IL CIBO NELLE OPERE DI VERDI Il padre di Giuseppe Verdi era proprietario di una piccola osteria a Roncole di Busseto in cui si vendevano vino, liquori, caffè, zucchero e altri generi alimentari: da qui probabilmente derivò l'amore e l'attenzione che il grande compositore dimostrò sempre nei confronti della terra e dei suoi prodotti. Nel 1851 Verdi si trasferisce nella grande villa di S. Agata (acquistata nel 1848 e poi ristrutturata) dove riceve gli amici più cari, amministra le sue proprietà, guida i suoi fattori e, soprattutto, scrive la sua splendida musica: Trovatore, Traviata, La forza del destino, Don Carlos, Aida fino all’ultimo capolavoro, Falstaff. E' a S.Agata che Verdi inizia ad interessarsi attivamente alla produzione agricola dei propri terreni e all'allevamento del bestiame: dalle cronache sappiamo che era solito alzarsi al sorgere del sole per sovrintendere ai lavori della sua tenuta, dove si allevavano cavalli, vacche, montoni e che, anche da lontano, si premurava di scrivere al proprio fattore per discutere nel dettaglio come provvedere al rifacimento dei canali di irrigazione. Non può dunque stupire il fatto che le opere di Verdi abbiano ospitato spesso e volentieri scene legate al cibo e al vino. E non si deve dimenticare che cibo e vino, consumati nei palchi nell’800, accompagnavano le rappresentazioni operistiche. Locande, osterie, banchetti privati e brindisi abbondano nei libretti verdiani: a volte sono semplice ambientazione, altre volte (come nel Falstaff) luoghi fondamentali dai quali prende avvio l’azione. La Traviata comincia intorno a una tavola imbandita; il tempo di qualche chiacchiera e scatta “Libiamo ne’ lieti calici”. Otello comincia in una taverna: dopo poche battute parte un brindisi per festeggiare il ritorno del protagonista. In un’atmosfera conviviale prende avvio Rigoletto ed è durante un banchetto che l’ombra di Banco appare a Macbeth, nel secondo atto. Con un brindisi cominciano i Vespri siciliani e non sarebbe possibile pensare a Falstaff senza l’Osteria della Giarrettiera (che non a caso compare all’inizio di tutti e tre gli atti dell’opera). IL RISOTTO DI GIUSEPPE VERDI Giuseppe Verdi non è stato solo un grande musicista ma anche un raffinato gastronomo. Così lo descriveva il commediografo e librettista Giuseppe Giacosa nel 1889, suo intimo amico: “Il Verdi non è goloso, ma raffinato; la sua tavola è veramente amichevole, cioè magnifica e sapiente: la cucina di Sant’Agata (la tenuta di Villanova sull’Arda, oggi villa Verdi, la casa più amata, ndr) meriterebbe l’onore delle scene, tanto è pittoresca nella sua grandezza e varia nel suo aspetto di officina d’alta alchimia pantagruelica. Il Verdi non è gran mangiatore, né di difficile contentatura”. Amava procurarsi personalmente gli alimenti, girando per le tenute attorno a caricature verdi con grembiuleSant’Agata, e si metteva sovente ai fornelli, tanto che c’è una caricatura di Melchiorre Delfico che ritrae il Maestro a Napoli con un grembiule da cucina che tiene in mano una casseruola fumante, non si è mai saputo se contenente maccheroni o il “suo” risotto allo zafferano. Eh si, perché, per il compositore della Traviata, nelle grandi occasioni un buon risotto non poteva mancare tanto che nel settembre 1896 la moglie Giuseppina Strepponi fu “costretta” a trasmettere la ricetta del risotto “alla Verdi” niente di meno che all’impresario dell’Opèra di Parigi Camille Du Locle, raccomandando attenzione alla giusta dose di Parmigiano reggiano, “tre buone manate”, che il Maestro considerava l’ingrediente che dava il tocco in più al risotto. Poesia, idealismo, tutto va bene…ma non si può far a meno di mangiare! P.S:domani vi scriverò forse di cose più alte, più poetiche… ma forse ben inutili” [Giuseppe Verdi a Ricordi] Giuseppe Verdi ha vissuto a cavallo tra due mondi: quello musicale e quello rurale, apparentemente lontani ma che sembrano, grazie all’opera del grande Maestro, trovare una complicità inaspettata e un’ispirazione reciproca. Verdi fu di fatto un abile imprenditore agricolo e utilizzò molti dei suoi guadagni per acquistare ampi fondi e terreni nel territorio nativo, tra le province di Parma e Piacenza. Spesso decise anche di dirigere in prima persona e in modo innovativo i propri fondi. In una lettera che Giuseppina Strepponi inviata all’editore francese del Maestro, Léon Escudier, raccontava: “Il suo amore per la campagna è diventato mania, follia, rabbia, furore, tutto ciò che voi volete di più esagerato. Si alza quasi allo spuntar del giorno per andare ad esaminare il grano, il mais, la vigna. Rientra rotto di fatica.” Il suo rapporto appassionato con le tradizioni e i luoghi si estende anche alla cultura culinaria del posto. “Il rapporto appassionato del Maestro con la gastronomia e con i prodotti della sua terra – intesa come suolo natio, luogo di residenza e come possedimenti terrieri – consente di addentrarsi in un complesso mondo di significati storici, simbolici e sociali in quanto il cibo riguarda temi come l’appartenenza, l’identità, la cultura ed equivale ad una riscoperta della tradizione”. (Ilaria Dioli) Corrado Mingardi scrive: “La ricchezza di Verdi, il quale ha le radici familiari nella civiltà contadina, nei suoi valori di positività e tradizione, fu soprattutto rappresentata dal possesso terriero (“E’ impossibile trovare località più brutta di questa, ma d’altronde è impossibile che io trovi per me ove vivere con maggiore libertà” confessò il Maestro nel 1858). Verdi è un artista e come tale considera,e con ragione,il pranzo quale opera d’arte." La passione di Giuseppe Verdi per la cucina e la buona tavola trae origine dalla sua terra natia, l’Emilia e, più in particolare, la pianura piacentina e parmense. Terre ricche e generose che oggi sono rinomate per alcuni dei più apprezzati prodotti gastronomici d’Italia, celebri anch’essi, come il Maestro, anche fuori i confini nazionali. Giuseppe Verdi era un vero e proprio cultore di questa ricchezza, fatta sia di piatti semplici e prodotti della terra sia di preparazioni artigianali ricercate. A testimonianza dell’interesse che il Maestro aveva per la buona tavola, le tante lettere scritte da lui stesso e dalla sua compagna di vita, Giuseppina Strepponi, che riportavano suggerimenti, ricette e aneddoti di cucina. Come un vero e proprio ambasciatore dei valori della sua terra, Verdi inviava abitualmente da Villa Agata ai suoi amici prodotti di salumeria e formaggi. Nelle sue residenze organizzava pranzi conviviali dove i prodotti tipici emiliani e la cucina genuina non mancavano mai. Preferiva, infatti, le sue ricette semplici e tradizionali ai sontuosi piatti serviti nei famosi ristoranti che per motivi di lavoro spesso doveva frequentare.