breve “storia” dell’Universo, P. Gabriele Gionti S.J., p. 16 SECONDA PARTE – I FISICI INCONTRANO DIO E IL MONDO Articolo n. 6: Esiste il caso?, Sigfrido Boffi, p. 19 Articolo n. 7: La responsabilità sociale dello scienziato, Nicola Cabibbo, p. 23 Articolo n.8: La lettera di Albert Einstein su Dio, quello Spirito che si rivela nel cosmo, Redazione di ww.uccronline.it, p. 27 Articolo n. 9: Il fisico Ugo Amaldi, amore per la scienza e amore per la fede, p. 29 Articolo n. 10: Il premio Nobel Charles Townes: «credo in Dio anche grazie alla scienza», redazione di www.uccronline.it, p. 30 Articolo n. 11: Perché torna la domanda su Dio. Così la fisica spiega l’inspiegabile origine dell’universo, Umberto Minopoli, p. 31 Articolo n. 12: A Conversation between Tagore and Einstein on July 14, 1930, p. 40 Articolo n. 13: Carl G. Jung’s Synchronicity and Quantum Entanglement: Schrödinger’s Cat ‘Wanders’ Between Chromosomes, Igor V. Limar, p. 43 Articolo n. 14: La coscienza è un effetto quantistico: Roger Penrose rilancia la sua teoria, Marco Passarello, p. 50 Articolo n. 15: Conscious Events as Orchestrated Space-Time Selections, Stuart Hameroff, Roger Penrose, p. 51 TERZA PARTE - L'ABBRACCIO TRA TEOLOGIA, FISICA E FILOSOFIA Articolo n. 16: Indeterminismo quantistico, Giuseppe Tanzella-Nitti, p. 53 Articolo n. 17: I fondamenti filosofici dell’attività scientifica, Giuseppe Tanzella-Nitti, p. 53 Articolo n. 18: Razionalità scientifica e domanda su Dio, G.Tanzella–Nitti, p. 68 Bibliografia e filmografia parziale, p. 80 Ringraziamenti, p. 81 5 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO INTRODUZIONE La scienza è solo un passo del cammino che ci attende alla scoperta di Colui che ci ha creato, non siamo semplici pedine mosse dal caso e dalla passione. Cerchiamo la vita, l'amore. Perché? Cosa ci spinge ad unire insieme tante forze per svelare e superare i confini della conoscenza? La semplice curiosità? O è quella parte di Dio che è in ognuno di noi a farci andare così avanti, ad incamminarci lì, nel vero segreto della scienza moderna, ad immergerci nel succo prelibato del sapere. Si può essere ben sicuri che dopo aver assaporato i meandri della meccanica quantistica ci saranno tante altre sfide. È un bellissimo gioco infinito di unità e diversità allo stesso tempo, di leggi che vivono, che si formano e si riformulano! Dove i confini della fisica si sciolgono in un composto di biologia, teologia, psicologia, medicina, filosofia, sociologia! L'intuito, i sogni, la coscienza umana e artificiale, le apparenti coincidenze della vita, la cura “umanizzata” delle malattie e la meditazione sono solo alcuni elementi della ricerca che da qualche decennio la scienza sta mettendo in atto, la stessa scienza che fino a poco tempo fa era primitivamente ancorata a saldi principi esclusivamente omocentrici, fiduciosa nelle sole nostre capacità “materiali”. Insieme ai nostri relatori cercheremo di cogliere il vero messaggio che la scienza moderna vuole donarci. Auguro di cuore a tutta la comunità che sappia davvero comprendere e “affezionarsi” a questa tematica che di sicuro avrà profondi sviluppi nei prossimi anni e grandi influenze in molti campi del sapere. Grazie del vostro tempo. Davide Sabeddu M74 (nota anche come NGC 628): costellazione a spirale nella costellazione dei Pesci. 6 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO BIOGRAFIE DEI RELATORI Sigfrido Boffi Nato a Milano il 5 luglio 1939, dal 1958 al 1962 è alunno del Collegio Universitario Ghislieri di Pavia e nel 1962 completa gli studi in Fisica presso l’Università di Pavia. Nei due anni successivi è alunno della Scuola di Perfezionamento in Fisica dell'Università di Roma. Nel 1965 è Professore incaricato di Fisica Generale I dell'Università di Pavia. Dal 1973 al 1980 è Professore stabilizzato di Fisica Generale I dell'Università di Pavia. È professore straordinario di Istituzioni di Fisica Teorica tra Bologna e Pavia 1980 al 2010. Nel 2011 è Professore emerito di Fisica Teorica dell'Università di Pavia. Ha ricoperto vari incarichi istituzionali: tra gli altri, è stato Membro del Consiglio Direttivo dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) come Direttore della Sezione INFN di Pavia, Membro del Comitato Fisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Direttore del Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica dell'Università di Pavia. E’ stato Coordinatore Scientifico di diversi progetti scientifici, tra cui i programmi di ricerca di interesse nazionale dal titolo: "Fisica teorica del nucleo e dei sistemi a molti corpi", e "Fisica teorica del nucleo e dei sistemi a molti corpi" entrambi cofinanziati dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. È autore di oltre 250 pubblicazioni su temi di fisica della materia, dei nuclei, del nucleone. È stato tra gli organizzatori di numerose conferenze internazionali in Europa e negli USA soprattutto nel campo della fisica adronica. P. Gabriele Gionti S.I. P. Gabriele Gionti S.I. si è laureato in Fisica presso l’Università degli Studi «Federico II» di Napoli nel 1993, focalizzando i suoi studi sulla fisica delle alte energie, la fisica gravitazionale e la fisica matematica. Nello stesso anno è stato ammesso alla Scuola Internazionale di Studi Avanzati di Trieste nel settore della fisica matematica, conseguendo il dottorato in Fisica-Matematica, nel 1998. Nel 1999 ha continuato la sua attività di ricerca postdottorale al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di California, per poi iniziare nel 2000 il suo noviziato a Genova. Dopo aver conseguito il Baccalaureato in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana, nel 2004, trasferito per due anni al Vatican Observatory di Tucson, ha proseguito per un biennio le proprie ricerche sulla Discrete Quantum Gravity come ricercatore postdottorale allo Steward Observatory dell’Università dell’Arizona. Nel 2006, a Berkeley, ha iniziato gli studi di teologia alla Jesuit School of Theology dell’Università di Santa Clara conseguendo nel 2010 il titolo base e la licenza in Teologia Sistematica. Il 26 giugno dello stesso anno, è stato ordinato Sacerdote. Dal 2010 si occupa, all’interno della Specola Vaticana, di Quantum Gravity e String Theory, oltre che della possibilità di applicare il Local Regge Calculus allo Spin Foam Formalism. È componente del Comitato Scientifico del Centro Internazionale di Astrofisica Relativistica (ICRA) della Specola Vaticana ed è responsabile di una collaborazione scientifica fra la stessa e la Divisione Teorica del CERN. 7 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Mons. Gianfranco Basti Nato nel 1954 a Roma, ordinato sacerdote nel 1978, nel 1984 ottiene il dottorato il Filosofia alla Sapienza di Roma. È Professore Ordinario in “Filosofia della natura e della scienza” all’Università Pontificia Gregoriana. Dal 2008 è Decano della Facoltà di Filosofia alla Università Lateranense. La sua attività di ricerca si rivolge ai fondamenti logici delle scienze. È membro della AAS (American Society for the Advancement of Science) e, dal 1997, direttore e co-fondatore dell’IRAFS (International Research Area on Foundations of the Sciences) all’Università Lateranense. Dal 2001 è membro dell’accademia pontificia San Tommaso D’Aquino. È autore di più di novanta articoli scientifici e filosofici e di quattro libri. 8 La Nebulosa Guerra e Pace (nota anche come NGC 6357 o Sh2-11): nebulosa ad emissione nella costellazione dello Scorpione. FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 1: Introduzione alla meccanica quantistica, Brendan Sweetman Da B. Sweetman, Religione e Scienza – una introduzione, Queriniana, Brescia 2014 La meccanica quantistica ha a che fare con le interazioni e la struttura delle particelle atomiche e subatomiche, come quanti, neutroni, elettroni, quark, fotoni, ecc. I fisici delle particelle studiano, fra l’altro, l’energia e il movimento di queste particelle. Si è trattato di un’area di ricerca molto fruttuosa, essendo alla base della costruzione di transistor e di laser e, in genere, dell’elettronica moderna e dell’energia nucleare. Tuttavia, vi sono dei problemi associati con lo studio delle particelle subatomiche che rendono questa teoria tutt’altro che chiara per il mondo macroscopico della nostra esperienza. Il problema principale è che, quando studiamo una particella subatomica, essendo così piccola, essa è influenzata dai metodi con cui lo facciamo, in particolare dall’energia della sorgente di luce (una cosa che non avviene quando studiamo oggetti di maggiori dimensioni, come i tavoli e le sedie). Questo significa che quando studiamo una particella in quanto osservatori, noi stessi interferiamo con essa, modificando il suo comportamento. L’energia dell’onda della luce che usiamo per studiare un elettrone, per esempio, influenzerà il movimento dell’elettrone in un modo che non possiamo predire; se usiamo un’onda di luce più lunga per evitare questo problema, allora sarà la posizione dell’elettrone ad essere modificata. In breve, non possiamo conoscere né la posizione né la velocità di movimento dell’elettrone nello stesso tempo, una conclusione che è stata chiamata “principio di indeterminazione” dal fisico tedesco Werner Heisenberg. Una conseguenza di esso è che non siamo in grado di accertare con precisione le leggi che stabiliscono il comportamento delle particelle operanti a livello subatomico; esse sono piuttosto espresse nei termini di probabilità statistiche. Una delle ragioni per le quali il rapporto tra religione e scienza è così importante ai giorni nostri è perché entrambe offrono un contributo decisivo in molti ambiti della nostra esistenza. Inoltre, molti lavori recenti in varie discipline scientifiche hanno sollevato una molteplicità di problemi filosofici, religiosi e morali che la scienza, di solito, non è preparata ad affrontare. Lavori recenti in aree come la biologia evoluzionistica, la genetica, l’astronomia, l’astrofisica (lo studio della composizione fisica dei corpi celesti), la ricerca sulle cellule staminali e la neurologia, molti dei quali resi possibili da impressionanti progressi tecnologici, hanno richiamato l’attenzione in modo drammatico su ciò che spesso i filosofi chiamano “questioni ultime”, cioè su questioni che riguardano la vita e perfino la moralità. La teoria dell’evoluzione, per esempio, solleva questioni sull’origine e la natura della nostra specie, l’Homo sapiens (la specie “sapiente”), del tipo: l’apparire della vita umana sulla terra è dovuta al caso oppure ad un progetto? gli uomini hanno un’anima? gli esseri umani differiscono in modo qualitativo da altre specie o soltanto per grado? possono darsi spiegazioni evoluzionistiche per fenomeni come la coscienza, la ragione e la moralità? L’astronomia e l’astrofisica ci informano ogni giorno di più su quanto sia immensamente complesso l’universo in cui viviamo. Nel sollevare il problema della causa dell’universo, la ricerca in questi ambiti non può mancare di suscitare problemi affascinanti e complessi sul fine ultimo, o sul progetto dell’universo, e se ci sia una mente intelligente dietro alla realtà. La grandezza dell’universo è tale da sorprenderci se non ci fossero altre civiltà là da qualche parte e suscita la domanda su come potrebbero essere. Quest’ultimo è un tema intrigante, specialmente se combinato con alcune interpretazioni della teoria dell’evoluzione, le quali 9 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO suggeriscono che l’evoluzione è un processo che potrebbe darsi ogni pianeta dove fossero presenti gli ingredienti di base necessari all’emergere della vita. Vi sono altri ambiti della scienza che sollevano in ugual misura problemi interessanti, che rappresentano delle sfide e in qualche caso sono perfino angosciosi. Il progetto del genoma umano che comporta la mappatura di 20.000-25.000 geni nel DNA umano, così come la determinazione della sequenza delle coppie di basi che compongono in DNA, hanno condotto la genetica in territori finora impensati. Questo tipo di ricerca solleva ogni sorta di difficili problemi morali sulla legittimità della manipolazione genetica della struttura biologica degli esseri umani, lo stesso tipo di problemi che sono suscitati dalla ricerca sulle cellule staminali e dalla clonazione. La scienza può scoprire come clonare un essere umano e come estrarre da un embrione umano cellule staminali per le finalità della ricerca medica, ma non può dirci se queste pratiche sono morali. Dobbiamo andare al di là della scienza - verso la filosofia e la religione – per continuare a pensare su questi temi cruciali. Inoltre, quegli scienziati che lavorano nell’ambito della neurologia, studiando la struttura e il funzionamento del cervello umano, sollevano questioni che non toccano soltanto le modalità di cura delle varie malattie del cervello, ma la reale natura della coscienza stessa. La coscienza è qualcosa di fisico o no? quale ruolo causale gioca l’inconscio nella nostra vita cosciente? Questo tipo di ricerca è rilevante per quello che pensiamo sull’esistenza dell’anima (che per molti filosofi deve includere almeno la mente cosciente), e quindi sulla libertà del volere umano. Gli esseri umani sono effettivamente liberi o sono soltanto sofisticate macchine casualmente determinate, parti di un universo che deve essere compreso interamente in termini di rapporto tra cause ed effetti? Tutti questi affascinanti temi sono sollevati inevitabilmente e precipuamente dall’interazione tra religione e scienza, e ciascuno che voglia riflettere in modo informato sulle questioni più profonde della vita non può ignorarli, né può ignorare il contributo che essi danno alla comprensione dell’universo e di noi stessi nel ventunesimo secolo. […] La Galassia Sombrero (nota anche come M 104 o NGC 4594): galassia nella costellazione della Vergine. 10 27 LUGLIO - 2 AGOSTO FISICA E SPIRITUALITÀ Articolo n. 2: Probabilità in meccanica quantistica, Nicolas Delerue Da Probabilità e caso (2011), 2 Contrariamente a ciò che pensavano i fisici del XIX secolo, non tutto è prevedibile esattamente nell'Universo. Il comportamento delle particelle elementari, ad esempio, è governato dalle leggi probabilistiche della meccanica quantistica. Il XIX secolo fu caratterizzato da grandi progressi nella comprensione dei fenomeni naturali. Ad esempio, per la maggior parte dei fisici di questo secolo sembrava che, conoscendo con precisione la posizione di tutti i corpi celesti ad un istante dato, sarebbe stato possibile predire tutte le loro posizioni future. Tuttavia, agli inizi del XX secolo, l'avvento della meccanica quantistica rimise in discussione queste speranze. Onde o particelle? I lavori di Maxwell avevano mostrato in modo inconfutabile che la luce è un'onda elettromagnetica. Per contro, il quadro teorico proposto da Planck e da Einstein per spiegare l'effetto fotoelettrico richiedeva l'ipotesi che la luce fosse "corpuscolare". Alcuni anni dopo un'altra esperienza, cosiddetta della doppia fenditura, mostrò che l'elettrone, che tutti consideravano una particella, aveva talvolta un comportamento ondulatorio. Ripensare 1a fisica Dinanzi a questi risultati contraddittori, fu necessario ripensare le leggi della fisica per permettere di descrivere gli oggetti microscopici sia come onde sia come corpuscoli. È proprio ciò di cui si occupa la fisica quantistica secondo la quale ogni oggetto ha un duplice comportamento: ondulatorio e corpuscolare. Uno dei principali esponenti di questa nuova visione fu Werner Heisenberg che propose una relazione oggi conosciuta sotto il nome di principio di indeterminazione di Heisenberg Δ(x) rappresenta l'incertezza sulla misura della posizione, Δ(p) l'incertezza sulla misura della quantità di moto e h la costante di Planck, il cui valore è 6 ,626 x l0-34 Js. Ciò significa che ci sono dei limiti alla precisione di una misura: minore è l'incertezza sulla misura della posizione, maggiore sarà l'incertezza sulla misura della quantità di moto e viceversa. Questo risultato, rispetto al quale Einstein manifestò un certo scetticismo, esprime l'impossibilità di conoscere fino in fondo la configurazione dell'Universo, togliendo così ogni speranza alle aspirazioni deterministiche dei fisici del secolo precedente. Il principio di indeterminazione è espresso anche dalla relazione , equivalente alla precedente. Qui E rappresenta l'energia e t il tempo. Queste relazioni certo 11 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO non sono intuitive, ma supportate da verifiche sperimentali. Una descrizione probabilistica del mondo Visto che non è possibile conoscere con precisione le grandezze caratterizzanti ciascuna delle parti del mondo in cui viviamo, come è possibile descriverlo? Ecco la probabilità! Ogni costituente di un sistema, ogni particella, non può più essere descritta come un oggetto che si trova nella posizione (x, y, z, t) ma ad esso deve essere associata una funzione, chiamata funzione d'onda, che dipende sia dalla posizione (x, y, z) sia dal tempo t. Questa funzione, o piuttosto il quadrato del suo modulo, fornisce la probabilità che l'oggetto si trovi nella posizione (x, y, z) all'istante t. Quando l'oggetto ha dimensioni maggiori di molti ordini di grandezza della lunghezza d'onda associata alla costante di Planck (relazione di De Broglie: λ = h/p), allora l'imprecisione sulla posizione dell'oggetto diviene trascurabile (pochi millimetri, così come pochi secondi sono già molto grandi!). Questo giustifica il fatto che, per descrivere il mondo con cui ci confrontiamo quotidianamente, non è necessario ricorrere alla meccanica quantistica. Per contro, per descrivere il comportamento di un singolo fotone o elettrone, il ricorso alla probabilità diventa indispensabile. Le fenditure di Young spiegate dalla meccanica quantistica L'esperienza del passaggio degli elettroni attraverso fenditure rivela un comportamento ondulatorio degli elettroni. Al momento dell'emissione essi possono dirigersi seguendo direzioni equiprobabili. Poi gli elettroni incontrano lo schermo con le due fenditure. La probabilità che gli elettroni passino per l'una o per l'altra delle due fenditure è la stessa. Oltre le due fenditure, gli elettroni proseguono il loro cammino fino ad interferire. Questa interferenza può essere sia costruttiva sia distruttiva, così da far apparire una figura di interferenza simile a quella che si osserva per la luce. Il fatto che in certi casi l'interferenza possa essere distruttiva appare certo sorprendente. Ma da quale fenditura passa l’elettrone? Per meglio comprendere i fenomeni che reggono questa esperienza, è possibile cercare di sapere da quale foro è passato l'elettrone. Per questo basta mettere un piccolo rivelatore a fianco di ogni foro e contare. Il risultato non è sorprendente: l'elettrone è passato una volta su due a sinistra e una volta su due a destra. Ma... sorpresa! La figura di interferenza è scomparsa! Ecco un'altra grande particolarità della meccanica quantistica: una osservazione può perturbare il risultato. Infatti alla scala microscopica della meccanica quantistica, per misurare una proprietà di un oggetto bisogna “toccarlo” direttamente o indirettamente. La densità di probabilità dell'elettrone viene modificata dalla misura poiché è ora possibile dire da quale foro esso è passato. Una delle due funzioni d'onda che contribuiscono alle interferenze avrà ora un'ampiezza nulla dato che il foro dal quale l'elettrone è passato risulta conosciuto. Ecco perché non vi saranno più interferenze... Queste osservazioni, confermate da numerose esperienze, sono certo non intuitive e in passato molti fisici, tra cui Einstein, hanno mostrato molto scetticismo al riguardo. 12 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Il principio di esclusione di Pauli Un altro fatto che può essere spiegato dalla descrizione probabilistica della meccanica quantistica è il principio di esclusione di Pauli. La funzione d'onda V (a,b) che descrive un sistema di due particelle a e b della stessa natura può essere sia simmetrico, sia antisimmetrico. Cioè, se a e b sono permutate, allora la funzione d'onda delle particelle permutate può sia avere lo stesso valore: Ψ (a,b) = Ψ (b,a) (caso simmetrico), sia avere il valore opposto: Ψ (a, b) = - Ψ (b, a) (caso antisimmetrico). È la natura delle particelle che determina l'esito simmetrico o antisimmetrico. Per esempio, una coppia di fotoni avrà una funzione d'onda simmetrica mentre una coppia di elettroni avrà una funzione d'onda antisimmetrica. Questo risultato ha delle implicazioni molto importanti. Infatti, immaginiamo due elettroni identici. Questi due elettroni A e B possono trovarsi nello stesso punto allo stesso istante? Se così fosse, essi diventerebbero completamente indiscernibili, e non sarebbe possibile scoprire se sono stati o meno permutati, dunque la funzione d'onda Ψ (a, b) sarebbe uguale a Ψ (b,a); però per gli elettroni le funzioni d'onda sono antisimmetriche, cioè Ψ (a,b) = - Ψ (b,a). La sola soluzione è dunque Ψ (a, b) =0, che rappresenta il cosiddetto principio di esclusione di Pauli: due elettroni non possono trovarsi nello stesso punto allo stesso istante se hanno le stesse proprietà. La statistica di Bose-Einstein Il caso di due fotoni che si trovano nello stesso punto allo stesso istante si tratta in modo analogo. Tuttavia, le funzioni d'onda dei fotoni hanno un comportamento simmetrico in caso di permutazione, cioè: Ψ (a,b) = Ψ (b,a). Contrariamente agli elettroni, i fotoni obbediscono a quella che viene chiamata statistica di Bose-Einstein: essi tentano di trovarsi tutti nello stesso stato! Il principio di esclusione di Pauli e la statistica di Bose-Einstein sono sostenuti da osservazioni sperimentali. Se non valesse il principio di esclusione di Pauli, tutti gli elettroni di un atomo avrebbero la stessa energia e nessuna reazione chimica sarebbe possibile mentre la statistica di Bose-Einstein permette di spiegare fenomeni come la superconduttività. Oggi pochi ricercatori rimettono in discussione la descrizione probabilistica del mondo così come viene formulata dalla fisica quantistica. Mentre i fisici del XIX secolo pensavano di vivere in un mondo dove tutto era perfettamente definito, cosa che permetteva loro di affermare che “Dio non gioca a dadi”, i loro colleghi del XX secolo, che hanno dimostrato che il nostro mondo è descrivibile attraverso la probabilità, possono loro rispondere che, se Dio esiste, Egli gioca certamente a dadi. 13 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 3: Introduzione agli effetti della meccanica quantistica, Fritjof Capra Da F. Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano 1982 Le interazioni tra gli atomi danno luogo ai vari processi chimici, cosicché in linea di principio è oggi possibile comprendere tutta la chimica sulla base delle leggi della fisica atomica. Queste leggi tuttavia non furono facili da riconoscere: esse vennero scoperte negli anni Venti da un gruppo internazionale di fisici che comprendeva il danese Niels Bohr, il francese Louis de Broglie, gli austriaci Erwin Schrödinger e Wolfgang Pauli, il tedesco Werner Heisenberg e l’inglese Paul Dirac. Questi uomini unirono le loro forze al di là di tutte le frontiere nazionali e diedero vita a uno dei periodi più eccitanti della scienza moderna, che portò l’uomo, per la prima volta, a contatto con la strana e inaspettata realtà del mondo subatomico. Ogni volta che i fisici interrogavano la natura mediante un esperimento atomico, la natura rispondeva con un paradosso, e quanto più essi cercavano di chiarire la situazione, tanto più acuto diventava un paradosso. Occorse molto tempo prima che i fisici accettassero l’idea che questi paradossi appartengono alla struttura stessa della fisica atomica e si rendessero conto che tali paradossi ricompaiono ogni volta che si tenta di descrivere un evento atomico nei termini tradizionali della fisica. Non appena compreso questo, essi cominciarono a imparare a porre le domande giuste e a evitare le contraddizioni. Secondo le parole di Heisenberg, “essi entrarono in qualche modo nello spirito della teoria quantistica”, e infine trovarono la formulazione matematica precisa e coerente di questa teoria. I concetti della meccanica quantistica non erano facili da accettare, anche dopo che ne fu completata la formulazione matematica. Il loro effetto sull’immaginazione dei fisici era veramente sconvolgente. Gli esperimenti di Rutherford avevano mostrato che gli atomi, invece di essere duri e indistruttibili, consistevano di vaste regioni di spazio nelle quali si muovevano particelle estremamente piccole, e ora la meccanica quantistica chiariva che anche queste particelle non erano affatto simili agli oggetti solidi della fisica classica. Le unità subatomiche della materia sono entità molto astratte che presentano un carattere duale. A seconda di come le osserviamo, ora esse sembrano particelle, ora onde; e questa natura duale è presente anche nella luce, che può assumere l’aspetto di onde elettromagnetiche o di particelle. […] L’apparente contraddizione tra la rappresentazione corpuscolare e quella ondulatoria fu risolta in un modo del tutto inaspettato che mise in discussione il fondamento stesso della concezione meccanicistica del mondo: il concetto di realtà della materia. A livello subatomico, la materia non si trova con certezza in luoghi ben precisi, ma mostra piuttosto una “tendenza a trovarsi” in un determinato luogo, e gli eventi atomici non avvengono con certezza in determinati istanti e in determinati istanti e in determinati modi, ma mostrano una “tendenza ad avvenire”. […] La meccanica quantistica ha quindi indebolito i concetti classici di oggetti solidi e di leggi rigorosamente deterministiche della natura. A livello subatomico, gli oggetti materiali solidi della fisica classica si dissolvono in configurazioni di onde di probabilità e queste configurazioni in definitiva non rappresentano probabilità di cose, ma piuttosto probabilità di interconnessioni. 14 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo 4: Esempio di esperimento paradossale, il gatto di Schrödinger Dal sito www.lescienze.it - 25 novembre 2011 […] Erwin Schrödinger, uno dei padri della meccanica quantistica, formulò il suo paradosso nel 1935 per mettere in luce l’apparente assurdità del principio di sovrapposizione, secondo cui un oggetto quantistico non osservato può trovarsi in più stati differenti (più precisamente in una sovrapposizione di stati differenti). Egli propose una situazione immaginaria in cui una scatola contiene un nucleo radioattivo, un contatore Geiger, una fiala di gas e un gatto. Il contatore Geiger è predisposto per rilasciare il gas velenoso, in grado di uccidere il gatto, se rivela una qualunque radiazione derivante da decadimento nucleare. Il sistema segue in definitiva le regole della meccanica quantistica, perché il decadimento nucleare è un processo quantistico. Se l’apparato viene osservato dopo qualche tempo, il nucleo potrebbe essere decaduto o meno, e in definitiva il gatto può essere o meno morto. La meccanica quantistica ci dice però che, prima che l’osservazione venga fatta, il sistema è in una sovrapposizione di entrambi gli stati: il nucleo è decaduto e non decaduto, il veleno rilasciato e non rilasciato e il gatto è sia vivo sia morto. Il paradosso di Schrödinger serve a esemplificare il fenomeno di "micro-macro entanglement", in cui la meccanica quantistica permette in linea di principio che un oggetto microscopico e uno macroscopico possano avere una relazione molto più stretta di quanto permesso dalla fisica classica. La via più comune per evitare questo problema è fare appello al concetto di decoerenza quantistica, per cui le interazioni multiple tra un oggetto e l’ambiente circostante distruggono la coerenza della sovrapposizione di stati e dell’entanglement. Il risultato è che l’oggetto appare obbedire alla fisica classica, anche se è in realtà soggetto alle regole quantistiche. […] La Nebulosa della Carena (nota anche come Nebulosa di Eta Carinae o NGC 3372 o C 92) nebulosa posta nel cuore della Via Lattea australe, nella costellazione della Carena. 15 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 5: Una breve “storia” dell’Universo, P. Gabriele Gionti S.I. L’Universo ha una vita all’incirca di 13,8 miliardi di anni (fino a poco tempo fa si credeva 13.7 miliardi, ma con gli ultimi risultati del satellite Planck 13.8 miliardi). La teoria che descrive il nostro universo su larga scala è la teoria della Relatività Generale. Questa teoria presuppone che lo Spazio-Tempo sia, in realtà, come un’entità fisica (una geometria quadridimensionale) che è modificata dalla materia-energia (E=mc2 per cui c’è equivalenza fra materia ed energia). La prima grande conseguenza della cosmologia basata sulla teoria della Relatività Generale (cosmologia relativistica) è che il nostro universo non è statico, come si pensava originariamente, ma si espande. Questo risultato, del tutto teorico, non convinceva lo stesso Einstein, che affermò che la soluzione era matematicamente corretta ma fisicamente sbagliata. Einstein aveva in mente un modello di universo che proveniva dalla teoria di Kant-Laplace, in cui l’universo era come una grande scatola nella quale vi erano tutti gli oggetti celesti. Localmente potevano avvenire dei fenomeni di allontanamento e avvicinamento fra gli oggetti celesti ma, globalmente, lo spazio ambiente, in cui tutti gli oggetti erano immersi, rimaneva fisso. Einstein, per evitare l’espansione, introdusse una costante nelle sue equazioni, quelle della Relatività Generale, che fu chiamata, successivamente, costante cosmologica. Essa riusciva ad avere, come soluzione, un Universo statico. Tuttavia la scoperta del “red-shift”, cioè che le righe spettrali della luce proveniente da corpi celesti erano spostate verso il rosso, provava che effettivamente gli oggetti celesti si allontanano fra loro. Altro punto cruciale nel dibattito della cosmologia relativistica moderna è stato il confronto fra il modello stazionario (Steady State Universe) dell’Universo (che ha avuto come principale sostenitore l’astrofisico Inglese Fred Hoyle) e il modello dell’atomo originario, poi chiamato “Big-Bang”. Il problema era: se l’universo si espande la densità di materia-energia diminuisce, quindi se si osserva il processo all’indietro la densità aumenta sempre più man mano che si torna nel passato fino al punto di un collasso gravitazionale che potrebbe essere un inizio? Un punto zero? Questa era l’idea del cosmologo e sacerdote belga George Lemaître che formulò l’ipotesi dell’atomo originario, cioè che l’universo fosse iniziato da un istante iniziale in cui tutta l’energia-materia era in uno stato di densità altissima come concentrata in un atomo “originario”. Successivamente quest’atomo subì un decadimento, come di solito accade negli atomi instabili, e da qui cominciò il nostro universo. La proposta di Lemaître fu alquanto osteggiata dal mondo scientifico perché sembrava in accordo con il concetto di creazione descritto nella Genesi. Fred Hoyle, con il modello stazionario, sosteneva che la densità dell’universo rimaneva costante, durante l’espansione, e non vi era né un inizio né una fine. Nel 1965 Penzias e Wilson, dei Bell Laboratories, costruirono una grande antenna per le microonde e trovarono che esisteva un radiazione di microonde di 2.7 K (gradi Kelvin) omogenea e isotropa. Questo provava che l’universo era omogeneo e isotropo, e che c’era stata una fase in cui l’universo era stato tanto denso da trattenere la luce. Questa radiazione di fondo cosmica è chiamata C.M.B. (Cosmic Microwave Background) e si trova a circa a 380.000 anni dopo il Big-Bang. Perciò il Big-Bang è il solo modello a spiegare la C.M.B. Una volta stabilita la veridicità della teoria del Big Bang, resta da capire cosa sia il Big-Bang. La fisica che indaga questa fase è chiamata Gravità Quantistica (Quantum 16 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Gravity). Non avendo, per adesso, una teoria universalmente accettata e consolidata di Gravità Quantistica, ci sono diverse proposte (Teoria delle Stringhe, Loop Quantum Gravity, Geometria non-commutativa) ma nessuna sembra convincente (anche perché non abbiamo nessun segnale dall’Universo primordiale prima della barriera della C.M.B.). Ciononostante il Big Bang continua a creare inquietudini nella “coscienza” di molti scienziati perché sembra un argomento simile alla “creatio ex nihilo”, e, inoltre, sembra invocare la necessità di un creatore che dia origine all’universo. Il famoso cosmologo Stephen Hawking ha affermato, in diverse occasioni, che con James Hartle sia riuscito a trovare una soluzione di Quantum Gravity che eviti il problema dell’inizio e della creazione. La soluzione di Quantum Gravity è nota come soluzione di Hartle-Hawking. Essa afferma che l’Universo si trova in una fase originaria, detta “euclidea”, in cui il tempo è immaginario e trattabile come tutte le altre coordinate spaziali. In questa fase, di fatto, è come se non ci fosse il “tempo”. Successivamente si ha una “transizione” ad una fase in cui il tempo inizia ed è quello (Lorentziano) che conosciamo noi (tempo reale). Tuttavia la prima fase si comporta come il “vuoto” di una teoria fisica (un vuoto instabile, comunque), che Hawking accosta al niente (filosofico) “originario” (si noti tuttavia che il vuoto fisico, come egli lo intende, non è il nulla filosofico della “creatio ex nihilo”). Hawking crede che il tempo immaginario della fase di vuoto dell’universo, rappresenti l’atemporalità della teologia in cui c’era il “nulla”. Inoltre in questa fase non vi è nessuna singolarità iniziale (questa fase, per analogia, è come una superficie semisferica bidimensionale che non ha nessuna singolarità, nessun punto privilegiato per intendersi, a differenza di una superficie conica) e quindi non vi è un inizio (nessun Big-Bang). Il sistema passa dal nulla atemporale all’Universo, che conosciamo noi, per effetto-tunnel quantistico (cioè una transizione possibile solo a livello quantistico). Tuttavia questa non è “La soluzione” della Quantum Gravity, come molti autori ribadiscono. E’ un modello semi-classico ottenuto tramite molte assunzioni e approssimazioni, che non spiega nemmeno, in maniera dettagliata, come lo Spazio-Tempo si comporti nelle vicinanze della singolarità. Lo studio della CMB ha fatto emergere un altro problema da risolvere: il problema dell’orizzonte. Se l’universo si è espanso come fa adesso, allora non si spiega che tutta la radiazione cosmica sia ad una temperatura costante di 2.7 K. Ci sarebbero dovute essere delle zone, sulla superficie della CMB, non in “connessione causale”. Questo problema fu risolto, negli anni ottanta, con il meccanismo dell’inflazione, che risolve il problema dell’orizzonte con una super-espansione originaria esponenziale che a un certo punto terminò. La super-espansione è causata dalla costante cosmologica introdotta da Einstein, che origina una sorta di gravità repulsiva. Questo è lo stesso meccanismo che oggi spiega la recente osservazione che il nostro universo accelera nella sua espansione. L’inflazione spiega accuratamente l’uniformità della temperatura della CMB. Inoltre l’inflazione spiega molto bene i dati cosmologici attuali che mostrano un universo praticamente piatto e infinito. Ma dato che la velocità di propagazione della luce è finita, un universo infinito significa che in esso ci sono già regioni che non possono comunicare fra di loro. Quindi queste zone (dette non in connessione causale) si comportano come Universi indipendenti e l’unione di tutti questi Universi è chiamato il “Multiverso”. Il concetto esotico di Multiverso emerge anche in teorie più complicate come l’Inflazione Caotica e la Teoria delle Stringhe. 17 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Questo panorama sulla comprensione attuale dell’Universo su larga e piccola scala è lungi dall’essere completo. Rimane sempre aperta la partita su una comprensione più profonda dei meccanismi attuali della cosmologia (cosa è effettivamente l’inflazione per esempio) e della Gravità Quantistica (che cosa è il Big-Bang?). Come si evince, questi argomenti di frontiera o di “periferia” di cosmologia classica e quantistica tendono sempre a intersecarsi con questioni filosofiche e teologiche che sempre, anche se latentemente, evidenziano l’eterno anelito dell’uomo a dare rispose sull’esistenza del mondo e sul destino dell’uomo che lo abita. LH 95: formazione stellare nella Grande Nube di Magellano, nella costellazione del Dorado. 18 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 6: Esiste il caso?, Sigfrido Boffi Si possono distinguere due nozioni di caso, quella matematica e quella fisica. Secondo Kolmogorov una sequenza di numeri è casuale quando non esiste un processo computabile che la può riprodurre e che sia meno complesso di essa. Il concetto di caso in fisica sembra essere complementare del concetto di determinismo. Possiamo dire che una storia è casuale quando non può essere modello di nessuna teoria deterministica. Siccome può restare il sospetto che sia nostra l’incapacità di trovare la teoria deterministica di una data storia, forse è più corretto dire che una storia è casuale quando non solo non esiste una teoria deterministica che la comprenda, ma abbiamo anche buone ragioni per ritenere che non ne esisteranno mai. Mutationem motus proportionalem esse vi motrici impressae et fieri secundum lineam rectam qua vis illa imprimitur. L’enunciato della seconda legge della meccanica di Newton, nel dichiarare che la variazione di velocità di un corpo risulta proporzionale alla forza impressa e avviene nella sua stessa direzione, è all’origine del rapporto di causa ed effetto tipico del determinismo, uno dei pilastri dello statuto della fisica classica affermatosi da Galilei fino agli inizi del XX secolo. Il principio che ogni effetto abbia una causa ha animato tutta la ricerca scientifica moderna nel tentativo di raggiungere una comprensione oggettiva dei fenomeni naturali dandone una spiegazione in termini di proprietà della realtà che si manifesta nei fenomeni stessi. In questo spirito rientra la famosa frase di Laplace tratta dal suo Essai philosophique sur les probabilités del 1814: “Un’Intelligenza che conoscesse, a un dato istante, tutte le forze da cui è animata la natura e la disposizione di tutti gli enti che la compongono e che inoltre fosse sufficientemente profonda da sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe in una stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e degli atomi più leggeri; per essa nulla sarebbe incerto e ai suoi occhi sarebbero presenti sia il futuro che il passato.” Spesso però si omette di citare quello che lo stesso Laplace sottolinea poche pagine dopo: “Ma l’ignoranza delle diverse cause che concorrono alla formazione degli eventi come pure la loro complessità, insieme con l’imperfezione dell’analisi, ci impediscono di conseguire la stessa certezza rispetto alla grande maggioranza dei fenomeni. Vi sono quindi cose che per noi sono incerte, cose più o meno probabili, e noi cerchiamo di rimediare all’impossibilità di conoscerle determinando i loro diversi gradi di verosimiglianza. Accade così che alla debolezza della mente umana si debba una delle più fini e ingegnose fra le teorie matematiche, la scienza del caso o della probabilità.” E in realtà, come riprende Poincaré in Science et méthode nel 1908, in talune circostanze “una causa piccolissima che sfugge alla nostra attenzione determina un effetto considerevole che non possiamo non vedere; allora diciamo che quell’effetto è dovuto al caso. Se conoscessimo esattamente le leggi della natura e la situazione dell’universo all’istante iniziale, potremmo predire esattamente la situazione dell’universo a un istante successivo. Ma quand’anche le leggi naturali non avessero nessun segreto per noi, potremmo conoscere la situazione iniziale pur sempre solo approssimativamente. Se ciò ci permettesse di predire la situazione successiva con la stessa approssimazione, ciò è tutto quello che richiediamo, e diremmo che il fenomeno è stato predetto, che è governato da leggi. Ma non sempre è così; può succedere che piccole differenze nelle condizioni iniziali ne producano di grandissime nei fenomeni finali. Un piccolo errore nelle prime produrrà un 19 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO errore enorme nei secondi. La predizione diventa impossibile e noi abbiamo il fenomeno casuale.” L’impossibilità pratica di definire con precisione le condizioni iniziali, unita alle difficoltà di risolvere analiticamente le equazioni del moto di un sistema costituito da molte particelle, rende imprevedibile l’evoluzione su tempi lunghi: diciamo allora che il fenomeno diventa caotico e il risultato delle nostre osservazioni appare casuale. Dunque il caso si accompagna all’impredicibilità e l’impredicibilità può scaturire anche quando la storia, cioè l’evoluzione temporale del fenomeno, è governata dalle leggi deterministiche della meccanica newtoniana. Il moto dei pianeti appare molto regolare nella sua periodicità: nessun moto appare più stabile di quello delle stelle del cielo. Spesso le eventuali irregolarità osservate possono essere per lo più imputate a perturbazioni dovute a effetti trascurati nella trattazione teorica che di regola hanno effetto su una scala temporale secolare. Tuttavia, come già Poincaré ha dimostrato nel 1892 nella sua Méchanique céleste, il problema di prevedere esattamente la posizione di un satellite, che si muove in presenza del suo pianeta e del Sole sulla base delle equazioni della meccanica newtoniana, non è risolubile per via analitica e quindi può portare a situazioni impredicibili. In realtà, esistono aree di moto caotico nel sistema solare, come per esempio la regione percorsa dagli asteroidi tra Marte e Giove, responsabile della caduta imprevedibile di meteoriti verso la Terra. […] Un caso esemplare di impredicibilità è quello di Iperione, un satellite di Saturno dalla forma molto irregolare, quasi una palla da rugby […]. Iperione ruota intorno a Saturno in poco più di 21 giorni con un’eccentricità dell’orbita molto accentuata e con un’orientazione del proprio asse di rotazione molto irregolare: al passaggio della sonda spaziale Voyager 1 nel novembre 1980 la precisione di dieci cifre significative nella misura dell’orientazione del suo asse di rotazione non sarebbe stata sufficiente per prevedere l’orientazione al tempo del passaggio della sonda Voyager 2 nell’agosto 1981 nove mesi più tardi. Fin qui il caso emerge come risultato di difficoltà di natura conoscitiva dovuta alla nostra incapacità tecnica o alla nostra ignoranza dei dati necessari per recuperare una descrizione deterministica quale viene ipotizzata immaginando che nel microscopico l’interazione tra le particelle di ogni corpo sia in ultima analisi conoscibile e riconducibile a forze (conservative) da includere nella trattazione teorica della fisica classica. La meccanica statistica, fondata sul concetto di probabilità e sull’idea di un comportamento medio delle particelle di un insieme composito, è solo un elegante e geniale modo di affrontare il problema che non si saprebbe risolvere esattamente da un punto di vista microscopico. Il caso dunque è sinonimo di impredicibilità, un’impredicibilità dovuta a limitazioni pratiche della nostra indagine, ma sopravvive la convinzione che in ultima analisi nel microscopico debbano valere leggi deterministiche. Accanto alle difficoltà epistemiche esistono però anche difficoltà di principio che solo nel XX secolo sono state messe in luce con la fisica quantistica. Questa ha prodotto un drammatico riorientamento di prospettiva di fronte ai fenomeni naturali. Il compito dello scienziato consiste nello scoprire le connessioni tra le singole osservazioni e stabilire un quadro concettuale coerente che permetta di dare una soddisfacente descrizione dei fenomeni stessi: “la fisica deve descrivere solo il complesso delle osservazioni”, dice 20 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Heisenberg nel suo fondamentale lavoro in cui scopre il principio di indeterminazione1. Il fenomeno che interessa ora il fisico non è più quello oggettivo della fisica classica, è strettamente legato al processo di osservazione. Se si vuole conoscere la posizione di una particella, la si deve osservare con uno specifico strumento (p.es. un microscopio) e nel momento in cui la si osserva occorre eseguire una serie di operazioni che coinvolgono vari processi fisici. Ciò comporta che, all’interno della sensibilità dello strumento di misura della posizione, questa possa essere determinata solo con una contemporanea impredicibile variazione della quantità di moto che non permette più di sapere in quale direzione si possa muovere la particella in un istante successivo. Viceversa, una misurazione di quantità di moto fa perdere conoscenza della sua localizzazione. Il fenomeno non è il dispiegarsi nel tempo di una realtà oggettiva, indipendente da chi l’osserva; diventa piuttosto l’incontro tra l’osservatore e la realtà osservata. Alla realtà oggettiva si sostituisce la realtà percepita e le leggi della meccanica newtoniana diventano inapplicabili. “Nella formulazione del principio di causalità: ‘se conoscessimo in modo preciso il presente, possiamo prevedere il futuro’, non è falsa la conclusione, bensì la premessa. In linea di principio – ribadisce Heisenberg – noi non possiamo conoscere il presente in tutti i suoi dettagli… Siccome tutti gli esperimenti sono soggetti alle leggi della meccanica quantistica, … mediante la meccanica quantistica viene stabilita definitivamente la non validità del principio di causalità.” Se cade il principio di causalità, si afferma la casualità. Prima dell’osservazione non è dato conoscere la posizione della particella se non per inferenza sulla base di precedenti conoscenze. Ma non è affatto garantito che una predizione in questo caso venga corroborata dalla successiva misurazione. Anzi la misurazione, determinando un preciso risultato tra tutti quelli a priori possibili, ha l’effetto di una scelta irreversibile, improvvisa e del tutto imprevedibile. Questo è il caso per esempio di elettroni che attraversano uno schermo in cui sono praticate due piccole fenditure e che poi vengono raccolti su uno schermo finale. Lo schema, che ricalca quello di Young proposto per le onde nel 1802, ha avuto una prima realizzazione pratica nell’esperimento svolto dal gruppo giapponese di A. Tonomura […] con un fascio di elettroni di così bassa intensità da permettere in pratica di osservare l’arrivo del singolo elettrone sullo schermo finale. Ogni elettrone percorre la stessa storia dalla sorgente allo schermo con le fenditure, ma poi raggiunge una posizione assolutamente imprevedibile. Solo l’osservazione permette di conoscere questa posizione. “Ogni osservazione è una scelta all’interno di una completezza di possibilità, con restrizione di possibilità future,” diceva ancora Heisenberg nel suo lavoro. L’evento singolo non è prevedibile a causa del principio di indeterminazione: se si pensa di localizzare l’elettrone immaginando che sia passato da una delle due fenditure, si perde cognizione della sua quantità di moto e non si può più prevedere in quale punto raggiungerà lo schermo finale. Ma quando si raccoglie un numero via via crescente di elettroni si vanno formando sempre più nitidamente delle regioni in cui questi più si addensano e altre che quasi non vengono mai raggiunte: sono le tipiche frange di interferenza di un comportamento ondulatorio degli elettroni che attraversano le due fenditure. Il fenomeno dunque non è l’evento del singolo elettrone che arriva sullo schermo finale, ma è il comportamento ondulatorio degli elettroni messo in evidenza dal dispositivo sperimentale di osservazione. Dal caso emerge la regolarità statistica che la meccanica quantistica spiega perfettamente 1 W. K. Heisenberg, Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik, Zeitschrift für Physik 43 (1927) 172-198) 21 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO ricorrendo all’interpretazione statistica della funzione d’onda che descrive il moto degli elettroni. “Dato che ora il carattere statistico della teoria quantistica è così strettamente collegato con l’imprecisione di tutte le osservazioni, si potrebbe essere indotti a supporre che dietro al mondo statistico percepito si nasconda un mondo ‘reale’ in cui valga il principio di causalità.” Questo dubbio, sollevato da Heisenberg, ma anche da de Broglie e ripreso nel 1935 da Einstein con i suoi collaboratori Podolski e Rosen, suggerisce un’incompletezza della descrizione quantistica che, basata sul principio di indeterminazione, non avrebbe accesso a variabili che agiscono a un livello più profondo restandole nascoste e permettendo di recuperare il determinismo della fisica classica. Il dubbio è stato fugato da John Bell nel 1964 con le sue famose disuguaglianze che, se violate, dimostrerebbero l’inesistenza di tali variabili nascoste. E la verifica di tale violazione ottenuta agli inizi degli anni ’80 dal gruppo di Alain Aspect indica che la meccanica quantistica deve per il momento ritenersi completa nella descrizione dei fenomeni, limitandosi a rendere conto di una realtà percepita e rinunciando ad affermazioni sulla natura ‘vera’ della realtà che soggiace ai fenomeni stessi. Se questa realtà sia casuale o deterministica non rientra nel tipo di risposte che la fisica moderna può dare. 22 NGC 5584: galassia a spirale nella costellazione della Vergine. FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 7: Scienza e società - La responsabilità sociale dello scienziato, Nicola Cabibbo Da Les enjeux de la connaissance scientifique, Pontifical Academy of Sciences, Extra series 11, Città del Vaticano 2001 Il secolo appena trascorso ha visto una enorme espansione delle conoscenze scientifiche e delle capacità tecnologiche dell’umanità. Questi progressi hanno modificato in modo sostanziale la nostra visione del mondo e della natura: - In fisica le nostre conoscenze sono state rivoluzionate dall’avvento della relatività, della meccanica quantistica, dalle scoperte sul funzionamento dell’atomo e del nucleo atomico, dalle teorie unificate delle forze elementari. – Le nostre concezioni cosmologiche sono state rivoluzionate dalla teoria di Einstein della gravità, dalla scoperta della sorgente energetica del Sole e delle stelle, dalla scoperta dell’espansione dell’universo e del Big-Bang. – Le conoscenze sulla natura della materia vivente sono state rivoluzionate dalla scoperta delle basi molecolari della eredità genetica, con meccanismi sostanzialmente uniformi in tutti gli esseri viventi, e questo ha permesso di porre su solide basi le teorie darwiniane dell’evoluzione. Le nuove conoscenze hanno portato nuove capacità tecnologiche ed hanno profondamente modificato il nostro modo di vivere, di lavorare, di curarci, di comunicare e di muoverci. Le nuove capacità tecnologiche hanno cambiato, e stanno cambiando, la struttura dei rapporti sociali, della società stessa. Nel giudicare l’entità delle modificazioni teniamo presente l’inerzia della struttura sociale, che deriva dalla resistenza dell’adulto ad accettare il nuovo. Dato però che questa resistenza trova un orizzonte ineluttabile nell’alternarsi delle generazioni, possiamo attenderci che la vera dimensione dell’impatto di tecnologie quali quella di Internet o quella delle manipolazioni genetiche, che già oggi appare imponente, si manifesterà pienamente solo nei prossimi decenni. Per convincersi di questo fatto, basta pensare ai cambiamenti sociali derivati dalla diffusione dell’automobile privata, una innovazione che data dalla fine del secolo diciannovesimo, ma che solo nella seconda metà del secolo scorso ha dispiegato pienamente i suoi effetti sulla struttura sociale. Le modificazioni della struttura sociale prodotte dal progresso tecnologico hanno molti aspetti positivi, ma pongono non poche preoccupazioni, ed è sul difficile bilancio tra aspetti positivi e negativi delle nuove tecnologie che si gioca il problema della responsabilità sociale dello scienziato e, come vedremo, non solo dello scienziato. In molti casi le innovazioni tecnologiche si traducono in un ampliamento delle possibilità offerte al pieno dispiegarsi della vita umana in tutti i suoi aspetti: innovazioni in medicina – siamo appena agli inizi dello sfruttamento delle possibilità offerte dalle nuove conoscenze sulla genetica molecolare, innovazioni nei trasporti – che sembrano già avere raggiunto una certa maturità, innovazioni nei mezzi di comunicazione, che sono in rigoglioso sviluppo. Non sembra necessario dilungarsi oltre sugli aspetti positivi delle nuove tecnologie e su quelli ancora maggiori che possiamo intravedere: essi sono dinanzi ai nostri occhi. Esistono però aspetti negativi, o che destano preoccupazione. Li possiamo rozzamente dividere in quattro categorie: – Problemi etici. 23 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO – Problemi ambientali e di sostenibilità. – I problemi posti dall’applicazione militare delle nuove tecnologie. – Problemi di giustizia. Al di là dei problemi etici interni alla professione del ricercatore, legati ad esempio alla verità ed onestà delle comunicazioni scientifiche o al rispetto dei collaboratori e del loro contributo, ce ne sono alcuni di portata più generale, ed a questi dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. Le tecnologie emergenti comportano gravi questioni etiche nella sfera della integrità e del rispetto della persona umana. Diamo due esempi: le nuove tecnologie della comunicazione rappresentano una grave minaccia al diritto dell’individuo alla riservatezza. La telefonia cellulare ci permette di comunicare da qualsiasi luogo, ma allo stesso tempo lascia una traccia dei nostri spostamenti nel corso della giornata. Analoghi problemi si pongono agli utenti della posta elettronica o delle carte di credito. Nel loro insieme queste possibili violazioni della privacy toccano o sono destinate a toccare la quasi totalità della popolazione. Anche le nuove tecnologie di analisi e manipolazione della materia vivente aprono grandi questioni etiche. Basti pensare alle possibilità, offerte dalla decrittazione del genoma umano, di identificare una predisposizione a particolari malattie, e questo sia sull’adulto, che potrà vedersi negare una assunzione o una assicurazione, sia sul nascituro, con le conseguenze immaginabili. Alcuni di questi problemi sono stati discussi in un incontro sugli aspetti legali del Progetto Genoma, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze nel 1993.1 Lo sviluppo delle attività umane è tale che l’intero pianeta, con limitate eccezioni quali la Groenlandia e l’Antartide, è stato modificato nei suoi equilibri. Questo impone gravi responsabilità all’umanità nel suo complesso. La sopravvivenza della terra dipende ormai dalle nostre scelte, e con essa la sopravvivenza della specie umana. Si fa sempre più evidente la necessità di assicurare la sostenibilità nel tempo dell’utilizzo delle risorse che la terra fornisce. Non è questo il luogo per analizzare la lunga lista dei problemi ambientali, che toccano tutti gli aspetti dei meccanismi di equilibrio del pianeta, dalla atmosfera (buco dell’ozono, effetto serra e possibili modificazioni climatiche), agli oceani (inquinamento, minaccia di una crescita del livello del mare), alla biosfera (grave decrescita della biodiversità). Alcune delle nuove tecnologie potrebbero avere una influenza positiva; ad esempio la facilità di comunicazione potrebbe ridurre la necessità di spostamenti fisici. Al contrario le tecnologie di manipolazione della materia vivente possono aggravare la crisi della biodiversità, tramite l’introduzione di specie vegetali od animali standardizzate a detrimento della varietà di specie oggi utilizzate. Alcuni di questi problemi sono stati toccati nella settimana di studio sul problema del cibo nei paesi in via di sviluppo, tenuta nella Pontificia Accademia della Scienze nel 1998. È chiaro tuttavia che le maggiori minacce all’ambiente derivano dalle tecnologie ‘pesanti’, quali energia, trasporti e produzione di cibo, il cui impatto, a parità di scelte tecnologiche, è direttamente proporzionale alla dimensione della popolazione umana e del suo livello di benessere materiale. È quindi importante che tutti gli sforzi vengano fatti per diminuire l’impatto ambientale di queste attività mediante lo sviluppo di tecnologie più sostenibili di quelle odierne. Il problema delle applicazioni militari della tecnologia è gravissimo: gran parte degli investimenti in tecnologia dei paesi in via di sviluppo è destinato a tecnologie militari, e le nuove tecnologie creano nuove preoccupazioni sul piano umanitario, ad esempio la possibilità di perdita della vista che deriva dall’uso di armi laser. Ricordiamo infine l’esistenza di gravi problemi di giustizia distributiva. Molti paesi sono oggi tagliati fuori dallo sviluppo della scienza e della 24 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO tecnologia, una situazione recentemente denunciata da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo dei lavoratori. Il quadro non è interamente negativo: lo sviluppo delle comunicazioni ha di molto diminuito il costo della partecipazione allo scambio di informazioni scientifiche. Questo ha permesso a paesi come l’India, dotati di un buon livello di istruzione tecnica, di sviluppare una fiorente industria del software. I costi, benché ridotti, rimangono tuttavia troppo alti per i paesi più poveri, come quelli africani, che avrebbero molto bisogno di sviluppare il proprio livello di istruzione e di partecipazione alla ricerca. In questo quadro con molte luci e molte ombre, gli scienziati assumono particolari responsabilità, in quanto collettivamente depositari delle conoscenze scientifiche che permettono di valutare tempestivamente i problemi emergenti sia a livello etico che a livello ambientale, e di contribuire alla loro soluzione. Ma a questi problemi devono essere attenti. Nella enciclica Fides et Ratio, Papa Woytila rivolge un pressante invito agli scienziati: «a continuare i propri sforzi senza mai abbandonare l’orizzonte sapienziale in cui i progressi della scienza e della tecnologia siano uniti a quei valori etici e filosofici che sono il marchio distintivo ed indelebile della persona umana». Con queste parole ci potremmo fermare se non fosse che i problemi cui abbiamo accennato, nella loro dimensione planetaria, non possono essere affrontati dai soli scienziati. Gli scienziati sono sì depositari delle conoscenze tecnico-scientifiche necessarie, ma il loro potere è minimo. Gli scienziati non sono ‘decisori’. Quindi, certamente, lo scienziato deve tenere presenti le conseguenze del suo operare, ma questo non basta se le sue preoccupazioni non trovano attenzione da parte di chi, sia egli un uomo di governo, o un leader dell’industria, ha i mezzi per agire. La storia recente mostra che spesso gli scienziati hanno svolto il loro compito, ad esempio nel mettere in guardia i governi sui rischi della corsa agli armamenti nucleari, o più recentemente con l’allarme sulle alterazioni climatiche e sulle minacce alla biodiversità. La loro voce però è raramente ascoltata. Sorge qui una specifica responsabilità degli uomini di governo, che devono imparare a recepire, e se necessario a sollecitare la voce della scienza. Tutto questo richiede la creazione di canali di comunicazione tra il mondo della scienza e quello del governo, che per le loro caratteristiche possano essere considerati autorevoli ed affidabili. Questo ruolo non può essere garantito dalle grandi istituzioni di ricerca, quali il CNRS in Francia, o il CNR in Italia. Queste istituzioni, come altre similari nei due paesi, siano essi il CEA (Commissariat à l’Energie Atomique), o l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), non sono attrezzati per operare sull’orizzonte sapienziale, ma su precisi programmi di ricerca. Il ruolo di interfaccia dovrebbe allora essere demandato ad organismi che possano raccogliere e mobilitare il meglio della ricerca scientifica, mantenendosi in grado di fornire agli uomini di governo un supporto per quanto possibile imparziale. Questo ruolo sembrerebbe naturalmente dover ricadere sulle Accademie. Da questo punto di vista l’esperienza è molto differente nei vari paesi. Un esempio sicuramente positivo è quello offerto dalla National Academy of Science degli Stati Uniti, cui il governo spesso commissiona studi su argomenti rilevanti per gli interessi nazionali. La situazione è meno brillante in Italia, dove la prestigiosa Accademia dei Lincei è raramente ascoltata ed anche più raramente interpellata. Non conosco abbastanza la situazione francese per potere commentare sul ruolo che in quel paese ha la Académie des Sciences, ma forse i nostri colleghi d’oltralpe ci possono illuminare su questo punto. Desidero ricordare l’esempio della Pontificia Accademia delle Scienze. L’Accademia Pontificia è veramente internazionale e i suoi membri sono scelti sulla base della loro eccellenza scientifica senza 25 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO riferimento alla appartenenza alla Chiesa Cattolica. L’Accademia gode di un intenso colloquio con Il Santo Padre, da cui direttamente dipende, ed è spesso chiamata ad esprimere l’avviso del mondo della scienza, non solo su problemi di natura epistemologica, che sono di diretto interesse per il Magistero della Chiesa e per lo sviluppo del suo insegnamento, ma anche sui grandi problemi dell’umanità, sui quali il Sommo Pontefice fa spesso udire la sua voce autorevole. Vorrei conchiudere ricordando un episodio paradigmatico, riportato da Regis Ladous nella sua storia della Pontificia Accademia delle Scienze (Des Nobel au Vatican, éd. du Cerf, Paris 1994). Nel 1943, due anni prima di Hiroshima, Pio XII lanciò un autorevole allarme contro lo sviluppo degli armamenti nucleari. Questa denuncia fu resa possibile da uno dei primi membri della Pontificia Accademia delle Scienze, il luterano Max Planck, insignito del Premio Nobel per la scoperta dei quanti. Questo episodio dimostra quale potenziale possa avere una aperta collaborazione tra il mondo scientifico ed una grande autorità morale come quella del papato. Centaurus A (nota anche come NGC 5128): galassia peculiare nella costellazione del Centauro. 26 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 8: La lettera di Albert Einstein su Dio, quello Spirito che si rivela nel cosmo Dal sito www.uccronline.it - 7 ottobre 2012 Con la data del 3 gennaio 1954 venne indirizzata al filosofo Erik Gutkind, a Princeton. Si tratta di una lettera di Albert Einstein su Dio, che vale oggi 3 milioni di dollari. Uno dei tanti documenti in cui il Premio Nobel per la Fisica esprime il proprio punto di vista su Dio e sulla religione. In molte lettere e in molti articoli ha citato Dio come preoccupazione maggiore emersa non certo da una base religiosa personale - che non aveva -, ma dallo studio scientifico del cosmo, delle sue leggi, dell’ordine e dell’intelligenza che dietro a tutto questo inesorabilmente si rivela. «Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo come a un miracolo o a un eterno mistero?», domandava a Maurice Solovine nella lettera scritta nel 1956. «A priori, tutto sommato, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Ci si potrebbe attendere che il mondo si manifesti come soggetto alle leggi solo a condizione che noi operiamo un intervento ordinatore. Questo tipo di ordinamento sarebbe simile all’ordine alfabetico delle parole di una lingua. Al contrario, il tipo d’ordine che, per esempio, è stato creato dalla teoria della gravitazione di Newton è di carattere completamente diverso: anche se gli assiomi della teoria sono posti dall’uomo, il successo di una tale impresa presuppone un alto grado d’ordine nel mondo oggettivo, che non era affatto giustificato prevedere a priori. È qui che compare il sentimento del “miracoloso”, che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli». Einstein, nel caso si dovesse per forza etichettarlo, era certamente deista, ovvero affermava il cosiddetto “Dio degli scienziati”, l’Essere che per forza di cose ha creato e ordinato ma che poi si è tenuto in disparte. È il Dio a cui la sola ragione dell’uomo (come diceva Pio IX), può permettersi di approdare senza l’aiuto della fede, leggendo con intelligenza i segni della realtà. Diceva ancora il prestigioso scienziato: «La mia religiosità consiste in un’umile ammirazione di quello Spirito immensamente superiore che si rivela in quel poco che noi, con il nostro intelletto debole e transitorio, possiamo comprendere della realtà. Voglio sapere come Dio creò questo mondo. Voglio conoscere i suoi pensieri; in quanto al resto, sono solo dettagli. «La scienza», secondo lui, «contrariamente ad un’opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguire finalità teologiche, poiché deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perché la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sé altre scelte quando creò il mondo». É il riconoscimento evidente di un Dio che ha operato, che ha fatto determinate scelte, che ha pensato l’universo. Un Dio immobile però, disinteressato agli uomini. Tanto che Einstein parlava in modo molto crudo del Dio rivelato: «un’espressione e un prodotto della debolezza umana. La Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende per lo più infantili. Nessuna interpretazione, di nessun genere, può cambiare questo per me». Ma, sempre nello stesso documento, scriveva anche la famosa frase: «la scienza senza religione è zoppa e la religione senza scienza cieca». La presunta dicotomia tra scienza e fede è nata per lui da 27 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO «errori fatali». Il teologo Thomas Torrance, come riporta “Il Tempo”, è stato probabilmente il massimo esponente dello studio del pensiero religioso di Einstein ed è arrivato alla conclusione che il celebre fisico «coglieva la rivelazione di Dio nell’armonia e nella bellezza razionale dell’universo che suscitano un’intuitiva risposta non concettuale nella meraviglia, rispetto e umiltà associati alla scienza e all’arte». Max Jammer, rettore emerito della Bar Lan University di Gerusalemme ed ex-collega di Albert Einstein a Princeton, ha affermato invece che la concezione di Einstein della fisica e della religione erano profondamente legate, dato che, nella sua opinione, la natura esibiva tracce di Dio, un po’ come una “teologia naturale. Lo scrittore Friedrich Duerrenmatt disse invece: «Einstein parlava così spesso di Dio che quasi lo consideravo un teologo in incognito. Non credo che questi riferimenti a Dio possano essere considerati semplicemente dei modi di dire, perché Dio aveva per Einstein un profondo significato, piuttosto elusivo, di non scarsa importanza per la sua vita e la sua attività scientifica. Ciò era segno di uno stile profondo di vita e di pensiero: “Dio” non era un modo di pensare teologico ma piuttosto l’espressione di una “fede vissuta”». […] Che cosa non c’è stato in Albert Einstein? É mancato l’incontro cristiano, cioè il momento in cui - grazie ad un avvenimento preciso, per aiuto dello Spirito e per libertà personale, dice la Chiesa- l’uomo prende in seria considerazione il fatto che quel Dio così evidente, ma così lontano, si sia voluto rivelare agli uomini. Il più importante esponente dell’ateismo scientifico degli ultimi anni, Antony Flew, si è convertito nel 2004 arrivando ad intuire questo: «Certamente la figura carismatica di Gesù è così speciale che è sensato prendere in seria considerazione l’annuncio che lo riguarda. Se Dio si è davvero rivelato è plausibile che lo abbia fatto con quel volto». Einstein, per le circostanze della sua vita, non è invece arrivato fino a qui, ma tuttavia in una intervista del 1929 ha commentato: «Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita». 28 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 9: Il fisico Ugo Amaldi, amore per la scienza e amore per la fede Dal sito www.uccronline.it - 27 novembre 2012 Amaldi lavora presso il Cern di Ginevra dal 1960, e dal 1982 è docente presso l’Università di Milano, già direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, membro delle maggiori accademie scientifiche, è tra i maggiori studiosi delle particelle elementari. Il suo ultimo libro, appena pubblicato, si chiama “Sempre più veloci” (Zanichelli 2012). Intervistato per l’occasione da Avvenire, ha spiegato: «Le scienze studiano i fenomeni naturali e nei fatti non hanno nulla da dire alla fede. Però gli scienziati credenti e quelli che si pongono la domanda sulla fede sentono la necessità di integrare in maniera coerente la fede e la visione fisica del mondo. Così facendo devono affrontare questioni che si collocano alla frontiera fra alcune affermazioni del cristianesimo e ciò che loro sanno del mondo naturale. Difficoltà che talvolta possono essere illuminanti anche per coloro che non sono scienziati […]. D’altra parte non si può non restare meravigliati dalla complessità e dalla logica sottese alla maggior parte dei fenomeni naturali e questo è per uno scienziato credente un’apertura al trascendente». Quest’ultima riflessione ricorda quella di un altro celebre fisico italiano, il premio Nobel Carlo Rubbia, il quale pochi mesi fa ha affermato: «L’uomo di scienza non può non sentirsi umile, commosso ed affascinato di fronte a questo immenso atto creativo, così perfetto e così immenso e generato nella sua integralità a tempi così brevi dall’inizio dello spazio e del tempo […]. L’universo si è evoluto in maniera unitaria e coerente, come se fosse un unico tutto. Ricordiamo a questo proposito le parole della Genesi, dove si dice: ‘Dio pose le costellazioni nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona’». L’argomento si sposta poi su una questione originale, ovvero l’assenza della figura di Cristo nel dibattito tra scienza e fede, infatti «si preferisce parlare del Dio Creatore, del Dio che mantiene l’universo in essere e non si connette mai la figura del Cristo con le conoscenze degli scienziati, né queste vengono mai connesse con lo Spirito Santo che, in quanto scienza e sapienza sarebbe perfettamente a tema». Il motivo potrebbe risiedere, ha continuato Amaldi, «nel fatto che il rapporto personale che il credente ha con Cristo è completamente diverso dal rapporto impersonale che lo scienziato ha con i fenomeni naturali che studia. Viaggiano su piani diversi. Invece il Dio Creatore è strettamente connesso con la natura che è l’oggetto di studio dello scienziato». In un’altra intervista ha invece affermato: «[…] Penso che si possa integrare la razionalità scientifica con la fede che è poi quella che io chiamo la ragionevolezza sapienziale e trova le sue radici nei libri sacri, nell’esperienza di vita dei santi, nella Rivelazione. Sono due aspetti diversi del nostro stesso intelletto, che si coniugano con la ragione filosofica portandoci a guardare il mondo in modo unitario. In tal modo si può costruire una visione della realtà tale che il problema scienza-fede non si pone». 29 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 10: Il premio Nobel Charles Townes: «credo in Dio anche grazie alla scienza» Dal sito www.uccronline.it - 2 febbraio 2015 Il fisico americano Charles Townes, vincitore del premio Nobel nel 1964 per l’invenzione che portò alla realizzazione del laser, è stato uno dei pionieri nel campo dell’astronomia a infrarossi, insieme a un team di colleghi fu il primo a scoprire molecole complesse nello spazio ed è accreditato per aver determinato la massa di un buco nero supermassivo al centro della Via Lattea. Il prof. Townes, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, è stato sempre molto interessato alla metafisica, tanto da affermare: «Credo fermamente nell’esistenza di Dio, basandomi sull’intuizione, sulle osservazioni, sulla logica, e anche sulla conoscenza scientifica». Nessuna dicotomia dunque: la sua stessa persona impegnata nella fede cristiana e nella carriera scientifica, coronata dalla vincita del premio Nobel, dimostra che non vi può essere alcun conflitto. Ricevendo nel 2005 il Premio Templeton rispose al suo amico (ateo) fisico Steve Weinberg, noto per la frase: “Quanto più l’universo diventa comprensibile più appare inutile”:«Devo dirvi innanzitutto che Steve Weinberg mi ha fatto i complimenti per questo premio. Noi dobbiamo prendere le decisioni in base ad un giudizio, certo, ma abbiamo anche qualche prova per rispondere. Credo, ad esempio, che il riconoscimento che questo universo è così appositamente progettato sia una di queste. Questo è un universo molto particolare e dev’esserci stato un fine». […] In un’altra occasione scrisse: «la scienza, con i suoi esperimenti e la logica, cerca di capire l’ordine o la struttura dell’universo. La religione, con la sua ispirazione e riflessione teologica, cerca di capire lo scopo o significato dell’universo. Queste due strade sono correlate. Io sono un fisico. Anch’io mi considero un cristiano. Mentre cerco di capire la natura del nostro universo in questi due modi di pensare, vedo molti elementi comuni tra scienza e religione. Sembra logico che a lungo i due potranno anche convergere.» Come spesso ha ripetuto uno dei più noti fisici italiani, Antonino Zichichi, la stessa scienza avanza e si basa su un atto di fede: «La religione, con la sua riflessione teologica, si basa sulla fede. Ma anche la scienza si basa sulla fede», scrisse ancora C. Townes. «Come? Per il successo scientifico dobbiamo avere fede che l’universo sia governato da leggi affidabili e, inoltre, che queste leggi possano essere scoperte dall’indagine umana. La logica della ricerca umana è affidabile solo se la natura è di per sé logica. La scienza funziona attraverso la fede nella logica umana, che può nel lungo periodo comprendere le leggi della natura. Questa è la fede della ragione […]. Noi scienziati lavoriamo sulla base di un assunto fondamentale per quanto riguarda la ragione nella natura e la ragione nella mente umana, un presupposto che si svolge come un principio cardine della fede. Tuttavia, questa fede è così automatica e generalmente accettata che difficilmente la riconosciamo come una base essenziale per la scienza.» Quello del celebre fisico non era il Dio lontano e indifferente di Albert Einstein e dei deisti, ma l’Uomo incarnatosi 2000 anni fa: «Come una persona religiosa, sento fortemente la presenza e le azioni di un Essere ben al di là di me stesso, eppure sempre personale e vicino.» 30 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo 11: Perché torna la domanda su Dio. Così la fisica spiega l’inspiegabile origine dell’universo, Umberto Minopoli Dal sito www.ilfoglio.it – 29 giugno 2015 Il paradosso di Pasteur: un po’ di scienza allontana da Dio, molta riconduce a lui. Tre secoli di modelli cosmologici, mai definitivi. L’ultimo, il neoateista, basato su un’ipotesi che finisce per essere più metafisica di quella creazionista. “Un po’ di scienza allontana da Dio ma molta scienza riconduce a Lui”. Louis Pasteur, il padre della microbiologia, è stato il primo a formulare questa paradossale conclusione. Applicata alla cosmologia, lo studio delle origini e del destino dell’universo, ha la forza di una profezia verificata: la domanda su Dio è ridiventata una controversia nella cosmologia contemporanea, dopo esserne stata espulsa per quasi due secoli. Al culmine di un avanzamento esponenziale delle conoscenze sul cosmo nella seconda metà del Novecento, la scienza è tentata da due suggestioni. La prima è inquietata dal paradossale contrasto tra l’immensa progressione delle conoscenze dell’ultima metà del secolo e la portata delle domande inevase e irrisolte sull’universo: cosa è stato veramente il Big Bang? Perché riusciamo a spiegarci solo il quattro per cento della materia che vediamo? Come è iniziata veramente la vita cellulare? Questa parte della scienza non se la sente ancora, dinanzi a tanta incertezza, di dichiarare inammissibile scientificamente l’ipotesi di disegno intelligente, l’ipotesi di Dio. “Molta scienza” ci riporta a domande fondamentali e senza risposta. Dio non è escluso. Ma c’è una seconda suggestione, opposta, che ritiene invece che l’accumulo di conoscenza cosmologica degli ultimi settant’anni consenta finalmente all’umanità di dichiarare chiuse le domande su Dio. Ormai sappiamo quanto basta, ha scritto Stephen Hawking: gli interrogativi fondamentali della vita hanno risposte e noi siamo vicini alla verità sul Grande disegno: non c’è un disegnatore! Su questa convinzione è nata una cosmologia che ha avuto un successo straordinario nella letteratura divulgativa, con i bellissimi libri di Hawking, Lawrence Krauss, Brian Greene, Richard Dawkins e altri, dichiaratamente neoateisti, come li definisce Amir Aczel, matematico, fisico e impareggiabile divulgatore, nel suo libro “Why Science Does Not Disprove God”. Perché “neo”? Perché la negazione di Dio, che questa cosmologia intende dichiarare, non fa leva sui tradizionali attrezzi dell’agnosticismo: trappole delle prove ontologiche, dubbi razionali, ingenuità del letteralismo biblico: Insomma tutto l’armamentario che tanto piace al nostro professor Odifreddi. La cosmologia neoateista ritiene di disporre, addirittura, delle prove scientifiche dell’inesistenza di Dio e di essere vicina al Graal di una Teoria del Tutto (Hawking). È davvero così? Esistono davvero argomenti scientifici che abilitino la pretesa neoateista? Le sue asserzioni in larghissima parte non sono sottoponibili alla verifica della prova e dell’osservazione, Anzi. Vedremo come la sua pretesa finisce addirittura, per gli argomenti che adduce, per apparire più metafisica delle ipotesi teologiche che intende combattere, per dirla con Alex Vilenkin, fisico russo e uno dei padri della cosmologia quantistica. 31 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Le Galassie Antenne (note anche come NGC 4038/4039 e C 60/61): due galassie spirali interagenti nella costellazione del Corvo. Gli ultimi tre secoli potrebbero essere descritti, in termini di modelli cosmologici, come la progressiva liberazione dal dominio della magia e del racconto mitologico, sulla nascita e il funzionamento del mondo, per approdare a una cosmologia compiutamente scientifica. Un superficiale sunto della storia moderna della cosmologia, vista dal lato del rapporto con la religione, ci darebbe tre modelli prevalenti e in successione tra loro. Con la fine della spiegazione tolemaica e con le scoperte di Keplero, Newton e Galilei, il primo modello, nel Sei-Settecento, è la meravigliosa architettura barocca dell’universo meccanismo, del cosmo orologio. Regolato dalla legge universale della gravitazione fantasmatica di Newton, il cosmo è un ordine complicato e meccanico in cui un 32 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Grande orologiaio interviene per aggiustarne i movimenti, lubrificarne i meccanismi e correggerne gli ingranaggi. La magia dei miti dell’origine e il rigido schema tolemaico si trasfigurano nel cosmo regolato e ordinato in cui la figura del Grande meccanico orologiaio tiene la giovane cosmologia copernicana saldamente ancorata alla presenza del divino. Con il secondo modello, la cosmologia dei Lumi, l’Orologiaio esce di scena e dalla trama del cosmo. Il divino precipita al rango delle spiegazioni antinomiche, metafisiche e contraddittorie denunciate nelle due “Critiche” di Immanuel Kant. L’interpretazione del filosofo di Königsberg dominerà fino a tutto l’Ottocento. E fisserà i paradigmi dominanti della cosmologia scientifica della modernità: oggetti e forze si muovono, sulla tela dello spazio e del tempo assoluti, governati unicamente da leggi deterministiche e dal causalismo meccanico di Newton. Il cosmo è decifrabile esclusivamente con prove, esperimenti e osservazioni tradotte nel linguaggio matematico. Nato da una “nebulosa primordiale”, intuisce Kant anticipando la scoperta dell’origine del sistema solare (tutto l’universo conosciuto del suo tempo), il cosmo illuminista si è evoluto nella figura dell’immenso e del sublime. Perfettamente comprensibile, per Kant, solo con i mezzi della scienza. Il resto è speculazione. Solo ciò che si può osservare si può descrivere. Solo ciò che è percepibile dai sensi è oggetto di scienza e pronunciabile nel linguaggio della scienza. Nessuno spazio per il divino, per ordini nascosti o finalità intenzionali: le domande ammissibili, continua Kant, sono quelle circoscritte alla descrizione di ciò che c’è nello spazio e nel tempo. E lì Dio non appare. Non è il suo territorio, afferma Kant. È pura antinomia e contraddizione, per Kant, cercare Dio nei fenomeni del cosmo. Dio è oltre. Cercarlo negli eventi fisici è nonsense. Dio non è mens insita omnibus come volevano Bruno e Spinoza. E non è dato dire, con i mezzi dell’indagine naturalista, se sia mens super omnia. Dal cosmo dei Lumi scompare lo spazio per ipotesi di atto creativo e di presenza del sacro. É lo scacco della teologia. Dio diventa oggetto opaco e precluso ai sensi: non si tocca, non si vede, non se ne avvertono profumi. È pura speculazione. Il suo territorio si restringe a quello della morale o delle scommesse di Pascal. L’ottimismo e l’autosufficienza della fisica dei Lumi motivano la straripante utopia del marchese di Laplace: “Se esistesse un intelletto umano superiore, che riuscisse a calcolare, con le attuali conoscenze della meccanica e della fisica, i moti e le direzioni di ogni corpo e di ogni forza che agisce nell’universo, sarebbe possibile spiegare passato, presente e futuro di ogni cosa”. Ecco una prima versione nella storia di un’agognata Teoria del Tutto. La cosmologia si laicizza. Diventa agnostica. É la giustapposizione kantiana e il definitivo divorzio tra scienza e fede, che segnerà una lunga pagina della modernità. La morale del tempo è plasticamente fissata nel famoso apologo del perplesso Bonaparte, che sfogliando la prima edizione della “Exposition du système du monde” (1796) di Pierre Simon marchese di Laplace, l’opera più importante sulla meccanica celeste dopo i “Principia Mathematica” di Newton, chiede all’autore: “Non capisco, cittadino, come mai non abbiate fatto cenno all’azione del Creatore”. E poi, per inciso: “Eppure essa spiega molte cose”. Cui Laplace replica sorpreso: “Cittadino Primo Console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi”. La storia ha immortalato la risposta di Laplace. Il paradosso sarà che il tempo (e più scienza) ridarà dignità all’inciso del Bonaparte. L’universo meccanicista, increato, deterministico e agnostico di Kant e Laplace evolverà nel modello del cosmo illuminista: infinito e statico, senza storia, meccanico, immoto nell’eternità. Bastevole a se stesso produce da sé, continuamente, la materia di cui ha bisogno. Questo modello di 33 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO universo resisterà fino agli anni Venti del XX secolo. Poi vacillerà. Il cosmo è veramente infinito, statico ed eterno? Sarebbe bastato prestare più attenzione a una strana ed enigmatica domanda che aveva turbato, fin dal Seicento, menti come quella di Keplero, di Halley e di altri. E che aveva la forma del quesito ingenuo di un bambino o del delirio di un innamorato: “Perché di notte il cielo è buio?”. Heinrich Wilhelm Olbers, medico tedesco e astronomo amatoriale, riprovò a formularla un anno prima della morte di Laplace: “Se l’universo fosse davvero infinito, statico ed eterno e visto che la luce ha velocità finita, quella delle stelle, di tutte le stelle, dovrebbe aver avuto tutto il tempo di raggiungerci. E allora perché, di notte, c’è il buio?”. Provate a smontare la logica stringente di un tale assunto. La spiegazione verrà un secolo dopo, negli anni Venti e Trenta del XX secolo, appunto. Un arruffato, confusionario e scapestrato impiegato di Berna aveva, letteralmente, spazzato via il cosmo meccanicista di Newton e ciò che di esso era passato nella cosmologia dei Lumi e nelle idee dell’Ottocento. Mettendo a soqquadro paradigmi e certezze del racconto cosmologico da Newton a Kant a Laplace. E sfidando il senso comune e le convinzioni più intuitive, popolari e radicate. Tutto era sottosopra nelle incredibili ma inoppugnabili affermazioni della relatività: lo spazio come tela e scenario assoluti, il tempo che scorre uguale per tutti, le cause che precedono gli effetti, la simultaneità degli eventi ecc. Eppure la prodigiosa mente di Einstein era inciampata in un problema imbarazzante. Causato da un residuo di conservatorismo culturale. E da un maldestro tentativo di soluzione. Il mondo fantastico ma più reale e aderente alla realtà della relatività, ristretta e generale, era stupendamente raccontato da Einstein in un gruppo di equazioni tormentate, eleganti, ricche di fattori “misteriosi”: spazi curvi, ruolo della luce, nuove versioni del fattore tempo, una geometria non euclidea, e una matematica non lineare. Una meraviglia, complessa ma elegante, che spiegava il cosmo assai meglio di quanto non facesse la scarnificata, povera e lineare matematica di Newton. Eppure le equazioni contenevano un baco. Avevano un problema: si sbilanciavano, portavano a risultati impossibili. In quelle equazioni l’universo non stava fermo. Rischiava di implodere o collassare. Non era statico e stabile come i moderni, Einstein compreso, pensavano che fosse. Prevalse un atto conservatore, insieme ingenuo e maldestro, di Einstein: la sua “più grande stupidaggine” come lui stesso la definirà. Nel tentativo di arrestare quelle equazioni e quell’universo che non stava fermo, che tendeva al collasso o evaporava negli abissi della morte termica, Einstein ricorse a una trovata, una soluzione ad hoc delle equazioni: la “costante cosmologica”, la chiamò. Aggiunse un numero alle sue formule. Un semplice numero: inspiegato, ineffabile, venuto dal nulla ma con le quantità giuste per stabilizzare l’universo. Inserito nelle equazioni della relatività generale esso consentiva ai risultati matematici di consegnarci, di nuovo, l’universo statico e senza tempo della credenza illuminista. Il grande innovatore pensò, così, di riconciliarsi col tempo e con la logica. Ma era solo un trucco. E neanche elegante. Infatti scomparirà. Grazie a una scoperta, quella forse più importante degli ultimi trecento anni: l’universo si espande. Edwin Hubble, l’astronomo americano che lo scoprì, dette il colpo mortale a una convinzione plurisecolare: l’immobilità del cosmo. A un tasso costante e persino matematico, ogni attimo le galassie si allontanano le une dalle altre. Tra loro si crea sempre nuovo spazio. Il cosmo non è statico. Inesorabile. Olbers aveva, finalmente, una spiegazione. Non c’era paradosso: il cielo di notte è buio perché le galassie si allontanano. E la luce delle stelle non fa in tempo a raggiungerci. Fu un prete cattolico, astrofisico belga, Georges Lemaître, a intuire la sconvolgente portata della 34 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO scoperta di Hubble. Egli ragionò: “Se l’universo si espande, vuol dire che se riavvolgessimo mentalmente all’indietro, come una pellicola rivista dalla fine all’inizio, quello che Hubble ha osservato, l’espansione, dovremmo esperire una contrazione”. Elementare! E dove finisce, indietro nel tempo, la contrazione? Dov’è che l’espansione comincia? Le equazioni di Einstein, finalmente liberate dalla mostruosità del numero ad hoc, provavano che il film riavvolto dell’espansione di Hubble si concludeva con la contrazione del cosmo in un “punto”: ineffabile, senza dimensioni. Una singolarità. Era l’inizio del tutto. Al sacerdote cattolico non sembrò vero: “C’è allora scientificamente l’inizio!”, addirittura testato da equazioni matematiche! L’universo non solo non è statico ma ha un’origine indietro nel tempo: “Chi ha messo lì quel punto? Da dove salta fuori un punto, una singolarità, da cui inizia un cammino, al posto del niente?”, chiedeva trionfante Lemaître. E poteva concludere: lì, nel punto, ci sono le “carte di Dio”! Il punto, l’inizio, sarà sarcasticamente chiamato da Fred Hoyle, un geniale diffidente, Big Bang. Non era un bang: era un punto che, all’improvviso, iniziò a dilatarsi, dando vita a un’espansione. Che continua ancora oggi. E, persino, accelera. Il cosmo di Einstein, Hubble e Lemaître, quello del Big Bang, raccontava che l’universo ha una storia. Non è sempre esistito. É nato da un punto che conteneva un’infinita energia che, per qualche ragione ha preso a dilatarsi, a farsi materia e a dare vita ai costituenti dell’universo. Ovvio che, da allora, una domanda inevitabile cominciasse a inquietare la cosmologia scientifica: quale ragione fisica spiega il Big Bang? A che si deve l’enigmatica dinamica dell’inizio e dell’espansione? Perché il punto, la singolarità, prese improvvisamente a crescere e dilatarsi? Non c’è spiegazione fisica (almeno fino a Krauss e Hawking). Solo ipotesi. Per la scienza, però, è tornata in campo la domanda che Kant riteneva un’antinomia, metafisica e contraddittoria: “Com’è nato tutto?”, perché c’è qualcosa e non il nulla? La cosmologia scientifica del Big Bang ridà dignità a dilemmi che gli illuministi (e sant’Agostino) avrebbero definito “speculazione”: cos’è, realmente, il Big Bang? Cosa c’era prima del “punto”? Dove porterà l’espansione di Hubble? Con il processo a Galileo la teologia si era distaccata dalla modernità. Con Kant e l’illuminismo aveva, addirittura, divorziato dalla scienza. Con la fisica del Big Bang, il terzo modello della cosmologia della modernità, domande che si pensavano teologiche, quelle sull’origine e sulla fine, tornano a far capolino nella discussione cosmologica. E proprio nel momento, per dirla con Pasteur, in cui “molta scienza” era entrata, in progressione esponenziale, nella spiegazione dei fenomeni fisici. Relatività e scienza quantistica realizzeranno nella seconda metà del Novecento due imprese impensabili: ricostruiranno, con esattezza scientifica stupefacente, la storia dell’universo, la ricostruzione esatta, fisica e chimica, del film dell’evoluzione cosmica (13,7 miliardi di anni) fino al Big Bang e ai suoi primi istanti di vita; scenderanno nelle abissali profondità dell’atomo per scoprire i costituenti ultimi della materia e, persino, con le stupefacenti macchine del Cern, ricostruendo in laboratorio le impensabili energie del Big Bang. Per guardare dentro e da vicino l’inizio di tutto. Sorge insomma un paradosso imprevisto dall’ottimismo illuminista: più scienza e fisica entrano nelle spiegazioni dell’universo, più domande emergono, più cresce l’opacità, l’ineffabilità della materia, l’inquietante dissimulazione dell’origine. Quel punto, l’inizio, quella singolarità non si lascia decifrare. Non solo. Più penetriamo gli abissi della materia e le profondità del cosmo, più inciampiamo in misteri disarmanti: conosciamo, ancora approssimativamente, solo il quattro per cento della materia di cui è fatto l’universo; 35 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO misuriamo la presenza certa di un’energia oscura ma nulla sappiamo di essa (e servirebbe saperlo per declinare ipotesi sul futuro del cosmo); non sappiamo ancora come è emersa effettivamente la vita, ecc. Molta fisica, insomma, ci è ancora velata. Sulle cose significative del Tutto possiamo solo fare ipotesi, congetture, illazioni. Su quelle famose “carte di Dio” sembra si debba dire quello che Churchill pensava della Russia comunista: un mistero che cela un enigma che nasconde un segreto. Alcuni anni fa, in un libretto stupefacente, “Dio e la scienza”, duettando con i fratelli Bogdanov, astrofisici e istrioni televisivi, un po’ geni e un po’ lestofanti, nipoti dell’omonimo autore otzovista, amico-nemico di Lenin, Jean Guitton, forse il più eminente filosofo cristiano del nostro tempo, metteva a nudo le due lacune che, a suo dire, invalidavano l’ottimismo illuminista e la sua pretesa di realizzare, attraverso l’impresa scientifica, il programma di Nietzsche: far morire Dio. La prima lacuna è, appunto, il mistero dell’origine, l’inizio del Big Bang. Guitton lo chiama, elegantemente, “vertigine d’irrealtà”: come si è prodotto? Da quali processi fisici ed energetici? Cosa c’era prima del primo istante? É il tempo oscuro del Big Bang. Si vaga nel buio. È curioso: grazie alla fisica relativista sappiamo quasi tutto dell’evoluzione dell’universo in 13,7 miliardi di anni. Ma dell’inizio vero sappiamo poco, anzi nulla. La scienza si ferma, sorprendentemente, solo ad un attimo (in senso letterale) dal Bang. Non è veramente riuscita a penetrare l’inizio. É costretta a fermarsi un po’ di tempo prima. Quanto tempo prima? Un attimo. La cui lunghezza e durata ci sono note: 10-43 secondi dopo l’inizio. Un muro. Si chiama “tempo di Planck”. É considerato in fisica la più piccola durata di tempo concepibile: miliardesime di miliardesime di miliardesime volte più piccola di un secondo (c’è anche una misura di Planck che riguarda l’estensione: 10-33 centimetri: la più piccola dimensione concepibile). Quando si giunge, con la ricostruzione della storia fisica dell’universo a questa distanza dal Bang, tutto si annebbia: la fisica che utilizziamo smette di funzionare, la matematica salta, le equazioni vacillano, le conoscenze fisiche diventano inservibili. Entra in campo la fisica quantistica, che riguarda ogni cosa microscopica, più piccola dell’atomo, con le sue stranezze. Ma in un modo che fa a cazzotti con la fisica relativistica. Che poi sarebbe quella che ci ha consentito di arrivare così vicini al Bang. A 10-43 secondi dopo il Bang si manifesta un divieto. Una sorta di “censura cosmica” evita alla scienza di proseguire oltre e penetrare il momento vero dell’inizio. É il mistero più grande del Big Bang: il tempo di Planck! Non è incredibile? Della storia cosmica di 13,7 miliardi di anni siamo riusciti a ricostruire quasi tutto tranne quel microscopico tempo di 10-43 secondi. Cosa succede lì? Possiamo solo congetturare. La fisica ipotizza che lì funzioni un mondo diverso da quello che conosciamo: il tempo e lo spazio sono intrecciati tra loro e non sono distinti; le quattro forze che governano l’universo conosciuto (forte, debole, gravitazionale ed elettromagnetica) sono tutt’uno; le dimensioni non sono quattro (altezza, lunghezza, larghezza e tempo) ma infinite. L’universo del tempo di Planck è un vero guazzabuglio. Definito dai fisici una “schiuma” in cui tutto è confuso e indefinito, avvolge ancora la vera conoscenza del Big Bang. Direte: ma si tratta di una frazione di tempo così minuscola! Com’è possibile che contenga eventi significativi? E invece. Non dimenticate che, in quella frazione di tempo, gli eventi sono quantistici. Il tempo non è quello macroscopico che conosciamo. Non è ancora distinto dallo spazio, non scorre, non prosegue inesorabile come una freccia, non è lineare come lo misuriamo coi nostri orologi. Al tempo di Planck, nella frazione di 10-43 secondi, attimo ed eternità non sono distinti, così come non lo sono 36 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO passato, presente e futuro. Quel tempo minuscolo, insomma, è anche immenso. Può essere davvero successo di tutto. E avendo a disposizione tutto il tempo per succedere. Speculazione? Non tanto. Il tempo di Planck è un problema fisico reale. Entra negli esperimenti quantistici. É una misura effettiva. Che funziona nelle prove quantistiche. E che inquieta i fisici: non si accorda con la relatività. Lasciando così la fisica monca. E irrita i cosmologi: eleva un muro di opacità, mistero e ignoranza sulla vera dinamica del Big Bang. E, soprattutto, lascia spazio a possibili, disturbanti ipotesi creazioniste. Per Guitton, c’è una seconda lacuna della cosmologia scientifica. Lui la chiama il “miracolo matematico” o enigma delle coincidenze. L’universo esibisce una strana particolarità: le sue leggi appaiono perfettamente decifrabili e traducibili per noi. Ma solo grazie a un particolare: l’esistenza in natura di alcune costanti, numeri inspiegabili, adimensionali e immotivati che combinati tra loro ci rendono i costituenti della materia e le forze che li fanno stare insieme. Insomma esistiamo grazie a quei numeri. Se anche uno di loro fosse solo leggermente diverso dal valore che ha… noi non ci saremmo. Ad esempio: se la “costante di struttura fine” (la misura dell’intensità delle interazioni elettromagnetiche) fosse solo leggermente diversa da 1/137 (un numero primo e senza decimali) la luce non interferirebbe con la materia e il mondo sarebbe opaco e informe; se la massa del protone non fosse esattamente 1.836,153 quella dell’elettrone o se le cariche dei quark (le particelle costitutive di protoni e neutroni) non fossero esattamente speculari e opposte a quelle degli elettroni, gli atomi non si formerebbero; se la costante gravitazionale di Newton non fosse esattamente pari a 6,67384 moltiplicata per 10-11, ogni corpo fuggirebbe nel cielo da ogni altro e non ci sarebbero stelle e pianeti. E così per altri parametri e costanti in natura. Da dove vengono fuori numeri così coincidenti? Come può essersi verificato questo misterioso tuning? Può essere frutto del caso? Della lotteria di eventi prodotti solo dalla probabilità? Certo che no. La probabilità che una combinazione plurima vincente di tante costanti, sintonizzate tra loro, si sia realizzata per caso, nel “breve” tempo dell’evoluzione cosmica dal Big Bang, equivale a… zero. Solo un numero infinito di lanci, in un tempo infinito, della pallina della roulette cosmica avrebbe consentito di realizzare combinazioni così precise di numeri. No. Il caso non spiega! Guitton ha argomenti solidi: o si ipotizza un “miracolo matematico” o non abbiamo spiegazioni. Dilemmi urticanti per la cosmologia ateista. Come ci si può atteggiare dinanzi a essi? In due modi: alla maniera di Einstein. Se il cosmo presenta ancora zone d’ombra, dilemmi e misteri, è lecito pensare che ciò avviene perché esistono variabili nascoste, ribatteva Einstein a Bohr e agli ortodossi delle “stranezze” quantistiche, e la scienza non è ancora arrivata a scoprirle. Un ragionevole esempio di sobrietà scientifica. Hawking, Krauss, Greene e Dawkins hanno sposato la tesi opposta: la realtà non presenta variabili nascoste. Il microcosmo è, realmente, controintuitivo. L’evidenza quantistica non si raggiunge con lo sperimentalismo “classico”. Se è coerente con la “stranezza” intima degli assunti quantistici, una teoria può essere dichiarata vera. Opportunamente interpretata, la fisica dei quanti consente ipotesi accettabili per spiegare, insieme, il mistero dell’origine e quello delle coincidenze. La prova dell’inesistenza di Dio è, rassicurano i neoateisti, a portata di mano. Un irragionevole esempio di eccesso intellettuale. Che, forse, prima o poi, porterà a far fioccare premi Nobel secolarizzati. Due sono le fascinose e stravaganti ipotesi che la cosmologia neoateista ha ideato per 37 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO produrre la prova. La prima è la fluttuazione quantistica. Che dovrebbe spiegare l’inizio del Big Bang. Secondo Lawrence Krauss, la fisica quantistica ha svelato il meccanismo per cui possono darsi fenomeni privi di causa: eventi che sorgono, letteralmente, dal nulla. Effettivamente c’è in fisica quantistica un fenomeno accertato: si chiama “pair production”. Afferma che in uno spazio vuoto può manifestarsi, senza causa apparente, una coppia di particelle, prima “virtuali” e poi “reali”, che sembrano emergere dal niente. Si chiama fluttuazione quantistica del vuoto. Attenzione: del vuoto, non del nulla. Per la fisica nulla e vuoto non sono sinonimi. Il nulla è banalmente il niente. Il vuoto è, invece, un oggetto fisico reale. Non è il niente. É un qualcosa. In fisica quantistica il vuoto è, in realtà, un pieno: di campi di forze e di energia, potenziale e latente. E dunque invisibile. Attraverso la fluttuazione quantistica questa energia potenziale si trasforma, per via della formula E=mc2 e senza una causa osservabile o un evento scatenante, in energia cinetica di particelle reali. Dal vuoto è nato qualcosa. Dal vuoto, appunto. Non dal nulla. Nella fase del tempo di Planck questo può essere successo: che dalle fluttuazioni di un vuoto ricchissimo di energia potenziale si sia prodotto qualcosa. Quella di Krauss, scrive Amir Aczel, è una “meravigliosa bugia”, un trucco ingenuo per motivare la non necessità scientifica di ipotesi creazioniste: il mondo può essere emerso dal niente, dal nulla. E invece no. L’energia non si crea dal nulla. All’attimo del Big Bang non poteva esserci il nulla. Preesisteva qualcosa: energia potenziale! Dal nulla non nascono fiori. Ma allora siamo al punto di partenza: chi ha messo lì quell’energia? Come si è prodotto quel potenziale? Krauss non ci fa fare passi avanti. Il dilemma dell’origine resta. La seconda prova, immaginata dalla cosmologia neoateista, è la teoria del multiverso. Essa dovrebbe liquidare, ad avviso dei suoi sostenitori, il dilemma delle coincidenze. Se nel caso della teoria di Krauss, del qualcosa dal nulla, si trattava di una “meravigliosa bugia” qui impattiamo una vera bizzarria metafisica. Anche in questo caso i cosmologi neoateisti distorcono, forzano e strumentalizzano un’effettiva, ma reale e verificata, stranezza quantistica: la teoria dei “molti cammini”, secondo la definizione di Richard Feynman, uno dei padri più geniali della fisica quantistica. L’esperimento più enigmatico della fisica quantistica, e quello più noto e praticato, è l’esperimento della doppia fenditura. Esso prova il carattere ambivalente della luce: insieme onda e particella. Lanciate un fotone di luce o una particella subatomica verso uno schermo con su incisa una doppia fenditura. Da dove passa la particella? Da quale fenditura? Il risultato dell’esperimento non lascia dubbi: il fotone o la particella mostrano, inequivocabilmente, di essere passati da entrambe le fenditure. Pazzesco. Come ha fatto la particella a scegliere? Non ha scelto, afferma Feynman: ha semplicemente percorso istantaneamente tutti i cammini a essa consentiti: è passata da entrambe le fenditure e, anche, da nessuna di esse. Tutti i cammini possibili si sono sovrapposti, dice Feynman. Com’è stato possibile? Ipotesi: essendo un’onda, la particella (pensate a un’onda del mare) non è in un punto preciso, ma si distribuisce su uno spazio esteso. Esperisce, così, tutti i cammini che le sono consentiti, in quanto onda, dalle sue misure: lunghezza, frequenza, altezza. É così? Non si sa. Ma è una spiegazione. Che fanno i neoateisti? Estrapolano questa ipotesi del mondo subatomico e delle sue enigmatiche stranezze e la applicano al mondo macroscopico. Traendone una conclusione bizzarra e metafisica: l’universo intero e tutti gli eventi che in esso avvengono si comportano come una singola particella di luce o di materia: messo davanti alla decisione di una scelta, l’equivalente macroscopico della doppia fenditura, non sceglie! Semplicemente: percorre 38 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO tutti i cammini a disposizione. Come? Biforcandosi, moltiplicandosi, realizzando ogni possibilità a disposizione. A ogni istante le versioni dell’universo si moltiplicano. In un numero infinito. Ci sono, secondo i teorici del multiverso, infinite versioni reali di ognuno di noi in universi lontani o vicinissimi (compattati in dimensioni sconosciute) che non si toccano. Infinite versioni di noi, reali e coscienti. Pensateci: fosse vero avremmo realizzato la vita eterna. Ovviamente non abbiamo indizi o segnali di esistenza di tali universi. Essi non sono osservabili in alcun modo. C’è solo da credere. Che significa il multiverso per il dilemma delle coincidenze? Semplice. Non c’è più dilemma. Esse non sono dovute al caso e, tantomeno, a un miracolo. Noi osserviamo solo le costanti, i numeri, le combinazioni che, nell’infinita produzione del multiverso, si sono realizzate qui consentendoci di esistere. Ma ogni altra versione dei numeri si è realizzata da altre parti. Non c’è tuning e non c’è il caso. Decisamente un’ipotesi “dispendiosa”, la definisce Samir Aczel. E decisamente più metafisica dell’ipotesi creazionista. La Galassia Sigaro (nota anche come M 82 o NGC 3034): galassia starbust nella costellazione dell’Orsa Maggiore. 39 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 12: A Conversation between Tagore and Einstein on July 14, 1930 Da R. Tagore, The religion of man, George, Allen & Unwin, London 1932 TAGORE: I was discussing with Dr. Mendel today the new mathematical discoveries which tell us that in the realm of infinitesimal atoms chance has its play; the drama of existence is not absolutely predestined in character. EINSTEIN: The facts that make science tend toward this view do not say good-bye to causality. EINSTEIN: One tries to understand in the higher plane how the order is. The order is there, where the big elements combine and guide existence, but in the minute elements this order is not perceptible. TAGORE: Thus duality is in the depths of existence, the contradiction of free impulse and the directive will which works upon it and evolves an orderly scheme of things. EINSTEIN: Modern physics would not say they are contradictory. Clouds look as one from a distance, but if you see them nearby, they show themselves as disorderly drops of water. TAGORE: I find a parallel in human psychology. Our passions and desires are unruly, but our character subdues these elements into a harmonious whole. Does something similar to this happen in the physical world? Are the elements rebellious, dynamic with individual impulse? And is there a principle in the physical world which dominates them and puts them into an orderly organization? EINSTEIN: Even the elements are not without statistical order; elements of radium will always maintain their specific order, now and ever onward, just as they have done all along. There is, then, a statistical order in the elements. TAGORE: Otherwise, the drama of existence would be too desultory. It is the constant harmony of chance and determination which makes it eternally new and living. EINSTEIN: I believe that whatever we do or live for has its causality; it is good, however, that we cannot see through to it. TAGORE: There is in human affairs an element of elasticity also, some freedom within a small range which is for the expression of our personality. It is like the musical system in India, which is not so rigidly fixed as western music. Our composers give a certain definite outline, a system of melody and rhythmic arrangement, and within a certain limit the player can improvise upon it. He must be one with the law of that particular melody, and then he can give spontaneous expression to his musical feeling within the prescribed regulation. We praise the composer for his genius in creating a foundation along with a superstructure of melodies, but we expect from the player his own skill in the creation of variations of melodic flourish and ornamentation. In creation we follow the central law of existence, but if we do not cut ourselves adrift from it, we can have sufficient freedom within the limits of our personality for the fullest self-expression. EINSTEIN: That is possible only when there is a strong artistic tradition in music to guide the people’s mind. In Europe, music has come too far away from popular art and popular feeling and has become something like a secret art with conventions and traditions of its own. TAGORE: You have to be absolutely obedient to this too complicated music. In 40 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO India, the measure of a singer's freedom is in his own creative personality. He can sing the composer's song as his own, if he has the power creatively to assert himself in his interpretation of the general law of the melody which he is given to interpret. EINSTEIN: It requires a very high standard of art to realize fully the great idea in the original music, so that one can make variations upon it. In our country, the variations are often prescribed. TAGORE: If in our conduct we can follow the law of goodness, we can have real liberty of self-expression. The principle of conduct is there, but the character which makes it true and individual is our own creation. In our music there is a duality of freedom and prescribed order. EINSTEIN: Are the words of a song also free? I mean to say, is the singer at liberty to add his own words to the song which he is singing? TAGORE: Yes. In Bengal we have a kind of song-kirtan, we call it-which gives freedom to the singer to introduce parenthetical comments, phrases not in the original song. This occasions great enthusiasm, since the audience is constantly thrilled by some beautiful, spontaneous sentiment added by the singer. EINSTEIN: Is the metrical form quite severe? TAGORE: Yes, quite. You cannot exceed the limits of versification; the singer in all his variations must keep the rhythm and the time, which is fixed. In European music you have a comparative liberty with time, but not with melody. EINSTEIN: Can the Indian music be sung without words? Can one understand a song without words? TAGORE: Yes, we have songs with unmeaning words, sounds which just help to act as carriers of the notes. In North India, music is an independent art, not the interpretation of words and thoughts, as in Bengal. The music is very intricate and subtle and is a complete world of melody by itself. EINSTEIN: Is it not polyphonic? TAGORE: Instruments are used, not for harmony, but for keeping time and adding to the volume and depth. Has melody suffered in your music by the imposition of harmony? EINSTEIN: Sometimes it does suffer very much. Sometimes the harmony swallows up the melody altogether. TAGORE: Melody and harmony are like lines and colors in pictures. A simple linear picture may be completely beautiful; the introduction of color may make it vague and insignificant. Yet color may, by combination with lines, create great pictures, so long as it does not smother and destroy their value. EINSTEIN: It is a beautiful comparison; line is also much older than color. It seems that your melody is much richer in structure than ours. Japanese music also seems to be so. TAGORE: It is difficult to analyze the effect of eastern and western music on our minds. I am deeply moved by the western music; I feel that it is great, that it is vast in its structure and grand in its composition. Our own music touches me more deeply by its fundamental lyrical appeal. European music is epic in character; it has a broad background and is Gothic in its structure. EINSTEIN: This is a question we Europeans cannot properly answer, we are so used to our own music. We want to know whether our own music is a conventional or a fundamental human feeling, whether to feel consonance and dissonance is natural, or a 41 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO convention which we accept. TAGORE: Somehow the piano confounds me. The violin pleases me much more. EINSTEIN: It would be interesting to study the effects of European music on an Indian who had never heard it when he was young. TAGORE: Once I asked an English musician to analyze for me some classical music, and explain to me what elements make for the beauty of the piece. EINSTEIN: The difficulty is that the really good music, whether of the East or of the West, cannot be analyzed. TAGORE: Yes, and what deeply affects the hearer is beyond himself. EINSTEIN: The same uncertainty will always be there about everything fundamental in our experience, in our reaction to art, whether in Europe or in Asia. Even the red flower I see before me on your table may not be the same to you and me. TAGORE: And yet there is always going on the process of reconciliation between them, the individual taste conforming to the universal standard. 42 La Nebulosa Testa di Cavallo (nota anche come B33): nebulosa oscura nella costellazione di Orione. FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 13: Carl G. Jung’s Synchronicity and Quantum Entanglement: Schrödinger’s Cat ‘Wanders’ Between Chromosomes, Igor V. Limar Da Neuroquantology (2011), 9, 2, 313-321 Problem formulation and related studies To be sure, the concept of synchronicity represents an integral part of analytical psychology. Carl Jung believed, that synchronicity is closely related to numerous manifestations of psychic life of the humans, both normal and affected by pathology. Determining the nature of the phenomenon of synchronicity may become important for psychotherapeutic practice, particularly for difficult clinical cases which today cannot be subjected to psychological correction using methods of classical psychiatry. At the same time, we know that exotic nature of ‘manifestations of synchronicity’ caused to certain extent skeptical attitude by a number of researchers. Considering criticism of Jung’s theory of synchronicity by his opponents, it should be, nevertheless, admitted that in doing his research the founder of analytical psychology was guided, in particular, by principles of contemporary theoretical physics. For instance, it is well known that Jung has developed the concept of synchronicity in close collaboration with Wolfgang Pauli. Thus, the Swiss psychologist has always made sure that the data gathered from his clinical observations conforms to the principles of natural science. Still, specific mechanisms which, probably, lay at the core of synchronicity phenomena became a subject of discussion only in the early 1980s thanks to the progress in experimental studies of certain concepts of quantum physics. In one of the relatively early papers devoted to this matter (Keutzer, 1982), the synchronicity phenomenon was juxtaposed with the ‘morphic resonance’ hypothesis suggested by Rupert Sheldrake. In turn, the Sheldrake’s theory is interpreted in the above study in the context of quantum non-locality, a consequence of solution of the so-called Einstein-Podolsky-Rosen paradox. In his later papers (Keutzer, 1984a; b), this author clearly associates quantum non-locality with Jung’s synchronicity. Afterwards, other researchers (Mansfield and Spiegelman, 1989) have reviewed non-local quantum correlations, the Schrodinger’s cat paradox, and experiments verifying Bell’s inequalities in relation to the synchronicity phenomenon. The same researchers also reviewed the principle of superposition within the context of attempts to explain the synchronicity phenomenon (Mansfield and Spiegelman, 1991). Furthermore, Mansfield, reviewing Jung’s theory, has analyzed, among other aspects, the role of Bell’s inequalities per se in respect to the problems of analytical psychology (Mansfield, 1991). A similar paper (Germine, 1991) also dealing with the synchronicity phenomenon, the concept of quantum non-locality, and the Einstein-Podolsky-Rosen and Schrodinger’s cat paradoxes, is devoted to determination of the nature of consciousness. Study of relation between quantum non-locality and Jung’s synchronicity, and the matters concerning Bell’s inequalities continued in later papers (Mansfield and Spiegelman, 1996). Publications discussing, in one way or another, the synchronicity phenomenon in relation to the quantum entanglement phenomenon have appeared during the past decade (Walach, 1999; Walach and Römer, 2000; Duch, 2002; Milgrom, 2002; Primas, 2003; Stillfried and Walach, 2006; Teodorani, 2006). The latest papers in this sphere of study contain quite detailed research (Lucadou et al., 2007; 43 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Carminati and Martin, 2008; Martin et al., 2009; Martin et al., 2010). At the same time, it should be noted that attempts to explain the synchronicity phenomenon by considering other physical mechanisms not directly related to quantum non-locality (Zabrizkie, 1995) are quite scarce. It should also be mentioned that some authors look at the quantum entanglement phenomenon in regard to other aspects of Jung’s theory without linking this phenomenon directly to the synchronicity phenomenon (Blutner and Hochnadel, 2010; Conte et al., 2010). Nevertheless, even though the probable role of quantum non-locality in realization of synchronicity phenomena is clearly emphasized in the above papers, the question of what physiological mechanism might be responsible for the existence of quantum entanglement between different human bodies has not been considered so far. The only exceptions in this respect are, perhaps, the studies by Michael Hyland, who also believes that the synchronicity phenomenon is caused by quantum entanglement (Hyland, 2004a). The criterion enabling to consider that the mentioned corresponding physiological mechanism has been suggested is a description of necessary and sufficient conditions for occurrence of quantum entanglement between biological molecules of different people. Broadly speaking, these molecules may not be interconnected by quantum entanglement prior to mutual interaction. As quantum entanglement between biological molecules of different people may not exist per se, in the absence of once occurred special physical interaction, it is only this criterion that can be valid. We cannot generally assume that available quantum entanglement between molecules of different people is taken for granted. In one of his papers (Hyland, 2004b), Hyland made an assumption that quantum entanglement may exist both between cells of the same human body and between different subjects. Apparently, this author came very close to the solution of this problem in his another paper (Hyland, 2003a), where he not only assumes existence of quantum entanglement at DNA level within the same body, but also describes possible role of quantum entanglement in meiosis processes. It is quite possible that all that needs to be done is just one little step further – to expand this author’s perception of existence of quantum entanglement at DNA level within the same body and its role in morphogenesis to the hypothesis of existence of quantum entanglement between DNAs of different bodies. As far as meiosis processes are concerned, Hyland regards the role of quantum entanglement exclusively as regulating the cell division. The fact that meiosis may represent a mechanism ensuring quantum entanglement between different bodies was left out by this author. In the meantime, solution of the problem of existence of non-local quantum correlations between different bodies, in particular, synchronicity phenomena, could be right there. The answer to this question will be proposed in this paper below. Study goal and hypothesis Synchronicity phenomena have been studied for quite a while and not just by Jung but (a much lesser-known fact) by Sigmund Freud, the founder of psychoanalysis. His several papers corroborate this fact (Freud, 1922; 1953a; 1953b). Naturally, the famous Austrian psychiatrist used somewhat different terminology, but in the essence, he studied phenomena of the same nature. A telling fact: in the same period, scientific community gained understanding of the nature of quantum phenomena which later were associated with the synchronicity phenomenon. We are talking about the so-called Einstein-Podolsky-Rosen 44 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO paradox, study of which helped postulate existence of quantum non-locality and quantum entanglement, closely related to non-local quantum correlations. As we know, the quantum entanglement means a quantum-mechanical phenomenon in which quantum state of two or more objects should be described in interrelation with each other, even if individual objects are spaced apart. As a result, correlations appear between physical properties of these objects. The quantum entanglement phenomenon is also viewed at in relation to such notions as quantum coherence and quantum superposition. The principle of superposition in quantum physics will be discussed further in connection with the Schrodinger’s cat paradox. Nevertheless, this branch of theoretical physics began experiencing rapid development only during the past few decades. It can be explained, first of all, by emerging possibilities for experimental verification of violation of the so-called Bell’s inequalities. It is also important to note that quantum entanglement, as follows from definition and the nature of this phenomenon, represents the most ‘functional’ (comparing to other physical mechanisms) instrument as far as attempts to interpret Jung’s synchronicity are concerned. Yet, it still remains unclear how exactly the quantum entanglement may exist at the level of material carrier of consciousness, i.e. brain, and how the quantum entanglement may ensure nonlocal correlations between different subjects which make synchronicity possible. Solution of this problem is the goal of the study this paper is devoted for. Let’s assume that correlation of mental processes in different people not exchanging any information among themselves, i.e. synchronicity, is caused by non-local quantum correlations (quantum entanglement) between certain parts of these people’s brain (Persinger et al., 2008). At this point, it needs to be noted that we can’t talk about existence of quantum entanglement as such between macroscopic objects. The ‘quantum entanglement’ term is applicable exclusively to the objects of microworld, particularly at submolecular level: molecular orbitals (electron shells) of molecules, chromophore parts, etc. Therefore, it is, for example, correct to say ‘quantum entanglement between neuron structures at submolecular level’ instead of ‘quantum entanglement between nerve cells’, or make the following formulation: ‘quantum entanglement between electron shells of neuron molecules of different people’ instead of saying ‘quantum entanglement between different people’. Also, as of today, direct observation of effects involving quantum entanglement at the level of macroscopic objects is highly questionable. Nevertheless, it should be noted in this respect that by this time, certain attempts were made at experimental observation of these phenomena as part of the quantum superposition studies (Gevaux, 2010; O’Connell et al., 2010). And finally, it is important to emphasize that quantum entanglement cannot directly represent a mechanism of communicating information per se. Quantum entanglement may serve only as an instrument of ensuring correlation of certain physical quantities. In this case, correlation may be implemented at indefinitely large distances without limitation on speed imposed by the special theory of relativity. Currently, existence of quantum coherence and quantum entanglement in biological molecules is intensively studied and is considered proved at experimental level (Gilmore and McKenzie, 2005; Plenio and Huelga, 2008; Thorwart et al., 2009; Hossein-Nejad and Scholes, 2010; Sarovar et al., 2010). Many researchers believe that quite specific problems in living organisms may be solved using quantum entanglement (Cai et al., 2010). However, when studying the synchronicity phenomenon it is important to find out how quantum entanglement between biological structures of different organisms may occur. In this respect, let’s assume that quantum entanglement between biological 45 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO molecules may occur as a result of ‘coherent resonance energy transfer’ (Jang et al., 2008; Olaya-Castro et al., 2008; Collini and Sholes 2009; Nazir 2009; Kekovic et al., 2010; Nalbach et al., 2010; Sholes 2010). Some authors describe possibility of quantum entanglement occurring during electrostatic (Coulomb) interaction (Mishima et al., 2004). Consequently, one may also assume that quantum entanglement between parts of biological molecules occurs as a result of the above interaction. Another physical mechanism by virtue of which quantum entanglement can arise is the Fermi resonance (Peng and Hou, 2009; Peng and Hou, 2010; Hou et al., 2010). However, it is obvious that mere presence of different people close to each other hardly offers a sufficient condition for occurrence of quantum entanglement between any biological structures of their bodies. Also, synchronicity phenomena (correlation of mental processes in different subjects) may, generally speaking, be observed even if these people have never communicated with each other. Therefore, it seems prudent to put forth a hypothesis, whereby quantum entanglement occurs, and is subsequently maintained, at the level of genetic material. In addition to other studies of quantum coherence and quantum entanglement in biological molecules, possibility of these phenomena existing in nucleic acids, particularly in DNA, was also intensively studied in recent years (Ogryzko 1997; McFaden and Al-Khalili, 1999; Bieberich 2000; Schemp, 2003; Sirakoulis et al., 2004; Tulub and Stefanov, 2007; Ogryzko, 2008; Cooper, 2009a; b). Analysis of development trends in this area of study allows to assume that this direction is very promising (Curtus and Hurtak, 2004; Ananthaswamy, 2010). It has been, for example, suggested that quantum effects may be responsible for morphogenesis processes (Hyland, 2003b), and represent, in a way, a link between genotype and phenotype (Rosen, 1996). Therefore, it is possible that DNAs of different cells within the same organism may be connected by quantum entanglement as a result of division of cell during mitosis. On the other hand, it is also fair to assume that quantum entanglement between DNAs of different cells may occur during meiosis, when gametes are forming. This situation may take place, for example, during homologous genetic recombination – crossing-over. It means that quantum entanglement may exist between cell structures of different organisms as well. There is, however, one important circumstance worth noting: theoretically, quantum entanglement between DNAs of brain cells may occur exclusively during embryogenesis. The explanation is as follows: as we know, nerve cells experience mitotic division only during prenatal period. During postnatal period, neurons do not divide. Small percentage of neural stem cells may be disregarded. As of today, several papers have been already devoted to the matters concerning quantum entanglement at the level of central nervous system cells (Pereira, 2007; Pereira and Furlan, 2009; 2010). At the same time, it should be noted that quantum entanglement may exist not only between nuclear DNAs of different cells. Any cellular structures interacting both before and during mitosis and meiosis processes, and afterwards, after cells have divided, ending up in different cells, may potentially represent elements which cause existence of quantum entanglement between molecules of different cells (Hameroff, 2004; Tulub, 2004). It is hardly possible to describe existence of quantum entanglement between biological molecules of different organisms without taking into account mitosis and meiosis processes. It is so because in order that quantum entanglement does occur between the objects of the microworld, such objects should have interacted. Generally speaking, in case no interaction took place, the objects of the microworld will not be related with quantum entanglement. Some particular cases of 46 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO quantum entanglement among fermions make an exception to this rule (Zhou, 2000; Vedral, 2003; Oh and Kim, 2004; Clark et al., 2005; Vertesi, 2007; Jie and Shi-Qun, 2008; Habibian et al., 2010). However, for these rare instances it is characteristic to adhere to a series of specific conditions. At this stage of science development it is premature to suggest that such conditions exist as applied to neurons of several different people. Furthermore, another important question requires our attention. It concerns not the quantum entanglement occurrence mechanism, but the problem of its long-term preservation. We are talking about the so-called decoherence, a process which involves destruction of quantum coherence under impact of electromagnetic fields and other factors. Decoherence involves transformation of states characterized by quantum superposition (the so-called ‘pure’ states) into states where quantum phenomena cannot be observed (‘mixed’ states). Nevertheless, recently this problem has also been tackled at with increasing success (Shabani and Lidar, 2005; Manfredi and Hervieux, 2006; Grace et al., 2007), particularly in terms of understanding the processes occurring in DNA (Ogryzko, 2008; Cooper, 2009a; 2009b). And finally, we still have to find out how quantum entanglement may occur between cellular structures of quite large number of subjects, because during meiosis, genetic materials may be transferred to descendants only. A hypothesis may come to rescue, whereby all humans originated from the same center in Africa approximately 80-200 thousand years ago – ‘recent single-origin hypothesis’ (Batzer et al., 1994; Armour et al., 1996; Liu et al., 2006; Pritchard et al., 1996). Not extending, surely, the assumption of existence of quantum entanglement onto the scale of genome of all people, one may, nevertheless, assume that certain population groups bear in their genetic material DNA parts inherited from prehistoric men, which are common to these groups (Goldstein et al., 1995; Jorde et al., 1995; Nei and Takezaki, 1996; Hey, 1997). Therefore, existence of quantum entanglement between DNA molecules of relatively large groups of people cannot be ruled out. Considering the aforementioned hypothesis, we can assume that ‘material carriers of consciousness’ include, in particular, molecular orbitals (electron shells) of molecules, biologically active during meiosis and mitosis. This conclusion is helped by phenomenology of analytical psychology, namely the synchronicity phenomenon. An assumption that the molecules participating in meiosis can play a role of tangible media of consciousness, apart of the other biological molecules, by no means contradicts our formed presentation that the human psyche is ‘localized’ in the brain. An absence of such contradiction is conditional on the circumstance that the molecules displaying biological activity during meiosis are viewed merely as an ‘intermediate’ link when quantum entanglement is formed between brain cell molecules of various people. The molecules participating in a cell division during meiosis may appear as ‘intermediaries’ while the quantum entanglement is formed between certain brain cell molecules of a person with the same molecules of the brain cells belonging to another person. In its turn, biological molecules used during mitosis can be similar ‘intermediaries’ in the course of quantum entanglement formation. However, the molecules used during mitosis can ensure a formation of quantum entanglement not between molecules of various people but between the cell molecules of one human organism. Specifically, it can occur between the brain cell molecules and the molecules which are active when forming gametes of one and the same person. As it has already been noted, quantum entanglement between the molecules of brain neurons of an organism may, theoretically, arise during embryogenesis exclusively. Quantum entanglement between the 47 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO brain cell molecules and the molecules of other cells within one and the same organism may also arise exclusively in the process of prenatal development. Among other things, it also refers to quantum entanglement arising between the brain cell molecules and the cell molecules of other organs wherein meiosis takes place within the frame of one organism. Still, quantum entanglement between the cell molecules of the organs wherein meiosis within the frame of one organism takes place may occur not only during embryogenesis but also in the postnatal period. Again, an assumption that genetic material can be a tangible medium of consciousness has been contemplated so far by a number of researchers (Dennis 2010; Taric et al., 2010) and is not viewed now as something remarkable. Recently there also appear papers (Vaas, 1999; Molyneux, 2010) which allow of a rather skeptical attitude to a stereotyped notion that the nature of a human psyche is conditioned by electric transfer of signal in the brain. In this context it should be pointed out that orientation to quantum effects when trying to explain the nature of consciousness and, specifically, orientation to quantum entanglement phenomenon (including at the genetic material level) seems more than justified. To corroborate this thesis let us consider modern information technologies. Complexity of contemporary supercomputers and computer networks, a number of electronic links therein and the volume of transferred information may be currently comparable with certain similar indices applicable to describe human brain properties. However, as yet nobody saw (generally, it is hard to imagine that anybody could have observed such a thing) any technical device possessing consciousness which operating principle was based upon a transfer of electronic signals. It refers, inter alia, to technical devices developed within the framework of artificial intelligence studies. Therefore, it appears highly doubtful that the brain of a newborn, able to transfer electric pulses only, is an adequate medium of consciousness and can provide for a development of the personality possessing intelligence. It seems so that the brain molecules of an individual are to be linked, via a genetic material and by means of quantum entanglement, with genetic material (and molecules at the level of the central nervous system) of a great number of other people. Characteristically enough, a famous British biologist Rupert Sheldrake has come up with a similar hypothesis at his time, assuming that correlation of mental processes in different people is caused by DNA. At the same time, Sheldrake did not specify what physical mechanism precisely may be responsible for this correlation. And only some other authors have reviewed the Sheldrake’s theory in light of quantum nonlocality (Keutzer, 1982; Resconi and Nikravesh, 2008). Also, key provisions of analytical psychology were viewed at in connection with David Bohm’s theory of holomovement and Karl Pribram’s holographic brain theory (Zinkin, 1987). Besides Jung, the assumption that mental processes somehow correlate with certain processes occurring beyond human brain was put forth at the time by John Eccles, laureate of the 1963 Nobel Prize in Physiology (Popper and Eccles, 1977) jointly with Wilder Penfield (Penfield, 1978). The hypothesis outlined in this article may be viewed at a different angle. As we know, phenomena which quantum mechanics deals with in no way fit the perception of surrounding world which we carry in everyday life. This is also true about the principle of superposition in quantum theory, a phenomenon when, for example, an object of microworld may be ‘located’ in several points of Hilbert space ‘simultaneously’ (Garraway and Knight, 1994; Haroche et al., 1997; Deléglise et al., 2008). Back in his time, one of the founders of quantum theory Erwin Schrödinger showed that as a result of this principle, one can model a situation when a living creature, for 48 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO example a cat, may be both ‘alive’ and ‘dead’ at the same time. However strange this thought experiment might seem to us, at this time practical experiments aimed at realization of quantum superposition at macroscopic level are already underway (Gevaux, 2010; O’Connell et al., 2010). One of the consequences of existence of quantum entanglement between chromosomes of brain neurons in different people may be the fact that consciousness is not ‘localized’ in brain of an individual but, in the essence, ‘simultaneously’ ‘belongs’ to a group of people. This point of view is rather closer to Arnold Mindell’s transpersonal interpretation (Mindell, 2000; 2004) than, in fact, to the theory of collective unconscious. Conclusions and prospects of this study Progress in various areas of modern natural science allows hoping that Carl Jung’s concept of synchronicity will, after all, receive scientific explanation. Surely, one shouldn’t get carried away on a tide of euphoria, ecstatically accepting ‘trendy’ applications of the quantum entanglement phenomenon. Scientific practice implies experimental confirmation of hypotheses, not ruling out their disproof as well. In author’s opinion, the hypothesis outlined in this article implies verification of currently available data to explain the nature of synchronicity phenomenon. 49 La Nebulosa Tarantola (nota anche come 30 Doradus o NGC 2070 o C 103): vastissima regione H II nella Grande Nube di Magellano. FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 14: La coscienza è un effetto quantistico: Roger Penrose rilancia la sua teoria, Marco Passarello Dal sito www.ilsole24ore.com – 17 gennaio 2014 Cosa ci rende degli esseri coscienti? Quello della natura della coscienza è uno dei più grandi enigmi scientifici ancora irrisolti, origine di un vasto e complesso dibattito. Una tra le principali questioni che dividono scienziati ed epistemologi è se la coscienza sia un semplice sottoprodotto dei processi di elaborazione dell'informazione, e quindi in linea di principio riproducibile anche su un computer o su altri supporti non biologici, o se invece derivi da caratteristiche specifiche del cervello. Tra i propugnatori della seconda tesi c'è l'insigne matematico Roger Penrose, che nel suo libro del 1989 La mente nuova dell'imperatore sosteneva la tesi secondo cui la coscienza sarebbe il prodotto di effetti di tipo quantistico (e quindi di tipo probabilistico e non interamente determinato). La tesi di Penrose è stata criticata da varie parti, dal punto di vista filosofico, ma anche da quello scientifico, dato che il cervello era ritenuto inadatto al verificarsi di effetti quantistici. Quest'ultima critica, tuttavia, è stata superata dalla scoperta che vari meccanismi, dal senso dell'olfatto alla fotosintesi, sono influenzati dalla meccanica quantistica. Ora Penrose ha pubblicato un articolo su Physics of Life Reviews, in cui rilancia la propria teoria sulla base di nuove prove. Scritto insieme a Stuart Hameroff, l'articolo rilancia l'ipotesi secondo cui la coscienza sarebbe basata su vibrazioni quantistiche nei microtubuli all'interno dei neuroni cerebrali. Tali vibrazioni non sono più solo un'ipotesi, ma sono state effettivamente osservate nel cervello. Penrose procede anche a contrastare i suoi critici, sostenendo che tutte le previsioni fatte in base alla sua teoria sono state confermate dalle osservazioni. I due scienziati osservano inoltre che le vibrazioni quantistiche dei microtubuli possono essere messe in relazione con determinati ritmi elettroencefalografici finora non spiegati, a dimostrazione della loro influenza sui processi cerebrali. Penrose sottolinea che la sua teoria può essere in accordo sia con coloro che ritengono che la conoscenza sia un prodotto dell'evoluzione, sia con chi pensa invece che la coscienza sia una proprietà dell'Universo e preesista alla coscienza umana. 50 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 15: Conscious Events as Orchestrated Space-Time Selections, Stuart Hameroff, Roger Penrose Da Neuroquantology (2003), 10, 1-35 What is consciousness? Some philosophers have contended that "qualia," or an experiential medium from which consciousness is derived, exists as a fundamental component of reality. Whitehead, for example, described the universe as being comprised of "occasions of experience." To examine this possibility scientifically, the very nature of physical reality must be re-examined. We must come to terms with the physics of space-time--as is described by Einstein's general theory of relativity--and its relation to the fundamental theory of matter--as described by quantum theory. This leads us to employ a new physics of objective reduction: "OR" which appeals to a form of quantum gravity to provide a useful description of fundamental processes at the quantum/classical borderline (Penrose, 1994; 1996). Within the OR scheme, we consider that consciousness occurs if an appropriately organized system is able to develop and maintain quantum coherent superposition until a specific "objective" criterion (a threshold related to quantum gravity) is reached; the coherent system then self-reduces (objective reduction: OR). We contend that this type of objective self-collapse introduces non-computability, an essential feature of consciousness. OR is taken as an instantaneous event--the climax of a self-organizing process in fundamental space-time--and a candidate for a conscious Whitehead "occasion" of experience. How could an OR process occur in the brain, be coupled to neural activities, and account for other features of consciousness? We nominate an OR process with the requisite characteristics to be occurring in cytoskeletal microtubules within the brain's neurons (Penrose and Hameroff, 1995; Hameroff and Penrose, 1995; 1996). In this model, quantumsuperposed states develop in microtubule subunit proteins ("tubulins"), remain coherent and recruit more superposed tubulins until a mass-time-energy threshold (related to quantum gravity) is reached. At that point, self-collapse, or objective reduction (OR) abruptly occurs. We equate the pre-reduction, coherent superposition ("quantum computing") phase with preconscious processes, and each instantaneous (and non-computable) OR, or self-collapse, with a discrete conscious event. Sequences of OR events give rise to a "stream" of consciousness. Microtubule-associated-proteins can "tune" the quantum oscillations of the coherent superposed states; the OR is thus self-organized, or "orchestrated" ("Orch OR"). Each Orch OR event selects (non-computably) microtubule subunit states which regulate synaptic/neural functions using classical signaling. The quantum gravity threshold for selfcollapse is relevant to consciousness, according to our arguments, because macroscopic superposed quantum states each have their own space-time geometries (Penrose, 1994; 1996). These geometries are also superposed, and in some way "separated," but when sufficiently separated, the superposition of space-time geometries becomes significantly unstable, and reduce to a single universe state. Quantum gravity determines the limits of the instability; we contend that the actual choice of state made by Nature is non-computable. Thus each Orch OR event is a self-selection of space-time geometry, coupled to the brain through microtubules and other biomolecules. If conscious experience is intimately connected with the very physics underlying space-time structure, then Orch OR in 51 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO microtubules indeed provides us with a completely new and uniquely promising perspective on the hard problem of consciousness. La Nebulosa Aquila (nota anche come M 16 o NGC 6611): regione H II nella costellazione della Coda del Serpente. 52 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 16: Indeterminismo quantistico, Giuseppe Tanzella-Nitti, Alberto Strumia Da G. Tanzella-Nitti, A. Strumia, Dizionario interdisciplinare di scienza e fede. Cultura scientifica, filosofia e teologia, Urbaniana University Press – Città Nuova Editrice, Roma 2002 Nell'ambito della meccanica quantistica, l'indeterminismo non è dovuto all'impossibilità pratica di accedere a tutte le informazioni necessarie per la conoscenza deterministica del moto delle particelle, ma è una “legge di natura”, cioè costituisce un'impossibilità “teorica”, e si colloca al livello microscopico del sistema. Secondo questa interpretazione, la meccanica quantistica non sarebbe una meccanica statistica - come riteneva Einstein e oggi i sostenitori delle “variabili nascoste”, necessarie a completare deterministicamente la meccanica quantistica – e l'indeterminismo non nascerebbe in essa per ragioni di ignoranza, ma per l'impossibilità di principio. Articolo n. 17: I fondamenti filosofici dell’attività scientifica, G. Tanzella-Nitti Da R. Presilla e S. Rondinara, Scienze fisiche e matematiche. Istanze epistemologiche ed ontologiche, Città Nuova Editrice, Roma 2010 Introduzione È diffusa l’idea che la visione scientifica del mondo abbia scalzato la visione filosofica della realtà. Quest’ultima sarebbe non soltanto errata, perché non basata sul metodo empirico, l’unico valido, ma anche inconcludente, perché le prospettive filosofiche variano a seconda degli autori, delle correnti e dei periodi storici, a differenza della scienza, i cui canoni sarebbero invece oggettivi e universalmente comunicabili. Non mancano tuttavia alcuni argomenti in contrasto con tale visione, tanto diffusa quanto inesatta: proprio da questi può prendere avvio la presente riflessione sui fondamenti filosofici del sapere scientifico. In primo luogo vi è ormai un largo consenso sul fatto che il metodo empirico non sia l’unico metodo in base al quale conosciamo e che esistano premesse e precomprensioni filosofiche implicite in ogni conoscenza, e dunque anche in quella scientifica. Inoltre, contrariamente a quanto si pensi comunemente, anche la buona filosofia, come la scienza, prende avvio dall’esperienza del reale e basterebbe l’incontro con un filosofo come Aristotele per mostrarlo in modo inequivocabile. Infine, non va dimenticato che esiste anche una certa universalità e comunicabilità dei grandi temi di ambito filosofico, i quali, come le formulazioni scientifiche, sono in grado di legare l’esperienza di popoli, culture ed epoche diverse. Pur riconoscendo che debba esistere un rapporto più stretto di quanto si pensi fra pensiero scientifico e pensiero filosofico, esistono tuttavia incertezze nel proporre come l’uno debba riferirsi all’altro. Quale immagine converrebbe impiegare per rappresentare l’articolazione fra il pensiero filosofico e quello scientifico? L’immagine più usata, tanto nella letteratura interdisciplinare come nel linguaggio della cultura contemporanea, è assai 53 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO probabilmente quella del “limite”: la filosofia, in sostanza, metterebbe dei limiti alla scienza, la quale dovrebbe riconoscere i propri confini sia nell’aspetto gnoseologico che in quello etico. Si tratterebbe, in sostanza, di un’articolazione consistente nel reciproco riconoscimento di campi di analisi del reale. Meno frequentemente, compaiono però le immagini della “apertura/trascendimento” e quella del “fondamento”. Al sapere filosofico, in questo caso, si accederebbe come trascendimento di quello scientifico, in quanto quest’ultimo sarebbe costitutivamente aperto e non autosufficiente; o, anche, il sapere filosofico starebbe nel fondamento di quello scientifico, sostenendolo implicitamente nelle sue analisi e nelle sue conclusioni veritative. Riteniamo che, nonostante la sua diffusione, esistano buoni motivi per ridimensionare l’applicazione della prima immagine, ovvero quella del limite, privilegiando invece quelle dell’apertura e del fondamento. È da notare che l’idea che il sapere filosofico in qualche modo “delimiti” il sapere e le attività delle scienze viene introdotta soprattutto in ambito etico. Non va però dimenticato che gli aspetti etici non esauriscono il rapporto della filosofia con le scienze e che la stessa impostazione di una etica del limite, l’indicazione cioè di non superare determinati confini nella prassi scientifica, mostra la sua incompletezza rispetto ad una etica delle virtù, della quale può partecipare a pieno titolo anche l’attività scientifica, come vera attività umana e dunque suscettibile di comportamento virtuoso. Va inoltre tenuto presente che esistono prospettive etiche capaci di mostrare come i principi del retto operare (ortoprassi) nascano dall’interno dell’esperienza scientifica dello scienziato e non vengano imposti in modo estrinseco, dall’esterno. Dal punto di vista gnoseologico l’idea del limite resta insoddisfacente in quanto l’oggetto materiale delle scienze (le cose che si possono conoscere) è, di per sé, illimitato, mentre è l’oggetto formale (l’aspetto sotto il quale le conosciamo mediante il metodo scientifico) ad essere limitato, ma nel senso che esso risulta determinato. Vogliamo qui mettere in luce che negli ultimi decenni l’attività scientifica ha, dal suo interno, tematizzato/manifestato una apertura/trascendimento e una conseguente ricerca dei fondamenti dello stesso conoscere scientifico. Essa pare averlo fatto principalmente nel superamento della pretesa di autoreferenzialità dell'impresa logico-matematica voluta dal neopositivismo logico, che potremmo sinteticamente indicare come “il risveglio del prefisso meta”. Tale risveglio lo si può riconoscere in diversi aspetti: la segnalazione di nozioni di infinito che non appartengono alla matematica, dovuta a Cantor; la scoperta di teoremi di incompletezza dei sistemi assiomatici, dovuta a Gödel; la necessità di impiegare metalinguaggi e l’impossibilità di definire tutti gli enunciati veri di un sistema, come osservato da Tarski; la scoperta di limiti finiti di ogni operazione logica automatizzata, dovuta a Turing; ed infine, in termini più profondi e generali, la necessità di un trascendimento del linguaggio formale colta dall’interno della filosofia del linguaggio, come messo in luce da Wittgenstein e dalle nuove correnti di filosofia analitica da lui derivate. L’attività scientifica si è pertanto adoperata nella ricerca di linguaggi che completassero quanto il linguaggio formale non poteva esprimere, rivolgendosi così all’analogia e al linguaggio simbolico o estetico. Da parte sua, l’apertura verso altre forme di conoscenza non formalizzabile è stata favorita dall’abbandono del meccanicismo determinista, quale pretesa di comprensione esauriente ed autoreferenziale del reale, originando come conseguenza una (auspicabile) definitiva rinuncia ad un illecito riduzionismo ontologico come sbocco di un più che lecito riduzionismo metodologico. A 54 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO determinare tale abbandono hanno contribuito la meccanica quantistica (Werner Heisenberg), la scoperta dell’impredicibilità matematica di molti fenomeni (a partire da Henri Poincaré), nonché la stessa emergenza della complessità e la fisica dei sistemi di non equilibrio (Ilya Prigogine), ma anche il progressivo imporsi di approcci olistici e teleonomici, la riscoperta del Concetto di forma e di informazione, la evidente quanto fondamentale osservazione (spesso dimenticata all’epoca del riduzionismo meccanicista) che il tutto è maggiore della somma delle parti1 Ma esiste una ragione ancora più fondamentale del perché la conoscenza scientifica —più precisamente lo scienziato— possa o forse debba aprirsi con naturalezza alla conoscenza filosofica. La scienza, proprio come la filosofia, prende avvio dalla meraviglia di fronte alle cose (θαυμάζειν: Aristotele, Metafisica, A, 2, 982b). A mostrarlo basterebbe notare la ricorrenza di termini come wonder o mystery nelle opere divulgative di non pochi scienziati. Uno studio che cominci con la meraviglia e sia da essa motivato, è difficile che si fermi proprio quando emergano le domande più interessanti, quelle filosofiche, semplicemente perché non si ha la certezza di potervi trovare delle risposte all’interno del metodo empirico. Non è logico che lo scienziato, mosso dalla curiosità e dal vero desiderio di conoscere, rifiuti una conoscenza che gli venga offerta, quella filosofica, anch’essa suscettibile di verifica critica, che verta sul medesimo oggetto del suo studio: la natura, la vita, l’uomo. In prospettiva storica, va osservato inoltre che la domanda sul perché, ritenuta troppo filosofica —e per questo spesso estromessa da una scienza di ispirazione pragmatista o convenzionalista— riemerge con frequenza, in modo inaspettato, nell’attività dello scienziato, fermamente convinto dell’insufficienza di una scienza tesa soltanto a “salvare le apparenze”; quando la nozione di causa è stata estromessa per essere sostituita da quella di legge, non ha tardato a fare la sua successiva ricomparsa (perché le leggi e la loro intelligibilità?, esiste un disegno nel cosmo?). Il tema dell’articolazione fra sapere scientifico e sapere filosofico è certamente complesso e si inquadra nel più generale tema dell’unità del sapere, al quale è possibile accedere mediante modelli di interdisciplinarità2. Esistono proposte avanzate in proposito da autori come Tommaso d’Aquino, Jacques Maritain, Michael Polanyi, e, più recentemente, da Jean Ladrière, Edgar Morin, Basarab Nicolescu. In prospettiva teologica, una scienza non più autoreferenziale, consapevole della propria apertura a forme di sapere che coinvolgono oggetti formali più ampi, dialoga più facilmente anche con la teologia, non qualificando più come fantasiosa o contraddittoria la lettura del mondo offerta dalla Rivelazione ebraico-cristiana, ovvero la lettura di una natura intesa come creazione. Di fatto, il progressivo spostamento di interesse verso i fondamenti del conoscere conduce ad interrogarsi anche sui fondamenti dell’essere, e quindi sul fondamento ultimo, ovvero sui perché ultimi dell’esistenza della realtà/natura, la cui risposta non può essere solo filosofica (l’Assoluto, l’Incondizionato), ma necessariamente anche teologica (perché Dio sfugge alla “presa” della conoscenza filosofica). Si tratta di una 1 Un sintetico riepilogo della vicenda epistemologica del XX secolo può consultarsi in A. Strumia, Le scienze e la pienezza della razionalità, Cantagalli, Siena 2003. 2 Un riferimento obbligato è all’opera di J. Maritain, Distinguere per unire. I gradi del sapere (1932), Morcelliana, Brescia 1974. 55 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO risposta che non è soltanto cercata, ma, soprattutto, deve essere ricevuta come donata (Rivelazione). In questo saggio ci proponiamo di riepilogare, in modo necessariamente sintetico, quattro modalità/ambiti in cui il sapere filosofico, qui inteso in senso ampio, può riconoscersi nel fondamento dell’attività scientifica. Riteniamo che siano riconoscibili quattro tipi di fondamenti, ai quali dedicheremo per ciascuno una sezione: storici, ontologici, logico-epistemologici e antropologici. I. Fondamenti storici Come è ben noto, l’osservazione scientifica nasce storicamente già nell’epoca presocratica come parte della filosofia della natura. Quest’ultima, partendo dall’osservazione del moto e del cambiamento cercava di comprenderne le cause. Si trattava di una conoscenza di carattere generale, che prendeva avvio da principi di per sé evidenti, basata su esperienze di ambito universale, che includeva il ruolo del soggetto riflettente, conoscenza che procedeva dai sensi, capace di tematizzare aspetti qualitativi e non solo quantitativi. Fino all’inizio del XIX secolo le scienze fisiche vengono ancora chiamate filosofia naturale. La produzione scientifica di Cartesio e di Newton è presentata ancora sotto questo nome. Nel contemporaneo linguaggio scientifico sono tuttora presenti concetti che hanno origine dalla filosofia aristotelica (energia, materia, forza, trasformazione, ecc.). È interessante ricordare la presenza del termine “filosofia” in titoli di opere scientifiche come I. Newton, Principia Mathematica Philosophiae Naturalis (1687) o J. Dalton, New System of Chemical Philosophy (1810), ma non ancora assente da opere della seconda metà del Novecento, come J. Monod, Il caso e la necessità (1971), il cui sottotitolo recitava Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea. Il distacco metodologico delle scienze della natura dalla filosofia della natura, avvenuto storicamente con la nascita del metodo galileiano (la riduzione del fenomeno ad un modello matematico capace di essere controllato da un esperimento riproducibile), ma già preparato dal crescente uso delle matematiche nell’analisi e nella previsione dei fenomeni naturali, prima con Ruggero Bacone, poi con Galileo, Keplero e Descartes, era nella sua origine consapevole di operare una “riduzione”. Si trattava della riduzione dell’oggetto in studio alle sue dimensioni empiriche (dapprima con le scienze fisiche ma poi anche con la biologia), prima fra tutte la misurabilità, mediante il ricorso a modelli ideali ed approssimativi, entro i limiti di tolleranza richiesta a seconda dei casi. Le scienze naturali non potevano tuttavia prescindere, nel loro studio, da una serie di nozioni primitive e da un esercizio della razionalità (spontanea o riflessa) che erano ancora di origine filosofica, le cui giustificazioni ultime non si trovavano, né si trovano, all’interno del metodo scientifico (l’essere e la natura delle cose come dati di partenza, principio di legalità, principio di verificazione, principio di non contraddizione, principio di causalità, operatività dell’astrazione e dell’analogia, ecc.). Tali premesse, sia logiche che ontologiche, presenti tanto nel metodo quanto nell’oggetto delle scienze, diverranno sempre più implicite ed inespresse, al punto tale da non avvertire più la necessità di riflettervi sopra. Ad occuparsene sarà appunto una filosofia, la “filosofia della scienza”, mentre la scienza in quanto tale cesserà progressivamente di considerarle. Occorrerà attendere gli esiti del Novecento, quando il sorgere di nuove problematiche scientifiche ed epistemologiche di 56 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO frontiera come l’indeterminismo e la complessità, il problema dei fondamenti e dell’intero, la rivalutazione della forma, della direzionalità e dell’emergenza, ecc., spingeranno la scienza a volgersi “dal suo interno” verso una nuova riflessione sul proprio metodo. Nella sua origine il metodo scientifico aveva posto l’accento sulla causalità efficiente, trascurando, per i fini quantitativi e predittivi della propria analisi, la causalità formale e quella finale. Le svolte epistemologiche del Novecento segnano un recupero proprio delle “causalità dimenticate” (formale e finale), oltre ad un attento riesame dei problemi legati al linguaggio, alle definizioni assiomatiche, al rapporto fra soggetto e oggetto. Storicamente, autonomia delle scienze dalla filosofia non voleva dire separazione o indipendenza, ma distinzione e operatività metodologica. La filosofia, nelle sue varie forme regolatrici legate alla logica, alla filosofia della natura e alla metafisica, ma anche al senso comune, continua ad offrire di fatto i presupposti che rendono possibile ogni attività scientifica anche se, nella maggior parte del suo lavoro ordinario, la scienza non ha necessità di tematizzare in modo esplicito tale aspetto. Questo stato di cose fa comprendere meglio perché un modo corretto di indicare lo snodo fra scienze naturali e sapere filosofico non sia tanto quello di insistere sui “limiti” della scienza, ma piuttosto quello di parlare dei suoi “fondamenti”: il sapere filosofico si colloca primariamente nel nucleo del sapere scientifico, solo secondariamente sulla sua frontiera. L’influenza delle visione filosofica del mondo nello sviluppo del pensiero scientifico di una determinata epoca viene così riepilogata da Alexandre Koyré nel suo saggio L’influenza delle concezioni filosofiche sull’evoluzione delle teorie scientifiche (1954): «La storia del pensiero scientifico ci insegna (come cercherò di sostenere) queste tre cose: a) che il pensiero scientifico non è mai stato del tutto separato dal pensiero filosofico; b) che le grandi rivoluzioni scientifiche sono sempre state determinate da grandi rivolgimenti o cambiamenti delle concezioni filosofiche; c) che il pensiero scientifico — e parlo delle scienze fisiche — non si sviluppa in vacuo, ma sempre all’interno di un quadro di idee, di princìpi fondamentali, di evidenze assiomatiche, che abitualmente vengono considerate come appartenenti propriamente alla filosofia»3. Oltre ai numerosi lavori di Koyré, la rivalutazione della componente storico-filosofica nello sviluppo delle scienze è stata discussa in modo particolarmente efficace da Pierre Duhem (1861-1916) e, in tempi più recenti, da Alistair C. Crombie (1916-1996)4. In prospettiva teologica, infine, il fatto a) che la Rivelazione cristiana sia stata essa stessa sorgente, fonte di sapere e di concezioni filosofiche, e b) che esista un’influenza di concezioni filosofiche sulle teorie scientifiche e sul modo di fare scienza, implica che si Tr. it. dall’originale francese De l’influence des conceptions philosophiques sue l’évolution des theories scientifiques, in “Etudes d’histoire de la pensée philosophique”, Gallimard, Paris 1971, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press Città Nuova 2002, p. 2264. 4 Sui fondamenti storici dell’attività delle scienze, riepiloghiamo alcuni classici riferimenti: P.Duhem, Le système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic, 10 voll., Hermann, Paris 1913-1959; A. Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito (1957), Feltrinelli, Milano 1988; A.Koyré, Dal mondo del pressapoco all’universo della precisione, Einaudi, Torino 1969; A.C. Crombie, Styles of Scientific Thinking in the European Tradition, 3 voll., Duckworth, London 1994; S.L. Jaki, The Relevance of Physics, University of Chicago Press, Chicago 1970. 3 57 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO possa ragionevolmente parlare, in chiave storica, di un ruolo giocato dalla Rivelazione nel sorgere e nello sviluppo del pensiero scientifico. II. Fondamenti ontologici Dicono che Paul Dirac (1902-1984) cominciasse le sue lezioni di Meccanica quantistica dicendo: “È assunta l’esistenza di un mondo esterno: questa è tutta la metafisica di cui avremo bisogno”. Questa richiesta di Dirac, apparentemente minimalista, è in realtà la tacita richiesta di un fondamento ontologico: e non è cosa da poco... Analogamente, il matematico Julius Dedekind (1831-1916) amava ripetere che “con i numeri naturali, la matematica può creare ogni cosa. Ha però bisogno che Dio crei i numeri naturali…” Alla base di ogni filosofia della natura, che fonda a sua volta la possibilità di una scienza naturale, deve necessariamente esserci una ontologia. Il richiamo esplicito ad un’ontologia resta (lecitamente) inespresso nell’analisi delle scienze, ma l’ontologia è come “nascosta” nel loro linguaggio. In merito al riconoscimento di tali fondamenti può essere riproposta, perché a nostro avviso insuperata, la distinzione classica, di origine tomista, fra essenza e atto di essere. L’essenza di un ente, sulla quale in ultima analisi poggia l’indagine empirica delle scienze naturali, non ha in sé la ragione del proprio atto di essere, ovvero della sua esistenza. Il materialismo scientista aveva riassorbito il problema dell'esistenza delle cose in quello della loro essenza; in altri termini, occupandosi di spiegare le “caratteristiche essenziali” delle cose, il materialismo riteneva di poter spiegare, come conseguenza necessaria, anche il perché della loro esistenza. Conoscere ciò che le cose sono, per il materialismo, equivarrebbe a sapere anche perché esse esistono: tutto ciò che esiste, esiste necessariamente e non potrebbe essere altrimenti. Tale visione si ritrova, ad esempio, in chi ritiene che, una volta spiegato in cosa consistano le leggi fisiche che hanno dato origine all'intero universo, si sia allora in grado di capire che cosa l’universo sia, e perché l'universo sia; oppure, che spiegando come sia fatto un embrione umano o il suo genoma, si possa per questo spiegare in modo esaustivo cosa l'uomo sia e perché l'uomo sia. Si tratta di visioni che riducono il problema della verità alla sola prospettiva eziologica, finendo col mitizzare la ricerca dell’origine. L’esistenzialismo, invece, assorbe l'essenza nell'esistenza: a questo mondo non c'è nulla da spiegare, ma si prende solo atto dell'esistenza delle cose. Cercare la ragione di un'essenza, la persistenza di una natura, o il fondamento di una legge, sono questioni che non avrebbero senso, perché ciò che possiamo conoscere delle cose è soltanto la loro situazione contingente, la loro apparenza, la loro emergenza casuale dal flusso dell'esistenza. Perché la scienza possa studiarli, occorre che gli oggetti esistano (appunto come enti). La scienza non può dare ragione della loro esistenza, né del perché ultimo dell’essere in quanto tale, avendo a che fare con trasformazioni di un ente in un altro. La natura di alcune trasformazioni, è vero, può far pensare, a volte, che la scienza dia ragione dell’essere delle cose. Porre in essere vuol dire “creare” e la scienza non ha a che fare con la creazione. La materializzazione, da un campo di radiazione, di una coppia particella-antiparticella (trasformazione di energia in materia) non equivale a creare alcunché, né la possibilità di estrarre energia dalla geometria della spaziotempo (energia del vuoto) costituisce alcun creare, ma implica semplicemente dedurre quantità (fisiche) da altre quantità (geometriche, 58 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO La Nebulosa Farfalla (nota anche come NGC 6302 o C 69): nebulosa planetaria bipolare nella costellazione dello Scorpione. 59 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO quantistiche, ecc.) date o comunque poste. Dare origine a materia o energia mediante una fluttuazione quantistica del vuoto fisico, ad esempio, è dedurre una esistenza (energia o materia) dalla esistenza di altre cose: un sistema di leggi, di proprietà, ecc., le quali rappresentano un supporto ontologico, per virtuale che sia. Anche se sposassimo il sogno neopositivista di ridurre la chimica, la biologia, ecc., alla fisica e infine alla logica-matematica (cosa che oggi sappiamo essere impraticabile), quando si parla della vita occorre riferirsi ad un nuovo fondamento ontologico, ad un nuovo modo di essere. È l’emergenza di un nuovo soggetto-ente che prima non c’era e che rende uno (cioè unifica) l’insieme dei processi fisici, chimici e biologici che concorrono alla formazione e alla conservazione del vivente. Anche l’emergenza dell’essere umano implica un nuovo fondamento ontologico, quello di un “io” che non soltanto unifica i processi della vita umana, ma è capace di “riflettere su se stesso”, come un nuovo modo di essere (essere cosciente) irriducibile ai precedenti. Riconoscere un fondamento ontologico all’attività scientifica vuol dire anche riconoscere che quest’ultima si fonda sulla “essenza” (ovvero sulla natura) delle cose, oltre che, come abbiamo visto, sulla loro “esistenza”. La scienza si propone di esprimere le proprietà degli enti fisici (ma anche biologici) in termini di proprietà sempre più fondanti, basilari. Tuttavia, se gli enti hanno comportamenti “legali” (leggi di natura, conservazione della massa della carica, ecc., capacità di attrarre o di respingere, di legarsi chimicamente, interazioni fra materia e radiazione, occupazioni di stati quantistici, ecc.) è perché tali proprietà rimandano, in ultima analisi, ad un “sostrato metafisico” dell’ente chiamato classicamente “natura” (principio operativo di una essenza), che fa sì che un determinato ente, in presenza di identiche condizioni e circostanze, agisca e interagisca sempre nello stesso modo. Tale “substrato metafisico” non è oggetto diretto della indagine empirica delle scienze, ma rende la scienza possibile, in quanto la scienza si basa sul comportamento legale degli enti. Va chiarito in proposito, per quanto concerne il comportamento legale degli enti, che il principio di legalità non è un principio determinista. Il principio di legalità ci dice che esiste un comportamento legale, uniforme, scoperto induttivamente, che poggia in ultima analisi sulla stabilità della natura metafisica di un ente. Il principio determinista, invece, afferma che una volta conosciuto lo stato di un sistema e le leggi che ne descrivono l'andamento delle sue grandezze fisicomatematiche nello spazio e nel tempo, è sempre possibile conoscere in modo deterministico la sua configurazione in ogni momento passato o futuro. L’insufficienza di un principio determinista, messa in luce dall’epistemologia e dalla stessa scienza contemporanea, non inficia pertanto la validità di un principio di legalità, senza il quale la stessa scienza non potrebbe sussistere. Talvolta, le scienze naturali percepiscono l’esistenza di un “fondamento ontologico” necessario per la loro attività, attraverso un accesso gnoseologico, ovvero quando esse si imbattono nei fondamenti stessi del conoscere, incontrando i classici problemi di incompletezza logica oppure ontologica e mostrando la propria incapacità a ricondurre ad un monismo deduttivo alcuni rapporti irriducibili. Appartengono a questo tipo di rapporti quelli esistenti, ad esempio: fra leggi di natura e topologia, (o fra il sistema di equazioni che descrivono un modello cosmologico e le condizioni al contorno), in cosmologia; fra materia+energia e informazione nello studio del cosmo fisico; fra sintassi e semantica nell’Intelligenza Artificiale; fra informazione genetica e struttura cellulare in biologia; fra mente e corpo nello studio del cervello. 60 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO La necessità di un fondamento ontologico è specialmente evidente nella cosmologia contemporanea, e proprio perché essa, nel tentativo di considerare tutto l’universo come un solo oggetto di intelligibilità, incontra con frequenza veri e propri problemi di incompletezza ontologica, che non sono altro se non percezioni dell’esistenza di un fondamento ontologico che la scienza riceve e non crea. «La scienza è incompetente a ragionare sulla creazione della materia dal nulla. Abbiamo raggiunto i limiti estremi delle nostre capacità di pensiero quando abbiamo ammesso che in quanto la materia non può essere eterna e esistente di per sé stessa deve essere stata creata. È solo quando contempliamo non la materia in sé, ma la forma in cui essa effettivamente esiste, che la nostra mente trova qualcosa su cui far presa. Che la materia come tale debba avere certe proprietà fondamentali —che debba esistere nello spazio e debba essere capace di movimento, che il suo movimento debba essere persistente e così via— sono verità che per quanto ne sappiamo possono essere del genere che i metafisici chiamano necessarie. Possiamo usare la nostra conoscenza di tali verità per scopi di deduzione, ma non abbiamo dati per la speculazione riguardo alla loro origine»5 In prospettiva teologica, il fatto che esistano dei fondamenti ontologici dell'attività delle scienze, rimanda in ultima analisi al fatto che l’indagine scientifica non può dare ragione dell’Essere, dell’intero, del tutto. L’immagine di un Dio Creatore che chiama in essere dal nulla le cose e che sia la ragione del perché ultimo delle proprietà ultime della loro essenza, del perché sono così come sono e non altrimenti, ovvero del loro comportamento legale: a) non interferisce con l’analisi delle scienze (non è un Dio tappabuchi); b) risponde a livelli di spiegazione di per sé inaccessibili alle risposte delle scienze naturali (ma non estranei alle domande di queste ultime). «Per quanto le nostre spiegazioni scientifiche possano essere coronate dal successo, esse incorporano sempre certe assunzioni iniziali. Per esempio, la spiegazione di un fenomeno in termini fisici presuppone la validità delle leggi della fisica, che vengono considerate come date. Ma ci si potrebbe chiedere da dove hanno origine queste leggi stesse. Ci si potrebbe perfino interrogare sulla logica su cui si fonda ogni ragionamento scientifico. Prima o poi tutti dobbiamo accettare qualcosa come dato, sia esso Dio, oppure la logica, o un insieme di leggi, o qualche altro fondamento dell'esistenza [...] Attraverso il mio lavoro scientifico sono giunto a credere sempre più fermamente che l’universo fisico è costruito con un’ingegnosità così sorprendente che non riesco a considerarlo meramente come un fatto puro e semplice. Mi pare che ci debba essere un livello più profondo di spiegazione. Se si desidera chiamare tale livello Dio è una questione di gusto e di definizione»6 Fra gli scienziati che hanno messo in luce il problema dei fondamenti ontologici del sapere scientifico vanno menzionati matematici Federigo Enriques (1871-1946) ed Ennio De Giorgi (1928-1996), il fisico James Clerk Maxwell (1831-1879), l’astrofisico Paul Davies (n. 1946). 5 6 J.C. Maxwell, Scientific Papers, 1890, vol. II, p. 375. P. Davies, La mente di Dio, 1993, pp. 5-7. 61 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO III. Fondamenti logico-epistemologici «Tutte le discipline —affermava Clemente di Alessandria— sono un aiuto della filosofia e la filosofia stessa è un aiuto a comprendere la verità»7. Il primo fondamento epistemologico dell’attività scientifica giace nell’implicito riconoscimento dell’esistenza di una verità cui la ricerca tende. La scienza sta o cade con il problema della verità. Quest’ultima è colta certamente nei suoi aspetti logici (principio di non contraddizione, principio di identità, verità del giudizio, ecc.), ma anche nei suoi aspetti ontologici (problema del realismo e dell’esistenza di un progresso significativo delle conoscenze al di là del cambio dei paradigmi conoscitivi impiegati). Perfino un autore come F. Nietzsche, giungerà ad affermare: «La nostra fede nella scienza poggia sempre su una fede metafisica; anche noi, attuali ricercatori della conoscenza, noi senza Dio e antimetafisici, riceviamo tuttora il nostro fuoco dal braciere che una fede millenaria ha acceso ed alimentato, quella della fede cristiana condivisa anche da Platone, secondo la quale Dio è verità e la verità è divina». Un secondo fondamento logico-epistemologico è rappresentato dal fatto che esistono principi e proposizioni di controllo, mediante i quali operiamo nelle scienze, che sono nonconfutabili e non-verificabili, e nondimeno vengono giustamente considerati come certezze ultime. Si tratta di certezze e di principi regolatori che hanno una funzione normativa nello sviluppo di tutta la scienza. Essi appartengono sostanzialmente alla cosiddetta filosofia prima e al senso comune. Fra essi possiamo ricordare: il principio di non contraddizione; il principio di identità; il principio di causa; gli elementi primitivi delle definizioni logiche, geometriche, matematiche, ecc.; i principi della logica formale elementare; ecc. Tali principi o proposizioni di controllo sono indimostrabili e inconfutabili per due ragioni. In primo luogo perché devono essere presupposti in qualsiasi tentativo di prova o di confutazione razionale; in secondo luogo, perché mettono in gioco una relazione fra il pensiero e una forma di essere che non si può esprimere con modalità Logiche o dimostrative, in quanto tale relazione è espressione dell’impegno del soggetto verso la realtà, realtà che la conoscenza razionale presuppone e su cui la ragione riposa quando cerca la verità. Affermava Blaise Pascal: «I principi si sentono, le proposizioni si dimostrano, e il tutto con certezza, sebbene per differenti vie» (Pensieri, n. 149). Lungi dall’essere irrazionali, tali certezze ultime hanno a che fare con il riferimento logico e ontologico della ragione alla natura e alla struttura delle cose, riferimento che tutte le forme di ragionamento sono destinate a seguire. In sostanza, per ogni conoscenza formalmente definita dobbiamo poggiarci su una conoscenza non-formale di qualcos’altro; ovvero, non possiamo usare proposizioni formali da sole, separate dalle ipotesi non formali che regolano la loro funzione. Appartengono al genere dei presupposti/fondamenti filosofici del conoscere scientifico: la fiducia nella razionalità e nell’ordine della natura (ovvero fiducia nel comportamento legale degli enti, nell’esistenza di criteri di simmetria, ecc.); il fatto che il cosmo sia intelligibile, ovvero esista una “sintonia” tra la struttura della natura (compreso il fatto che sia matematizzabile) e la nostra mente; assumere (al di là di quanto si potrebbe concludere su basi meramente empiriche basandosi sul principio di induzione) l’unità e l’universalità delle leggi di natura e delle proprietà elementari della materia, ovvero il fatto 7 Stromati, lib. VI, cap. 11, 91,1. 62 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO che esse siano rigorosamente identiche dappertutto — in definitiva, l’idea di applicare su scala universale delle leggi verificate su scala locale. Alcuni autori hanno talvolta messo in luce la fiducia nella razionalità e nell’ordine della natura impiegando l’idea di una “fede scientifica”, volendo indicare con questa espressione semplicemente il fatto che alcuni principi necessari per fare scienza devono essere dati per presupposti, quasi accettati per fede. «Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura (per quanto siamo autorizzati a parlare di comprensibilità), come un miracolo (Wunder) o un eterno mistero (ewiges Geheimnis). Ebbene, ciò che ci dovremmo aspettare, priori, è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe (di più, ci si dovrebbe) aspettare che il mondo sia governato da leggi soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe un ordine simile a quello alfabetico, del dizionario, laddove il tipo d’ordine creato ad esempio dalla teoria della gravitazione di Newton ha tutt’altro carattere. Anche se gli assiomi della teoria sono imposti dall'uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado d’ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È questo il “miracolo” che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze. È qui che si trova il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, felici solo perché hanno la coscienza di avere, con pieno successo, spogliato il mondo non solo degli dèi (entgöttert), ma anche dei miracoli (entwundert)»8. Si tratta dunque di fondamenti di ambito ontologico (essere) con effetti in ambito epistemologico (conoscere). Oltre alla distinzione fra principio di legalità e principio determinista, possiamo adesso precisare che ambedue questi principi si differenziano anche da uno dei più importanti principi presupposti dalla attività delle scienze, il cui ambito è assai più generale: il principio di causalità. Se il principio di legalità ci dice che esiste un comportamento legale, uniforme, scoperto induttivamente, tale da rendere disponibile — come avvenne di fatto in chiave storica — un riferimento ascendente all’esistenza di un Legislatore, il principio determinista si riferiva alla possibilità di conoscere modo deterministico la configurazione dello stato di un sistema, in ogni momento passato o futuro, a partire dalla sua conoscenza nel momento attuale. Il principio di causalità, invece, ha una portata prima di tutto metafisica e afferma che ogni ente finito e contingente (ordine dell'essere) ed ogni cambiamento (ordine del divenire) hanno sempre una causa. La validità di questo principio non dipende dal giudizio sull'uniformità o sulla stabilità delle leggi di natura, né dalla possibilità di prevedere con precisione tutti gli effetti a partire dalla conoscenza delle loro cause. Max Born (1882-1970) sottolineava la necessità di non identificare “causalità” e “determinismo” come ha fatto erroneamente il meccanicismo. Nella meccanica quantistica «non è la causalità propriamente detta ad essere eliminata, ma soltanto una sua interpretazione tradizionale che la identifica con il determinismo»9. In particolar modo egli sottolinea il fatto che «l’affermazione frequentemente ripetuta, secondo la quale la fisica A. Einstein, Lettera a M. Solovine, 30.3.1952, in “Opere scelte”, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988, pp. 740-741. 9 M. Born, Filosofia naturale della causalità e del caso, Boringhieri, Torino 1982, p. 129. 8 63 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO moderna ha abbandonato la causalità, è del tutto priva di fondamento. È vero che la fisica moderna ha abbandonato e modificato molti concetti tradizionali; tuttavia cesserebbe di essere una scienza se avesse rinunciato a ricercare le cause dei fenomeni»10. È ugualmente un fondamento logico-epistemologico della conoscenza scientifica l’innata tendenza del ricercatore a conoscere mediante relazioni, a cogliere la realtà come un tutto, a voler dare una spiegazione coerente ed unitaria dei motivi degli sviluppi e delle trasformazioni, a voler “mettere ordine”, fiducioso che ciò corrisponda ad un ordine e una coerenza già presenti in natura. Un ulteriore presupposto epistemologico è quello della irreversibilità della freccia del tempo, che rende possibile l’idea di “storia naturale”, o di “storia del cosmo”: la natura può essere letta coerentemente secondo una storia, uno sviluppo, una evoluzione. Anche nel caso dei fondamenti logico-epistemologici, come nei due casi precedenti, esistono delle risonanze di carattere teologico. Una scienza consapevole della propria apertura a forme di sapere che coinvolgono oggetti formali più ampi, e maggiormente interessata ai fondamenti del proprio conoscere, resta costitutivamente aperta alla nozione filosofico-teologica di Logos (ragione, fondamento, ordine, ma anche parola, dialogo), e può porsi pertanto più facilmente in rapporto anche con la teologia. Di fronte allo stupore per l’intelligibilità e l’ordine della natura, il teologo può invitare lo scienziato ad aprirsi a riconoscere ciò che è dato come donato, e dal dono risalire al donatore. Fra gli scienziati che hanno messo in luce il problema dei fondamenti logicoepistemologici del sapere scientifico vanno menzionati i fisici Max Planck (1858-1947) e Albert Einstein (1879-1955), il matematico e termodinamico Henri Poincaré (1854-1912). IV. Fondamenti antropologici L’impresa scientifica non si presenta mai come attività impersonale e totalmente oggettivante. Sebbene nel corso del loro procedere ordinario le scienze debbano sviluppare un metodo oggettivo che prescinda da, e rimuova, nella misura del possibile, ogni posizione privilegiata dell’osservatore, la dimensione “soggettivo-personale” del ricercatore interviene in modo determinante nella genesi e nella dinamica di ogni ricerca11. In merito al coinvolgimento personale presente in ogni ricerca, nel suo libro La conoscenza personale, Polanyi riporta questo consiglio di Baker ai ricercatori: «Alzatevi al mattino col vostro problema davanti agli occhi. Fate colazione con esso. Andate al laboratorio con esso. Prendete con esso il pasto di mezzogiorno. Tenetevelo con voi dopo il pasto. Andate a letto con esso nella mente. Sognatevelo»12. I fattori e il contesto personali del ricercatore sono determinanti perché in base ad essi il soggetto sceglie cosa valga la pena di studiare e di ricercare, basandosi su criteri spesso incomunicabili. Saranno queste motivazioni personali il principale fattore che sosterrà nel tempo la sua ricerca. L’intuizione di un’ipotesi, la formulazione di una teoria e 10 Ibidem, p. 14. Riflessioni assai utili in proposito sono contenute in M. Polanyi. La conoscenza personale (1958), Rusconi, Milano 1990; J.C. Polkinghorne, Scienza e fede, Mondadori, Milano 1987; T. Torrance, Senso del divino e scienza moderna, LEV, Città del Vaticano 1992; E. Cantore, L'uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza (1977), EDB, Bologna 1988. 12 J.R. Baker, Science and the Planned State, cit. in M. Polanyi, La conoscenza personale, Rusconi, Milano 1990. 11 64 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO la stessa dinamica della scoperta rispondono spesso a precomprensioni e convincimenti del soggetto, di ordine euristico, filosofico e comunque extrascientifico (forma mentis), presenti nel ricercatore a livello di conoscenza sintetica, tacita, inespressa. Nei loro aspetti sistematici, le formulazioni scientifiche rispecchiano generalmente criteri di semplicità e di eleganza, ritenuti normativi, e spesso impiegati quali criteri di verità, in base ai quali operare un controllo sui risultati: «È più importante che le proprie equazioni siano “belle” affermava Paul Dirac — piuttosto che esse combacino con gli esperimenti, perché se si lavora con la prospettiva di rendere belle le equazioni, e si possiede una profonda intuizione, si è certamente sulla strada del vero progresso nella conoscenza scientifica»13. Da parte di chi ha condotto una ricerca, la presentazione di dati sperimentali — come ben sa chi si è occupato di analisi di dati— risente di una carica “esistenziale” che consente di “vedere” in essi di più di quanto non vedano gli altri, semplicemente perché egli possiede una maggiore conoscenza contestuale, non formalizzabile, e in parte non comunicabile, che rappresenta un reale coefficiente di conoscenza del soggetto. Parte del fondamento antropologico dell’impresa scientifica è rappresentato dalla presenza, non sempre esplicitamente riconosciuta, di una dimensione etica interna all’attività scientifica. Lo scienziato può percepirla in modo non-eteronomo, ovvero come esigenza intrinseca che scaturisce dal suo stesso fare scienza, una volta riconosciuta alla scienza la capacità di legare alla verità e di non fermarsi alle sole apparenze. Come “attività della persona”, la scienza non è mai “neutra”. Poiché la libertà può predicarsi solo di un soggetto “personale”, risulta più logico parlare di “libertà del ricercatore” piuttosto che di “libertà di ricerca”. La dimensione antropologica delle scienze viene oggi spesso indicata come “dimensione umanistica delle scienze” e rappresenta una delle basi di riflessione dell’umanesimo scientifico (la scienza come valore umano, come fattore di umanizzazione, ecc.). «[Parlare di umanesimo nella scienza] non vuol dire temere che si prospetti una sorta di “controllo umanistico sulla scienza”, quasi che, sul presupposto di una tensione dialettica tra questi due ambiti del sapere, fosse compito delle discipline umanistiche dirigere ed orientare in modo estrinseco i risultati e le aspirazioni delle scienze naturali, protese verso la realizzazione di sempre nuove ricerche e l’allargamento dei loro orizzonti applicativi […]. Le responsabilità etiche e morali collegate alla ricerca scientifica possono essere colte come un’esigenza interna alla scienza in quanto attività pienamente umana, non come un controllo, o peggio un’imposizione, che giunga dal di fuori. L’uomo di scienza sa perfettamente, dal punto di vista delle sue conoscenze, che la verità non può essere negoziata, oscurata, o abbandonata alle libere convenzioni o agli accordi fra i gruppi di potere, le società o gli Stati. Egli, dunque, a motivo del suo ideale di servizio alla verità, avverte una speciale responsabilità nella promozione dell’umanità, non genericamente o idealmente intesa, ma come promozione di tutto l’uomo e di tutto ciò che è autenticamente umano»14. In prospettiva teologico-religiosa, va considerato che alcune delle precomprensioni di natura filosofica presenti nel soggetto che fa scienza possono avere un’origine anche religioso-esistenziale. Lo sono a livello di motivazioni che sostengono l’attività scientifica, 13 14 P. Dirac, The Evolution of Physicist’s Picture of Nature, “Scientific American” 208 (1963), n. 5, p.47. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 13 novembre 2000, nn. 2 e 3. 65 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO come ben messo in luce da questa riflessione di Poincaré: «Lo scienziato non studia la natura perché sia utile farlo. La studia perché ne ricava piacere; e ne ricava piacere perché è bella. Se la natura non fosse bella, non varrebbe la pena di sapere e la vita non sarebbe degna di essere vissuta»15. La personale visione religiosa può inoltre influire a livello di visioni unificanti di ambito generale: fiducia nella razionalità del cosmo, valore universale delle leggi di natura perché si considera l’universo come unico effetto di un’unica causa, giudizio di insufficienza verso metodologie riduzioniste e scelta di approcci di natura olistica, operatività di concezioni capaci di comporre poli opposti, non contraddittori, in modo non dialettico, ecc. È dunque la fede teologica nel fatto che un Logos esiste davvero nella natura, perché la natura è creata, l’origine della fiducia nella comprensibilità della natura: «Tanto il credente come il non credente si impegnano a decifrare il complicato palinsesto della natura, dove le tracce delle diverse tappe della lunga evoluzione del mondo si sono sovrapposte e confuse. Il credente può avere però un vantaggio, quello di sapere che l'enigma ha una soluzione, che la scrittura che vuole decifrare è, in fin dei conti, opera di una intelligenza, poiché il problema posto dalla natura è stato posto per essere risolto e la difficoltà di risolverlo è proporzionata senza dubbio alle capacità della ragione, dell'umanità presente o di quella che verrà»16. L’“esperienza dei fondamenti” dell’essere e del conoscere, come percepita dal ricercatore di fronte alle incompletezze di ordine logico e ontologico, può confluire in una percezione dell’Assoluto, e dunque in un’esperienza di natura religiosa. La percezione di una dimensione etica interna all’attività scientifica può far cogliere la corrispondenza, nel mondo reale, fra essere e significato: le cose significano qualcosa, ovvero la loro “natura” e non possono essere trattate, manipolate o impiegate, prescindendo da essa. Dio creatore è, in definitiva, l’autore e il garante della natura e del significato di ogni cosa e, dunque, del loro valore etico. Fra gli autori che hanno messo in luce il problema dei fondamenti antropologici del sapere scientifico vanno menzionati il chimico-fisico Michael Polanyi (1891-1976), il fisico John C. Polkinghorne (n. 1930), il filosofo Thomas F. Torrance (n. 1913), il filosofo e fisico Enrico Cantore (n. 1926) V. Osservazione conclusiva Il filosofo e lo scienziato devono entrambi ascoltare la natura, ma lo fanno in modo diverso. Il filosofo ascolta la natura come lo studente ascolta un maestro; lo scienziato la ascolta come un avvocato il testimone che interroga. Lo scienziato deve formulare delle domande precise — attraverso esperimenti — ed otterrà risposta, eventualmente, solo a ciò che chiede; il filosofo, il metafisico in particolare, ascolta cercando di ridurre al minimo le sue precomprensioni e accontentandosi di informazioni del tutto generali. Lo studente non chiede al maestro la ragione dell’ordine con cui gli vengono trasmesse le conoscenze, ma in un certo senso la “scopre” come dato e ne cerca il motivo a posteriori. L’avvocato può 15 H. Poincaré, in S. Chandrasekhar, Verità e bellezza, Garzanti, Milano 1990, p. 99. G. Lemaître, citato da O. Godart, M. Heller, Les relations entre la science et la foi chez Georges Lemaître, in “Pontificia Academia Scientiarum”, Commentarii, vol. III, n. 21, p. 7. 16 66 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO imporre il suo ordine al ragionamento da ricostruire, ma deve essere disposto a rivederlo continuamente17. Non è probabilmente per caso che Fisica di Aristotele avesse significativamente, come titolo, Φυσική Aκρόασις, ovvero, letteralmente l’Ascolto della Natura. M 106 (nota anche come NGC 4258): galassia a spirale nella costellazione dei Cani da Caccia. L’immagine viene suggestivamente proposta da M. Augros, Reconciling Science with Natural Philosophy, “The Thomist” 68 (2004), pp. 105-141. 17 67 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Articolo n. 18: Theologia physica? Razionalità scientifica e domanda su Dio, G. Tanzella-Nitti Da Hermeneutica (2012), 37-54 1. Introduzione: Theologia physica e discorso su Dio Commentando un brano delle Antiquitates di Marco Terenzio Varrone, sant’Agostino riprende nel libro VI del De civitate Dei la tripartizione classica fra tre diverse forme della religione, conseguenza di tre diversi “discorsi su Dio” – tre “teologie” appunto – indicate come theologia civilis, theologia physica e theologia mythica, ciascuna delle quali si esprime in un luogo contestuale specifico, rispettivamente la polis, il kosmos e il theatrum. Come è noto, il Vescovo di Ippona prende spunto dal suggerimento implicito di Varrone di accordare una maggiore istanza veritativa alla seconda, la theologia physica, per affermare che i cristiani, al momento di parlare di Dio, dovevano realizzare una scelta analoga18. Il motivo addotto è il legame di questa theologia con la realtà, dunque con l’essere: mentre i poeti parlano degli dei del teatro come favole (mythoi) e gli imperatori si fanno dei pur restando uomini, i physici, cioè i filosofi naturali, parlano di un logos e di uno theion a partire dall’essere del cosmo, quel medesimo cosmo che i cristiani sanno creato dall’unico Dio. In sintonia con Agostino si erano già pronunciati Ireneo, Atanasio, Clemente di Alessandria, diversi apologeti greci, Basilio e perfino lo stesso Tertulliano. Dovendo parlare di Dio, e dovendo annunciare il Dio di Gesù Cristo, i cristiani non potevano fare altro che poggiarsi su quell’accesso all’Assoluto disponibile attraverso l’osservazione della natura e la riflessione sul cosmo 2. Una simile scelta è già precocemente formulata da san Paolo nel corso del suo viaggio apostolico con Barnaba a Listra. Come si ricorderà, successivamente ad un miracolo di guarigione realizzato dall’apostolo, il popolo inneggia a Paolo e a Barnaba come a Zeus e a Mercurio, e i sacerdoti di Zeus scendono in piazza per offrire un sacrificio idolatrico (cfr. At 14,8-18). Non è certo questo, per Paolo, il contesto adatto ad un discorso sul vero Dio. Per fermare la folla e distoglierla dal suo intento, egli non ha altra scelta che proporre un riferimento cosmologico al Dio che ha creato il cielo e la terra, che ha donato con la sua Provvidenza piogge e stagioni. Questo Dio, i cui effetti sono per così dire sotto gli occhi di tutti, è il Dio che Paolo predica: questo Dio è il Dio di Gesù Cristo, la cui morte e risurrezione gli apostoli annunciano. Uno sguardo al dibattito contemporaneo come raccolto dai mass media non sembra tuttavia mostrare che lo studio del cosmo fisico, e delle scienze naturali in genere, quando presentato dai physici del XXI secolo, favorisca ancora un 1 «La prima teologia, egli dice, è soprattutto adatta al teatro, la seconda al mondo, la terza alla città. Chi non vede a quale [Varrone] ha accordato la preferenza? Certo alla seconda che, come precedentemente ha detto, è dei filosofi. Egli dichiara infatti che essa appartiene al mondo che, secondo il pensiero dei pagani, è l’aspetto più nobile della realtà», Agostino di Ippona, Confessiones, VI, 5, 3. Nel quadro di un confronto con la situazione contemporanea, il commento agostiniano a Varrone viene ripreso e sviluppato in una conferenza tenuta dall’allora card. Joseph Ratzinger alla Sorbona di Parigi il 27 novembre 1999 intitolata Verità del cristianesimo? e pubblicata in J.Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza, Cantagalli, Siena 2005, pp. 170-192. 04 Tanzella-Nitti. 68 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO accesso a Dio, ma suggerirebbe piuttosto di collocare tale studio a sostegno dei “nuovi ateismi e delle vecchie idolatrie”, cui fa riferimento il titolo di questo fascicolo di «Hermeneutica». Nell’analisi del kosmos e delle sue leggi molti vedono un terreno fertile per una nuova e più convincente negazione di Dio, la proposta di una conoscenza della realtà alternativa a quella offerta da una filosofia metafisica o dalla Rivelazione ebraicocristiana, proprio quella Rivelazione il cui annuncio Paolo ed Agostino intendevano di fatto avvalorare rivolgendo lo sguardo alla natura. Non vi è dubbio che la divulgazione scientifica di alcuni pochi autori, ed una concertata risonanza mediatica in Italia e all’Estero, possano aver svolto un ruolo determinante nella diffusione di queste tesi; resta tuttavia il fatto che sia la riflessione filosofica, sia quella teologica, sono chiamate a prendere in esame quanto si dibatte sulla piazza per inquadrarlo in termini corretti. In questo intervento mi propongo di esaminare i seguenti punti. Dapprima cercherò di mostrare, limitandomi necessariamente ad alcuni temi oggi più dibattuti, se lo studio delle scienze naturali sia in grado di sostenere un ateismo cosiddetto scientifico. Successivamente, sarà mio intento principale sviluppare l’idea che la conoscenza scientifica19 resta aperta al riconoscimento di fondamenti ontologici e logici del reale, nonché alla percezione di un logos colto come fonte della razionalità, dell’intelligibilità e dell’informazione presenti nella natura. Inoltre, l’innata predisposizione del discorso scientifico a proporre visioni unitarie e totalizzanti del reale, concepite per abbracciare con un unico sguardo la storia evolutiva del cosmo e della vita, può essere lecitamente interpretata come riflesso della ricerca di un senso globale, come desiderio di conoscenza dell’intero quale unico luogo dove può abitare la verità. Infine, seguendo una prospettiva a me più congeniale, quella della teologia fondamentale, mi propongo di esaminare se vi sia spazio per un possibile raccordo fra un logos percepito nell’attività delle scienze ed un discorso su Dio fruibile in sede di annuncio della fede cristiana. Affinché un simile itinerario sia percorribile, si rendono tuttavia necessarie alcune importanti precisazioni. In primo luogo il riferimento alla conoscenza scientifica non può essere confinato al piano epistemologico, ma deve accedere anche al piano antropologico; ovvero la ricerca scientifica va restituita alla sua dimensione personalista, una dimensione che nutre il ricercatore con specifiche passioni ed aspirazioni, senza le quali la stessa scienza non sarebbe possibile. In secondo luogo, e a scanso di malintesi, ogni discorso su Dio deve necessariamente sottostare ad un chiarimento terminologico circa le diverse modalità con cui viene declinato. Una cosa è infatti parlare di un logos colto come Fondamento e come razionalità da chi fa ricerca e riflette filosoficamente sui risultati delle scienze; un’altra cosa sono le immagini dell’Assoluto e dell’Incondizionato come disponibili ad un’analisi metafisica che operi in continuità con una filosofia della natura; ed infine ancora un’altra cosa è un’immagine di Dio colta dal senso religioso o associata ad una rivelazione storica. È contro quest’ultima immagine – che si intende ultimamente negare – che si dirigono in fondo le critiche dell’ateismo. Trascurare queste differenze e non collocare ogni analisi nel suo preciso contesto filosofico e lessicale è fonte, nel passato come nel presente, di numerose incomprensioni e ambiguità, rendendo spesso sterile il dibattito perché ingaggiato da attori (teologi compresi) che attribuiscono contenuti diversi ad uno stesso termine. 19 Così lo ricorda anche Giovanni Paolo II, Fides et ratio, 14.9.1998, n. 36. 69 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Tuttavia, pur trattandosi di modalità cui corrispondono immagini diverse, queste sono sempre suscettibili di una paziente articolazione – almeno questo è il mio punto di vista – che le riconduca tutte ad un medesimo Soggetto trascendente20. 2. Physis, kosmos, logos: il riferimento a Dio nel contesto della riflessione filosofica sulle scienze Se esistono senza dubbio delle grandi differenze fra i physici dell’età classica e coloro che oggi studiano la natura con i metodi e i mezzi della ricerca scientifica contemporanea, è pur sempre vero che entrambi partivano e partono da una physis e da un kosmos e da quali fonte e contesto della loro indagine. Un kosmos che nonostante la frammentarietà e la specializzazione dell’impresa scientifica, la scienza non rinuncia a voler tematizzare come un oggetto unico di intelligibilità, dalla sua origine radicale fino al suo futuro prevedibile; una physis che la scienza indaga in profondità, per comprendere la natura e le trasformazioni della materia e della vita. Nel presente, come nel passato, la nozione di Dio riaffiora quando si dibatte sulle ragioni ultime dell’essere e del divenire, della razionalità e del senso, dell’origine e del fine di tutto. È frequente includere oggi nel fenomeno dei “nuovi atei” o dei “nuovi ateismi” quelle negazioni di Dio che paiono sorgere in un contesto scientifico21. Occorre però notare che la letteratura che ospita tale negazione è rappresentata esclusivamente da opere di tipo divulgativo, saggistico o polemico; non esistono, a mia conoscenza, articoli di riviste scientifiche in senso stretto – quelle riviste, cioè, che la comunità dei ricercatori impiega come riferimento obbligato per la pubblicazione e la comunicazione di teorie, interpretazioni e risultati – che abbiano ospitato questo tipo di negazione. Se ci dirigiamo ad opere di carattere biografico o testimoniale, quest’ultimo genere di scritti ospita invece, in larga maggioranza, proprio la tesi opposta, ovvero riflessioni sulla plausibilità della nozione di Dio. In ogni caso, vediamo brevemente quali sono i contesti, di ambito sia fisico che biologico, nei quali il tema è stato riaperto. Una negazione di Dio viene in ambito fisico-cosmologico sostenuta in genere nei seguenti contesti: a) l’indagine empirica circa l’origine dell’universo, specie in merito a quei modelli cosmologici che prescindono da una singolarità spazio-temporale o trattano l’universo come un singolo oggetto quantistico, sostenendone pertanto la natura eterna e incausata o l’apparizione del tutto accidentale; b) il rimando all’esistenza di infiniti universi indipendenti, quale “soluzione” alle inaspettate caratteristiche del nostro universo finemente sintonizzato per ospitarvi la vita, come suggeriscono i dati scientifici organizzati attorno al Principio Antropico nella sua formulazione cosiddetta debole: si intende così opporre l’indeterminazione e la casualità radicali a ogni parvenza di finalismo: in sostanza, forse non 20 La tematica è in fondo quella abitualmente tematizzata come interrogativo circa la continuità/identità fra il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe ed il Dio dei filosofi e degli scienziati. Sul tema, J. Ratzinger, Il Dio della fede e il Dio dei filosofi (1959), Marcianum Press, Venezia 2007. Ho offerto un personale sviluppo del tema in G. Tanzella-Nitti, L’unità dell’accesso alla verità nella Fides et ratio: quale ruolo per il pensiero scientifico?, in «Annales theologici» 23 (2009), pp. 377-388. 21 Cfr. J. Haught, Dio e il nuovo ateismo, Queriniana, Brescia 2009; A. Aguti, La critica naturalistica alla religione in R. Dawkins e D. Dennett, in La differenza umana. Riduzionismo e antiumanesimo («Anthropologica» Annuario di Studi filosofici), a cura di L. Grion, la Scuola, Brescia 2009, pp. 55-99. Del fenomeno si è anche occupato un numero monografico della rivista «Concilium» 4 (2010), nel quale segnaliamo l’articolo di A. McGrath, Gli ateismi di successo. Il nuovo scientismo (pp. 17-29). 70 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO siamo comparsi per caso nel nostro universo, ma il nostro universo è casualmente uno dei tanti; c) l’interpretazione in senso materialista ed immanente del Principio Antropico nella sua formulazione forte: l’origine e la storia del cosmo, e in esso la vita intelligente, sarebbero conseguenza di un necessario determinismo legato all’essere stesso del cosmo, inteso come realtà ultima incapace di rimandare al di là di se stessa; d) la sufficienza delle leggi di natura quale spiegazione esaustiva dell’essere e del divenire del cosmo, anch’essa proposta come forma di monismo materialista. In ambito biologico, come è noto, la presunta negazione di Dio, prende le mosse dal tentativo di rimuovere ogni possibile riferimento alla presenza di un finalismo in natura, tentativo anch’esso declinato in vari contesti: a) l’interpretazione della comparsa della vita come puro epifenomeno aleatorio; b) la radicalizzazione di una prospettiva darwinista tesa a spiegare sia la diversificazione morfologica e funzionale dei viventi, sia la loro progressiva complessificazione fino alla comparsa dell’essere umano, come unicamente dovute alla selezione naturale di individui con mutazioni genetiche casuali; c) la lettura della comparsa dell’uomo sul pianeta come un evento totalmente accidentale, rimuovendo così ogni legame con la presenza di un piano creativo trascendente; d) infine, la comprensione in chiave materialista e fisicalista delle manifestazioni tradizionalmente attribuite alla vita spirituale dell’essere umano e ritenute segno di un suo rimando alla trascendenza, quali l’auto-riflessione, la capacità di conoscenza e di progresso, la libertà, il senso religioso. L’inadeguatezza epistemologica e spesso anche l’insufficiente fondazione logicoteoretica di tali negazioni di Dio è stata messa in luce lungo le ultime decadi da diversi autori, e non intendo qui riprenderne le critiche puntuali, perché facilmente disponibili in letteratura22. Può essere però interessante chiedersi quale immagine di Dio tali critiche intendano negare. Praticamente in tutti i casi non si ha a che fare con una tematizzazione dell’Assoluto in ambito logico-analitico, metafisico, o filosofico in genere, ambiti nei quali la maggioranza dei “nuovi ateismi” si muove con impaccio; né si offre un previo, necessario quadro filosofico del modo con cui si intendono impostare i rapporti fra Dio e natura, Cfr. R. Timossi, L’illusione dell’ateismo. Perché la scienza non nega Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009; T. Crean, Non di sola materia. In risposta a “L´illusione di Dio” di Richard Dawkins, ESD, Bologna 2009; A. McGrath, A fine-tuned Universe. The Quest for God in Science and Theology, Westminster John Knox Press, Louisville 2009; K. Giberson - M. Artigas, Oracles of Science: Celebrity Scientists versus God and Religion, Oxford University Press, Oxford 2007; A. McGrath - J. Collicutt McGrath, The Dawkins delusion?, SPCK, London 2007; J.J. Sanguineti, Filosofia della mente, Edusc, Roma 2007; R. Swinburne, The Revival of Natural Theology, in «Archivio di Filosofia» 75 (2007), pp. 303-322; A. McGrath, Dio e l’evoluzione. La discussione attuale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; R. Swinburne, The Existence of God, Clarendon Press, Oxford 2004; R.J. Russell, T=0: Is It Theologically Significant?, in Religion and Science: History, Method, Dialogue, a cura di W.M. Richardson - W.J. Wildman, Routledge, New York 1996, pp. 201-224; J. Zycinski, Metaphysics and Epistemology in Stephen Hawking’s Theory of the Creation of the Universe, in «Zygon» 31 (1996), pp. 269-284; R.J. Russell, Finite Creation Without a Beginning: The Doctrine of Creation in Relation to Big Bang and Quantum Cosmologies, in Quantum Cosmology and the Laws of Nature, a cura di R. Russell - N. Murphy - C. Isham, Vatican Observatory and The Center for Theology and the Natural Sciences, Città del Vaticano-Berkeley (CA) 1993, pp. 293-329; C. Isham, Creation of the Universe as a Quantum Process, in Physics, Philosophy and Theology. A Common Quest for Understanding a cura di R. Russell - W. Stoeger - G. Coyne, LEV and University of Notre Dame Press, Città del Vaticano 1988, pp. 375-408. Sul tema, anche le voci da me firmate sul Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, a cura di G. Tanzella-Nitti - A. Strumia, Urbaniana University PressCittà Nuova, Roma 2002: “Antropico, principio” (pp. 102-120); “Creazione” (pp. 300-321); “Dio” (pp. 404424). 22 71 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO mancando il quale ogni dibattito fra materialismo, naturalismo e teismo si tramuta in una pura elucubrazione. In queste opere ci si riferisce piuttosto ad un’immagine di Dio quale Agente fisico generico, la cui azione causale è in competizione con quella delle leggi fisiche o dei processi biologici, un Agente ritenuto responsabile di una certa fenomenologia che si intende, appunto, ascrivere ad altri agenti, materiali o naturali23. Sullo sfondo di tali negazioni giace sempre il desiderio dei “nuovi ateismi” di rimuovere l’idea di finalità ovunque essa possa comparire, proprio perché facilmente associata da tutti al ruolo di un Creatore intelligente ed alla sua intenzionalità. Frequente il taglio idealistico di molte delle argomentazioni adottate, teso a chiudere in modo aprioristico delle incompletezze logiche, oppure ontologiche, presenti nella descrizione fisica del mondo, che un sano realismo suggerirebbe invece di lasciare aperte. Non viene fornita alcuna soluzione al problema della contingenza, che viene ignorato o creduto risolto entro un monismo materialista di cui non si coglie l’intima contraddizione. Eppure, a ben vedere, la voce della scienza non si esaurisce tutta qui. Non mancano ricercatori – anzi paiono ben più numerosi – i quali, partendo anch’essi da riflessioni che puntano, dall’interno dell’attività delle scienze, verso le domande ultime sull’origine, sul fondamento, sulla razionalità, e sul posto dell’uomo nel cosmo, maturano riflessioni di carattere assai diverso. Essi colgono l’insufficienza del formalismo scientifico per risolvere questioni radicali che pure si intravedono nel lavoro dello scienziato, segnalano la naturale apertura del linguaggio scientifico verso metalinguaggi collocati a un maggior grado di astrazione, riscoprono nozioni di sapore metafisico. A differenza del primo gruppo di autori, le cui riflessioni circa una negazione di Dio non trovavano spazio nella letteratura scientifica propriamente detta, questi ultimi hanno invece saputo tradurre i loro suggerimenti in termini formali più rigorosi. Si pensi a uomini di scienza come G. Cantor per la Matematica, K. Gödel per la Logica, A. Tarski e A. Turing per l’Informatica e Computabilità, J.C. Maxwell, M. Planck, W. Heisenberg ed A. Einstein per la Fisica, G. McVittie, G. Ellis, P. Davies o J. Barrow per la Cosmologia, S. Kauffman, F. Collins o S. Conway Morris per la Biologia, o perfino a quanto maturato da L. Wittgenstein nell’ambito della Filosofia del linguaggio. Tutti questi autori, in epoche e in contesti diversi, hanno messo in luce l’esistenza di un vero e proprio “problema dei fondamenti”, hanno indicato la sensatezza filosofica di domande circa l’intelligibilità e la razionalità del reale, hanno precisato l’inaspettata sintonia fra le leggi della fisica e le condizioni necessarie alla vita, hanno indicato l’esistenza di rapporti irriducibili a un monismo deduttivo24. In opere di tipo testimoniale hanno invece parlato dello stupore di fronte al reale quale atteggiamento essenziale del ricercatore, dell’apertura Non sarebbe del tutto superfluo chiedersi come mai alcuni esponenti dell’ambiente scientifico, specie quello anglosassone, siano così facilmente inclini a rappresentarsi una simile immagine di Dio, quale agente e soggetto di interventi in natura, la cui esistenza si giocherebbe proprio sulla verifica di una tale azione causale. Ritengo, come ho avuto personalmente modo più volte di notare, che ciò sia dovuto ad una scarsa familiarità con categorie metafisiche, necessarie per la comprensione di cosa vogliano dire causalità trascendente, analogia e partecipazione nell’essere. La consuetudine con una filosofia di taglio quasi esclusivamente logico-analitico e una storia della filosofia che parte quasi sempre da autori quali Kant e Hume, ignorando spesso quanto dibattuto (e risolto) nelle epoche precedenti, sono probabilmente fra le maggiori cause di questa difficoltà. 24 Anche qui, la puntuale citazione di opere ed autori oltrepassa le finalità della presente relazione. Rimando il lettore agli indici del già citato Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede per quanto riguarda i percorsi storici e filosofici degli autori menzionati nel testo. 23 72 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO della conoscenza scientifica al mistero dell’essere, delle motivazioni esistenziali e talvolta persino religiose che hanno sostenuto la loro ricerca25. Da un punto di vista aneddotico, non è superfluo ricordare che un filosofo come Anthony Flew aveva in tempi recenti rivelato il suo passaggio dall’ateismo al teismo (o al deismo, se si preferisce) come dovuto proprio all’incontro con questa letteratura scientifica, contrariamente a quanto i “nuovi ateismi” avrebbero pronosticato.26 Il riconoscimento in ambito scientifico del problema dei fondamenti può essere posto in relazione con alcuni quadri filosofici classici, come la teoria delle scienze subalterne, l’ordinamento gerarchico dei diversi gradi di astrazione, l’analogia dell’essere e la stessa nozione di trascendenza27. Lo scienziato li ritrova inaspettatamente sul suo percorso concettuale, ed è proprio accettarne l’operatività che lo protegge dal riduzionismo e dalle ideologie. Per poter fare scienza, egli si rende conto che deve restare aperto al reale, in certo modo assentire ad esso, senza cercare scappatoie o chiusure ideologiche. Così facendo, egli comprende che deve ricevere come dati, cioè non posti dal soggetto, una certa dose di elementi di meta-fisica: l’essere e la natura delle cose, la stabilità e l’universalità delle proprietà degli enti materiali, la presenza di informazione nella natura intima della materia e della vita, la razionalità e l’intelligibilità del reale fisico28. Si tratta di nozioni, in 25 Fra le tante opere che offrono una simile testimonianza, valga citarne solo alcune: T. Dobzhanski, Le domande supreme della biologia, de Donato, Bari 1969; M. Planck, Scienza filosofia e religione, Fabbri, Milano 1973; J. Eccles, Il mistero uomo, Il Saggiatore, Milano 1981; A. Salam, Ideali e realtà, Lint, Trieste 1986; A. Einstein, Come io vedo il mondo, Newton Compton, Roma 1993; H. Poincaré, Il valore della scienza, La Nuova Italia, Firenze 1994; W. Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1920-1965, Bollati Boringhieri, Torino 1999; F. Collins, Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia fra scienza e fede, Sperling & Kupfer, Milano 2007. Per una documentazione generale, cfr. ad esempio H. Muschalek, Dio e gli scienziati, Paoline, Alba 1972; E. Cantore, L’uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, Dehoniane, Bologna 1987; M. Bersanelli - M. Gargantini, Solo lo stupore conosce. L’avventura della ricerca scientifica, Rizzoli, Milano 2003. 26 Cfr. A. Flew - R.A. Varghese, Dio esiste. Come l’ateo più famoso del mondo ha cambiato idea, Alfa & Omega, Caltanisetta 2010. 27 Esiste un consenso significativo circa il fatto che lo scienziato percepisce il “problema dei fondamenti” a diversi livelli: come incapacità di auto-fondazione del metodo scientifico o dei suoi oggetti, come interna contraddizione di sistemi assiomatici auto-referenziali, come riconoscimento della irriducibilità a un monismo riduzionista di realtà diverse che concorrono a un medesimo fenomeno, quali ad esempio l’irriducibilità fra semantica e sintassi nella teoria dell’informazione, fra topologia e leggi di natura in cosmologia; fra processi biologici e codifica genetica del loro sviluppo; fra la fisiologia del cervello (brain) e la mente (self, piuttosto che mind) che emerge sul piano fisiologico. Sul tema, A. Strumia (ed.), I fondamenti logici e ontologici della scienza. Analogia e causalità, Cantagalli, Siena 2006; Id. (ed.), Il problema dei fondamenti. Da Aristotele a Tommaso d’Aquino all’ontologia formale, Cantagalli, Siena 2007; Id., Il problema dei fondamenti. Un’avventurosa navigazione dagli insiemi agli enti passando per Gödel e Tommaso d’Aquino, Cantagalli, Siena 2009. Cfr. anche G. Tanzella-Nitti, I fondamenti filosofici dell’attività scientifica, in Scienze fisiche e matematiche: istanze epistemologiche ed ontologiche, a cura di R. Presilla S. Rondinara, Città Nuova, Roma 2010, pp. 161-181. 28 «Per quanto le nostre spiegazioni scientifiche possano essere coronate dal successo, esse incorporano sempre certe assunzioni iniziali. Per esempio, la spiegazione di un fenomeno in termini fisici presuppone la validità delle leggi della fisica, che vengono considerate come date. Ma ci si potrebbe chiedere da dove hanno origine queste leggi stesse. Ci si potrebbe perfino interrogare sulla logica su cui si fonda ogni ragionamento scientifico. Prima o poi tutti dobbiamo accettare qualcosa come dato, sia esso Dio, oppure la logica, o un insieme di leggi, o qualche altro fondamento dell’esistenza», P. Davies, La mente di Dio. Il senso della nostra vita nell’universo, Mondadori, Milano 1993, p. 5. Analoghe riflessioni sono rintracciabili in vari altri autori: cfr. J.C. Maxwell, Scientific Papers, 1890, vol. II, p. 375; L. De Broglie, Fisica e 73 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO ambito sia fisico che biologico, che sembrano tutte puntare verso l’indicazione della presenza di informazione, quando non della trascendenza sulla materia di vere e proprie cause formali. Ma c’è qualcosa di più. A motivo dello stretto, intimo legame fra causalità formale e causalità finale, anche se sorte in un contesto scientifico simili riflessioni restano implicitamente collegate alle nozioni di Assoluto, di Causa prima e di Causa finale, e dunque restano, in linea di principio, disponibili a un riferimento indiretto alla nozione di Dio. Ne offre una controprova il fatto che non pochi scienziati, in opere di carattere divulgativo o biografico-testimoniale, ragionando filosoficamente sui risultati della scienza e sulle visioni filosofiche che ne derivano, fanno esplicito riferimento alla nozione di Dio, non per negarla, ma per affermarne invece la ragionevole possibilità29. É necessario qui osservare che tanto il problema dei fondamenti, quanto le aperture della conoscenza scientifica verso una filosofia della natura ed una metafisica, emergono con maggiore chiarezza quando si ragiona in termini di conoscenza personale, spostandosi pertanto dal piano epistemologico a quello antropologico30. È infatti lo scienziato, come soggetto personale, a percepire fondamenti, intelligibilità e trascendenza, laddove il metodo scientifico può segnalare soltanto la presenza di incompletezze e di aporie, o la necessità di principi e di nozioni primitive. La stessa nozione di informazione, il cui ruolo pare piuttosto strategico, a ben vedere può essere colta in modo compiuto solo da un’intelligenza personale, laddove il metodo scientifico rileva solo irriducibilità alla materia o presenza di codifica. Non va dimenticato che proprio la natura non-materiale della forma rimanda alla dimensione spirituale come luogo ove abita compiutamente il riconoscimento dell’intelligibilità e dell’intenzionalità. Se l’interlocutore è lo scienziato come persona, allora è a mio avviso del tutto adeguato riunire insieme la percezione dei fondamenti, il riconoscimento della razionalità, dell’intelligibilità e dell’informazione, sotto una comune nozione di logos. La natura e il reale fisico, infatti, si presentano come un’alterità di fronte al soggetto, un’alterità che norma le categorie conoscitive di quest’ultimo e impone la sua datità. Non si tratta però di una semplice alterità, bensì di un’alterità dia-logica, che il soggetto personale può riconoscere come fonte di informazione e perfino di senso. Eppure, microfisica, Einaudi, Torino 1950, p. 216; A. Einstein, Lettera a M. Solovine, 30.3.1952, in Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988, p. 740; W. Heisenberg, Fisica e oltre, Bollati Boringhieri, Torino 1984, p. 225; J. Barrow, Teorie del tutto, Adelphi, Milano 1992, pp. 354-355. 29 Fra i molti esempi possibili, si vedano ancora P. Davies, La mente di Dio. Il senso della nostra vita nell’universo, Mondadori, Milano 1993; F. Collins, Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia fra scienza e fede, Sperling & Kupfer, Milano 2007; O. Gingerich, Cercando Dio nell’universo. Un grande astronomo tra scienza e fede, Lindau, Torino 2007; A. Ambrosetti, La matematica e l’esistenza di Dio, Lindau, Torino 2009. 30 Una precoce intuizione circa l’opportunità di comprendere la conoscenza scientifica come conoscenza personale e non meramente oggettiva o impersonale, può rintracciarsi già nell’opera di M. Blondel, L’Azione, specie nei capitoli III e IV, quando il filosofo francese illustra il ruolo della sfera dei fini nel lavoro del ricercatore e la necessità di un suo impegno verso il reale. In tempi recenti, il riferimento obbligato è ad autori come Michael Polanyi e, in certa misura, anche Charles Taylor. Cfr. M. Polanyi, La conoscenza personale. Verso una filosofia post-critica (1958), Rusconi, Milano 1990; Id., La conoscenza inespressa (1966), Armando, Roma 1979; C. Taylor, Overcoming Epistemology, in Philosophical Arguments, Harvard University Press, Cambridge London 1995; Id., Philosophy and the Human Sciences, Cambridge University Press, Cambridge (MA) 1985. Sul tema, anche E. Cantore, L’uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, cit., e G. Tanzella-Nitti, La persona, soggetto dell’impresa tecnicoscientifica, in «Paradoxa» 3 (2009), pp. 96-109. 74 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO proprio sul livello personale-antropologico, non più epistemologico, può sorgere nell’uomo di scienza la tentazione di “chiudere” le istanze metafisiche, le incompletezze, le irriducibilità, o l’accesso ai fondamenti – cose che dovrebbero restare tutte ragionevolmente aperte sul reale – facendo invece ricorso a filosofie a priori, di taglio idealistico. Nascono qui l’invocazione di una casualità radicale e di un’assenza di senso postulate come ragione ultima del mondo e della vita, l’impiego contraddittorio di un monismo materialista o panteista con gli stessi caratteri dell’Assoluto, o perfino il ricorso a infiniti universi per spiegare la specificità del nostro31. Quando ciò accade, ed accade in forma radicale, il taglio idealista è ormai divenuto taglio ideologico32. Un ulteriore aspetto dell’impresa scientifica che andrebbe valutato sulla scorta della dimensione antropologico-personalista è la predisposizione della scienza a generare delle “cosmovisioni”, ovvero la sua naturale inclinazione verso la conoscenza della totalità del reale, generando anche in questo caso un terreno di dibattito sulla nozione di Dio. A prima vista, l’aspirazione a un sapere di totalità nell’ambito delle scienze sembrerebbe estromettere ogni riferimento all’Assoluto, al trascendente, a Dio. Tanto la cosmologia come la biologia, infatti, intendono offrire una “storia completa” del cosmo e della vita, ricercano con passione il tema delle origini e si dichiarano competenti ad affrontare il problema dell’intero. L’istanza di totalità già abituale nelle narrazioni del mito e nelle affermazioni di senso della religione, e certamente presente nell’indagine filosofica circa l’universalità dell’essere, è ormai di casa anche nella scienza. Di fronte a questa pretesa è frequente che il filosofo, e più spesso il teologo, insorgano, ricordando che ogni indagine empirica non è competente a dichiarare l’intero e che l’inizio e il fine della storia giacciono fuori della storia stessa. Eppure, non varrebbe forse la pena di valutare – ed è questa la mia prospettiva – se, e sotto quale aspetto, l’istanza di totalità possa appartenere anche al pensiero scientifico? Proviamo ad esaminarla più da vicino. Di fatto, un’istanza di totalità rispetto al metodo o alle rappresentazioni empiriche, misurabili e formalizzabili, delle scienze, non è praticabile; ciò è dovuto ai ben noti problemi di autoreferenzialità e di incompletezza, messi in luce da una critica interna alla scienza stessa. L’istanza di totalità può invece lecitamente appartenere al soggetto che fa scienza, in quanto soggetto umano che desidera conoscere l’intero orizzonte del reale, e avverte che solo la totalità può fornire una risposta compiuta di senso. Se davvero si cerca la verità, non ci si può fermare a metà strada. Tommaso d’Aquino ha parlato di una inclinazione “naturale” dell’essere umano a conoscere l’intero ordine dell’universo, con tutti 31 Gli aforismi con cui autori quali Carl Sagan, Jacques Monod, Steven Weinberg o Richard Dawkins chiudono o introducono le loro opere sono troppo noti per darne qui ancora una volta puntuale riscontro. Essi esprimono, a mio avviso, come è la personale visione esistenziale dell’autore, e non i risultati della scienza, a “chiudere” o a “non riconoscere” le aperture metafisiche con cui il reale fisico interpellerebbe il soggetto che fa scienza, sposando invece le tesi del nichilismo o di un monismo materialista. 32 Su queste tentazioni, le loro cause ed il modo di smascherarle, sempre utile la rilettura de Le réalisme méthodique (1935), tr. it. É. Gilson, Il realismo, metodo della filosofia, Leonardo da Vinci, Roma 2008. Per la presenza di derive ideologiche in alcune ricostruzioni del pensiero biologico contemporaneo, cfr. A. McGrath, The Ideological Use of Evolutionary Biology in Recent Atheist Apologetics, in Biology and Ideology. From Descartes to Darwin, a cura di D. Alexander - R. Numbers, The University of Chicago Press, Chicago-London 2010, pp. 329-351 75 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO i suoi generi, le sue specie e le sue energie33. È questo il desiderio di conoscere le cause fondanti di ogni cosa, una inclinazione che manifesta un desiderium naturale cognoscendae veritatis, tipico delle scienze speculative, alle quali gli ideali della ricerca scientifica di base possono certamente assimilarsi. Orbene, chi studia la realtà naturale cercando di farne un unico oggetto di intelligibilità, come il cosmologo che indaga sull’origine dell’universo e i suoi scenari finali, come il fisico che esplora le forze e le proprietà fondamentali che regolano il comportamento della materia nello spazio e nel tempo, come il biologo che si interroga sull’origine della vita e del linguaggio che la codifica, sulla ragione unificante dei suoi processi evolutivi e della sua ricchezza morfologica e funzionale, con il loro modo di procedere tutti costoro manifestano in fondo la consapevolezza che solo puntando verso le cause ultime e fondanti lo spirito umano può restare appagato, perché la verità abita nella totalità del senso. In tal modo, un desiderio naturale di conoscere la verità e di conoscere l’intero può divenire, in un soggetto personale, un’implicita e forse inconsapevole manifestazione della ricerca più importante, quella di Dio, il cui, sempre secondo la lezione di Tommaso, ogni essere umano possiede nel più intimo del proprio spirito, e di cui anche lo scienziato partecipa con la sua ricerca intellettuale34. 3. Il raccordo fra desiderium desiderium naturale naturale veritatis e Verbo rivelato come esercizio di inculturazione della fede in un contesto scientifico Un programma teologico-fondamentale che desideri recuperare le istanze veritative della scienza e valorizzare le aperture del ricercatore verso questioni di senso non incontra oggi un terreno propizio. Le ragioni sono molteplici. L’eredità di autori come Thomas Kuhn, e in certa misura anche Karl Popper, e quella dell’epistemologia del Novecento in genere, hanno consegnato una immagine della scienza alquanto convenzionalista, maggiormente attenta alla falsificabilità delle sue proposizioni che al riconoscimento di verità acquisite ed irreformabili, scettica nei confronti di un realismo conoscitivo. Una tale impostazione ha lasciato insoddisfatti molti uomini di scienza ma ha purtroppo allettato numerosi teologi35. «L’intelletto possiede un appetito naturale (appetitus naturalis) di conoscere i generi, le specie e le virtù di tutte le cose (omnium rerum genera et species et virtutes), e tutto l’ordine dell’universo: come lo dimostra la ricerca dell’uomo circa codeste cose», Tommaso d’Aquino, Contra Gentiles, III, cap. 59 34 «Ora, “fine e bene dell’intelletto è la verità” [Etica, II, 2, 3]: di conseguenza l’ultimo fine è la prima verità. Perciò conoscere la prima verità, che è Dio, è il fine ultimo di tutto l’uomo, di tutte le sue azioni e di tutti i suoi desideri. Gli uomini hanno il desiderio naturale di conoscere le cause di ciò che vedono: ecco perché essi diedero inizio alla ricerca filosofica, per la meraviglia dei fenomeni che vedevano e di cui ignoravano la causa; e una volta trovata la causa si fermavano. Ma la ricerca non ha tregua fino a che non si giunge alla prima causa: e “allora noi pensiamo di conoscere perfettamente quando conosciamo la causa prima” [Metafisica, I, 3, 1]. Dunque l’uomo per natura desidera, quale ultimo fine, di conoscere la causa prima. Ma la causa prima di tutte le cose è Dio. Quindi conoscere Dio è l’ultimo fine dell’uomo. Conosciuto un effetto, l’uomo desidera per natura di conoscerne la causa. Ma l’intelletto umano conosce l’ente nella sua universalità. Dunque desidera per natura di conoscerne la causa, che è Dio soltanto, come abbiamo dimostrato nel Secondo Libro. Ma nessuno consegue il suo ultimo fine, fino a che non si acquieta il suo desiderio naturale. Quindi alla felicità dell’uomo, che è appunto l’ultimo fine, non basta qualsiasi altra conoscenza intellettiva, se manca la conoscenza di Dio, la quale ne appaga il desiderio naturale come l’ultimo suo fine. Dunque la conoscenza di Dio è l’ultimo fine dell’uomo», Tommaso d’Aquino, Contra Gentiles, III, cap. 25 35 Basti notare la grande frequenza dei riferimenti a Kuhn e a Popper in molti saggi e manuali di metodologia teologica. Riserve all’impiego di un’epistemologia rinunciataria circa la ricerca della verità, talvolta in 33 76 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO Privare la scienza del suo valore veritativo, riferendosi poco alla ricerca di base e presentando solo le ambigue applicazioni della tecnologia, facili bersagli di ammonimenti e di richiami etici, ha spesso consentito di ridimensionare in modo apparentemente efficace le provocazioni recate dai risultati delle scienze alla teologia dogmatica o all’esegesi biblica. Inoltre, nel confronto fra scienze, filosofia e teologia, il terreno antropologico è stato spesso trascurato, pur essendo l’unico ove termini come verità, intelligibilità, finalismo o senso acquistano in realtà significato, sviluppando invece quasi sempre solo il terreno epistemologico o esegetico. Nella teologia odierna, un certo squilibrio fra le categorie di alleanza/salvezza e creazione ha condotto quest’ultima ad essere quasi assorbita entro le prime due, anche a motivo del grande influsso esercitato da autori delle Chiese della Riforma, privando la teologia della creazione dei suoi naturali agganci con il pensiero metafisico e con quello scientifico; agganci in fondo attesi, visto che l’universo creato non è solo sotto gli occhi del teologo, ma sotto gli occhi di tutti. Sempre in ambito teologico, esiste poi un ragionevole timore a ingaggiare un dibattito pro o contro l’esistenza di Dio sul terreno della comprensione fisica del cosmo, volendo così evitare una visione “riduttiva” della religione (spersonalizzata, interessata ad un‘immagine di Dio poco significativa) per non ripetere errori attribuiti in passato a un’apologetica filosofica. Infine, la scarsa familiarità con la cultura scientifica da parte dei candidati al sacerdozio (dai quali proviene la totalità dei pastori e la quasi totalità dei teologi) non ha certo favorito un raccordo fra la verità cercata a partire dal contesto scientifico e la Verità rivelatasi in Gesù Cristo36. Chi volesse oggi valorizzare, con prudenza, ma anche con coraggio, il desiderio della scienza di interrogarsi sulle questioni ultime e di tematizzare l’intero, riconoscendovi una manifestazione della ricerca di verità e di senso dello scienziato, e dunque della sua (più o meno consapevole) ricerca di Dio, potrebbe sempre contare su alcuni itinerari già percorsi dalla migliore tradizione teologica. Ci si potrebbe ad esempio ricollegare al grande pensiero patristico e medievale, scegliendo poi alcuni autori della modernità, come furono Rosmini o Newman, sebbene vada preventivato il lavoro di una non sempre facile traduzione in termini contemporanei di quanto suggerito in epoche passate. Il teologo non dovrebbe temere di affermare che coloro che studiano un universo che egli sa creato nel Verbo e per mezzo del Verbo, possono intravedere, anche dall’interno del contesto scientifico, la necessità di un fondamento ontologico, la presenza di un logos quale fonte di razionalità, di intelligibilità e di informazione, e ciò semplicemente perché il cosmo proviene da Dio e di Dio può parlare. È certamente il soggetto umano, non il metodo scientifico, il solo abilitato al discernimento di un simile logos, ed è altrettanto vero che le personali visioni filosofiche ed esistenziali possono favorire od ostacolare tale riconoscimento. Partendo dai quesiti suscitati dalla loro stessa attività scientifica, le riflessioni filosofiche offerte da molti uomini di scienza indicano non solo la percezione di un logos ut ratio, cioè come rimando ad un Assoluto colto come fondamento e razionalità, ma anche di un logos ut verbum, ovvero come apertura ad un Assoluto colto come alterità dialogica, polemica verso noti filosofi della scienza, sono state avanzate in più occasioni dall’ambiente scientifico: cfr. T. Theocharis - M. Psimopoulos, Where Science Has Gone Wrong, in «Nature» 239 (1987), pp. 595-598. 36 Vale la pena ricordare che tale situazione è venuta a crearsi nella teologia cattolica soprattutto dalla fine dell’Ottocento, assumendo oggi livelli preoccupanti per la stessa credibilità dell’evangelizzazione. Nelle epoche precedenti non solo i ministri ordinati avevano una buona familiarità con la ricerca scientifica essendo in molti casi loro stessi uomini di scienza, ma anche i curriculum di studio dei seminari teologici prevedevano una congrua presenza di materie scientifiche. 77 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO capace di interpellare e di motivare la fatica della ricerca. La ricerca scientifica è spesso paragonata ad un dialogo fra il ricercatore e la natura, un dialogo nel quale occorre saper porre le domande giuste ed avere l’umiltà di saperne ascoltare le risposte37. La sorpresa della scoperta e l’intima emozione di fronte allo svelamento della razionalità del reale sono spesso paragonati a eventi di rivelazione, che suscitano stupore e riverenza. Al ricercatore è richiesta l’umiltà del realismo conoscitivo, l’apertura all’ascolto delle cose. Egli può, e forse deve, tendere verso un’istanza di totalità, ma senza porre mai se stesso come misura dell’intero, pena la chiusura ideologica a quanto il reale sarebbe in grado di rivelare. Spetta al teologo mostrare l’itinerario che da un logos colto nel contesto delle scienze può condurre fino al Logos che la Rivelazione cristiana annuncia in Gesù Cristo, sapienza incarnata.38 E spetta al teologo, in buona compagnia del filosofo, mostrare l’itinerario che dalla riverenza e dallo stupore conduce all’apertura al mistero dell’essere, fino a un genuino senso religioso, che non si arresta alla seduzione della bellezza delle cose ma, secondo l’esortazione del Libro della Sapienza, sa interrogarsi anche sull’Autore della bellezza. Potrebbe la teologia poggiarsi su questa percezione del logos e su questo senso religioso al momento di annunciare il Dio di Gesù Cristo? Ritengo di sì, ma occorre certamente purificare dalle false immagini di Dio, educare, ove necessario, al senso metafisico, smascherare le fughe dal reale verso prospettive idealiste e talvolta ideologiche, sostenere un’idea di verità che non sia solo coerenza logica e consistenza matematica, come purtroppo accade ormai in molti ambiti della ricerca scientifica, ma anche e soprattutto adaequatio rei et intellectus. Si tratta in fondo, di operare con una competenza e un’intelligenza adeguate a un contesto intellettuale, quello scientifico, cui ci si dirige, vedendo in esso un linguaggio e un ambiente da inculturare, cioè in primo luogo da conoscere e da rispettare, cercando con pazienza le “traduzioni” necessarie per comprendere e farsi comprendere. Chi fa ricerca scientifica è anche, a suo modo, un cercatore di senso, seppure secondo itinerari propri; questi il teologo dovrebbe conoscere e saper percorrere proponendosi come compagno di viaggio. Infine, un accesso al Problema dei fondamenti e all’Assoluto dal versante dell’attività scientifica potrebbe essere intelligentemente recuperato dal teologo fondamentale all’interno dei praeambula fidei, fra i quali la tradizione filosofica e teologica ha sempre collocato quella domanda di senso e quella ricerca di Dio che partono dalle cose create39. Si tratta di piste che oggi possono sembrare difficili o in parte inedite. Eppure, a ben vedere, tutte esse poggiano su un solido fondamento biblico e si innestano in una tradizione di evangelizzazione che il cristianesimo 37 Non vi è dubbio che la nozione di logos vada qui considerata qui in modo ampio e in certo modo analogico, quale pista per una successiva integrazione metafisica dei vari livelli in cui essa compare o può essere percepita. Sulla fertilità di tale nozione nell’ambito della razionalità scientifica, si veda il bel volume di P. Zellini, Numero e Lógos, Adelphi, Milano 2010, sebbene l’analisi dell’autore riguardi in tale opera soprattutto l’ambito della matematica. 38 Avevamo offerto qualche spunto su tale fenomenologia dell’attività del ricercatore in G. Tanzella-Nitti, La dimensione personalista della verità e il sapere scientifico, in V. Possenti (ed.), Ragione e Verità, Armando, Roma 2005, pp. 101-121. Una certa insistenza sulla riconoscibilità di un Logos creatore anche nel contesto dello studio scientifico della natura è presente in alcuni discorsi di Benedetto XVI: cfr. Discorso alla Curia Romana in occasione degli auguri natalizi, Roma, 22 dicembre 2005; Discorso all’Università di Regensburg, Ratisbona, 12 settembre 2006; Discorso al Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, Verona, 19 ottobre 2006; Discorso al Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008. 39 Cfr. G. Tanzella-Nitti, La dimensione apologetica della Teologia fondamentale. Una riflessione sul ruolo dei praeambula fidei, in «Annales theologici» 21 (2007), pp. 11-60, in part. 34-51 78 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO ha saputo già coltivare in passato. Il dibattito oggi suscitato dalla visibilità di nuovi ateismi e nuovi scientismi potrebbe stimolare pensatori cristiani a riscoprire un’immagine più completa dell’impresa scientifica, accettando la sfida di saper mostrare che essa appartiene alla ricerca della verità e, pertanto, appartiene anch’essa al mistero del Logos venutoci incontro in Gesù Cristo. Per gli sviluppi di tale prospettiva in un dialogo con il pensiero scientifico, rimandiamo alla già citata voce Gesù Cristo, Incarnazione e Rivelazione del Logos, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, op. cit., pp. 693-710. La Nebulosa di Orione (nota anche come M42 o NGC 1976): nebulosa diffusa situata nella Via Lattea, a sud della Cintura di Orione nella costellazione di Orione. 79 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO BIBLIOGRAFIA PARZIALE B. Sigfrido, “Da Laplace a Heisenberg. Un'introduzione alla meccanica quantistica e alle sue applicazioni”, Biblioteca delle Scienze 2010 B. Sweetman, “Religione e scienza. Una introduzione”, Queriniana 2014 C. Cellucci, “Le ragioni della logica”, Laterza 2000 David L. Gosling, “Science and the Indian Tradition: When Einstein Met Tagore”, Routledge 2008 F. Capra, “Il tao della fisica”, Adelphi 1989 G. Basti, “Filosofia della natura e della scienza, Vol.I: I Fondamenti”, Lateran UP 2002 M. Livio, "La bellezza imperfetta del cosmo", Utet Università 2004 P. Davies, “Il cosmo intelligente”, Mondadori 1999 R. Feyman, “La strana teoria della luce e della materia”, Adelphi 1989 S. Drake, “Galileo Galilei, pioniere della scienza”, Muzzio 1992 S. Hawking & R. Penrose, “La natura dello spazio e del tempo”, Rizzoli 2002 S. Hawking, “La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo”, Rizzoli 2003 S. Weinberg, “I primi tre minuti”, Mondadori 1986 FILMOGRAFIA PARZIALE “Blade Runner”, regia di Ridley Scott, 1982 “Interstellar”, regia di Christopher Nolan, 2014 “La teoria del tutto”, regia di James March, 2014 “Il mio amico Einstein”, regia di Philip Martin, 2008 “L’Universo elegante”, documentario televisivo dalla PBS, 2005 Nota Le immagini presenti in cartellina sono state scattate dall’Hubble Space Telescope (HST) (NASA ed ESA). Immagine di copertina: Pilastri della Creazione, fotografia ripresa dall’HTS di colonne di gas interstellare e polveri visibili nella Nebulosa Aquila e scattata nel 1° aprile 1995. 80 FISICA E SPIRITUALITÀ 27 LUGLIO - 2 AGOSTO RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento particolare a tutti gli studenti e le studentesse che hanno offerto la loro collaborazione e il loro supporto nella realizzazione del seminario: Davide Sabeddu, Padre Salvatore Maurizio Sessa, Angelo Tumminelli, Cosmin Cozma, Leonardo Arca, Ludovico Ferranti, Adolfo Marco Perrotta, Matteo Piu, Giacomo Della Posta. Gaia Coltorti Martina Murabito Giuseppe Melcore Gennaro Cataldo Vittorio Ruggieri 81