nihil sub astris novum

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NIHIL SUB ASTRIS NOVUM
N.
16
– 22 MARZO 1998
a cura di Cristina Bernasconi, Elia Cozzi e Massimo Zoggia
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
A Newsletter of
Gruppo Astrofili “Giovanni e Angelo Bernasconi”
Via S. Giuseppe, 34–36
21047 Saronno (VA)
Italy
http://www.pangea.va.it/Bernasconi
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
tenerla sotto osservazione nella certezza che un qualsiasi
QUOTA SOCIALE
cambiamento finisca per accadere.
La Quota Sociale per il 1998 è rimasta a 15.000 lire.
Invitiamo quindi i Soci che non l’avessero ancora fatto a
rinnovarla e, per chi se ne fosse dimenticato ormai da un anno, a
versare anche quella del 1997.
Sebbene l’iscrizione non sia obbligatoria per partecipare alle
riunioni periodiche domenicali o alle altre attività organizzate
dal Gruppo (ognuno di Voi può testimoniare che a nessuno è
mai stata chiesta la tessera), il versamento della Quota Sociale è
una dimostrazione di coinvolgimento diretto nell’attività
dell’associazione per contribuire al raggiungimento degli
obiettivi statutari.
E’ evidente come la vita di un’associazione come la nostra
dipenda esclusivamente dall’attività dei Soci: siamo quindi
fiduciosi nel Vostro senso di responsabilità.
E’ bene precisare che così come nessuno Vi ha mai chiesto
la tessera, nessuno verrà a chiederVi personalmente la Quota
Sociale. Siamo infatti convinti che ognuno di Voi, se crede nella
nostra attività, nella nostra passione per questo straordinario
hobby, nel nostro impegno e lavoro per far crescere, consolidare
e mantenere viva un’associazione che esiste da più di trent’anni,
senta come un “dovere” il versamento della Quota Sociale.
RIFLESSIONI DI UN ASTROFILO APPASSIONATO DI
FOTOGRAFIA
di Aldo Radrizzani
Non è facile parlare di nebulose e galassie al di fuori delle
loro caratteristiche fisiche e morfologiche: cosa dire?
Schiaparelli aveva ipotizzato che le nebulose potessero essere
soggette a variabilità, come molte stelle, ma ne è stata trovata
una sola, tra l’altro molto piccola, quella di Hubble. Le altre
sono lì, sempre diverse nella loro evoluzione, ma sempre
identiche per la durata della vita umana.
Cosa spinge allora l’astrofilo appassionato ad osservarle in
tutti i modi ed infinite volte? Cosa ci trova? Non è come se
leggesse un libro infinite volte al punto da appiattirne e
toglierne ogni emozione?
E’ una domanda che spesso mi sono fatto osservando la
galassia di Andromeda o la “Nord America”, o la “California” o
la “Rosetta”. Eppure l’impressione è che non vengano mai meno
la curiosità e l’attenzione nello scrutarle. Si direbbe che il fatto
che siano immutabili ai nostri occhi faccia più sensazione del
contrario. In effetti se dovessimo scoprire in cielo una nuvola
che non cambia forma o colore, che rimane sempre identica, ci
farebbe stropicciare gli occhi. Sovvertirebbe non tanto le leggi
della natura, che in questo caso sarebbe il meno, quanto le
nostre menti: non sarebbe accettabile! E saremmo tutti tesi a
La nebulosa Laguna in un’immagine del Telescopio Spaziale
(immagine in negativo)
Forse la cosa è ancora diversa, forse vogliamo cambiare noi
il modo di osservarle per trovare una diversità, come quando si
fa un’autostrada conosciuta con un’automobile nuova e si scopre
che quelle curve hanno qualcosa di diverso, si possono per
esempio prendere meglio, non necessariamente a velocità
maggiore, ma soprattutto con nuove sensazioni di guida.
Insomma, al di fuori delle numerose variabili tecniche,
l’osservazione non ci stanca mai, anzi la presenza di quei
soggetti che fanno parte della nostra conoscenza del cielo ci
tranquillizza sull’eternità del patrimonio naturale insostituibile e
che prepotentemente ci entusiasma e ci conferisce nuove
energie, per un futuro del pensiero che non ha fine, anzi che ha
solo nuovi sviluppi.
Ci fa conquistare una dimensione nuova, dà serenità al
nostro essere immersi in questa natura e riflettere sulla effimera
importanza di tante cose che circondano la nostra esistenza e la
rendono ancorata ad esse, mettendoci in grave difficoltà nei
1
nostri tentativi di ampliare gli orizzonti.
Forse è la libertà dello spirito il risultato che si ottiene, forse
ci troviamo a godere di una felicità perché molte cose intorno a
noi assumono il loro vero peso ed il loro significato, come le
nebulose ed anche noi che le osserviamo.
Ai nostri occhi diamo quindi la fotografia, nelle sue forme
più evolute, per arrivare allo scopo. Diceva Claude Monet:
“della natura tutto può essere rappresentato, anche una scena di
negri che lottano sotto un tunnel”.
La Helix Nebula ripresa dello Space Telescope
(immagine in negativo)
Questo discorso lui lo traduceva in realtà con i suoi pennelli,
noi lo facciamo con le nostre macchine “diaboliche” in cui
riusciamo a far coincidere la serata ottimale. le pellicole “cotte”
al punto giusto, il tempo di posa azzardato con anche la
temporanea negazione delle formule e la nostra voglia di guidare
al meglio, con il risultato di ottenere quella “variabilità”, prima
considerata irraggiungibile, di cui dicevo all’inizio e che è
qualche cosa di più di una immagine radiativa più completa. Poi
l’esame dei negativi è la festa per i nostri occhi e la gioia di
poter dividere con altri e conservare le bellezze che ci
circondano.
Qualcuno obbietterà che questa non è scienza. Sono
d’accordo, sembra di più un gioco e forse lo era anche per
Monet.
L’OBLIQUITÀ DELL’ECLITTICA NELL’ANTICHITÀ
di Adriano Gaspani
Il moto apparente del Sole
Il moto apparente del Sole nel cielo si compie sulla
proiezione dell’orbita della Terra sulla sfera celeste. La
proiezione sulla sfera celeste dell’orbita della Terra intorno al
Sole è un cerchio apparente denominato Eclittica. Essa viene
percorsa dal Sole nel suo moto apparente durante l’anno. Il
cerchio dell’Eclittica è inclinato sull’equatore celeste di un certo
2
angolo denominato “Obliquità dell’Eclittica” ed indicato in
questa sede con la lettera “e”. Tale angolo rappresenta anche
l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto alla perpendicolare al
piano dell’orbita della Terra intorno al Sole.
Il suo valore oscilla ciclicamente tra i 22.5 e i 24.5 gradi con
un periodo di circa 41000 anni. Il suo valore attuale (2000) è
23°26’ ed esso decresce al ritmo di circa 47.11 secondi per
secolo. Questo valore è quello sperimentalmente osservato, ma
la teoria, sviluppata da Newcomb nel 1906, Lieske nel 1970,
Laubscher nel 1972, Laskar nel 1986 e altri prevede un valore
più ridotto e cioè 46.83 secondi per secolo.
Lieske nel 1970 ha messo in evidenza che la discrepanza
potrebbe essere dovuta ad errori di calcolo oppure ad errori di
osservazione. Aoki nel 1969 suppose che una delle cause
potesse essere il moto residuo della crosta terrestre che
sbilancerebbe la Terra cambiandone la velocità di variazione
dell’inclinazione del suo asse. Attualmente la discrepanza non è
ancora stata spiegata in maniera soddisfacente.
Misura sperimentale dell’obliquità dell’eclittica
Vari metodi sono applicabili con il fine ultimo di misurare
sperimentalmente il valore dell’angolo di inclinazione dell’asse
di rotazione della Terra. Varie misurazioni sono state eseguite
sin dalla più remota antichità, la precisione ottenuta ovviamente
rifletteva l’accuratezza della metodologia applicata.
Nell’antichità l’Obliquità dell’Eclittica fu determinata
sperimentalmente misurando la massima altezza del Sole
sull’orizzonte durante i giorni di solstizio oppure misurando la
lunghezza dell’ombra prodotta da uno gnomone infisso nel
terreno al momento del passaggio al meridiano del Sole nei
giorni di solstizio. In pratica si trattava di misurare la minima
lunghezza raggiunta dalla ombra dello gnomone durante la
giornata del solstizi estivo e invernale.
Le date di solstizio potevano essere facilmente determinate
mediante l’osservazione del Sole al suo sorgere o al suo
tramontare cercando di determinare il punto sull’orizzonte in cui
esso sorgeva o tramontava con il massimo angolo di azimut.
Addizionalmente doveva essere nota l’altezza sull’orizzonte
raggiunta durante la notte dal punto corrispondente al Polo Nord
Celeste, quindi mediante semplici calcoli (semplici per gli
astronomi moderni, ma non così semplici per gli uomini
dell’Eneolitico e dell’Età del Bronzo) era possibile ottenere il
valore dell’Obliquità dell’Eclittica.
In termini matematici moderni si può scrivere la seguente
relazione trigonometrica:
tan( e) = − cotan (hp ) ⋅cos( Ho )
dove “e” è l’obliquità dell’eclittica, “hp” è l’altezza del Polo
Nord Celeste sull’orizzonte e “Ho” è l’angolo orario del centro
del disco solare all’istante del sorgere o del tramonto nei giorni
dei solstizi.
Questo metodo seppur apparentemente semplice e alla
portata sia dei Greci, i quali avevano compilato tavole della
funzione Tangente, che probabilmente dei Druidi Celtici i quali,
come testimoniano varie fonti greche e romane, erano
perfettamente al corrente delle conoscenze scientifiche che
venivano diffuse nel mondo greco, è poco probabile sia mai stato
veramente applicato nell’antichità. Infatti la misura dell’angolo
orario “Ho” presuppone la disponibilità di un buon orologio
oppure la capacità di misurare un angolo sul cerchio
dell’Equatore Celeste invece che sull’orizzonte come era d’uso
fare allora. È pur vero che le declinazioni delle stelle erano
correntemente misurate in età ellenistica, cioè altezze delle
stelle rispetto all’equatore celeste, quindi concettualmente la
misura dell’angolo orario poteva essere formalmente eseguita o
ottenuta per differenza tra due valori di longitudine celeste
(misurata sull’Equatore, non sull’Eclittica), quella del Sole
mentre sorgeva e quella di una stella che passasse al meridiano
in quel momento.
Il metodo sembra comunque essere piuttosto difficoltoso e
poco applicabile per quei tempi. E’ necessario allora introdurre
qualcosa di concettualmente più semplice. Un altro
semplicissimo, ma ingegnoso metodo è il seguente il quale
permette di misurare simultaneamente sia la latitudine L
dell’osservatore sia l’Obliquità dell’Eclittica.
Se indichiamo con “Hw” l’altezza massima raggiunta dal
Sole al mezzogiorno vero del giorno del solstizio d’inverno e con
“Hs” la massima altezza raggiunta dal Sole nel giorno di
solstizio d’estate sarà possibile determinare simultaneamente sia
la latitudine L dell’osservatore sia l’Obliquità “e” dell’Eclittica
mediante questi semplici calcoli:
L = 90 −
1 (Hw
2
+ Hs )
e = 12 (Hs − Hw )
gradi
gradi
Questo ultimo metodo è estremamente semplice e
sicuramente fu alla portata degli astronomi antichi i quali erano
in grado di determinare le date di solstizio dalla massima e
minima elongazione del Sole sull’orizzonte locale alla levata o
al tramonto.
La massima altezza sull’orizzonte sud poteva essere
determinata nel momento in cui l’ombra di uno gnomone, il
quale poteva essere rappresentato da una asta di legno infissa
nel suolo oppure da un menhir, assumeva la sua minima
lunghezza durante la giornata.
A questo punto è necessario fare alcune considerazioni.
Infatti i due metodi descritti in precedenza hanno entrambi il
difetto di richiedere dei calcoli che, per quanto semplici essi
siano, nessuno ci assicura che l’uomo preistorico o protostorico
potesse essere in grado di eseguire. Inoltre non esiste una
evidenza diretta che sul territorio europeo siano mai state tentate
misure di questo genere, comunque ci risulta estremamente
probabile che le massime e le minime altezza del Sole
sull’orizzonte siano state correntemente misurate dai sacerdoti
astronomi operanti durante le Età del Bronzo e del Ferro.
Esistono peraltro documenti scritti che attestano che misure
sperimentali dell’Obliquità dell’Eclittica furono eseguite in
Cina sin dal 1100 a.C. ed in Grecia sin dal 350 a.C. Infatti i
documenti disponibili ci indicano che valutazioni di “e” non
furono direttamente eseguite dai Greci, ma “e” può essere
ricavato dai valori misurati della declinazione delle stelle
effettivamente misurate.
In ogni caso alcune valutazioni indirette dell’angolo di
Obliquità dell’Eclittica risalenti ad un periodo dell’Età del Ferro
sono riportate nella seguente tabella.
Valori dell’Obliquità dell’Eclittica osservati fino al termine
dell’Età del Ferro.
Autore
Chou Li
Pytheas
Timocari o Aristillo
Eratostene
Ipparco
Ipparco
Ipparco
(Media Greci
Liu Hsiang
(*) Valore riportato da Tolomeo
Anno
-1100
-350
-290
-250
-150
-128
-128
-114
-30
Valore (°)
23.881
23.819
23.767
23.856
23.858
23.634 *
23.817 *
23.7183
23.745
Dopo un esame del problema un po’ più approfondito, ci si
accorge che se l’Obliquità dell’Eclittica avrebbe potuto essere
intesa dagli astronomi del Neolitico o dell’Età del Bronzo anche
in maniera del tutto diversa.
Supponiamo di essere posizionati all’interno di un cromlech,
cioè un cerchio di pietre con al suo centro un menhir. Se
misuriamo la minima lunghezza dell’ombra proiettata dal
menhir durante i giorni di solstizio e segnamo sul terreno la
posizione raggiunta dal suo estremo durante le due date potremo
identificare due punti S e W.
Il punto S sarà raggiunto al solstizio d’estate e il punto W
sarà raggiunto al solstizio d’inverno. Il punto S disterà dal piede
del menhir una lunghezza “Ls” e il punto W una lunghezza
“Lw”. La direzione passante per i punti S e W sarà quella del
meridiano locale astronomico, mentre la differenza tra le
lunghezze Lw e Ls dipenderà dalla altezza del menhir, dalla
latitudine dell’osservatore e dall’Obliquità dell’Eclittica.
Per un dato cromlech posizionato ad una certa latitudine
geografica questa differenza dipenderà solamente dalla
Obliquità dell’Eclittica.
Gli astronomi antichi non erano in grado di dare una misura
angolare di “e”, ma sicuramente potevano collegare la lunghezza
B=(Lw-Ls) alla posizione media nel cielo del cammino del Sole
durante l’anno, anzi è possibile che essi potessero identificare
proprio con questo valore la nozione di Obliquità dell’Eclittica.
La cosa interessante è che più il menhir era alto e più grande era
la lunghezza B e più era probabile accorgersi che tale valore non
rimaneva costante nel tempo.
Misure indirette di “e” durante l’Età del Bronzo
Tutta un serie di misure ottenute indirettamente sono
diventate disponibili studiando la disposizione dei monumenti
megalitici presumibilmente destinati durante l’Età del Bronzo
all’osservazione della Luna.
Infatti come A. Thom mise in evidenza durante gli anni ‘60,
esistono nelle Isole Britanniche alcuni siti di interesse
archeoastronomico che contengono allineamenti diretti verso i
punti dell’orizzonte in corrispondenza dei quali la Luna sorgeva
o tramontava quando la sua declinazione era massima o minima.
Le date in cui la declinazione lunare assume valori massimi
o minimi sono detti, in analogia con quanto avviene per il Sole,
"Lunistizi". In corrispondenza della data dei Lunistizi la
declinazione Dl della Luna raggiunge i valori estremi:
Dl = e + i + q
(massima declinazione)
Dl = –e – i – q
(minima declinazione)
in cui:
e=
Obliquità dell’Eclittica.
i = Inclinazione dell’orbita lunare sull’Eclittica che conosciamo
essere 5 gradi, 8 primi e 43 secondi.
q = Ampiezza dell’oscillazione principale della inclinazione “i”
(8’.7) che avviene con un periodo di 173.31 giorni.
Secondo A. Thom in almeno 24 siti megalitici esistono
allineamenti diretti verso punti dell’orizzonte in cui la Luna
sorgeva durante particolari date.
L’analisi dei siti ha permesso di determinare con precisione
la declinazione del punti del cielo occupati dalla Luna al suo
sorgere o al suo tramontare in corrispondenza dei quali erano
diretti gli allineamenti trovati nei siti.
Una volta note le declinazioni, i parametri “i”, “q” e il
semidiametro del apparente del disco lunare è possibile ricavare
per ciascun allineamento lunare presente in ciascun sito il valore
dell’Obliquità dell’Eclittica necessario affinché ciascun
allineamento sia valido. In questo caso abbiamo la possibilità di
3
ottenere 16 valori indipendenti di “e” in corrispondenza di vari
siti.
La tabella seguente mette in evidenza i risultati ottenuti da
A. Thom sulla base dei 16 migliori allineamenti disponibili.
Sito
A10/6
H1/1
H1/1
H1/5
H1/5
P4/1
W9/7
A2/5
A2/5
H3/11
H3/11
L1/16
N1/1
N1/1
N1/1
N1/1
“e”
23.874
23.931
23.901
23.936
23.901
23.849
23.899
23.889
23.929
23.811
23.931
23.884
23.861
23.881
23.949
23.899
Sito
Stillaig
Callanish I
Callanish I
Callanish V
Callanish V
Lundin
Parc y Meirw
Kintraw
Kintraw
Leacach an
Tigh Chloiche
Blakeley Moss
Mid Clyth
Mid Clyth
Mid Clyth
Mid Clyth
La media dei valori elencati nella tabella fornisce:
e = 23.895 ±0.036
gradi
che può essere ritenuto come il valore dell’Obliquità
dell’Eclittica per un epoca intorno al 1700 a.C..
Determinazioni di “e” ricavate da fonti Greche
Esistono anche altri metodi per determinare il valore della
Obliquità della Eclittica, basati per esempio sulla misura della
longitudine eclittica delle stelle. Infatti note per una data stella
le coordinate eclittiche, che qui indicheremo con “b” (latitudine)
e “l” (longitudine), e la declinazione “D” allora il valore di “e”
può essere ottenuto invertendo la seguente relazione
matematica:
sin(D) = cos( b) ⋅sin(l) ⋅sin(e) + sin(b) ⋅cos( e)
Ovviamente questo metodo di calcolo può essere usato
solamente da noi, ai nostri tempi, ma il fatto che gli antichi, in
età storica, sviluppassero cataloghi di stelle in cui fossero
elencate sia le coordinate eclittiche che quelle equatoriali per le
stelle più luminose ci rende capaci oggi, mediante questo
calcolo, di stimare il valore corrente di “e” per quei tempi.
Gli astronomi greci compilarono tavole delle declinazioni
delle stelle più luminose e parallelamente indicarono anche le
coordinate eclittiche misurate.
I reperti scritti sono giunti fino a noi quindi applicando il
metodo qui descritto è possibile calcolare il valore
dell’Obliquità dell’Eclittica per il periodo greco.
Misure eseguite in epoca storica
La misura dell’Obliquità dell’Eclittica in maniera diretta fu
comunque perfettamente alla portata degli antichi, lo
testimoniano le numerose misure eseguite in Cina fino dal 1100
a.C.
Durante il periodo storico successivo a quella data furono
eseguite molte misure da parte dei Cinesi, dai Greci, degli Arabi
e degli astronomi europei del medioevo e del rinascimento.
Le misure continuarono con metodi molto più efficienti e
perfezionati fino ai giorni nostri.
La tabella seguente riassume una serie di osservazioni
documentate da fonti scritte attendibili che si estendono dal
1100 a.C. fino al 1900 d.C.. Nella tabella sono riportati: il nome
dell’autore che cita la misura, l’anno in cui essa è stata eseguita
4
e il valore di “e” ottenuto espresso in gradi e decimali.
Valori dell’Obliquità dell’Eclittica osservati durante i secoli
Autore
Siti Megalitici
Chou Li
Pytheas
Timocari o Aristillo
Eratostene
Ipparco
Ipparco
Ipparco
Media Greci
Liu Hsiang
Chia Khuei
Tolomeo
Liu Hung e Tshai Yung
Liu Hung e Tshai Yung
Liu Hung e Tshai Yung
Tsu Chhung-Chih
Li Shun-Feng
al-Màmun
Hsu Ang
al-Màmun
Benu Musa
al-Battani
Pieng Kang
Ibn Corrah
Abdel ben Amajur
al-Sufi
Abu Jaaffar al Chazzan
al-Chojendi
al-Buziani e Abu Hamed
Ibn Junis
Abul Rihan
al-Biruni
al-Zarkali
Liu Hsiao-Jung
Moses ben-Maimon
al-Marrakusi
I. Ben Sid
Kuo Shou-Ching
Nassir Odin
G. de S.Cloud
Ibn al-Shatir
al-Sanjufini
Mirza Ulugh Beg
Walther
Tycho Brahe
Tycho Brahe
Riccioli
Boulliaud
Hevelius
Cassini
Flamsteed
Bianchini
Romer
de la Condamine
de Thury
le Monnier
Bradley
Lacaille
Mayer
Bessel
Peters
Leverrier
Hansen e Olufsen
Newcomb
van de Sande Bakhuyzen
Autori vari
Anno
-1700
-1100
-350
-290
-250
-150
-128
-128
-114
-30
89
137
173
173
179
450
630
800
820
830
845
885
900
911
918
965
970
994
999
1003
1007
1019
1061
1140
1174
1240
1277
1278
1290
1290
1363
1367
1436
1490
1587
1590
1646
1650
1661
1672
1690
1703
1709
1737
1743
1743
1750
1750
1756
1800
1800
1850
1850
1850
1870
1900
Valore (°)
23.895
23.881
23.819
23.767
23.856
23.858
23.634 *
23.817 *
23.7183
23.745
23.66
23.728
23.837
23.689
23.631
23.636
23.661
23.562
23.541
23.564
23.583
23.583
23.556
23.558
23.583
23.6525
23.5833
23.5392
23.5833
23.5833
23.5833
23.5833
23.5583
23.5245
23.5000
23.5625
23.5414
23.5367
23.5000
23.5667
23.5167
23.5417
23.5047
23.4964
23.5067
23.4978
23.5056
23.5333
23.4861
23.4825
23.4835
23.4764
23.4797
23.4733
23.4764
23.4761
23.4717
23.4719
23.471111
23.465222
23.465061
23.458842
23.458728
23.458800
23.456111
23.452174
(*) Valore riportato da Tolomeo
La tabella ovviamente non riporta determinazioni o stime
che possono essere avvenute in epoca megalitica europea in
quanto mancano fonti scritte dirette.
La determinazione empirica di “e”
L’avere a disposizione un certo numero di valori storici della
Obliquità dell’Eclittica è molto importante, come abbiamo visto
in precedenza, in quanto ha permesso di mettere in evidenza
piccole, ma ben determinate discrepanze, attualmente non
ancora perfettamente spiegate, tra la teoria basata sulla
meccanica celeste e i valori ottenuti sperimentalmente durante i
secoli.
Ovviamente la precisione con cui le determinazione storiche
di “e” sono state eseguite è di vari ordini di grandezza inferiore
rispetto a quanto è stato ottenuto in epoca più recente. Infatti
analizzando i dati disponibili e sparsi tra il 1000 a.C. e il 800
d.C. è possibile osservare che mediamente l’errore compiuto da
parte degli antichi astronomi sulla determinazione del valore di
“e” è dell’ordine di 0.05 gradi.
Le misure ottenute in questo periodo sono esclusivamente
greche, babilonesi e soprattutto cinesi. Infatti dall’analisi di tutti
i dati disponibili risulta che mediamente le incertezze con cui
sono disponibili le misure sperimentali dell’Obliquità
dell’Eclittica attraverso i secoli possono essere riassunte nella
seguente tabella.
Incertezza sulla determinazione sperimentale dell’Obliquità
dell’Eclittica in passato
Periodo Storico (anni)
1700 a.C.
1100 a.C - 800 d.C
800 d.C - 1749 d.C
1749 d.C - 1900 d.C
Errore su “e” (in ” d’arco)
130"
216"
36"
0".18
Cosa ci dice la Meccanica Celeste
Come abbiamo visto in precedenza vari astronomi teorici si
sono preoccupati di mettere a punto delle formule matematiche
in grado di prevedere con buona approssimazione i valori di “e”
net tempo.
Tra questi possiamo citare Newcomb nel 1906, che ha
ottenuto la seguente espressione:
e(T ) = 23°27'31".68 − 46".837 ⋅T − 0".00085 ⋅T 2 − 0".0017 ⋅T 3
in cui T è il numero di secoli giuliani trascorsi dal 1850.0.
Il modello di Newcomb funziona bene però solamente su un
intervallo di 5 secoli centrato nell’anno 1850.0
L’estensione di questa approssimazione all’antichità
fornisce risultati erronei.
La stessa ricalcolata per il 1900.0 diventa:
e(T ) = 23°27'08".26 − 46".844 ⋅T − 0".00595 ⋅T 2 − 0".0017 ⋅T 3
ma nuovamente si rivela completamente inaffidabile per i
calcoli in epoca antica.
Un’altra espressione simile è quella di Wilkins, sviluppata
nel 1960. Essa è:
e(T) = 23.452294− 1.30125⋅10− 2 ⋅T − 1.64 ⋅10− 6 ⋅T 2 − 5.03 ⋅10− 7 T 3
in cui tutte le quantità numeriche ivi rappresentate sono
espresse in gradi e T è il numero di secoli giuliani trascorsi dal
1900.0.
Anche questo modello perde di validità andando indietro nel
tempo. Ad esempio già nel 1000 a.C. essa inizia ad avere un
errore considerevole.
Appare quindi necessario mettere a punto un modello che
sia sufficientemente accurato e che sia in grado di determinare il
valore dell’Obliquità della Eclittica accurato su un lasso di
tempo di almeno 20000 anni.
In più sia i modelli di Newcomb che di Wilkins non sono
periodici, mentre è ben noto che l’oscillazione dell’inclinazione
dell’asse terrestre lo è con un periodo intorno ai 40000 anni.
Applicazione delle Reti Neuronali Artificiali
A questo proposito è stato possibile costruire un modello più
adeguato per gli usi di tipo astro-archeologico il quale doveva
avere le seguenti quattro caratteristiche:
a) fornire risultati accettabili su almeno un lasso di tempo di 1
milione di anni;
b) riflettere la natura periodica della oscillazione dell’asse
terrestre;
c) essere basato su dati sperimentali ottenuti durante i secoli;
d) essere sufficientemente robusto da non farsi ingannare
dalla scarsa precisione delle misure antiche.
Tutti questi requisiti per essere soddisfatti richiedono l’uso
di qualcosa di molto sofisticato e quindi è stata messa a punto
una rete neuronale artificiale di un tipo particolare, quelle
cosiddette in gergo “a link funzionale” la quale è stata
addestrata sui dati sperimentali disponibili partendo dal 1700
a.C. fino all’anno 1900.
La struttura della rete è molto semplice: un neurone nello
strato di input, due link funzionali intermedi e un neurone nello
strato di output. I due links funzionali sono stati scelti in modo
tale che corrispondessero alle funzioni seno e coseno in quanto è
stata imposta a priori la periodicità della variazione di “e”.
Nonostante questa estrema semplicità i risultati ottenuti
sono stati molto positivi. Infatti la rete neuronale artificiale è in
grado di fornire una approssimazione del valore vero dell’angolo
di Obliquità dell’Eclittica accurata alle terza cifra decimale su
un intervallo di oltre un milione di anni. Infatti l’errore
quadratico medio ottenuto su tutti i 41000 anni risulta essere
inferiore a 0.00012 gradi.
Questo dispositivo è molto utile dal punto di vista
archeoastronomico in quanto permette di calcolare un valore
abbastanza preciso dell’Obliquità della Eclittica anche molto
remoto nel tempo.
Analizzando il modello messo a punto è possibile assegnare
un valore medio alla inclinazione dell’asse terrestre 23.49698
gradi e un ampiezza periodica di variazione pari 1.72 gradi.
Infatti i pesi corrispondenti ai due links funzionali sono risultati
essere rispettivamente 0.139028 (per il link coseno) e 0.848817
(per il link seno). Dalla combinazione dei due pesi risulta
l’ampiezza di variazione riportata. L’angolo di Obliquità
dell’Eclittica toccherà quindi i due valori estremi pari a 24.357
gradi e a 22.637 gradi durante ciascun ciclo di 41013 anni solari
medi. Questo valore indicherà quindi il periodo con cui l’asse
terrestre compie una oscillazione completa intorno alla sua
direzione media.
E’ quindi possibile calcolare che il ritmo di variazione
secolare dell’inclinazione dell’asse terrestre, cioè la velocità con
cui essa cambia nel tempo, che risulta essere essa stessa una
funzione dipendente dal tempo in maniera periodica con un
ampiezza di circa 47”.18.
A questo punto risulta interessante interrogare le rete
neuronale chiedendole di calcolare i valori dell’Obliquità
dell’Eclittica in corrispondenza delle date riportate in
precedenza e relative alle Età del Bronzo e del Ferro.
La tabella seguente mette a confronto le misurazioni
documentate dalle varie fonti antiche e i valori ottenuti mediante
generalizzazione della rete neuronale.
5
Valori dell’Obliquità dell’Eclittica osservati durante l’Età del
Bronzo e l’Età del Ferro e corrispondenti valori generalizzati
dalla rete neuonrale
Autore
Astronomi Megalitici
Chou Li
Pytheas
Timocari o Aristillo
Eratostene
Ipparco
Ipparco
Ipparco
Media Greci
Liu Hsiang
Anno
-1700
-1100
-350
-290
-250
-150
-128
-128
-114
-90
“e” storico
23.895
23.881
23.819
23.767
23.856
23.858
23.634
23.817
23.7183
23.745
“e” rete neuronale
23.909
23.838
23.745
23.737
23.732
23.720
23.717
23.715
23.7151
23.704
Dal confronto tra i dati osservati e quelli ottenuti mediante
la rete neuronale si osservano immediatamente alcuni fatti
interessanti. Il più appariscente è la discrepanza tra i due valori
ricavati da Thom analizzando le strutture megalitiche presenti
nelle isole britanniche.
Infatti facendo ottimizzare alla rete neuronale l’epoca in cui
“e” valeva 23.895 gradi, cioè quanto ottenuto da A. Thom, si
ottiene il 1580 a.C. È possibile quindi che la datazione proposta
da A. Thom per i siti megalitici da lui studiati fosse in errore di
circa un secolo. Un altro interessante fatto riguarda la precisione
delle misure ottenute dagli antichi. Infatti i dati riportati nella
tabella mostrano che i due astronomi cinesi Chou Li e Liu
Hsiang eseguirono le misure più accurate. Lo stesso ordine di
accuratezza fu raggiunto da Aristillo e Timocari, ma tutti gli
astronomi greci ebbero prestazioni individuali di gran lunga
inferiori.
L’ASTRONOMIA: UNA SCIENZA “SPERIMENTALE”
di Elia Cozzi (pubblicato su “Città di Saronno” del marzo
1998)
In questi ultimi anni la scienza astronomica ha conosciuto
una crescita esponenziale del numero di scoperte che hanno
rivoluzionato il sapere umano con una straordinaria conferma
della reale esistenza di fenomeni che fino a pochi anni fa erano
previsti solo dalla teoria delle leggi fisiche e matematiche.
Tuttavia, non si deve commettere l’errore di sottovalutare le
scoperte del passato giudicandole di minor importanza, anzi, si
può ragionevolmente affermare che lo sviluppo dell’astronomia
è stato particolarmente spettacolare nell’Ottocento e nei primi
anni del Novecento, soprattutto in considerazione del contesto in
cui vennero formulate determinate teorie fisiche, come la
Relatività Generale e le prime ipotesi della Meccanica
Quantistica, che causarono una crisi della fisica classica ad un
livello paragonabile a quella in cui si venne a trovare il modello
Tolemaico alla luce delle osservazioni di Galileo e della
successiva formulazione della legge della Gravitazione
Universale. Infatti, un carattere interessante dell’astronomia
durante questo periodo è proprio la conferma che essa apportò
prima alla teoria di Newton e poi a quella di Einstein.
Per ben tre volte gli astronomi postularono l’esistenza di un
nuovo pianeta sulla base della gravitazione di Newton.
La prima volta nel 1845, quando Adams e Leverrier
dedussero indipendentemente, dalle perturbazioni nel moto di
Urano, l’esistenza di un nuovo pianeta, Nettuno. Un anno dopo
Nettuno fu effettivamente scoperto da Johann Galle nella
regione di cielo indicata dai calcoli. Questo successo fu uno dei
grandi trionfi della scienza ottocentesca, ed esercitò una
6
profonda impressione sui profani colti del tempo, che videro in
esso una dimostrazione spettacolare della capacità della mente
umana di svelare i segreti della natura.
La seconda predizione di un nuovo pianeta fu fatta nel 1859,
quando lo stesso Leverrier, ormai famoso in tutto il mondo per il
suo contributo alla scoperta di Nettuno, rivolse la sua attenzione
a Mercurio. Egli riscontrò una deviazione inspiegata del moto
del pianeta dall’orbita prevista e ne dedusse l’esistenza di uno o
più pianeti, su un’orbita più interna di quella di Mercurio, che
dovevano essere responsabili di tale deviazione. Al pianeta non
ancora scoperto fu assegnato il nome di Vulcano. Questa volta
però la previsione non trovò conferma. Molte persone
affermarono di avere osservato Vulcano, o nella forma di un
punto di luce in prossimità dell’orizzonte al sorgere o al
tramonto del Sole, o nella forma di un punto nero sul disco del
Sole durante il giorno. Purtroppo le varie osservazioni non
poterono essere conciliate con nessuna orbita newtoniana
coerente e, con il migliorare delle tecniche di osservazione, la
fede nell’esistenza di Vulcano cominciò lentamente a dissiparsi.
La terza predizione di un pianeta fu fatta nel 1915, quando
Lowell dedusse da ulteriori perturbazioni dell’orbita di Urano
l’esistenza di un altro pianeta ancora al di là di Nettuno. Nel
1930 Tombaugh trovò, nella posizione predetta, il pianeta
Plutone. In questo caso, però, si trattò di un caso fortuito: con la
sua massa estremamente ridotta, Plutone non è in grado di
influenzare l’orbita di Urano.
Dall’astronomia venne anche un’importante conferma della
teoria di Albert Einstein.
Nel 1915 Einstein mostrò che la deviazione del moto di
Mercurio era una conseguenza della Relatività Generale e non
un effetto dovuto ad un pianeta più interno. Einstein predisse
anche che la luce, come qualsiasi corpo materiale, passando nel
campo gravitazionale di un corpo di grande massa, avrebbe
percorso non una linea retta bensì una curva. Egli suggerì che la
sua teoria poteva essere sottoposta a un test sperimentale
osservando la traiettoria della luce di una stella nel campo
gravitazionale del Sole. Di fatto Einstein mise in gioco tutta la
sua Relatività in questo test e, mentre gli astronomi si
preparavano a fotografare l’eclisse totale di Sole del 29 maggio
1919, l’attesa si fece febbrile. Quando le fotografie furono
sviluppate e esaminate, la deflessione della luce delle stelle nel
campo gravitazionale del Sole fu confermata.
La Relatività di Einstein continuò a fornire, grazie agli
sviluppi realizzati da matematici dotati, predizioni sorprendenti.
Lo sviluppo più spettacolare è probabilmente quello legato ai
buchi neri, che ha generato un considerevole interesse e
continua a essere al centro di vivaci discussioni.
Le rivoluzioni astronomiche non finiranno certo con l’inizio
del Terzo Millennio: la Relatività di Einstein mostra qualche
lacuna nell’interpretazione dei fenomeni che potrebbero
avvenire all’interno di un buco nero o che si sono manifestati
nei primissimi istanti di vita dell’Universo. Una nuova teoria, la
Gravità Quantistica (una sorta di unione tra la Gravitazione
Universale e la Meccanica Quantistica), potrebbe sconvolgere
nuovamente tutto il sapere scientifico, portando le scoperte dei
grandi telescopi ad una interazione sempre più ravvicinata con
quelle dei grandi acceleratori di particelle, unificando
l’infinitamente grande con l’infinitamente piccolo.
STORIA DELLA RICERCA DI SUPERNOVAE
Associazione Astrofili Trentini
(3ª parte)
La Ricerca Automatica
La storia di questo tipo di ricerca può essere suddivisa come
segue:
(1) Prima della seconda guerra mondiale, Zwicky ed un
collega della Repubblica Centrale Africana, progettarono un
metodo di ricerca che avrebbe dovuto utilizzare grosse camere
Schmidt equipaggiate di “television detectors”, per rendere
possibile la visualizzazione del campo inquadrato. Il progetto
non fu mai realizzato.
(2) Negli anni ’60 J.A. Hynek ed i suoi colleghi Powers e
Dunlap resero operativo un telescopio da 24 pollici collegato a
schermi televisivi per permettere il confronto delle galassie con
fotografie di archivio. Un certo numero di SN fu scoperto in
questo modo: 14 secondo Stirling Colgate. Questo progetto
perdette i finanziamenti dopo soli due anni, anche se il nome di
Dunlap appare nelle liste delle scoperte ufficiali di SN per un
periodo di 15 anni.
(3) Intorno al 1970, Stirling Colgate incominciò a lavorare
ad un sistema interamente automatico, dove tutte le operazioni
venivano controllate da un computer, con il telescopio situato
lontano dal computer, e con l’intervento umano richiesto solo
occasionalmente. Il progetto incontrò notevoli problemi nello
sviluppo del sistema, quasi da sospenderlo del tutto, ma riuscì a
diventare operativo nel febbraio del 1987. Da allora nonostante
le migliaia di galassie controllate, nessuna SN è stata scoperta e
tutta la strumentazione soffre ancora di occasionali problemi.
spesi per questo progetto circa cinque milioni di dollari. Oggi si
può dire che il gruppo di Berkeley, che fa capo all’astronomo
Alexei Filippenko è tra i più attivi scopritori di supernovae. In
media negli ultimi anni ne hanno trovate tre o quattro, la
maggior parte anche luminose (ad esempio, la 1994D in NGC
4526 raggiunge la magnitudine 12.0). Il gruppo di Berkeley ha
ancora altri progetti in fase di realizzazione. La loro attività
futura potrà quindi riservare ulteriori sorprese e probabilmente
molti successi. Tra i loro piani vi è anche l’utilizzo di un
telescopio e computer più potenti, in grado di operare
autonomamente in zone lontane da Berkeley (forse Hawaii), ma
con le operazioni di confronto delle immagini del CCD fatte a
Berkeley. Il gruppo sta, inoltre, progettando un ulteriore
telescopio, da 2,5 metri, da dedicare esclusivamente alla ricerca
di SN in galassie molto distanti. Altre università o centri di
ricerca astronomica stanno progettando iniziative simili. Solo il
tempo dirà quanto successo potranno avere questi progetti.
(5) In conclusione di questo paragrafo è doveroso
menzionare la prima scoperta di una SN fatta da un astrofilo con
un CCD; lo scopritore è il francese Eric Thouvenot. Si tratta
della SN 1990N in NGC 4639. Eric è stato uno dei numerosi
astrofili che stava eseguendo esposizioni con un CCD presso
l’Osservatorio di Pic du Midi. Eric ha confrontato dopo
l’esposizione, l’immagine con una stampa del Palomar, trovando
così la SN. Sembra, comunque, che la sua foto non avesse nulla
a che fare con una ricerca sistematica di SN, né vi erano
metodologie automatiche in atto. Una seconda scoperta
amatoriale con il CCD è stata fatta da un altro astrofilo francese
Christian Buil. Egli ha scoperto SN 1992I in NGC 2565 alla fine
di febbraio, usando sempre uno strumento professionale. Ma è
stato con la scoperta della 1994I in M51 che il CCD ha
seriamente incominciato ad essere uno strumento vincente di
ricerca anche per gli astrofili. Questa supernova è stata trovata il
2 aprile 1994 da ben 5 astrofili tutti equipaggiati di CCD. In
Italia la prima scoperta di una supernova con il CCD è stata fatta
da Alessandro Gabrijelcic, di Agordo (Belluno), con la
supernova 1995E nella galassia NGC 2441, nel mese di marzo.
LE PULSAR
di Christian Lavarian - Associazione Astrofili Trentini
La Supernova 1987A ripresa del Telescopio Spaziale
(immagine in negativo)
(4) Agli inizi degli anni ’80 il Berkeley Automatic
Supernova Search incominciò la realizzazione di un programma
totalmente automatizzato. Le frustrazione ed i fallimenti del
piano originale fecero optare per un confronto visivo tramite uno
schermo del computer. Il telescopio utilizzava un CCD, ed un
osservatore faceva il confronto con un immagine archiviata nella
memoria del computer. Le prime scoperte fatte dal gruppo di
Berkeley furono eseguite secondo questo approccio. Tuttavia, il
gruppo insistette con l’obiettivo della totale automazione del
progetto; in questo modo ottennero le prime scoperte di SN nella
metà del 1988. Il numero di scoperte da loro effettuate oggi
supera la dozzina e cresce lentamente. Fino al 1990 erano stati
Le pulsar sono la conferma dell’esistenza delle stelle di
neutroni.
Le stelle di neutroni sono il risultato del collasso di una
stella con un valore di massa relativamente alto, per il quale la
pressione del gas degenere non riesce ad equilibrare la forza di
gravità; la stella si comprime quindi così tanto finche la
pressione del “gas” neutronico degenere è capace di resistere
alle forze di gravità.
Una stella di neutroni non è visibile come una stella a cui
siamo abituati, ma possiamo carpire la sua presenza dalle sue
peculiari emissioni energetiche. E’ stata la scoperta delle pulsar,
infatti, come dicevo prima, la prova dell’esistenza delle stelle di
neutroni. L’esistenza è stata anche confermata dall’osservazione
delle sorgenti X binarie, nel quale si ebbero le prime valutazioni
delle masse delle stelle di neutroni.
La trasmissione di una pulsar è una vera e propria
oscillazione di trasmissione radio con impulsi estremamente
brevi della durata di 0.016 secondi ogni 1.33 secondi circa.
Segnali di questo tipo possono essere emessi solo da oggetti di
dimensioni inferiori a circa 6000 chilometri e ciò comporta una
emissione di un energia così enorme che fece pensare proprio
alle stelle di neutroni studiate in teoria.
Si pensa che l’emissione sia concentrata in un fascio che
ruota con la pulsar, così come avviene in un faro. E’ ovvio
quindi che il periodo di pulsazione del segnale è legato al
7
periodo di rotazione della stella di neutroni (poiché gli intervalli
sono molto brevi, si deduce che una stella di neutroni ruota
molto velocemente).
L’idea che si ha della loro struttura è quella di una crosta
rigida esterna contente un “fluido neutronico” che ruota
probabilmente un po’ più veloce dello strato esterno.
La prima pulsar trovata per caso. Fu un classico esempio di
serendipità, una scoperta inattesa che un ricercatore compie per
caso mentre è orientato in tutt’altra direzione. Le pulsar, infatti,
furono scoperte da astrofisici di Cambridge con un
radiotelescopio costruito per studiare le variazioni delle
radiosorgenti celesti. Il programma richiedeva la monotona
lettura di chilometri di carta millimetrata sui quali la
strumentazione del radiotelescopio registrava i dati e a questo
ingrato lavoro fu chiamata la giovane Jocelyn Bell. La quale
notò una pulsazione ritmica di grande regolarità che proveniva
dalla zona di cielo fra Altair e Vega e che, come il fantasma di
Elsinor, faceva la sua comparsa intorno alla mezzanotte. Che si
trattasse di un segnale di origine extraterrestre lo si capì dal
fatto che, al trascorrere del tempo, l’impulso anticipava il suo
passaggio al meridiano proprio come fanno le stelle. Si pensò
che qualche civiltà extraterrestre stesse tentando di comunicare
con noi, e il segnale fu chiamato LGM (Little Green Men, vale a
dire piccoli uomini verdi) . Nel frattempo, però , la scoperta di
altri simili segnali fece crollare la pur suggestiva ipotesi. Era del
tutto inverosimile, infatti, che diverse civiltà extraterrestri
avessero deciso, tutte insieme, di mettersi in contatto con noi.
Dietro a LGM, dunque, non c’era nessun omino verde, ma un
oggetto stellare la cui natura andava determinata. Oggi tutti
ritengono che le pulsar siano stelle di neutroni, residui di
esplosioni di supernova.
BILANCIO DEL GRUPPO ASTROFILI GIOVANNI E
ANGELO BERNASCONI PER L’ANNO 1997
USCITE
Spese foto cometa Hale–Bopp
TV, amplificatore e videoregistratore
Affitto
Lavagna luminosa
Lune in diretta
Tassa rifiuti
Cancelleria
Spese gestione c/c Cariplo
Varie
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
2.526.800
2.700.000
986.700
1.170.000
113.000
136.000
295.050
49.500
679.100
Totale Uscite
L.
8.656.150
ENTRATE
Vendita foto cometa Hale–Bopp
Lune in diretta
Corsi astronomia Lomazzo
Quote Sociali 1997 ( 45 soci ) + arretrate
Libri 30°
Interessi c/c Cariplo
Contributi vari
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
4.941.100
1.340.000
1.000.000
755.000
64.000
42.160
200.000
Totale Entrate
L.
8.342.260
Perdita 1997
L.
313.890
L. 11.848.712
Saldo al 31/12/96
Cassa al 31/12/96
Banca al 31/12/96
142.950
11.705.762
Saldo al 31/12/97
Cassa al 31/12/97
Banca al 31/12/97
605.600
10.929.222
L. 11.534.822
La nebulosa del granchio ripresa con il telescopio di Monte
Palomar (a sinistra) e con lo Space Telescope (a destra)
(immagine in negativo)
Curiosità: la prima pulsar identificata come oggetto ottico è
la pulsar della Nebulosa del Granchio. Il suo periodo è di 0,0339
secondi e ciò significa che effettua quasi 30 pulsazioni al
secondo (il periodo è infatti l’inverso della frequenza, sicché
quest’ultima si ottiene facendo il reciproco di 0,0339). Scoperta
nel gennaio 1969, la pulsar è il residuo della supernova che
apparve nel Toro nel luglio del 1054. Essa fu visibile di notte
per quasi un anno e per 23 giorni fu visibile anche di giorno.
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