Interferenti endocrini ARPA Rivista N. 1 gennaio-febbraio 2009 Interferenti tiroidei: dallo iodio alle molecole di sintesi La tiroide, ghiandola endocrina fortemente influenzata dall’ambiente esterno, rappresenta il bersaglio di numerose sostanze interferenti. Non si tratta solo di elementi naturali come lo iodio, ma anche di molecole di sintesi come i policlorobifenili, le diossine, gli ftalati; queste sostanze sono fonti di rischio soprattutto nelle fasi più vulnerabili della vita quali la gravidanza e l’infanzia. Agiscono attraverso meccanismi che possono alterare il metabolismo e il trasporto degli ormoni tiroidei, o in alternativa sostituendoli a livello di recettori influenzando l’espressione dei geni da questi regolati. 40 Gli esseri umani sono continuamente esposti a un ampio numero di sostanze chimiche di sintesi in grado di interferire con il sistema endocrino. Anche la tiroide rappresenta il bersaglio di numerosi interferenti endocrini, dal momento che la sua attività secretoria è fortemente influenzata dall’ambiente esterno. È importante ricordare infatti, che il più potente interferente tiroideo è rappresentato dallo iodio, microelemento che rappresenta il costituente fondamentale degli ormoni tiroidei, la triiodotironina (T3) e la tiroxina (T4). La carenza nutrizionale di iodio compromette la funzione tiroidea e si traduce in quadri morbosi le cui manifestazioni variano in funzione del periodo della vita interessato da questo deficit. Tuttavia, i numerosi studi condotti finora su modelli sperimentali hanno evidenziato che, oltre allo iodio, numerosissime sono le sostanze chimiche di sintesi in grado di interferire con la normale fun- zione tiroidea. Queste possono agire attraverso meccanismi d’azione che possono alterare la sintesi, il metabolismo e il trasporto degli ormoni tiroidei, o possono sostituirsi a questi a livello recettoriale influenzando in tal modo l’espressione dei geni che normalmente vengono regolati dalla T3, l’ormone biologicamente attivo. Sebbene nell’adulto la tiroide sia in grado di compensare una moderata o lieve azione interferente attraverso l’iperplasia e il gozzo, nell’organismo in evoluzione la tiroide non ha eguale capacità di compensare l’effetto di insulti esterni. Essa, quindi, rimane fortemente dipendente dall’ambiente materno per ciò che riguarda il trasferimento di ormoni tiroidei, di iodio, e di eventuali sostanze chimiche di sintesi. A tal proposito val la pena di ricordare che i recettori per gli ormoni tiroidei sono presenti sui tessuti fetali prima ancora che la tiroide fetale cominci ad avere una propria attività secretoria. Ciò significa che soltanto una condizione di eutiroidismo materno, durante le prime fasi della gravidanza, e di eutiroidismo del bambino, nei primi anni di vita, potranno garantire un adeguato sviluppo neurocognitivo, visto il ruolo fondamentale che gli ormoni tiroidei svolgono nello sviluppo del sistema nervoso centrale. Pertanto, il fatto che numerosi di questi agenti chimici siano in grado di oltrepassare la placenta e che vengano escreti nel latte materno suggerisce l’elevata pericolosità di esposizioni in utero o durante la prima infanzia, date le conseguenze irreversibili che possono determinare. A titolo di esempio, tra gli interferenti tiroidei in grado di oltrepassare la placenta vi sono i policlorobifenili (PCB) e le diossine, sostanze la cui esposizione in utero è stata dimostrata essere associata ad alterata funzione tiroidea nelle madri e nei neonati esposti; gli ftalati, sostanze ubi- quitarie utilizzate per rendere la plastica più flessibile e per le quali solo di recente è stata accertata la capacità di interferire con la funzione tiroidea; vi sono poi alcune classi di insetticidi e fungicidi, quali gli organofosforici e gli etilenbis-ditio-carbamati, per i quali recenti studi condotti su modelli in vivo con esposizioni durante fasi critiche dello sviluppo hanno evidenziato effetti tireostatici sia in epoca neonatale che in età adulta. È importante sottolineare che, nonostante a oggi siano stati identificati numerosissimi interferenti tiroidei e molti meccanismi d’azione siano stati individuati, le informazioni attualmente disponibili sugli effetti dovuti all’esposizione a tali sostanze derivano prevalentemente da studi su modelli sperimentali che prevedono esposizioni ad alte dosi, o da studi sull’uomo condotti quasi esclusivamente su soggetti professionalmente e, quindi, massicciamente esposti. Pertanto, attualmente risulta ancora insufficiente la conoscenza relativa al rischio per la salute umana derivante da esposizioni croniche alimentari e/o ambientali a interferenti tiroidei che, seppur a più basse dosi, possono rappresentare una fonte di rischio soprattutto in fasi della vita particolarmente vulnerabili, quali la gravidanza e l’infanzia. Ed è proprio in questo senso che la ricerca, attraverso un approccio multidisciplinare, dovrà orientare i suoi sforzi con l’obiettivo di prevenire le patologie conseguenti a tali esposizioni. A nto nella Olivieri Dipartimento di Biologia cellulare e neuroscienze Istituto superiore di sanità