RISULTATI SCOLASTICI ED ATTESE SOCIALI
Dott. Angelo Luppi
Schede di supporto alla quinta lezione del corso: 2^ Anno, VIII Ciclo, Didattica Generale
SCHEDA UNO: CLIENTI E CITTADINI-Passi tratti da Angelo Luppi, La scuola
dell'autonomia: processi di cambiamento, didattica e organizzazione. Ferrrara,
Tecomprojet, 2001
Nel quadro dell'autonomia occorrerà imparare a convenzionare la qualità, cioè definire nei
singoli istituti delle rappresentazioni collettive e condivise di ciò che può essere un buon
servizio scolastico, una buona prestazione scolastica, un risultato valido ed adeguato. Le
esperienze già fatte con la Carta dei servizi scolastici, la pratica della programmazione
educativa e della programmazione didattica, la formalizzazione del contratto formativo ed
in questi ultimi anni con le esperienze legate ai concetti della qualità totale o
dell’autoanalisi di istituto verranno ricomposte nel POF. Su questo terreno andranno
ridefinite alcune tendenze che hanno avuto corso nella scuola di questi ultimi anni.
Clienti e cittadini
Un più condizionante rapporto con l’opinione pubblica sembra infatti orientare la grande
maggioranza degli istituti verso una moltiplicazione delle opportunità formative, un tempo
chiamate attività integrative, piuttosto che in direzione di una revisione dei percorsi
didattici. Resta da chiedersi se questa inclinazione dell'opinione pubblica a prediligere
nelle varie opzioni innovative quelle più lontane dalla didattica, da tempo presente, sia
effettivamente d’aiuto nel rinnovamento delle strutture scolastiche. Anche una diversa
visione dei valori d’accesso di alunni e famiglie ai percorsi formativi, sostanzialmente
basata su di una contrattualizzazione del rapporto utenza-scuola, sembra presentarsi
assai incline a trasformare la modalità di fruizione dei servizi scolastici verso un rapporto
cliente-fornitore, attribuendo così all’utente lo status di cliente.
Ma la logica di funzionamento dei servizi pubblici dovrebbe ancora essere vista in modo
diverso: non andrebbe tanto applicato il concetto di cliente, che "contratta personalmente
le condizioni che più gli convengono" bensì quello di cittadino che richiama, in senso più
ampio, la "stipula di un contratto sociale con le amministrazioni pubbliche, in base al quale
si fruisce di servizi per soddisfare bisogni individuali" ma con riferimento al riconoscimento
da parte "dell’intero sistema sociale della rilevanza di quei bisogni". La capacità della
scuola di formare anche al di là di quanto potrebbe apparire soggettivamente utile
nell'immediato e contingente momento andrebbe fortemente tutelata. Nella scuola
dell'autonomia, che si presenta effettivamente assai complessa, non mancano però alcuni
validi punti di riferimento, ai quali rapportarsi con intelligente realismo e concreta
professionalità. Si tratta delle ricerche sulle caratteristiche della scuola efficace, diffuse in
ambito europeo, che già sono riuscite ad individuare alcuni fattori positivi che
interagiscono nella valutazione dell'istituto e della professionalità dei suoi addetti.
La scuola efficace
Una buona scuola si connoterebbe dall’intreccio di più elementi: positiva presenza di una
direzione attiva e consapevole, con forte impegno educativo; consenso sugli obiettivi;
fiducia dello staff insegnante nelle potenzialità degli studenti ("positive expectations");
valutazione dei progressi degli studenti usata dagli insegnanti come feedback per le loro
pratiche d'insegnamento; ethos positivo nella scuola ed un clima disciplinare favorevole
allo studio; buona gestione del tempo; trasparenza, coerenza, scorrevolezza delle pratiche
amministrative, dei regolamenti. Iniziare con il garantire questi primi risultati, nei vari
itinerari dell’ampio ed avventuroso viaggio di trasformazione ora iniziato, sarebbe già un
passo assai positivo, (e per nulla minimale), nella scuola dell'autonomia. Gli istituti
scolastici, peraltro, verranno assistiti da una nuova struttura nazionale di valutazione che,
nell'intento di "contribuire al buon funzionamento della scuola", rileverà sistematicamente
selezionati "dati sui diversi aspetti del funzionamento del sistema scolastico e sulle
interazioni che vengono stabilendosi fra la scuola e la varietà dei soggetti sociali
interessati alla formazione" e fornirà agli insegnanti "l'aiuto necessario per qualificare", con
dati attendibili e strumenti metodologicamente corretti, "le decisioni che (essi) riterranno di
assumere per migliorare l'offerta formativa".
Si tratta di iniziative non nuove nei sistemi educativi europei, che però inquietano taluni
commentatori che in esse vedono l’emergere di metodologie capaci di rispondere alle
"esigenze di genitori e politici (misurare il merito e l’efficacia)", ma poco atte a rilevare i
"bisogni educativi degli adolescenti". Questi procedimenti sarebbero poi anche soggetti al
rischio di "alterazione dei risultati dei test", per timori e resistenze degli esaminati, qualora
essi venissero resi pubblici per essere utilizzati in un confronto fra scuole.
5.3 – Il governo dell'istituto
L'ampia problematica riportata include certamente anche la scuola italiana, anche se in
questi anni il passaggio cruciale per il suo sviluppo riguarda la realizzazione
dell'autonomia scolastica. Al centro di tutto ciò stanno le necessità di governo e di
valutazione di quanto accade nell'istituto scolastico. Tutto ciò implica saper cogliere nei
processi educativi un profondo bisogno di rendere l'educazione più sensibile al contesto in
cui essa si cala, in modo da renderla più pregnante per vicinanza culturale ed emozionale
con le sedi di attivazione e nello stesso tempo più formativa rispetto a quegli slanci di
universalità da cui una adeguata educazione non può prescindere.
Il sistema formativo allargato
In questo contesto l’autonomia scolastica, oltre a strutturarsi in interventi sui meccanismi
organizzativi di gestione delle scuole, intesi a renderle più libere nella possibilità di
"scegliere i metodi con cui intendono portare gli studenti ad un certo livello di conoscenze",
rappresenta “l’elemento centrale" dei cambiamenti in atto, visti come “sforzo di realizzare
un quadro di riferimento nazionale che rispetti al tempo stesso i bisogni e le aspirazioni
locali e sappia assicurare che la diversità naturale del paese sia pienamente
rappresentata nel suo sistema educativo. Ormai è infatti acquisita dalla cultura pedagogica
ed organizzativa l’idea dell’esistenza di un sistema formativo allargato per cui occorre
pensare la scuola come agenzia, in mezzo alle altre ed in collaborazione con le altre, con
un progetto formativo capace di raccordarsi sistematicamente con tutte le risorse culturali
del territorio, nella consapevolezza che il tempo scolastico non esaurisce il tempo
educativo.
Tutto ciò implica un rapporto stretto con il territorio ed in particolare con tutti quegli enti
locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche che in esso
operano per finalità che possono essere convergenti con quelle delle scuole. L'idea stessa
del Piano dell'offerta formativa deve riflettere "le esigenze del contesto culturale, sociale
ed economico della realtà locale" ed inquadrarsi nel quadro della programmazione
territoriale dell'offerta formativa. A questi riferimenti il capo d'Istituto deve rapportarsi nei
percorsi di costruzione delle attività scolastiche. Ancora più cogente in questa direzione
appare la circostanza che si debba tener conto nel POF anche delle "proposte e dei pareri
formulati dagli organismi e dalle associazioni" dei genitori.
Il ruolo progettuale della scuola
Si tratta di formulazioni che sostanzialmente riprendono ed amplificano lo schema di
responsabilizzazione verso l’utenza introdotto negli ultimi anni dalle varie carte dei servizi,
ma queste trasformazioni introdotte dal regolamento per l’autonomia, che assegnano al
Collegio dei Docenti un ruolo progettuale da esercitare sotto sostanziale verifica di
congruità agli indirizzi generali effettuata dal Consiglio di Circolo o di Istituto, potrebbero
anche rischiare di aprire spazi ad un contenzioso sull’esercizio dei ruoli professionali.
Qualche incertezza si riscontra ancora fra i docenti, che temono l’instaurarsi di una scuola
ridimensionata nella propria funzione formativa e frammentata in molteplici attività
condizionate dall’esterno. L’intenzione di respingere "imposizioni attinenti alla specifica
sfera di competenza tecnico-professionale della docenza", contenuta in alcune proposte di
realizzare un codice etico-deontologico degli insegnanti, non andrebbe dunque
sottovalutata.
Non si tratta di un problema nuovo. Infatti, già era stato evidenziato come confondere il
diritto all'informazione ed al controllo dell'utenza con la capacità di progettare, avesse di
fatto condotto a sminuire il riconoscimento della specifica competenza tecnica e
professionale dei docenti. Non si può evidentemente considerare tutti i partecipanti al
mondo della scuola capaci di assolvere a questa funzione a prescindere dai loro specifici
ruoli. Gli orientamenti di queste riforme sono tuttavia pienamente comprensibili e
condivisibili per altri aspetti: la garanzia dell'affidabilità del servizio scolastico nei confronti
di chi ad esso affida propri figli, la sua concreta rendicontabilità, ("verifica del
mantenimento di quanto promesso"), e la responsabilità che gli operatori del servizio si
assumono nei suoi confronti. Non si tratta tanto di importare nella scuola le ragioni della
consumer satisfaction, quanto di affrontare un impegno da gestire con l'apporto delle
migliori risorse presenti nella scuola.
La scuola come esperienza collettiva
Nel governo dell'istituto un primo momento di coscientizzazione in direzione delle nuove
esigenze implica quindi che presidi e insegnanti debbano "pervenire alla consapevolezza
che il loro agire individuale si colloca in un tutto che è l'unità scolastica, e che quel che
conta nella percezione esterna degli utenti della qualità dell'offerta formativa complessiva
è il tutto e non la parte (il singolo docente). Inoltre il tutto non è la sommatoria delle parti
ma qualcosa di diverso: detto in altri termini - e in paradosso - la buona qualità dei singoli
insegnanti può anche condurre ad un'offerta formativa globale di scarsa qualità qualora gli
attori organizzativi procedano in modo totalmente personalistico e perciò in totale
dissintonia tra loro. Questo modo di affrontare le realtà organizzate, come insieme
d’individui che si coordinano e collaborano in vista di pervenire ad obiettivi e risultati
comuni, è ampiamente noto nella cultura dell'impresa moderna".
In sostanza, nella scuola dell'autonomia, "chi si ostina a chiudersi nell'individualismo, non
può essere un bravo insegnante"; a maggior ragione dal momento che questo tipo di
servizio alla comunità è predisposto per fornire una forte attenzione alla realtà esterna. La
scuola può oggi essere definita come "sistema sociale aperto: intendendo con ciò
evidenziare la necessità (in aderenza con l'approccio sistemico) di un continuo
interscambio d’informazioni, comunicazioni e saperi tra istituzioni scolastiche e mondo
esterno, quale precondizione indispensabile per evitare che la singola unità scolastica
diventi autoreferenziale e chiusa in se stessa. Circostanza, quella dell'autoreferenzialità,
che se già era poco accettabile nella scuola centralistica a curricolo rigido fissato
centralmente, sarà domani inaccettabile per una scuola autonoma che deve essere
interrelata con il proprio territorio e con la propria utenza ai fini di adattare la propria offerta
formativa alla domanda formativa esterna".
Il cammino da percorrere
Tutto ciò, comunque, non si colloca nell'assenza di profili istituzionali di contenimento.
L'arco delle finalità della scuola di base appare abbastanza preciso: "acquisizione e
sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base; apprendimento di nuovi mezzi
espressivi; potenziamento delle capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel
tempo; educazione ai princìpi fondamentali della convivenza civile; consolidamento dei
saperi di base, anche in relazione alla evoluzione sociale, culturale e scientifica della
realtà contemporanea; sviluppo delle competenze e delle capacità di scelta individuali atte
a consentire scelte fondate sulla pari dignità delle opzioni culturali successive" Ed anche
gli scopi assegnati alla scuola secondaria appaiono ben definiti come "consolidare,
riorganizzare ed accrescere le capacità e le competenze acquisite nel ciclo primario",
"sostenere e incoraggiare le attitudini e le vocazioni degli studenti", arricchirne la
"formazione culturale, umana e civile", sostenendoli nella progressiva "assunzione di
responsabilità" in vista dell'accesso "all'istruzione superiore universitaria e non
universitaria" ed al "mondo del lavoro"i. Impegni che prevedono un'adeguata
professionalità.
SCHEDA DUE: Angelo Luppi-Scuola, Modello organizzativo e Bilancio sociale; testo
della relazione tenuta nel marzo 2007, all'interno del Seminario dedicato al tema: La
scuola, paradigma e modelli, organizzato dalla sezione di Scienze dell'Educazione,
Università degli Studi di Ferrara.
1. Scuola e progetto educativo
L'idea generale che una comunità abbia bisogno per sopravvivere e tendere a migliorarsi
di un progetto educativo e che per realizzarlo debba saper immaginare un futuro che sia
migliore del presente, organizzando le proprie forze per poterlo perseguire è presente da
tempo negli studi di scienze dell'educazione.
In questo senso la scuola, realizzata secondo determinate caratteristiche di fondo, è
appunto l'elemento "centrale di un progetto educativo che coinvolge tutti gli aspetti
formativi presenti in una comunità".
I giovani, primi e principali destinatari di tale progetto, vengono dunque formati nella
nostra società in larghissima parte attraverso un sistema imperniato sulla scuola, luogo in
cui i valori, le tecniche, gli usi ed i costumi, insomma tutto il patrimonio di conoscenze della
stessa comunità viene analizzato, rielaborato, simbolizzato e trasmesso.
Questi elementi di fondo, tratti dalla riflessione pedagogica, sono stati accompagnati nel
nostro paese anche da numerose provvidenze legislative. Lontana nel tempo ma ancora
efficace la definizione della scuola come "comunità che interagisce con la più vasta
comunità sociale e civica" proposta nei decreti delegati del 1974. Una definizione che
oggi, meglio articolata nel Regolamento sull'autonomia del 1999, assegna più
espressamente alle scuole il compito della "progettazione" e della "realizzazione" di
interventi di "educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona
umana", da costruire adeguati "ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle
caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti". Tutto ciò "al fine di garantire loro "il
successo formativo" dei ragazzi, coerentemente con le "finalità e gli obiettivi generali del
sistema di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento
e di apprendimento".
Questi riferimenti legislativi, che raccordano fra di loro anni di scuola praticata e di
riflessione su di essa, portano ad individuare alcuni elementi portanti delle attuali
tematiche in discussione. Si tratta di un nuovo rapporto con il territorio, dell'accentuazione
della propensione alla valorizzazione dell'utenza e più specificamente delle famiglie e di
una più spiccata attenzione alla tematica della qualità della scuola. Nel tempo, infatti, è
emersa la consapevolezza che sia utile realizzare un sistema formativo allargato per cui
occorre pensare la scuola come ad un'agenzia fondamentale, capace di attivarsi con un
progetto formativo coinvolgente e sistematicamente raccordato con tutte le risorse culturali
dell'ambiente.
A ciò si è aggiunta l'idea che debba essere riconosciuta ai genitori una presenza sempre
più incisiva nella scuola. Questa componente infatti aumenta progressivamente il suo
peso nella gestione delle istituzione scolastiche, all'interno di un processo fondato sul
principio che l'interesse al buon funzionamento delle istituzioni scolastiche giustamente
rappresenti un diritto acquisito dei cittadini. La problematica della qualità della scuola si
lega infine alla esigenza di una maggiore competenza disciplinare, didattica e relazionale
dei docenti e di una più adeguata ed individualizzata attenzione formativa nei confronti
degli studenti. La capacità della scuola di accogliere e contenere la soggettività degli
allievi, che prima di essere tali, sono adolescenti e giovani adulti bisognosi di autonomia e
di riconoscimento, è l'elemento centrale di queste problematiche .
2. La trasformazione dell'idea di scuola
La legislazione attuale ed in particolare quella specificamente connessa all'introduzione
dei principi dell'Autonomia scolastica delinea in modo abbastanza preciso un modello di
funzionamento della gestione della scuola. Quattro i principi portanti: l'interazione con il
contesto nel definire l'identità culturale e progettuale delle scuole, l'attenzione a
meccanismi di funzionamento flessibile ed individualizzato nella gestione delle didattiche,
la possibilità di espandere, tanto verso l'interno dell'istituzione (gli alunni) quanto verso
l'esterno della scuola (particolari categorie di utenti nel territorio) le offerte formative ed
infine il riferimento a curricoli più generali di carattere nazionale come fonte
dell'orientamento complessivo delle istituzioni scolastiche, da considerare autonome ma
non disarticolate da un sistema nazionale .
Va tuttavia considerato che a fianco dei processi di definizione legislativa dei meccanismi
di funzionamento, della scuola, s'è avuta anche una trasformazione dell'idea stessa di
scuola. Questa mutazione può essere più facilmente colta se rapportata a livello di istituto
scolastico. Un primo modello, frutto della distillazione degli elementi portanti della scuola
costruita nelle società democratiche negli ultimi due secoli, vorrebbe vedere la scuola
come perno di un sistema che ottenuto un ampio mandato dalla società provvede nei
territori, secondo principi di laicità intrinseca e di generalizzazione verso tutti i suoi alunni,
a formare autonomia personale e cultura propria e vitale nei ragazzi in formazione.
Accanto a questo primo modello, classico, organico ed ancora sostanzialmente
condivisibile, sarebbe ora in espansione un secondo modello inteso a valorizzare la
capacità della scuola di interagire nei confronti della propria utenza diretta, secondo
principi di affidabilità, rendicontabilità, responsabilità, come peraltro richiesto senza
distinzione a tutti gli altri enti pubblici.
Il percorso di trasformazione dell'idea di scuola non sarebbe comunque concluso. Infatti,
in aggiunta a quanto indicato, sul versante di una visione aziendalistica del sistema di
formazione si punterebbe anche ad una idea di scuola in cui gli elementi della
completezza, della mescolanza e della qualità dei servizi determinerebbero la competenza
distintiva ed il valore specifico di ogni singola istituzione scolastica. La formazione degli
studenti verrebbe ad essere ancora il servizio di base dell'istituto scolastico, ma non
l'unica funzione da assolvere; andrebbero necessariamente forniti altri supporti formativi,
come la gestione delle esperienze pratiche (stage, percorsi di formazione-lavoro) e
l'accesso alle conoscenze (biblioteche, banche dati, Internet ecc.). Ancora altri servizi per
il percorso degli studenti dovrebbero essere poi previsti, come l'orientamento, il
counselling personale, l'integrazione didattica .
Sull’accettabilità pedagogica e sull’applicabilità reale di questi orientamenti il dibattito è
aperto, ma occorre riconoscere che essi sembrano estendersi sempre di più nel mondo
della scuola e soprattutto nella sua concreta gestione.
3. Quattro parole chiave
Da questo punto di vista sembrano aver ormai assunto imperativa presenza nella scuola
quattro parole chiave. Innanzitutto e con sempre maggiore evidenza il concetto di
"governance", anche in relazione alla nuova dislocazione delle competenze sulla scuola
connessa alla riforma del Titolo V della Costituzione . Si espandono poi le riflessioni ai
termini già ricordati di "autonomy, achievement, accountability", anche in relazione a
confronti con altri sistemi scolastici europei
Per quanto riguarda il tema del governo del sistema scolastico, andrebbe considerato che
il percorso di decentramento amministrativo, ormai decennale, "ha condotto le
Amministrazioni locali ad assumere, in materia di Istruzione, funzioni del tutto nuove" di
supporto e gestione del sistema scolastico. Nel contempo la "riforma del Ministero
dell'Istruzione ha superato la tradizionale articolazione a livello provinciale" e l'istituzione
degli Uffici Scolastici Regionali ha posto le condizioni per "una più razionale distribuzione
delle risorse e un'efficace interazione con le competenze delle Regioni".
La situazione della governance è ormai in pieno movimento anche per quello che
riguarda le Regioni e che in ultima analisi configura, "all'interno di un unico disegno
riformatore", un sistema scolastico ed interistituzionale fondato su una "efficace
interazione, basata sulla collaborazione e sull'integrazione dei rispettivi ambiti di
competenza" degli Istituti scolastici autonomi, delle Regioni, dei Comuni e delle Province
ed infine degli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali ancora collegati al Ministero . Va
tuttavia considerata in questo campo, come elemento fortemente ostativo ad una
autonomia efficace, anche l'annosa questione della rivisitazione degli Organi collegiali
della scuola, ancora previsti e funzionanti sulla base di scelte legislative ed organizzative
ormai logore e superate nel tempo .
La tematica della governance non è tuttavia risolvibile soltanto sul piano politico
istituzionale o sul piano dei rapporti amministrativi fra i vari enti ricordati. Taluni infatti
sottolineano l'importanza, per i problemi della scuola, di non riferirsi solo agli "spesso
allarmanti indicatori europei o nazionali sullo stato di salute del nostro sistema di
istruzione" ma altresì dalla necessità di partire "dal ruolo sociale effettivamente attribuito
alla scuola ed effettivamente percepito" dagli utenti e dall'opinione pubblica.
A questo riguardo emergerebbe "una diffusa consapevolezza e preoccupazione" verso i
contorni della "sfida educativa in gioco", nella quale, accanto al "riconoscimento del ruolo
dell'istruzione e della educazione" emergerebbero anche diffusi elementi di "critica verso
la preparazione dei docenti", una "implicita ammissione di inadeguatezza da parte delle
famiglie" accanto ad un interesse per "una comune, più larga assunzione di nuove
responsabilità educative e sociali" da parte di quanti, famiglie in primo luogo, avrebbero
interesse ad una scuola capace di dare i risultati attesi .
In questo quadro di concretezza verso i reali meccanismi di funzionamento della scuola
nei territori si apre la riflessione sulle altre parole chiave: autonomia, rendicontabilità e
successo formativo.
Da quest'ultimo punto di vista l' autonomia "è una sorta di parola magica nel mondo della
scuola, e non solo in Italia. Negli ultimi venticinque anni, in tempi e modi diversi, tutti i
sistemi scolastici d'Europa si sono convertiti ad essa. Ma il senso che nei diversi paesi si è
dato a questa scelta è stato molto diverso, così come diverso è stato il grado di coerenza
fra le scelte di principio e l'attuazione concreta che ne è stata fatta". Quello che sembra
differenziare il nostro paese dagli altri è il fatto che scelte che da noi sembrano "un salto
nel buio" siano correntemente vissute e gestite altrove, "non senza problemi, ma
sicuramente con molto minor timore e resistenza psicologica". Va poi considerato che
"autonomia si declina inscindibilmente con un'altra parola chiave: rendicontabilità", un
particolare atteggiamento attraverso il quale gli operatori scolastici dovrebbero soprattutto
considerare come loro referente in materia di positivi risultati "il cittadino in favore del
quale lavorano o la comunità locale che affida loro i propri figli". Ciò significa essere pronti
a "spiegare le scelte che vengono compiute nelle scuole autonome sotto forma di obiettivi
attesi e raggiunti" e non solo di programmi ministeriali svolti. Il terzo tema, quello del
"successo formativo", molto avvertito in tutti i paesi europei, riconduce poi alla "crescente
difficoltà nel portare tutti i propri giovani ai livelli di preparazione che il mondo del lavoro
richiede ai nostri giorni", ma va tuttavia compreso non come il mero raggiungimento di
obiettivi nazionali di istruzione, ma come il "compimento di un percorso, di un progetto",
così ponendo "l'accento sul successo formativo come sviluppo di un piano individuale di
crescita e di acquisizione di competenze" personali .
4. POF e Bilancio sociale
Come abbiamo già ricordato, la legislazione su cui si fondano le operazioni di gestione
della scuole autonome ha previsto uno specifico strumento di governo degli Istituti basato
sulla partecipazione di più componenti e sull'interazione con il territorio: il cosiddetto
P.O.F. (Piano dell'Offerta Formativa), "documento fondamentale costitutivo dell'identità
culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche", ormai entrato nella pratica corrente di
tutti gli Istituti scolastici.
Quello che va ora considerato è l'aumento dei rilievi critici su questo strumento da più
parti ormai giudicato, nell'ottica della finalità di ottimizzare i percorsi di governance,
autonomia, rendicontabilità e successo formativo, decisamente inadeguato. A questo
strumento si attribuiscono ora difetti di "ritualizzazione" nella sua compilazione, di
"autoreferenzialità" nei confronti del "ceto professionale" che lo elabora, di "interlocuzione
sociale" limitata ai soli "utenti primari (studenti e famiglie)" delle scuole. In aggiunta a ciò i
POF elaborati dalle istituzioni scolastiche finirebbero per essere strumenti di elencazioni
"onnicomprensive" di elementi appartenenti alle "generalità del far scuola", piuttosto che a
"scelte specifiche", legate a congrui, ben individuati e specifici percorsi operativi. In un
quadro più ampio, infine, nel POF "l'informazione finanziaria e contabile" risulterebbe
"spesso 'sganciata' da quella progettuale, dai suoi risultati e dai suoi effetti", ancor più
rendendo poco efficace tale strumento.
Emergono quindi proposte intese ad ovviare a queste difficoltà. Si tratterebbe di allargare
gli orizzonti di riferimento e di adottare altri strumenti di interazione e di "rendicontazione
sociale", meglio atti a fornire quella "dimensione 'multistakeholders" per la quale la scuola
dovrebbe produrre il servizio di istruzione e formazione per "il contesto sociale di
riferimento in tutte le sue articolazioni", e non solo per gli "interlocutori primari costituiti dai
giovani in età e dalle loro 'famiglie'". Non avremmo più quindi "una scuola che 'guarda'
esclusivamente ai suoi interlocutori immediati", ma una scuola che pensa "all'insieme dei
servizi che può e deve rendere al territorio", ovvero a "tutta la sua popolazione".
Si parla in questo contesto della necessità di una "'ricapitalizzazione pedagogica'
complessiva 'dell'impresa' scuola'", la quale dovrebbe avere come "prima ed essenziale
scelta quella di dilatare l'orizzonte dei servizi culturali e formativi che offre all'intera
cittadinanza". In questa prospettiva gli Istituti autonomi dovrebbero agire su tre direzioni:
verso l'Amministrazione Centrale, verso le Autonomie Locali e verso i cittadini
dell'insediamento territoriale specifico di appartenenza.
Lo strumento proposto per gestire questo nuovo approccio porta il nome di Bilancio
Sociale. Esso viene "tecnicamente" presentato come "uno strumento che consente di
verificare in termini di utilità sociale i risultati conseguiti da un' organizzazione". Dal
momento che l'utilizzo del bilancio sociale sarebbe "diventato sempre più frequente nelle
organizzazioni del terzo settore (ossia il settore no profit) nonché negli enti locali",
secondo taluni autori, ora "nulla osta" a che esso possa essere utilizzato "anche per le
istituzioni scolastiche". Non solo non se ne teme l'uso, ma addirittura l'adozione di questo
strumento rappresenterebbe una sorta di "rivoluzione copernicana nel modo di intendere
l'accountability" nelle scuole .
Chi propone questa strumentazione ne vede profonde implicazioni nei confronti delle
esigenze dell'autonomia scolastica e soprattutto di una più precisa valutazione del
"benessere esistenziale prodotto dalle istituzioni scolastiche", considerate istanza sociale
in cui avviene l'arricchimento del "capitale sociale" di una comunità, dato dall'insieme di
"relazioni e valori" che la "tengono unita, solidale ed operosa". Dato che "l'arricchimento
del capitale umano avviene soprattutto attraverso le agenzie formative", la scuola, che "ha
un'importanza fondamentale nello sviluppo delle educazioni alla cittadinanza e alla
solidarietà", dovrebbe appunto trovare nella gestione di un bilancio sociale un suo
specifico terreno d'impegno .
Nel contesto scolastico, poi, il bilancio sociale consentirebbe anche di "essere utilizzato
come strumento di governance organizzativa", in quanto correlabile e reso "congruo" nella
sua valutazione "alla vision e alla mission decisa dagli stakeholder" locali, le cui energie di
conseguenza meglio sarebbero inserite in un "coinvolgimento proattivo" e non "disperse
in una progettualità incoerente con le logiche di fondo dell'istituzione scolastica".
5. Una nuova organizzazione
Questa proposta al momento ha ancora caratteristiche di sperimentalità e di ricerca di
modalità specifiche nel suo riversamento nel mondo della scuola; importante ricordare che
la sua origine resta legata al mondo dell'impresa, a quello delle organizzazioni no-profit ed
a quella delle amministrazioni pubbliche, organizzazioni che forniscono ai cittadini od agli
utenti dei servizi sostanzialmente diversi da quelli d'istruzione e di educazione . Gli
"indicatori di performance" coi quali valutare i risultati sembrano ancora in gran parte da
definire . In merito a ciò, appare sempre più evidente che non viene tenuto nella dovuta
considerazione l'andamento concreto di trasformazione reale delle popolazioni scolastiche
nei territori, che rendono sempre più difficile il riferirsi ad una idea di comunità assunta in
termini unitari o generici .
Per quanto interessante, questa proposta non dovrebbe quindi innescare entusiasmi non
riflessivi. In effetti, la problematica più generale sottesa all'idea di bilancio sociale, ovvero
quella della rendicontazione sociale, sembra infine coprire spazi molto più ampi e
complessi, anche ripresi da altre esperienze internazionali . Ma è la proposizione per
esempi concreti di questo strumento che innesca forti perplessità, soprattutto se correlata
ad affermazioni molto forti quali l'indicazione per la scuola della necessità di una
rivisitazione dei "bisogni impliciti, espliciti, ed ignorati" da soddisfare, anche attraverso una
riconsiderazione "della vision e della mission" dell'organizzazione della scuola stessa .
La questione si pone allorché le esemplificazioni concrete a cui facevamo cenno
finiscono per richiamarsi, non già all'area dei curricoli (cuore della scuola, ancorché
obsoleta e di difficilissima riformabilità) ma a quella delle progettazioni per esigenze e
problematiche particolari. Per quanto si possano considerare importanti e da non ignorare
nei territori locali alcune questioni quali gli indici di vandalismo, l'esistenza di procedimenti
giudiziari a carico dei giovani, la diffusione del virus dell'Aids e la frequenza degli incidenti
in ciclomotore , resta la convinzione che se quello fosse il terreno d'esercizio del bilancio
sociale ci troveremmo di fronte ad una idea minimizzata ed incompleta di scuola. In merito
a ciò e con riferimento alle riflessività della Scienze dell'Educazione, non sembra dunque
condivisibile una concezione che parrebbe assimilare i processi educativi ed istruttivi
gestiti dalla scuola alle più generiche azioni realizzate nei loro settori di intervento dalle
organizzazioni sanitarie o di volontariato oppure più 'no-profit'. Non può essere davvero
considerato condivisibile l'assunto che sia il richiamo ad una generica "'cura' della
persona" l'elemento che realmente "caratterizza il 'core-service della scuola".
Sembra dunque purtroppo approfondirsi, senza le indispensabili cautele di riflessività
critica, una idea di sviluppo della scuola che nel volerla condurre a "riscoprire e valorizzare
il suo tessuto connettivo con le famiglie e con la comunità di appartenenza" e pur
dichiarando che la scuola resta "una comunità fondata sull'apprendimento e lo studio", di
fatto diminuisce progressivamente l'attenzione a quelle caratteristiche di fondo della
scuola che l'hanno resa indispensabile nello sviluppo delle società moderne .
SCHEDA TERZA: Angelo Luppi, Qualita’, efficacia ed attese sociali nella scuola, in
Ricerche Pedagogiche, aprile-giugno 2007, n. 163.
1. Le problematiche della qualità, dell’uguaglianza e dell’equità
Emerge con insistenza in questi ultimi tempi anche nel nostro paese una tematica
particolare, connessa alla riflessione sui fatti educativi e scolastici, che riguarda una
particolare modulazione di interesse e di ricerca sui concetti, sulle pratiche e sulle politiche
di uguaglianza e di equità nella scuola. A questa particolare questione hanno fatto
riferimento convegni ed un interesse pubblicistico crescente, centrato sull'interrogarsi sulla
"giustizia della scuola" e sulla considerazione che i "paradigmi dell’uguaglianza e della
qualità dell’istruzione", centrali nelle politiche e nelle ricerche scolastiche del secolo
scorso, sembrano ormai "essere diventati obsoleti" di fronte alle trasformazioni in corso.
Nuove esigenze politiche intese non solo a favorire lo sviluppo indifferenziato del capitale
umano disponibile, ma a "creare le condizioni di una evoluzione sociale sostenibile nel
tempo e di uno sviluppo democratico permanente", basato sull’articolazione degli impegni
culturali e professionali dei singoli soggetti, portano ora in campo il "tema dell’equità" .
Uguaglianza ed equità vengono così concettualmente distinte. L'idea di equità in sostanza
include in sé "certi tipi di eguaglianza ma distingue tra eguaglianze ed eguaglianze giuste
ed ingiuste, anche tenendo conto di altri criteri di valore, a cominciare da quelli di libertà e
di responsabilità" , che sottintendono e rinviano anche situazioni personali diversificate,
secondo i criteri della personalizzazione dei percorsi di crescita attualmente valorizzati in
campo educativo.
In realtà queste tematiche non sono nuove nel mondo della ricerca di scienza
dell’educazione. Equità, sotto la voce di giustizia, nella terminologia educativa da tempo
indica "la capacità dell’educatore di rispondere in maniera adeguata ai diritti ed ai bisogni
di ciascuno" . Uguaglianza, invece, "lungi dal sottolineare che tutti gli uomini sono identici"
sostiene che tutti indistintamente hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri e che pertanto
debbono essere messi in grado di poterli esercitare, affidando al processo educativo il
compito di lavorare per far sì che "a ciascuno possa essere data l’opportunità di costruire
e valorizzare la propria diversità" .
A queste differenziazioni del confronto fra uguaglianza ed equità si è "prestato finora poca
attenzione" , ma l’abbandono di una visione indifferenziata degli alunni in direzione di una
considerazione più individualizzata di ognuno di loro è comunque in atto da tempo. Anche
le considerazioni che l’attuale ministro della Pubblica Istruzione esponeva ai docenti
qualche tempo fa hanno simili accenti, dal momento che il "principio educativo della scuola
è dato dalla centralità del soggetto che apprende, con la sua individualità e con la rete di
relazioni che lo legano alla famiglia e ai diversi ambiti sociali, regionali ed etnici". Di
conseguenza è la "persona che apprende, la persona nella sua identità, con i suoi ritmi e
le sue peculiarità, ciò a cui la scuola deve sempre guardare…" Da questo punto di vista
appare infine quanto mai coerente quella definizione che individua come "equa una
situazione che assicura a ciascun individuo uguali possibilità, lasciando poi alla libertà
individuale di sfruttarle o meno" . In questo contesto (ed operando all’interno di un
discorso di variabilità di esiti scolastici) potremmo anche considerare come una
performance scolastica non sia che un "prodotto inestricabile di almeno quattro ordini di
fattori": il talento naturale dello studente, il suo livello di impegno, la dotazione di risorse
culturali a livello familiare, la dotazione di risorse a livello di scuola e di territorio
circostante .
2. Alcune direzioni d’indagine sulle funzioni della scuola
Appare quindi evidente come la tematica indicata finisca per confluire in una disamina
dell’insieme delle relazioni in cui si intrecciano le scelte individuali di ogni singolo studente
e le condizioni organizzative di funzionamento della scuola nei vari territori del paese. Di
uguaglianza e di equità si parla nell'intento di "illustrare la svolta" concettuale e per
"delineare le analisi che andrebbero condotte per far sì che la scuola resti una istituzione
di interesse generale", riproponendosi anche di precisare i temi di ordine politico necessari
per adottare riforme della scuola "concepite con l’obiettivo di realizzare una miglior
distribuzione delle conoscenze, di resistere alla privatizzazione in corso del sapere e di
concorre alla riproduzione di una società giusta, nella quale la vita vissuta abbia ancora
senso per tutti e non solo per una minoranza di privilegiati" .
Certamente l’assunto è ambizioso, giustificato e necessario, ma non appaiono pienamente
convincenti le argomentazioni che lo sorreggono, in quanto sostanzialmente appoggiate
su elementi di tipo tecnico. Gli aspetti delle problematiche afferenti alle questioni indicate
sono interessanti e ampi, ma valore di novità di ricerche che compiono i primi passi in una
direzione finora trascurata non riesce purtroppo a raggiungere quegli spessori ideali e
politici tali da spingere decisamente al cambiamento desiderato. Veramente, trattandosi di
'ricerca' e non di 'politica' sarebbe velleitario attendersi immediati esiti trasformativi.
L’assunto già ricordato dell’equità che rendendosi concettualmente più sottile
dell’eguaglianza, riesce ad includere in politiche rivolte a tutti anche l’idea dell’impegno e
della valorizzazione personale, resta forse l’unico forte elemento non tecnico fornito.
Comunque importante ma non esaustivo e sufficiente, soprattutto se espressamente si
dichiara che il "confronto dei risultati per determinare se esiste un sistema scolastico più
giusto e più equo di un altro è una impresa piena di insidie, perché i dati a disposizione dei
ricercatori per certi versi devono essere presi con cautela, per altri non sono che
estrapolazioni od approssimazioni di dati imprecisi e carenti" . A questo riguardo gioca
anche importante ruolo la considerazione che l’ampio "margine di interpretazione
dell’autonomia a livello di istituto scolastico" aggiunge una indeterminatezza da indagare
ancora più a fondo nella tematica in oggetto .
Quest’elemento della localizzazione del contesto di studio e ricerca in realtà emerge
anche altrove. Pur rifacendosi a procedure diverse fra paese e paese in Europa, altri
ricercatori sostengono che alcune tendenze di fondo caratterizzerebbero ormai i sistemi
educativi "nei modi con cui si realizza la valutazione della qualità dell’istruzione". Ed
appunto una di queste tendenze di fondo riguarderebbe il "soggetto valutato che ormai
quasi per tutti coincide con l’Istituzione scolastica", destinataria di diffusi processi di
decentramento di funzioni educative . In questo caso, tuttavia, molto si insiste sulla
distinzione fra valutazione esterna, che può essere effettuata sia a livello locale, che
regionale o nazionale, ma che assume come caratteristica essenziale il fatto di essere
"condotta da soggetti non direttamente coinvolti nelle attività scolastiche" e la valutazione
interna, "forma di autovalutazione in rapida crescita nell’Unione Europea" che vede
coinvolti in essa "tutti gli operatori della scuola" . Assai importante, a questo punto, appare
tuttavia la considerazione, esposta ai margini di un’analisi del programma di ricerca PISA,
del rischio che portano con sé quelle iniziative di ricerca che non vedono "alcun
coinvolgimento diretto della scuola né nella fase della elaborazione scientifica né in quella
dell’elaborazione delle prove". Molteplici ed importanti ragioni, quali il basarsi su prove di
sicura utilità pedagogica e didattica, la possibilità di fare nei contesti analisi convincenti ed
interpretazioni corrette dei risultati ed un controllo più ravvicinato della esecuzione delle
prove, indurrebbero invece, pur con tutte le cautele del caso, ad introdurre "la
partecipazione delle scuole e degli insegnanti" a queste operazioni di ricerca .
3. Modelli di scuola
La riflessione finora svolta, certamente non esaustiva per tipologia ed occasioni di ricerca
evidenziate, potrebbe estendersi alle procedure valutative che innescano per le scuole
premi o sanzioni di una qualche natura, ("immagine e reputazione, finanziamenti, benefit
monetari"), oppure a quella basate sulla ricerca del "valore aggiunto" fornito dalla scuola
rispetto a quei fattori che esulano dal controllo della scuola stessa, ("abilità innate,
famiglia, contesto ed altre caratteristiche degli studenti"). Ma a questo punto occorrerebbe
interrogarsi a fondo se alla fine tutte queste procedure, ancorché utili per l’insieme dei dati
sul funzionamento scolastico che possono produrre, non siano troppo facilmente
strumentalizzabili verso uno "schema di puro mercato che non si concilia con la natura del
servizio educativo". Infatti, tanto le valutazioni esterne, realizzate da agenzie statali o da
authority specializzate che forniscono elementi alle agende politiche del momento quanto
le pratiche di autovalutazione, internamente gestite allo scopo di "conseguire un
vantaggio competitivo" rispetto alle scuole concorrenti , infine sembrano distorcere ed
orientare la scuola verso modelli di funzionamento ancora da valutare e validare in pieno.
Non è infatti scontato che la scuola debba davvero essere "costretta a diventare una
impresa fra le tante imprese" e che debba necessariamente "dare buon conto di sé" solo
"rinnegando il valore più profondo della sua stessa esistenza, quel valore della 'riflessione
pedagogica' che trova nella promozione dei processi di apprendimento dei giovani il suo
senso più alto" .
Peraltro sembra anche che la scuola stia attraversando un periodo, lungo e tormentato in
cui i processi di trasformazione che attraversano tutte le società industriali avanzate
nonché le riforme iniziate, contraddette, rifiutate e poi ripresentate, appaiono aver
indebolito il credito che la scuola riceve dai cittadini. Anche a livello locale si rilevano quei
"deficit di accountability" (difficoltà nella esplicitazione concreta delle finalità, mancanza di
trasparenza dell’azione e dei risultati raggiunti, inadeguata comunicazione verso l’esterno)
che talora sembrano addirittura mettere in discussione l’utilità sociale della scuola . Al fine
di migliorare l’immagine della scuola, emergono allora tutta una serie di ricerche ed
esperienze sempre più rivolte ad articolarla nei territori. Importanti ed interessanti, ad
esempio, le iniziative connesse alla predisposizione del 'Bilancio sociale' , anche se
crediamo tuttavia che la portata generale dei fenomeni di difficoltà della scuola in atto sia
molto più ampia e non risolvibile in sede locale.
A questo punto però diviene inevitabile tornare a definire o meglio a difendere una chiara
e coerente idea di scuola, senza della quale l’indeterminatezza del contesto di riferimento
(un rigoroso concetto di scuola) renderebbe inevitabilmente confusa anche ogni lodevole
riflessione. Da questo punto di vista le tensioni e le opinioni ormai si diffondono e si
stratificano negli addetti ai lavori e nell’opinione pubblica in modo massiccio. Si passa
ormai da sfiduciate opinioni, "l’autonomia scolastica è stata un fallimento" ad asserzioni
perentorie, ma non per questo indiscutibili, quali la seguente, "uno dei compiti
fondamentali della scuola è quello di produrre dei beni relazionali" .
Appare dunque giunto il tempo di mettere un poco di ordine in questa divaricante serie di
affermazioni con riflessioni più pertinenti all'idea stessa di 'scuola'. "Non si può quindi non
ricordare ancora che la scuola è l'istituzione sociale cui è demandata l'educazione dei
giovani attraverso il sistematico insegnamento e apprendimento di precisi contenuti
disciplinari". Di conseguenza "l'organizzazione sistematica degli interventi per affinare le
capacità intellettuali dell'individuo" struttura "il processo di apprendimento" e rende la
scuola "la centrale operativa del sistema formativo, ossia il principale luogo di
rielaborazione sistematica della cultura presente ai fini di un costante miglioramento della
qualità della vita individuale e collettiva".
4. I saperi e le persone
Da questo punto di vista, quindi, la questione dei saperi scolastici appare determinante ed
è in questo settore che sono stati marcati forti ritardi ed accumulati nel tempo numerosi
problemi irrisolti. Sembra comunque essere in atto in questi ultimi tempi un lavoro di
adeguamento e di precisazione dei saperi scolastici, ovvero dei curricoli che una scuola
rinnovata dovrebbe fornire. Le nuove articolazioni dei curricoli nazionali, ai sensi dell'art. 8
del Dpr. 275 del 1999, dovrebbero emergere da un dichiarato "forte impegno" di giungere
alla revisione delle attuali Indicazioni Nazionali, promesso dal ministro della Pubblica
Istruzione nelle sue ufficiali dichiarazioni . Ed in realtà una operazione di riforma di questi
strumenti di lavoro scolastici sembrerebbe davvero in atto nella direzione di predisporre
"programmi leggeri, con pochi saperi e competenze essenziali". Si tratterebbe di superare
una "parcellizzazione delle materie", faticosa e dispersiva per i ragazzi ed una
"sovrabbondanza di adempimenti burocratici che schiaccia gli insegnanti". Questi ultimi
dovrebbero aver chiare le "competenze di base e poi essere liberi di muoversi tenendo
conto del tipo di alunni che hanno" puntando essenzialmente a far acquisire un metodo di
studio, per valorizzare il concetto che "dietro ad ogni nozione c'è un mondo", il quale ad un
tempo ha caratteristiche di tipo "culturale, storico e geografico". Quindi saperi "uguali per
tutti", senza timore di affidarsi poi agli insegnanti, nella convinzione che la "scuola reale è
spesso migliore di quella che può uscire dal pensatoio di una commissione" .
In sede di esame più approfondito sugli esiti di questo lavorio, quando ufficialmente noti,
andrà poi condotta anche una riflessione sulla frammentazione delle direzioni di lavoro
scolastico indotte dal sempre più pressante rapporto con il territorio. Al momento, tuttavia,
potremmo comunque ricordare che queste affermazioni appaiono, oltre che condivisibili,
quanto mai singolari dal momento che rimandano quasi un decennio dopo ad altre
analoghe proposte, già fortemente contrastate. Una 'Commissione di saggi', presieduta dal
Prof. Maragliano, nel suo rapporto finale dichiarava infatti che l'istruzione non poteva e
non doveva "mirare ad essere enciclopedica", dal momento che "sezioni diverse del
sistema scolastico hanno livelli e scopi diversi, ma in ognuno di esse la regola dovrebbe
essere l'insegnamento di alcune cose bene e a fondo, non molte cose male e
superficialmente". Con il coraggio di "scegliere e di concentrarsi" sull'indicazione di
"traguardi irrinunciabili e una serie succinta di tematiche portanti" andava infine realizzato
"un forte alleggerimento dei contenuti disciplinari". Tutta questa operazione di
rielaborazione degli assi portanti del sapere scolastico avrebbe dovuto poi comportare
anche "un forte investimento negli insegnanti: nel gusto per l'insegnamento, nel senso
morale, nel piacere che viene dal far conoscere, far discutere, far costruire sapere" .
Le cronache di vita della scuola ricordano una fortissima opposizione, tanto nelle scuole
quanto nei centri di ricerca accademici e disciplinari in merito a queste proposte, poi
franate nel declino dell'esperienza di politica scolastica dell'allora ministro Berlinguer. Si
vedrà ora l'esito di questo nuovo tentativo, soprattutto nel momento in cui dovesse
transitare dalla scuola primaria, sempre oggetto per la competenza didattica e l'elasticità
professionale dei suoi addetti, dei primi tentativi di riforma del sistema, alle scuole
secondarie di primo e soprattutto di secondo grado, vero zoccolo duro della non
riformabilità del sistema scolastico italiano. Peraltro va ricordato che la discussione che
contrappone i programmi densi e corposi a quelli semplificati è aperta anche a livello
internazionale, a partire dagli Stati Uniti ove la ricerca di soluzioni capaci di riportare nel
sistema istruttivo la formazione di competenze di studio personali in luogo del sovrapporsi
di nozioni, ormai disponibili anche per altre vie, riporta proposte anche di numerose
associazioni professionali . Quest'ultima serie di considerazioni riporta all'idea di una
scuola vista come "parte fondamentale per la crescita e il miglioramento di una comunità"
e che di conseguenza si rivolge a tutti, "dando tutto a tutti". Questa affermazione, che
corrisponde ad un concetto di scuola, ormai positivamente presente da tempo nella
pubblicistica di ricerca scolastica, richiama espressamente alle tematiche dell'uguaglianza
e dell'equità affrontate all'inizio di questo scritto.
La questione di fondo che si apre ora è riferita alla tipologia ed alle esigenze della
popolazione scolastica che in questi ultimi tempi affolla le scuole nei vari gradi del sistema
scolastico generale. Laddove un tempo una eventuale riflessione sull'eguaglianza e
sull'equità avrebbe riguardato soltanto le problematiche dell'accesso ai quadri culturali
messi a disposizione dalla scuola, oggi il rapporto con la popolazione scolastica reale è
divenuto assai più complesso ed articolato. Non già solo di difficile accesso ai saperi si
parla, ma più in generale di "inclusione" e di "fragilità" a carico di alcune componenti
specifiche della popolazione giovanile del nostro paese, ivi compresa quella di recente e
non governata immigrazione. Giustamente, io credo, va condivisa l'idea che lo "sviluppo
civile della società esige che nessuno sia emarginato e lasciato solo" e che questo
impegno la scuola lo debba perseguire "nei confronti di tutti" e con "una particolare
attenzione per i soggetti più deboli e fragili". Meno condivisibile, comunque, il voler poi
mettere in tensione l'attenzione per un "concetto di eccellenza" con altre attese,
("eccellente è una scuola che si preoccupa in modo speciale di chi rischia l’esclusione e la
marginalizzazione"), come se necessariamente queste due direzioni di lavoro dovessero
essere antagoniste . Ma la vera questione, sempre più difficile da gestire, viene ora ad
essere non tanto l'emergere sempre più netto dei vissuti personali nella scuola, quanto
una loro esponenziale e non governata diffusione . Sembra quasi che la gestione della
gerarchia dei bisogni di Maslow , un tempo appoggiata sulla famiglia e sul contesto sociale
più allargato, ora debba essere assunta in toto dalla scuola, come se veramente "la scuola
e solo la scuola" dovesse restare "il luogo unico dell’inclusione e dell’integrazione di tutti".
Si tratterebbe chiaramente di una conclusione paradossale, ma che, in realtà, negata in
ordine di principio, sembra rispuntare nelle scuole come richiesta di fatto di numerose
famiglie o stakeholder locali.
Ciò significa che resta ancora indispensabile correlare ad un sicuro concetto di scuola,
quale quello richiamato , tanto le operazioni di ricerca sulle ricordate tematiche
dell'uguaglianza e dell'equità quanto le operazioni di ridefinizione dei saperi o degli assetti
organizzativi del sistema scolastico e soprattutto la determinazione del ruolo che nella
scuola debbono avere le nuove popolazioni scolastiche.