P.O.F. S. Anno Scolastico 2015/2016
Centro Storico di Crotone
Un itinerario di visita in 12 tappe proposto
dal FAI Crotone e dall’ITC “A. Lucifero”
Testi di M. Corrado-A. Gallucci-M. Agostino
con le classi II E e IV E dell’ITC “A. Lucifero”
Ricostruzioni di A. Grilletta e V. Spagnolo
1. Si comincia dalla porta della città (che non c’è più!)
La cinta muraria della città di Cotrone costruita a partire dagli anni ’40 del
Cinquecento contestualmente alla ristrutturazione della fortezza nota come Castello di Carlo
V aveva un unico ingresso/uscita, aperto a metà del versante occidentale: la cosiddetta Porta
di Terra o Porta Grande della Città.
Edificata negli anni ’70 del
Cinquecento ma ristrutturata
già ai primi del Seicento,
questa
è
stata
demolita
nell’agosto-settembre
del
1867 per decisione della
Amministrazione Comunale,
insieme al muro rettilineo
(cortina) di cui interrompeva
la continuità, corrente tra il
bastione Toledo, a Sud, e il
bastione Marchese, a Nord.
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Non risulta che la porta, raggiungibile percorrendo il ponte in muratura che consentiva di
superare il fossato sottostante le mura, e che diventava un ponte a levatoio, in legno, nel
tratto finale, calato appunto dall’intero della struttura di accesso, recasse scolpite le insegne
imperiali, poste invece sul musone del bastione Don Pedro. Pare vi campeggiasse, invece,
un’immagine del patrono san Dionigi Areopagita, protagonista dello stemma civico fino ai
primi del ‘900, quando è stato adottato quello vigente con al centro il tripode delfico delle
monete di Kroton. Rispetto alla porta occidentale della fortificazione precedente,
quattrocentesca, quella del ‘500 era più spostata verso Nord.
Al suo posto, oggi, si trovano da un lato l’erboristeria attigua al Caffè Italia e dall’altro la
pizzeria Colorado.
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2. Convento-ospedale dei Fatebenefratelli – Casa Comunale – Casa della Cultura
Dagli anni ’80 dell’Ottocento, trasferito l’Ospedale Civile fuori dalle mura spagnole
– è l’odierno (mai terminato) Nuovo Teatro Comunale –, l’edificio del convento degli
Ospedalieri di San Giovanni di Dio, detti Fatebenefratelli, con annessa Chiesa di S. Maria
della Pietà, sede originaria del Crocifisso ligneo oggi nella
Chiesa dell’Immacolata, fu trasformato in Casa Comunale
e tale rimase fino a metà del XX secolo.
In facciata, sulla parete retrostante il balcone, sovrastata
dalla torre con l’orologio, sono murate le due epigrafi
celebrative dell’impresa dei fratelli Bandiera e dei quattro
magistrati civici fucilati all’atto della soppressione della
Repubblica nel 1799 e della restaurazione sanfedista.
L’edificio, oggi Casa della Cultura Giovanni Gentile,
ospita in alcuni locali a piano terra l’Archivio Storico
Comunale.
3. Mura bizantine
Resta, dopo la rimozione eseguita nel 1997 delle macerie di un palazzo bombardato
nel 1942 (Casa Cammariere), un tratto di poco più di 10 metri di lunghezza, fuori terra,
delle mura del kastron, cioè della cittadella fortificata, di Crotone. Queste furono costruite
negli anni 547-552 d.C., durante la
guerra
detta
greco-gotica,
reimpiegando blocchi di calcarenite
dei tempi di Kroton ma posandoli su
letti
di
malta
e
disponendoli
alternativamente di testa e di taglio per
ancorarli meglio al nucleo interno a
sacco della struttura, larga in origine
ben 4 metri, oggi in corso di restauro.
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Originali sono tre filari di blocchi sovrapposti
del paramento esterno affacciato su Corso
Vittorio Emanuele II, mentre gli altri resti di
muri sono posteriori, di epoche diverse. È la
prima fortificazione di cui si sia dotata la città
dopo il III sec. a.C. e l’unico esempio
calabrese
superstite
di
mura
di
epoca
giustinianea realizzate dal nulla invece che
risistemando fortificazioni più antiche.
4. Chiesa dell’Immacolata
La prima cappella, forse riadattamento di una cisterna collegata alle mura spagnole
della città, risale al Cinquecento ed è quella che oggi chiamiamo cripta, sita sotto il
pavimento della parte anteriore della navata della chiesa. Il grande edificio tuttora in piedi è
della metà del ‘700, voluto e finanziato da
Girolamo Cariati – in sagrestia c’è una tela
col suo ritratto e la sua tomba era sotto
l’altare a mensa odierno –, possidente
dell’epoca e priore della Confraternita
dell’Immacolata
ed
anime
sante
del
Purgatorio che si riuniva appunto nella
chiesa, senza compiti parrocchiali. La
facciata neoclassica risale all’Ottocento.
Nell’aula, a navata unica, con organo in
controfacciata, altari a parete sui due lati
lunghi e campanile a lato del presbiterio,
lungo Via Risorgimento, si segnalano in
particolare la statua lignea dell’Immacolata
sopra l’altare maggiore e il Crocifisso del
‘600 appeso sulla parete destra, proveniente
dalla Chiesa di S. Maria della Pietà del
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convento dei Fatebenefratelli, poi passata nelle Chiesa di S. Giuseppe e negli ultimi decenni,
dopo il restauro, collocata nella sede attuale. Altre statue in legno sono nella cripta,
comprese quelle dei santi medici Cosma e Damiano (ritratti anche nel quadro di un Alfì che
sovrasta uno dei due altari laterali dell’aula) con i loro ex voto anatomici. Altri ex voto, alle
spalle dell’altare maggiore, sono legati alla statua di santa Lucia, protettrice della vista.
5. Monastero di Santa Chiara
Documentato con certezza dagli anni ’80 del Quattrocento, dopo un tentativo fallito
(nonostante l’ordine del Papa) di insediamento dei Domenicani e trasformazione del titolo
in S. Vincenzo della chiesa cui aveva fatto capo una comunità di suore, tentativo contrastato
dalla nobiltà locale che esercitava il patronato su quella chiesa, il monastero delle C larisse
di Crotone è sopravvissuto fino al secondo decennio del Novecento.
Per tutta la sua storia, le suore di S. Chiara, che appartengono alla
Famiglia Francescana (2° Ordine) vi hanno svolto il compito di educare
le fanciulle del primo ceto, la nobiltà locale, molte delle quali sono
diventate clarisse a loro volta, anche perché alle famiglie d’origine
faceva comodo che non si sposassero, in modo da non ridurre il
patrimonio spettante, insieme al titolo, al primogenito maschio.
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Le vicende del monastero ricalcano, perciò, nel bene e nel male, quelle della città ma esso fu
sempre un soggetto economicamente forte, perché le doti delle educande e il denaro che le
famiglie sborsavano anche per le figlie diventate monache consentì di accumulare ricchezza,
specialmente sotto forma di beni immobili e censi. La clausura, inoltre, e le mura che
circondavano l’edificio, lo rendevano adatto a conservarvi i beni degli altri religiosi della
città.
La chiesa che oggi visitiamo è il risultato di una completa ristrutturazione “all’uso
moderno” dicono i documenti, seguita al terremoto del 1749: a distanza di trent’anni, nel
’79, a lavori finiti, essa fu riconsacrata. Il campanile, però, e il belvedere (tecnicamente un
tiburio) che sovrasta il presbiterio sono stati l’uno ricostruito e l’altro modificato,
abbassandolo di 10 metri, dopo il terremoto del 1832. In facciata, la chiesa presenta una
peculiare decorazione ‘a sgraffio’ con cerchi fiorati su elementi triangolari che qualcuno
legge come ostensori e riconduce ad uno dei miracoli di santa Chiara.
All’interno, a navata unica, l’organo è posto al termine del lato lungo di destra, non in
controfacciata, perché quella è occupata dal matroneo grazie al quale più suore potevano
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assistere contemporaneamente alle funzioni. Altri, più piccoli, si aprono lungo la parete
lunga opposta, in luogo delle finestre.
Molti i quadri e le statue offerti da badesse che hanno evidenziato la loro origine facendo
dipingere anche lo stemma di famiglia. Quello dei Lucifero campeggia sul’organo, offerto
appunto da una Cecilia Lucifero, mentre quello dei Valente compare sull’altare maggiore e
sul mobile in legno della sagrestia. Da una porta laterale aperta nel presbiterio si accedeva al
chiostro del convento e oggi ad un settore
di esso che è stato chiuso con vetrate,
senza più acceso al cortile centrale. In
questo settore è compresa la grande
cisterna ‘ritrovata’ nel corso del Novecento
e trasformata provvisoriamente in cappella.
Le condizioni in cui versano chiesa e
convento sono, oggi, molto precarie.
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Su Via Risorgimento si affaccia la parte più recente del monastero, quella che fin dagli anni
’60 dell’Ottocento, passata al Comune grazie alle leggi del nuovo stato unitario, fu
trasformata nell’asilo delle suore di S. Anna, chiuso appena un paio di anni fa.
A valle, oggi l’edificio è tutt’uno con quelli adiacenti, mente in passato una strada lo isolava
su questo versante come sugli altri tre.
6. Palazzo e giardino Galluccio
I Galluccio giunsero a
Crotone da Santa Severina del
Seicento,
quando
ancora
si
chiamavano Galluzzi. Il loro
palazzo, oggi dei Lucifero per
l’estinzione della famiglia dei
fondatori, è stato ricostruito nelle
forme attuali, con una bella
facciata neoclassica, nel corso
dell’Ottocento.
All’interno, ha un cortile a cielo aperto ma manca del giardino, creato perciò all’esterno,
dall’altra parte della strada, come segnala lo stemma di famiglia sul cancello d’accesso,
acquistando un tratto delle mura cittadine: quello
rettilineo
tra
il
bastione
Toledo
(o
dell’Immacolata) e il bastione Don Pedro (o di S.
Giuseppe). Lo stesso dicasi per gli edifici
costruiti a monte e a valle del giardino, un tempo
stalle e rimesse del palazzo Galluccio.
7. Chiesa di S. Giuseppe
Nacque nel 1719 come chiesa privata dei maestri d’ascia (: falegnami), costruita
raccogliendo elemosine. A distanza di pochi anni, però, per la sua vicinanza alle dimore di
alcune famiglie nobili della città, fu incrementata aggiungendo all’aula originale due
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cappelle per lato. A destra, entrando, s’incontra quella dei Lucifero e più avanti degli
Sculco, a sinistra quella dei Galluccio e più avanti degli Ayesrbis Aragona, oggi estinti.
L’altare maggiore, con l’immagine dipinta
dell’Addolorata portatavi dalla Congregazione
dei Nobili, che in precedenza si riuniva nella
chiesa del Convento di S. Francesco, come
pure la ricostruzione dell’arco trionfale che
separa l’aula e il presbiterio e del campanile, si
devono al barone Luigi Berlingieri, nel tardo
‘800, rese necessarie dai frequenti crolli
causati dalla scarsa stabilità dell’edificio.
Notevoli le statue di S. Gregorio nella cappella Ayerbis, firmata Nicola Fumo e datata 1721,
e di S. Nicola di Mira nella cappella Sculco, forse anch’essa opera del Fumo. Nella cappella
minore interna a quella dei Galluccio, in alto sopra l’altare si riconoscono i sostegni del
Crocifisso ligneo oggi conservato nella Chiesa dell’Immacolata.
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8. Villa Berlingieri
Il grande edificio con pianta ad elle, progettato dal marchese Francesco Berlingieri,
risale agli anni ’80 dell’Ottocento, costruito dopo che la famiglia acquistò il bastione Don
Pedro. Sovrapponendosi, in parte, al camminamento coperto che collegava il bastione al
rivellino Miranda o Conigliera, quello fu murato per impedire l’accesso di estranei alla villa
e al giardino, che ha il suo ingresso, con il solito cancello sormontato dallo stemma di
famiglia, su Via Risorgimento, oltre la Chiesa di S. Giuseppe e la caratteristica casetta del
custode. La facciata della villa si trova a quota più alta della strada e si distingue per un bel
patio colonnato in stile neoclassico.
9. Museo Nazionale Archeologico
Preceduto da un edificio basso di proprietà Lucifero adattato a Museo Civico nel
1910, l’attuale Museo Nazionale Archeologico è stato costruito negli anni ’60 del
Novecento, su progetto dell’architetto viterbese
Franco Minissi, e aperto a maggio del 1968. Le
collezioni
civiche
di
oggetti
antichi
formate
nell’Ottocento e cedute da privati al Museo, sono
state allora passate allo Stato ed esposte nelle vetrine
dell’allestimento pensato secondo i criteri dell’epoca,
riveduto e rifatto, leggermente più ampio, a fine anni
’90 dando maggiore spazio ai reperti dagli scavi
cittadini che agli oggetti delle vecchie raccolte.
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Al piano terra è illustrata la Kroton archeologica, al primo piano i santuari sparsi nel suo
territorio. Davanti al museo, nel giardinetto esistente, sono collocate due grandi vasche di
marmo che, come i 3 frammenti di colonne murati in verticale poco oltre verso la
Conigliera, provengono da recuperi del 1909 nelle acque di Punta Scifo, dove già dall’anno
precedente, e di nuovo nel 1915 e poi nel 1983, è stato ripescato il carico del relitto romano
detto di Paolo Orsi: una nave per trasporto di
marmo dalla Turchia a Roma naufragata a sud si
Capo Colonna nel 3° secolo. Gli altri marmi sono
oggi concentrati nel Museo del Parco di Capo
Colonna.
10. Palazzi Zurlo-Soda, Albani, Lucifero (di sopra), Morelli e Barracco
Lungo Via Risorgimento, nel tratto compreso tra il Museo Nazionale e Piazza
Castello, sul versante interno si dispongono in stretta successione una serie di palazzi
nobiliari costruiti o ristrutturati dopo la metà dell’Ottocento. La fine delle servitù militari,
infatti, decretata prima ma attuata solo poco dopo l’Unità d’Italia (1861), consentì di
realizzare nello spazio libero tra l’abitato e le fortificazioni, prima inutilizzabile, quella
Strada del Risorgimento che, comprendendo all’inizio anche l’attuale Discesa Fosso,
disegnava, insieme a Corso Vittorio Emanuele II e, dagli anni ’80, a Viale Regina
Margherita, una specie di anello intorno al centro storico.
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Le famiglie più facoltose fecero allora a gara per assicurarsi un posto lungo Via
Risorgimento, dove ristrutturarono il loro palazzo se preesistente o ne acquistarono uno ad
hoc, come i Lucifero con quello dei Cosentini, oppure comprarono agglomerati di case
attigue e li trasformarono, come nel caso di Palazzo Morelli, inglobando anche le strade che
in origine li separavano.
Lo stile architettonico degli edifici più eleganti è neoclassico (così Pal. Galluccio, Villa
Berlingieri e Pal. Morelli) ma prevale, negli altri, una sobrietà di linee in parte imposta dalle
preesistenze, in parte dalla fedeltà alla tradizione (Pal. Zurlo-Soda, Pal. Lucifero, Pal.
Barracco).
Di fronte, direttamente sulle mura di controscarpa del Castello e lungo il limite ovest della
Conigliera, sorsero le stalle e le rimesse per automobili dei citati palazzi – oggi quasi tutte
sono abitazioni -, fino a raggiungere la porta di comunicazione con il ponte che conduceva
alla fortezza e poi proseguire anche oltre. Il primo edificio, a sinistra dell’ingresso, fu però
la sede della Banca di Credito Cooperativo.
All’estremità nord della piazza, in fine, sorse il Palazzo Barracco, già del mercante di grano
Domenico Farina, edificio di dimensioni considerevoli e inizialmente isolato, a differenza di
oggi, su tutti i lati. Già sede della Camera di Commercio, oggi ospita il MACK: Museo di
Arte Contemporanea di Krotone.
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11. La porta che conduce al Castello
In Piazza Castello, quella che la maggior
parte dei Crotonesi crede essere la porta del
Castello è invece la porta che si apriva nelle mura
della città (quelle dette di controscarpa del
fossato) in direzione della fortezza e del suo vero
ingresso, situato sullo stesso asse ma dalla parte
opposta
del
ponte.
Solo
nell’Ottocento
quest’ultimo è diventato tutto in muratura, poiché nel ‘500,
all’epoca della sistemazione risultante dai grandi lavori di
ammodernamento del castello aragonese promossi al tempo
di Carlo V e Don Pedro de Toledo, durati oltre 70 anni, solo
il pilastro centrale era ‘di fabbrica’ e il resto tutto in legno.
La parte più vicina all’ingresso del Castello, poi, era un levatoio che i militari di stanza nel
complesso calavano o alzavano secondo necessità, in modo da isolarsi del tutto dal borgo, se
necessario. Accanto all’ingresso che dà sula piazza, invece, sul lato interno, una porticina
oggi sbarrata consentiva di salire in piazza dal fossato che separava borgo e fortezza
utilizzando una stretta scala a chiocciola, oggi interdetta.
12. Portale Susanna
Ultima tappa del percorso, il portale in
questione si trova alle spalle di Palazzo Barracco e
si raggiunge percorrendo Via Ducarne. Il portale è
quasi la sola parte riconoscibile come ‘antica’ di
un edificio oggi pesantemente ristrutturato e
innalzato di tre piani rispetto a quello originale,
edificio
che
è
noto
anche
come
Palazzo
Presterà/Pristerà o Presterà-Oliverio, dai nomi di
un paio delle molte famiglie che l’hanno
posseduto dopo i Susanna, ai quali appartenne ai
primi del Cinquecento.
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Ce lo dice il portale stesso, poiché dell’iscrizione inserita nel fregio e oggi solo parzialmente
superstite, all’estremità destra resta la dicitura A D (= Anno Domini) 1526. Dalla parte
opposta si legge la T iniziale del nome del SVS(anna) che lo fece costruire, ignoto alle fonti
documentali. La famiglia è attestata a Cirò e Santa Severina fin dal ‘400, a Crotone nel
secolo seguente ebbe più di un sindaco e poco dopo il 1526 si diffuse anche a Catanzaro.
A conferma che la proprietà dell’edificio per il quale fu realizzato il portale spettava ai
Susanna, il loro stemma è ripetuto a destra e a sinistra, con l’accortezza di disporre la
colomba posata sul ramo e che in origine teneva nel becco un ramoscello d’ulivo (oggi
scomparso) in modo che sia rivolta verso l’interno in entrambi i casi. Il lambello/rastrello
che la sovrasta (una specie di E disposta orizzontalmente) segnala che il Susanna
proprietario e promotore della costruzione, cioè quello con l’iniziale T, apparteneva ad un
ramo cadetto della famiglia: non era il primogenito maschio erede del titolo nobiliare e dei
beni ma un suo fratello.
Il portale non è classificabile in una categoria dai caratteri definiti e ricorrenti, il che ne fa
un caso unico. Lo è anche per il bugnato ‘a cuscino’ esteso all’intero arco in un’epoca in cui
prevale quello ‘a punta di diamante’, e per il bugnato ‘a palle di cannone’ delle fasce
verticali esterne, privo di confronti. Lo è per la presenza di capitelli, sulla sommità dei
piedritti dell’arco, che hanno forma e figure di animali inusuali nel Cinquecento e più vicine
alla plastica gotica (dunque del 1200: tre secoli
prima). Ciò lo colloca tra gli esempi europei, il
solo
però
in
Italia,
di
un
fenomeno
di
attardamento dello stile romanico che in provincia
arriva, in effetti, fino alla prima metà del ‘500.
Spettano invece espressamente a questo secolo i
“grilli”, uno quasi intatto e l’altro rovinatissimo,
collocati esternamente, nelle parti alte della
composizione. Nel caso specifico, consistono in
una faccia umana maschile con orecchie però da
capra su un corpo e in posa da rana.
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Tornando ai capitelli dell’arco, identici sui due lati anche se quelli di sinistra sono quasi
irriconoscibili per il deterioramento della pietra (un calcare bianco) prodotto dallo scolo di
acqua piovana da un pluviale oggi non più esistente, vi sono scolpiti due leoni contrapposti,
rivolti però verso l’esterno, e una testa frontale con caratteristiche insieme umane e animali
che la rendono mostruosa.
Il suo scopo è tenere alla larga il MALE, gli influssi negativi, opponendo loro qualcosa di
ancora più terrificante. Anche i leoni sono un simbolo di potenza straordinaria, insieme
positivo e negativo. Nei capitelli più piccoli che si affiancano, esternamente, ai maggiori,
compaiono invece due basilischi, anch’essi contrapposti, con le code serpentiformi
intrecciate. Il basilisco è un animale mitologico che ha grande fortuna nel Medioevo:
insieme gallo e serpente, e come
tale dotato di ali membranose
come draghi e pipistrelli, causava
la morte con lo sguardo o il fiato.
Anch’esso,
efficacemente
quindi,
può
difendere
l’ingresso di un palazzo da ogni
negatività.
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