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Il territorio e la sua storia
Conchiglie fossili, testimoni
della Creazione
di Antonino Ronco
Le conchiglie, per la loro bellezza e straordinaria varietà di forme,
costituirono i primi “gioielli” dell’uomo. Oltre che come cibo,
infatti, alcune varietà di molluschi marini fornirono ai nostri lontani
progenitori preziosi oggetti d’ornamento, mentre altre conchiglie
divennero recipienti e utensili, che diedero non piccolo aiuto
a quella Umanità che muoveva i primi passi sul sentiero
del progresso.
Come oggetti d’ornamento le conchiglie furono utilizzate già
nel paleolitico. Citerò due soli esempi, ma sorprendenti, perché si tratta di oggetti che potrebbero essere usati ancor
oggi (con la nostra moda assetata di chincaglieria) da qualche “bagnante” per ravvivare il proprio abbigliamento da
spiaggia: il primo esempio è il casco del “giovane principe” delle Arene Candide, la famosa caverna abitata da trogloditi nel paleolitico, vale a dire almeno ventimila anni fa.
La cuffia (centinaia di piccole conchiglie della specie Nassa, forate e riunite a formare un caschetto) era certo, per
quel tempo, un oggetto d’abbigliamento raro e prezioso. Il
secondo “gioiello” preistorico che merita una citazione è una
collanina di conchiglie trovata in una grotta della Val Pennavaira nell’entroterra albenganese.
Ma qui intendiamo parlare di conchiglie fossili, cioè ricuperate sottoterra, conchiglie che ritornano alla luce dopo
milioni di anni e che gli studiosi definiscono “testimoni di
pietra” o “testimoni della creazione”, dato che si tratta, in
genere, di molluschi che furono forse tra le prime forme di
vita sulla Terra, miliardi di anni fa.
A fronte, in alto Conchiglia fossile di Pecten Jacobeus (500.000 anni)
proveniente da Santa Maria delle Rocche (Ovada.) Al centro sopra
Turritella fossile inglobata nella roccia del Monte Cristallo (Cadore).
In basso Scheletro di Dapalis Macrurus del deposito fossile di Cereste
(Francia): pesce vissuto in quelle acque trenta milioni di anni fa.
Ma veniamo a noi. La Liguria, e in particolare la provincia
di Savona, è ricca di terreni fossiliferi. Il più noto è quello
che prende nome dal torrente Torsero, (nel comune di Ceriale), che da qualche tempo è diventato anche una attrazione turistica essendo stato allestito, con i fossili recuperati presso l’abitato di Peagna, un piccolo museo. Altri terreni fossiliferi si trovano a Cenesi, alle Arene Candide, a Santa Giustina (monte Beigua), per citare solo quelli savonesi.
La storia di questi “depositi” di fossili marini è legata alla
vicenda dell’acqua primordiale: quando il mare invadeva
la pianura di Alberga e lambiva la base del monte Ericeta,
che divide la pianura di Albenga da quella di Loano, le onde nel loro moto trascinavano e accumulavano sabbia, alghe, materiali vari del fondo marino, mentre la pioggia scorrendo a valle vi aggiungeva l’argilla. In mezzo a questo materiale finivano le conchiglie strappate dal “muschio materno”, come suggerisce l’abate Zanella nella sua famosa poesia “Sopra una conchiglia fossile”.
Questa giacitura tra materiali “morbidi” ha conservato intatti i molluschi, caratteristica che ha reso particolarmente preziosi i fossili che ora le rocce restituiscono quando
l’acqua convogliata dal torrente Torsero, “scavando” il deposito, mette in luce tutto quanto in esso è stato sepolto e
conservato nel migliore dei modi, per milioni di anni.
Una analoga giacitura morbida ha reso preziosi i fossili di
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Bolca, nel Veronese che vengono considerati tra i più belli al mondo conservando intatti non soltanto gli scheletri dei
pesci primitivi ma, in molti casi, anche particolari che di
solito vanno perduti, come il colore della pelle e in qualche caso anche le parti molli dei molluschi.
Oggi le collezioni di conchiglie fossili sono materiale riservato agli studiosi, dato che costituiscono una fonte preziosa di informazioni sulle più lontane Ere geologiche. Le prime e più importanti notizie riguardano la paleogeografia del
nostro pianeta. È intuitivo infatti che, nella stragrande maggioranza dei casi, dove si trovano oggi conchiglie fossili un
tempo c’era il mare. E se già ci stupisce trovare conchiglie
nelle rocce del Torsero, a meno di un chilometro dal mare, e nelle cave di pietra del Finale che confinano con la
spiaggia, ben più sorprendente è trovarle in certi terreni del-
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la Valle Padana e più ancora nelle rocce di certe cime dolomitiche.
Se in una panoramica ideale riuniamo i fossili di Ceriale,
quelli delle Arene Candide, e di Cenesi e, soprattutto, quelli delle colline del Tortonese (Sant’Agata Fossili) di Bolca
e delle Dolomiti, si spalanca alla nostra mente la visione
di un mondo dominato dalle acque, che evoca certi passi della Bibbia: “e Dio separò l’acqua dalla terra, e comparve l’asciutto”.
E la descrizione del Diluvio universale, quando il livello dell’acqua arrivò “quaranta traccia sopra le più alte montagne”
e, come asseriscono gli scienziati, le prime forme di vita sul
nostro pianeta furono “marine”.
Senza sottilizzare sui secoli, i millenni, i milioni o miliardi
di anni, possiamo immaginare strani pesci e forse altre creature marine o anfibie che nuotavano nel Mare Padano quando l’Uomo ancora non esisteva. E’ interessante anche costatare che molte specie di molluschi antichi hanno discendenti nei mari di oggi. Ma si sono trasferiti nelle calde acque tropicali: ne deriva, per deduzione, che quando si formò il deposito fossile di Ceriale le acque del mar Ligure erano più calde di adesso.
Il processo di formazione di un fossile si può considerare
un capolavoro del misterioso laboratorio della natura. È il
frutto dell’azione combinata dello scrigno in cui l’antico mollusco è stato racchiuso, per milioni di anni, sigillato in un
involucro inizialmente morbido poi induritosi col tempo sino a diventare roccia. Involucro che ne ha rispettato anche i più delicati dettagli. Questo per quanto riguarda la parte solida, cioè lo scheletro se pensiamo a un pesce o la conchiglia se pensiamo ad un mollusco. L’involucro, evitando
l’azione dell’aria ha anche, in certi casi, impedito il disfacimento delle parti molli, che gli influssi dell’ambiente, protratti migliaia di anni, hanno trasformato, sino a farne una
materia diversa, dura, incorruttibile. Meravigliosa operazione, resa possibile soprattutto dalla “pazienza” della Natura e dalla misteriosa alchimia dell’Universo.
Per questo complesso di azioni concomitanti possiamo constatare oggi, dopo milioni di anni, che da una conchiglia
fossile viene fuori la “mummia” del mollusco con la preci-
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sa forma che aveva quando era vivo, ma trasformato in qualcosa di solido.
I fossili del Torsero sono noti da tempo e sono stati studiati già nell’Ottocento, ma a sostegno del Museo di Peagna
la Regione Liguria e il comune di Ceriale hanno promosso
la pubblicazione di un importante volume dal titolo “Le malacofaune fossili del rio Torsero”. Questo libro (opera di Eugenio Andri con la collaborazione di Andrea Tagliamacco,
Massimiliano Testa, Antonio Marchini e stampato per la Regione Liguria, dalla Nuova Editrice Genovese), comprende
il catalogo dei fossili venuti alla luce nel deposito del Torsero a Peagna. Le conchiglie, presentate con scheda e fotografia, sono quelle della collezione dell’Università di Genova. L’elenco è diviso in due parti: i gasteropodi (165 schede) e i bivalvi (61 schede) con l’elenco degli esemplari disponibili per ogni specie. L’insieme chiarisce con quanta fantasia la Natura del pianeta Terra abbia popolato il regno delle malacofaune.
L’ atlante presenta, nella prima parte, quelle conchiglie che,
come le lumache, si spostano strisciando sul ventre, (classe gasteropodi) che è probabilmente la più numerosa, ancor oggi, in tutti i mari del mondo, conchiglie più o meno
rare ma dalle fogge straordinariamente diverse, anche per
colori che i fossili non sempre conservano, e con una varietà di forme sorprendenti: dalle conchiglie lisce e rotonde a quelle asimmetriche e spinose, con una varietà straordinaria in grandezza e bellezza. Intenti difensivi, livree ingannevoli, aspirazioni al camuffamento hanno guidato il perfezionamento delle specie attraverso una evoluzione durata in qualche caso milioni di anni, evoluzione che sotto certi aspetti continua ancora.
Del multiforme panorama dei gasteropodi usciti dal deposito del Torsero vale la pena di segnalare, come particolarmente significativi e per l’originalità della forma, lo Strom-
bus Coronatus (dalla forte conchiglia armata di acuminati speroni) e il Pecten Jacobeus (per l’elegante conchiglia
dalla forma di ventaglio). Presso qualche popolazione primitiva certe piccole conchiglie rotonde vennero usate come moneta.
Considerato che ne ho citato il nome, vorrei aggiungere qualche notizia su Sant’Agata, comune della provincia di Alessandria nelle cui campagne, sulle colline del Tortonese, sono state trovate, in passato, molte piccole conchiglie fossili, tanto da giustificare l’aggiunta al nome della precisazione “Fossili”. L’aggiunta è importante, perché fa comprendere che il territorio di Sant’Agata venne a trovarsi, in un
immemorabile passato, ai margini del Mare Padano, e questo milioni, se non miliardi, di anni fa, ai tempi dell’orogenesi, prima che il corrugarsi della crosta terrestre innalzasse queste terre ad altezze al limite tra collina e montagna,
dando luogo, col tempo, a campagne disseminate di conchiglie che venivano rivelate dalle piogge, dopo i lavori agricoli. Così a Sant’Agata, come nell’Ovadese a testimoniar il
lontano passato costiero o forse subacqueo.
Oggi Sant’agata è un borgo che vanta origini medioevali e
che nell’Ottocento superò i mille abitanti. I fossili dunque
delle campagne di Sant’Agata, come di altre zone collinari
non sono che una conferma di quel fenomeno di orogenesi che vide le nostre montagne sollevarsi dal mare portando con sé le testimonianze della loto origine sottomarina.
Bibliografia
Eugenio Andri, Andrea Tagliamacco, Massimiliano Testa, Antonio Marchini, “Le malacofaune fossili del rio Torsero”, Regione Liguria, Nuova
Ed. Genovese. Il libro di Eugenio Andri e collaboratori è corredato di
una completa bibliografia che comprende le opere interessanti di paleontologia uscite dal Settecento in poi nelle principali lingue; bibliografia che costituisce un importante strumento di studio per chi voglia
approfondire la storia della genesi e dell’evoluzione non solo della Malacofauna ma anche del nostro pianeta.
L’autore, Eugenio Andri, nato a Milano e laureato in Scienze Geologiche presso l’Università di Genova, è dal 1962 professore associato di Paleontologia e Paleoecologia. Per alcuni anni ha insegnato e attualmente insegna Paleontologia e Paleoecologia presso l’Università “Pierre et Marie Curie” di Parigi. Recentemente si è occupato di un caso di inquinamento da metalli pesanti nell’isola
d’Elba. È autore di oltre trenta pubblicazioni
di argomento geologico, stratigrafico, micropaleontologico e sedimentologico.
La collezione di conchiglie fossili del Torsero comprende attualmente 1100 esemplari
in parte conservati nel Museo di Peagna e
in parte in quello di Genova.
Eraldo Canegallo, “Sant’Agata Fossili, Storia
e memoria”.
A fronte, in alto Dalla roccia lavata
dalle acque emerge una conchiglia
di Venericardia.
A fronte, in basso Il letto, in secca,
del torrente Torsero, nell’entroterra di Ceriale
(Savona).
A fianco Conchiglie fossili di diverse specie
di molluschi marini estratte dalle rocce
sedimentarie tra le quali scorre il torrente.
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