NIHIL SUB ASTRIS NOVUM N. 16 – 22 MARZO 1998 a cura di Cristina Bernasconi, Elia Cozzi e Massimo Zoggia ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– A Newsletter of Gruppo Astrofili “Giovanni e Angelo Bernasconi” Via S. Giuseppe, 34–36 21047 Saronno (VA) Italy http://www.pangea.va.it/Bernasconi ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– tenerla sotto osservazione nella certezza che un qualsiasi QUOTA SOCIALE cambiamento finisca per accadere. La Quota Sociale per il 1998 è rimasta a 15.000 lire. Invitiamo quindi i Soci che non l’avessero ancora fatto a rinnovarla e, per chi se ne fosse dimenticato ormai da un anno, a versare anche quella del 1997. Sebbene l’iscrizione non sia obbligatoria per partecipare alle riunioni periodiche domenicali o alle altre attività organizzate dal Gruppo (ognuno di Voi può testimoniare che a nessuno è mai stata chiesta la tessera), il versamento della Quota Sociale è una dimostrazione di coinvolgimento diretto nell’attività dell’associazione per contribuire al raggiungimento degli obiettivi statutari. E’ evidente come la vita di un’associazione come la nostra dipenda esclusivamente dall’attività dei Soci: siamo quindi fiduciosi nel Vostro senso di responsabilità. E’ bene precisare che così come nessuno Vi ha mai chiesto la tessera, nessuno verrà a chiederVi personalmente la Quota Sociale. Siamo infatti convinti che ognuno di Voi, se crede nella nostra attività, nella nostra passione per questo straordinario hobby, nel nostro impegno e lavoro per far crescere, consolidare e mantenere viva un’associazione che esiste da più di trent’anni, senta come un “dovere” il versamento della Quota Sociale. RIFLESSIONI DI UN ASTROFILO APPASSIONATO DI FOTOGRAFIA di Aldo Radrizzani Non è facile parlare di nebulose e galassie al di fuori delle loro caratteristiche fisiche e morfologiche: cosa dire? Schiaparelli aveva ipotizzato che le nebulose potessero essere soggette a variabilità, come molte stelle, ma ne è stata trovata una sola, tra l’altro molto piccola, quella di Hubble. Le altre sono lì, sempre diverse nella loro evoluzione, ma sempre identiche per la durata della vita umana. Cosa spinge allora l’astrofilo appassionato ad osservarle in tutti i modi ed infinite volte? Cosa ci trova? Non è come se leggesse un libro infinite volte al punto da appiattirne e toglierne ogni emozione? E’ una domanda che spesso mi sono fatto osservando la galassia di Andromeda o la “Nord America”, o la “California” o la “Rosetta”. Eppure l’impressione è che non vengano mai meno la curiosità e l’attenzione nello scrutarle. Si direbbe che il fatto che siano immutabili ai nostri occhi faccia più sensazione del contrario. In effetti se dovessimo scoprire in cielo una nuvola che non cambia forma o colore, che rimane sempre identica, ci farebbe stropicciare gli occhi. Sovvertirebbe non tanto le leggi della natura, che in questo caso sarebbe il meno, quanto le nostre menti: non sarebbe accettabile! E saremmo tutti tesi a La nebulosa Laguna in un’immagine del Telescopio Spaziale (immagine in negativo) Forse la cosa è ancora diversa, forse vogliamo cambiare noi il modo di osservarle per trovare una diversità, come quando si fa un’autostrada conosciuta con un’automobile nuova e si scopre che quelle curve hanno qualcosa di diverso, si possono per esempio prendere meglio, non necessariamente a velocità maggiore, ma soprattutto con nuove sensazioni di guida. Insomma, al di fuori delle numerose variabili tecniche, l’osservazione non ci stanca mai, anzi la presenza di quei soggetti che fanno parte della nostra conoscenza del cielo ci tranquillizza sull’eternità del patrimonio naturale insostituibile e che prepotentemente ci entusiasma e ci conferisce nuove energie, per un futuro del pensiero che non ha fine, anzi che ha solo nuovi sviluppi. Ci fa conquistare una dimensione nuova, dà serenità al nostro essere immersi in questa natura e riflettere sulla effimera importanza di tante cose che circondano la nostra esistenza e la rendono ancorata ad esse, mettendoci in grave difficoltà nei 1 nostri tentativi di ampliare gli orizzonti. Forse è la libertà dello spirito il risultato che si ottiene, forse ci troviamo a godere di una felicità perché molte cose intorno a noi assumono il loro vero peso ed il loro significato, come le nebulose ed anche noi che le osserviamo. Ai nostri occhi diamo quindi la fotografia, nelle sue forme più evolute, per arrivare allo scopo. Diceva Claude Monet: “della natura tutto può essere rappresentato, anche una scena di negri che lottano sotto un tunnel”. La Helix Nebula ripresa dello Space Telescope (immagine in negativo) Questo discorso lui lo traduceva in realtà con i suoi pennelli, noi lo facciamo con le nostre macchine “diaboliche” in cui riusciamo a far coincidere la serata ottimale. le pellicole “cotte” al punto giusto, il tempo di posa azzardato con anche la temporanea negazione delle formule e la nostra voglia di guidare al meglio, con il risultato di ottenere quella “variabilità”, prima considerata irraggiungibile, di cui dicevo all’inizio e che è qualche cosa di più di una immagine radiativa più completa. Poi l’esame dei negativi è la festa per i nostri occhi e la gioia di poter dividere con altri e conservare le bellezze che ci circondano. Qualcuno obbietterà che questa non è scienza. Sono d’accordo, sembra di più un gioco e forse lo era anche per Monet. L’OBLIQUITÀ DELL’ECLITTICA NELL’ANTICHITÀ di Adriano Gaspani Il moto apparente del Sole Il moto apparente del Sole nel cielo si compie sulla proiezione dell’orbita della Terra sulla sfera celeste. La proiezione sulla sfera celeste dell’orbita della Terra intorno al Sole è un cerchio apparente denominato Eclittica. Essa viene percorsa dal Sole nel suo moto apparente durante l’anno. Il cerchio dell’Eclittica è inclinato sull’equatore celeste di un certo 2 angolo denominato “Obliquità dell’Eclittica” ed indicato in questa sede con la lettera “e”. Tale angolo rappresenta anche l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto alla perpendicolare al piano dell’orbita della Terra intorno al Sole. Il suo valore oscilla ciclicamente tra i 22.5 e i 24.5 gradi con un periodo di circa 41000 anni. Il suo valore attuale (2000) è 23°26’ ed esso decresce al ritmo di circa 47.11 secondi per secolo. Questo valore è quello sperimentalmente osservato, ma la teoria, sviluppata da Newcomb nel 1906, Lieske nel 1970, Laubscher nel 1972, Laskar nel 1986 e altri prevede un valore più ridotto e cioè 46.83 secondi per secolo. Lieske nel 1970 ha messo in evidenza che la discrepanza potrebbe essere dovuta ad errori di calcolo oppure ad errori di osservazione. Aoki nel 1969 suppose che una delle cause potesse essere il moto residuo della crosta terrestre che sbilancerebbe la Terra cambiandone la velocità di variazione dell’inclinazione del suo asse. Attualmente la discrepanza non è ancora stata spiegata in maniera soddisfacente. Misura sperimentale dell’obliquità dell’eclittica Vari metodi sono applicabili con il fine ultimo di misurare sperimentalmente il valore dell’angolo di inclinazione dell’asse di rotazione della Terra. Varie misurazioni sono state eseguite sin dalla più remota antichità, la precisione ottenuta ovviamente rifletteva l’accuratezza della metodologia applicata. Nell’antichità l’Obliquità dell’Eclittica fu determinata sperimentalmente misurando la massima altezza del Sole sull’orizzonte durante i giorni di solstizio oppure misurando la lunghezza dell’ombra prodotta da uno gnomone infisso nel terreno al momento del passaggio al meridiano del Sole nei giorni di solstizio. In pratica si trattava di misurare la minima lunghezza raggiunta dalla ombra dello gnomone durante la giornata del solstizi estivo e invernale. Le date di solstizio potevano essere facilmente determinate mediante l’osservazione del Sole al suo sorgere o al suo tramontare cercando di determinare il punto sull’orizzonte in cui esso sorgeva o tramontava con il massimo angolo di azimut. Addizionalmente doveva essere nota l’altezza sull’orizzonte raggiunta durante la notte dal punto corrispondente al Polo Nord Celeste, quindi mediante semplici calcoli (semplici per gli astronomi moderni, ma non così semplici per gli uomini dell’Eneolitico e dell’Età del Bronzo) era possibile ottenere il valore dell’Obliquità dell’Eclittica. In termini matematici moderni si può scrivere la seguente relazione trigonometrica: tan( e) = − cotan (hp ) ⋅cos( Ho ) dove “e” è l’obliquità dell’eclittica, “hp” è l’altezza del Polo Nord Celeste sull’orizzonte e “Ho” è l’angolo orario del centro del disco solare all’istante del sorgere o del tramonto nei giorni dei solstizi. Questo metodo seppur apparentemente semplice e alla portata sia dei Greci, i quali avevano compilato tavole della funzione Tangente, che probabilmente dei Druidi Celtici i quali, come testimoniano varie fonti greche e romane, erano perfettamente al corrente delle conoscenze scientifiche che venivano diffuse nel mondo greco, è poco probabile sia mai stato veramente applicato nell’antichità. Infatti la misura dell’angolo orario “Ho” presuppone la disponibilità di un buon orologio oppure la capacità di misurare un angolo sul cerchio dell’Equatore Celeste invece che sull’orizzonte come era d’uso fare allora. È pur vero che le declinazioni delle stelle erano correntemente misurate in età ellenistica, cioè altezze delle stelle rispetto all’equatore celeste, quindi concettualmente la misura dell’angolo orario poteva essere formalmente eseguita o ottenuta per differenza tra due valori di longitudine celeste (misurata sull’Equatore, non sull’Eclittica), quella del Sole mentre sorgeva e quella di una stella che passasse al meridiano in quel momento. Il metodo sembra comunque essere piuttosto difficoltoso e poco applicabile per quei tempi. E’ necessario allora introdurre qualcosa di concettualmente più semplice. Un altro semplicissimo, ma ingegnoso metodo è il seguente il quale permette di misurare simultaneamente sia la latitudine L dell’osservatore sia l’Obliquità dell’Eclittica. Se indichiamo con “Hw” l’altezza massima raggiunta dal Sole al mezzogiorno vero del giorno del solstizio d’inverno e con “Hs” la massima altezza raggiunta dal Sole nel giorno di solstizio d’estate sarà possibile determinare simultaneamente sia la latitudine L dell’osservatore sia l’Obliquità “e” dell’Eclittica mediante questi semplici calcoli: L = 90 − 1 (Hw 2 + Hs ) e = 12 (Hs − Hw ) gradi gradi Questo ultimo metodo è estremamente semplice e sicuramente fu alla portata degli astronomi antichi i quali erano in grado di determinare le date di solstizio dalla massima e minima elongazione del Sole sull’orizzonte locale alla levata o al tramonto. La massima altezza sull’orizzonte sud poteva essere determinata nel momento in cui l’ombra di uno gnomone, il quale poteva essere rappresentato da una asta di legno infissa nel suolo oppure da un menhir, assumeva la sua minima lunghezza durante la giornata. A questo punto è necessario fare alcune considerazioni. Infatti i due metodi descritti in precedenza hanno entrambi il difetto di richiedere dei calcoli che, per quanto semplici essi siano, nessuno ci assicura che l’uomo preistorico o protostorico potesse essere in grado di eseguire. Inoltre non esiste una evidenza diretta che sul territorio europeo siano mai state tentate misure di questo genere, comunque ci risulta estremamente probabile che le massime e le minime altezza del Sole sull’orizzonte siano state correntemente misurate dai sacerdoti astronomi operanti durante le Età del Bronzo e del Ferro. Esistono peraltro documenti scritti che attestano che misure sperimentali dell’Obliquità dell’Eclittica furono eseguite in Cina sin dal 1100 a.C. ed in Grecia sin dal 350 a.C. Infatti i documenti disponibili ci indicano che valutazioni di “e” non furono direttamente eseguite dai Greci, ma “e” può essere ricavato dai valori misurati della declinazione delle stelle effettivamente misurate. In ogni caso alcune valutazioni indirette dell’angolo di Obliquità dell’Eclittica risalenti ad un periodo dell’Età del Ferro sono riportate nella seguente tabella. Valori dell’Obliquità dell’Eclittica osservati fino al termine dell’Età del Ferro. Autore Chou Li Pytheas Timocari o Aristillo Eratostene Ipparco Ipparco Ipparco (Media Greci Liu Hsiang (*) Valore riportato da Tolomeo Anno -1100 -350 -290 -250 -150 -128 -128 -114 -30 Valore (°) 23.881 23.819 23.767 23.856 23.858 23.634 * 23.817 * 23.7183 23.745 Dopo un esame del problema un po’ più approfondito, ci si accorge che se l’Obliquità dell’Eclittica avrebbe potuto essere intesa dagli astronomi del Neolitico o dell’Età del Bronzo anche in maniera del tutto diversa. Supponiamo di essere posizionati all’interno di un cromlech, cioè un cerchio di pietre con al suo centro un menhir. Se misuriamo la minima lunghezza dell’ombra proiettata dal menhir durante i giorni di solstizio e segnamo sul terreno la posizione raggiunta dal suo estremo durante le due date potremo identificare due punti S e W. Il punto S sarà raggiunto al solstizio d’estate e il punto W sarà raggiunto al solstizio d’inverno. Il punto S disterà dal piede del menhir una lunghezza “Ls” e il punto W una lunghezza “Lw”. La direzione passante per i punti S e W sarà quella del meridiano locale astronomico, mentre la differenza tra le lunghezze Lw e Ls dipenderà dalla altezza del menhir, dalla latitudine dell’osservatore e dall’Obliquità dell’Eclittica. Per un dato cromlech posizionato ad una certa latitudine geografica questa differenza dipenderà solamente dalla Obliquità dell’Eclittica. Gli astronomi antichi non erano in grado di dare una misura angolare di “e”, ma sicuramente potevano collegare la lunghezza B=(Lw-Ls) alla posizione media nel cielo del cammino del Sole durante l’anno, anzi è possibile che essi potessero identificare proprio con questo valore la nozione di Obliquità dell’Eclittica. La cosa interessante è che più il menhir era alto e più grande era la lunghezza B e più era probabile accorgersi che tale valore non rimaneva costante nel tempo. Misure indirette di “e” durante l’Età del Bronzo Tutta un serie di misure ottenute indirettamente sono diventate disponibili studiando la disposizione dei monumenti megalitici presumibilmente destinati durante l’Età del Bronzo all’osservazione della Luna. Infatti come A. Thom mise in evidenza durante gli anni ‘60, esistono nelle Isole Britanniche alcuni siti di interesse archeoastronomico che contengono allineamenti diretti verso i punti dell’orizzonte in corrispondenza dei quali la Luna sorgeva o tramontava quando la sua declinazione era massima o minima. Le date in cui la declinazione lunare assume valori massimi o minimi sono detti, in analogia con quanto avviene per il Sole, "Lunistizi". In corrispondenza della data dei Lunistizi la declinazione Dl della Luna raggiunge i valori estremi: Dl = e + i + q (massima declinazione) Dl = –e – i – q (minima declinazione) in cui: e= Obliquità dell’Eclittica. i = Inclinazione dell’orbita lunare sull’Eclittica che conosciamo essere 5 gradi, 8 primi e 43 secondi. q = Ampiezza dell’oscillazione principale della inclinazione “i” (8’.7) che avviene con un periodo di 173.31 giorni. Secondo A. Thom in almeno 24 siti megalitici esistono allineamenti diretti verso punti dell’orizzonte in cui la Luna sorgeva durante particolari date. L’analisi dei siti ha permesso di determinare con precisione la declinazione del punti del cielo occupati dalla Luna al suo sorgere o al suo tramontare in corrispondenza dei quali erano diretti gli allineamenti trovati nei siti. Una volta note le declinazioni, i parametri “i”, “q” e il semidiametro del apparente del disco lunare è possibile ricavare per ciascun allineamento lunare presente in ciascun sito il valore dell’Obliquità dell’Eclittica necessario affinché ciascun allineamento sia valido. In questo caso abbiamo la possibilità di 3 ottenere 16 valori indipendenti di “e” in corrispondenza di vari siti. La tabella seguente mette in evidenza i risultati ottenuti da A. Thom sulla base dei 16 migliori allineamenti disponibili. Sito A10/6 H1/1 H1/1 H1/5 H1/5 P4/1 W9/7 A2/5 A2/5 H3/11 H3/11 L1/16 N1/1 N1/1 N1/1 N1/1 “e” 23.874 23.931 23.901 23.936 23.901 23.849 23.899 23.889 23.929 23.811 23.931 23.884 23.861 23.881 23.949 23.899 Sito Stillaig Callanish I Callanish I Callanish V Callanish V Lundin Parc y Meirw Kintraw Kintraw Leacach an Tigh Chloiche Blakeley Moss Mid Clyth Mid Clyth Mid Clyth Mid Clyth La media dei valori elencati nella tabella fornisce: e = 23.895 ±0.036 gradi che può essere ritenuto come il valore dell’Obliquità dell’Eclittica per un epoca intorno al 1700 a.C.. Determinazioni di “e” ricavate da fonti Greche Esistono anche altri metodi per determinare il valore della Obliquità della Eclittica, basati per esempio sulla misura della longitudine eclittica delle stelle. Infatti note per una data stella le coordinate eclittiche, che qui indicheremo con “b” (latitudine) e “l” (longitudine), e la declinazione “D” allora il valore di “e” può essere ottenuto invertendo la seguente relazione matematica: sin(D) = cos( b) ⋅sin(l) ⋅sin(e) + sin(b) ⋅cos( e) Ovviamente questo metodo di calcolo può essere usato solamente da noi, ai nostri tempi, ma il fatto che gli antichi, in età storica, sviluppassero cataloghi di stelle in cui fossero elencate sia le coordinate eclittiche che quelle equatoriali per le stelle più luminose ci rende capaci oggi, mediante questo calcolo, di stimare il valore corrente di “e” per quei tempi. Gli astronomi greci compilarono tavole delle declinazioni delle stelle più luminose e parallelamente indicarono anche le coordinate eclittiche misurate. I reperti scritti sono giunti fino a noi quindi applicando il metodo qui descritto è possibile calcolare il valore dell’Obliquità dell’Eclittica per il periodo greco. Misure eseguite in epoca storica La misura dell’Obliquità dell’Eclittica in maniera diretta fu comunque perfettamente alla portata degli antichi, lo testimoniano le numerose misure eseguite in Cina fino dal 1100 a.C. Durante il periodo storico successivo a quella data furono eseguite molte misure da parte dei Cinesi, dai Greci, degli Arabi e degli astronomi europei del medioevo e del rinascimento. Le misure continuarono con metodi molto più efficienti e perfezionati fino ai giorni nostri. La tabella seguente riassume una serie di osservazioni documentate da fonti scritte attendibili che si estendono dal 1100 a.C. fino al 1900 d.C.. Nella tabella sono riportati: il nome dell’autore che cita la misura, l’anno in cui essa è stata eseguita 4 e il valore di “e” ottenuto espresso in gradi e decimali. Valori dell’Obliquità dell’Eclittica osservati durante i secoli Autore Siti Megalitici Chou Li Pytheas Timocari o Aristillo Eratostene Ipparco Ipparco Ipparco Media Greci Liu Hsiang Chia Khuei Tolomeo Liu Hung e Tshai Yung Liu Hung e Tshai Yung Liu Hung e Tshai Yung Tsu Chhung-Chih Li Shun-Feng al-Màmun Hsu Ang al-Màmun Benu Musa al-Battani Pieng Kang Ibn Corrah Abdel ben Amajur al-Sufi Abu Jaaffar al Chazzan al-Chojendi al-Buziani e Abu Hamed Ibn Junis Abul Rihan al-Biruni al-Zarkali Liu Hsiao-Jung Moses ben-Maimon al-Marrakusi I. Ben Sid Kuo Shou-Ching Nassir Odin G. de S.Cloud Ibn al-Shatir al-Sanjufini Mirza Ulugh Beg Walther Tycho Brahe Tycho Brahe Riccioli Boulliaud Hevelius Cassini Flamsteed Bianchini Romer de la Condamine de Thury le Monnier Bradley Lacaille Mayer Bessel Peters Leverrier Hansen e Olufsen Newcomb van de Sande Bakhuyzen Autori vari Anno -1700 -1100 -350 -290 -250 -150 -128 -128 -114 -30 89 137 173 173 179 450 630 800 820 830 845 885 900 911 918 965 970 994 999 1003 1007 1019 1061 1140 1174 1240 1277 1278 1290 1290 1363 1367 1436 1490 1587 1590 1646 1650 1661 1672 1690 1703 1709 1737 1743 1743 1750 1750 1756 1800 1800 1850 1850 1850 1870 1900 Valore (°) 23.895 23.881 23.819 23.767 23.856 23.858 23.634 * 23.817 * 23.7183 23.745 23.66 23.728 23.837 23.689 23.631 23.636 23.661 23.562 23.541 23.564 23.583 23.583 23.556 23.558 23.583 23.6525 23.5833 23.5392 23.5833 23.5833 23.5833 23.5833 23.5583 23.5245 23.5000 23.5625 23.5414 23.5367 23.5000 23.5667 23.5167 23.5417 23.5047 23.4964 23.5067 23.4978 23.5056 23.5333 23.4861 23.4825 23.4835 23.4764 23.4797 23.4733 23.4764 23.4761 23.4717 23.4719 23.471111 23.465222 23.465061 23.458842 23.458728 23.458800 23.456111 23.452174 (*) Valore riportato da Tolomeo La tabella ovviamente non riporta determinazioni o stime che possono essere avvenute in epoca megalitica europea in quanto mancano fonti scritte dirette. La determinazione empirica di “e” L’avere a disposizione un certo numero di valori storici della Obliquità dell’Eclittica è molto importante, come abbiamo visto in precedenza, in quanto ha permesso di mettere in evidenza piccole, ma ben determinate discrepanze, attualmente non ancora perfettamente spiegate, tra la teoria basata sulla meccanica celeste e i valori ottenuti sperimentalmente durante i secoli. Ovviamente la precisione con cui le determinazione storiche di “e” sono state eseguite è di vari ordini di grandezza inferiore rispetto a quanto è stato ottenuto in epoca più recente. Infatti analizzando i dati disponibili e sparsi tra il 1000 a.C. e il 800 d.C. è possibile osservare che mediamente l’errore compiuto da parte degli antichi astronomi sulla determinazione del valore di “e” è dell’ordine di 0.05 gradi. Le misure ottenute in questo periodo sono esclusivamente greche, babilonesi e soprattutto cinesi. Infatti dall’analisi di tutti i dati disponibili risulta che mediamente le incertezze con cui sono disponibili le misure sperimentali dell’Obliquità dell’Eclittica attraverso i secoli possono essere riassunte nella seguente tabella. Incertezza sulla determinazione sperimentale dell’Obliquità dell’Eclittica in passato Periodo Storico (anni) 1700 a.C. 1100 a.C - 800 d.C 800 d.C - 1749 d.C 1749 d.C - 1900 d.C Errore su “e” (in ” d’arco) 130" 216" 36" 0".18 Cosa ci dice la Meccanica Celeste Come abbiamo visto in precedenza vari astronomi teorici si sono preoccupati di mettere a punto delle formule matematiche in grado di prevedere con buona approssimazione i valori di “e” net tempo. Tra questi possiamo citare Newcomb nel 1906, che ha ottenuto la seguente espressione: e(T ) = 23°27'31".68 − 46".837 ⋅T − 0".00085 ⋅T 2 − 0".0017 ⋅T 3 in cui T è il numero di secoli giuliani trascorsi dal 1850.0. Il modello di Newcomb funziona bene però solamente su un intervallo di 5 secoli centrato nell’anno 1850.0 L’estensione di questa approssimazione all’antichità fornisce risultati erronei. La stessa ricalcolata per il 1900.0 diventa: e(T ) = 23°27'08".26 − 46".844 ⋅T − 0".00595 ⋅T 2 − 0".0017 ⋅T 3 ma nuovamente si rivela completamente inaffidabile per i calcoli in epoca antica. Un’altra espressione simile è quella di Wilkins, sviluppata nel 1960. Essa è: e(T) = 23.452294− 1.30125⋅10− 2 ⋅T − 1.64 ⋅10− 6 ⋅T 2 − 5.03 ⋅10− 7 T 3 in cui tutte le quantità numeriche ivi rappresentate sono espresse in gradi e T è il numero di secoli giuliani trascorsi dal 1900.0. Anche questo modello perde di validità andando indietro nel tempo. Ad esempio già nel 1000 a.C. essa inizia ad avere un errore considerevole. Appare quindi necessario mettere a punto un modello che sia sufficientemente accurato e che sia in grado di determinare il valore dell’Obliquità della Eclittica accurato su un lasso di tempo di almeno 20000 anni. In più sia i modelli di Newcomb che di Wilkins non sono periodici, mentre è ben noto che l’oscillazione dell’inclinazione dell’asse terrestre lo è con un periodo intorno ai 40000 anni. Applicazione delle Reti Neuronali Artificiali A questo proposito è stato possibile costruire un modello più adeguato per gli usi di tipo astro-archeologico il quale doveva avere le seguenti quattro caratteristiche: a) fornire risultati accettabili su almeno un lasso di tempo di 1 milione di anni; b) riflettere la natura periodica della oscillazione dell’asse terrestre; c) essere basato su dati sperimentali ottenuti durante i secoli; d) essere sufficientemente robusto da non farsi ingannare dalla scarsa precisione delle misure antiche. Tutti questi requisiti per essere soddisfatti richiedono l’uso di qualcosa di molto sofisticato e quindi è stata messa a punto una rete neuronale artificiale di un tipo particolare, quelle cosiddette in gergo “a link funzionale” la quale è stata addestrata sui dati sperimentali disponibili partendo dal 1700 a.C. fino all’anno 1900. La struttura della rete è molto semplice: un neurone nello strato di input, due link funzionali intermedi e un neurone nello strato di output. I due links funzionali sono stati scelti in modo tale che corrispondessero alle funzioni seno e coseno in quanto è stata imposta a priori la periodicità della variazione di “e”. Nonostante questa estrema semplicità i risultati ottenuti sono stati molto positivi. Infatti la rete neuronale artificiale è in grado di fornire una approssimazione del valore vero dell’angolo di Obliquità dell’Eclittica accurata alle terza cifra decimale su un intervallo di oltre un milione di anni. Infatti l’errore quadratico medio ottenuto su tutti i 41000 anni risulta essere inferiore a 0.00012 gradi. Questo dispositivo è molto utile dal punto di vista archeoastronomico in quanto permette di calcolare un valore abbastanza preciso dell’Obliquità della Eclittica anche molto remoto nel tempo. Analizzando il modello messo a punto è possibile assegnare un valore medio alla inclinazione dell’asse terrestre 23.49698 gradi e un ampiezza periodica di variazione pari 1.72 gradi. Infatti i pesi corrispondenti ai due links funzionali sono risultati essere rispettivamente 0.139028 (per il link coseno) e 0.848817 (per il link seno). Dalla combinazione dei due pesi risulta l’ampiezza di variazione riportata. L’angolo di Obliquità dell’Eclittica toccherà quindi i due valori estremi pari a 24.357 gradi e a 22.637 gradi durante ciascun ciclo di 41013 anni solari medi. Questo valore indicherà quindi il periodo con cui l’asse terrestre compie una oscillazione completa intorno alla sua direzione media. E’ quindi possibile calcolare che il ritmo di variazione secolare dell’inclinazione dell’asse terrestre, cioè la velocità con cui essa cambia nel tempo, che risulta essere essa stessa una funzione dipendente dal tempo in maniera periodica con un ampiezza di circa 47”.18. A questo punto risulta interessante interrogare le rete neuronale chiedendole di calcolare i valori dell’Obliquità dell’Eclittica in corrispondenza delle date riportate in precedenza e relative alle Età del Bronzo e del Ferro. La tabella seguente mette a confronto le misurazioni documentate dalle varie fonti antiche e i valori ottenuti mediante generalizzazione della rete neuronale. 5 Valori dell’Obliquità dell’Eclittica osservati durante l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro e corrispondenti valori generalizzati dalla rete neuonrale Autore Astronomi Megalitici Chou Li Pytheas Timocari o Aristillo Eratostene Ipparco Ipparco Ipparco Media Greci Liu Hsiang Anno -1700 -1100 -350 -290 -250 -150 -128 -128 -114 -90 “e” storico 23.895 23.881 23.819 23.767 23.856 23.858 23.634 23.817 23.7183 23.745 “e” rete neuronale 23.909 23.838 23.745 23.737 23.732 23.720 23.717 23.715 23.7151 23.704 Dal confronto tra i dati osservati e quelli ottenuti mediante la rete neuronale si osservano immediatamente alcuni fatti interessanti. Il più appariscente è la discrepanza tra i due valori ricavati da Thom analizzando le strutture megalitiche presenti nelle isole britanniche. Infatti facendo ottimizzare alla rete neuronale l’epoca in cui “e” valeva 23.895 gradi, cioè quanto ottenuto da A. Thom, si ottiene il 1580 a.C. È possibile quindi che la datazione proposta da A. Thom per i siti megalitici da lui studiati fosse in errore di circa un secolo. Un altro interessante fatto riguarda la precisione delle misure ottenute dagli antichi. Infatti i dati riportati nella tabella mostrano che i due astronomi cinesi Chou Li e Liu Hsiang eseguirono le misure più accurate. Lo stesso ordine di accuratezza fu raggiunto da Aristillo e Timocari, ma tutti gli astronomi greci ebbero prestazioni individuali di gran lunga inferiori. L’ASTRONOMIA: UNA SCIENZA “SPERIMENTALE” di Elia Cozzi (pubblicato su “Città di Saronno” del marzo 1998) In questi ultimi anni la scienza astronomica ha conosciuto una crescita esponenziale del numero di scoperte che hanno rivoluzionato il sapere umano con una straordinaria conferma della reale esistenza di fenomeni che fino a pochi anni fa erano previsti solo dalla teoria delle leggi fisiche e matematiche. Tuttavia, non si deve commettere l’errore di sottovalutare le scoperte del passato giudicandole di minor importanza, anzi, si può ragionevolmente affermare che lo sviluppo dell’astronomia è stato particolarmente spettacolare nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, soprattutto in considerazione del contesto in cui vennero formulate determinate teorie fisiche, come la Relatività Generale e le prime ipotesi della Meccanica Quantistica, che causarono una crisi della fisica classica ad un livello paragonabile a quella in cui si venne a trovare il modello Tolemaico alla luce delle osservazioni di Galileo e della successiva formulazione della legge della Gravitazione Universale. Infatti, un carattere interessante dell’astronomia durante questo periodo è proprio la conferma che essa apportò prima alla teoria di Newton e poi a quella di Einstein. Per ben tre volte gli astronomi postularono l’esistenza di un nuovo pianeta sulla base della gravitazione di Newton. La prima volta nel 1845, quando Adams e Leverrier dedussero indipendentemente, dalle perturbazioni nel moto di Urano, l’esistenza di un nuovo pianeta, Nettuno. Un anno dopo Nettuno fu effettivamente scoperto da Johann Galle nella regione di cielo indicata dai calcoli. Questo successo fu uno dei grandi trionfi della scienza ottocentesca, ed esercitò una 6 profonda impressione sui profani colti del tempo, che videro in esso una dimostrazione spettacolare della capacità della mente umana di svelare i segreti della natura. La seconda predizione di un nuovo pianeta fu fatta nel 1859, quando lo stesso Leverrier, ormai famoso in tutto il mondo per il suo contributo alla scoperta di Nettuno, rivolse la sua attenzione a Mercurio. Egli riscontrò una deviazione inspiegata del moto del pianeta dall’orbita prevista e ne dedusse l’esistenza di uno o più pianeti, su un’orbita più interna di quella di Mercurio, che dovevano essere responsabili di tale deviazione. Al pianeta non ancora scoperto fu assegnato il nome di Vulcano. Questa volta però la previsione non trovò conferma. Molte persone affermarono di avere osservato Vulcano, o nella forma di un punto di luce in prossimità dell’orizzonte al sorgere o al tramonto del Sole, o nella forma di un punto nero sul disco del Sole durante il giorno. Purtroppo le varie osservazioni non poterono essere conciliate con nessuna orbita newtoniana coerente e, con il migliorare delle tecniche di osservazione, la fede nell’esistenza di Vulcano cominciò lentamente a dissiparsi. La terza predizione di un pianeta fu fatta nel 1915, quando Lowell dedusse da ulteriori perturbazioni dell’orbita di Urano l’esistenza di un altro pianeta ancora al di là di Nettuno. Nel 1930 Tombaugh trovò, nella posizione predetta, il pianeta Plutone. In questo caso, però, si trattò di un caso fortuito: con la sua massa estremamente ridotta, Plutone non è in grado di influenzare l’orbita di Urano. Dall’astronomia venne anche un’importante conferma della teoria di Albert Einstein. Nel 1915 Einstein mostrò che la deviazione del moto di Mercurio era una conseguenza della Relatività Generale e non un effetto dovuto ad un pianeta più interno. Einstein predisse anche che la luce, come qualsiasi corpo materiale, passando nel campo gravitazionale di un corpo di grande massa, avrebbe percorso non una linea retta bensì una curva. Egli suggerì che la sua teoria poteva essere sottoposta a un test sperimentale osservando la traiettoria della luce di una stella nel campo gravitazionale del Sole. Di fatto Einstein mise in gioco tutta la sua Relatività in questo test e, mentre gli astronomi si preparavano a fotografare l’eclisse totale di Sole del 29 maggio 1919, l’attesa si fece febbrile. Quando le fotografie furono sviluppate e esaminate, la deflessione della luce delle stelle nel campo gravitazionale del Sole fu confermata. La Relatività di Einstein continuò a fornire, grazie agli sviluppi realizzati da matematici dotati, predizioni sorprendenti. Lo sviluppo più spettacolare è probabilmente quello legato ai buchi neri, che ha generato un considerevole interesse e continua a essere al centro di vivaci discussioni. Le rivoluzioni astronomiche non finiranno certo con l’inizio del Terzo Millennio: la Relatività di Einstein mostra qualche lacuna nell’interpretazione dei fenomeni che potrebbero avvenire all’interno di un buco nero o che si sono manifestati nei primissimi istanti di vita dell’Universo. Una nuova teoria, la Gravità Quantistica (una sorta di unione tra la Gravitazione Universale e la Meccanica Quantistica), potrebbe sconvolgere nuovamente tutto il sapere scientifico, portando le scoperte dei grandi telescopi ad una interazione sempre più ravvicinata con quelle dei grandi acceleratori di particelle, unificando l’infinitamente grande con l’infinitamente piccolo. STORIA DELLA RICERCA DI SUPERNOVAE Associazione Astrofili Trentini (3ª parte) La Ricerca Automatica La storia di questo tipo di ricerca può essere suddivisa come segue: (1) Prima della seconda guerra mondiale, Zwicky ed un collega della Repubblica Centrale Africana, progettarono un metodo di ricerca che avrebbe dovuto utilizzare grosse camere Schmidt equipaggiate di “television detectors”, per rendere possibile la visualizzazione del campo inquadrato. Il progetto non fu mai realizzato. (2) Negli anni ’60 J.A. Hynek ed i suoi colleghi Powers e Dunlap resero operativo un telescopio da 24 pollici collegato a schermi televisivi per permettere il confronto delle galassie con fotografie di archivio. Un certo numero di SN fu scoperto in questo modo: 14 secondo Stirling Colgate. Questo progetto perdette i finanziamenti dopo soli due anni, anche se il nome di Dunlap appare nelle liste delle scoperte ufficiali di SN per un periodo di 15 anni. (3) Intorno al 1970, Stirling Colgate incominciò a lavorare ad un sistema interamente automatico, dove tutte le operazioni venivano controllate da un computer, con il telescopio situato lontano dal computer, e con l’intervento umano richiesto solo occasionalmente. Il progetto incontrò notevoli problemi nello sviluppo del sistema, quasi da sospenderlo del tutto, ma riuscì a diventare operativo nel febbraio del 1987. Da allora nonostante le migliaia di galassie controllate, nessuna SN è stata scoperta e tutta la strumentazione soffre ancora di occasionali problemi. spesi per questo progetto circa cinque milioni di dollari. Oggi si può dire che il gruppo di Berkeley, che fa capo all’astronomo Alexei Filippenko è tra i più attivi scopritori di supernovae. In media negli ultimi anni ne hanno trovate tre o quattro, la maggior parte anche luminose (ad esempio, la 1994D in NGC 4526 raggiunge la magnitudine 12.0). Il gruppo di Berkeley ha ancora altri progetti in fase di realizzazione. La loro attività futura potrà quindi riservare ulteriori sorprese e probabilmente molti successi. Tra i loro piani vi è anche l’utilizzo di un telescopio e computer più potenti, in grado di operare autonomamente in zone lontane da Berkeley (forse Hawaii), ma con le operazioni di confronto delle immagini del CCD fatte a Berkeley. Il gruppo sta, inoltre, progettando un ulteriore telescopio, da 2,5 metri, da dedicare esclusivamente alla ricerca di SN in galassie molto distanti. Altre università o centri di ricerca astronomica stanno progettando iniziative simili. Solo il tempo dirà quanto successo potranno avere questi progetti. (5) In conclusione di questo paragrafo è doveroso menzionare la prima scoperta di una SN fatta da un astrofilo con un CCD; lo scopritore è il francese Eric Thouvenot. Si tratta della SN 1990N in NGC 4639. Eric è stato uno dei numerosi astrofili che stava eseguendo esposizioni con un CCD presso l’Osservatorio di Pic du Midi. Eric ha confrontato dopo l’esposizione, l’immagine con una stampa del Palomar, trovando così la SN. Sembra, comunque, che la sua foto non avesse nulla a che fare con una ricerca sistematica di SN, né vi erano metodologie automatiche in atto. Una seconda scoperta amatoriale con il CCD è stata fatta da un altro astrofilo francese Christian Buil. Egli ha scoperto SN 1992I in NGC 2565 alla fine di febbraio, usando sempre uno strumento professionale. Ma è stato con la scoperta della 1994I in M51 che il CCD ha seriamente incominciato ad essere uno strumento vincente di ricerca anche per gli astrofili. Questa supernova è stata trovata il 2 aprile 1994 da ben 5 astrofili tutti equipaggiati di CCD. In Italia la prima scoperta di una supernova con il CCD è stata fatta da Alessandro Gabrijelcic, di Agordo (Belluno), con la supernova 1995E nella galassia NGC 2441, nel mese di marzo. LE PULSAR di Christian Lavarian - Associazione Astrofili Trentini La Supernova 1987A ripresa del Telescopio Spaziale (immagine in negativo) (4) Agli inizi degli anni ’80 il Berkeley Automatic Supernova Search incominciò la realizzazione di un programma totalmente automatizzato. Le frustrazione ed i fallimenti del piano originale fecero optare per un confronto visivo tramite uno schermo del computer. Il telescopio utilizzava un CCD, ed un osservatore faceva il confronto con un immagine archiviata nella memoria del computer. Le prime scoperte fatte dal gruppo di Berkeley furono eseguite secondo questo approccio. Tuttavia, il gruppo insistette con l’obiettivo della totale automazione del progetto; in questo modo ottennero le prime scoperte di SN nella metà del 1988. Il numero di scoperte da loro effettuate oggi supera la dozzina e cresce lentamente. Fino al 1990 erano stati Le pulsar sono la conferma dell’esistenza delle stelle di neutroni. Le stelle di neutroni sono il risultato del collasso di una stella con un valore di massa relativamente alto, per il quale la pressione del gas degenere non riesce ad equilibrare la forza di gravità; la stella si comprime quindi così tanto finche la pressione del “gas” neutronico degenere è capace di resistere alle forze di gravità. Una stella di neutroni non è visibile come una stella a cui siamo abituati, ma possiamo carpire la sua presenza dalle sue peculiari emissioni energetiche. E’ stata la scoperta delle pulsar, infatti, come dicevo prima, la prova dell’esistenza delle stelle di neutroni. L’esistenza è stata anche confermata dall’osservazione delle sorgenti X binarie, nel quale si ebbero le prime valutazioni delle masse delle stelle di neutroni. La trasmissione di una pulsar è una vera e propria oscillazione di trasmissione radio con impulsi estremamente brevi della durata di 0.016 secondi ogni 1.33 secondi circa. Segnali di questo tipo possono essere emessi solo da oggetti di dimensioni inferiori a circa 6000 chilometri e ciò comporta una emissione di un energia così enorme che fece pensare proprio alle stelle di neutroni studiate in teoria. Si pensa che l’emissione sia concentrata in un fascio che ruota con la pulsar, così come avviene in un faro. E’ ovvio quindi che il periodo di pulsazione del segnale è legato al 7 periodo di rotazione della stella di neutroni (poiché gli intervalli sono molto brevi, si deduce che una stella di neutroni ruota molto velocemente). L’idea che si ha della loro struttura è quella di una crosta rigida esterna contente un “fluido neutronico” che ruota probabilmente un po’ più veloce dello strato esterno. La prima pulsar trovata per caso. Fu un classico esempio di serendipità, una scoperta inattesa che un ricercatore compie per caso mentre è orientato in tutt’altra direzione. Le pulsar, infatti, furono scoperte da astrofisici di Cambridge con un radiotelescopio costruito per studiare le variazioni delle radiosorgenti celesti. Il programma richiedeva la monotona lettura di chilometri di carta millimetrata sui quali la strumentazione del radiotelescopio registrava i dati e a questo ingrato lavoro fu chiamata la giovane Jocelyn Bell. La quale notò una pulsazione ritmica di grande regolarità che proveniva dalla zona di cielo fra Altair e Vega e che, come il fantasma di Elsinor, faceva la sua comparsa intorno alla mezzanotte. Che si trattasse di un segnale di origine extraterrestre lo si capì dal fatto che, al trascorrere del tempo, l’impulso anticipava il suo passaggio al meridiano proprio come fanno le stelle. Si pensò che qualche civiltà extraterrestre stesse tentando di comunicare con noi, e il segnale fu chiamato LGM (Little Green Men, vale a dire piccoli uomini verdi) . Nel frattempo, però , la scoperta di altri simili segnali fece crollare la pur suggestiva ipotesi. Era del tutto inverosimile, infatti, che diverse civiltà extraterrestri avessero deciso, tutte insieme, di mettersi in contatto con noi. Dietro a LGM, dunque, non c’era nessun omino verde, ma un oggetto stellare la cui natura andava determinata. Oggi tutti ritengono che le pulsar siano stelle di neutroni, residui di esplosioni di supernova. BILANCIO DEL GRUPPO ASTROFILI GIOVANNI E ANGELO BERNASCONI PER L’ANNO 1997 USCITE Spese foto cometa Hale–Bopp TV, amplificatore e videoregistratore Affitto Lavagna luminosa Lune in diretta Tassa rifiuti Cancelleria Spese gestione c/c Cariplo Varie L. L. L. L. L. L. L. L. L. 2.526.800 2.700.000 986.700 1.170.000 113.000 136.000 295.050 49.500 679.100 Totale Uscite L. 8.656.150 ENTRATE Vendita foto cometa Hale–Bopp Lune in diretta Corsi astronomia Lomazzo Quote Sociali 1997 ( 45 soci ) + arretrate Libri 30° Interessi c/c Cariplo Contributi vari L. L. L. L. L. L. L. 4.941.100 1.340.000 1.000.000 755.000 64.000 42.160 200.000 Totale Entrate L. 8.342.260 Perdita 1997 L. 313.890 L. 11.848.712 Saldo al 31/12/96 Cassa al 31/12/96 Banca al 31/12/96 142.950 11.705.762 Saldo al 31/12/97 Cassa al 31/12/97 Banca al 31/12/97 605.600 10.929.222 L. 11.534.822 La nebulosa del granchio ripresa con il telescopio di Monte Palomar (a sinistra) e con lo Space Telescope (a destra) (immagine in negativo) Curiosità: la prima pulsar identificata come oggetto ottico è la pulsar della Nebulosa del Granchio. Il suo periodo è di 0,0339 secondi e ciò significa che effettua quasi 30 pulsazioni al secondo (il periodo è infatti l’inverso della frequenza, sicché quest’ultima si ottiene facendo il reciproco di 0,0339). Scoperta nel gennaio 1969, la pulsar è il residuo della supernova che apparve nel Toro nel luglio del 1054. Essa fu visibile di notte per quasi un anno e per 23 giorni fu visibile anche di giorno. 8 For further information about this paper please contact: Elia Cozzi Via Borghi 14 22076 Mozzate (CO) Italy Phone and Fax: +39–331–830704 Fidonet: 2:331/101 E–mail: [email protected] [email protected]