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Realizzato da: T. Bori - F. Allegrucci - G. Caironi
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Questo utile compendio è stato reso possibile dal lavoro costante e faticoso di quattro studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Perugia, per ottenere un
risultato soddisfacente abbiamo confrontato gli appunti delle lezioni, le spiegazioni del libro
Anatomia Umana e le schede presenti su HackMed.
Abbiamo fatto del nostro meglio, ma qualche svista può esserci comunque, scusateci. Ad ogn
modo è importante ricordare che questi sunti sono un valido strumento, ma da soli non bastano, è assolutamente necessario consultare l’Atlante di Anatomia sia Macroscopica che Microscopica.
Crediamo nella libera diffusione del sapere, ma vi chiediamo in cambio del nostro lavoro un
piccolo favore, non per noi, ma per un'associazione italiana indipendente, neutrale e apartitica, nata per offrire assistenza medico-chirurgica gratuita e di elevata qualità alle vittime civili
delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà: EMERGENCY.
Emergency promuove una cultura di solidarietà, di pace e di rispetto dei diritti umani. L'impegno umanitario di Emergency è possibile grazie al contribuito di migliaia di volontari e di sostenitori.
Quindi chiediamo a chi sta leggendo queste righe di visitare il sito WWW.EMERGENCY.IT
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informarsi, di comprendere la vera essenza di EMERGENCY e di partecipare, anche solo con
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Ogni tipo di guadagno derivante dalla diffusione e dalla riproduzione in fotocopia di questo
opuscolo sarà devoluto ad Emergency. Se lo avete ottenuto scaricandolo da uno dei siti delle
associazioni, da un vostro amico che ve lo ha passato o fotocopiandolo vi preghiamo almeno
di andare a vedere come lavora EMERGENCY visitando il sito web e, magari, di sostenerla in
qualche modo.
Se anche un solo studente comprenderà, non solo i numeri e le immagini che ci vengono mostrati, ma ciò che significa veramente la guerra per chi la subisce tutti i giorni in tutto il mondo, allora noi ci sentiremo più che appagati.
Grazie.
Tommaso Bori
Filippo Allegrucci
Giulia Caironi
LIMITI
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TRONCO:
- MEDIASTINO: Lateralmente dalle pleure polmonari, in avanti
dallo sterno e piccola parte delle cartilagini costali, in
basso dal diaframma, posteriormente dalla colonna
vertebrale, superiormente è in diretta comunicazione
con lo spazio viscerale del collo, ma si pone come limite un piano immaginario che poggia sul giugulo e sulla
prima coppia di coste.
- TORACE: -> Collo: Segnato anteriormente dalle due clavicole e dall’incisura giugulare, ovvero il margine superiore dello sterno. Posteriormente è convenzionalmente
stabilito parallelo a C7.
-> Arto Superiore: Segue la linea segnata in avanti
dall’emiclaveare, in dietro dal margine vertebrale della
scapola, in alto dal margine posteriore della metà esterna della clavicola e dal margine superiore della spina della scapola, in basso si considera una linea orizzontale che unisce i margini laterali dei muscoli grande
dorsale e grande pettorale.
-> Addome: Dato dalla linea basisternale che passa
per la giunzione xifosternale, arriva fino alla linea ascellare anteriore, prosegue lateralmente per incontrare la 12^ costa e orizzontalmente lungo questa.
- ADDOME: -> Torace: Dato dalla linea basisternale che passa per la giunzione xifosternale, arriva fino alla linea
ascellare anteriore, prosegue lateralmente per incontrare la 12^ costa e orizzontalmente lungo questa.
-> Pelvi: Anteriormente corrisponde ad un breve segmento orizzontale che unisce i due tubercoli pubici, posteriormente corrisponde ad una linea che passa per
l’articolazione lombosacrale.
-> Arto Inferiore: Corrisponde in avanti a una linea
che unisce la spina iliaca anteriore superiore al tubercolo pubico ed è segnato superficialmente dalla piega
inguinale, lateralmente e posteriormente dalla cresta
iliaca.
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MEDIASTINO
Comincia alla 1^ costa, termina con il processo xifoideo, si differenzia tra superiore e inferiore
alla linea tra T4 e l’angolo sternale. Si divide in mediastino superiore ed inferiore, il secondo è
ulteriormente diviso in anteriore, davanti al cuore, posteriore, dietro al cuore, e intermedio, a
livello del cuore. È particolarmente importante per la presenza di numerosi organi e formazioni
anatomiche che non lasciano alcuno spazio vuoto per via del tessuto adiposo e per la sua
funzione regolatrice della pressione interna della cavità toracica.
Il mediastino contiene:
aorta discendente o toracica
aorta ascendete o bulbo
arco dell’aorta
arteria anonima
arteria bronchiale di destra e di sinistra
arteria carotide comune di sinistra
arteria intercostale suprema
arteria polmonare di destra e di sinistra
arteria succlavia di sinistra
arteria toracica o mammaria interna
arterie coronarie
arterie esofagee medie
arterie freniche superiori
bronchi principali
catena dei gangli ortosimpatici di destra e di sinistra
cuore
dotto toracico
esofago
linfonodi mediastinici
nervo frenico di destra e di sinistra
nervo ricorrente vagale di sinistra o laringeo inferiore
nervo vago di destra e di sinistra
origine dei grossi vasi
origine delle arterie intercostali anteriori
origine delle arterie intercostali posteriori (ultime 10 coppie)
sistema venoso azygos ed emiazygos
timo
trachea
vena brachiocefalica o anonima di destra e di sinistra
vena bronchiale di destra e di sinistra
vena cava inferiore e superiore
vene esofagee medie
vene polmonari di destra e di sinistra
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NOME: Cuore, derivazione dal latino “ vibrare”
POSIZIONE: Non è centrato sul piano di simmetria ma è a sinistra per 2/3 del suo volume a
destra per 1/3. In avanti è racchiuso dalla parete anteriore del torace con sterno e cartilagini
costali che vanno dalla 3^ alla 6^. Riposa con la faccia postero inferiore sulla cupola
diaframmatica. Superiormente continua con il peduncolo cardiaco formato dai grossi vasi che
sono, da destra verso sinistra, la vena cava superiore, l’aorta ascendente, il tronco arterioso
polmonare. Il cuore è contenuto nel pericardio, un sacco fibrosieroso che lo isola e lo fissa al
diaframma, rivestendo in alto anche il primo tratto dei grossi vasi. In dietro il pericardio
insieme all’esofago, la vena azygos, i nervi vaghi e l’aorta discendente separa il cuore da T5 a
T8, queste sono denominate vertebre cardiache del Giacomini.
CARATTERISTICHE: Organo centrale dell’apparato circolatorio situato tra i due polmoni nella
cavità toracica in una loggia denominata mediastino. Ha forma di cono tronco appiattito in
senso anteroposteriore con la base rivolta in alto, in dietro e a destra, l’apice è situato in
avanti, in basso e a sinistra. L’asse maggiore è obliquo e va da dietro in avanti, dall’alto in
basso, da destra a sinistra.
Configurazione esterna: Sulla superficie cardiaca vi sono quattro solchi :
- SOLCO ATRIOVENTRICOLARE o CORONARIO : A decorso trasversale e separa la
porzione posterosuperiore o atriale dalla porzione anteroinferiore o ventricolare. È
visibile su tutta la faccia diaframmatica mentre è nascosto in parte dalle origini del
tronco polmonare e aortico sulla faccia anteriore.
- SOLCO INTERATRIALE: A decorso longitudinale esteso dal solco coronario alla cupola
atriale, separa, sulla faccia diaframmatica e sulla base del cuore, l’atrio destro da quello
sinistro
- SOLCO LONGITUDINALE ANTERIORE e POSTERIORE o SOLCHI INTERVENTRICOLARI
:
Estesi dal solco coronario all’apice del cuore, segnano sulla faccia sternocostale e
diaframmatica il limite tra i due ventricoli.
L’anteriore trae inizio in alto dal solco coronario, immediatamente a sinistra dell’origine
del tronco polmonare, discende verso l’apice in prossimità del margine ottuso e
raggiunge in basso il margine acuto subito a destra della punta del cuore. Nel superare
il margine acuto, per congiungersi con il solco posteriore, determina una depressione
detta incisura dell’apice del cuore. Il solco longitudinale anteriore corrisponde al setto
interventricolare che divide la parte ventricolare in area destra di 2/3 e corrispondente
al ventricolo destro, l’area sinistra più ristretta, che corrisponde alla striscia allungata
presa tra il solco longitudinale e il margine ottuso del cuore, rappresenta il ventricolo
sinistro.
Il posteriore trae inizio dal solco coronario e si porta fino all’incisura dell’apice del cuore.
Tale solco, decorrendo più prossimo al margine acuto del cuore, divide la parte
ventricolare in due aree ineguali: l’area di destra, questa volta meno estesa e
corrisponde al ventricolo destro, l’area di sinistra, più ampia al contrario del solco
longitudinale anteriore e corrispondente al ventricolo sinistro.
Si descrivono tre facce e un margine:
- FACCIA ANTERIORE o STERNOCOSTALE : Guarda in avanti, in alto, e a sinistra. I tronchi
arteriosi aortico e polmonari, emergenti dalla base dei ventricoli e diretti in alto e in
dietro, ne nascondono la porzione superiore. Asportate le due arterie, appare distinta in
due parti differenti delimitate dal solco coronario o atrioventricolare disposto
trasversalmente rispetto all’asse dell’organo.
La parte superiore è costituita dagli atri e quella inferiore dai ventricoli.
La parte atriale appare concava trasversalmente per abbracciare il tratto iniziale dei due
tronchi aortico e polmonare. Ai lati di questi si prolunga in avanti con due appendici
dentellate denominate auricole, quella a destra ha forma conica e la sinistra è più lunga
e stretta. Sulla faccia anteriore degli atri non è demarcato in superficie il solco
interatriale.
La parte ventricolare si mostra convessa sia trasversalmente che longitudinalmente, a
destra è delimitata dal margine acuto, a sinistra è delimitata dal margine ottuso,
percorsa dal solco longitudinale anteriore. Il ventricolo destro si solleva e prolunga in
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alto a formare una sporgenza conica diretta in dietro e a sinistra detta cono arterioso
seguitato dal tronco polmonare.
- FACCIA POSTEROINFERIORE o DIAFRAMMATICA: Riposa sul centro tendineo e risulta
pressoché orizzontale. Di forma triangolare, a base posteriore e apice anteriore, si
presenta debolmente convessa. Corrisponde alla faccia inferiore dei ventricoli,
maggiormente il sinistro, e ad una porzione degli atri. Presenta sulla propria superficie il
solco coronario, il solco interventricolare posteriore e un tratto del solco interatriale.
- FACCIA POLMONARE o MARGINE OTTUSO : Si trova fra la faccia anteriore o
sternocostale e la faccia posteroinferiore o diaframmatica, è arrotondata, convessa,
formata prevalentemente dal ventricolo sinistro e nel tratto superiore dall’atrio
corrispondente. È più ampia in alto dove incrocia il solco coronario.
- MARGINE ACUTO: Molto sottile, segna il passaggio netto tra le facce diaframmatica e
sternocostale. Pressoché orizzontale è diretto da dietro in avanti e verso sinistra. Va
dallo sbocco della vena cava inferiore nel cuore alla punta dello stesso dove si presenta
solcato dall’incisura dell’apice.
Si distinguono inoltre una base ed un apice:
- BASE : Formata dalla faccia posterosuperiore dei due atri ed è rivolta in dietro, in alto e a
destra, corrisponde a T5-T8 dalle quali è separata dal pericardio, dalle vene polmonari di
destra, esofago e aorta discendente. E’ complessivamente convessa anche se presenta
irregolarità dovute all’imbocco dei grossi vasi venosi negli atrii, ha una morfologia
cupoliforme con limiti poco netti tranne il margine anteriore che la separa dalla parte atriale
della faccia sternocostale. In dietro seguita con la faccia diaframmatica degli atrii fino al
solco coronario, ai lati si continua con le auricole. È percorsa dal solco interatriale, subito a
destra di questo in corrispondenza dell’atrio destro, si trovano:
- SUPERIORMENTE : Presso il margine anteriore, l’orifizio di sbocco della
vena cava superiore.
- INFERIORMENTE: Al confine con la faccia diaframmatica, l’orifizio di
sbocco della vena cava inferiore
Subito a sinistra del solco interatriale, in corrispondenza dell’atrio sinistro
sono presenti:
- ESTREMO LIMITE DESTRO: Gli orifizi di sbocco delle due vene polmonari
di destra.
- SINISTRA : Al confine con la parete laterale, gli orifizi di sbocco delle due
vene polmonari di sinistra.
Al di sotto dello sbocco della vena cava inferiore, la base continua indistintamente con
la faccia diaframmatica degli atrii, questa è percorsa trasversalmente dal seno coronario
che, dirigendosi da sinistra verso destra, supera il solco interatriale per aprirsi nell’atrio
destro. Al limite fra parte posteriore e laterale l’atrio destro presenta un solco verticale
detto solco terminale che si estende dal lato destro della vena cava inferiore fino al
davanti della terminazione della vena cava superiore. Tale solco separa nell’atrio destro
due porzioni di diversa derivazione e morfologia: il seno delle vene cave, posteriore, e
la parte atriale propriamente detta, anterolaterale. La presenza del seno disposto in
asse e sulla continuazione delle due vene cave determina un prevalente sviluppo
verticale dell’atrio destro. Il territorio dell’atrio compreso fra gli sbocchi delle vene
polmonari si definisce tetto o vestibolo dell’atrio sinistro e ha lo stesso significato e i
medesimi caratteri morfologici del seno delle vene cave. La presenza del vestibolo
disposto sulla direttrice delle vene polmonari determina un prevalente sviluppo
trasversale dell’atrio sinistro.
- APICE : Formato dal ventricolo sinistro e rivolto in basso, in avanti e a sinistra. È
coperto dal polmone e dalla pleura, si trova a livello del 5° spazio intercostale di
sinistra, a 6-8 CM dalla linea mediosternale e 1 CM all’interno della linea emiclaveare.
Configurazione Interna: Divisa in quattro parti, due atri e due ventricoli, tra i due atri e i
due ventricoli sono presenti dei setti detti interatriale ed interventricolare, tra atrio e ventricolo
corrispondenti si trova un orifizio detto atrioventricolare che è un ostio venoso munito di
valvola cuspidale, mentre tra ventricoli e arterie si trova un ostio arterioso munito di valvola
semilunare.
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- ATRIO DESTRO: Situato a destra e in avanti rispetto all’atrio sinistro, ha la forma di un cubo,
il seno delle vene cave è separato dalla parte atriale propriamente detta dalla cresta terminale
che corrisponde al solco terminale visibile sulla superficie esterna. Presenta sei pareti:
- ANTEROSUPERIORE : Corrisponde alla faccia sternocostale.
- POSTEROSUPERIORE : Corrisponde alla base del cuore e presenta gli sbocchi delle
vene cave, lo sbocco della vena cava superiore è delimitato dalla cresta terminale,
mentre l’orifizio di sbocco della vena cava inferiore presenta la valvola di Eustachio, che
in forma di piega membranosa semilunare si porta dal contorno dell’orifizio al lembo
della fossa ovale. A sinistra e in avanti rispetto all’orifizio della vena cava inferiore in
prossimità dell’orifizio atrioventricolare, si trova lo sbocco del seno coronario che
presenta la valvola di Tebesio, questa ha il compito di impedire il reflusso del sangue
nel seno coronario durante la sistole atriale.
- POSTEROINFERIORE : Corrisponde all’esigua faccia diaframmatica e riceve lo sbocco
del seno coronario.
- ANTEROINFERIORE: Corrisponde all’orifizio atrioventricolare destro o ostio tricuspidale
che immette nella cavità ventricolare, esso è provvisto di un apparato valvolare formato
da tre lembi o cuspidi da cui prende il nome di valvola tricuspide.
- MEDIALE : Formata dal setto interatriale, è liscia e presenta una depressione allungata
in senso verticale denominata fossa ovale che è il residuo del foro di Botallo.
- LATERALE: Presenta un foro che immette nell’auricola destra.
- VENTRICOLO DESTRO : Ha una capacità di circa 200 ML e presenta la forma di una piramide
triangolare con le seguenti pareti:
- ANTERIORE: Corrisponde alla maggior parte della faccia sternocostale del cuore.
- POSTEROINFERIORE : Appiattita, costituisce la porzione destra, meno estesa, della
faccia diaframmatica.
- MEDIALE o SETTALE: Formata dal setto interventricolare che sporge in cavità.
- BASE : Presenta due orifizi, uno venoso o atrioventricolare e uno arterioso o
polmonare. In corrispondenza della base il ventricolo destro mostra un rilievo
muscolare, la cresta sopraventricolare, situata tra gli orifizi atrioventricolare e
polmonare che separa la parte venosa o di afflusso, da quella infundibulare del cono
arterioso o di efflusso.
- ORIFIZIO ATRIOVENTRICOLARE DESTRO o TRICUSPIDALE o OSTIO VENOSO
:
Si trova in dietro a destra e in basso rispetto all’ostio arterioso, ha contorno
ovalare ed è provvisto di un apparato valvolare denominato valvola
atrioventricolare destra o tricuspide, costituita da tre lembi o cuspidi valvolare di
forma triangolare. Queste con la loro base si attaccano ad un anello fibroso posto
in corrispondenza dell’orifizio, le cuspidi sono costituite da tessuto fibroso
rivestito da endocardio e si proiettano con l’apice nella cavità ventricolare. Si
distinguono in mediale o settale, anteriore e posteriore; i margini liberi sono
irregolarmente dentellati e danno inserzione alle corde tendinee che si distaccano
dall’apice di rilievi muscolari conici sporgenti in cavità denominati muscoli
papillari.
- ORIFIZIO POLMONARE o OSTIO ARTERIOSO : Situato accanto al setto
interventricolare, davanti a sinistra e più in alto rispetto all’orifizio
atrioventricolare destro. Ha contorno circolare e presenta un apparato valvolare
costituito da tre valvole semilunari che sono pieghe membranose a forma di nido
di rondine. Esse presentano un margine aderente che si impianta su un anello
fibroso situato sul contorno dell’ostio arterioso ed un margine libero che sporge
nel lume del vaso. Il margine libero mostra, nel suo punto di mezzo, un piccolo
rigonfiamento, il nodulo di Morgagni.
Ad esclusione del cono arterioso la superficie interna del ventricolo destro presenta rilievi
muscolari, detti trabecole carnee. Si distinguono tre ordini di trabecole; quelle di terzo ordine
aderiscono alla parete del ventricolo per tutta la loro estensione, quelle di secondo sono fissate
alla parete solo con le loro estremità, e quelle di primo ordine o muscoli papillari si impiantano
con la base sulla parete ventricolare e si proiettano con l’apice nella cavità. Si distinguono un
muscolo papillare anteriore da cui si staccano una dozzina di corde tendinee che si fissano sulle
cuspidi valvolari anteriore e posteriore; uno posteriore o inferiore da cui partono corde
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tendinee per la cuspidi posteriore e mediale e uno mediale o settale che fornisce corde
tendinee alle cuspidi mediale e anteriore.
ATRIO SINISTRO: Rispetto al destro ha minor volume e maggior spessore. Il suo asse
maggiore è disposto trasversalmente formando gran parte della base del cuore ed
estendendosi verso destra per coprire in parte l’atrio di quel lato, si distinguono 6 pareti:
- ANTEROSUPERIORE : Corrisponde alla faccia sternocostale e ha rapporto con l’aorta e il
tronco polmonare.
- POSTEROSUPERIORE: Ha rapporto con l’esofago e vi si aprono quattro orifizi privi di
valvole a cui corrispondono le quattro vene polmonari.
- POSTEROINFERIORE: Corrisponde alla faccia diaframmatica, è poco estesa e
pianeggiante.
- ANTEROINFERIORE: Dove si trova l’orifizio atrioventricolare.
- MEDIALE o SETTALE : Corrisponde al setto interatriale.
- LATERALE: Attraverso la quale si accede all’auricola sinistra.
L’atrio ha pareti lisce tranne in corrispondenza dell’auricola. La parete mediale o settale
presenta una depressione che corrisponde alla fossa ovale dell’atrio destro, questa è limitata
da una plica semilunare che rappresenta il residuo della valvola del forame ovale. Sulla parete
dell’atrio si trovano gli orifizi di sbocco di alcune vene cardiache minime, in basso e in avanti
l’orifizio atrioventricolare sinistro o ostio mitralico, provvisto di un apparato valvolare costituito
da due cuspidi che prende il nome di valvola mitrale o bicuspide o atrioventricolare sinistra.
VENTRICOLO SINISTRO : Ha una capacità di circa 180 ML e forma di un cono lievemente
appiattito il cui apice corrisponde alla punta del cuore, presenta due pareti:
- ANTEROLATERALE: Corrisponde alla faccia sternocostale e al margine ottuso del cuore.
- INFEROMEDIALE : Corrisponde alla faccia diaframmatica e al setto interventricolare.
La base del ventricolo presenta due orifizi, uno venoso o atrioventricolare situato in dietro e a
sinistra, uno arterioso o aortico situato in avanti e a destra. Con questi il ventricolo comunica
rispettivamente con il suo atrio e con l’aorta. L’orifizio atrioventricolare sinistro o mitralico ha
forma ovale ed è delimitato da un anello fibroso che dà impianto alla valvola atrioventricolare
sinistra o bicuspide o mitrale, costituita da due cuspidi o lembi valvolare di dimensioni diverse.
La cuspide più larga è situata in avanti e medialmente, fra gli orifizi atrioventricolare e aortico
e corrisponde alla parete anteriore e alla faccia sinistra del setto, è detta cuspide anteriore o
aortica. L’altra è situata in dietro e lateralmente, corrisponde al margine ottuso e alla parete
posteriore del ventricolo, è detta cuspide posteriore. Le basi delle cuspidi si attaccano all’anello
fibroso dell’ostio mitralico e hanno la stessa struttura di quelle della valvola tricuspide, solo la
superficie parietale del lembo anteriore appare liscia a causa dell’attrito della corrente
sanguigna. L’orifizio aortico o ostio arterioso è circolare e si trova davanti e a destra dell’orifizio
mitralico dal quale è separato dalla cuspide anteriore della valvola mitrale. A questo si accede
attraverso una porzione conica del ventricolo a pareti lisce, compresa fra la superficie parietale
del lembo anteriore della bicuspide e la corrispondente regione della faccia sinistra del setto
interventricolare denominata vestibolo aortico. È provvisto di tre valvole semilunari distinte,
una di destra, una di sinistra e una posteriore, che presentano strutture e modalità di
inserzione simili alle valvole del tronco polmonare, ma sul margine libero si trova un piccolo
rigonfiamento detto nodulo di Aranzio. La superficie interna è percorsa da sottili trabecole
carnee che formano una rete, particolarmente intricata nella parete sinistra e all’apice, mentre
è relativamente liscia nella parete sternocostale e nel setto. Sono presenti due muscoli
papillari, l’anteriore situato in avanti e lateralmente, il posteriore che resta più indietro e
medialmente. Il setto interventricolare si estende dall’apice fino alla base dei ventricoli tra gli
orifizi polmonare e tricuspidale da un lato, gli orifizi aortico e mitralico dall’altro, i suoi margini
corrispondono ai solchi interventricolari anteriore e posteriore. Il setto sporge nel ventricolo
destro con la faccia convessa e nel ventricolo sinistro forma una faccia concava che prospetta
nel ventricolo sinistro.
Funzioni: Esistono due differenti circolazioni, il grande circolo, quello che si diparte dall’aorta
per arrivare ai tessuti la cui origine è il ventricolo sinistro, il piccolo circolo che origina dal
ventricolo destro, dipartendosi dall’arteria polmonare sino ai polmoni per la riossigenazione. Il
sangue partendo dal ventricolo sinistro entra nell’aorta, va in periferia e torna all’atrio destro
attraverso la vena cava superiore e inferiore, passa nel ventricolo destro e arriva ai polmoni
attraverso l’arteria polmonare, per poi tornare nell’atrio sinistro tramite le quattro vene
polmonari. I due circoli sono in serie l’uno rispetto all’altro. I due ventricoli si contraggono
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quasi nello stesso istante per spingere il sangue nei vasi, i due flussi sanguigni devono
percorrere distanze diverse nello stesso tempo. Questo avviene perché la parete muscolare
del ventricolo sinistro è circa tre volte più spessa di quella del destro di conseguenza l’aumento
di cardiomiociti comporta una spinta circa tre volte maggiore.
Il ciclo cardiaco consiste nella successione di sistole e diastole. Ogni ciclo dura circa 800 MS,
350 MS la sistole e 450 MS la diastole, mediamente 60-80 battiti al minuto. Il sangue che
durante la diastole discende attraverso l’orifizio venoso con un flusso diretto dalla base verso la
punta dei ventricoli durante la fase espulsiva della sistole viene indirizzato nuovamente verso
la base dei ventricoli per imboccare, attraverso gli orifizi polmonare e aortico, i rispettivi
tronchi arteriosi. Durante la contrazione dei ventricoli (sistole) dalle vene cave e dalle vene
polmonari affluisce sangue agli atri destro e sinistro. Terminata la loro contrazione i ventricoli
si rilasciano (diastole), la pressione in cavità cade a zero ed il modesto gradiente pressorio
esistente negli atrii, per l’afflusso di sangue, determina l’apertura delle valvole atrioventricolari.
Il sangue fluisce attraverso l’imbuto valvolare e determina una corrente parietale che lambisce
ed innalza i lembi atrioventricolari. Il riempimento dei ventricoli si completa nella fase finale
della diastole con la contrazione degli atrii che, determinando una accelerazione del flusso,
solleva le cuspidi fino a porle in contatto, chiudendo così l’ostio atrioventricolare. La successiva
contrazione dei ventricoli determina dapprima un incremento della pressione in cavità (fino a
120-150 mmHg a sinistra 20-30 mmHg a destra) che, quando raggiunge e supera le pressioni
aortica e polmonare, determina l’apertura delle valvole semilunari con espulsione del sangue
nelle arterie. Poiché l’origine di queste corrisponde alla base dei ventricoli, la contrazione
espulsiva del miocardio si svolge, oltre che in modo concentrico, anche e prevalentemente nel
senso della lunghezza, con un evidente avvicinamento dell’apice alla base dei ventricoli. Ciò
spiega l’importanza funzionale nelle valvole atrioventricolari dei muscoli papillari che, con la
loro contrazione che è sincrona con quella del miocardio ventricolare, si accorciano e tendono
le corde tendinee che così mantengono in sesto i lembi valvolari, impedendone l’estroflessione
verso l’atrio e assicurando la perfetta tenuta delle valvole. Durante la diastole la resistenza
opposta al deflusso del sangue nell’arteria crea una corrente parietale reflua che determina
una pressione sulla superficie concava dei lembi semilunari, quando alla fine della sistole la
pressione dell’arteria uguaglia quella della spinta ventricolare questa corrente di reflusso
determina la chiusura delle valvole semilunari. Per tutti questi motivi la circolazione cardiaca è
a senso unico obbligato, i due circoli risultano tra loro in serie e in parallelo.
Va ricordato che i grossi vasi arteriosi che originano dal cuore, specialmente l’aorta, sono
caratterizzati dalla deformabilità elastica della parete (tonaca media), consentendo durante la
sistole ventricolare la distensione massima del vaso stesso, restituendo quindi sottoforma di
energia elastica la tensione accumulata, favorendo così durante la diastole la progressione del
sangue attraverso un onda pressoria o sfigmica che fa si che tale dilatazione dall’aorta si
diffonda attraverso tutto l’albero delle arterie a parete elastica. Il cuore serve proprio a
generare queste onde pressorie, circa 70 volte al minuto fornendo la spinta iniziale, il resto del
lavoro è svolto grazie alla struttura elastica delle arterie. Per questo misurando la pressione
arteriosa durante la diastole ventricolare non è mai 0 come ci si potrebbe aspettare ma circa
80 mmHg, ciò è dovuto appunto al ritorno elastico delle arterie che impedisce inoltre
l’accollamento delle pareti dei vasi.
Nelle arterie con diametro inferiore ai 5 mm alla componente elastica si sostituisce una
componente di muscolatura liscia. La muscolatura liscia può contrarsi e rilasciarsi attivamente
con un effetto di regolazione del flusso ematico a seconda delle esigenze dell’organismo,
vasodilatazione e vasocostrizione attiva.
RAPPORTI:
- INDIRETTI : Attraverso il pericardio con formazioni e organi del torace, attraverso il
diaframma con organi della loggia sottofrenica della cavità addominale.
- FACCIA ANTERIORE: Con la superficie posteriore del corpo dello sterno, con le
cartilagini costali dalla 3° alla 6°, con i seni pleurali costomediastinici e i margini
anteriori dei polmoni.
- MARGINE OTTUSO : Attraverso la pleura mediastinica con la faccia mediale del polmone
sinistro in cui lascia la fossa cardiaca.
- FACCIA POSTEROINFERIORE : Con il centro tendineo del diaframma per mezzo del quale
ha rapporti con il lobo sinistro del fegato e il fondo dello stomaco.
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-
BASE: A destra attraverso la pleura mediastinica con la faccia mediale del polmone
destro. A sinistra e in dietro con i linfonodi mediastinici, l’esofago, il nervo vago di
sinistra. A distanza con la vena azigos, il nervo vago di destra, il dotto toracico, l’aorta
toracica, tutti gli organi e la formazioni del mediastino posteriore.
- APICE: Attraverso il margine anteriore del polmone sinistro e il seno pleurico
costomediastinico di sinistra con la parete anteriore del torace.
Proiezioni:
- ORIFIZIO POLMONARE : Proietta sul margine superiore della 3° cartilagine costale
proseguendo anche al di dietro del corpo dello sterno. È rappresentato da una linea
orizzontale e due linee verticali che, partendo dall’estremità di questa raggiungono in
alto la 2° cartilagine costale, delimitando l’area di proiezione del tronco polmonare.
Quest’area presenta il focolaio di auscultazione della valvola polmonare.
- ORIFIZIO AORTICO : Proietta al di sotto e a destra rispetto al polmonare. Corrisponde a
una linea obliqua che partendo dall’estremità sternale della 3° cartilagine costale di
sinistra si dirige in basso e verso destra fino a raggiungere la linea medio sternale. Due
linee oblique in alto e verso destra partono dalle estremità dell’orifizio aortico e
risalgono fino alla metà destra dell’angolo sternale, delimitando l’area di proiezione
dell’aorta ascendente. Il focolaio di auscultazione aortico è sulla linea marginosternale
nel secondo spazio intercostale di destra.
- ORIFIZIO TRICUSPIDALE : Proietta sul torace secondo una linea obliqua che partendo
dal 5° spazio intercostale di destra risale e supera la linea mediosternale all’altezza
della 4° cartilagine costale. Il focolaio di auscultazione della tricuspide è sulla linea
marginosternale all’altezza del 5° spazio intercostale di destra.
- ORIFIZIO MITRALICO: Si proietta dietro alla metà sinistra dello sterno e nel 3° spazio
intercostale. Corrisponde a una linea obliqua che partendo un poco a sinistra della linea
mediosternale all’altezza della 4° cartilagine costale si porta in alto e verso sinistra fino
al margine inferiore della 3° cartilagine costale di sinistra. Il focolaio di auscultazione
della mitrale corrisponde all’apice del cuore.
STRUTTURA: Le pareti del cuore sono per la maggior parte formate da tessuto muscolare
striato denominato miocardio comune. Nella compagine del miocardio comune si trovano
formazioni muscolari specializzate costituite da miocardio specifico che si organizzano nel
sistema di conduzione del cuore. Inoltre il miocardio comune si dispone in fasci su formazione
fibrose a costituire lo scheletro del cuore. Le pareti cardiache sono rivestite esternamente dal
foglietto viscerale del pericardio denominato epicardio e tappezzate internamente da una
membrana denominata endocardio.
EPICARDIO : è una sottile e trasparente membrana sierosa che riveste la superficie esterna del
cuore e si estende fino alla radice dei grossi vasi dove si riflette nello strato sieroso parietale
che ricopre il pericardio. È costituito da un singolo strato di cellule mesoteliali appiattite che
riposa su una sottile lamina di tessuto connettivo denso e ricco di fibre elastiche. Sotto
l’epicardio si trova uno strato sotto epicardiaco formato da tessuto connettivo lasso ove si
raccoglie del tessuto adiposo che forma il grasso sottoepicardiaco.
ENDOCARDIO : è una liscia, biancastra e splendente tonaca che riveste la superficie interna del
cuore risalendo sulle corde tendinee, sulle valvole semilunari e atrioventricolari. È costituito da
uno strato di cellule endoteliali poligonali che continua con l’endotelio dei grossi vasi, presenta
uno strato sotto endoteliale di connettivo, uno strato sottoendocardiaco, costituito da
connettivo fibrillare lasso, che stabilisce la connessione tra endocardio e lo strato miocardico.
MIOCARDIO : forma la tonaca muscolare del cuore ed è costituito da una varietà di fibre
muscolari striate denominate fibre miocardiche comuni che differiscono per alcuni caratteri da
quelle scheletriche. Innanzi tutto sono elementi cellulari distinti e non sincizi polinucleati.
Hanno forma cilindrica e alle loro estremità si dividono per congiungersi alle fibre muscolari
confinanti formando un complesso muscolare tridimensionale. Oltre alle strie trasversali
presentano anche le strie intercalari alle zone di giunzione tra le fibre. Il nucleo rotondeggiante
tende a disporsi nella parte centrale, intorno ad esso è raccolto il sarcoplasma che è
abbondante e contiene varie formazioni e numerosi mitocondri. I miofilamenti delle fibre
miocardiche sono strutturalmente uguali a quelli delle fibre muscolari scheletriche, ma non
sono organizzati in miofibrille distinte, bensì formano aggregati delimitati da tubuli del reticolo
sarcoplasmatico o da zone di sarcoplasma o da file di mitocondri allineati. Le strie intercalari
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denominate dischi intercalari sono zone di giunzione fra le estremità delle fibre miocardiche e
possono presentarsi rettilinee o dentellate, queste permettono sia la coesione meccanica fra le
fibre miocardiche che la rapida diffusione dell’eccitamento da una fibra all’altra cosicché il
miocardio risponde elettricamente come un sincizio. Lo stroma del miocardio ha costituzione
diversa tra atrii e ventricoli, nelle pareti degli atrii è ricco di fibre elastiche che formano reti che
continuano con epicardio ed endocardio, nei ventricoli è ricco di fasci collagene che avvolgono
le fibre muscolari.
Conduzione: il sistema di conduzione del cuore è la sede dove insorgono gli stimoli che
determinano la contrazione del cuore.
- SISTEMA SENOATRIALE : costituito dal nodo senoatriale o nodo del seno di Keith Flack, una
piccola formazione di fibre miocardiche specifiche intrecciate, situate al limite tra lo sbocco
della vena cava superiore e l’inizio della cresta terminale. Occupa l’intero spessore della
parete. Le fibre che costituiscono il nodo hanno la capacità di contrarsi automaticamente e
ritmicamente, per questo è indicato come il pacemaker del cuore, all’inizio di ogni ciclo
cardiaco dà origine all’impulso che determina la contrazione. Le fibre del nodo sono in contatto
con quelle atriali circostanti, si ritiene quindi che gli impulsi siano trasmessi ai due atrii
attraverso le fibre miocardiche atriali. Sono stati individuati tre fasci internodali specializzati, il
fascio internodale anteriore, che origina dalla parte superiore del nodo e si dirige verso sinistra
dividendosi in due diramazioni, di cui una si porta all’atrio sinistro e l’altra percorre il setto
interatriale fino al nodo atrioventricolare. Il fascio internodale medio, origina dal margine
dorsale del nodo e raggiunge il nodo atrioventricolare percorrendo il setto interatriale. Il fascio
internodale posteriore, che origina dalla parte inferiore del nodo, percorre la cresta terminale
per giungere al nodo atrioventricolare.
- SISTEMA ATRIOVENTRICOLARE : comprende il nodo atrioventricolare di Tawara Aschoff che è
un rigonfiamento ovoidale di colore giallognolo situato sul lato destro del setto interatriale in
una zona compresa fra l’inserzione della cuspide settale della valvola tricuspide e lo sbocco del
seno coronario. Il tronco comune del fascio atrioventricolare di His che si stacca dal nodo
atrioventricolare e decorre in avanti, attraversa quindi il trigono fibroso destro per raggiungere
il margine posteriore della porzione membranosa del setto interventricolare, percorre questo
margine mantenendosi sul lato destro e raggiunge il margine superiore della porzione
muscolare del setto dove si divide in due branche:
- BRANCA DESTRA : più sottile della sinistra, decorre lungo la parete settale del ventricolo
destro, dapprima coperta da fasci di fibre miocardiche, poi nello strato
sottoendocardico. In prossimità dell’apice del ventricolo entra nella trabecola
sottomarginale e raggiunge la base del muscolo papillare anteriore. Qui si risolve in un
plesso di fibre sottoendocardiche che raggiungono le diverse parti del ventricolo e
terminano con le fibre miocardiche ventricolari.
- BRANCA SINISTRA : con forma di un largo nastro appiattito e sottile. Discende per un
breve tratto sotto l’endocardio della faccia sinistra del setto interventricolare e subito si
divide in due o più diramazioni che si dirigono rispettivamente verso i muscoli papillari
anteriore e posteriore. I rami rimangono individuali nella parete settale, poi si risolvono
in un certo numero di filamenti anastomizzati tra loro che percorrono le trabecole
carnee e raggiungono i muscoli papillari dove continuano in un plesso terminale che si
distribuisce alle diverse parti del ventricolo attraverso le fibre miocardiche ventricolari.
Le cellule P, con nucleo grande e centrale, a forma stellata, presentano numerose giunzioni con
le fibre nodali. Sembrerebbero svolgere l’attività di pacemaker del nodo senoatriale.
Scheletro: Formazione fibrosa così denominata in quanto offre inserzione ai fasci del
miocardio atriale e interventricolare; inoltre serve d’impianto alle valvole cardiache e realizza la
continuità strutturale dei ventricoli con i grossi tronchi arteriosi. Vi si descrivono 4 anelli fibrosi
posti sul contorno degli osti venosi e degli osti arteriosi, 2 trigoni fibrosi interposti fra gli anelli
fibrosi, il tendine del cono e il setto interventricolare membranoso.
Tre anelli fibrosi, i due degli osti venosi e quello aortico, sono sul piano atrioventricolare e sono
uniti dai trigoni fibrosi; l’anello fibroso del tronco polmonare è a un livello superiore ed è
collegato alle altre parti dello scheletro dal tendine del cono; dal trigono fibroso destro e in
particolare dall’anello fibroso aortico origina una breve espansione fibrosa, volta in basso, che
forma la parte membranosa del setto interventricolare.
Muscolatura: I fasci muscolari del miocardio si attaccano sugli anelli fibrosi da dove si portano
verso la base del cuore per formare le pareti degli atri e verso l’apice per formare le pareti
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ventricolari, i due sistemi di fibre sono considerati indipendenti essendo separati da formazioni
fibrose.
- ATRII: Muscolatura assai sottile.
- SINISTRO : Si dimostrano due sistemi di fibre, trasversali e verticali. Le
trasversali traggono origine dal setto interatriale, decorrono sulla faccia anteriore
dell’atrio sinistro, si divaricano circondando la base dell’auricola, si riuniscono
percorrendo la faccia posteroinferiore per inserirsi nel setto interatriale. Le
verticali, curvilinee e disposte ad ansa, originano davanti all’anello fibroso
atrioventricolare di sinistra, decorrono sul tetto dell’atrio formando espansioni ad
anello intorno all’imbocco delle vene e terminano in dietro sullo scheletro fibroso
del cuore e sul setto interatriale.
- DESTRO : Si descrivono quattro strutture. Il fascio terminale che si origina dal
setto interatriale, percorre la cresta terminale e raggiunge in dietro la vena cava
inferiore e la valvola di Eustachio. I muscoli pettinati, fasci a decorso verticale,
che dal fascio terminale si distaccano e decorrono parallelamente sulla parete
per arrivare all’anello fibroso dell’ostio tricuspidale. I fascicoli limbici superiore ed
inferiore che contornano la fossa ovale nei rispettivi margini e si perdono in
prossimità della vena cava inferiore. Il fascicolo di Lower che origina dal fascicolo
limbico superiore, percorre trasversalmente la parete posterosuperiore e si porta
alla cresta terminale.
- VENTRICOLI : costituita da fasci a decorso complesso che si distinguono in propri,
disposti ad anse costituendo nell’insieme due sacchi muscolari a forma di cono la cui
base corrisponde agli osti atrioventricolari e la cui estremità inferiore è presso la punta
del cuore, e comuni, disposti in due strati, anteriore e posteriore. Esistono inoltre fasci
suturali che decorrono obliquamente e profondamente fra i due anelli fibrosi
atrioventricolari, riunendo insieme i due sacchi formati dalle fibre proprie in
corrispondenza del sacco muscolare. Nella muscolatura dei ventricoli si distinguono 3
strati sovrapposti. Sotto l’epicardio esiste un setto muscolare comune ai due ventricoli,
formato dalla porzione discendente superficiale delle fibre comuni, anteriori e posteriori.
Il secondo strato è formato da un sacco per ogni ventricolo costituito dalle fibre proprie.
Il terzo strato è dato, in ogni ventricolo, dalla continuazione delle fibre comuni
superficiali che assumono un decorso ascendente. Il setto è costituito dal giustapporsi
dei sacchi formati dalle fibre proprie e dalle fibre suturali che li uniscono. Il complesso
intreccio dei fasci del miocardio ventricolare forma una struttura muscolare che imprime
una spinta concentrica alla massa sanguigna, inoltre l’organizzazione miocardica che ne
deriva esprime, in tutti i punti della parete, un eguale forza contrattile e offre un
identica resistenza alle notevoli pressioni che si sviluppano in cavità durante la sistole
ventricolare.
Arco dell’Aorta: l’aorta nasce davanti e a sinistra della vena cava superiore e indietro e a
destra rispetto alla polmonare. Il bulbo aortico è alla base. Inizialmente il vaso è diretto in alto,
in avanti e a destra, ma dopo 3-4 CM descrive un arco indietro e a sinistra scavalcando il
peduncolo polmonare sinistro e lasciandosi a destra esofago e trachea. L’arco aortico ha il suo
apice verso T3-T4, la prima parte si trova nella regione media del mediastino anteriore, il
punto di flesso nel mediastino superiore (proietta su T2) e il resto nel mediastino posteriore.
Ha un calibro di 2,5-3 CM. Dall’arco aortico nascono tre vasi epiaortici, ovvero l’arteria
anonima o tronco anonimo, l’arteria carotide di sinistra e l’arteria succlavia di sinistra. La parte
ascendente ha rapporti in avanti con il cono arterioso del ventricolo destro e col tronco
polmonare, a sinistra è incrociata dal tronco polmonare, a destra ci sono atrio e auricola destri,
in dietro con l’atrio sinistro e l’arteria polmonare destra. La parte traversa si rapporta a
sinistra, dall’avanti al dietro, con nervo frenico di sinistra nervo vago di sinistra e polmone
sinistro. A destra con trachea, plesso cardiaco profondo, esofago, nervo ricorrente di sinistra,
dotto toracico e lato sinistro di T4. Inferiormente con l’arteria polmonare destra,
linfoghiandole, bronco sinistro e nervo laringeo ricorrente di sinistra.
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NOME: Pericardio, derivazione dal greco “intorno al cuore”
È un sacco fibrosieroso che contiene il cuore e l’inizio dei grossi vasi. La
CARATTERISTICHE:
proiezione del pericardio corrisponde ad una zona denominata area pericardica racchiusa in
alto da una linea tesa fra la 2^ articolazione condrosternale di destra e la 1^ di sinistra, in
basso da una linea passante per la base del processo xifoideo ed estesa dalla 6^ cartilagine
costale di destra al 5° spazio intercostale di sinistra che corrisponde all’apice del cuore. A
delimitare lateralmente l’area vi sono due linee curve a convessità esterna che uniscono gli
estremi delle linee di confine inferiore e superiore. Vi si considerano una parte esterna,
chiamata pericardio fibroso, e una parte interna chiamata pericardio sieroso. La parte esterna
si presenta come un sacco fibroso, quella interna come una membrana sierosa di origine
celomatica formata da un foglietto parietale che riveste il pericardio fibroso, un foglietto
viscerale che avvolge il cuore ed è denominato epicardio.
PERICARDIO FIBROSO : ha la forma di un tronco di cono leggermente schiacciato in senso
anteroposteriore con l’apice rivolto in alto che contorna i grossi vasi e si continua con la tonaca
avventizia, alla base aderisce al centro frenico del diaframma e alla contigua parte muscolare.
Presenta due facce:
- ANTERIORE : fortemente convessa e prolungata in dietro su ogni lato, fino all’ilo del
polmone. È in rapporto con la pleura mediastinica e, per mezzo di questa, con la faccia
mediastinica del polmone. La pleura mediastinica si sovrappone al sacco pericardico e si
estende fino ad una linea lungo la quale si riflette per divenire pleura costale
costituendo il seno pleurale costomediastinico che accoglie il margine anteriore del
polmone. Tra pleura e pericardio decorrono il nervo frenico e i vasi pericardiofrenici. Fra
lo sterno e il pericardio decorrono i legamenti sternopericardici.
- POSTERIORE : pianeggiante e separata dalla colonna vertebrale dai bronchi,
dall’esofago, dai nervi vaghi, dall’aorta discendente e dalla parte posteriore della faccia
mediastinica dei polmoni.
Sono presenti dei tratti fibrosi che lo uniscono agli organi vicini denominati legamenti del
pericardio:
- LEGAMENTI STERNOPERICARDICI : si distinguono in superiore e inferiore. Il legamento
superiore, impari e mediano, ha origine dalla parete anterosuperiore del pericardio
davanti ai grossi vasi arteriosi e va ad inserirsi sulla faccia posteriore del manubrio
sternale. Il legamento inferiore denominato anche xifopericardico, si tende tra la
porzione anteroinferiore del pericardio e la base del processo xifoideo.
- LEGAMENTO VERTEBROPERICARDICO : decorre in direzione sagittale dalla colonna
vertebrale alla parete posteriore del sacco pericardico. Si distacca dal prolungamento
mediastinico all’altezza della 4^ o la 5^ vertebra toracica e si inserisce nella porzione
apicale del pericardio fibroso.
- LEGAMENTI FRENOPERICARDICI: si dividono in anteriore, laterale, destro e sinistro.
Sono brevi e rafforzano l’aderenza marginale del pericardio fibroso.
PERICARDIO SIEROSO : è un sacco a doppia parete che riveste sia il pericardio fibroso che la
superficie esterna del cuore.
- FOGLIETTO VISCERALE o EPICARDIO: riveste il cuore e le radici dei grossi vasi a
livello della quali si riflette. La parte dell’epicardio che riveste i grossi vasi forma due
guaine tubulari distinte, una avvolge l’aorta e il tronco polmonare, l’altra gli atrii e le
vene afferenti. Queste due guaine tubulari sono separate da una fessura denominata
seno trasverso del pericardio.
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VASCOLARIZZAZIONE CIRCOLATORIO
SISTEMA CORONARIO:
- ARTERIOSO : Irrorano il cuore due vasi che si dipartono dalla parte basale del bulbo aortico
o prima parte dell’aorta ascendente, le arterie coronarie, vasi a parete elastica responsabili
della vascolarizzazione di miocardio ed epicardio, non sono comunicanti e il loro nome deriva
dal fatto che percorrono il solco coronario.
- CORONARIA DI DESTRA : Percorre il solco coronario anteriore e posteriore di destra.
Nel 65-70% dei casi nel momento in cui si immette nel solco coronario anteriore destro
genera un primo vaso che risale verso l’atrio destro per portare sangue al nodo
senoatriale, formando l’arteria del nodo del seno che a sua volta genera una serie di
rami. Al limite tra solco coronario anteriore e posteriore destro gira in dietro generando
un’arteria che irrora il margine acuto, formando l’arteria del margine acuto o arteria
marginale di destra. Girando ancora genera rami che irrorano la faccia diaframmatica di
atrii e ventricoli. Sempre nel 65-70% dei casi arrivando a metà del solco coronario
posteriore cambia direzione di 90° dirigendosi verso l’apice senza raggiungerlo e
percorrendo la faccia diaframmatica formando l’arteria del solco interventricolare
posteriore. Questa dà rami a pettine che si approfondano nel setto interventricolare fino
ad irrorarne il terzo inferoposteriore.
- CORONARIA DI SINISTRA : Appena nasce non è visibile per 2 CM perché coperta dal
tratto iniziale dell’arteria polmonare. Percorre quasi orizzontalmente il solco coronario
anteriore di sinistra e appena visibile si divide in due rami. Uno prende il nome di arteria
interventricolare anteriore e percorre il solco interventricolare anteriore, contorna in
basso il margine acuto del cuore, aggira l’apice a destra e termina sulla faccia
posteriore dove si anastomizza con l’arteria interventricolare posteriore e irrora le due
branche del fascio di His. Lungo il suo tragitto si ramifica in un ramo principale
denominato arteria diagonale che serve esclusivamente ad irrorare il ventricolo di
sinistra. Altri rami entrano a pettine nel setto interventricolare irrorandone i 2/3
anteriori. L’altro ramo prende il nome di arteria circonflessa e descrive un’ampia curva.
Ad un certo punto questa gira l’angolo e prosegue nella parte posteriore di sinistra del
solco coronario dando origine all’arteria del margine ottuso che scende verso l’apice del
cuore senza raggiungerlo irrorando gran parte del ventricolo sinistro e irrora atrio e
ventricolo davanti e dietro.
I vasi coronarici sono molto anastomizzati, ma non sono funzionalmente competenti, formando
un circolo terminale, i vasi irrorano solo un cilindro di tessuto e non possono essere vicariati.
- VENOSO : Le arterie si risolvono in arteriole, poi in capillari, in seguito venule che
confluiscono nelle vene compagne dei vasi arteriosi denominate vene comites o coronarie.
Queste generalmente hanno lo stesso tragitto delle arterie con direzione opposta. Tutti i vasi
venosi reflui del circolo coronario confluiscono nel seno coronario, un grosso vaso venoso che
si ingrandisce a forma di clava e va dal solco coronario anteriore di sinistra al posteriore per
sboccare nell’atrio di destra vicino all’ingresso della vena cava inferiore, aggira quindi tutto
l’ostio della bicuspide, ma solo una piccola parte del sangue venoso va nella parte sinistra.
Le arterie che si distribuiscono al pericardio parietale sono esili
SISTEMA PERICARDICO:
rami dell’aorta toracica, arteria toracica interna, arterie timiche, arterie bronchiali, arterie
esofagee e arterie freniche superiori, denominate arterie pericardiche. Le vene sono satelliti
delle arterie e si gettano nelle vene azigos, freniche superiori, brachiocefaliche, cava superiore
e toraciche interne.
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VASCOLARIZZAZIONE COLLO
SISTEMA ARTERIOSO:
Arteria Carotide Esterna
: Nasce presso C2 dalla carotide comune all’altezza del margine
superiore della cartilagine tiroidea della laringe e si distribuisce alla superficie esterna. Si dirige
in alto fino a raggiungere il collo della mandibola dove si divide nei suoi rami terminali. Dà
come rami collaterali tre anteriori, arteria tiroidea superiore, arteria linguale, arteria faciale o
mascellare esterna, e tre posteriori, l’arteria faringea ascendente o faringomeningea, l’arteria
occipitale e l’arteria auricolare posteriore. Come rami terminali, prima di emergere dalla
ghiandola parotide, dà l’arteria temporale superficiale e l’arteria mascellare interna.
- Arteria Temporale Superficiale: Nasce nello spessore della ghiandola parotide,
dietro il collo della mandibola e risale davanti al trago, decorre sotto la cute fino alla
regione temporale dove si divide in un ramo frontale ed uno parietale. Il ramo
frontale o anteriore si distribuisce alla cute ed ai muscoli emicranici della regione
frontale. Il ramo parietale o posteriore risale a lato della testa e si distribuisce alla
cute e all’aponeurosi emicranica.
- Arteria Mascellare Interna: Ha origine dietro il collo della mandibola, attraversa
la fossa infratemporale, passa superficialmente o profondamente al capo inferiore
del muscolo pterigoideo interno e termina nella fossa pterigopalatina. Si divide in tre
porzioni: mandibolare, pterigoidea e pterigopalatina. Nella prima porzione o
mandibolare fornisce vari rami collaterali, l’arteria auricolare profonda, che
attraversa la parete anteriore del condotto uditivo esterno ed irrora cute e
membrana del timpano; l’arteria timpanica anteriore, che penetra nella fossa del
timpano attraverso la fessura petrotimpanica e irrora la mucosa; l’arteria meningea
media, che risale lungo la faccia mediale del muscolo pterigoideo esterno e penetra
nella fossa cranica media per irrorare le meningi; l’arteria alveolare inferiore, che
discende sulla faccia mediale del ramo della mandibola ed irrora il muscolo
miloioideo, le radici dentali dell’arcata inferiore e la zona mentale. Nella seconda
porzione o pterigoidea dà le arterie temporali profonde, che si distribuiscono ai
muscoli della fossa temporale; i rami pterigoidei, di numero irregolare che si
distribuiscono ai muscoli omonimi; l’arteria masseterina, che irrora la faccia
profonda del muscolo massetere; l’arteria buccinatoria o buccale, che decorre tra il
muscolo pterigoideo interno e temporale per raggiungere la superficie del muscolo
buccinatore. La terza porzione o pterigopalatina dà l’arteria alveolare posteriore
superiore, che discende sulla tuberosità mascellare e fornisce rami per le gengive e
le radici dei molari e premolari superiori; l’arteria infraorbitaria, che penetra
attraverso la fessura orbitaria inferiore nella cavità orbitaria ed emerge attraverso il
forame infraorbitario nella faccia irrorando la cute del naso, la regione zigomatica, il
labbro inferiore, la palpebra inferiore; l’arteria palatina maggiore o discendente, che
percorre il canale pterigopalatino, fornisce due o tre arterie palatine minori per il
palato molle e la tonsilla, emerge attraverso il foro palatino maggiore nel palato
dove irrora la mucosa palatina, le ghiandole del palato e le gengive, termina
anastomizzandosi con un ramo dell’arteria sfenopalatina. L’arteria mascellare dà un
ramo terminale, detta arteria sfenopalatina, che attraversa il canale sfenopalatino e
penetra nella cavità nasale dove si divide nelle arterie nasali.
Arteria Tiroidea Superiore
: Un’arteria pari che origina dalla carotide esterna a livello del
grande corno dell’osso ioide e si dirige in basso e in avanti fino alla ghiandola tiroide. Con i suoi
rami collaterali contribuisce ad irrorare il laringe, i muscoli sottoioidei, il muscolo
sternocleidomastoideo, le paratiroidi e la tiroide.
Arteria Linguale : Nasce all’altezza del grande corno dell’osso ioide e termina in
corrispondenza dell’apice della lingua, decorre profondamente al ventre posteriore del muscolo
digastrico e al muscolo stiloioideo, appoggiata sul muscolo costrittore medio del faringe. Irrora
i muscoli sopraioidei, la tonsilla palatina, la ghiandola sottolinguale e la lingua.
Arteria Faciale : Nasce sopra l’origine dell’arteria linguale e termina sulla parete laterale del
naso esterno in prossimità dell’angolo interno dell’orbita. Risale lungo la parete laterale del
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faringe, incrocia il polo posteriore della ghiandola sottomandibolare e si porta in avanti fino al
margine inferiore della mandibola. Risale con decorso sinuoso fino alla commessura buccale,
percorre il solco nasolabiale e decorre tra guancia e naso. Nel suo tratto terminale continua
con un ramo sottile, l’arteria angolare, che si anastomizza con l’arteria nasale dell’oftalmica.
Irrora il palato molle, la tonsilla palatina, la ghiandola sottomandibolare, cute e muscoli di
mento, labbra e naso.
Arteria Faringea Ascendente
: Lunga e sottile, decorre verso l’alto sulla parete laterale del
faringe, raggiunge la base del cranio. Alcuni suoi rami terminali, rami meningei posteriori,
penetrano nel cranio e si distribuiscono alle meningi. Irrora faringe, tonsilla palatina, tuba
uditiva, cavo del timpano e dura madre.
Arteria Auricolare Posteriore
: Nasce sopra al ventre posteriore del muscolo digastrico e
risale nel solco fra padiglione auricolare e processo mastoideo. Irrora cavo del timpano, cellule
mastoidee, padiglione auricolare, muscoli e cute della regione occipitale.
Arteria Occipitale: Nasce a livello dell’arteria faciale e si dirige in dietro, in alto e all’esterno
passando sotto al ventre posteriore del muscolo digastrico, attraverso il solco del processo
mastoideo dell’osso temporale, i suoi rami terminali sono molto tortuosi e si anastomizzano
con i rami controlaterali. Irrora muscoli laterali e posteriori del collo, padiglione auricolare,
dura madre della fossa cranica posteriore, muscoli e cute della regione occipitale.
SISTEMA VENOSO: Tutti i vasi di cui abbiamo parlato precedentemente hanno le loro vene
comites. Inoltre nel collo c’è un doppio circolo venoso, sia profondo che superficiale, poiché il
deflusso dal cranio deve essere più rapido possibile. La vena giugulare interna, vena compagna
della carotide comune e interna, riceve prodotti di rifiuto sia dal neurocranio che dallo
splancnocranio. Infatti la vena faciale, dopo essersi unita alle vene linguale e tiroidea superiore
formando il tronco tirolinguofaciale, si getta nella vena giugulare interna che così riceve il
sangue refluo dal cranio. La vena faciale posteriore, dopo aver ricevuto sangue refluo dalle
regioni fornite dall’arteria mascellare interna, si getta anch’essa nella vena giugulare interna.
Si hanno inoltre una vena giugulare esterna, che scende dall’alto in basso incrociando il
muscolo sternocleidomastoideo per finire direttamente in succlavia, e una vena giugulare
anteriore, che dal mento scende verticalmente piegando ad L o nella giugulare interna, o nella
giugulare esterna o direttamente in succlavia.
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VASCOLARIZZAZIONE RESPIRATORIO
Fa parte della piccola circolazione ed è un sistema funzionale. I due
SISTEMA POLMONARE:
rami destro e sinistro dell’arteria polmonare entrano nei polmoni presso l’ilo e si ramificano
accollandosi ai rami bronchiali, fino a dare arteriole terminali che decorrono lungo i bronchioli e
i condotti alveolari. Queste arteriole si risolvono infine in una rete capillare nella parete degli
alveoli. Dalla rete capillare perialveolare si originano le venule che decorrono nei setti
interlobulari fino a riunirsi in rami venosi di maggior calibro che decorrono lungo i bronchi, sul
lato opposto rispetto alle arterie. Si formano infine due vene polmonari per ciascun polmone,
escono dall’ilo e vanno ad aprirsi nell’atrio sinistro del cuore. Spiegheremo in seguito che il
sistema polmonare non è indipendente ma si completa con il sistema bronchiale.
Fa parte della grande circolazione ed è un sistema nutritizio. Le
SISTEMA BRONCHIALE:
arterie bronchiali originano dall’aorta toracica in tre rami, uno per il polmone destro e due per
il sinistro. Dopo aver dato rami per le formazioni del peduncolo polmonare, queste penetrano
nel polmone e si ramificano, seguendo le divisioni dell’albero bronchiale, fino ai bronchioli
intralobulari. I vasi bronchiali formano due reti capillari di cui una superficiale per la mucosa e
una profonda per muscoli e ghiandole. Le ramificazioni dell’arteria bronchiale arrivano fino ai
lobuli e formano un sistema capillare in comunicazione con quello dell’arteria polmonare. I
capillari del sistema bronchiale si riuniscono in vene, di cui quelle che provengono dai bronchi
più sottili sboccano nelle vene polmonari, mentre quelle dei bronchi più grossi si aprono nelle
vene bronchiali. Uscendo dall’ilo le vene bronchiali si riuniscono in uno o due tronchi che
sboccano solitamente nelle vene azigos ed emiazigos. Tra il sistema polmonare e il sistema
bronchiale esistono anastomosi, alcune vene bronchiali sboccano nelle vene polmonari, rami
delle arterie polmonari sono uniti a rami delle arterie bronchiali, il sangue dei capillari alveolari
può anche riversarsi nelle venule bronchiali anziché nelle polmonari.
Arterie della pleura viscerale nascono da rami delle arterie bronchiali.
SISTEMA PLEURICO:
Le arterie della pleura parietale derivano da rami delle arterie intercostali per la pleura costale,
delle arterie freniche superiori e inferiori per la pleura diaframmatica, delle mediastiniche per la
pleura mediastinica. Le vene corrispondo alle arterie e si gettano quasi tutte nel sistema
azigos.
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VASCOLARIZZAZIONE DIGERENTE
SISTEMA ARTERIOSO: Gli organi dell’apparato digerente sono irrorati da rami dell’aorta
toracica, dell’aorta addominale e dalle arterie iliache interne.
Aorta Toracica : Il tratto dell’aorta discendente che attraversa il torace decorrendo nel
mediastino posteriore da T4 a T11, dà rami parietali e viscerali, tra cui le arterie esofagee.
- Arterie Esofagee: Sono 4-5 piccoli vasi che si distribuiscono alla parete dell’esofago
anastomizzandosi in alto con i rami esofagei dell’arteria tiroidea inferiore e in basso con i
rami ascendenti dell’arteria gastrica sinistra e dell’arteria frenica inferiore.
Aorta Addominale : Tra T11 e T12 si passa dall’aorta toracica all’aorta addominale.
- Arteria o Tronco Celiaco: Una grossa arteria lunga circa 2 CM, situata dietro la parete
posteriore della borsa omentale, circondata dal plesso celiaco. A destra ha rapporto con il
ganglio celiaco destro, il pilastro mediale destro del diaframma e con il lobo caudato del
fegato. A sinistra con il ganglio celiaco sinistro, il pilastro mediale sinistro del diaframma e
il cardias. In basso con il pancreas e la vena lienale. Si divide in tre rami che formano il
tripode celiaco:
- Arteria Gastrica Sinistra: Il più piccolo ramo del tronco celiaco, sale in alto fino alla
regione del cardias, decorre tra le due lamine del legamento epatogastrico, scende
quindi lungo la piccola curvatura dello stomaco. Durante questo tragitto dà dei rami
anteriori e posteriori contribuendo ad irrorare il corpo dello stomaco. Dà inoltre dei rami
diretti alla parte addominale dell’esofago chiamate arterie esofagee inferiori.
- Arteria Lienale o Splenica: Un ramo enorme ad indicare il grande territorio di
distribuzione, infatti irrora la milza che è riccamente vascolarizzata e nel tragitto
raggiunge la testa e il corpo del pancreas. Passa dietro allo stomaco, davanti al rene e
surrene di sinistra. Nel percorso dà come rami collaterali:
- Rami Pancreatici: Si distribuiscono al corpo e alla coda del pancreas.
- Arteria Gastrica Posteriore o Arterie Gastriche Brevi: Si può avere un
unico ramo che si dirige verso la parte alta della grande curvatura dello stomaco
dando una seria di rami minori che irrorano la faccia posteriore e anteriore del
fondo dello stomaco. In alcuni di noi vengono fuori direttamente dall’arteria
splenica in rami già separati denominati arterie gastriche brevi.
- Arteria Gastroepiploica di Sinistra: Un ramo che nasce poco prima che
l’arteria splenica finisca nella milza, questo scende in basso a raggiungere la
grande curvatura dello stomaco percorrendola e anastomizzandosi con l’arteria
gastroepiploica di destra, nel percorso darà origine a rami anteriori e posteriori
che irrorano la parte pilorica e il corpo dello stomaco, in particolare la parte
prospiciente la grande curvatura.
- Arteria Epatica Comune o Gastroepatica: Diretta verso la prima parte del
duodeno, una volta raggiunta si divide in due rami:
- Arteria Epatica Propria: Un ramo che sale e prima di arrivare al fegato si
divide in arteria epatica di sinistra e di destra, dà origine ad altri due rami:
- Arteria Gastrica di Destra: Scende giù per arrivare alla piccola
curvatura dello stomaco e si anastomizza a pieno canale con l’arteria
gastrica di sinistra. Quindi lungo la piccola curvatura abbiamo un’arcata
anastomotica di derivazione inferiore e superiore, anche l’arteria gastrica
di destra dà rami anteriori e posteriori per il corpo e la parte pilorica dello
stomaco, ma non al fondo.
- Arteria Cistica: Diretta alla colecisti.
- Arteria Gastroduodenale: Passa dietro la prima parte del duodeno e si divide
in due:
- Arteria Pancreaticoduodenale Superiore: Va ad incastrarsi nella C
duodenale seguendone la concavità, contribuisce ad irrorare il duodeno e
la testa del pancreas.
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- Arteria Gastroepiploica di Destra: Si dirige verso la grande curvatura
dello stomaco, contribuisce ad irrorare lo stomaco e il grande epiploon,
effettua quindi una anastomosi con l’arteria gastroepiploica di sinistra.
- Arteria Mesenterica Superiore: Nasce dall’aorta, 2 CM sotto il tronco celiaco a
livello di L1. Si dirige in avanti e in basso, passando dietro la testa del pancreas, fra
questa e il processo uncinato, incrocia la terza parte del duodeno e penetra nella radice
del mesentere, per raggiungere la fossa iliaca destra, dove termina anastomizzandosi
con l’arteria ileocolica. L’arteria mesenterica superiore viaggia in posizione
retroperitoneale, il lato convesso dell’arteria si trova a sinistra, il lato concavo a destra.
Dal lato convesso vengono fuori dai 12 ai 20 rami che vanno verso sinistra e sono detti
genericamente arterie mesenteriche, le troviamo tra le due pagine del mesentere,
ciascuna delle arterie dopo un tragitto variabile si divide a T. I rami di divisione si
anastomizzano a pieno canale con i rami superiore e inferiore delle vicine, formando
una prima arcata anastomotica. Dalla convessità di questa prima arcata originano rami
più piccoli e numerosi che si dividono anch’essi a T per formare una seconda arcata
anastomotica. Dalla convessità della seconda arcata se ne forma una terza, il tutto
aumentando enormemente il letto vascolare. In aggiunta a queste tre arcate
anastomotiche canoniche in alcuni punti abbiamo una quarta ed una quinta arcata
anastomotica. In ogni caso dall’ultima arcata vengono fuori rami che penetrano nella
parete dell’intestino, questi sono rami terminali in senso anatomico e funzionale. Dal
lato concavo dell’arteria mesenterica nascono tre rami:
- Arteria Colica Media: Va a finire dopo un breve tragitto tra i due foglietti del
mesocolon trasverso, li si divide a T, un ramo va verso la flessura colica di
destra, l’altro verso quella di sinistra.
- Arteria Colica di Destra: Dà anche lei due rami, quello che sale si
anastomizza con il ramo destro di divisione dell’arteria colica media, quello che
scende si anastomizza con l’arteria ileocolica.
- Arteria Ileocolica: Va dall’alto in basso, si divide anch’essa a T, il ramo
ascendente si anastomizza a pieno canale con il ramo discendente dell’arteria
colica di destra, l’altro scende e si anastomizza direttamente con l’arteria
mesenterica superiore. L’ileocolica irrora anche l’ultima parte dell’ileo e del cieco.
Dall’anastomosi più bassa parte l’arteria appendicolare, un piccolo ramo per
l’appendice cecale.
- Arteria Mesenterica Inferiore: Nasce dall’aorta a circa L3, arriva alla fossa iliaca di
sinistra, ma la troviamo soprattutto piuttosto medialmente nello sbocco della pelvi. Da
questa vengono fuori due o tre arterie sigmoidee, dalla prima parte un ramo che sale e
si anastomizza a pieno canale con il ramo discendente di divisione dell’arteria colica
sinistra, un altro ramo scende con le altre due sigmoidee a irrorare il colon ileopelvico
senza fare anastomosi. Rami delle sigmoidee irrorano il terzo superiore dell’intestino
retto prendendo il nome di arterie rettali o emorroidali superiori. Dà anche un ramo:
- Arteria Colica di Sinistra: Questa si divide in un ramo che sale e si
anastomizza a pieno canale con il ramo sinistro di divisione dell’arteria colica
media, e un ramo che scende.
SISTEMA VENOSO: Tutti i vasi di cui abbiamo parlato precedentemente hanno le loro vene
comites. Il sangue refluo dell’apparato digerente fino al terzo superiore del retto, più quello di
milza e pancreas, deve andare a finire nel fegato. Qui entra nella vena porta che nasce dalla
confluenza di vena mesenterica superiore e vena splenica. La vena splenica, prima di
congiungersi alla mesenterica superiore, riceve la vena mesenterica inferiore dietro la testa del
pancreas. La vena mesenterica inferiore si trova a L1 mentre l’arteria corrispondente a L3, ed
è più lunga perché passa dietro il pancreas. In questo modo il sangue che arriva al fegato
proviene sia dalla milza, il cui sangue contiene gruppi eme da smaltire, sia dall’intestino, il cui
sangue è arricchito dai prodotti della digestione. La vena porta entra nell’ilo del fegato. Il
sangue refluo dallo stomaco va nella porta o, in alcuni di noi, le vene gastriche entrano da sole
nel fegato con il nome i vene porte accessorie. Le vene esofagee inferiori vanno nella vena
gastrica di sinistra che entra nel fegato direttamente o indirettamente. Il sistema portale è una
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successione di capillare-vena capillare-vena, con senso unico obbligato tipico del fegato ma
riscontrabile a livello microscopico anche nell’adenoipofisi e nel surrene.
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VASCOLARIZZAZIONE URINARIO
SISTEMA ARTERIOSO:
Arteria Renale : Ciascun rene riceve direttamente dall’aorta addominale una grossa arteria
renale del calibro di 5-7 MM che nasce a livello del margine inferiore di L1. La destra è
leggermente più lunga e decorre dietro la vena cava inferiore, coperta dalla testa del
pancreas e dalla porzione discendente del duodeno, mentre la sinistra è coperta dal corpo
del pancreas. Prima di penetrare nell’ilo l’arteria renale si divide in 5 arterie segmentali
delle quali 4 passano davanti alla pelvi renale ed 1 dietro. I primi rami dell’arteria renale
hanno già i caratteri delle arterie terminali e rischiano l’infarto. Ogni arteria segmentaria si
dirige alla colonna di Bertin dove, costeggiando due piramidi si biforca nelle arterie
interlobari, anch’esse terminali. Queste ultime, dopo essersi biforcate, risalgono verso la
base delle piramidi renali dove piegano ad “L” e si ramificano decorrendo parallelamente
alla base delle piramidi renali, con il versante concavo verso la midollare e il convesso
verso la corticale, formando le arterie arcuate o arciformi. Dalle arterie arcuate originano
due tipi di rami collaterali, le arterie interlobulari e le arterie rette vere. Le prime si
distaccano dal versante convesso delle arcuate e si dirigono verso la periferia del rene,
decorrendo nella parte convoluta della corticale tra i raggi midollari, segnando il limite tra
un lobulo e l’altro, giunte nella cortex corticis si risolvono in ramuscoli per l’irrorazione della
capsula fibrosa ed adiposa. Da queste si distaccano ad angolo retto le arteriole afferenti che
formano i glomeruli dei corpuscoli renali circostanti, da cui emergono le arteriole efferenti
che nei nefroni corticali capillarizzano nella corticale disponendosi intorno alle anse di
Henle, ai tubuli distali e prossimali con funzione trofica e assorbente, nei nefroni
iuxtamidollari si portano nella midollare stessa con il nome di arterie rette spurie e
direttamente o con alcune collaterali la irrorano. Le arterie rette vere si distaccano dalla
concavità delle arcuate e si portano con decorso rettilineo nelle piramidi renali fino al loro
apice, formando reti capillari peritubulari.
SISTEMA VENOSO:
Vena Renale : Tutti i capillari del rene, sia della midollare che della corticale, confluiscono
in venule, per la convergenza di più venule originano le vene interlobulari che discendono
nella corticale, accanto alle arterie omonime, raccogliendo il sangue venoso della corticale
stessa, fino a sboccare presso la base delle piramidi nelle vene arcuate. In queste ultime
terminano anche le vene corticali profonde provenienti dalle reti capillari peritubulari della
zona più profonda della corticale e le vene rette che raccolgono la circolazione della
midollare. Le vene arcuate, ampiamente anastomizzate, confluiscono nelle vene interlobari
che emergono dal parenchima renale presso le sporgenze interpapillari e che, nel seno
renale, si riuniscono in vasi di maggior calibro fino a formare una sola vena renale che esce
dall’ilo davanti all’arteria omonima e sbocca nella vena cava inferiore con sangue pulito e
filtrato dal rene.
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VASCOLARIZZAZIONE PICCOLA PELVI
SISTEMA ARTERIOSO:
L4: L’aorta addominale si biforca nell’arteria iliaca comune di destra e di sinistra che si
dirige in basso, lateralmente ed in dietro. Essa a sua volta si suddivide in arteria iliaca
esterna ed interna o ipogastrica. L’arteria iliaca esterna per un tratto decorre parallela alla
linea arcuata, poi scavalca la branca pubica per arrivare fino alla coscia, non fornendo rami
terminali ma continuando direttamente con l’arteria femorale. L’arteria iliaca interna o
ipogastrica attraversa lo stretto superiore della pelvi, è retroperitoneale e si divide in due
tronchi, uno anteriore ed uno posteriore. Il tronco posteriore ha come rami collaterali
l’arteria ileolombare e le due arterie sacrali laterali che passando attraverso il grande
forame ischiatico escono dal bacino ed entrano nella natica, ha come ramo terminale
l’arteria glutea superiore che irrora la parte laterale del sacro. Il tronco anteriore è formato
per una parte da vasi parietali, per una parte da vasi viscerali, per irrorare organi pelvici e
perineali. Tra i rami viscerali troviamo le arterie vescicali superiori, l’arteria
vescicolodeferenziale, l’arteria uterina, l’arteria rettale media o emorroidaria media,
l’arteria vaginale, le arterie vescicali inferiori. Le arterie vescicali superiori si dipartono dalla
parte iniziale dell’arteria ombelicale che resta pervia e sono rappresentate da numerosi
rami che si distribuiscono alla faccia posteriore, superiore e laterale della vescica. Da uno di
questi rami può nascere nel maschio l’arteria del dotto deferente. L’arteria
vescicolodeferenziale è omologa nel maschio dell’uterina femminile, decorre in basso e
medialmente incrociando avanti l’uretere, irrora le vescichette seminali, prima di terminare
fornisce un’arteria del dotto deferente che con un ramo discendente irrora l’ampolla
deferenziale e la prostata, con un ramo ascendente segue il condotto deferente fino
all’epididimo anastomizzandosi con l’arteria testicolare, può anche fornire un ramo per il
trigono e la parete posteriore della vescica detto arteria vescicale inferiore. Queste nel
maschio sono dette arterie vescicoprostatiche che irrorano vescica e prostata, nella
femmina sono dette arterie vescicovaginali che irrorano vescica e vagina. L’arteria uterina
si porta in basso ed in avanti, applicata alla parete laterale della pelvi, sotto il peritoneo
parietale, dopo un tragitto di 5-6 CM ripiega in dentro e si impegna tra le due pagine del
legamento largo dell’utero, raggiungendo il collo dell’utero e terminando all’altezza
dell’angolo laterale dell’utero. A questo punto si origina un ramo tubarico che irrora la tuba
ed un ramo ovarico che raggiunge l’ovaio e si anastomizza a pieno canale con l’arteria
ovarica che viene dall’alto. L’arteria rettale media decorre in dietro e medialmente fino alla
parte inferiore del retto dove si anastomizza con le arterie rettali superiori ed inferiori,
irrorando il terzo medio del retto, fornendo rami alla prostata, alle vescichette seminali e
alla vagina. L’arteria vaginale, spesso doppia o tripla, irrora la vagina ed invia rami anche
ai bulbi del vestibolo, al fondo della vescica e alle parti adiacenti del retto. Tra i rami
parietali del tronco anteriore troviamo l’arteria otturatoria, l’arteria pudenda interna e
l’arteria glutea inferiore o arteria ischiatica. L’arteria glutea inferiore è il più grosso dei rami
di divisione del tronco anteriore, essa esce dal forame ischiatico e arriva alla regione della
natica. La pudenda interna irrora i genitali esterni, più precisamente i corpi cavernosi del
pene, il clitoride, il trigono urogenitale, lo sfintere genitale dell’uretra, il terzo inferiore del
retto e i muscoli del perineo anteriore e posteriore. Questa nasce nella regione pelvica,
esce dal bacino attraverso il grande forame ischiatico, decorre appoggiata alla spina
ischiatica, poi cambia direzione e torna dentro passando per il piccolo forame ischiatico,
trovandosi nella regione perineale che va ad irrorare. La cute dei genitali esterni e la cute
del perianale sono irrorate dalle pudende esterne. L’arteria pudenda interna dà l’arteria
rettale inferiore, situata nel perineo posteriore e si dirige longitudinalmente nel perineo
anteriore viaggiando nello sdoppiamento della fascia otturatoria interna. Tra i suoi rami
terminali abbiamo l’arteria trasversa del perineo, le due arterie bulbari che irrorano il corpo
cavernoso dell’uretra, i rami scrotali che irrorano lo scroto nel maschio e i rami labiali che
irrorano le grandi labbra nella femmina, l’arteria del pene che viaggia lungo la radice del
corpo cavernoso del pene dividendosi quasi subito in un ramo profondo, che attraversa
longitudinalmente il corpo del pene, in un ramo dorsale, che decorre parallelo al corpo
cavernoso nello strato della tonaca albuginea.
SISTEMA VENOSO:
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È rappresentato dalle vene compagne omologhe delle arterie.
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NOME: Sistema Azigos, derivazione dal greco “ asimmetrico”
CARATTERISTICHE: Sistema venoso deputato a raccogliere il sangue refluo dalla parete
toracica ed alcuni organi mediastinici, quali bronchi, midollo spinale della parte toracica del
canale vertebrale ed esofago. Composto dalle vene azigos, intercostale suprema, emiazigos ed
emiazigos accessoria. Questo sistema è un esempio di metameria che si conserva solo a livello
toracico, mentre a livello lombare rimangono le vene che raccolgono sangue parietale da
questa regione e appaiono una continuazione delle intercostali. Azigos ed emiazigos nascono
da vasi derivanti dalle vene lombari ascendenti di destra e di sinistra e dalle vene iliache
esterne, essi sono tributari della vena cava inferiore e tra loro anastomizzati, le anastomosi
finiscono nella vena azigos a destra e nell’emiazigos a sinistra. Il sistema dell’azigos è quindi
un grande sistema anastomotico che unisce vena cava inferiore e superiore, vena porta e vena
cava superiore, nonostante sia un’anastomosi che generalmente non usiamo, è infatti un
sistema di bypass accessorio tra le due vene poiché la capacità del sistema non è assoluta e le
valvole non sono competenti al massimo. In caso di ostruzione della vena cava superiore il
sistema dell’azigos provvede limitatamente a portare all’atrio il sangue della regione craniale
attraverso un’inversione di flusso, ma la compensazione è solo parziale e causa un aumento di
pressione nelle vene del collo, dello splancnocranio, del neurocranio e degli arti superiori.
Vena Azigos:
Vaso impari che si origina sotto il diaframma nella parte superiore destra dell’addome
come continuazione della vena lombare ascendente destra, passa il diaframma ed entra
nel torace occupando il mediastino posteriore a ridosso e a destra dei corpi vertebrali.
Salendo si ingrossa accogliendo il sangue dagli ultimi 7-8 spazi intercostali. A T4 cambia
improvvisamente direzione, gira in avanti di 90° aperto in basso, scavalca il peduncolo
polmonare di destra e si getta nella parete posteriore della vena cava superiore
lasciando un’impronta sulla pleura di destra insieme alla vena cava stessa. Possiede a
metà dell’arco un’unica coppia di valvole non sufficienti. Posteriormente con la colonna
vertebrale e le arterie intercostali destre, anteriormente con l’esofago attraverso
l’interposizione della pleura, a destra con la pleura mediastinica, a sinistra con il dotto
toracico che la separa dall’aorta.
Vena Intercostale Suprema di Destra:
Vi confluiscono le prime 2-3 vene intercostali destre, sbocca nell’azigos nel punto in cui
questa scavalca il peduncolo polmonare.
Vena Emiazigos:
Origina a sinistra tra i pilastri del diaframma come continuazione della vena lombare
ascendente sinistra che la mette in comunicazione con la vena iliaca comune ed ha
anastomosi con la vena renale, la vena spermatica interna e le vene surrenali. Risale
nel mediastino posteriore, a sinistra dei corpi vertebrali, davanti alle arterie intercostali
sinistre e dietro all’aorta toracica. Presso T8-T9 si inflette verso destra e, passando
davanti ai corpi vertebrali, dietro all’aorta toracica e al dotto toracico, raggiunge la vena
azigos. Riceve le ultime 5-6 vene intercostali sinistre, non ha valvole.
Vena Emiazigos Accessoria:
Vi confluiscono le prime 6-7 vene intercostali sinistre, scende a sinistra dei corpi
vertebrali, poi si inflette verso destra per raggiungere il tronco dell’azigos sopra lo
sbocco della vena emiazigos alla quale si può unire o anastomizzare. Le prime 2-3 vene
intercostali sinistre confluiscono talvolta nella vena intercostale suprema di sinistra
tributaria del tronco venoso brachiocefalico sinistro.
Vene Bronchiali Posteriori, Esofagee, Mediastiniche e Freniche Superiori:
Provengono dai rispettivi organi o regioni e sono tributarie di azigos, emiazigos ed
emiazigos accessoria.
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NOME: Timo, derivazione dal greco “alla pari”
POSIZIONE:
Nel mediastino anteriore e in piccola parte nel collo.
Un organo transitorio, infatti è notevolmente sviluppato nel feto, ma
CARATTERISTICHE:
durante la pubertà va incontro ad involuzione con grado di variabilità individuale. È un organo
linfoepiteliale in cui ha sede lo sviluppo dei linfociti T. Un organo impari e mediano, derivante
da due formazioni pari e simmetriche, i lobi timici. Alla nascita appare rosa-bianco grigiastro.
Ha la forma di una piramide quadrangolare, con la base inferiore che si porta nel mediastino e
l’apice superiore che risale nel collo. L’apice risulta talvolta diviso in due formazioni cornoidi,
denominati corni timici.
RAPPORTI: La faccia anteriore nel collo con la fascia cervicale media e con i muscoli sotto
ioidei, nel mediastino anteriore con il manubrio e la parte superiore del corpo dello streno, con
i vasi toracici interni e con l’estremità dei primi 4-6 spazi intercostali. La faccia posteriore, nel
collo, ricopre la trachea entrando in rapporto con le carotidi comuni. Nell’apertura superiore
toracica questa faccia è attraversata dal tronco venoso brachiocefalico di sinistra. Nel
mediastino, dietro al timo, si trovano la vena cava superiore, la parte ascendente dell’arco
aortico e, tramite il pericardio, l’origine delle gradi arterie. Lateralmente nel collo si trovano le
vene giugulari interne, nel mediastino con la pleura mediastinica e i polmoni e a sinistra
decorrono il nervo frenico e i vasi pericardicofrenici.
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NOME: Dotto Toracico.
POSIZIONE: Nasce a livello di L2 come continuazione della cisterna del chilo, una formazione
sacciforme in cui confluiscono tutti i tronchi linfatici sottodiaframmatici, passa nel torace
mediante l’orifizio aortico del diaframma, percorre verticalmente il mediastino posteriore dietro
all’esofago e a ridosso della colonna vertebrale, decorrendo parallelamente all’aorta. Quando
sta per uscire dal torace devia verso sinistra, valica il peduncolo polmonare e si getta nella
vena succlavia di sinistra. In questo percorso è raggiunto da condotti linfatici minori degli
organi mediastinici, quindi si ingrandisce. La parte più alta raccoglie anche gran parte della
linfa formatasi a livello degli arti superiori, del collo e del cranio.
CARATTERISTICHE: È il più grande condotto linfatico del nostro corpo. La sua disposizione è
estremamente variabile a seconda dei soggetti. Spesso la cisterna è doppia, solo a volte unica
e raramente tripla. Spesso la porzione sottoazigosaortica è costituita da due rami isolati o uniti
da anastomosi, oppure dà rami a disposizione plessiforme. La porzione sopraazigosaortica è il
più delle volte costituita da un tronco semplice e unico.
Sistema linfoghiandolare:
Il sistema linfoghiandolare del mediastino è particolarmente complesso, queste le principali
stazioni linfonodali del mediastino:
- Linfonodi della biforcazione, linfa reflua dai bronchi, dai polmoni e dagli organi impari.
- Linfonodi dell’ilo del polmone, linfa reflua dai polmoni.
- Linfonodi paratracheali, linfa reflua dal terzo superiore del polmone di destra e di
sinistra.
I linfonodi ricevono capillari afferenti che penetrano attraverso un punto qualunque della
superficie linfonodale; gli efferenti, più voluminosi e meno numerosi, escono invece dall’ilo,
accompagnati dai vasi sanguigni. All’interno i linfociti bypassano la linfa, fermando e
distruggendo virus e batteri. I linfociti sono disposti in serie, questo aumenta la probabilità di
distruzione degli agenti not-self.
RAPPORTI: Posteriormente è separato dai corpi vertebrali per la presenza della prima parte
delle arterie intercostali di destra e delle porzioni terminali delle vene emiazigos e emiazigos
accessoria. Anteriormente con aorta ed esofago, a destra con la vena azigos e a sinistra con
l’emiazigos.
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NOME: Milza, derivazione dal latino “molle”
POSIZIONE: Sempre protetta dall’arcata costale e mai palpabile se non in caso di
splenomegalia. Si trova nel piano sovramesocolico della cavità addominale e proietta
nell’ipocondrio di sinistra a livello della parete laterale del torace più o meno presso la 9^-11^
costa.
Ha la forma di un semiovoide. L’asse maggiore è obliquo e orientato
CARATTERISTICHE:
dall’alto in basso, dal dietro all’avanti, dall’interno all’esterno, questo è parallelo a quello della
10^ costa. Peso e dimensioni variano in funzione della quantità di sangue. Il colore è rosso
brunastro e la consistenza è relativamente dura. Va frequentemente incontro a rottura in
seguito a traumi toracici o addominali. Si considerano due facce, una esterna diaframmatica e
convessa, una interna viscerale e concava suddivisa da un rilievo longitudinale in una parte
anteriore più estesa denominata faccia gastrica, una parte posteriore denominata faccia renale.
Sulla faccia gastrica al limite del rilievo che la determina si trova l’ilo della milza sormontato
dalla tuberosità lienale. Presenta inoltre tre margini e due poli. Il margine superiore o anteriore
separa la faccia gastrica dalla diaframmatica, il margine inferiore o posteriore separa la faccia
diaframmatica dalla renale, il margine interno divide la faccia renale dalla gastrica. Il polo
superiore o posteriore è arrotondato, quello inferiore o anteriore è più acuto.
Mezzi di Fissità : Avvolta completamente dal peritoneo tranne lungo certe linee per portarsi a
stomaco, pancreas e diaframma costituendo tre legamenti:
Legamento Gastrolienale : Va dal labbro anteriore dell’ilo al fondo dello stomaco, si
presenta come un setto verticale diretto dal dietro in avanti e dall’esterno all’interno,
contenendo i vasi gastrici brevi, rami dell’arteria lienale e affluenti della vena lienale.
: Va dal labbro posteriore dell’ilo della milza alla
Legamento Pancreaticolienale
parete addominale posteriore dove ricopre il pancreas, la parte della faccia anteriore del
rene e del surrene sinistro, il diaframma.
Legamento Frenicolienale
: Va dal polo superiore della milza e dal tratto superiore
dell’ilo sino al diaframma.
Il legamento frenocolico offre sostegno pur non contraendo rapporti con la milza ma svolgendo
una funzione di supporto essendo teso dalla flessura colica di sinistra alle origini costali
diaframmatiche. Anche la pressione addominale positiva contribuisce a mantenere la milza in
sospensione.
RAPPORTI: La faccia diaframmatica per mezzo del diaframma con la pleura, il polmone
sinistro e la parete costale. La faccia gastrica con il fondo e con la faccia posteriore del corpo
dello stomaco, più in basso e lateralmente con la flessura colica sinistra. La parte superiore
della faccia gastrica e la regione dell’ilo corrispondono alla borsa omentale ed entrano in
rapporto con la coda del pancreas. La faccia renale con la faccia anteriore di rene e surrene
sinistro. Il polo superiore con la colonna vertebrale a T10. Il polo inferiore con il legamento
frenocolico sinistro. I rapporti variano a seconda del volume dei visceri vicini e all’attività
respiratoria.
STRUTTURA: Esternamente è delimitata da una capsula di connettivo denso contenente un
sottile strato di tessuto muscolare liscio. Dalla superficie interna di questa capsula si origina un
complesso di spesse trabecole che si interrompono poco dopo. La capsula si approfonda nella
faccia mediale verso l’ilo. I vasi arteriosi decorrono tra le trabecole e le abbandonano per
approfondarsi nell’organo, l’interno della milza è denominato polpa splenica ed è sostenuto da
una rete tridimensionale di connettivo reticolare. La maggior parte della polpa, essendo
riccamente vascolarizzata, è denominata polpa rossa ed è costituita da vasi ad ampio lume e
parete sottile, seni venosi o sinusoidi splenici e accumuli di cellule sanguinee situati tra i seni a
formare i cordoni splenici. Inoltre, dispersi nella polpa rossa, vi sono cellule linfoidi che si
dispongono in noduli bianco grigiastri che costituiscono la polpa bianca.
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NOME: Naso.
POSIZIONE: Nell'uomo il naso occupa la parte centrale del viso posizionato al di sopra della
bocca. È costituito da una parte sporgente, piramide nasale, da una parte interna, cavità
nasale, suddivisa da una parete mediale, setto nasale.
CARATTERISTICHE: Il naso è l'organo del senso dell'olfatto. La piramide nasale è rivestita da
una cute ricchissima di ghiandole sebacee ed è parzialmente costituita da un corpo
cartilagineo. Le fosse nasali sono due corridoi paralleli generalmente simmetrici. Ciascuna delle
fosse è a sua volta ripartita in due aree: il vestibolo, nella parte anteriore, la fossa
propriamente detta nella parte posteriore. Il setto nasale è in parte cartilagineo ed in parte
osseo. Le cavità nasali rappresentano la parte più complessa del naso, esse, infatti, esercitano
una triplice funzione: respiratoria, olfattoria e fonatoria.
Funzione respiratoria: Durante l'inspirazione, l'aria attraversa le fosse, da lì si divide in due
flussi, di cui uno passa a contatto con la mucosa olfattoria, ed entrambi giungono alla
rinofaringe. L'aria umidificata e scaldata viene ulteriormente filtrata per mezzo di grossi peli e
di secrezioni nasali.
Funzione olfattoria: Le particelle odorose convogliate verso la mucosa olfattiva ne stimolano
le ghiandole che trasmettono tramite il nervo olfattivo ai centri olfattivi cerebrali e diventano
sensazioni di odore.
Funzione fonatoria: Le fosse nasali contribuiscono alla corretta pronuncia e modulazione
delle consonanti nasali.
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NOME: Laringe.
POSIZIONE: Il laringe occupa una posizione mediana nella loggia dei visceri del collo, al di
sotto dell’osso ioide e corrisponde dalla 4^ alla 6^ vertebra cervicale. È lungo 4 CM, largo 3,6
CM con variazioni in base a sesso ed età.
CARATTERISTICHE: Il laringe è un condotto impari e mediano che segue il faringe, dietro alla
lingua, continua nella trachea. Serve al passaggio dell’aria inspirata ed espirata, all’emissione
di suoni e attraverso un dispositivo di chiusura evita che il bolo alimentare passi nelle vie
respiratorie. Ha la forma di una piramide triangolare, con la base in alto posizionata sotto e
dietro la radice della lingua, con l’apice tronco che continua nella trachea. Le facce
anterolaterali sono ricoperte profondamente dai lobi laterali della ghiandola tiroide,
superficialmente dai muscoli sottoioidei, dalle fasce superficiale e media, dal platisma e dalla
cute. Anteriormente, al di sotto della cute, è presente la prominenza laringea o pomo d’Adamo
corrispondente all’angolo formato dalla convergenza delle facce anterolaterali della cartilagine
tiroide della laringe, al di sotto di questa si trova l’anello della cartilagine cricoide. La faccia
posteriore è rivolta verso il faringe a cui è unita da connettivo lasso. Data la sua conformazione
convessa introflette il faringe. Nella parte più alta si trova l’incisura interaritenoidea,
lateralmente delimita le docce faringolaringee o seni piriformi. L’apertura superiore della
laringe o adito laringeo stabilisce la comunicazione tra laringe e faringe attraverso un orifizio
ovoidale a cui posteriormente segue l’incisura interaritenoidea. Il laringe si innalza e si abbassa
attivamente durante la deglutizione, la respirazione e la fonazione, passivamente con i
movimenti della colonna cervicale. Può essere mobilizzata lateralmente con la palpazione. I
mezzi di fissità del laringe sono la trachea, il faringe, i muscoli e i legamenti che lo connettono
all’osso ioide e al torace.
STRUTTURA: Il laringe è formato da vari pezzi cartilaginei tra loro articolati, la mobilità
reciproca dei vari pezzi cartilaginei e dell’organo in toto è dovuta al ricco corredo muscolare.
Cartilagine Tiroidea: La cartilagine tiroidea è impari e si trova nella parte anteriore, laterale
e superiore del laringe, al di sotto dell’osso ioide e al di sopra dell’arco della cartilagine
cricoide. Ha forma di uno scudo ed è formata da due lamine quadrilatere verticali di connettivo
che convergono in avanti presso il mezzo e si fondono soltanto presso la metà inferiore.
Formando un angolo retto nel maschio e ottuso nella femmina e nel bambino. In ogni lamina si
distingue una faccia laterale che è pianeggiante e percorsa da una cresta data da una linea
obliqua che divide la faccia in una regione anteriore, più estesa e ricoperta dal muscolo
tiroioideo, e in una regione posteriore più ristretta e ricoperta dai muscoli sternotiroideo e
costrittore inferiore del faringe. La faccia mediale è liscia e lievemente concava il margine
superiore risulta depresso sulla linea mediana dell’incisura tiroidea, sul margine inferiore si
trova il tubercolo tiroideo inferiore. Nei punti in cui i margini superiore e inferiore si uniscono
con il margine posteriore hanno origine i corni tiroidei superiore ed inferiore.
Cartilagine Cricoidea: La cartilagine cricoidea è l’elemento scheletrico fondamentale del
laringe in quanto sostiene le altre cartilagini e dà attacco a importanti muscoli. È posta al di
sotto della cartilagine tiroidea, con la quale si articola attraverso i corni inferiori, e al di sopra
del primo anello tracheale con il quale si unisce mediante il legamento cricotracheale. Ha forma
di un anello con castone, vi si distinguono due superfici e due margini. La superficie esterna è
convessa e percorsa da un rilievo verticale e mediano denominato cresta della lamina ai lati del
quale vi sono le fosse della lamina. La superficie interna è liscia e risulta concava nella parte
superiore della lamina. L’apertura delimitata dal margine superiore è ovale, mentre quella del
margine inferiore è circolare.
Cartilagini Aritenoidee: Le cartilagini aritenoidee di destra e di sinistra sono poste al di sopra
del castone della cartilagine cricoidea, poggiano sulle faccette articolari aritenoidee e risultano
mobilissime poiché danno attacco a numerosi muscoli. Hanno forma di piramide triangolare
con apice in alto e base in basso. L’apice, incurvato in dentro e in dietro, si unisce alla
cartilagine corniculata di Santorini.
Cartilagine Corniculate: Le cartilagini corniculate sono due piccoli coni con apice ad uncino
incurvato in dietro e in dentro, si connettono con l’apice delle cartilagini aritenoidee e vengono
ritenute parte delle aritenoidee resesi indipendenti.
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Cartilagini Cuneiformi: Le cartilagini cuneiformi sono due piccoli bastoncelli paralleli al
margine anteriore delle cartilagini aritenoidee, la loro estremità anteriore determina il
tubercolo cuneiforme e vengono ritenute parte della cartilagine epiglottide resesi indipendenti.
Cartilagine Epiglottide: La cartilagine epiglottide è impari e mediana e posta al di sopra della
cartilagine tiroide, dietro l’osso ioide. Ha la forma di una foglia ovale il cui gambo è unito alla
faccia interna dell’angolo della cartilagine tiroide tramite il legamento tiroepiglottico. Le
superfici della cartilagine epiglottide sono cosparse di fossette che ospitano ghiandole mucose.
L’epiglottide funziona come una valvola che si abbassa a chiudere l’adito alla laringe durante la
deglutizione.
MUSCOLI:
Muscolo Cricotiroideo: Posto nella parte inferiore della faccia anterolaterale del
laringe, ha forma di triangolo con apice tronco fissato all’arco cricoideo e base che
raggiunge il margine inferiore della cartilagine tiroide. Si divide in due fasci, il mediale è
quasi verticale e forma la parte retta, il laterale è quasi trasversale e forma la parte
obliqua. Questo muscolo, quando prende punto fisso sulla cartilagine tiroide, spinge in
dietro la cartilagine cricoide e aritenoide, quando prende punto fisso sulla cartilagine
cricoide, porta in basso e in avanti la cartilagine tiroide, in entrambi i casi tende i
legamento vocale e per questo è detto muscolo tensore delle corde vocali.
Muscolo Cricoaritenoideo Posteriore: Posto dietro la cartilagine cricoide e sotto la
muscosa faringea. Ha forma triangolare e i suoi fasci originano dalla fossa della lamina
della cartilagine cricoide portandosi lateralmente e in alto fino al processo muscolare
della cartilagine aritenoide. I due muscoli contraendosi portano medialmente e in basso
i processi muscolari delle aritenoidi, così i processi vocali si allontanano e si innalzano
dilatando la rima glottidea.
Muscolo Cricoaritenoideo Laterale: Applicato lateralmente al cono elastico e coperto
dalla lamina della cartilagine tiroide. Ha forma triangolare e si tende dal margine
superiore dell’arco cricoideo al processo muscolare dell’aritenoide. I due muscoli
contraendosi portano lateralmente i processi muscolari delle aritenoidi e inclinano
medialmente i processi vocali, ne deriva un avvicinamento delle corde vocali e una
costrizione della rima glottidea.
Muscolo Tiroaritenoideo: Origina nei due terzi inferiori della faccia posteriore della
lamina tiroidea presso l’angolo e sul legamento circotiroideo. I suoi fasci si portano in
dietro e in alto decorrendo nella compagine della corda vocale. Prende inserzione sul
margine laterale, sulla fossa oblunga e sul processo vocale della cartilagine aritenoide.
Vi si distinguono un fascio laterale e un fascio mediale, il primo è costrittore della
glottide e adduttore della corda vocale, il secondo provoca la tensione della corda vocale
e per questo è detto muscolo vocale.
Muscolo Aritenoideo Obliquo: Sovrasta il muscolo cricoaritenoideo posteriore ed è
ricoperto dalla muscosa faringea, ha origine dal processo muscolare dell’aritenoide di un
lato e si inserisce all’apice dell’aritenoide dell’altro lato, fondendosi in parte con il
muscolo ariepiglottico. I due muscoli agiscono ristringendo l’adito e il vestibolo del
laringe.
Muscolo Aritenoideo Trasverso: Impari e ricoperto posteriormente dai due muscoli
aritenoidei obliqui, è teso tra i margini laterali delle due cartilagini aritenoidi e la sua
azione è sinergica a quella degli aritenoidei obliqui.
Muscolo Ariepiglottico: Origina dalla porzione alta del margine laterale dell’aritenoide
e dal muscolo aritenoido obliquo, penetra nella plica ariepiglottica e termina sul margine
laterale dell’epiglottide. Chiude l’adito del laringe traendo in basso l’epiglottide.
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NOME: Trachea, derivazione dal greco “rugoso”
POSIZIONE: L’estremità superiore si trova nel collo al limite con il laringe (C6-C7). Il canale
discende nel torace all’interno della cavità mediastinica e qui si biforca nei bronchi. L’estremità
inferiore si trova proiettata a T3-T4 posteriormente e a livello della 2^ cartilagine costale
anteriormente.
Un canale impari e mediano di forma cilindrica, appiattito
CARATTERISTICHE:
posteriormente. È lunga 10-12 CM con un diametro di 16-18 MM. Sul lato sinistro presenta due
lievi depressioni, la prima nel collo dovuta alla tiroide e denominata impronta tiroidea, la
seconda nel torace dovuta all’arco aortico e denominata impronta aortica. È costituita da 15-20
anelli cartilaginei, incompleti posteriormente dove presentano la parte membranosa, tra loro
connessi da lamine fibrose chiamati legamenti anulari. Costituiscono il vero e proprio scheletro
del condotto, mantenendone il lume pervio. La trachea in alto ha un decorso mediano e quasi
verticale, in basso devia verso destra e dorsalmente. Nel punto di biforcazione la trachea non è
mobile ma saldata al centro frenico del diaframma attraverso fasci di connettivo fibroso, al
contrario alla sua estremità superiore essa risulta mobile e si sposta seguendo i movimenti del
laringe nella fonazione e nella deglutizione, è inoltre elastica ed estensibile. Si distinguono due
parti:
- PARTE CERVICALE : Lunga 4 CM, comprende 5-6 anelli, ha per limite inferiormente
l’incisura giugulare dello sterno (T1-T2). I primi 3 anelli sono coperti anteriormente
dalla ghiandola tiroide e immediatamente al di sotto da connettivo adiposo contenente
linfonodi pretracheali e vene tiroidee inferiori, nella prima infanzia anche i corni cervicali
del timo.
- PARTE TORACICA : Circondata da connettivo lasso e decorre ai limiti fra il mediastino
anteriore e posteriore.
RAPPORTI: Si distinguono due parti:
- PARTE CERVICALE: Lateralmente decorrono l’arteria carotide comune, la vena giugulare
interna, il nervo vago, i lobi della ghiandola tiroide, il fascio vascolonervoso del collo.
- PARTE TORACICA: Anteriormente con la vena anonima di sinistra, il timo, i muscoli
sottoioidei, lo sterno, l’arco dell’aorta e la carotide comune sinistra. A destra con il
nervo vago destra, la vena azigos e la pleura mediastinica. A sinistra con il nervo
ricorrente sinistro, arco aortico e pleura mediastinica. In dietro con l’esofago.
- BIFORCAZIONE : Con il pericardio e gli atri del cuore.
STRUTTURA: Formata da quattro tonache concentriche:
- TONACA MUCOSA: La più interna, a diretto contatto con l’aria, costituita da epitelio
pseudostratificato che riposa su una lamina connettivale propria. È costituito da 4 tipi di
cellule:
- CELLULE CALICIFORMI MUCIPARE : Producono e secernono muco che ha
funzione protettiva e detergente, per spostarsi ed espellere le particelle che
trattiene si serve delle cellule ciliate, la sua densità dipende dal grado di
idratazione ed influenza la capacità di stratificarsi e il grado di umidità.
- CELLULE CILIATE: Batiprismatiche, presentano ciglia che battono con un
movimento ordinato verso la laringe.
- CELLULE ARGENTAFFINI o APUD: Hanno capacità endocrina e paracrina,
secernono serotonina, parte della quale verso i capillari, parte nell’interstizio e di
conseguenza al muscolo tracheale stimolando le cellule muscolari lisce a
contrarsi senza bisogno di stimoli nervosi.
- CELLULE INDIFFERENZIATE : Le più basali, danno origine agli altri tre tipi di
cellule.
- TONACA SOTTOMUCOSA: Vascolarizzata da vasi, nervi e linfatici, contiene ghiandole
tubuloacinose miste il cui dotto secernente sbocca nel lume della trachea e secernono
muco molto idratato che va a sommarsi a quello delle mucipare, sono dette ghiandole
tracheali.
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- TONACA FIBROCARTILAGINEA: Manicotto di tessuto fibroso in cui sono disposti
trasversalmente anelli di cartilagine ialina incompleti posteriormente, le cui due
estremità sono unite da muscolatura liscia detta muscolo tracheale, il bersaglio della
serotonina. Serve a dare rigidità alla trachea e ad impedire il collabimento delle pareti al
momento dell’inspirazione.
- TONACA AVVENTIZIA : Sottile strato di connettivo lasso con funzione protettiva.
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NOME: Bronchi, derivazione dal greco “arbusto”
POSIZIONE: Nascono dalla biforcazione della trachea (T4-T5) prendendo il nome di bronco
destro e sinistro o bronchi extrapolmonari. Raggiungono poi l’ilo dei polmoni e si arborizzano al
loro interno divenendo bronchi intrapolmonari.
Si portano in basso e lateralmente rispetto alla trachea, formando angoli
CARATTERISTICHE:
differenti rispetto al suo asse, 20° a destra e 40-50° a sinistra per un totale di 70°. Entrano
nella compagine dei peduncoli polmonari.
- BRONCO DESTRO : Calibro maggiore, 15 MM, lunghezza minore, 2 CM. Queste
differenze sono dovute al fatto che il polmone destro ha maggior capacità respiratoria.
- BRONCO SINISTRO: Calibro 11 MM, lunghezza 5 CM.
Alle suddivisioni polmonari corrispondono altrettante ramificazioni bronchiali di diverso ordine,
queste fino ai bronchioli terminali sono monopodiche e formano un angolo acuto, in seguito
divengono dicotomiche e formano un angolo ottuso o una divisione a T:
- BRONCO PRINCIPALE : Entra nel polmone.
- BRONCHI DI PRIMO ORDINE o LOBARI : Forniscono i Lobi.
- BRONCHI DI SECONDO ORDINE o ZONALI o SEGMENTALI : Forniscono le Zone.
- BRONCHI INTERLOBULARI : Decorrono nel connettivo interlobulare.
- BRONCHI LOBULARI : Forniscono i Lobuli, calibro 1 MM.
- BRONCHIOLI INTRALOBULARI : Ramificazioni all’interno del lobulo del bronco lobulare,
calibro 0,3 MM.
- BRONCHIOLI TERMINALI: Forniscono gli Acini, sono ramificazioni ripetute dei bronchioli
intralobulari all’interno del lobulo.
- BRONCHIOLI RESPIRATORI: Sono due ramificazioni di ogni bronchiolo terminale a
livello dell’acino, sono detti anche bronchioli alveolari perché presentano lungo il loro
decorso estroflessioni emisferiche dette alveoli.
- CONDOTTI ALVEOLARI : Ramificazioni terminali del bronchiolo respiratorio, circa 2-10
ciascuno, la loro parete è completamente formata da una successione di alveoli.
- INFUNDIBOLI o SACCHI ALVEOLARI: Diramazioni dei condotti alveolari che si dilatano a
fondo cieco, con la parete estroflessa in alveoli e formano 70-100 M di superficie
respiratoria.
RAPPORTI: Rami dell’arteria polmonare, arterie bronchiali, vene bronchiali anteriori e
posteriori, rami bronchiali del vago e con il plesso cardiaco. A cavaliere del bronco sinistro
l’aorta, mentre lo stesso bronco all’origine è incrociato posteriormente dall’esofago. Dietro al
bronco destro decorre la vena azigos che per gettarsi nella cava superiore descrive un arco
sopra al bronco stesso.
STRUTTURA: Fino ai bronchi principali viene rispettato il modulo ripetitivo presentato dalla
trachea. Passando dal bronco principale al bronco lobare e proseguendo nelle successive
ramificazioni iniziano le prime modificazioni macroscopiche:
- Gli anelli cartilaginei si frammentano in placche diminuendo di quantità.
- La muscolatura liscia aumenta di pari passo con la diminuzione della cartilagine, questa
è formata da fascetti a decorso dapprima circolare poi spirale per far si che la
contrazione muscolare, oltre a restringere il lume, accorci i bronchi impedendone
l’occlusione.
Dal bronchiolo terminale al respiratorio scompare la cartilagine poiché si annulla il rischio di
collabimento. Aumenta in proporzione la componente di muscolatura liscia e scompaiono le
ghiandole sottomucose che ridurrebbero il calibro, tende a diminuire anche il numero delle
cellule mucipare e ciliate. Compaiono le cellule di Clara, cellule globose con la membrana
apicale sollevata in prolungamenti simili ai microvilli, producono granuli detti corpi lamellari
formati da proteine e lipidi, questi vengono periodicamente liberati nel lume del bronchiolo
respiratorio abbassando la tensione superficiale ed evitando il collasso delle pareti del
bronchiolo.
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NOME: Polmoni, derivazione dal greco “soffio”
POSIZIONE: I due polmoni, destro e sinistro, sono posti nella cavità toracica al di sopra del
diaframma e la occupano quasi completamente, con esclusione del mediastino.
CARATTERISTICHE: L’organo in cui avviene l’ematosi, ovvero lo scambio di gas tra aria e
sangue. In numero di due, destro e sinistro, contenuti nelle logge pleuropolmonari e separati
da uno spazio mediano compreso tra la colonna vertebrale e lo sterno denominato mediastino.
Dalla cavità mediastinica ciascun polmone riceve il rispettivo peduncolo polmonare composto
da bronchi, vasi e nervi. I polmoni sono avvolti da una sierosa composta da due foglietti, uno
viscerale e uno parietale, tra questi si delimita una cavità pleurica che permette ai polmoni di
espandersi. I polmoni hanno un diametro verticale di 25-26 CM, sagittale di 16 CM, trasverso a
destra 10-11 CM a sinistra 7-8 CM. Il rapporto tra polmone destro e sinistro per il volume è di
11 a 10 per il peso è di 680 G a 620 G. Il peso specifico del polmone che non ha respirato è
1068 contro 490 di quello che ha respirato, questo permette l’esame di docimasia idrostatica.
La capacità polmonare in inspirazione ordinaria è di 3400-3700 CM, in inspirazione forzata è
di 5000-6000 CM. L’aria respiratoria ordinaria è 500 CM. Il colore dei polmoni varia a
seconda dell’utilizzo, prima della nascita sono rosso-bruno, nel bambino sono rosati, nell’adulto
divengono grigiobiancastro con un numero crescente di macchie scure, fino a farsi
grigioardesia nell’anziano, questi mutamenti sono dovuti all’accumulo di pigmento nel
connettivo interstiziale intorno ai vasi. Con l’avanzare dell’età si accentua il disegno aureolare
dovuto alla colorazione del connettivo interstiziale in cui i macrofagi si depositano. La
consistenza è molle e spugnosa, comprimendolo si produce un caratteristico crepitio dovuto
allo spostamento di bollicine d’aria e alla rottura di pareti alveolari. I polmoni hanno una buona
elasticità che consente il ritorno elastico. I polmoni hanno la forma di un cono cui è stato
asportato ¼ mediale, con la base orientata in basso e l’apice superiore arrotondato. Attraverso
la cavità pleurica, la faccia costovertebrale si pone in rapporto alla pleura parietale, oltre la
quale con l’interposizione di uno strato sottosieroso lasso si trova la fascia endotoracica, che
aderisce al piano periostale e aponeurotico della parete toracica.
- BASE o FACCIA DIAFRAMMATICA : Di forma semilunare, inclinata in basso e in dietro,
concava medialmente, si modella sulla convessità del diaframma. A sinistra è formata
principalmente dal lobo inferiore, a destra anche il lobo medio partecipa alla
delimitazione della base polmonare in sede anteriore e mediale.
- FACCIA LATERALE o COSTOVERTEBRALE: Convessa, corrisponde alle coste e agli spazi
intercostali, si estende in dietro fino alle parti laterali dei corpi delle vertebre toraciche,
in avanti fin quasi alla linea mediana. È la più estesa delle facce polmonari,
posteriormente è accolta nella doccia polmonare del torace. In alto continua con l’apice,
in basso con la base, in avanti e in dietro, per mezzo dei margini anteriore e posteriore
con la faccia mediale.
- FACCIA MEDIALE o MEDIASTINICA : Corrisponde al mediastino, concava, verticale e
compresa tra il margine posteriore e anteriore. Presenta a metà della sua altezza l’ilo a
destra a forma rettangolare, a sinistra a forma di racchetta con il manico rivolto verso il
basso, dove entrano il peduncolo polmonare e dei linfonodi ilari. A livello dell’ilo ha
luogo la riflessione della pleura parietale in quella viscerale, al disotto dell’ilo i due
foglietti sierosi si prolungano inferiormente dal peduncolo polmonare al diaframma,
formando i legamenti triangolari dei polmoni o polmonari.
- APICE : Al di sopra del margine superiore della seconda costa, con forma di cono
arrotondato. A destra appare incurvato in avanti e medialmente, a sinistra è meno
chiaramente distinto dal resto dell’organo.
- MARGINE ANTERIORE : Molto sottile, inizia sotto l’apice scendendo verticalmente tra la
faccia laterale e la mediale, è convesso, a sinistra presenta inferiormente l’incisura
cardiaca, forma una piccola sporgenza detta lingula che ricopre l’apice del cuore.
- MARGINE POSTERIORE : Arrotondato, separa posteriormente la faccia laterale da quella
mediale, in basso sfuma gradualmente nell’avvicinarsi al margine inferiore.
- MARGINE INFERIORE : Semilunare, presenta un tratto laterale convesso e uno mediale
concavo, lateralmente separa la base dalla faccia costovertebrale, medialmente è più
corto e meno tagliente, segnando il confine tra base e faccia mediastinica.
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SCISSURA PRINCIPALE od OBLIQUA: Origina nella parte superiore dell’ilo, si dirige in
alto e in dietro, oltrepassa il margine posteriore e attraversa la faccia costovertebrale,
portandosi obliquamente in basso e in avanti fino alla base, attraversandola e
continuando sulla faccia mediale per terminare nella parte inferiore dell’ilo.
SCISSURA SECONDARIA o ORIZZONTALE: Si stacca dalla principale sulla faccia laterale
a livello della 4^ costa, attraversa orizzontalmente la faccia laterale, oltrepassa il
margine anteriore e decorre con leggera obliquità verso l’alto, percorrendo la faccia
mediastinica e terminando all’ilo.
SCISSURA DI SINISTRA: Corrisponde alla principale di destra, divide il polmone sinistro
in due lobi.
LOBI : Sono la prima divisione dei polmoni in parti distinte anatomicamente per la
presenza delle scissure e relativamente indipendenti dal punto di vista funzionale in
quanto presentano vascolarizzazione e ventilazione propria. A destra sono presenti tre
lobi, superiore, medio e inferiore, a sinistra due, superiore e inferiore.
ZONE o SEGMENTI POLMONARI: Nell’ambito di ciascun lobo è possibile distinguere
territori ben delimitati e contigui denominati zone o segmenti polmonari, con
indipendenza anatomica per la presenza di un’arteria zonale, di un bronco zonale e di
una rete venosa perizonale. In ciascun polmone si individuano dieci zone:
- Polmone Sinistro:
- Lobo Superiore:
- Apicale
- Posteriore
- Anteriore
- Linguale Superiore
- Linguale Inferiore
- Lobo Inferiore:
- Superiore o Apicale
- Basale Interno
- Basale Anteriore
- Basale Esterno
- Basale Posteriore
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- Polmone Destro:
- Lobo Superiore:
- Apicale
- Posteriore
- Anteriore
- Lobo Medio:
- Esterno o Laterale
- Interno o Mediale
- Lobo Inferiore:
- Superiore o Apicale
- Basale Interno
- Basale Anteriore
- Basale Esterno
- Basale Posteriore
LOBULI : In ciascuna zona sono presenti parti ancora più piccole, sebbene
macroscopicamente apprezzabili, la suddivisione lobulare del polmone ha soprattutto
significato dal punto di vista strutturale. I loro limiti risultano visibili sotto forma di
sottili linee di pigmento antracotico corrispondente al connettivo interstiziale che
individuano areole poligonali.
ACINI : Dieci, quindici unità elementari presenti in ogni lobulo, cui fanno capo le ultime
ramificazioni dei bronchi intrapolmonari.
RAPPORTI:
- BASE o FACCIA DIAFRAMMATICA: Anteriormente con il diaframma e per mezzo di
questo con il lobo sinistro del fegato, lo stomaco e la milza. Posteriormente dove scende
più in basso entra in rapporto con rene e surrene.
- FACCIA LATERALE o COSTOVERTEBRALE : Nella sua porzione superiore presenta delle
depressioni denominate impronte costali.
- FACCIA MEDIALE o MEDIASTINICA: Al davanti e al di sotto dell’ilo si trova la fossa
cardiaca, più profonda a sinistra. Presso il margine posteriore si trova una doccia
verticale determinata dalla vena azigos a destra, l’aorta a sinistra. Al davanti di questo
solco a destra c’è l’impronta della vena cava superiore, a sinistra quella della vena
anonima sinistra.
- APICE : Medialmente con l’arteria succlavia che lascia la sua impronta, con l’arteria
intercostale suprema, con la toracica interna. Posteriormente con il ganglio cervicale
inferiore dell’ortosimpatico. Nella parte più alta degli apici si pongono le radici inferiori
del plesso brachiale.
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STRUTTURA: I condotti alveolari hanno la parete completamente formata dall’epitelio
alveolare, dalla lamina basale dell’epitelio, dalla lamina basale dell’endotelio e dall’endotelio dei
capillari sanguigni; il colletto degli alveoli è rivestito da cellule cubiche prive di ciglia, sotto alle
quali sono presenti sottili fascetti muscolari elastici. L’alveolo, sede dell’ematosi, possiede solo
una tonaca mucosa formata da:
- EPITELIO DI RIVESTIMENTO o ALVEOLARE : è semplice e appiattito, vi si distinguono
due tipi di cellule:
o PNEUMOCITI DI 1° TIPO: cellule appiattite a uovo fritto che possono contenere
vescicole di pinocitosi soprattutto nel versante prospiciente la membrana basale.
o PNEUMOCITI DI 2° TIPO: cellule tondeggianti con estroflessioni sulla membrana
apicale, sono intercalate tra le cellule del primo tipo. Contengono corpi lamellari
e liberano surfattante, una sostanza tensioattiva che si stratifica sulla superficie
interna di ogni alveolo, evitando, durante l’inspirazione, che gli alveoli perdano
individualità e durante l’espirazione che le pareti degli alveoli collabiscano.
o MACROFAGI ALVEOLARI : cellule migranti nei setti interalveolari, tra le cellule
dell’epitelio alveolare o libere nel lume degli alveoli. Ripuliscono l’interno degli
alveoli e fagocitano surfattante per stimolarne il rinnovamento.
- TONACA PROPRIA : formata da fibre elastiche che si dispongono attorno a ogni singolo
alveolo ingabbiandolo. Il sistema necessita di elasticità per permettere l’inversione di
pressione attraverso il ritorno elastico.
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NOME: Pleura, derivazione dal greco “laterale”
CARATTERISTICHE:
Sono due membrane sierose che involgono separatamente i due
polmoni. Si distingue per ciascuna un foglietto viscerale che riveste la superficie dell’organo e
un foglietto parietale che è disteso sulle pareti delle logge pleuropolmonari. Il foglietto
viscerale continua a livello dell’ilo con quello parietale, quindi il polmone è circondato in tutto il
suo perimetro da uno spazio completamente chiuso detto cavità pleurale. La due pleure, pur
essendo del tutto indipendenti, sono in contatto tra di loro a livello dello sterno.
Pleura Viscerale: Una membrana sottile e trasparente che riveste la superficie del polmone e
si porta profondamente nelle scissure interlobari, fino in vicinanza all’ilo, qui la pleura riveste
per un breve tratto il peduncolo polmonare e continua quindi con la parte mediastinica della
pleura parietale.
Può essere suddivisa in parte costale, parte diaframmatica e parte
Pleura Parietale:
mediastinica.
Pleura Costale: Va dalla faccia posteriore dello sterno fino alla faccia laterale dei corpi
vertebrali, è spessa, resistente e poggia su una membrana fibrosa denominata fascia
endotoracica. Si pone in rapporto con il muscolo trasverso del torace, i vasi toracici interni, le
coste, i muscoli intercostali e sottocostali, tratti iniziali di vasi e nervi intercostali, catena
dell’ortosimpatico, vene azigos ed emiazigos. In alto ricopre l’apice del polmone costituendo la
cupola pleurale e prendendo rapporto con gli organi che si trovano in corrispondenza
dell’apertura superiore del torace, ovvero plesso brachiale, vasi succlavi, tendine del muscolo
scaleno anteriore, arterie toraciche interne, vertebrali e intercostali supreme, ganglio principale
inferiore dell’ortosimpatico. La cupola pleurale ha il suo apice 2-3 CM sopra la prima costa
raggiungendo metà di C7. Fissata allo scheletro da fasci fibrosi e muscolari che ne
costituiscono l’apparato sospensore e sono il muscolo scaleno minimo e i legamenti
vertebropleurale, costopleurale e scalenopleurale.
Pleura Mediastinica: Tesa tra lo sterno e la colonna vertebrale, formata da due lamine destra e
sinistra che delimitano il mediastino, a livello del peduncolo polmonare le parti anteriori e
posteriori si incontrano formando il legamento polmonare con forma triangolare, con la base in
basso fissata al diaframma e l’apice in alto che raggiunge il peduncolo polmonare. A sinistra è
adesa al pericardio e prende rapporto tramite connettivo denso con l’arco dell’aorta, le arterie
carotide, comune e succlavia, la vena anonima di sinistra, i nervi vago e frenico.
Posteriormente si insinua tra aorta ed esofago formando il seno interaorticoesofageo. A destra
si insinua tra esofago ed azigos formando il seno interazigosesofageo e si mette in rapporto
con l’aorta ascendente, le vene cava superiore ed azigos, trachea, esofago e nervi vago e
frenico.
Pleura Diaframmatica: Si estende sulla faccia superiore delle parti laterali del diaframma
aderendovi, medialmente continua nella pleura mediastinica, lateralmente nella pleura
costovertebrale.
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NOME: Bocca.
POSIZIONE: Prima parte del canale alimentare.
CARATTERISTICHE: Si divide in vestibolo della bocca e cavità buccale propriamente detta. La
prima è la parte perimetrale, comunica direttamente con l’esterno ed ospita labbra, guance,
arcate gengivodentali, gengive e denti. La seconda è situata tra il vestibolo della bocca e
l’istmo delle fauci, la parete superiore è formata dal palato duro e dal palato molle, la parete
inferiore dal solco sottolinguale e dalla lingua.
Palato Duro:
Il palato duro o palato osseo è una superficie concava in basso provvista di uno scheletro
formato dai processi palatini delle due ossa mandibolari e dalle lamine orizzontali delle due
ossa palatine. Anteriormente e lateralmente giunge fino alla arcata gengivodentale superiore,
posteriormente continua nel palato molle. La superficie palatina è segnata da un rafe mediano
che congiunge le due lamine palatine e termina in con un piccolo rilievo detto papilla incisiva.
Ai lati del rafe vi sono delle creste arcuate dette pieghe palatine traverse che vanno in contro
ad atrofia con il passare degli anni.
Palato Molle:
Segue il palato duro e si presenta come una lamina muscolare rivestita da mucosa, serve ad
isolare il rinofaringe dalla cavità orale durante la deglutizione e il ricco corredo muscolare lo
rende molto mobile. È quasi orizzontale nella sua porzione anteriore, si fa poi obliquo dall’alto
in basso, dall’avanti al dietro. Presenta una faccia inferiore e una faccia superiore, la prima,
buccale, è liscia e concava percorsa nel mezzo dal rafe del palato molle, la seconda, faringea,
presenta dei piccoli rilievi e continua nel pavimento della cavità nasale. Il margine anteriore
continua nel palato duro, i margini laterali si fissano alla lamina mediale dei processi
pterigoidei dello sfenoide e alle pareti laterali della faringe, il margine inferiore o libero delimita
l’istmo delle fauci e presenta un’appendice centrale appuntita detta ugola palatina da cui
prendono origine gli archi palatini, glossopalatino e faringopalatino.
Lingua:
È un organo molto mobile formato da una consistente massa muscolare rivestita da una tonaca
mucosa, insieme al solco sottolinguale forma il pavimento della cavità buccale propriamente
detta. Svolge compiti essenziali nell’assunzione e nella masticazione del cibo, nella formazione
del bolo alimentare e nella deglutizione. È sede principale della sensibilità gustativa ed è
provvista di sensibilità tattile. Partecipa anche alla fonazione per cui è fondamentale il solco
mediano che la divide in due metà speculari.
Muscoli Estrinseci:
Muscolo Genioglosso: Il più voluminoso dei muscoli della lingua, si presenta
come una lamina triangolare orientata sagittalmente. Origina dalla spina
mentale, i suoi fasci divergono a ventaglio, i più alti vanno all’apice della lingua, i
medi al dorso della lingua, i più bassi al margine dell’osso ioide e alla base
dell’epiglottide. Il muscolo genioglosso con i fasci anteriori abbassa e retrae
l’apice della lingua, con i fasci medi protrude l’intera lingua traendone la base in
avanti, con i fasci inferiori sposta in avanti l’osso ioide.
Muscolo Ioglosso: Ha forma quadrilatera e prende origine dal margine
superiore dell’osso ioide. I fasci muscolari sono organizzati in due gruppi che si
portano in alto e in avanti fino al margine laterale della lingua da cui decorrono
orizzontalmente, i fasci posteriore vanno trasversalmente fino al setto linguale, i
fasci medi decorrono obliquamente in avanti fino al setto linguale, i fasci
anteriore si dirigono in avanti e raggiungono l’apice linguale. Contraendosi trae la
lingua in dietro e in basso.
Muscolo Condroglosso: Origina dal piccolo corno dell’osso ioide e si porta in
alto e in avanti fino all’estremità posteriore del margine laterale del corpo
linguale, i suoi fasci si espandono terminando sul muscolo longitudinale inferiore.
Trae la lingua in basso e in dietro.
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Muscolo Stiloglosso: Un muscolo sottile e allungato che origina dall’apice del
processo stiloideo e dalla parte alta del legamento stilomandibolare, da qui si
porta in basso, in avanti e medialmente dividendosi presso la faccia esterna del
muscolo ioglosso in due fasci. Il fascio esterno si porta sagittalmente fino
all’apice e si inserisce sul setto linguale. Il fascio interno attraversa il muscolo
ioglosso e si inserisce sul setto linguale. Contraendosi porta la lingua
superiormente e dorsalmente.
Muscolo Amigdaloglosso: Un sottile fascio muscolare che origina
dall’aponeurosi faringea nel tratto che riveste esternamente la tonsilla palatina. I
fasci muscolari decorrono verticalmente in basso tra il muscolo faringoglosso e la
tonaca mucosa in direzione della base della lingua. Con la loro azione sollevano
la base della lingua applicandola contro il velo palatino.
Muscoli Intrinseci:
Muscolo Longitudinale Superiore: Una lamina impari di fasci sagittali che
decorrono superficialmente sul dorso del corpo e della base linguale. Questi fasci
hanno origine e inserzione dalla lamina propria della mucosa e contraendosi
accorciano la lingua facendogli assumere una concavità superiore.
Muscolo Longitudinale Inferiore: Muscolo pari e allungato che origina dalla
lamina propria della base linguale e si porta alla sottomucosa della faccia
inferiore del corpo, contraendosi accorcia la lingua in direzione sagittale e ne trae
l’apice in dietro e in basso.
Muscolo Trasverso: Formato da molti fasci che decorrono trasversalmente tra il
muscolo longitudinale superiore e inferiore. Questi fasci originano dal setto
linguale e si fissano alla sottomucosa dei margini linguali. Accorcia il diametro
trasverso della lingua accentuandone la convessità dorsale.
Muscolo Verticale: Va dalla faccia profonda della lamina propria del dorso della
lingua alla sottomucosa della faccia inferiore della lingua, serve ad appiattire la
lingua.
Solco Sottolinguale:
È una parte ristretta del pavimento della cavità buccale propriamente detta, in avanti e ai lati è
delimitato dalla arcata gengivodentale inferiore, in dietro è delimitato dalla faccia inferiore del
corpo della lingua. Nel mezzo decorre il frenulo della lingua, ai cui lati è presente la caruncola
sottolinguale sul cui apice sboccano i dotti della ghiandola sottomandibolare. Ciascuna
caruncola prosegue in un rilievo detto piega sottolinguale.
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NOME: Istmo delle Fauci.
POSIZIONE:
faringe.
Breve tratto del canale alimentare che pone in comunicazione la bocca e il
Vi si distinguono un pavimento, una volta e due pareti laterali. Il
CARATTERISTICHE:
pavimento e la volta sono dati dalla base della lingua e del margine libero del palato molle con
l’ugola. Le pareti laterali sono formate dei due archi palatini, glossopalatino e faringopalatino,
che dal margine libero del palato molle si portano in basso e in fuori divergendo. Tra gli archi
palatini si delimita uno spazio detto fossa tonsillare poiché accoglie la tonsilla palatina.
Archi Palatini:
L’arco anteriore o glossopalatino circoscrive l’apertura anteriore dell’istmo delle fauci e accoglie
nel proprio spessore il muscolo glossopalatino. L’arco posteriore o faringopalatino circoscrive
l’apertura posteriore dell’istmo delle fauci e accoglie nel proprio spessore il muscolo
faringopalatino.
Fosse Tonsillari:
Sono profonde depressioni di forma triangolare delimitate dagli archi palatini, contengono le
tonsille palatine e nella parte più alta formano la fossetta sovratonsillare.
Tonsille Palatine:
Le tonsille palatine o amigdala sono un organo linfoide pari accolte nella fossa tonsillare.
Insieme alla tonsilla linguale ed ad alcune formazioni linfoidi del faringe e del laringe
costituiscono l’anello linfatico di Waldeyer. Ha forma di una mandorla con asse orientato
dall’alto in basso, dall’avanti in dietro e di lunghezza di 2-3 CM.
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NOME: Ghiandole Salivari
Le ghiandole salivari sono le ghiandole che producono la saliva. Sono disposte nell'area della
bocca. Sono presenti nell'uomo e negli animali superiori terrestri, mentre quelli acquatici ne
sono privi. Nei mammiferi e, soprattutto nell'uomo, hanno acquisito la funzione di intervenire
nel processo digestivo grazie alla ptialina, contenuta nella saliva, che inizia la digestione, come
citato anche dal famoso detto prima digestio fit in ore.
La saliva è il miscuglio delle secrezioni prodotte da tutte queste ghiandole, è incolore, insapore
e inodore, leggermente filante a causa del muco che contiene. Nella saliva, oltre alla ptialina,
sono presenti sali di calcio e di magnesio e sostanze germicide come il lisozima.
Le ghiandole producono all'incirca 1 litro di saliva ogni giorno. La sua secrezione viene gestita
dai centri salivatori posti nel bulbo e nel ponte dell’encefalo, da cui partono fibre nervose che
arrivano fino alle ghiandole. Le ghiandole salivari dell'uomo si distinguono in minori e maggiori.
LE GHIANDOLE MINORI
Le minori sono piccole e numerosissime, disposte al di sotto dell'epitelio che riveste la bocca.
Le ghiandole minori si suddividono in base alla loro collocazione:
* ghiandole labiali (labbra)
* ghiandole palatine (palato)
* ghiandole linguali (lingua)
Il loro secreto é misto, mucoso e sieroso.
LE GHIANDOLE MAGGIORI
Le maggiori sono più voluminose e non direttamente contenute nella cavità boccale, ma
disposte intorno ad essa. Sono esterne alla mucosa e riversano le loro secrezioni attraverso
lunghi canalicoli detti dotti escretori. Le ghiandole salivari maggiori sono sei:
* ghiandole parotidi (due)
* ghiandole sottomandibolari (due)
* ghiandole sottolinguali (due)
Ghiandola parotide
È la ghiandola più grossa e la più importante. Il suo nome deriva dalla sua collocazione, vicino
all'orecchio. La ghiandola riempie interamente la cavità della loggia parotidea, riproducendone
la forma. Ha un colore grigio-giallastro ed un peso di 25 g circa.
Ghiandola sottomandibolare
La ghiandola sottomandibolare è la seconda per volume. È posta sotto il pavimento boccale in
una fossetta scavata nel corpo della mandibola. Ha una forma prismatico-triangolare e il suo
dotto escretore (dotto di Wharton), perfora il pavimento della bocca, per aprirsi al lato del
frenulo della lingua. La ghiandola è a secrezione mista.
Ghiandola sottolinguale
È la più piccola tra le ghiandole maggiori. È posta nel pavimento della bocca, al di sotto della
lingua. Il suo dotto (dotto di Rivino) sbocca insieme a quello di Wharton ai lati del frenulo della
lingua.
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NOME: Faringe.
POSIZIONE: Tratto del canale digerente posto al di dietro delle cavità nasali, della bocca e
della laringe, fa seguito all’istmo delle fauci e prosegue nell’esofago, ma vi si aprono anche le
cavità nasali attraverso le coane e il laringe attraverso l’orifizio laringeo. Decorre verticalmente
per una lunghezza di 14-15 Cm fino alla 6^ vertebra cervicale.
CARATTERISTICHE: Il condotto si presenta slargato in alto e si va restringendo in basso, così
da assumere la forma tubulare, è inoltre appiattito in senso anteroposteriore. Si divide in parte
nasale o rinofaringe, parte buccale o orofaringe e parte laringea o laringofaringe. La rinofaringe
è posta tra l’estremità superiore o volta della faringe e la faccia superiore del palato molle che
durante la deglutizione si dispone orizzontalmente ed esclude il rinofaringe dalla via di
percorrenza del bolo alimentare. L’orofaringe va dalla fine del rinofaringe ad un piano
orizzontale passante per l’osso ioide. Il laringofaringe va dalla fine del orofaringe all’inizio
dell’esofago localizzato con la 6^ vertebra cervicale.
RAPPORTI: La parete anteriore dal basso verso l’alto con l’adito laringeo, la faccia posteriore
dell’epiglottide, l’istmo delle fauci, la faccia posteriore del palato molle, le coane nasali, la
faccia posteriore delle cartilagini aritenoidi, i muscoli aritenoidi obliqui e trasversi, il muscolo
cricoaritenoideo posteriore e la faccia posteriore della lamina cricoidea. La parete posteriore
volge verso lo spazio retrofaringeo occupato da connettivo lasso che la mette in rapporto con
la fascia cervicale profonda. Questo spazio retrofaringeo continua nello spazio retroesofageo
che si porta nel mediastino posteriore e contiene alcuni linfonodi. Le pareti laterali formano la
parete mediale dello spazio faringomandibolare dove passano arteria carotide interna, vena
giugulare interna, catena dell’ortosimpatico, nervi glossofaringeo, vago e ipoglosso. Entrano
anche in rapporto con l’arteria carotide esterna e delle sue collaterali, le lamine della
cartilagine tiroide, i lobi della ghiandola tiroide, i grandi corni dell’osso ioide. L’estremità
superiore o volta della faringe è in rapporto con la base cranica e l’estremità inferiore è
segnata da un piano che passa per il margine inferiore della cartilagine cricoide a livello della
6^ vertebra cervicale.
CONFIGURAZIONE INTERNA: La superficie interna della parete anteriore è irregolarmente
pieghettata, di lato ai rilievi delle cartilagini aritenoidi e della cartilagine cricoide si trovano due
docce larghe e profonde in alto che diminuiscono verso il basso e sono dette recessi piriformi,
nel fondo di ognuno si vede un rilievo della mucosa detto piega del nervo laringeo superiore.
La parete posteriore della faringe ha alcuni piccoli rilievi per la presenza di ghiandole. Le pareti
laterali all’altezza delle estremità posteriori dei cornetti nasali inferiori presentano gli orifizi
faringei delle tube uditive. Ciascuno ha un labbro anteriore e uno posteriore, il labbro anteriore
prosegue in basso nella piega salpingofaringea, forma in alto la fossetta sovratubarica e il
recesso faringeo o fossetta di Rosenmuller, inoltre sono visibili le sporgenze formate dai grandi
corni dell’osso ioide e dai corni superiori della cartilagine tiroide, nel contorno dell’orifizio
tubarico è presente del tessuto linfoide che forma la tonsilla tubarica. La volta della faringe è
concava per la sporgenza della tonsilla faringea che può anche presentare la borsa faringea.
L’estremità inferiore non ha segni visibili.
STRUTTURA: La parete della faringe è costituita da una tonaca avventizia, una tonaca
muscolare, una tonaca fibroelastica e una tonaca mucosa, manca una tonaca sottomucosa
tranne che nelle pareti laterali. La tonaca avventizia è fatta di connettivo lasso, avvolge
esternamente i muscoli e protegge le parti non muscolari. La tonaca muscolare è formata da
muscolatura striata che avvolge il condotto come un involucro. La tonaca fibroelastica o fascia
faringea o fascia faringobasilare è uno strato posto internamente a quello muscolare e ospita
delle ghiandole tubuloacinose a secrezione mista dette ghiandole faringee. La tonaca mucosa è
differente nella rinofaringe, dove presenta un epitelio simile alle vie respiratorie di cui fa parte,
ovvero alto, prismatico stratificato ciliato con cellule caliciformi mucipare, mentre nella
orofaringe e laringofaringe è presente un epitelio pavimentoso stratificato non corneificato che
poggia su di una lamina propria di connettivo denso.
MUSCOLI:
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Muscolo Costrittore Superiore: Origina con diversi fasci dalla faccia interna e dal
margine dorsale della lamina pterigoidea mediale, dal rafe pterigomandibolare,
dall’estremità posteriore della linea miloioidea della mandibola e dalla radice della
lingua. I diversi fasci di origine del muscolo costrittore medio si riuniscono nel corpo che
ha forma di una lamina quadrilatera e si dirigono verso la parte di mezzo della faccia
posteriore del faringe prendendo inserzione sul rafe fibroso mediano. Contraendosi
costringe il rinofaringe ed eleva la parete posteriore del faringe.
Muscolo Costrittore Medio: Ha forma triangolare con base verso il rafe faringeo e
apice verso l’osso ioide. Origina dal grande e piccolo corno dell’osso ioide e si irradia a
ventaglio prendendo inserzione sul rafe faringeo, è costrittore dell’orofaringe.
Muscolo Costrittore Inferiore: Il più esteso dei costrittori è una lamina trapezoidale.
I suoi fasci originano dalla linea obliqua della cartilagine tiroide, si portano verso la
parete posteriore del faringe e si fissano sul rafe. È costrittore del laringofaringe ed
elevatore del laringe.
Muscolo Stilofaringeo: Origina dalla faccia interna del processo stiloideo, si porta
obliquamente in basso, in dentro e in avanti fino alla parete laterale della faringe. Alcuni
fasci si inseriscono sulla parte posteriore della fascia faringea, altri vanno al margine
laterale dell’epiglottide, al margine superiore della parte posteriore della cartilagine
tiroide e al margine superiore dell’arco della cricoide.
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NOME: Esofago, derivazione dal greco “portatore di cibo”.
POSIZIONE: L’estremità superiore si trova nel collo al limite con la Faringe (C6). Il canale
discende nel torace e passa nell’addome attraverso il diaframma. L’estremità inferiore si trova
nell’addome al limite con lo Stomaco (T10).
E’ un tratto del canale alimentare lungo circa 25-26 CM
CARATTERISTICHE:
PIANO SAGITTALE : Decorre da C6 fino a T4 addossato alla Colonna Vertebrale di cui
segue la convessità anteriore. Da T4 a T10 si discosta dalla Colonna Vertebrale e
prosegue gradualmente e leggermente in avanti, formando una concavità anteriore.
PIANO FRONTALE : Presenta una prima dolce curvatura con convessità verso sinistra.
Sotto l’Arco Aortico (T3-T4), dove torna ad essere mediano, inizia una seconda leggera
curva convessa verso destra.
Si divide in quattro parti, parte cervicale di 4-5 CM e C6-T2 , parte toracica di 16 CM e T2-T9,
parte diaframmatica di 1-2 CM e T9-T10, parte addominale 3 CM e T10.
Ha quattro restringimenti, cricoideo (C6) a livello del margine inferiore della cartilagine
cricoide, aortico (T3-T4) a livello dell’arco dell’aorta, bronchiale (T4-T5) a livello del bronco
sinistro, diaframmatico (T10) al livello dell’orifizio esofageo del diaframma.
Tra i restringimenti si presenta leggermente dilatato formando il fuso cricoaortico, il fuso
broncodiaframmatico e l’imbuto precardiale.
RAPPORTI:
- PARTE CERVICALE : Anteriormente con la parete membranosa della trachea attraverso il
muscolo tracheoesofageo, lobo sinistro della ghiandola tiroide, muscolo sternotiroideo,
muscolo sternoioideo, nervo ricorrente sinistro che passa nell’angolo diedro formato da
trachea ed esofago. Posteriormente con la fascia cervicale profonda dalla quale è
separato dallo spazio retroesofageo. Lateralmente con i lobi tiroidei, le arterie tiroidee
inferiori, le carotidi comuni e il nervo ricorrente destro.
- PARTE TORACICA: Divisa in epibronchiale e ipobronchiale dall’incrocio dell’esofago con il
bronco sinistro in corrispondenza del muscolo broncoesofageo. L’epibronchiale
anteriormente con la parete membranosa della trachea e parte iniziale del bronco
sinistro. L’ipobronchiale anteriormente con i linfonodi della biforcazione e con la faccia
posteriore del pericardio. L’epibronchiale posteriormente con la colonna vertebrale.
L’ipobronchiale posteriormente con la vena azygos ed emiazygos, con il dotto toracico e
il tratto toracico dell’aorta discendente. Lateralmente a destra con la pleura
mediastinica e con la vena azygos. Lateralmente a sinistra con la pleura mediastinica,
con l’arco dell’aorta e con il tratto iniziale dell’aorta discendente. I due nervi vaghi sono
in rapporto inizialmente con i lati dell’esofago, poi si dividono entrambi in un ramo
anteriore e posteriore, i due rami anteriori si riuniscono sulla faccia anteriore e i due
rami posteriori sulla faccia posteriore.
PARTE DIAFRAMMATICA: Sia anteriormente, che posteriormente, che lateralmente con
l’orifizio esofageo del diaframma, in alcuni casi si può distaccare il muscolo
frenoesofageo.
- PARTE ADDOMINALE: Anteriormente con la faccia anteriore del lobo sinistro del fegato.
Posteriormente con l’aorta addominale e i pilastri mediali del diaframma. Lateralmente
a destra con il lobo caudato del fegato. Lateralmente a sinistra con il fondo dello
stomaco. I tronchi comuni del vago mantengono la loro posizione anteriore e
posteriore.
STRUTTURA: Il digerente mantiene un modulo ripetitivo dal suo inizio fino alla sua
terminazione, questa è composta dall’interno verso l’esterno da una tonaca mucosa, tonaca
sottomucosa, tonaca muscolare, tonaca avventizia o tonaca sierosa, in questo caso solo nel
tratto addominale.
- TONACA MUCOSA : Sollevata in pieghe longitudinali, assieme alla sottomucosa,
dall’interno nell’organo non disteso appare stellata, a sua volta è costituita dall’epitelio
di rivestimento pavimentoso stratificato non corneificato, da una lamina propria e da
una muscolaris mucosae. Sulla superficie della mucosa di aprono i dotti escretori di
piccole ghiandole mucose situate nella sottomucosa spesso vicino ai noduli linfatici.
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Anche nella lamina propria prossimale allo stomaco si possono trovare ghiandole
cardiali esofagee e isole di mucosa gastrica eterotopiche.
- TONACA SOTTOMUCOSA: Costituita di connettivo lasso, è sede di ghiandole esofagee
tubuloacinose ramificate a secrezione mucosa.
- TONACA MUSCOLARE: Formata nel terzo craniale da fibre striate, successivamente da
fibrocellule lisce, entrambe si dispongono in due strati, uno interno a fasci circolari che
serve a propagare l’onda peristaltica, uno esterno a fasci longitudinali che serve ad
aumentare il calibro, i due strati si contraggono in maniera alternata.
- TONACA AVVENTIZIA: Connettivo ricco di tessuto elastico.
- TONACA SIEROSA : Formata da peritoneo e si sostituisce all’avventizia.
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NOME: Stomaco, derivazione dal greco “sacco”.
POSIZIONE: L’estremità superiore si trova nell’ipocondrio di sinistra al limite con l’esofago
attraverso la valvola cardiale (T10). L’estremità inferiore si trova nell’epigastrio al limite con il
duodeno attraverso lo sfintere pilorico (L1-L2). Occupa uno spazio delimitato in alto dal
diaframma, in basso dal colon trasverso e mesocolon, lateralmente dal diaframma e dalla
parete toracica, in avanti dalla parete toracica e addominale, in dietro dagli organi dello spazio
sovramesocolico.
Un tratto dilatato asimmetricamente del canale alimentare a forma di
CARATTERISTICHE:
sacca allungata interposto tra esofago ed intestino. In condizioni di media distensione ha una
lunghezza di 29-30 CM e un diametro trasverso di 5-10 CM che decresce dalle porzioni
prossimali alle distali. L’organo presenta numerose variazioni ma generalmente tende ad
orientarsi con l’asse longitudinale verticalmente nei longitipi e orizzontalmente nei brachitipi.
Presenta due margini:
GRANDE CURVATURA: è il margine sinistro, lungo circa 40 CM e fortemente convesso.
Inizia dal contorno superiore del cardias, si dirige dapprima in alto formando con il
margine sinistro dell’esofago un angolo acuto detto incisura cardiale, descrive quindi
una curva aperta inferiormente che delimita il fondo dello stomaco, discende poi in
basso quasi verticalmente per incurvarsi gradualmente in alto a destra fino a
raggiungere il piloro.
PICCOLA CURVATURA: è il margine destro, lungo circa 15 CM e concavo. Descrive una
curva aperta in lato e a destra, inizia dal cardias sul proseguimento del margine destro
dell’esofago, discende dapprima quasi verticalmente, si inflette quindi in alto e in dietro
formando la piega angolare, infine raggiunge il piloro.
I due margini delimitano due pareti che hanno superficie liscia e leggermente convessa:
- PARETE ANTERIORE : guarda in avanti, in alto e a destra.
PARETE POSTERIORE : guarda in dietro, in basso e a sinistra.
Ha due orifizi:
CARDIAS: è l’orifizio superiore di comunicazione tra esofago e stomaco, segnato sulla
superficie esterna dall’incisura cardiale.
PILORO: è l’orifizio inferiore di comunicazione tra stomaco e duodeno, segnato sulla
superficie esterna da un solco anulare detto solco pilorico.
Si distinguono tre parti principali:
- FONDO DELLO STOMACO O GRANDE TUBEROSITÀ : è la parte più alta dello stomaco
delimitata da un piano immaginario orizzontale passante per il cardias, foggiata a
cupola, si adatta alla concavità del diaframma.
CORPO DELLO STOMACO : rappresenta la porzione più estesa, fa seguito al fondo e
precede la parte pilorica. Ha forma cilindroconica e si dirige in basso restringendosi fino
alla piega angolare dello stomaco, una linea immaginaria che va dal punto più declive
della piccola curvatura fino alla grande curvatura con un’inclinazione di circa 20°.
- PARTE PILORICA DELLO STOMACO: di aspetto irregolarmente conico è diretta
obliquamente in alto e a destra, formando con il corpo un angolo di circa 90°. Si
distinguono due porzioni separate da un solco incostante, la prima è detta antro pilorico
ed è lievemente rigonfiata specialmente in basso a formare la piccola tuberosità, la
seconda è detta canale pilorico ed è un canale cilindrico diretto in alto e a destra lungo
circa 3 CM e delimitata rispetto al duodeno dal solco pilorico.
A stomaco vuoto la superficie interna si mostra sollevata in
CONFIGURAZIONE INTERNA:
pieghe grossolane dette pieghe gastriche che decorrono longitudinalmente secondo l’asse
dell’organo, si anastomizzano a formare un reticolo a maglie allungate. Presso la piccola
curvatura le pieghe non si anastomizzano e sono ben individualizzate, delimitando così un
canale che collega direttamente l’esofago al piloro ed è detto via gastrica breve. A stomaco
disteso queste pieghe scompaiono e risultano visibili sottili solchi anastomizzati a rete
denominati solchi permanenti, che delimitano porzioni gastriche di diametro di circa 3 MM
dette areole gastriche. Sulla superficie di queste aree vi sono numerosi minuti affossamenti
detti fossette gastriche nel cui fondo si aprono le ghiandole dello stomaco. La mucosa che
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separa le fossette si solleva in sporgenze laminari denominate creste gastriche, soprattutto
nella parte pilorica.
RAPPORTI:
FONDO: Tocca la cupola diaframmatica e la segue nei suoi movimenti, nell’espirazione
raggiunge l’altezza della 5^ costa sulla emiclaveare e tramite il diaframma entra in
rapporto con il pericardio e il cuore, con la pleura e il polmone sinistro. È coperto avanti
e medialmente dal lobo sinistro del fegato.
PARETE ANTERIORE: In alto con la parete anteriore del torace a formare la porzione
superiore o toracica situata nell’ipocondrio sinistro (5^-9^ costa), questa è coperta a
destra dal lobo sinistro del fegato, a sinistra è direttamente in rapporto con il
diaframma e il muscolo trasverso dell’addome, per loro mezzo con il seno pleurale
costodiaframmatico sinistro, con il margine inferiore del polmone e la parete toracica.
Viene così a formarsi un’area denominata spazio semilunare di Traube, questo spazio ha
la forma di una semiluna con convessità volta in alto e a sinistra ed è delimitato
inferiormente dal margine delle cartilagini costali, dal processo xifoideo fino alla 9^
costa, superiormente corrisponde alla 5^-6^ costa e lateralmente il suo limite è dato da
una linea verticale immaginaria che discende dalla 5^ alla 9^ costa a pochi CM
dall’emiclaveare. In basso con la parete anteriore dell’addome a formare la porzione
inferiore o addominale situata nell’epigastrio e risulta accessibile alla palpazione, questa
è coperta in alto per breve estensione dal fegato, è in diretto contatto con la parete
anteriore dell’addome formando un’area triangolare denominata triangolo di Labbè che
è delimitata in basso da una linea orizzontale tangente al margine inferiore della 9^
cartilagine costale, a sinistra dall’arco costale, a destra dal margine anteriore del
fegato.
PARETE POSTERIORE : Procedendo dall’alto verso il basso è in contatto con il
diaframma, con la milza, con la ghiandola surrenale, con il rene di sinistra, con il
pancreas, con il mesocolon e il colon traverso, per mezzo del diaframma con il seno
pleurale costodiaframmatico di sinistra, per mezzo del mesocolon con la porzione
ascendente del duodeno, la flessura duodenodigiunale e le anse dell’intestino tenue
mesenteriale.
PICCOLA CURVATURA : Coperta dal lobo sinistro del fegato, con la concavità abbraccia
l’aorta, i pilastri mediali del diaframma, l’arteria celiaca e il plesso celiaco.
GRANDE CURVATURA: Viene in rapporto dall’alto verso in basso con il centro tendineo
del diaframma, il muscolo trasverso dell’addome, la flessura sinistra del colon e il colon
trasverso, per mezzo del centro tendineo del diaframma con il cuore.
CARDIAS : Poggia sul pilastro sinistro del diaframma, è coperto davanti dal lobo sinistro
del fegato, sul suo margine sinistro decorre il nervo vago di sinistra, sulla faccia
posteriore il nervo vago di destra.
PILORO : In dietro è a contatto con la testa del pancreas, in avanti è coperto dal lobo
quadrato del fegato.
La parete dello stomaco è formata da una tonaca mucosa,
STRUTTURA MICROSCOPICA:
una tonaca sottomucosa, una tonaca muscolare e una tonaca sierosa.
TONACA MUCOSA: Risulta sollevata in rilievi poligonali denominate areole gastriche
sulla cui superficie si aprono piccole cavità, fossette gastriche, circondate da rilievi,
creste gastriche, al cui centro si aprono le ghiandole gastriche. A sua volta la mucosa è
formata da epitelio di rivestimento, lamina propria e muscolaris mucosae. L’epitelio di
rivestimento è prismatico monostratificato con rari microvilli e ha la funzione di
secernere muco gastrico per proteggere la mucosa gastrica dall’azione degli enzimi
proteolitici e dall’acido cloridrico. La lamina propria è formata da connettivo lasso, fasci
di fibre collagene ed elastiche, fibrociti, macrofagi, granulociti eosinofili e plasmacellule,
nonché numerosi capillari, si distinguono una parte superficiale connettivale e una parte
profonda che accoglie diversi tipi di ghiandole gastriche.
- GHIANDOLE GASTRICHE : Si distinguono in ghiandole cardiali, ghiandole
gastriche propriamente dette e ghiandole piloriche.
- GHIANDOLE CARDIALI : Occupano un’area che si estende dal cardias fino a 3-4
CM. Sono tubulari composte e secernono glicoproteine neutre.
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- GHIANDOLE GASTRICHE PROPRIAMENTE DETTE: Prendono anche il nome di
ghiandole principali e si trovano nella mucosa del fondo e del corpo dello
stomaco. Sono tubulari semplici con un lume ristretto che si apre nei fondi delle
fossette gastriche, dove sono presenti cellule indifferenziate. La parete del tubulo
al di sotto dello sbocco presenta tre tipi di cellule:
- CELLULE INDIFFERENZIATE : Possono generare per mitosi sia epitelio di
rivestimento della mucosa, sia le cellule dei tubuli ghiandolari. Sono
situate nelle immediate vicinanze dello sbocco.
- CELLULE DEL COLLETTO : Si trovano nelle vicinanze del collo delle
ghiandole, intercalate ad altre cellule, a differenza dell’epitelio di
rivestimento secernono proteoglicani acidi, non neutri, per esocitosi.
- CELLULLE PRINCIPALI o ADELOMORFE o ZIMOGENICHE : Sono le più
numerose nel tubulo ghiandolare, sono alte, prismatiche con il nucleo al
centro e presentano sporadici microvilli. Secernono pepsinogeno,
precursore inattivo della pepsina, e la rennina, una proteasi che digerisce
le proteine del latte.
- CELLULE PARIETALI o DELOMORFE o DI RIVESTIMENTO : Hanno un collo
assottigliato e un corpo voluminoso che sporge rastremandosi nella
superficie esterna del tubulo, sono fortemente acidofile e ricche di
mitocondri. Secernono acido cloridrico attraverso canalicoli che collegano
il corpo cellulare al lume del tubulo ghiandolare, questo si forma nella
membrana plasmatica che delimita i canalicoli. La gran quantità di
mitocondri è necessaria per fornire energia per il trasporto attivo di ioni
per produrre l’acido cloridrico, per abbassare il PH a 2 denaturando le
proteine ed attivando il pepsinogeno che diventa pepsina. Secernono
inoltre il fattore intrinseco, una glicoproteina in grado di legare la
vitamina B12 rendendola assorbibile dal tenue.
- CELLULE ENDOCRINE : Sono più numerose nelle ghiandole gastriche
propriamente dette piuttosto che nelle ghiandole cardiali, vengono dette
argentaffini o enterocromaffini. Producono serotonina in grado di
stimolare in modalità paracrina la contrazione della muscolatura liscia
facilitando la secrezione ghiandolare e in modalità endocrina la sensazione
di piacere del mangiare.
- GHIANDOLE PILORICHE: Nella parte pilorica dello stomaco le fossette sono più
profonde e le creste più alte e sottili. I tubuli ghiandolari ramificati sono formati
da cellule secernenti glicoproteine neutre, tra cui si trovano rare cellule
delomorfe e cellule endocrine, soprattutto cellule G secernenti gastrina e cellule
enterocromaffini secernenti serotonina. La gastrina stimola la secrezione da
parte delle cellule delomorfe nelle ghiandole gastriche propriamente dette di
acido cloridrico.
Nella lamina propria della mucosa, soprattutto della regione pilorica, vi sono ammassi di
linfociti che si approfondano fino alla tonaca sottomucosa.
La muscolaris mucosae dello stomaco è la più sviluppata del canale alimentare e
consiste anche questa di due strati, uno circolare interno e uno longitudinale esterno.
Alcune cellule muscolari risalgono nel connettivo tra i tubuli ghiandolari e contraendosi
aiutano la secrezione.
- TONACA SOTTOMUCOSA : Aderisce intimamente alla mucosa e più lassamente alla
muscolare. È costituita da connettivo lasso con fibre elastiche e cellule adipose.
- TONACA MUSCOLARE: Particolarmente spessa, tra lo strato longitudinale e quello cirolare si
interpone uno strato di fibre oblique. Si aprono a ventaglio dall’incisura cardiale verso la
grande curvatura, non si trovano nella piccola curvatura e nella regione pilorica, in
quest’ultima è particolarmente sviluppato lo strato circolare, il quale forma lo sfintere pilorico.
- TONACA SIEROSA: Data dal peritoneo costituito da mesotelio e da uno strato
sottomesoteliale di connettivo denso, uniti alla tonaca muscolare da una sottosierosa che è
particolarmente lassa.
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NOME: Duodeno, derivazione dal latino “dodici”
POSIZIONE: L’estremità superiore si trova nell’epigastrio al limite con lo stomaco attraverso il
piloro (L1). L’estremità inferiore si trova nel mesogastrio al limite con il digiuno attraverso la
flessura duodenodigiunale (L2). Proietta la C duodenale in ordine tra l’epigastrio, l’ipocondrio di
destra, la regione del fianco destro e il mesogastrio.
Un tratto del canale alimentare a forma di C con concavità rivolta in alto
CARATTERISTICHE:
a sinistra. La papilla maggiore è un rilievo conico della mucosa aperto in corrispondenza
dell’apice dove sboccano il condotto coledoco e il condotto pancreatico principale o di Wirsung
separatamente o dopo essersi riuniti, nel secondo caso i due condotti confluiscono alla base
della papilla nell’ampolla duodenale o di Vater, è presente anche lo sfintere coledocico di Oddi.
La papilla minore è un altro piccolo rilievo conico disposto più in alto e in avanti rispetto alla
maggiore al cui apice sbocca il condotto pancreatico accessorio o di Santorini quando questo si
manifesta. Occupa uno spazio di 12-14 CM, è lungo 22-28 CM e ha un calibro di 47 MM.
Presenta quattro parti:
1^ o SUPERIORE : La parte più breve e mobile che presenta una dilatazione detta bulbo
duodenale. È diretta in dietro, in alto e a destra. Parte dal solco pilorico ed è coperto dal
lobo quadrato del fegato fino all’altezza del collo della colecisti dove presenta la flessura
duodenale superiore in cui piega bruscamente verso il basso continuandosi con la parte
discendente.
2^ o DISCENDENTE : Lunga il doppio della prima procede in basso e a destra della
colonna vertebrale abbracciando la testa del pancreas, giunta al livello del polo inferiore
del rene destro volge a sinistra formando la flessura duodenale inferiore e
continuandosi con la parte orizzontale o trasversa.
3^ o ORIZZONTALE o TRASVERSA: Decorre trasversalmente da destra verso sinistra
all’altezza di L3-L4 incrociando la vena cava inferiore e l’aorta, piega in alto e a sinistra
per continuare con la parte ascendente.
- 4^ o ASCENDENTE : Sale obliquamente al lato sinistro della colonna vertebrale e
dell’aorta, fino sotto alla radice del mesocolon trasverso. All’altezza di L2 compie una
brusca inflessione con concavità in avanti e in basso denominata flessura
duodenodigiunale e continua con l’intestino mesenteriale.
RAPPORTI:
- 1^ o SUPERIORE : In avanti e in alto con il lobo quadrato del fegato e il collo della
cistifellea attraverso il legamento duodenocistico, in basso con la testa del pancreas, in
dietro con il condotto coledoco, l’arteria epatica, la vena porta.
2^ o DISCENDENTE : In avanti dall’alto verso il basso con il corpo della cistifellea, il
mesocolon, il colon trasverso e le anse dell’intestino tenue mesenteriale, in dietro con il
margine mediale del rene destro, i vasi renali, la pelvi renale, il tratto iniziale
dell’uretere di destra, lateralmente con il lobo destro del fegato, flessura destra del
colon e la parte craniale del colon ascendente, medialmente con la testa del pancreas.
3^ o ORIZZONTALE o TRASVERSA : In alto con la testa del pancreas, in avanti e
superiormente con i vasi mesenterici superiori e il mesocolon trasverso, in avanti e
inferiormente con le anse dell’intestino tenue mesenteriale, in dietro con l’aorta e la
vena cava inferiore. Un ramo dell’aorta addominale denominato arteria mesenterica
superiore forma con essa un angolo acuto chiamato angolo aorto mesenterico in cui si
colloca la parte orizzontale del duodeno.
4^ o ASCENDENTE : In avanti dal basso verso l’alto con le anse intestinali e il
mesocolon trasverso, in dietro con i vasi renali e l’uretere di sinistra, lateralmente con
l’arteria colica, la pelvi renale e talora con il margine mediale del rene sinistro,
medialmente con il pancreas e con l’aorta.
STRUTTURA: Nei tre tratti dell’intestino tenue, duodeno, digiuno e ileo, si ripete la stessa
organizzazione di esofago e stomaco, ovvero una tonaca mucosa, una tonaca sottomucosa,
una tonaca muscolare e una tonaca sierosa. La superficie del tenue è aumentata dalla
presenza di pieghe per 3 volte, dei villi per 10 volte e dei microvilli per 20 volte così da
garantire una maggiore superficie assorbente pari a 4 M2. Le pieghe sono le valvole conniventi
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formate dalla sottomucosa che solleva in rilievi circolari la mucosa, iniziano subito dopo il piloro
e si intensificano dopo la porzione superiore del duodeno, alla fine del digiuno sono più basse e
distanti l’una dall’altra, oltre la metà dell’ileo sono sporadiche. I villi sono rilievi della mucosa,
la muscolaris mucosae non partecipa alla costituzione dei villi, ma invia tra le pieghe degli esili
fasci muscolari che ne assicurano la motilità. I microvilli si trovano sulla superficie libera verso
il lume, appaiono come proiezioni digitiformi molto regolari e tutti insieme formano l’orletto
striato. Tra i villi intestinali si aprono le ghiandole intestinali o cripte intestinali di Galeazzi che
sono tubulari semplici e occupano la lamina propria della mucosa. Nel duodeno, oltre le
ghiandole intestinali della lamina propria, si trovano nella tonaca sottomucosa le ghiandole
duodenali di Brunner che sono tubulari composte. La tonaca mucosa dell’intestino tenue
consiste dunque di un epitelio di rivestimento, di una lamina propria che forma lo stroma dei
villi e accoglie le ghiandole intestinali e di una muscolaris mucosae. Nella lamina propria si
trovano anche dei noduli linfatici che possono spingersi nella tonaca sottomucosa. L’epitelio di
rivestimento è formato da enterociti e cellule caliciformi. Gli enterociti ricoprono i villi intestinali
e rappresentano una grande parte delle cellule che rivestono le cripte. Sono cellule alte,
prismatiche, provviste di orletto striato e completamente rivestite dal glicocalice. Le cellule
caliciformi mucipare sono irregolarmente interposte agli enterociti sui villi intestinali, ma sono
più numerose nelle cripte. Il loro secreto, muco, serve a lubrificare la superficie interna
dell’intestino, facilitando la progressione del contenuto intestinale. Poiché la massa delle
sostanze non assorbite aumenta dalla parte prossimale alla distale dell’intestino il numero delle
cellule caliciformi aumenta nella stessa direzione. Le mucipare sono ghiandole unicellulari
intraepiteliali, hanno forma di calice ripieno di goccioline di muco. La lamina propria della
mucosa intestinale è formata da tessuto connettivo lasso ricco di cellule. Si distingue una parte
superficiale della lamina propria che forma l’asse dei villi e una parte profonda che rappresenta
il connettivo posto tra i tubuli ghiandolari. Nei villi che hanno forma conica si trova in genere
un vaso linfatico centrale, il vaso chilifero, che inizia a fondo cieco in corrispondenza dell’apice
dei villi stessi e si porta in profondità, confluendo in una rete di collettori linfatici che si trovano
nella parte profonda della tonaca propria e sottomucosa. I vasi linfatici rappresentano la via
preferenziale dell’assorbimento lipidico, particolarmente dei trigliceridi. Le sostanze idrosolubili
derivanti dalla digestione seguono invece la via ematica. Le ghiandole intestinali o cripte sono
presenti nella lamina propria di tutto l’intestino, nel duodeno si trovano anche cellule G
secernenti gastrina. Nel digiuno e nell’ileo al fondo delle cripte si notano inoltre le cellule di
Paneth che si riconoscono per i voluminosi granuli di secrezione contenenti glicoproteine neutre
e proteine. Alcune proteine hanno attività enzimatiche, tra queste componente principale dei
granuli è il lisozima con azione antibatterica. I noduli linfatici dell’ileo sono aggregati in
ammassi che si estendono anche nella sottomucosa e prendono il nome di placche di Peyer. La
tonaca sottomucosa non presenta differenze di rilievo con lo stomaco, in corrispondenza del
duodeno la sottomucosa accoglie le ghiandole duodenali che attraversano la muscolaris
mucosae per aprirsi nei fondi delle ghiandole intestinali. La tonaca muscolare è formata da due
strati di fibrocellule muscolari lisce circolari e longitudinali. La tonaca sierosa presenta i
caratteri strutturali del peritoneo essendo formata da un mesotelio e da connettivo
sottomesoteliale.
Flessura Duodenodigiunale:
Si forma tra la 4^ parte del duodeno e l’inizio del digiuno, si
trova a 3-4 CM a sinistra della linea mediana (L2) ed è applicata alla parete addominale
posteriore dal peritoneo parietale, fissata al diaframma dal muscolo sospensore del duodeno di
Treitz. Ha rapporto con l’estremità superiore del mesentere, la radice del mesocolon trasverso
e con il margine inferiore del corpo del pancreas, per mezzo del mesocolon con la borsa
omentale. A sinistra con l’arco vascolare di Treitz formato dall’incrocio dell’arteria colica sinistra
e la vena mesenterica inferiore.
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NOME:
Mesenteriale
Digiuno, derivazione dal latino “mancanza di cibo”
Ileo, derivazione dal latino “ contorto”
POSIZIONE: L’estremità superiore si trova nel mesogastrio al limite con il duodeno attraverso
la flessura duodenodigiunale (L2). L’estremità inferiore si trova nella regione del fianco destro
al limite con l’intestino crasso attraverso la valvola ileocecale (L5) presso l’articolazione
sacroiliaca destra. I gruppi delle sue anse si trovano:
1° GRUPPO: è posto nell’ipocondrio sinistro, fino a raggiungere la flessura colica
sinistra.
2° GRUPPO: è posto nella regione mesogastrica, fino a raggiungere la flessura colica
destra.
3° GRUPPO: è posto nella fossa iliaca di sinistra.
- 4° GRUPPO: è posto in posizione mediana, tra i due muscoli psoas destro e sinistro,
scende in parte nella piccola pelvi.
La porzione più lunga dell’intestino, in media 6-7 M, di forma cilindrica,
CARATTERISTICHE:
diametro all’inizio di circa 47 MM diminuisce gradualmente fino alla terminazione di 27 MM. Si
distingue in due porzioni:
DIGIUNO : corrispondente ai 2/5 prossimali con un lume relativamente più ampio,
parete più spessa e più riccamente provvisto di villi e ghiandole.
ILEO: corrispondente ai 3/5 distali.
Questi si dividono in anse che descrivono ognuna un cerchio quasi completo in cui si
distinguono due margini: uno libero o convesso, rivolto in genere verso la parete anterolaterale
dell’addome, un margine aderente, concavo o mesenteriale, continua con il mesentere dove
approdano alla parete intestinale i vasi e i nervi dopo essere passati tra i due foglietti della
lamina sierosa.
RAPPORTI: Le anse del tenue sono coperte in avanti e lateralmente dal grande omento e per
mezzo di questo con il peritoneo della parete anterolaterale dell’addome. Posteriormente per
mezzo del peritoneo della parete posteriore dell’addome con la porzione inferiore del duodeno,
il processo uncinato del pancreas, i corpi delle ultime vertebre lombari, i reni, gli ureteri, i
muscoli grande psoas e quadrato dei lombi, l’aorta, la vena cava inferiore e i rispettivi rami.
Superiormente le anse sono separate per mezzo del mesocolon e del colon trasverso dagli
organi sovramesocolici. A destra con il cieco e il colon ascendente. A sinistra con il colon
discendente e il colon iliaco. Inferiormente le anse del tenue scendono sulla superficie delle
fosse iliache dove contraggono rapporti con l’anello inguinale addominale e l’anello femorale.
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NOME:
Crasso, derivazione dal latino “ aggruppato”
Cieco, derivazione dal latino “chiuso”
Colon, derivazione dal latino “cavo” o “ventre”
Retto, derivazione dal latino “diritto”
POSIZIONE: L’estremità superiore si trova di norma nella regione del fianco destro al limite
con l’ileo attraverso la valvola ileocecale a livello della fossa iliaca destra (L5). L’estremità
inferiore termina aprendosi all’esterno con l’orifizio anale. Copre il perimetro dell’intestino
mesenteriale occupando nell’ordine la regione del fianco di destra, ipocondrio di destra,
mesogastrio, ipocondrio di sinistra, regione del fianco di sinistra, regione inguinoaddominale di
sinistra e ipogastrio.
CARATTERISTICHE: Il crasso è più grosso, più fisso e più breve del tenue. È lungo 1,8 M,
presenta una circonferenza di 28 CM che si riduce gradualmente a 14 CM in corrispondenza del
colon discendente, per aumentare nuovamente a 17-19 CM a livello del colon pelvico. Sulla
superficie esterna del crasso si notano gibbosità esterne a cui fanno riscontro nella superficie
interna ampie evaginazioni denominate tasche o haustra, tra loro separate da solchi esterni a
cui fanno riscontro nella superficie interna rilievi a forma di creste dette pieghe semilunari. Si
presentano inoltre tre lamine nastriformi, che si riducono a due in corrispondenza del tratto
inferiore del colon pelvico, a decorso longitudinale date da fasci di muscolatura liscia e
denominate tenie dell’intestino crasso. Lungo i margini delle tenie si trovano attaccate alla
superficie esterna numerose frange peritoneali peduncolate e ripiene di materiale adiposo
denominate appendici epiploiche. Si divide in varie parti:
INTESTINO CIECO: Ha forma irregolarmente emisferica con il fondo volto in basso, è
posto nella fossa iliaca di destra ma può presentare numerosi difetti di migrazione. Si
differenzia dal colon ascendente mediante due solchi, l’anteriore a leggera concavità
inferiore va dall’estremità terminale dell’ileo alla tenia anteriore del crasso, il posteriore
obliquo dall’alto in basso va dalla faccia posteriore del tratto terminale dell’ileo alla tenia
posteriore del crasso. Internamente il limite tra cieco e colon è dato da un piano
immaginario passante per la valvola ileocecale. Sulla faccia mediale del cieco al di sotto
e al di dietro dello sbocco ileale, si trova l’orifizio che immette nell’appendice
vermiforme. Il cieco presenta un’altezza di 6-7 CM e un diametro di 5-7 CM.
- COLON ASCENDENTE: Decorre quasi verticalmente dal basso verso l’alto e dall’avanti
verso il dietro a partire dal cieco fino alla flessura destra. Al suo inizio è accolto nella
fossa iliaca di destra e passa quindi nella regione del fianco destro, la sua lunghezza
varia ma generalmente è di 12-15 CM. È avvolto dal peritoneo nelle sue facce anteriore,
laterale e mediale ma non in quella posteriore. Le tenie sono in posizione anteriore,
posterolaterale e posteromediale.
COLON TRASVERSO: Compreso tra la flessura destra e la flessura sinistra del colon.
Partendo dalla regione ipocondriaca destra discende nella parte superiore della regione
mesogastrica, per risalire nell’ipocondriaca sinistra. Si presenta incurvato con la
convessità volta in basso e in avanti. È completamente avvolto da peritoneo e connesso
alla parete addominale posteriore da un’ampia ripiegatura della sierosa denominata
mesocolon trasverso. Le tenie si distinguono in inferiore, posterosuperiore e
posteroinferiore.
COLON DISCENDENTE: Fa seguito alla flessura di sinistra, discende fino alla cresta
iliaca di sinistra con una leggera curva a concavità mediale, prosegue nel colon iliaco,
attraversa la regione del fianco di sinistra dall’alto in basso.
COLON ILEOPELVICO o SIGMOIDEO: Situato nella fossa iliaca di sinistra e passa nella
piccola pelvi. Si considerano due tratti, l’iliaco decorre dalla cresta iliaca di sinistra fino
al margine mediale del muscolo grande psoas formando una curva con la concavità
volta in alto e medialmente, il pelvico fa seguito al precedente e decorre con direzione
lateromediale nella piccola pelvi addossandosi alla parete posteriore di questa fino alla
terza vertebra sacrale in cui prosegue nel retto.
- INTESTINO RETTO: Fa seguito al colon pelvico e si apre all’esterno con l’ano. Lungo 15
CM, inizia nella piccola pelvi (S3) e prosegue nel perineo posteriore. Sul piano sagittale
effettua due curvature, la concava sacrale sulla faccia anteriore del sacro e del coccige
con concavità anteriore, la perineale all’altezza dell’apice della prostata nel maschio e
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nella parte media della vagina nella femmina è convessa anteriormente. Sul piano
frontale effettua due curvature, la prima convessa a destra e la seconda convessa a
sinistra. Vi si distinguono due parti, la pelvica è dilata e prende il nome di ampolla
rettale, la perineale è ristretta e denominata canale anale, tra di loro sono delimitate
dall’inserzione sulla parete del muscolo elevatore dell’ano. Il peritoneo avvolge la faccia
anteriore e le laterali. La superficie interna in stato di vacuità presenta numerose pieghe
longitudinali che scompaiono con la distensione, vi sono inoltre alcune pieghe
trasversali di forma semilunare corrispondenti ai solchi descritti sulla superficie esterna.
Circa 2 CM al di sopra dell’orifizio anale la superficie interna si solleva nelle colonne
rettali, 5-10 pieghe longitudinali che iniziano in basso con una parte slargata e
terminano in alto assottigliandosi. Tra le basi delle colonne rettali si trovano tese pieghe
trasversali denominate valvole semilunari, ciascuna delimita insieme alla parete del
retto una tasca chiamata seno rettale. Al di sotto delle colonne delle valvole semilunari
si trova l’anello emorroidale, l’orifizio anale o ano si trova nel perineo posteriore, 3 CM
circa davanti al coccige. La cute perianale è ricca di ghiandole sudoripare apocrine dette
ghiandole circumanali.
RAPPORTI:
INTESTINO CIECO : Il cieco è completamente rivestito da peritoneo ed ha quattro facce.
Anteriore a contatto con la parete addominale anteriore. Posteriore e laterale in
rapporto con il peritoneo parietale che tappezza la fossa iliaca. Mediale in rapporto con
il muscolo psoas, i vasi iliaci esterni e le anse dell’intestino tenue mesenteriale.
- COLON ASCENDENTE: La faccia anteriore con la parete addominale anteriore e le anse
dell’intestino tenue. La faccia posteriore con i muscoli iliaco, quadrato dei lombi,
trasverso dell’addome e la parte inferiore della faccia anteriore del rene destro. La
faccia laterale con la parete addominale laterale e la faccia inferiore del lobo destro del
fegato. La faccia mediale con il muscolo psoas, anse intestinali, ureteri e vasi genitali.
COLON TRASVERSO : Anteriormente con il grande omento e la parete addominale
anteriore. Posteriormente con la faccia anteriore del rene destro, parte discendente del
duodeno, testa del pancreas e faccia anteriore del rene sinistro. In alto con la faccia
anteriore del lobo destro del fegato, cistifellea, corpo e grande curvatura dello stomaco
attraverso il legamento gastrocolico. In basso con le anse dell’intestino tenue.
- COLON DISCENDENTE : Anteriormente con le anse intestinali. Posteriormente con il
diaframma, muscoli quadrato dei lombi e trasverso dell’addome. Lateralmente con la
parete laterale dell’addome. Medialmente con i margini laterali del rene sinistro, anse
dell’intestino tenue e il muscolo grande psoas.
COLON ILEOPELVICO o SIGMOIDEO: L’iliaco anteriormente, medialmente e
lateralmente con le anse dell’intestino tenue, posteriormente con i muscoli psoas e
iliaco. Il pelvico anteriormente con la vescica nel maschio e l’utero nella femmina,
posteriormente con la faccia anteriore del sacro, intestino retto, uretere e vasi genitali,
superiormente con le anse del tenue.
STRUTTURA: Dall’interno all’esterno si osservano nella parete del crasso la tonaca mucosa, la
tonaca sottomucosa, la tonaca muscolare e la tonaca avventizia o la tonaca sierosa. La tonaca
mucosa è liscia, l’epitelio di rivestimento ricopre la superficie della mucosa, interrotto soltanto
dagli sbocchi di numerose ghiandole. Essa è formata da enterociti simili a quelli dell’intestino
tenue tra i quali sono intercalate cellule caliciformi mucipare, l’orletto striato è più basso
rispetto al tenue. La lamina propria della mucosa accoglie le ghiandole intestinali e noduli
linfatici solitari. Le ghiandole intestinali, come quelle del tenue, sono tubulari semplici e per la
maggior parte sono formate da cellule caliciformi mucipare. Vi sono anche le cellule di Paneth e
molte cellule argentaffini o basigranulose. La muscolaris mucosae è formata da uno strato
interno circolare e uno esterno longitudinale. La tonaca sottomucosa contiene il plesso nervoso
sottomucoso di Meissner. La tonaca muscolare è formata da uno strato interno circolare e uno
esterno longitudinale, gli ultimi non si dispongono in una lamina continua, ma in
corrispondenza delle tenie, inoltre accoglie il plesso mienterico. La tonaca sierosa non è
completa in tutte le parti del crasso, dove è assente viene sostituita dall’avventizia. Presso il
canale anale a partire da una linea festonata data dal margine libero delle valvole semilunari
l’epitelio cilindrico semplice è sostituito da un epitelio pavimentoso stratificato che riveste
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l’anello emorroidale, al di sotto di questo, in corrispondenza dell’ano, l’epitelio è corneificato,
con annessi peli, ghiandole sebacee e circumanali. Nella zona colonnare la muscolatura liscia si
dispone in due strati, uno interno circolare e uno esterno longitudinale. A livello dell’anello
emorroidale si distinguono tre strati muscolari lisci, interno ed esterno longitudinali, quello
intermedio circolare.
Valvola Ileocecale o Ileocecocolica: Formata da due spesse pieghe denominate labbro
superiore e inferiore che sporgono nel cieco e delimitano una fessura orizzontale detta orifizio
ileocecale. I labbri si riuniscono per formare le commessure della valvola che proseguono in
avanti e in dietro in due lamine denominate frenuli.
Appendice Vermiforme: Un condotto cilindrico molto sottile che si diparte dalla parete
mediale del cieco 2-3 CM al di sotto dell’orifizio ileocecale e termina con un’estremità libera che
volge per lo più inferiormente.
Flessura destra del Colon o Sottoepatica: Un segmento del colon compreso tra il tratto
ascendente e quello trasverso. Si configura come un angolo acuto o retto che si apre in avanti,
in basso e medialmente. Situata nell’ipocondrio destro. Si mette in rapporto anteriormente con
la faccia inferiore del lobo destro del fegato, posteriormente con la parte inferiore della faccia
anteriore del rene destro e la porzione discendente del duodeno.
Flessura sinistra del Colon o Lienale o Splenica: Posta tra colon trasverso e discendente.
Si presenta come un tratto di colon incurvato ad angolo acuto aperto in basso, in avanti e
medialmente. Si trova nell’ipocondrio sinistro a un livello superiore rispetto a quella di destra.
Si mette in rapporto anteriormente con il corpo dello stomaco, posteriormente con la faccia
anteriore di rene e surrene sinistro, lateralmente con il polo inferiore della milza.
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NOME: Fegato, derivazione dal latino “fichi”
POSIZIONE: Si trova nella cavità addominale in cui occupa la loggia sottofrenica destra.
Proietta nell’ipocondrio e nell’epigastrio destro. È compreso tra il diaframma in alto, lo stomaco
e il colon trasverso in basso, appoggia posteriormente sui corpi delle ultime vertebre toraciche.
CARATTERISTICHE: Ha la forma di un semiovoide con una parte convessa e l’altra segnata
dalle impronte dei vari organi. È di colore rosso-brunastro e consistenza pastosa. È un organo
pieno, altamente epiteliale, con scarso stroma connettivale e riccamente vascolarizzato. Ha
due facce:
DIAFRAMMATICA o ANTEROSUPERIORE : guarda in alto e in avanti, appare
regolarmente convessa e presenta in corrispondenza del margine anteriore la sporgenza
del fondo della cistifellea. Si divide in lobo destro e lobo sinistro separati dal solco
sagittale superiore cui corrisponde il legamento falciforme; il quale, in prossimità della
sua estremità anteriore si ispessisce nel legamento rotondo, e in direzione posteriore,
separandosi in due lamine, determina la pagina superiore del legamento coronario. La
faccia diaframmatica del lobo destro presenta solchi di profondità variabile denominati
impressioni diaframmatiche, anteriormente a queste e più in basso si può trovare un
altro solco diretto in avanti e in basso che è l’impronta del margine libero dell’arcata
costale. La faccia diaframmatica del lobo sinistro è meno estesa e convessa della
destra e presenta in prossimità del solco sagittale superiore una depressione
corrispondente all’apice del cuore denominata impressione cardiaca.
- VISCERALE o POSTEROINFERIORE : è leggermente concava e volge in direzione
posteriore verso sinistra. La sua superficie irregolare è percorsa da tre solchi: il solco
sagittale destro è costituito da un tratto anteriore e uno posteriore; quello anteriore è
ampio, accoglie la cistifellea, e prende il nome di fossa cistica, raggiunge il margine
anteriore del fegato a livello dell’incisura cistica. Il tratto posteriore si estende fino alla
faccia posteriore e accoglie la vena cava inferiore, da cui prende il nome di fossa della
vena cava. La fossa cistica e la fossa della vena cava sono separate da un tratto di
parenchima del lobo caudato di Spigelio denominato tubercolo caudato. Il solco
sagittale sinistro è profondo e diviso in due tratti. Quello anteriore raggiunge il margine
anteriore determinandovi l’incisura e contiene il legamento rotondo. Il tratto posteriore
è occupato nel feto dal condotto venoso di Aranzio che nell’adulto forma il legamento
venoso. Il solco trasverso o ilo del fegato è più prossimo alla faccia posteriore che al
margine anteriore, accoglie le formazioni del peduncolo epatico che sono dall’indietro
all’avanti: i rami di divisione della vena porta, i rami di divisione dell’arteria epatica, i
dotti epatici destro e sinistro, i linfatici del fegato, i rami nervosi del plesso epatico e del
plesso biliare. I tre solchi permettono di individuare sulla faccia viscerale del fegato
quattro lobi: il destro che presenta l’impronta colica data dalla flessura colica di destra,
l’impronta renale e surrenale di destra e l’impronta duodenale che è data dal tratto
sovramesocolico della porzione discendente del duodeno. Il lobo sinistro riceve
l’impronta gastrica data dalla piccola curvatura dello stomaco, l’impronta esofagea e un
rilievo detto tubercolo omentale. Il lobo quadrato presenta l’impronta pilorica data dalla
parte pilorica dello stomaco e dalla prima porzione del duodeno. Il lobo caudato di
Spigelio entra in rapporto con il pilastro destro del diaframma e con la parete della vena
cava inferiore. L’estremità anteriore presenta due prolungamenti, uno tondeggiante che
volge a sinistra e sporge nel solco trasverso con il nome di processo papillare, l’altro
volge a destra dividendo il solco sagittale destro nelle sue due parti ed è chiamato
tubercolo caudato.
FACCIA POSTERIORE o MARGINE POSTERIORE : si presenta convessa in senso
orizzontale, leggermente a sinistra della sua parte media presenta una profonda
incisura dovuta alla colonna vertebrale e denominata incisura vertebrale (T9-T10-T11).
Procedendo dal centro sia verso destra che verso sinistra si rileva che le due lamine del
legamento coronario si avvicinano progressivamente per accollarsi in corrispondenza dei
legamenti triangolari.
MARGINE ANTEROINFERIORE : sottile e tagliente, decorre dall’alto in basso, da sinistra
a destra e presenta due incisure, l’incisura ombelicale o legamento rotondo
corrispondente all’estremità anteriore del solco sagittale sinistro e l’incisura cistica
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corrispondente all’estremità anteriore del solco sagittale destro. In corrispondenza
dell’estremo sinistro del margine si trova un prolungamento fibroso detto appendice
fibrosa del fegato.
MARGINE POSTEROSUPERIORE : è arrotondato e delimita la faccia superiore rispetto
alla posteriore.
MARGINE POSTEROINFERIORE : delimita la faccia posteriore rispetto all’inferiore, a
destra della vena cava presenta l’impronta della ghiandola surrenale destra, a sinistra
della vena cava è formato dall’estremità posteriore del processo caudato.
RAPPORTI:
FACCIA DIAFRAMMATICA : con la cupola diaframmatica che la separa a destra della
cavità pleurica e per mezzo di questa dal polmone destro, a sinistra dal pericardio e per
mezzo di questo dalla faccia inferiore e dall’apice del cuore. In avanti con la parete
anteriore dell’addome.
FACCIA POSTERIORE: con il diaframma e le formazioni che lo attraversano, ossia
l’aorta, la vena cava inferiore, l’esofago e i nervi vaghi.
MARGINE ANTEROINFERIORE: a destra con 8-9^ costa sull’emiclaveare. A sinistra con
la 6-7^ costa.
Organizzazione Segmentaria
: Il fegato si può suddividere in più segmenti facendo
riferimento alla suddivisione dell’albero portale o alle modalità di formazione delle vene
epatiche. La vena porta si divide in due rami principali, uno che irrora la parte destra e uno che
irrora la parte sinistra del fegato. Ciascun ramo principale si divide in rami secondari che
irrorano porzioni delimitate senza anastomizzare. Si possono perciò riconoscere segmenti
delimitati e forniti di irrorazione portale indipendente, il ramo destro della vena porta dà un
ramo laterale destro e uno paramediano destro che forniscono rami anteriori e posteriori,
delineando così 4 segmenti che compongono la parte destra del fegato, il ramo sinistro dà una
vena laterale sinistra per la parte posteriore del lobo sinistro, segmento laterale sinistro, una
vena paramediana sinistra per la parte anteriore del lobo quadrato e un ramo proprio per il
lobo caudato che costituisce un segmento a parte. Considerando invece la disposizione delle
vene epatiche, l’organo si può suddividere in tre settori principali, corrispondenti alle principali
vene epatiche, più un quarto settore, quello del lobo caudato, che ha un drenaggio venoso
proprio.
STRUTTURA: Il fegato è ricoperto da un denso strato di tessuto connettivo collagene con rare
fibre elastiche, questo strato, in cui decorrono vasi linfatici, sanguiferi e nervi costituisce una
capsula fibrosa, legata strettamente al parenchima sottostante, in cui si addentra con brevi e
robusti setti. In corrispondenza dell’ilo la capsula fibrosa si ispessisce e penetra nell’organo
accompagnando le ramificazioni dei vasi, dei condotti biliari e dei nervi, delimitando così aree
più piccole e circoscritte di parenchima epatico, denominate lobuli epatici. Per le sue funzioni il
fegato non solo è una ghiandola a secrezione esterna, in quanto elabora la bile, ma anche una
particolare ghiandola a secrezione interna che riversa direttamente nel sangue numerosi
elaborati (glucosio, proteine e lipoproteine). Questa complessità morfofunzionale determina
un’architettura microscopica paragonabile ad una struttura labirintica (ghiandola labirintica). Il
fegato in sezione risulta costituito da un numero elevato di aree grossolanamente poligonali
(lobuli epatici) delimitate da connettivo derivato dalla suddivisione della capsula fibrosa
perivascolare. Tridimensionalmente i lobuli epatici hanno forma di piramidi poligonali ad apice
tronco, o di prismi del diametro di circa 1 MM e dell’altezza di 1,5-2 MM. I lobuli epatici sono
considerati le unità strutturali del fegato (lobuli classici). Ogni lobulo risulta costituito da
numerose lamine cellulari anastomizzate e ampiamente perforate, queste delimitano un
sistema labirintico di spazi irregolari in cui è contenuta una rete capillare a decorso tortuoso
(sinusoidi). Nel lobulo classico le lamine cellulari e i capillari hanno una disposizione radiale.
L’asse del lobulo epatico è occupato da un vaso venoso a parete sottile, la vena centrolobulare,
in cui sboccano tutti i sinusoidi del lobulo. La parete della vena centrolobulare perciò appare
caratteristicamente cribrata; essa è costituita dall’endotelio circondato da uno strato di
connettivo fibroso; è quindi un vaso a parete rigida, anche perché il connettivo della parete
venosa continua nello stroma del lobulo. Le zone dove tre o più lobuli adiacenti vengono a
contatto si chiamano spazi portali o portobiliari di Kiernan con aspetto irregolarmente stellato.
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In questi spazi il connettivo perilobulare si addensa a formare un involucro alle varie
diramazioni interlobulari. Il sangue che circola nelle ramificazioni della vena porta e dell’arteria
epatica è convogliato dalla periferia di ogni lobulo alla rete dei sinusoidi. È questa una rete
mirabile venosa che si trova nelle lamine delle cellule epatiche e collega i vasi interlobulari alla
vena centrolobulare. Le vene centrolobulari confluiscono nelle vene sottolobulari, tributarie
delle vene epatiche che convogliano il sangue nella vena cava inferiore. Il sangue che circola
nei sinusoidi epatici è artero-venoso. Al contrario la bile elaborata dagli epatociti si riversa
dentro spazi intercellulari privi di parete propria e scavati tra gli epatociti. Questi spazi
costituiscono una rete canalicolare che convoglia la bile in condotti escretori provvisti di parete
propria, i canalicoli biliari. Non esistendo vasi linfatici nei lobuli epatici i fluidi interstiziali
vengono convogliati negli spazi portali provvisti di capillari linfatici. Nell’uomo, al contrario degli
altri mammiferi, al lobulo classico si affiancano altri modelli di organizzazione del parenchima
epatico, quali il lobulo portale e l’acino epatico. I sinusoidi sono capillari sanguiferi con parete
sottile, lume ampio, decorso tortuoso e molte anastomosi che formano le reti intralobulari. Essi
convogliano il sangue dalla arteria epatica e dalla vena porta alla vena centrolobulare. La
parete dei sinusoidi è costituita da cellule endoteliali appiattite di cui solo il nucleo sporge nel
lume e sono intervallate da numerosi pori e fenestrature. I margini delle cellule endoteliali si
sovrappongono tra di loro e possono presentare prolungamenti citoplasmatici che possono
risultare o in contatto con le altre cellule endoteliali, o localizzati nello spazio sottoendoteliale,
o variamente inseriti nel contesto della parete endoteliale; questo fenomeno si evidenzia in
prossimità di ampie fenestrature o discontinuità. Questi elementi sono le cellule stellate di
Kupfer con spiccata attività fagocitaria e espressiva degli enzimi lisosomiali, per questa
caratteristica si ritiene svolgano anche attività di difesa e sono quindi associati al sistema dei
macrofagi. I sinusoidi non sono provvisti della tipica membrana basale ma di una discontinua o
del tutto assente, è evidente che il plasma attraversa facilmente l’endotelio ed entra a contatto
con gli epatociti circostanti, incrementando notevolmente lo scambio di metaboliti. Tra la
membrana basale dei sinusoidi e la superficie degli epatociti vi è uno spazio interstiziale
denominato spazio perisinusoidale o di Disse in cui si riversano i prodotti dell’epatocita e sono
presenti delle cellule stellate che accumulano nel loro citoplasma lipidi e sostanze liposolubli,
queste cellule sono denominate lipociti, fat storing cell o di Ito.
Le cellule epatiche hanno forma di poliedri con sei o più facce e misurano in sezione 20-25
micron. Sono disposte in lamine unicellulari anastomizzate tra loro interposte ai sinusoidi. Gli
epatociti presentano alcune facce rivolte verso il sinusoide (poli vascolari), altre a stretto
contatto con altri epatociti insieme ai quali delimitano piccoli capillari biliari (poli biliari). Le
superfici rivolte verso i sinusoidi hanno numerosi microvilli che si proiettano nello spazio di
Disse. Si realizza così un esteso sistema microlabirintico dove vengono favoriti gli scambi tra
cellule epatiche e sangue. Le superfici che servono a delimitare i capillari biliari sono
pianeggianti e strettamente accollate tranne per una piccola area in cui la superficie è incavata
a doccia, questa giustapponendosi ad un’analoga depressione sulla parete della cellula
adiacente costituisce la parete del capillare biliare. Sulle superfici del capillare biliare siedono
numerosi e corti microvilli e complessi di giunzione grazie ai quali, in condizioni normali, non è
possibile nessuna comunicazione tra polo vascolare e polo biliare di uno stesso epatocita. I
capillari biliari hanno un decorso tortuoso e presentano frequenti evaginazioni laterali che
possono prendere origine dalle zone esterne degli epatociti e sboccano nel fondo delle docce
biliari. Negli epatociti in genere la superficie volta verso lo spazio perivascolare è molto più
ampia di quella che delimita i capillari biliari. In condizioni normali le cellule epatiche dell’adulto
raramente entrano in mitosi, ma nei processi rigenerativi le mitosi possono farsi numerose. In
un lobulo classico gli epatociti in posizione più periferica si trovano in uno stato di elevata
attività, quelle della zona intermedia si trovano in stato di attività variabile, infine quelle nei
pressi della vena centrolobulare si trovano in uno stato di minima attività. Ciò è causato dalla
migliore capacità degli epatociti periferici di assumere ossigeno e nutrimento dal sangue dai
rami terminali dell’arteria epatica che si trovano appunto alla periferia del lobulo.
Vie biliari intraepatiche
: la bile viene secreta dagli epatociti nei capillari biliari che formano
nel lobulo epatico una minuta rete canalicolare che confluisce nei condottini intralobulari,
concentrati vicino agli spazi portobiliari. Questi sono chiamati colangioli o canali di Hering,
hanno un lume talmente stretto da confondersi con quello dei capillari biliari delimitato dagli
epatociti. Negli spazi portobiliari i colangioli si continuano con i canalicoli biliari interlobulari. I
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condotti intraepatici si affiancano alle ramificazioni dell’arteria epatica, della vena porta, i nervi
e i vasi linfatici e decorrono dapprima nel connettivo degli spazi portobiliari, quindi confluiscono
in condotti di calibro sempre maggiore fino a ingrandirsi formando un unico canale intraepatico
di destra e di sinistra. Nei condotti intraepatici di calibro maggiore appaiono elementi a
secrezione mucosa e piccole ghiandole mucose.
Mezzi di Fissità : Il fegato è fissato alla parete posteriore dell’addome sia dalle sue
connessioni vascolari con la cava inferiore che aderisce da un lato all’orifizio del diaframma e
dall’altro al parenchima epatico per opera delle vene epatiche, sia da tessuto connettivo tra la
porzione destra della faccia posteriore e il diaframma. Il peritoneo viscerale riveste il fegato
sulla sua faccia anterosuperiore e posteroinferiore delimitando la loggia epatica, le pieghe del
peritoneo formano i legamenti peritoneali tra il fegato e le pareti della cavità addominale o altri
visceri:
- Legamento Coronario: Il vero e proprio legamento sospensore costituito da due
foglietti, uno superiore e uno inferiore. Si estende dalla faccia posteriore del fegato al
diaframma. L’inserzione del legamento falciforme distingue il foglietto superiore in due
parti, destra e sinistra. Il foglietto inferiore nella sua porzione sinistra corre parallelo a
quello superiore, nel tratto intermedio circonda la cava, nella parte destra le due lamine
sono piuttosto distanti poiché il fegato in quella zona è in diretto contatto con il
diaframma tramite tessuto connettivale.
Legamenti Triangolari: Sono le estremità destra e sinistra del legamento coronario in
cui i due foglietti si accollano. A sinistra parte dalla fossa della vena cava e arriva
all’estremità sinistra del fegato, tra le due lamine si trovano vasi linfatici e vene
epatiche accessorie. A destra è meno esteso o del tutto assente.
- Legamento Falciforme: Formato da due lamine peritoneali e di forma triangolare. Si
estende dal diaframma al solco sagittale della faccia diaframmatica del fegato. Non si
può considerare un legamento sospensore poiché in condizioni normali non risulta teso.
Presenta due facce, destra e sinistra, due margini, inferiore e superiore, una base e un
apice. La faccia sinistra è in rapporto con la faccia superiore del fegato, mentre la
destra prospetta verso il diaframma. Il margine superiore è convesso e prende attacco
in direzione posteroanteriore alla faccia inferiore del diaframma fino ad arrivare alla
cicatrice ombelicale, il margine inferiore si fissa alla faccia diaframmatica con decorso
rettilineo a partire dall’incisura del legamento rotondo fino alla vena cava inferiore e la
sua base è libera. La base nel feto contiene la vena ombelicale, nell’adulto diventa
sclerotica a costituire il legamento rotondo.
- Piccolo Epiploon o Piccolo Omento: Va dal solco trasverso alla piccola curvatura
dello stomaco e al margine superiore della prima porzione del duodeno. È diviso in due
parti, destra o pars tensa o legamento epatoduodenale e sinistra o pars lassa o
legamento epatogastrico. Il primo delimita al davanti il foro epiploico o anello di
Winslow unica porta di accesso alla borsa omentale, tra i suoi due foglietti si trova il
peduncolo epatico. Il secondo è la diretta continuazione dell’epatoduodenale verso
sinistra, i foglietti sono completamente accollati e vi decorrono le vie linfatiche, un ramo
del nervo vago anteriore denominato nervo gastroepatico, va a costituire la parete
anteriore della borsa omentale.
Epatorenale: Si estende dalla faccia inferiore del lobo destro del fegato al polo
superiore del rene e del surrene di destra.
Epatocolica: Va dalla faccia inferiore del fegato alla flessura colica di destra.
-
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NOME: Colecisti o Cistifellea, derivazione dal latino “vescica”
POSIZIONE: Occupa la porzione anteriore del solco sagittale destro della faccia viscerale del
fegato dove imprime la fossa cistica.
Un serbatoio piriforme annesso alle vie biliari. Lungo 8-10 CM, largo 3-4
CARATTERISTICHE:
CM, capacità di 5-6 CL. Si distingue un fondo, un corpo e un collo:
- FONDO: Deborda dal margine inferiore del fegato ed è completamente rivestito da
sierosa peritoneale.
- CORPO: Adagiato sulla fossa cistica e vi aderisce tramite tessuto connettivale e vasi che
dalla parete cistica si portano al fegato denominati vene porte accessorie. È rivestito da
sierosa peritoneale.
- COLLO: Si presenta alquanto sinuoso e termina con il dotto cistico, forma con il corpo
un angolo acuto aperto in avanti in corrispondenza del quale vi è un linfonodo. La
superficie esterna si presenta sporgente a destra e depressa a sinistra, viste dall’interno
la parte sporgente e la parte depressa prendono rispettivamente il nome di bacinetto e
promontorio, il primo è delimitato rispetto alla cavità da una piega mucosa o valvola
superiore e rispetto al lume del dotto cistico da una valvola inferiore.
RAPPORTI:
- FONDO: Profondamente e inferiormente con il colon trasverso. Superficialmente con la
faccia interna della parete anteriore dell’addome nel punto cistico che si trova
nell’ipocondrio di destra, in corrispondenza della 9^-10^ cartilagine costale di destra.
- CORPO: La faccia inferiore con la faccia anteriore del secondo tratto del duodeno e con
il colon trasverso, può raggiungere la faccia anteriore del canale pilorico e può dare
attacco ad una piega peritoneale chiamata legamento colecistoduodenocolico.
- COLLO: Posteriormente in basso con la prima porzione del duodeno. Medialmente a
sinistra con gli elementi del peduncolo epatico.
STRUTTURA: La parete è formata da una tonaca mucosa, da una tonaca muscolare e da una
tonaca sierosa incompleta. La tonaca mucosa è sollevata in pieghe anastomizzate tra loro a
delimitare recessi e diverticoli irregolari che conferiscono un aspetto labirintico. L’epitelio di
rivestimento è formato da un solo strato di cellule cilindriche alte a contorno esagonali con
l’apice rivestito da microvilli a formare l’orletto a spazzola. La tonaca mucosa si pone
direttamente in rapporto con lo strato muscolare, le fibrocellule muscolari lisce, alternate a
fibre elastiche, non sono molto abbondanti e assumono un decorso longitudinale negli strati
interni ed obliquo in quelli più esterni. A livello del collo l’epitelio di rivestimento si introflette a
formare piccole ghiandole mucose e invaginazioni sacciformi.
Vie biliari extraepatiche
:
Emergono dal fegato in
- Dotto epatico di destra, di sinistra e accessorio:
corrispondenza del solco trasverso, al davanti dei rami della porta. Sono il risultato della
fusione dei canali biliari intraepatici maggiori. Il destro incrocia al davanti il ramo destro
dell’arteria epatica. Il sinistro è più lungo del destro ed assume rapporti assai variabili
con il corrispondente ramo dell’arteria epatica. Confluiscono entrambi dando origine al
dotto epatico comune al davanti del punto di ingresso della vena porta nell’ilo. La
disposizione dei dotti presenta notevoli variazioni sia di posizione che di numero. Nel
40% dei casi dall’estremo destro del fegato si diparte un dotto epatico accessorio.
Un tratto della via biliare principale che si estende dal punto
- Dotto epatico comune:
di unione dei dotti epatici al punto in cui confluisce il dotto cistico formando il coledoco.
È compreso nel peduncolo epatico tra i due foglietti peritoneali del legamento
epatoduodenale. Si trova davanti e a destra dell’arteria epatica propria con un
andamento dall’alto in basso leggermente verso sinistra, trovandosi sempre al davanti
della vena porta. Alla sua sinistra si affianca il dotto cistico.
- Dotto cistico: Si estende dal collo della colecisti fino al dotto epatico comune formando
il coledoco, la sua lunghezza è variabile poiché varia il modo di confluire nel dotto
epatico comune. È compreso nel legamento epatoduodenale. Ha una configurazione
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interna caratteristica la cui mucosa si presenta sollevata in una piega spiraliforme
denominata valvola spirale di Heister.
Coledoco: Origina per la confluenza del dotto epatico comune con il dotto cistico,
percorre il legamento epatoduodenale, passa dietro alla prima porzione del duodeno e
alla testa del pancreas, penetra nella parete mediale della seconda porzione duodenale
per sboccare nell’ampolla duodenale maggiore. Il coledoco decorre inizialmente dall’alto
in basso in senso lateromediale, giunto a livello della faccia posteriore della prima parte
del duodeno si porta in avanti e verso destra. Si distingue in sopraduodenale,
retroduodenale, infraduodenale o pancreatico, intraduodenale o intramurale.
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NOME: Pancreas, derivazione dal greco “tutto carne”
POSIZIONE: Situato nello spazio retroperitoneale ai limiti fra il piano sovramesocolico e quello
sottomesocolico ed è orientato con il suo asse maggiore trasversalmente, davanti ai corpi di
L1-L2. Il suo asse maggiore è diretto verso sinistra e verso l’alto; su di esso il pancreas si
presenta incurvato con una convessità volta in avanti determinata dal rapporto posteriore con
la colonna vertebrale e i grossi vasi posti al davanti di quest’ultima.
CARATTERISTICHE:
Il pancreas è una voluminosa ghiandola, costituito da una parte a
secrezione esterna e da una parte a secrezione interna, lungo circa 17-20 CM, alto 4-5 CM e
spesso 2-3 CM, assume un colorito grigiastro o roseo se è in condizioni di intensa attività. È
annessa al duodeno in cui versa il prodotto della sua secrezione esterna attraverso il dotto
principale di Wirsung e il dotto accessorio di Santorini. Nel pancreas si distinguono una testa,
un corpo e una coda.
- TESTA: Accolta nella concavità dell’ansa duodenale, presenta una faccia anteriore, una
faccia posteriore e un margine o circonferenza. La faccia posteriore è divisa
dall’inserzione della radice del mesocolon trasverso in una porzione superiore e una
porzione inferiore, questa presenta un prolungamento in corrispondenza dell’estremo
inferiore mediale, il processo uncinato. La faccia posteriore è in diretto rapporto con il
tratto terminale del coledoco che lascia una profonda impronta. Fra la testa e il corpo
esiste una porzione ristretta denominata istmo, delimitata da due incisure, una
superiore presso la prima porzione del duodeno e una inferiore formata dalla vena e
dall’arteria mesenterica superiore.
- CORPO: Compreso tra istmo e coda, incrocia da destra a sinistra, dal basso verso l’alto i
corpi di L1-L2.
- CODA: L’estremità sinistra della ghiandola con forma ed estensione molto variabili,
rivestita dal peritoneo parietale posteriore della retrocavità degli epiploon che va a
rivestire in avanti anche le formazioni del peduncolo splenico costituendo il foglietto
anteriore del legamento pancreaticolienale, presso l’apice della coda è parzialmente
rivestita dal foglietto peritoneale che ha costituito la lamina posteriore del legamento
pancreaticolienale.
Mezzi di Fissità : Il duodeno che ne accoglie la testa, il peritoneo parietale posteriore che lo
ricopre anteriormente mantenendolo aderente alla parete posteriore dell’addome e agli organi
retrostanti, il legamento pancreaticolienale che ne fissa la coda all’ilo della milza.
Dotti Escretori: Dotto pancreatico principale di Wirsung, decorre con direzione corrispondente
all’asse maggiore dell’organo, a livello dell’istmo si dirige in basso posteriormente a destra
portandosi nello spessore della testa dove si affianca al coledoco. I numerosi affluenti del dotto
principale lo raggiungono formando con esso un angolo generalmente retto. Dotto pancreatico
accessorio di Santorini, decorre nello spessore della parte superiore della testa del pancreas e
in genere prende origine dal dotto pancreatico principale di Wirsung a livello dell’istmo nel
punto in cui questo forma un gomito. Il dotto accessorio ha affluenti propri, ma nel complesso
può essere considerato un ramo collaterale del dotto principale.
RAPPORTI:
- TESTA: Faccia anteriore, porzione sovramesocolica con anteriormente arteria
gastroduodenale, sopraduodenale superiore e gastroepiploica destra, porzione
sottomesocolica con anse dell’intestino tenue. Processo uncinato con anteriormente
arteria e vena mesenterica superiore. Faccia posteriore con il tratto terminale del
coledoco, le arterie della testa del pancreas e la pancreaticoduodenale inferiore. L’istmo
è in rapporto anteriormente con la radice del mesocolon trasverso, posteriormente con
l’origine della vena porta.
- CORPO: Faccia anteriore e convessa con la faccia posteriore dello stomaco grazie
all’interposizione di un diverticolo peritoneale. Faccia posteriore e concava si adatta alla
convessità della retrostante colonna vertebrale mettendosi in rapporto con aorta,
arteria e vena mesenterica superiore, parte terminale della vena mesenterica inferiore.
A sinistra con la vena renale sinistra, faccia anteriore della ghiandola surrenale sinistra,
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-
il polo superiore del rene sinistro. Il margine superiore portandosi in alto a sinistra entra
in rapporto con il tronco celiaco e a livello del tubercolo omentale si trova una profonda
incisura in cui decorrono sia la vena che l’arteria lienale o splenica. Il margine inferiore,
ricoperto dalla radice del mesocolon trasverso, presenta un’impronta dovuta al rapporto
con la flessura duodenodigiunale.
CODA: Superiormente con l’ilo della milza dietro il tratto terminale dell’arteria lienale.
Posteriormente con il rene sinistro
STRUTTURA: Il pancreas esocrino ha una struttura simile alla parotide, cioè una ghiandola
acinosa composta a secrezione sierosa. Gli adenomeri del pancreas esocrino non sono
conformati come acini ma come tubuli. Il parenchima pancreatico è costituito di unità lobulari
delimitate da una trama di tessuto connettivo, proveniente da un esile involucro capsulare che
riveste l’organo. Ogni acino è formato da una sola fila di cellule alte e piramidali, rivestite da
una lamina basale a cui aderisce una sottile rete di fibrille collagene, sul contorno esterno si
possono trovare cellule di forma stellata e di natura contrattile in stretto rapporto con la lamina
basale denominate cellule a canestro. Secernono granuli di zimogeno che contengono
numerosi proenzimi capaci di digerire proteine, lipidi e glucidi. La secrezione del pancreas è
modesta e continua, viene amplificata solo da stimoli neuro endocrini dovuti a ormoni prodotti
nel duodeno, secretina e pancreozimina. La parete dei condotti pancreatici è costituita da uno
strato di cellule epiteliali cilindriche che poggiano su una membrana basale e da una tonaca
fibromuscolare in cui possono essere contenute piccole ghiandole mucose, come nel condotto
epatico e cistico.
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NOME: Sistema GastroEnteroPancreatico
CARATTERISTICHE:
Le cellule vengono classificate in base agli effetti del loro secreto, se il
loro prodotto svolge la sua azione vicino al luogo di secrezione sono dette paracrine, se il
prodotto svolge la sua azione lontano dal luogo di secrezione sono dette endocrine.
Gli ormoni esclusivi del sistema GEP sono:
- GASTRINA: Con sede nell’antro pilorico e nel primo tratto del duodeno, stimola la
secrezione di HCl da parte delle cellule delomorfe.
- SECRETINA: Con sede nel duodeno, stimola la secrezione esocrina e alcalina del
pancreas.
- COLECISTOCHININA-PANCREOZIMA : Con sede nel duodeno, stimola la motilità
gastrointestinale, delle vie biliari e la secrezione esocrina del pancreas.
- POLIPEPTIDE PANCREATICO: Con sede nel pancreas, non sono note le precise funzioni.
- PEPTIDE INIBITORE GASTRICO : Con sede nel digiuno, inibisce la secrezione e la
motilità gastrica, stimola la secrezione delle ghiandole intestinali e pancreatiche.
- MOTILINA : Con sede nel duodeno e nel digiuno, stimola la motilità e la secrezione
gastrica.
- ENTEROGLUCAGONE: Con sede nell’ileo, ha un azione simile a quella del glucagone
pancreatico, aumenta la glicemia per attivazione della glicogenolisi epatica.
Gli ormoni comuni al sistema GEP e al sistema nervoso sono:
- SOSTANZA P : Con sede nel tenue e nel crasso, regola la peristalsi intestinale.
- SOMATOSTATINA : Con sede nell’antro pilorico e nel pancreas, inibisce la secrezione di
HCl da parte delle cellule delomorfe e la secrezione esocrina del pancreas.
- PEPTIDE INTESTINALE VASOATTIVO: Con sede nel duodeno, un vasodilatatore che
aumenta la motilità e la secrezione intestinale.
- ENCEFALINA: Con sede nel duodeno, diminuisce il tono e la motilità intestinale.
- BOMBESINA : Con sede nell’antro pilorico e nel duodeno, stimola la motilità intestinale,
la secrezione gastrica e pancreatica esocrina.
- NEUROTENSINA: con sede nell’ileo, stimola la liberazione di glucagone, inibisce la
liberazione di insulina, aumenta la permeabilità vascolare e regola la motilità
intestinale.
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NOME: Peritoneo, derivazione dal latino “stendere intorno”
CARATTERISTICHE:
La più estesa membrana sierosa che misura circa 1700 CM. Si presenta
liscio, trasparente e sottile con lievi variazioni zonali. Riveste le pareti della cavità addominale
e parzialmente le pareti della cavità pelvica, avvolgendo quasi completamente e senza
soluzione di continuità gli organi contenuti in tali cavità. La sierosa che si dispone sulle pareti
della cavità addominopelvica si chiama peritoneo o lamina parietale, quella che si porta sugli
organi contenuti prende il nome di peritoneo o lamina viscerale, generalmente il primo è più
spesso del secondo. I due foglietti si continuano grazie a formazioni peritoneali denominate
mesi, legamenti ed epiploon od omenti. I mesi e i legamenti sono formazioni bilaminari che si
portano dalle pareti ai visceri, i mesi tra le proprie lamine contengono vasi e nervi quindi
svolgono funzione trofica, i legamenti sono poveri di vasi e nervi e assumono principalmente
funzione di sostegno dal momento che tra le due lamine peritoneali vi è abbondante connettivo
fibroso o fibroelastico. Gli epiploon od omenti hanno le stesse caratteristiche dei legamenti e
spesso vengono considerati tali, ma uniscono due visceri. Nella cavità peritoneale è reperibile
una modesta quantità di liquido sieroso denominato peritoneale, questo è una soluzione in fase
acquosa di elettroliti, proteine ed altre sostanze derivate sia dal liquido interstiziale, sia dal
plasma sanguigno. In condizioni fisiologiche sono presenti anche cellule mesoteliali
desquamate, macrofagi liberi, mastociti, fibroblasti e linfociti. La lamina viscerale che riveste
gli organi per lo più pieni delimita alcuni spazi denominati logge. Alcuni organi, del tutto
rivestiti da peritoneo, sono completamente all’interno della cavità e sono dotati di una certa
mobilità. Altri organi detti retroperitoneali, invece, collocandosi a ridosso di una parete di
sostegno vengono coperti dal foglietto parietale solo lungo una superficie, senza formare mesi
o legamenti, perciò la loro mobilità è ridotta. La disposizione del peritoneo nella cavità
addominopelvica consente di individuare una cavità peritoneale compresa entro il rivestimento
dato dal foglietto parietale, uno spazio retroperitoneale posto tra il foglietto parietale
posteriore e la parete della cavità addominopelvica, uno spazio sottoperitoneale individuabile al
di sotto del foglietto inferiore, tra questo e il pavimento pelvico.
Cavità Previscerale:
Una cavità virtuale delimitata al davanti dal peritoneo parietale anteriore
e in dietro dalla faccia anteriore della maggior parte dei visceri addominali con l’interposizione
del grande omento.
Peritoneo Parietale Anteriore Sovraombelicale: Presenta un diverso comportamento a seconda
che sia sulla linea mediana o ai lati di questa. Lungo la linea mediana viene sollevato in una
piega che si fa progressivamente più alta, questa piega è il legamento falciforme del fegato che
è triangolare e presenta tre margini e tre angoli. Ai lati della linea mediana il peritoneo
parietale risale dalla parete anteriore dell’addome alla cupola diaframmatica fino a
raggiungere, a destra il margine posteriore del lobo destro del fegato, a sinistra il margine
posteriore del lobo sinistro del fegato, il tratto terminale dell’esofago e il cardias.
Peritoneo Parietale Anteriore Sottoombelicale: Partendo dall’ombelico la lamina peritoneale si
distende verso il basso a rivestire la superficie interna della parete anteriore dell’addome,
presenta un diverso comportamento a seconda che sia nella parte mediana o ai lati di questa.
Sui lati aderisce uniformemente alla superficie interna della parete, nella parte mediana si
presenta invece sollevato in diverse pieghe che dalla cicatrice ombelicale divergono verso il
margine superiore del pube e dei legamenti inguinali. Queste corrispondono alla piega
ombelicale media che va dalla cicatrice ombelicale all’apice della vescica ed è determinata dalla
presenza del residuo fibroso dell’uraco, alle due pieghe ombelicali mediali che si estendono
dalla cicatrice ombelicale fino alla faccia laterale della vescica. Più lateralmente a queste
pieghe, esternamente al margine laterale dei muscoli retti dell’addome, il peritoneo viene
sollevato bilateralmente in altre due pieghe denominate pieghe ombelicali laterali che
divergono verso i legamenti inguinali. Sui due lati si osservano alcune depressioni, una si trova
fra la piega mediana e la mediale denominata fossetta sopravescicale, un’altra lateralmente
alla prima tra la piega mediale e quella laterale è la fossetta inguinale mediale, lateralmente
alla piega laterale si osserva la fossetta inguinale laterale.
Cavità Viscerale: Sollevando il grande omento si osserva un vasto setto trasversale costituito
dal mesocolon trasverso che divide la cavità viscerale in due parti, uno spazio sovramesocolico
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e uno spazio sottomesocolico, questo viene ulteriormente sedimentato dal mesocolon
ileopelvico che lo separa dal piano pelvico.
Mesocolon Trasverso: Unisce il colon trasverso alla parete posteriore dell’addome. Presenta
una linea di attacco alla parete addominale posteriore che risulta tesa trasversalmente tra i
margini laterali dei due reni, con direzione obliqua da destra a sinistra, dal basso in alto. A
destra questa linea incrocia il terzo inferiore del rene e la porzione discendente del duodeno, a
sinistra incrocia il limite tra il terzo medio e il terzo superiore del rene. Duodeno e pancreas
sporgono con le loro porzioni superiori nello spazio sovramesocolico e con quelle inferiori nello
spazio sottomesocolico. Ai suoi due estremi la linea di attacco del mesocolon trasverso piega in
basso per continuare con quelle del peritoneo addossato rispettivamente al colon ascendente e
discendente. Il mesocolon trasverso è formato da due lamine tra cui decorrono vasi sanguinei,
linfatici e nervi per il colon trasverso. Tali lamine si dirigono dalla superficie anteriore della
testa e dal margine inferiore del corpo del pancreas alla faccia posteriore del colon trasverso
dove si disgiungono per avvolgerlo. La lamina superiore aderisce al grande epiploon, quella
inferiore ricopre posteriormente la superficie del pancreas e passa sulla faccia anteriore della
parte orizzontale e ascendente del duodeno. Il peritoneo del mesocolon trasverso si comporta
diversamente a seconda della zona, a destra provenendo dal fegato tappezza la parete
posteriore dell’addome stratificandosi sulla faccia anteriore del rene destro e della porzione
sovramesocolica del duodeno, successivamente raggiunge la linea di attacco del mesocolon
formandone la lamina superiore e circondando il colon trasverso, risale poi a formare la lamina
inferiore del mesocolon e continuando nel peritoneo parietale posteriore. A sinistra il peritoneo
si fonde con la lamina posteriore del grande epiploon, ritrova la propria indipendenza a livello
del colon trasverso circondandolo per costituire la lamina inferiore del mesocolon, riflettendosi
poi nel peritoneo parietale.
Ha per limiti in avanti la cavità previscerale, in dietro la parete
Spazio Sovramesocolico:
dorsolombare, in alto il diaframma, in basso il colon trasverso con il proprio meso. Riveste la
faccia interna della parete addominale formando il legamento falciforme che giunge a livello del
margine posteriore del fegato, qui si riflette anteriormente per rivestire la faccia diaframmatica
del fegato, la parte che si riflette portandosi dal diaframma al margine posteriore del fegato
forma la lamina superiore del legamento coronario. A destra supera il margine anteriore del
lobo epatico destro andando a rivestire la faccia viscerale dello stesso, il fondo e la faccia libera
della cistifellea. Una volta raggiunta la vena cava e il margine posteriore del fegato si porta
nuovamente al diaframma dove forma la lamina inferiore del tratto destro del legamento
coronario. Si porta quindi lateralmente a destra, dopo aver costituito il legamento triangolare
destro, a formare peritoneo parietale laterale e posteriore, mentre a sinistra dopo aver
superato il margine anteroinferiore del lobo epatico sinistro riveste la faccia viscerale
raggiungendo il margine posteriore e formando la lamina inferiore del tratto sinistro del
legamento coronario. Il peritoneo che riveste la zona mediana della faccia inferiore del fegato,
superato il margine anteriore, tra l’incisura cistica e l’incisura del legamento rotondo, va a
rivestire la superficie viscerale del lobo quadrato fino al solco trasverso del fegato, da qui il
peritoneo abbandona la superficie del viscere formando la lamina anteriore del piccolo
epiploon. Questa riflessione peritoneale raggiunge il margine superiore del primo tratto del
duodeno e verso sinistra fino alla piccola curvatura dello stomaco, formando la lamina
anteriore del legamento epatoduodenale e epatogastrico. Raggiunti i rispettivi organi la lamina
si distende a ricoprirne la faccia anteriore. In alto a sinistra raggiunge il fondo dello stomaco.
Lateralmente a sinistra si porta al tratto verticale della grande curvatura gastrica prospiciente
la milza. In basso arriva al tratto orizzontale dove abbandona la grande curvatura e si porta,
scendendo sopra alle anse del tenue, fino quasi al livello del pube, dove si riflette su se stessa
e torna in alto duplicandosi. Una sua porzione passa innanzi al colon trasverso per raggiungere
la parete posteriore dello stomaco al di sopra dell’inserzione del mesocolon trasverso,
costituendo così il grande epiploon o grande omento. La prima porzione di questo che va dalla
grande curvatura gastrica alla faccia anteriore del colon trasverso prende il nome di legamento
gastrocolico, mentre la rimanente parte è denominata grembiule omentale. A sinistra il
peritoneo che raggiunge il tratto verticale della grande curvatura incontra i vasi gastrici brevi
provenienti dall’arteria lienale e si dispone su questi per raggiungere l’ilo della milza formando
la lamina anteriore del legamento gastrolienale. Dopodichè si riflette sulla porzione anteriore
della faccia mediale della milza rivestendola completamente e portandosi fino al margine
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posteroinferiore dell’organo. La lamina anteriore del legamento epatoduodenale in
corrispondenza del margine destro del peduncolo epatico si riflette posteriormente per
costituire la lamina posteriore del legamento stesso, questa si distende poi verso l’alto, verso
sinistra e verso il basso. Verso l’alto e posteriormente riveste il lobo caudato del fegato,
raggiungendo il margine posteriore di questo e costituendo il tratto mediano della lamina
inferiore del legamento coronario, di qui torna sulla parete posteriore dell’addome e riveste la
faccia anteriore della vena cava formando il legamento della vena cava. Verso sinistra la
lamina posteriore del legamento epatogastrico continua nel rivestimento sieroso della faccia
posteriore dello stomaco. Lateralmente a sinistra in corrispondenza della sua porzione verticale
la lamina abbandona la grande curvatura dello stomaco adagiandosi posteriormente ai vasi
gastrici brevi e costituendo la lamina posteriore del legamento gastrolienale. Raggiunto l’ilo
della milza si riflette ancora posteriormente e verso destra per andare a ricoprire in avanti i
vasi del peduncolo splenico e la coda del pancreas, formando nel tratto che va dall’ilo della
milza alla coda del pancreas la lamina anteriore del legamento pancreatico lienale. La lamina
posteriore di quest’ultimo è data dal peritoneo che, dopo aver rivestito la faccia diaframmatica
della milza, il suo margine posteroinferiore e la sua faccia mediale fino all’ilo, prosegue sulla
superficie posteriore del peduncolo splenico. Tra le porzioni di sierosa si riflette infine
posteriormente e, avendo rivestito la superficie anteriore della loggia renale, raggiunge
lateralmente in alto il diaframma. Il peritoneo che riveste la faccia posteriore dello stomaco,
continuando verso il basso oltre la grande curvatura, concorre a formare il grembiule
omentale, per ritornare sui suoi passi duplicandosi e raggiungendo definitivamente la parete
posteriore dell’addome, superiormente alla radice del mesocolon trasverso.
Peritoneo Parietale Posteriore: A destra, al di sotto della lamina inferiore del legamento
coronario il peritoneo parietale si porta verso il basso incontrando la seconda porzione
duodenale e più lateralmente la parte superiore della loggia renale, si vengono a costituire così
il legamento epatorenale e duodenorenale. Proseguendo lateralmente riveste la superficie
interna della parete laterale destra dell’addome, fino a raggiungere la flessura colica destra del
colon trasverso costituendo così la parte destra della lamina superiore del mesocolon
trasverso. A livello del margine posteriore del lobo epatico sinistro il peritoneo scende in basso
andando a ricoprire anteriormente il corpo del pancreas, riflettendosi poi in avanti, a livello del
margine inferiore dello stesso, nel mesocolon trasverso. La porzione che proviene dalla faccia
posteriore del fondo gastrico si porta verso il diaframma unendosi alla lamina inferiore del
legamento triangolare sinistro del fegato, costituendo il legamento gastrofrenico. Prosegue
quindi in basso rivestendo anteriormente la coda del pancreas, continuando in basso
nell’estremo sinistro della lamina superiore del mesocolon trasverso. A sinistra esso prosegue
invece nella lamina anteriore del legamento pancreaticolienale.
Da destra a sinistra si trovano nello
Logge e duplicature dello spazio sovramesocolico:
spazio sovramesocolico la loggia epatica, la loggia gastrica e la loggia splenica e le duplicature
da esse dipendenti che costituiscono altrettanti mezzi di fissità.
Loggia Epatica: Dal peritoneo viscerale della loggia epatica dipendono vari mezzi di fissità del
fegato. Ovvero il legamento falciforme, di forma triangolare teso dal diaframma al solco
sagittale superiore del fegato, il legamento coronario, va dal margine posteriore del fegato al
diaframma, i legamenti triangolari destro e sinistro, situati all’estremità del legamento
coronario, il piccolo epiploon, si estende dalla faccia viscerale del fegato a stomaco e duodeno.
Piccolo Epiploon: Una formazione quadrangolare con due facce, quattro margini e un
contenuto. La faccia anteriore continua la direzione di quella dello stomaco ed è nascosta
completamente dal lobo quadrato del fegato. La faccia posteriore corrisponde alla parete
anteriore del vestibolo della retrocavità degli epiploon e continua a sinistra con il foglietto
viscerale della faccia posteriore dello stomaco. I quattro margini corrispondono uno all’attacco
sul tubo digerente, uno a quello sul fegato, uno a quello sul diaframma e uno libero,
estendendosi tra il margine superiore della prima porzione duodenale, la piccola curvatura
dello stomaco e il fegato, comprendendo due porzioni, l’epatoduodenale e l’epatogastrico. Dal
margine superiore del duodeno e dalla porzione inferiore della piccola curvatura gastrica il
piccolo epiploon si porta all’ilo epatico, mentre dalla porzione superiore della piccola curvatura
raggiunge il solco del legamento venoso del fegato. Il suo attacco su questo organo è perciò
foggiato a L rovesciata, il braccio verticale corrisponde al solco del legamento venoso che si
connette con il legamento falciforme e il coronario, il braccio orizzontale corrisponde ai margini
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dell’ilo epatico, continua a destra rivestendo la cistifellea. L’angolo diedro, racchiuso tra i due
bracci della L, è aperto a destra in basso, il peritoneo ivi compreso riveste il lobo caudato. Sul
lato destro le due lamine continuano l’una nell’altra formando un margine libero che costituisce
il limite anteriore del forame epiploico. A questo livello contiene l’arteria epatica, la vena porta
e il coledoco, nonché linfonodi portali, vasi linfatici e plesso nervoso epatico.
Loggia Gastrica: Presenta i seguenti mezzi di fissità, il legamento epatogastrico, il legamento
frenogastrico teso fra diaframma e la faccia posteriore del fondo dello stomaco, il legamento
gastrolienale teso tra il tratto verticale della grande curvatura e l’ilo della milza, il grande
epiploon.
Grande Epiploon: Una lunga duplicatura del peritoneo che si origina dalla grande curvatura
gastrica. Si divide in superiore e inferiore definite rispettivamente legamento gastrocolico e
grembiule omentale. La porzione superiore è costituita dalla continuazione delle due lamine
peritoneali che hanno rivestito anteriormente e posteriormente lo stomaco. I due strati,
abbandonato lo stomaco, si dirigono in basso passando di fronte all’intestino tenue fino a
raggiungere la faccia anteriore del colon trasverso dove generalmente si fondono con il suo
foglietto viscerale. La porzione inferiore risulta perciò costituita dalla coalescenza di quattro
lamine, due esterne, continuazione della lamina che ha rivestito lo stomaco e formato il
foglietto anteriore del legamento gastrocolico, due interne, continuazione della lamina che ha
rivestito la faccia posteriore dello stomaco e formato il foglietto posteriore del legamento
gastrocolico. A sinistra il grande omento si continua in alto con il legamento gastrolienale, a
destra si estende fino all’inizio del duodeno. Il grande omento è di regola sottile e fenestrato
pur contenendo quantità variabili di adipe. Svolge una funzione protettiva limitando
l’estensione di eventuali infezioni del cavo peritoneale, infatti il grande epiploon è ricco di
macrofagi fissi che possono venire mobilizzati nei processi infiammatori. Esso può risultare
congenitamente assente e all’apertura dell’addome è frequentemente avviluppato intorno agli
organi del piano sovramesocolico. La lamina anteriore è irrorata dalle due arterie
gastroepiploiche, la posteriore dalle arterie epiploiche, rami delle gastroepiploiche
anastomizzate nell’arcata sottocolica. Vene e linfatici seguono il decorso delle arterie.
Loggia Splenica: Dal peritoneo viscerale della loggia splenica dipendono il legamento
frenicolienale, legamento pancreaticolienale e il legamento gastrolienale.
Tra le logge dello spazio sovramesocolico si delimita
Recessi dello spazio sovramesocolico:
un esteso recesso della cavità peritoneale detto retrocavità degli epiploon o borsa omentale.
Retrocavità degli Epiploon: Localizzata al di dietro dello stomaco facilitandone i movimenti e
comunica con la grande cavità peritoneale per mezzo di uno stretto orifizio, il forame epiploico
o anello di Winslow. Verso sinistra, superato il forame, si passa nel vestibolo della retrocavità,
una porzione ristretta in senso anteroposteriore posta dietro al legamento epatogastrico, tra il
lobo caudato del fegato in alto e la porzione superiore del duodeno in basso. Procedendo verso
sinistra si passa dal vestibolo all’istmo della retrocavità, di forma ellittica guarda in alto a
destra ed è limitato al di sopra della falce dell’arteria epatica e al di sopra della falce dell’arteria
gastrica sinistra. Dall’istmo si passa nella retrocavità vera e propria in cui si distinguono una
parte principale, corrispondente alla faccia posteriore dello stomaco. Un prolungamento di
sinistra o recesso lienale si fa strada tra il legamento gastrolienale in avanti e quello
pancreaticolienale in dietro, fino all’ilo della milza. Un prolungamento inferiore, assai esteso
durante lo sviluppo, si riduce nell’adulto. La retrocavità degli epiploon ha due facce e quattro
margini, la faccia anteriore corrisponde alla faccia posteriore dello stomaco con il suo
peritoneo, la faccia posteriore è data dal peritoneo parietale posteriore che riveste gran parte
del pancreas, del rene e surrene sinistro, l’inizio dell’aorta addominale e una parte del
diaframma. Il margine superiore è stretto e localizzato tra il lato destro dell’esofago e il solco
del legamento venoso del fegato, il margine inferiore nell’adulto è identificabile con il
mesocolon trasverso, il margine destro corrisponde in basso alla linea di riflessione del
peritoneo dal pancreas al duodeno, in alto a quella dal diaframma al lobo caudato del fegato, il
margine sinistro si colloca a livello del passaggio della lamina posteriore del legamento
gastrolienale in quella anteriore del legamento pancreaticolienale.
Delimitato in alto da colon e mesocolon trasverso, in avanti dal
Spazio Sottomesocolico:
grande epiploon e dalla parete addominale anteriore, in dietro dalla parete addominale
posteriore e lateralmente dalla parete addominale anterolaterale. Dalla linea mediana andando
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lateralmente verso destra riveste la superficie interna della parete addominale anteriore.
Portandosi verso il basso ricopre la parete anteriore della loggia renale destra fino alla cresta
iliaca, in alto arriva fino alla flessura colica destra formando il legamento frenocolico destro,
inferiormente a questo si ribalta e passa sulla parete laterale del colon ascendente. In basso il
peritoneo si solleva per avvolgere completamente cieco ed appendice vermiforme, formando il
mesoappendice e dando luogo alla piega cecale. Portandosi sulla parete addominale posteriore
ricopre il colon ascendente nelle sue facce laterale, anteriore e mediale, tornando sulla parete
addominale posteriore. A livello della faccia mediale del colon ascendente e del cieco, in
corrispondenza della confluenza ileocolica, il peritoneo riveste l’ultima ansa dell’intestino tenue
e si porta alla parete addominale posteriore, in corrispondenza dell’estremità inferiore del
mesentere, costituendo la piega ileocecale. Continuando il decorso verso sinistra il peritoneo
parietale posteriore riveste dall’alto in basso, dall’interno all’esterno, la faccia anteriore del
terzo inferiore della porzione discendente del duodeno, la porzione inferiore della faccia
anteriore della testa del pancreas, la faccia anteriore dei tratti orizzontale e ascendente del
duodeno fino alla flessura duodenodigiunale. Più in basso raggiunge il polo inferiore del rene
destro, il muscolo psoas con i vasi colici, i vasi spermatici od ovarici di destra fino alla fossa
iliaca destra, l’uretere destro e la vena cava inferiore. Raggiunge quindi l’angolo ileocolico dove
segue una linea obliqua in alto e a sinistra portandosi sino al lato sinistro della seconda
vertebra lombare, lungo questa linea si solleva nel mesentere. Il peritoneo parietale tra colon
ascendente e mesentere continua in alto e in avanti con la lamina inferiore del mesocolon
trasverso. La parete mediale del colon ascendente, la lamina destra del mesentere e la
porzione destra della lamina inferiore del mesocolon trasverso delimitano uno spazio
triangolare definito spazio mesenteriocolico destro. A livello della flessura duodenodigiunale il
peritoneo forma con una certa frequenza sottili pieghe, la duodenale superiore in
corrispondenza dell’angolo duodenodigiunale, la duodenale inferiore in corrispondenza
dell’estremità inferiore del margine sinistro della parte ascendente del duodeno, la
paraduodenale al di sotto della precedente. Costituita la pagina sinistra del mesentere il
peritoneo sulla parete posteriore si continua verso l’alto, verso il basso e verso sinistra. Verso
l’alto raggiunto il margine inferiore del corpo della coda del pancreas si riflette anteriormente
per portarsi al colon trasverso costituendo la porzione sinistra della lamina inferiore del
mesocolon trasverso. Verso il basso riveste la parete anteriore della loggia renale sinistra,
l’uretere e i vasi spermatici od ovarici di sinistra. Verso sinistra incontra il colon discendente
che riveste solo nelle sue facce anteriori, laterali e mediali, riportandosi poi sulla parete. In
corrispondenza della flessura colica sinistra il peritoneo ripiega sul diaframma presso il polo
inferiore della milza formando il legamento frenocolico di sinistra. Inferiormente le due lamine
peritoneali che hanno rivestito le facce laterale e mediale del colon discendente si portano sulla
parete seguendo due linee di riflessione che si fanno più vicine fino ad accollarsi. Il colon
ileopelvico è dunque provvisto di un meso e risulta perciò completamente rivestito da
peritoneo. La pagina sinistra del mesentere, quella inferiore del mesocolon trasverso
nell’estremo sinistro e la faccia mediale del colon discendente delimitano uno spazio triangolare
denominato spazio mesenteriocolico di sinistra. Superato il colon discendente verso sinistra e
tappezzato lo spazio parietocolico di sinistra il peritoneo si porta nuovamente sulla parete
anteriore fino alla linea mediana.
Sono presenti i seguenti mesi, mesentere,
Mesi dello spazio sottomesocolico:
mesoappendice o mesenteriolo, mesocolon ileopelvico. Si tratta di doppie lamine peritoneali
che sottendono e fissano a parete intestino tenue, appendice e colon ileopelvico.
Mesentere: Un’ampia piega peritoneale costituita dall’accollamento di due lamine sierose a
forma di ventaglio che collegano le anse del digiuno e dell’ileo con la parete addominale
posteriore, secondo una linea di 15-17 CM a direzione obliqua in basso e a destra, che parte
dalla flessura duodenodigiunale e raggiunge la parte superiore dell’articolazione sacroiliaca
destra. Nel suo decorso il mesentere passa di fronte alla porzione orizzontale del duodeno,
aorta addominale, vena cava inferiore, uretere di destra e al grande psoas di destra. La lamina
destra del mesentere, diretta in alto e a destra, continua sulla parete addominale posteriore,
rivestendo il colon ascendente e si porta superiormente alla lamina inferiore del mesocolon
trasverso. La lamina sinistra, diretta in basso e a sinistra, arriva alla parete addominale
posteriore e al colon discendente. Tra le due lamine decorrono vasi, nervi, linfatici propri del
digiuno e dell’ileo. In prossimità dell’attacco sull’intestino le due lamine del mesentere si
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separano accogliendo l’organo come foglietto viscerale. L’ attacco del mesentere sull’intestino
ha uno sviluppo di 6 M con numerose pieghe che diventano meno evidenti via via che ci si
sposta verso la radice mesenteriale. La porzione più ampia del mesentere è quella centrale che
raggiunge 10 CM.
Mesoappendice: Una piega triangolare del peritoneo che circonda l’appendice vermiforme
attaccandosi dietro l’ultima porzione sinistra del mesentere, vicino al passaggio ileocecale. Le
sue due lamine racchiudono vasi, nervi, linfatici e un linfonodo diretti all’appendice.
Mesocolon Ileopelvico: Una piega peritoneale a forma di ventaglio che collega nella pelvi il
colon iliaco e quello pelvico alla parete posteriore del bacino. Presso questa il peritoneo
parietale è dato dalla lamina sinistra del mesentere che portandosi verso sinistra e verso il
basso contiene vasi del colon ileopelvico e forma la lamina destra del mesocolon pelvico. Il
peritoneo avvolge il colon ileopelvico e poi si riflette a formare la lamina sinistra e il rispettivo
meso, scendendo sulla linea mediana fino ad S3. Più in basso le due lamine accollate del
mesocolon pelvico possono continuare formando un mesoretto. Nello spessore delle due lamine
decorrono vasi per il colon ileopelvico e per la porzione superiore del retto. La linea di attacco
del mesocolon pelvico alla parete addominale posteriore ha la forma di una V rovesciata con
l’apice in prossimità dell’uretere di sinistra, nel punto in cui esso scende nella pelvi, e presso la
biforcazione dell’arteria iliaca comune sinistra.
STRUTTURA: Costituito da un mesotelio che poggia sulla lamina propria della sierosa e da una
tela sottosierosa. Il mesotelio è costituito da un singolo strato di cellule poligonali appiattite
pavimentoso semplice. Nella maggior parte delle lamine il mesotelio tappezza una superficie
continua, in altre invece si trovano discontinuità sotto forma di fenestrature. La notevole
vascolarizzazione della sierosa peritoneale spiega la ricchezza in macrofagi e l’attivazione
fibroblastica del liquido peritoneale che si riscontrano nei processi infiammatori e che porta alle
adesioni tra visceri e visceri o visceri e pareti. La lamina propria della sierosa è costituita da
tessuto connettivo lasso in cui sono disperse fibre elastiche disposte a rete, fasci di fibre
collagene paralleli alla superficie peritoneale e cellule connettivali. La tela sottosierosa manca a
livello del fegato, della milza e dell’utero, è costituita da tessuto connettivo lasso ricco di fibre
elastiche.
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NOME: Rene.
POSIZIONE: Sono posti ai lati della colonna vertebrale, nelle fosse lombari, dietro al
peritoneo essendo retroperitoneali, si estendono dal margine inferiore di T11 al margine
superiore di L3, il rene destro è più basso di 2 CM rispetto al sinistro per via del rapporto con il
fegato. I reni sono dotati di una certa mobilità, si abbassano di 2-3 CM durante l’inspirazione.
Colorazione rosso-bruno, consistenza abbastanza dura simile alla milza.
CARATTERISTICHE:
Hanno forma di un fagiolo appiattito in senso anteroposteriore con l’asse maggiore diretto in
basso e leggermente lateralmente. Sono lunghi 12 CM, larghi 6 CM, spessi 3 CM, la superficie è
generalmente liscia e regolare, sono presenti dei solchi a delimitare i lobi, derivanti
dall’evoluzione fetale.
- FACCIA ANTERIORE : Convessa, guarda in avanti e leggermente lateralmente.
- FACCIA POSTERIORE : Pianeggiante, rivolta in dietro e un poco all’interno.
- POLO SUPERIORE : Arrotondato.
- POLO INFERIORE : Più appuntito del superiore.
- MARGINE LATERALE : Convesso.
- MARGINE MEDIALE : Incavato nella parte di mezzo, presso l’ilo renale, fessura verticale
lunga 3-4 CM che dà passaggio ai vasi sanguinei e linfatici, ai nervi e alla pelvi renali.
- ILO: Accoglie anteriormente i vasi venosi, medialmente i vasi arteriosi e posteriormente
la pelvi. Immette in una cavità schiacciata anteroposteriormente e scavata nell’interno
del rene detta seno renale, la quale accoglie i calici minori e maggiori, parte della pelvi,
le diramazioni dell’arteria renale, le radici della vena renale, vasi linfatici e nervi. Tutte
le formazioni sono immerse in tessuto adiposo che si continua con il grasso perirenale,
detto capsula adiposa. Le pareti del seno renale presentano sporgenze mammellonate
dette papille renali che corrispondono all’apice delle piramidi renali di Malpigli. Tra una
papilla e l’altra sono presenti sporgenze date dalle colonne renali di Bertin.
Ciascun rene, avvolto dalla capsula adiposa, è contenuto in una loggia fibrosa detta loggia
renale e delimitata da una fascia connettivale. Quest’ultima è una differenziazione del tessuto
connettivo retroperitoneale, chiamato fascia trasversale, che presso il rene si ispessisce
formando la fascia renale. Presso il margine laterale la fascia renale si sdoppia in due foglietti.
- FOGLIETTO ANTERIORE O PRERENALE : è assai sottile e coperto quasi completamente
dal peritoneo parietale posteriore, passa al davanti del rene e del peduncolo renale, si
congiunge davanti alla colonna vertebrale e ai grossi vasi prevertebrali con l’analogo
foglietto controlaterale.
- FOGLIETTO POSTERIORE O RETRORENALE: è più spesso e resistente. Passa dietro il
rene, aderendo parzialmente alla fascia dei muscoli quadrato dei lombi e psoas,
fissandosi alla superficie laterale dei corpi vertebrali e dei dischi vertebrali
corrispondenti.
Superiormente i due foglietti si riuniscono sopra alla ghiandola surrenale fissandosi al
diaframma, in basso rimangono distinti e si perdono nel connettivo retroperitoneale. Dunque la
fascia renale è un mezzo di fissità insieme al peduncolo vascolare ed alla positività della
pressione addominale.
RAPPORTI: Posteriormente sono uguali in ambo i lati, anteriormente differiscono.
- FACCIA POSTERIORE: A circa metà è incrociata dalla 12^ costa, al di sopra riposa sul
diaframma, sul pilastro laterale e sui fasci mediali della porzione costale e attraverso il
diaframma entra in rapporto con il seno pleurale costodiaframmatico, in tale sede il
diaframma spesso presenta un’apertura di dimensioni variabili detto trigono lobocostale
in cui la fascia renale si pone in rapporto diretto con la pleura diaframmatica. Al di sotto
della 12^ costa la faccia posteriore poggia sul muscolo quadrato dei lombi,
medialmente giunge in contatto con il muscolo psoas e lateralmente con l’aponeurosi
del muscolo trasverso dell’addome. Contrae importanti rapporti con il ramo anteriore
del 12° nervo intercostale o nervo sottocostale e con i nervi ileoipogastrico e
ileoinguinale applicati sul muscolo quadrato dei lombi.
- FACCIA ANTERIORE : Coperta dalla fascia prerenale a cui aderisce il peritoneo parietale.
A destra è in rapporto nei 2/3 superiori con la superficie inferiore del lobo destro del
fegato su cui lascia l’impronta renale. Nel 1/3 inferiore con la flessura destra del colon
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e, in vicinanza del margine mediale, con il tratto discendente del duodeno, nei pressi
del polo inferiore è in rapporto con le anse digiunali. A sinistra la faccia del rene è in
rapporto in alto lateralmente con la faccia viscerale o renale della milza, nella porzione
di mezzo con la coda del pancreas e i vasi lienali, in basso con la flessura
duodenodigiunale medialmente e con la flessura sinistra del colon lateralmente. Una
superficie più o meno ampia è in rapporto, tramite la borsa omentale, con la parete
posteriore dello stomaco.
POLO SUPERIORE : Coperto dalla rispettiva ghiandola surrenale che si spinge anche sulla
faccia anteriore e sul margine mediale.
POLO INFERIORE: Dista dalla cresta iliaca circa 5 CM a sinistra e 3 CM a destra.
MARGINE LATERALE : A destra con il fegato per quasi tutta la sua estensione, a sinistra
in alto con la milza e in basso con il colon discendente.
MARGINE MEDIALE: Costeggiato a destra dalla vena cava inferiore e a sinistra dall’aorta
addominale, nella porzione sottostante l’ilo con il tratto iniziale dell’uretere.
Il rene è rivestito da una capsula fibrosa rappresentata da una
CONFORMAZIONE INTERNA:
membrana connettivale che in corrispondenza dell’ilo riveste le pareti del seno renale dove si
fonde con la tonaca avventizia di calici e vasi. Fra la capsula fibrosa e il parenchima renale si
trova un sottile strato di fibrocellule muscolari lisce denominate tonaca muscolare del rene. Si
distinguono due zone, una profonda, denominata zona midollare, disposta intorno al seno
renale e al suo contenuto, una superficiale, denominata zona corticale, disposta intorno alla
midollare.
- ZONA MIDOLLARE : Di colorito rossastro e di aspetto finemente striato, risulta
organizzata in 8-18 formazioni coniche, le piramidi renali di Malpighi, queste hanno la
base periferica e al confine con la zona corticale, mentre l’apice è arrotondato e sporge
per circa 6-8 MM nel seno renale andando a formare le papille renali. Se due o più
papille renali sono fuse tra loro con un apice comune sono denominate creste renali, per
questo il numero delle papille è inferiore a quello delle piramidi. L’estremità libera delle
papille è detta area cribrosa per i 15-30 forami papillari corrispondenti allo sbocco dei
dotti papillari di Bellini. Questi dotti insieme ai collettori determinano l’aspetto striato
della midollare.
- ZONA CORTICALE : Di colorito giallastro e di consistenza minore rispetto alla midollare,
situata tra la base delle piramidi e la superficie dell’organo, ma anche tra una piramide
e l’altra costituendo le colonne renali di Bertin. Nella zona corticale si distingue una
parte radiata e una parte convoluta. Quella radiata è costituita da un complesso di
propaggini coniche dette raggi midollari di Ferrein che originano dalla base delle
piramidi e dalla porzione vicina alle loro porzioni laterali e percorrono radialmente la
corticale assottigliandosi progressivamente fino alla superficie del rene. Quella
convoluta occupa gli spazi fra i raggi e forma le colonne renali, inoltre costituisce la
cortex corticis, ovvero la parte fra i raggi e la superficie del rene.
La disposizione di midollare e corticale permette di distinguere lobi e lobuli. Il lobo è costituito
da una piramide renale con il corrispondente strato di corticale, i suoi limiti vanno dalla parte
centrale delle colonne renali fino alla superficie dell’organo. Il lobulo riguarda la sola corticale
ed è costituito da un raggio midollare e la parte convoluta che lo circonda, i suoi limiti sono
segnati dai vasi sanguigni che lo affiancano, arterie e vene interlobulari.
I reni sono costituiti da parenchima e stroma. Il parenchima è
STRUTTURA DEL RENE:
formato da i nefroni, le unità anatomofunzionali dei reni dai quali dipende l’uropoiesi, e da un
sistema di dotti escretori, dai quali l’urina si diparte e ne modificano la composizione. I nefroni
si trovano nella parte convoluta della corticale, i dotti escretori nei raggi midollari della
corticale e nelle piramidi renali. Lo stroma è il connettivo che contiene i vasi sanguigni, linfatici
e le terminazioni del plesso nervoso renale. Presso i tubuli prossimali le fibrille collagene sono
perpendicolari all’asse longitudinale degli stessi e formano degli anelli detti membrana a cerchi
basali. Nello stroma della midollare si trova una ricca popolazione cellulare di elementi
connettivali stellati a stretto rapporto con la parete di vasi e tubuli che hanno una funzione sia
di produzione del collagene, sia di regolazione della concentrazione urinaria, sia di secrezione
di prostaglandine. I nefroni sono circa 800.000 per rene ed ognuno è costituito da un
corpuscolo renale del Malpighi e un tubulo renale. Si distinguono nefroni corticali, 70%,
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caratterizzati da un corpuscolo più piccolo situato nella periferia della corticale e da un tubulo
più breve, e nefroni iuxtamidollari, 30%, caratterizzati da un corpuscolo più voluminoso situato
presso la midollare e di un tubulo assai più lungo. I tubuli renali, lunghi 30-40 MM, iniziano con
un’estremità dilata e, dopo un decorso complicato, terminano confluendo nei dotti escretori.
L’estremità prossimale si dispone a calice intorno a ad un gomitolo di capillari. Il calice prende
il nome di capsula glomerulare di Bowman, con un foglietto esterno o parietale che si riflette
nel foglietto interno o viscerale, separati da uno spazio capsulare o camera glomerulare. Il
gomitolo prende il nome di glomerulo. Capsule e glomeruli formano i corpuscoli renali, presso
cui si forma l’ultrafiltrato glomerulare o preurina per 160 L in 24 ore, si presentano come
corpicciuoli sferoidali localizzati nella parte convoluta della corticale, fra i raggi midollari e nelle
colonne renali, sono assenti nella cortex corticis. Nei corpuscoli renali si distinguono un polo
vascolare ed uno urinario, l’arteriola afferente penetra nel polo vascolare formando il glomerulo
che dopo un decorso ad ansa si riunisce nell’arteriola efferente che abbandona il polo
vascolare. Si costituisce così la rete mirabile arteriosa o sistema portale arterioso, una rete
capillare fra due arteriole. In alcuni corpuscoli iuxtamidollari esiste un’anastomosi tra arteriola
afferente ed efferente che esclude temporaneamente il glomerulo dal circolo sanguigno. Il
tubulo renale ha inizio in corrispondenza del polo urinario, estremità opposta al polo vascolare,
dove il foglietto parietale della capsula glomerulare continua con la parete del tubulo renale e
lo spazio capsulare continua con il lume del tubulo renale. Ad ogni corpuscolo fa seguito il
corrispondente tubulo renale in cui la preurina si trasforma in urina definitiva grazie alle
proprietà assorbenti e secernenti delle cellule epiteliali. L’ultrafiltrato glomerulare viene
riassorbito per circa il 99% dell’acqua, modificato nella sua composizione chimico-fisica,
vengono aggiunte sostanze secrete e riassorbiti selettivamente alcuni costituenti, riducendo
così l’urina emessa a circa 1,5 L. Il tubulo renale si divide in tubulo prossimale o di primo
ordine, ansa del nefrone di Henle, tubulo distale o di secondo ordine. Il tubulo prossimale
presenta un restringimento anulare iniziale detto colletto, assume un decorso tortuoso,
termina rettilineamente e penetra nel raggio midollare più vicino. L’ansa del nefrone è un
tubulo ristretto piegato ad U in cui si distinguono un braccio discendente che fa seguito al
tubulo prossimale, l’ansa vera e propria, un braccio ascendente che prosegue nel tubulo
distale. Il tubulo distale ha dapprima un decorso rettilineo durante il quale risale da un raggio
midollare verso il corpuscolo renale di origine, vicino al quale assume un decorso tortuoso. Fra
il tubulo convoluto distale, l’arteriola afferente e l’efferente si forma uno spazio denominato
macula densa.
STRUTTURA DEL NEFRONE:
- CORPUSCOLO RENALE : Il foglietto parietale della capsula glomerulare è un epitelio
pavimentoso semplice che poggia su una lamina basale spessa e talvolta stratificata che
lo separa dallo stroma circostante. La superficie cellulare interna delimita la camera
glomerulare o spazio capsulare, le cellule epiteliali a contorno poligonale, verso il polo
urinario, aumentano di altezza fino ad assumere i caratteri dell’epitelio del tubulo
prossimale. Il foglietto viscerale, in continuazione con il parietale in corrispondenza del
polo vascolare è costituito da uno strato di elementi epiteliali che delimitano lo spazio
capsulare e si addossano alle varie anse dei capillari glomerulari, chiamati podociti.
Queste cellule altamente differenziate appaiono come elementi stellati con il corpo
rigonfio che sporge nello spazio capsulare e con prolungamenti che abbracciano i
capillari glomerulari detti processi maggiori, questi a loro volta danno origine a un
secondo ordine di processi digitiformi che a loro volta si ramificano in altri
prolungamenti brevi e sottili detti pedicelli o piedi terminali. I pedicelli sono
leggermente dilatati in corrispondenza del punto di adesione alla superficie esterna della
lamina basale dei capillari glomerulari, fra un pedicello e l’altro vi sono fessure di
filtrazione che comunicano con lo spazio subpodocitico, questo a sua volta comunica
con lo spazio capsulare. Il glomerulo è costituito dalle anse capillari formate
dall’arteriola afferente, questa, prima di entrare nel corpuscolo, presenta una
differenziazione della tonaca media dove si trovano cellule epitelioidi, che fanno parte
dell’apparato iuxtaglomerulare. L’arteriola afferente si divide in 3-5 rami da ciascuno dei
quali origina un ciuffo di capillari anastomizzati detto lobulo capillare. Dopo un decorso
sinuoso i capillari confluiscono per costituire l’arteriola efferente di calibro minore
rispetto all’afferente. Nei glomeruli sono presenti anche le cellule del mesangio,
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localizzate in ordine sparso, prevalentemente lungo l’asse dei lobuli capillari in
corrispondenza dei punti di ramificazione delle anse capillari. Le cellule del mesangio, di
forma irregolarmente stellata, si trovano tra la lamina basale dell’endotelio e quella dei
podociti, hanno funzione macrofagica. Tra l’arteriola afferente, l’arteriola efferente e il
tubulo convoluto distale sono presenti cellule mesangiali appartenenti al mesangio
extraglomerulare, cellule ilari, che oltre all’attività fagocitaria hanno anche attività
regolatrice sul calibro del capillare. La barriera di ultrafiltrazione o di sangue/urina,
estesa complessivamente 0,8 M2, è costituita dall’endotelio fenestrato dei capillari, dalle
due lamine basali e dai podociti che formano il foglietto viscerale della capsula
glomerulare. Tale barriera è permeabile a ioni, acqua e cristalloidi, 7 nanometri o
35.000 dalton, mentre è impermeabile a elementi corpuscolati del sangue e a sostanze
di elevato peso molecolare, solamente l’albumina sembra passare per poi essere
riassorbita. Il processo di filtrazione è reso possibile dalla pressione idrostatica, 50 MM
HG, del sangue nei capillari glomerulari, a questa si oppone la pressione dello spazio
capsulare, 10 MM HG, e la pressione oncotica, 30 MM HG, perciò la pressione utile alla
filtrazione è di 10 MM HG.
TUBULO RENALE: Il tubulo prossimale è delimitato da un epitelio cilindrico semplice a
piramide tronca che poggia su una lamina basale che lascia spazio ad un lume ristretto,
la sede apicale mostra il tipico orletto striato, mentre nella regione basale vi sono delle
pieghe in cui si raccolgono mitocondri in file parallele, alternate a profonde
invaginazioni del plasmalemma. La funzione principale del tubulo prossimale è quella di
riassorbire circa l’80% dell’ultrafiltrato glomerulare, vengono anche riassorbiti
selettivamente zuccheri, amminoacidi, albumine ed elettroliti. Il riassorbimento può
essere passivo o attivo, in particolare gli ioni Na vengono riassorbiti mediante trasporto
attivo con notevole dispendio energetico, mentre quello degli ioni Cl e H2O avviene per
diffusione ristabilendo l’equilibrio delle cariche elettriche e per mantenere l’isosmosi
intra ed extra-cellulare. Le cellule del tubulo prossimale secernono nella pre-urina
numerose sostanze endogene ed esogene. L’ansa del nefrone di Henle è rivestita da
epitelio pavimentoso semplice con cellule molto appiattite. Nel braccio discendente il
liquido tubulare subisce un processo di concentrazione a causa del riassorbimento di
H2O e per la secrezione di urea, Na e Cl diventando così ipertonico, al contrario nel
braccio ascendente che è impermeabile all’H2O vengono riassorbiti attivamente Na e Cl,
il liquido in esso contenuto diventerà ipotonico ed in seguito all’effetto dell’ormone ADH,
che interviene sull’epitelio della parte convoluta distale e dei tubuli collettori, viene reso
possibile un ulteriore riassorbimento di H2O portando l’urina alla sua definitiva
concentrazione. Il tubulo distale è delimitato da epitelio cubico semplice e presenta un
lume abbastanza ampio, in sede apicale non presenta l’orletto striato, mentre nella
regione basale si comporta come il tubulo prossimale. Nel segmento rettilineo del
tubulo distale avviene un riassorbimento attivo di Na, il quale determina uno stato
ipotonico con un conseguente e ulteriore riassorbimento di H2O nel liquido interstiziale
del connettivo peritubulare. Nel segmento convoluto del tubulo distale, sempre per
influenza dell’ADH, viene riassorbita l’acqua in modo facoltativo e l’urina tende a
concentrarsi più o meno a seconda della necessità, inoltre, per l’azione dell’aldosterone,
proseguono il riassorbimento attivo di Na e la contemporanea secrezione di K e H.
APPARATO IUXTAGLOMERULARE : Costituito da un complesso cellulare localizzato in
corrispondenza del polo vascolare di ciascun corpuscolo renale, compreso tra arteriola
afferente ed efferente. Fanno parte di questo complesso le cellule iuxtaglomerulari
dell’arteriola afferente, la macula densa del tubulo distale e il mesangio
extraglomerulare. Le cellule iuxtaglomerulari si trovano sulla parete dell’arteriola
afferente, immediatamente prima che questa entri nel corpuscolo renale, sono
voluminosi e poliedrici elementi epitelioidi che si sostituiscono alle fibrocellule muscolari
della tonaca media del vaso disponendosi in più file sotto l’endotelio. Fra queste cellule
sono presenti terminali assonici, il che fa presagire una secrezione regolata dal
simpatico, infatti da queste cellule dipende la produzione di renina, una proteina ad
azione enzimatica. Le cellule iuxtaglomerulari potrebbero essere stimolate anche dalla
pressione nell’arteriola afferente facendogli secernere renina in quantità variabile a
seconda dei valori pressori. La renina agisce in circolo sull’angiotensinogeno di origine
epatica convertendolo in angiotensina I, questa tramite l’ACE, una peptidasi prodotta
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dai capillari alveolari, viene degradata ad angiotensina II, quest’ultima determina una
massiva contrazione della muscolatura liscia delle arteriole, una riduzione del calibro
delle stesse e il conseguente aumento della pressione arteriosa. L’angiotensina II
induce la secrezione di aldosterone dalla zona glomerulare della corticale del surrene
che stimola un riassorbimento di Na e un’escrezione di K e H a livello del tubulo distale.
Inoltre le cellule iuxtaglomerulari producono il fattore eritropoietico renale che dà
origine all’eritropoietina. La macula densa comprende le cellule della parete del tubulo
renale, nella zona più prossima alle cellule iuxtaglomerulari del polo vascolare. Le
cellule della macula densa si distinguono dalle cellule del tubulo poiché sono più
strettamente stipate, da qui il nome, e mancano della tipica disposizione mitocondriale
di quest’ultime. La loro lamina basale è molto sottile e le separa sia dalle cellule
iuxtaglomerulari sia dalle cellule del mesangio extraglomerulare. Probabilmente la
macula densa svolge la funzione di un chemorecettore sensibile alla variazione della
composizione, in particolare di sodio, del contenuto tubulare. Le cellule del mesangio
extraglomerulare, denominate ilari, sono piccole cellule fusate situate nell’angolo
compreso tra arteriola afferente ed efferente. La loro funzione probabilmente è quella di
trasmettere gli stimoli chimicofisici, recepiti dalla macula densa, fino alle cellule
iuxtaglomerulari.
DOTTI ESCRETORI : Costituiti dai dotti escretori e papillari, i primi ricevono lo sbocco dei
nefroni, decorrono rettilinei nei raggi midollari della corticale e giungono nelle piramidi
renali dove convergono fra loro ad angolo acuto per formare i dotti papillari. I dotti
papillari si aprono nel numero di 15-30 in corrispondenza dell’apice di ciascuna papilla
renale. Nei dotti collettori per l’azione dell’ADH viene riassorbito un ulteriore
quantitativo di H2O.
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NOME: Calici e Pelvi Renali
POSIZIONE:
Si trovano nel seno renale.
Sono circondati da tessuto adiposo.
CARATTERISTICHE:
- CALICI : Si distinguono in calici minori e maggiori, i calici minori nel numero di 8-12
sono piccoli condotti con due estremità, una più slargata che si fissa alla papilla renale e
una che si continua nei calici maggiori, i calici maggiori sono di forma e dimensione
variabile, generalmente sono tre, superiore, medio ed inferiore, si aprono
separatamente nella pelvi. Talvolta possono presentare variazioni anatomiche e perfino
essere completamente sostituiti dai calici minori.
- PELVI: la si può chiamare anche bacinetto, a forma di imbuto schiacciato in senso
anteroposteriore sulla cui base, diretta in alto e all’esterno, si aprono i calici maggiori.
La si trova nel seno renale e la sua estremità ristretta, rivolta in basso e medialmente,
sporge dall’ilo per continuarsi con l’uretere.
STRUTTURA: La parete dei calici e della pelvi è formata dalle tonache mucosa, muscolare ed
avventizia. La tonaca mucosa, sottile e grigiastra, è costituita da un epitelio di transizione e da
una lamina propria, l’epitelio di transizione, distendibile ed impermeabile, è costituito da una
fila di cellule basali poliedriche, da più file di cellule intermedie a forma di clava con l’estremità
apicale rigonfia, da una fila di cellule superficiali ad ombrello. La lamina propria è costituita da
tessuto connettivo ricco di fibre elastiche e contenente piccoli noduli linfatici, superficialmente
si solleva in sottili creste che penetrano nell’epitelio e diviene più lassa al limite con la tonaca
muscolare. Nel punto di attacco dei calici minori alla base delle papille renali la lamina propria
continua con il connettivo stromale del rene e l’epitelio riveste la superficie esterna delle papille
trasformandosi prima in cilindrico stratificato e poi semplice che continua nell’epitelio dei dotti
papillari, intercalate tra le cellule principali si trovano alcune mucipare. La tonaca muscolare,
non molto sviluppata, è formata da fascetti di fibrocellule muscolari immersi in un abbondante
connettivo, verso il punto di attacco dei calici minori alle papille i fasci muscolari aumentano
assumendo un andamento circolare e formando il muscolo sfintere della papilla, analogamente
è presente un muscolo sfintere dei calici presso lo sbocco dei calici maggiori della pelvi. La
tonaca avventizia, sottile, è formata da connettivo lasso, dai calici trapassa nella capsula
fibrosa del seno renale e dalla pelvi continua nell’uretere.
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NOME: Ureteri.
Sono condotti pari e quasi simmetrici che collegano la pelvi renale, dalla
CARATTERISTICHE:
quale non si distinguono nettamente, con la vescica urinaria, dove terminano tramite il meato
o orifizio ureterale, attraverso gli ureteri l’urina è convogliata a flusso continuo nella vescica.
L’uretere è lungo circa 28-29 CM a destra e 29-30 CM a sinistra, è suddiviso in una porzione
addominale, che corrisponde alle regioni lombare ed iliaca, una porzione pelvica, che
corrisponde alla piccola pelvi, e una porzione intramurale o vescicale, compresa nello spessore
della parete della vescica. L’uretere discende portandosi in basso e all’interno, prima descrive
una leggera curva convessa in avanti e medialmente, poi un curva inversa a convessità
posterolaterale. Il punto di flesso si trova fra la porzione addominale e la pelvica, dove si forma
un ginocchio detto flessura marginale. Il lume è appiattito in senso anteroposteriore a causa
della pressione dei visceri, ha un diametro di 4-7 MM, lungo il suo decorso vi sono tre
restringimenti, il primo è situato dopo l’origine della pelvi renale e si chiama istmo superiore o
colletto, il secondo in corrispondenza della flessura marginale e si chiama istmo inferiore o
restringimento iliaco, il terzo vicino allo sbocco della vescica e si chiama restringimento
vescicale o intramurale ed è il più accentuato. Quando l’uretere attraversa obliquamente la
parete della vescica solleva la piega ureterica e genera una sorta di valvola denominata valvola
dell’uretere per far si che l’urina possa agevolmente entrare in vescica ma non uscirne
risalendo l’uretere.
RAPPORTI:
- ADDOME :
Posteriormente con il muscolo psoas del quale segue il decorso discendente, con i nervi
genitofemorale e femorocutaneo.
- DESTRA: Anteriormente e in alto è coperto dalla porzione discendente del
duodeno.
- SINISTRA : Anteriormente e in alto è coperto dalla flessura duodenodigiunale.
Si incrocia con i vasi genitali che si pongono lateralmente e lo accompagnano verso il
basso.
- DESTRA : Si incrocia con l’arteria colica di destra, l’arteria ileocolica e la radice
del mesentere.
- SINISTRA : Si incrocia con l’arteria mesenterica inferiore e più in basso con la
radice del mesocolon ileopelvico.
In rapporto con il peritoneo parietale e per mezzo di questo con anse dell’intestino
tenue.
- DESTRA: Medialmente corrisponde alla vena cava inferiore, in corrispondenza
dello stretto superiore del bacino incrocia all’avanti i vasi iliaci esterni.
- SINISTRA: In corrispondenza dello stretto superiore del bacino incrocia
all’avanti i vasi iliaci comuni.
- PELVI :
Dopo la flessura marginale gli ureteri entrano nella pelvi. Nella porzione pelvica gli
ureteri scendono in basso al davanti dei vasi iliaci interni e incrociano alcune formazioni
vascolonervose, arteria ombelicale, vasi e nervi otturatori. Medialmente è in rapporto
più o meno intimo con il retto.
- FEMMINA : In aggiunta con l’ovaio.
Dopo aver raggiunto il pavimento pelvico, all’altezza della spina ischiatica, piega in
avanti e all’indietro aprendosi nella vescica.
- MASCHIO : In questa ultima parte l’uretere incrocia posteriormente il canale
deferente e si insinua tra le vescichette seminali e la parete vescicale.
- FEMMINA: In questa ultima parte decorre nella base del legamento largo ed
insieme all’arteria uterina si avvicina al collo dell’utero. Circa 1 CM prima di
raggiungere l’utero si incrocia con l’arteria uterina che gli passa davanti.
L’uretere si avvicina al fornice laterale della vagina, piegando all’interno lo
incrocia per raggiungere la vescica.
Nella parte vescicale decorre nello spessore della parete vescicale, obliquamente, in
basso e medialmente, determinando la formazione della piega ureterica sulla superficie
interna della vescica, le pieghe ureteriche oltre il meato ureterale si congiungono l’una
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all’altra determinando la piega interureterica, un rilievo trasversale continuo che
rappresenta la base del trigono vescicale.
STRUTTURA: La parete dell’uretere è costituita dalle tonache mucosa, muscolare, avventizia.
La tonaca mucosa, più spessa di quella dei calici della pelvi renale, sollevata in 5-7 pieghe
longitudinali che scompaiono durante la distensione del condotto, è formata da tipico epitelio di
transizione che poggia su una lamina propria di connettivo abbastanza denso, con molte fibre
elastiche e riccamente vascolarizzato. Al limite con la tonaca muscolare il connettivo della
lamina propria è lasso e occasionalmente si trovano noduli linfatici. Nella tonaca muscolare i
fascetti di miocellule, che formano uno strato longitudinale interno ed uno circolare esterno, a
cui nel terzo inferiore dell’organo si sovrappone un ulteriore strato longitudinale, permettono
movimenti peristaltici diretti verso il basso, per sospingere l’urina verso la vescica. La tonaca
avventizia, formata da connettivo lasso ricco di sottili fibre elastiche, contiene le principali
diramazioni dei vasi e dei nervi ureterici. Nella porzione intramurale dell’uretere la tonaca
avventizia si chiama anche guaina dell’uretere e contiene fascetti longitudinali di miocellule, in
continuità con la muscolatura vescicale, ma non veri e propri dispositivi sfinterici.
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NOME: Vescica urinaria.
POSIZIONE: La situazione topografica della vescica varia secondo il riempimento, quando
vuota è completamene contenuta nella parte anteriore della piccola pelvi, dietro la sinfisi
pubica e, nella femmina davanti all’utero, nel maschio davanti al retto.
Organo cavo muscolomembranoso che rappresenta il serbatoio
CARATTERISTICHE:
dell’urina, la capacità vescicale fisiologica è di 250-350 ML e l’atto di emissione dell’urina è
detto minzione. In casi patologici, quali ipertrofia prostatica o stenosi uretrali, la vescica può
dilatarsi fino a contenere 2-3 L. Presenta un contorno triangolare a base posteriore e risulta
appiattita in senso cranio-caudale. La faccia superiore, rivestita da peritoneo, è concava verso
l’alto, la faccia inferiore, adesa sulla superficie posteriore della sinfisi pubica e sul pavimento
pelvico, è convessa in basso. Quando vuota la cavità vescicale è molto ridotta, con
l’accumularsi dell’urina le pareti vescicali si distendono e la faccia superiore si solleva facendosi
convessa. In questa situazione la vescica acquista forma ovoidale con l’estremità inferiore più
voluminosa e l’asse maggiore diretto obliquamente in basso e in dietro lungo 10-12 CM. Essa
sorpassa il margine superiore della sinfisi pubica e si addossa alla parete anteriore dell’addome
in regione ipogastrica. Nella vescica distesa si distingue una base o fondo, volto in basso e in
dietro, un corpo, sollevato a mo di cupola che presenta una faccia anteriore, una faccia
posteriore e due facce laterali, un apice che dà attacco al legamento ombelicale mediano. Nella
femmina la vescica appare più appiattita in senso anteroposteriore, detta vescica di tipo
trasversale, nel neonato è più allungata longitudinalmente con una forma fusata e oltrepassa
in alto la sinfisi pubica anche in stato di vacuità.
Mezzi di Fissità : La vescica è fissata dal peritoneo, dalla fascia vescicale, da numerosi
legamenti che la connettono agli organi vicini e dall’uretra.
- Peritoneo: Il peritoneo parietale riveste la vescica in maniera diversa secondo lo stato
di riempimento. A vescica vuota, il peritoneo discende fino alla sinfisi pubica, passa
sulla faccia superiore della vescica rivestendola e si riflette lateralmente sulla parete
laterale della piccola pelvi, formando il cavo laterovescicale o parietovescicale sia a
destra che a sinistra. Posteriormente, nel maschio, il peritoneo sulla faccia anteriore del
retto costituisce il cavo rettovescicale di Douglas che è il punto più declive della cavità
peritoneale. Posteriormente, nella femmina, il peritoneo passa sulla faccia anteriore
dell’utero originando il cavo uterovescicale. Quando la vescica è piena il peritoneo della
parete anteriore dell’addome si riflette sulla porzione superiore della faccia anteriore del
corpo vescicale costituendo il cavo prevescicale o pubovescicale. Dopo aver rivestito la
faccia anteriore del corpo, il peritoneo passa l’apice vescicale discendendo sulle facce
laterali e sulla faccia posteriore per continuare sulle pareti laterali della piccola pelvi,
formando i cavi latero vescicale e sugli organi retrovescicali.
E’ un addensamento di connettivo sottoperitoneale e rappresenta la
- Fascia Vescicale:
porzione della fascia pelvica viscerale in rapporto con la vescica. È particolarmente
consistente posteriormente, rinforzata nel maschio dalla fascia rettovescicale e nella
femmina dal setto vescicovaginale, e anteriormente, dove prende il nome di fascia
prevescicale. Quest’ultima ha una lamina fibrosa triangolare con apice corrispondente
alla cicatrice ombelicale, la base al pavimento pelvico e i lati ai legamenti ombelicali
laterali. Tra la fascia prevescicale e la fascia trasversale, che riveste internamente la
parete addominale anteriore, c’è lo spazio prevescicale di Retzius, pieno di connettivo
lasso e cellule adipose, che si restringe in alto verso l’ombelico, dove le due fasce si
fondono, e ha il massimo spessore dietro la sinfisi pubica. Inferiormente lo spazio
prevescicale è chiuso dal muscolo trasverso profondo del perineo avvolto dalla fascia
perineale media a formare il trigono urogenitale.
Legamento ombelicale mediano:
E’ un sottile cordone fibroso, residuo dell’uraco,
che si estende dalla superficie interna della cicatrice ombelicale all’apice della vescica, è
coperto dal peritoneo parietale che viene sollevato in una piega verticale.
Sono due cordoncini fibrosi destro e sinistro, che
- Legamenti ombelicali laterali:
derivano dall’obliterazione dell’arterie ombelicali. Anch’essi discendono dalla cicatrice
ombelicale e vanno a fissarsi alle facce laterali della vescica.
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-
Legamenti vescicali anteriori:
Sono fascetti fibrosi che collegano la faccia posteriore
della sinfisi pubica alla base della vescica e nel maschio anche alla prostata.
Legamenti vescicali posteriori:
Sono presenti solo nel maschio, collegano la base
della vescica e della prostata con le superfici laterali del retto. Decorrono nelle pieghe
peritoneali rettovescicali da ciascun lato a formare il cavo rettovescicale.
Uretra: Insieme alla prostata nel maschio fissa la base della vescica al trigono
urogenitale.
RAPPORTI:
APICE : L’apice prende attacco con il legamento ombelicale mediano, è coperto da
peritoneo e per mezzo di questo entra in rapporto con le anse dell’intestino tenue.
CORPO: La faccia anteriore con la sinfisi pubica, le branche superiori e inferiori del
pube, i muscoli otturatori interni e la loro fascia. Fra questi piani osteomuscolari e la
parete vescicale si interpongono i legamenti vescicali anteriori, il plesso venoso
pudendo, alcuni rami arteriosi delle arterie otturatorie e pudende interne. A vescica
distesa la faccia anteriore sorpassa la sinfisi pubica e tramite lo spazio prevescicale
entra in rapporto con la parete addominale anteriore, più in alto si viene a costituire il
cavo peritoneale prevescicale o pubovescicale. Le facce laterali corrispondono alle pareti
della piccola pelvi dalle quali sono separate, nella porzione superiore dal cavo
peritoneale laterovescicale, nella porzione inferiore, priva di peritoneo, da tessuto
adiposo dello spazio prevescicale contenente nel maschio il plesso venoso
vescicoprostatico, nella femmina il plesso venoso vescicovaginale. In questa sede le
pareti laterali della vescica sono in rapporto con il legamento ombelicale laterale, con il
canale deferente nel maschio e con il legamento rotondo dell’utero nella femmina. La
faccia posteriore, ricoperta da peritoneo, nel maschio è in rapporto con il colon pelvico e
le anse del tenue che si spingono nel cavo rettovescicale, nella femmina è in rapporto
tramite il cavo uterovescicale con la faccia anteriore dell’utero.
- BASE: Nel maschio, anteriormente, la base della vescica aderisce alla faccia superiore
della prostata. Subito al di dietro è in rapporto con le vescichette seminali e con le
ampolle dei canali deferenti, poste medialmente alle vescichette e dirette in basso, in
avanti e all’interno. Fra le due ampolle c’è il trigono interseminale, uno spazio
triangolare ad apice inferiore presso cui la base della vescica è separata dall’ampolla
rettale attraverso la fascia rettovescicale. Fra la vescichetta seminale e la base della
vescica si insinua il tratto inferiore dell’uretere e vi sbocca. Nella femmina la base della
vescica corrisponde, dall’avanti all’indietro, al terzo superiore della parete anteriore
della vagina, al fornice vaginale anteriore e alla porzione sopravaginale del collo
uterino. Fra la base vescicale e la vagina c’è il setto vescicovaginale di natura
connettivale riccamente vascolarizzato, in cui, in alto, si pone l’ultimo tratto degli
ureteri.
CONFIGURAZIONE INTERNA:
Ha colorito giallo-roseo, quando è vuota presenta numerose
pieghe per lo più trasversali, mentre nell’organo disteso appare nel complesso liscia. In
corrispondenza della base della vescica sono presenti tre orifizi, uno anteriore detto il meato
uretrale interno, due posteriori destro e sinistro che rappresentano lo sbocco degli ureteri.
Questi orifizi formano un triangolo equilatero detto trigono vescicale di Lieutaud la cui
superficie rimane liscia anche a vescica vuota poiché in rapporto con prostata o vagina. Il
meato uretrale interno o collo vescicale rappresenta lo sbocco della vescica ed è il punto più
declive della vescica, nella femmina è circolare e nel maschio semilunare, nell’anziano il lembo
posteriore può ipertrofizzare formando l’ugola vescicale. Gli orifizi ureterali sono diretti
obliquamente in basso, in dentro e in avanti, situati in ciascun lato su di un rilievo allungato
detto piega ureterica. Le pieghe ureteriche proseguono medialmente oltre lo sbocco degli
ureteri congiungendosi e determinando un rilievo continuo che rappresenta la base del trigono
vescicale. La porzione della base vescicale situata dietro al trigono presenta una depressione
ellittica con asse maggiore trasversale chiamato bassofondo della vescica o fossa
retroureterica, maggiormente accentuata nel vecchio, specialmente in caso di ipertrofia della
prostata. In quest’ultimo caso il bassofondo rappresenta la zona più declive della vescica nella
quale, dopo la minzione, ristagna una certa quantità di urina.
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STRUTTURA: La parete della vescica varia da 1,5 CM allo stato di vacuità a 0,3 CM allo stato
di replezione, è costituita dalle tonache mucosa, muscolare, avventizia o sierosa.
La tonaca mucosa si solleva in pieghe nella vescica vuota ed è relativamente liscia nella
vescica distesa, questo non vale per la zona corrispondente al trigono vescicale dove si
mantiene sempre liscia. L’epitelio di rivestimento è di transizione mentre la lamina propria,
denominata strato sottomucoso, è costituito da connettivo lasso con gruppetti di cellule
adipose e fascetti muscolari, questo rappresenta lo strato di scorrimento della mucosa ed è
assente in corrispondenza del trigono vescicale.
La tonaca muscolare è formata da fascetti di miocellule circondate da abbondante stroma
connettivale ricco di fibre elastiche. Nel complesso la tonaca muscolare forma il muscolo
detrusore della vescica la cui contrazione determina la minzione. In corrispondenza del trigono
vescicale la muscolatura assume un andamento caratteristico formando il muscolo trigonale, a
livello del meato uretrale interno i fascetti muscolari piegano in avanti costituendo il muscolo
sfintere della vescica che si continua con lo sfintere liscio o interno della vescica.
La tonaca avventizia è formata da connettivo fibroso denso e appartiene alla fascia vescicale.
La tonaca sierosa è data dal peritoneo ed è limitata ad alcune aree, apice e parte del corpo.
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NOME: Uretra maschile
POSIZIONE: L’estremità superiore si trova nella vescica, apice anteriore del trigono vescicale,
attraversa la prostata, il pavimento pelvico ed il perineo percorre la parte libera del pene
terminando in prossimità della sua estremità libera in una fessura di circa 7 MM detta meato
uretrale esterno.
L’uretra maschile è lunga circa 18-20 CM nell’adulto. Nel suo tratto
CARATTERISTICHE:
iniziale dà passaggio esclusivamente all’urina, uretra urinaria, mentre per il resto della sua
estensione permette anche il passaggio dello sperma, uretra comune. L’uretra può essere
suddivisa in vari segmenti in base a due criteri diversi.
Secondo un criterio topografico si distingue in:
PORZIONE PELVICA : Compresa tra l’origine e il seno urogenitale.
- PORZIONE PERINEALE : Contenuta nel perineo anteriore va dall’inizio del trigono
urogenitale fino alla parte libera del pene.
PORZIONE PENIENA : Situata nella parte libera del pene.
Secondo un criterio sistematico si distingue in:
URETRA PROSTATICA: Lunga 3-3,5 CM è il tratto interno alla prostata.
URETRA MEMBRANOSA O TRIGONALE : Lunga 1,5 CM è compresa nello spessore del
diaframma urogenitale.
URETRA SPONGIOSA O CAVERNOSA: Parte terminale, lunga 13-15 CM è avvolta da un
manicotto di tessuto erettile, il corpo spongioso dell’uretra.
Nel tratto prostatico l’uretra scende quasi verticalmente con una leggera convessità posteriore.
Nella porzione membranosa l’uretra piega in avanti, delimitando una curva concava in alto e in
avanti chiamata sottopubica.
Appena entrata nella porzione spongiosa o cavernosa, piega obliquamente in alto e in avanti
fino a raggiungere la porzione libera del pene, dove decorre verso il basso perpendicolarmente
al piano terra delineando una seconda curva a concavità posteroinferiore che varia a seconda
dello stato di erezione del pene.
RAPPORTI: Subito dopo la sua origine l’uretra penetra nella prostata che la circonda
completamente. Abbandonata la prostata è circondata dallo sfintere striato e più in basso e in
avanti aderisce al diaframma urogenitale. Qui è in rapporto in avanti con legamento trasverso
del perineo, vasi dorsali profondi del pene e con il legamento arcuato del pube. Sui lati e
posteriormente con le ghiandole bulbouretrali e con il trigono rettouretrale. Attraversato il
diaframma urogenitale l’uretra viene completamente avvolta dal corpo spongioso del pene fino
alla sua estremità libera.
STRUTTURA: La parete dell’uretra è costituita da una tonaca mucosa ed una tonaca
muscolare. Nella porzione spongiosa alla tonaca muscolare si sostituisce un manicotto di
tessuto erettile.
- TONACA MUCOSA: Molto elastica è rivestita da epitelio di transizione fino agli sbocchi
dei dotti eiaculatori, da epitelio cilindrico composto fino alla fossa navicolare, da epitelio
pavimentoso composto in corrispondenza del meato uretrale esterno. L’epitelio poggia
su una tonaca propria ricca di connettivo denso con accumuli di linfociti. Nella parete
dell’uretra spongiosa sono presenti ghiandole uretrali tubuloalveolari semplici o
ramificate a secrezione mucosa per lubrificare l’uretra.
TONACA MUSCOLARE: Si distingue una componente liscia ed una striata più
superficiale. La muscolatura liscia è disposta in due strati uno longitudinale interno ed
uno circolare esterno. Lo strato circolare esterno si fa particolarmente spesso nella
porzione iniziale dove costituisce lo sfintere liscio o interno, entrambi gli strati
terminano all’uretra spongiosa. La muscolatura striata è rappresentata dal muscolo
sfintere striato o esterno dell’uretra che inizia nella parte prostatica e si continua con i
muscoli bulbocavernosi. Nella porzione trigonale, la muscolatura striata circonda
completamente ad anello l’uretra membranosa. Nella porzione prostatica ha la forma di
una doccia aperta posteriormente applicata alla faccia anteriore della prostata. Nella
parte bulbouretrale è rappresentata da una lamina muscolare che trae origine in avanti
dal diaframma urogenitale, circonda l’uretra e termina posteriormente nel centro
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tendineo del perineo. Lo sfintere striato mediante la sua contrazione esercita un
controllo volontario sulla minzione.
Il lume dell’uretra, in condizione di riposo e in sezione, appare
CONFIGURAZIONE INTERNA:
come una fessura che varia a seconda delle zone. Semilunare a convessità anteriore nella
prostata, trasversale ed irregolare nei tratti membranoso e cavernoso ed infine sagittale nei
pressi del meato esterno. In stato di dilatazione il lume diventa cilindrico con alcuni
restringimenti ed espansioni. I restringimenti si trovano presso il meato uretrale interno, alla
parte membranosa ed al meato uretrale esterno. Le espansioni si trovano presso la porzione
prostatica, la fossa del bulbo e la fossa navicolare, 2 CM prima del meato uretrale esterno.
La superficie interna in condizione di riposo presenta numerose pieghe longitudinali che
scompaiono quando l’uretra è pervia. Nella parete posteriore dell’uretra prostatica c’è un
rilievo, il collicolo seminale, le cui estremità continuano in una piega mediale denominata
cresta uretrale. Sulla sommità del collicolo si apre un piccolo orifizio, otricolo prostatico,
costituito da un diverticolo a fondo cieco residuo dei dotti paramesonefrici di Muller, utero
femminile. Sulle pareti laterali del collicolo seminifero sboccano i dotti eiaculatori. Nella parte
iniziale dell’uretra cavernosa vi è una grande dilatazione detta fossa del bulbo o ampolla
uretrale, corrisponde all’apice della curva sottopubica. Al limite anteriore della fossa del bulbo
sboccano i condotti escretori per le due ghiandole bulbouretrali di Cowper. Inoltre lungo tutta
la parte spongiosa dell’uretra vi sono piccoli orifizi delle ghiandole uretrali in infossamenti della
mucosa denominate lacune uretrali di Morgagni. Infine a circa 2 CM dal meato uretrale esterno
è presente una piega semilunare della mucosa denominata valvola della fossa navicolare di
Guerin.
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NOME: Uretra femminile.
POSIZIONE: Un condotto della lunghezza di 3-5 cm che ha inizio nella vescica urinaria e,
dopo aver attraversato il pavimento pelvico, si apre all’esterno nella parete anteriore del
vestibolo della vagina.
L’uretra femminile presenta un calibro ineguale, essendo più ampia nel
CARATTERISTICHE:
tratto intermedio, dove raggiunge un diametro di circa 8 mm, nel complesso ha quindi una
forma fusata. Origina in corrispondenza dell’apice anteriore del trigono vescicale, presso il
meato uretrale esterno, e, dopo un decorso obliquo in basso e in avanti, durante il quale
descrive una leggera curva a concavità anteriore, termina con il meato uretrale esterno nel
tetto del vestibolo della vagina, subito davanti all’orifizio vaginale e 2-3 cm dietro il glande del
clitoride. Mentre il meato uretrale interno ha una forma costantemente circolare, quello
esterno può assumere conformazioni assai varie, stellata, triangolare, a croce, ma per lo più
appare come una fessura longitudinale, rappresenta la parte più ristretta e meno dilatabile
dell’uretra. Durante il suo decorso l’uretra attraversa il diaframma urogenitale che la fissa al
pavimento pelvico. In base a ciò può essere quindi suddivisa in una porzione superiore, più
lunga che rappresenta la parte pelvica, e in una inferiore, più breve che rappresenta la parte
perineale.
RAPPORTI: L’uretra, nella sua porzione pelvica, si mette in rapporto anteriormente con il
plesso venoso pudendo che la separa dalla sinfisi pubica, al di sotto del diaframma pelvico si
colloca dietro alla radice del clitoride. Ai lati entra in rapporto, senza aderirvi, con il margine
mediale del muscolo elevatore dell’ano mentre, nella sua porzione perineale, è incrociata dai
corpi cavernosi del clitoride. Posteriormente è in rapporto, per tutta la sua lunghezza, con la
parete anteriore della vagina, alla quale aderisce intimamente nei due terzi inferiori. Fra i due
organi si costituisce un setto fibroso, il setto uretrovaginale, che presenta uno spessore di circa
10 mm.
STRUTTURA: La superficie interna, di colorito roseo, presenta sottili pieghe a decorso
longitudinale che scompaiono in seguito alla distensione, con l’eccezione di un sottile rilievo
longitudinale permanente, la cresta uretrale, che si estende lungo l’intera parete posteriore.
Sono inoltre visibili piccole lacune a fondo cieco, dette lacune uretrali di Morgagni.
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NOME: Testicoli o Didimi.
POSIZIONE: Situati al di sotto del pene, fra la radice delle cosce e contenuti nella borsa
scrotale, appesi all’estremità inferiore del funicolo spermatico. Sono estremamente mobili e la
posizione è dettata dallo stato di contrazione del muscolo cremastere e della parete dello
scroto. Sono separati dal setto scrotale e il sinistro ha una posizione leggermente più bassa del
destro.
Sono le gonadi maschili e svolgono il ruolo di produzione di spermatozoi
CARATTERISTICHE:
e secrezione di ormoni sessuali maschili. Sono organi pari di forma ellissoidale appiattiti in
senso trasversale. L’asse maggiore dell’organo è obliquo in basso ed in dietro con un
inclinazione di circa 45°, è lungo 4-4,5 CM, largo 3 CM, pesante 20-30 G. Di consistenza molle
elastica e colorito biancoazzurrognolo. La faccia mediale guarda verso il setto scrotale ed è
quasi pianeggiante, la faccia laterale è più convessa e coperta dall’epididimo separata soltanto
dal seno dell’epididimo. Il margine anteriore è convesso e guarda in avanti e in basso, il
margine posteriore è rettilineo e rivolto in dietro e in alto. In corrispondenza del margine
posteriore si trova l’ilo del testicolo che dà passaggio ai condottini efferenti, ai nervi, ai vasi
sanguigni e linfatici. Il polo superiore è coperto dalla testa dell’epididimo e presenta
l’appendice del testicolo o idatide di Morgagni, il polo inferiore dà attacco al legamento scrotale
che lo collega al fondo della borsa scrotale essendo un residuo del gubernaculum testis. La
superficie esterna è quasi completamente avvolta da un sacco sieroso di origine peritoneale
detto tonaca vaginale propria e costituita da due foglietti, viscerale o epiorchio e parietale o
periorchio che si continuano a livello del margine posteriore del testicolo costituendo il
mesorchio. Tra i due foglietti è presente del liquido sieroso che in condizioni patologiche
aumenta a dare idrocele.
STRUTTURA: Il testicolo è costituito dalla tonaca albuginea e le sue dipendenze, dai tubuli
seminiferi, dallo stroma e dalle cellule interstiziali.
La tonaca albuginea è una membrana resistente e inestensibile che avvolge tutto il testicolo.
Esternamente è rivestita dall’epiorchio costituito da un mesotelio di epitelio pavimentoso
semplice e da una sottile lamina propria di connettivo fibroso denso con i fasci intrecciati e
paralleli alla superficie dell’organo. Dalla faccia profonda della tonaca albuginea che è detta
tonaca vascolosa per la sua ricca vascolarizzazione, si dipartono numerosi sepimenti detti setti
testicolari che convergono radialmente in un corpo fibroso cuneiforme detto mediastino o corpo
di Highmoro, questo corrisponde all’ilo del testicolo che contiene una rete anastomotica detta
rete testis.
Il parenchima ha consistenza molle e colorito roseogiallastro. Ogni lobulo è formato da 1-4
condottini detti tubuli seminiferi contorti con andamento sinuoso e sbocco a livello della rete
testis. La parete dei tubuli seminiferi è costituita da un epitelio germinativo pluristratificato ed
è alternato a cellule di sostegno di Sertoli, il tutto poggia su una lamina propria costituita da 45 strati di cellule appiattite separate da sostanza intercellulare ricca di fibre collagene ed
elastiche.
Lo stroma è costituito da scarso tessuto connettivo lasso in cui sono presenti le cellule
interstiziali di Leydig che vanno a costituire la ghiandola interstiziale del testicolo.
Le cellule interstiziali sono abbastanza voluminose, si trovano isolate o in gruppo, nel primo
caso hanno forma sferoidale, nel secondo caso hanno forma poliedrica. Sono la sede di
produzione degli ormoni sessuali maschili di tipo androgeno e sono regolate dal sistema
ipotalamoipofisario per mezzo degli ormoni gonadotropi. Gli ormoni androgeni determinano la
comparsa e la permanenza dei caratteri sessuali maschili, la spermatogenesi, l’ossificazione ed
hanno effetto anabolizzante.
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NOME:
Vie Spermatiche
Tubuli Retti e Rete Testis
Epididimi
Canali Deferenti
Funicoli o Cordoni Spermatici
Condotti Eiaculatori
CARATTERISTICHE:
Tubuli Retti e Rete Testis: I primi rappresentano l’inizio delle vie spermatiche facendo
seguito ai tubuli seminiferi ed essendo contenuti nel testicolo, la seconda è formata da
un complicato sistema di canalicoli e lacune anastomizzate e scavate nel tessuto
connettivo del mediastino testicolare .
Epididimi: Sono organi pari allungati che raccolgono gli spermatozoi prodotti nel
testicolo e ne favoriscono la maturazione. Ciascun epididimo ha la forma di una
“virgola”, è lungo 5 CM, largo 1 CM, spesso 0,5 CM e pesante 3 G. Si divide in
un’estremità superiore ingrossata, la testa, una porzione intermedia cilindrica, il corpo,
e un estremità inferiore, la coda che continua nel canale deferente.
Canali Deferenti: Iniziano in corrispondenza della coda dell’epididimo, decorrono nella
cavità pelvica e attraverso il canale inguinale, terminano con la vescichetta seminale
omolaterale per formare il condotto eiaculatore. Il canale deferente ha forma cilindrica,
calibro di 2-3 MM e lunghezza di 40 CM. Nella parte terminale si dilata a formare
l’ampolla deferenziale. Nella prima porzione o parte testicolare è addossato alla faccia
posteriore della coda e del corpo dell’epididimo. Nella parte funicolare è contenuto nella
parte posteriore del funicolo spermatico fino all’orifizio sottocutaneo del canale
inguinale. Nella parte inguinale decorre obliquamente in alto e a lato fino all’orifizio
addominale. Nella parte addominopelvica si libera dagli altri elementi del funicolo ed
entra nella cavità addominale, decorre nella piccola pelvi in direzione della prostata
formando l’ampolla deferenziale per poi formare il condotto eiaculatore.
È di consistenza molle, lungo 14 CM e spesso 1 CM. È
Funicoli o Cordoni Spermatici:
formato dal canale deferente, con posizione profonda e spostato posteriormente,
dall’arteria testicolare, situata profondamente ma disposta in avanti, dall’arteria
spermatica esterna o funicolare o cremasterica, decorre in posizione superficiale, dalle
vene testicolari, emergono dal margine posteriore del testicolo, dai vasi infatici,
provenienti da testicolo e arteria testicolare, da nervi, dal legamento vaginale, esile
cordoncino fibroso residuo del primitivo dotto peritoneovaginale, dal paradidimo, dal
muscolo cremastere interno.
Condotti Eiaculatori: Collegano l’ampolla deferenziale dei canali deferenti e l’uretra
sono lunghi 2-2,5 CM inizialmente presentano un diametro di 3 MM che si riduce
progressivamente a 1 MM.
STRUTTURA:
Tubuli Retti e Rete Testis: Entrambi non hanno parete propria, ma sono costituiti da
un sistema canalicolare che contiene spermatozoi liberi ed è scavato nel tessuto fibroso
del mediastino testicolare. L’epitelio che ne tappezza la superficie interna è
rappresentato da un epitelio cubico semplice a volte fornito di radi e corti microvilli.
Epididimi: È rivestito da un sottile involucro connettivale, la tonaca albuginea
dell’epididimo, che aderisce esternamente alla sierosa vaginale. A livello della testa la
tonaca invia profondi e sottili setti denominati coni vascolosi o coni dell’epididimo.
Ciascun cono vascoloso è formato da un condottino efferente e tutti insieme sboccano
nel condottino efferente più craniale a formare il condotto dell’epididimo. I condottini
efferenti sono costituiti da un epitelio di rivestimento cilindrico semplice e da una lamina
propria di tessuto connettivo denso con fascetti circolari di fibrocellule muscolari lisce e
fibre elastiche. Il condotto dell’epididimo è formato da una tonaca mucosa costituita da
un epitelio di rivestimento cilindrico e da una lamina propria, una tonaca muscolare
costituita da fascetti di fibrocellule circolari e una tonaca avventizia sottile e fibrosa che
si confonde con il connettivo intertubulare della tonaca albuginea
Canali Deferenti: La tonaca mucosa è di colorito giallastro e si solleva in pieghe
longitudinali. L’epitelio di rivestimento è cilindrico superficialmente e poliedrico
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basalmente, con funzione assorbente e secernente. La lamina propria è costituita da
connettivo denso ricco di fibre elastiche e profondamente si continua con il connettivo
interstiziale degli strati muscolari. La tonaca muscolare è costituita da fascetti di
fibrocellule muscolari lisce disposte in uno strato longitudinale esterno, circolare
intermedio, longitudinale interno. La tonaca avventizia è formata da tessuto connettivo
denso con abbondanti fibre elastiche e rari fascetti muscolari.
È rivestito da una serie di tonache. La fascia
Funicoli o Cordoni Spermatici:
cremasterica o tonaca spermatica esterna rappresenta una sottile lamina connettivale
ed è considerata la diretta continuazione della fascia di rivestimento del muscolo obliquo
esterno. Il muscolo cremastere o tonaca eritroide è costituito da fibre muscolari striate
che si distaccano dai muscoli obliquo interno e trasverso dell’addome applicandosi alla
superficie del funicolo sul canale inguinale. La tonaca vaginale comune o tonaca
spermatica interna è una sottile lamina connettivale ricca di fibre elastiche dipendente
dalla fascia trasversale.
Condotti Eiaculatori: La tonaca mucosa di colorito giallastro presenta infossamenti
separati da creste irregolari. L’epitelio di rivestimento è cilindrico semplice e la lamina
propria è ricca di fibre elastiche. La tonaca muscolare è formata da fascetti di
fibrocellule muscolari frammisti a fibre collagene ed elastiche. La tonaca avventizia è di
natura connettivale e continua con la capsula della prostata.
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NOME:
Ghiandole Annesse
Vescichette Seminali
Prostata
Ghiandole Bulbouretrali
POSIZIONE:
Anteriormente sono applicate sulla parete posteriore della base
Vescichette Seminali:
della vescica con l’interposizione della fascia vescicale. Sono situate nella piccola pelvi
fra la base della vescica ed il retto, superiormente alla prostata.
Prostata: Situata nella piccola pelvi fra la base della vescica e il diaframma urogenitale,
dietro la sinfisi pubica e davanti all’ampolla rettale.
Ghiandole Bulbouretrali di Cowper:
Situate profondamente nel perineo anteriore.
CARATTERISTICHE:
Possono essere considerate come un diverticolo a fondo cieco
Vescichette Seminali:
della rispettiva ampolla deferenziale e sono due organi ghiandolari cavi allungati.
Essendo organi bersaglio per ormoni androgeni risultano piccole nel bambino ed
atrofiche nell’anziano. Presentano una forma a cono leggermente appiattito in senso
anteroposteriore con la superficie irregolare e la base diretta in alto, in dietro e
all’esterno. Mediante il loro apice si uniscono alle ampolle deferenziali dando origine al
condotto eiaculatore attraverso il quale comunicano con l’uretra. Il loro asse maggiore è
obliquo in basso, in avanti e in dietro, è lungo 5-8 CM, largo 2,5 CM, spesso 1-1,5 CM e
capace 3-6 ML. Soltanto la faccia posteriore del fondo delle vescichette seminali è
rivestita da peritoneo.
Prostata: Un organo ghiandolare impari e mediano. È attraversata a pieno spessore
dall’alto in basso dalla porzione prostatica dell’uretra, in questa riversa il succo
prostatico durante l’eiaculazione. Nella parte posterosuperiore è attraversata
obliquamente dai condotti eiaculatori. La prostata ha la forma di un marrone con la base
superiore e l’apice inferiore, il suo asse è leggermente obliquo in basso ed in avanti e
forma una X con angolo di 20° con l’asse dell’uretra. Ha colorito grigio rossastro e
consistenza dura e elastica, è alta 3 cm, larga 4 cm, spessa 2,5 cm e pesa 20 g. Può
subire notevoli aumenti di volume dando ipertrofia prostatica e causando difficoltà alla
minzione. La faccia superiore o base ha forma triangolare con gli angoli arrotondati,
poiché il lato posteriore presenta a metà un’incisura, la base della prostata assume una
forma a cuore. Sull’angolo anteriore la faccia superiore mostra il punto di ingresso
dell’uretra, mentre posteriormente è scavata dall’ilo della prostata. La superficie
compresa fra l’ingresso dell’uretra e l’ilo della prostata appare rilevata e corrisponde al
lobo medio. La faccia anteriore, quasi verticale, è convessa mentre la faccia posteriore,
obliqua in basso e in avanti, è percorsa nel mezzo da un solco longitudinale che la
divide in lobo destro e sinistro. La prostata è contenuta in un involucro fibroso detto
loggia prostatica.
Ghiandole Bulbouretrali di Cowper:
Sono due corpicciuoli sferoidali annessi alla
porzione iniziale dell’uretra cavernosa nella quale riversano il loro secreto. Hanno
colorito giallastro, consistenza dura, diametro di 1 cm, superficie lobulata. La porzione
bulbouretrale del muscolo sfintere striato dell’uretra le ricopre quasi completamente e
ne determina la spremitura. Il dotto escretore emerge dalla faccia inferiore della
rispettiva ghiandola e si dirige in avanti e medialmente, attraversa la fascia inferiore del
diaframma urogenitale, si addentra nello spessore del bulbo dell’uretra e sbocca nella
parete inferiore dell’uretra cavernosa al limite anteriore della fossa del bulbo.
RAPPORTI:
Vescichette Seminali:
Posteriormente con il cavo peritoneale rettovescicale di
Douglas. A causa della vicinanza con il retto possono essere palpate con l’esplorazione
rettale. Medialmente con il tratto terminale del rispettivo canale deferente che si dilata
nell’ampolla. Lateralmente con il plesso venoso prostatico.
Prostata: Anteriormente, coperta dalla porzione prostatica del muscolo sfintere striato
dell’uretra e dalla fascia preprostatica, con la metà inferiore della sinfisi pubica per
mezzo dei legamenti puboprostatici. Lateralmente con i muscoli pubococcigei e con
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l’aponeurosi laterale della prostata. Posteriormente attraverso la fascia retto vescicale
con l’ampolla rettale, con le ampolle deferenziali, con l’apice delle vescichette seminali e
con i condotti eiaculatori. Superiormente con la vescica urinaria nella zona del meato
uretrale interno e del trigono. Inferiormente con il diaframma urogenitale.
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NOME: Pene.
POSIZIONE:
Si trova nel perineo anteriore, al davanti della borsa scrotale.
CARATTERISTICHE:
Il pene è l’organo maschile della copulazione resa possibile dalle sue
capacità erettili, è costituito da due corpi cavernosi del pene e un corpo spongioso dell’uretra,
rivestiti da particolari involucri connettivali e da cute. Nel pene si distinguono una porzione
fissa o radice, una porzione mobile o corpo, una porzione distale o glande. La radice è situata
profondamente nel perineo anteriore, contenuta nella loggia peniena, diretta obliquamente in
alto ed in avanti. È costituita dalle porzioni iniziali dei due corpi cavernosi del pene e del corpo
spongioso dell’uretra, fissati alle branche ischiopubiche e al diaframma urogenitale. Il corpo è
di forma cilindrica e allo stato di flaccidità misura 10 CM di lunghezza e pende verticalmente
fra la radice delle gambe, appoggiandosi allo scroto, formando un angolo di circa 60° aperto in
basso detto angolo del pene. Verso l’estremità distale, al limite con il glande, il corpo del pene
si restringe a formare il collo del pene. Allo stato di erezione aumenta di lunghezza, larghezza,
volume e consistenza in maniera diversa da individuo a individuo, cambia posizione
sollevandosi dallo scroto e avvicinandosi all’addome, facendo così scomparire l’angolo del
pene. Il glande rappresenta l’estremità distale del pene, allo stato di flaccidità è totalmente o
parzialmente ricoperto da una piega cutanea, il prepuzio, da cui resta separato da uno spazio
detto cavità prepuziale. Allo stato di erezione risulta per lo più privo di rivestimento, di colorito
roseo ha una superficie liscia a forma di cono a base larga ed apice arrotondato. Sull’apice si
trova il meato uretrale esterno di circa 7 MM, sulla base è presente un contorno circolare
sporgente detto corona del glande che delimita un solco detto solco balanoprepuziale o
coronario o retroglandare. Nel solco balanoprepuziale può accumularsi sebo e cellule epiteliali
desquamate che formano lo smegma. Nella faccia inferiore del glande tra il meato uretrale
esterno e il solco balanoprepuziale vi è una piega cutanea sagittale detta frenulo del prepuzio.
Il prepuzio è una piega cutanea a forma di manicotto che origina dal collo del pene e si
estende a ricoprire il glande. Si divide in foglietto esterno ed interno e la zona di riflessione dei
due foglietti prende il nome orifizio prepuziale.
Mezzi di Fissità: Il pene è mantenuto fisso da un apparato sospensore costituito dal
legamento fundiforme e sospensore. Il legamento fundiforme è una dipendenza della linea alba
dell’addome e origina 5 CM al di sopra della sinfisi pubica portandosi in basso per raggiungere
il pene dove si sdoppia in due lamine che lo circondano. Si ricostituisce nuovamente sulla
faccia ventrale dell’organo per prolungarsi nel setto scrotale. Il legamento sospensore è
rappresentato da un fascio fibroso triangolare che origina dalla faccia anteriore della sinfisi
pubica e si perde sulla fascia del pene nel punto di accollamento dei corpi cavernosi.
STRUTTURA: Il pene è costituito da particolari formazioni erettili allungate capaci di
aumentare in maniera considerevole volume e consistenza in seguito ad un iperafflusso
sanguigno. Le formazioni erettili sono i due corpi cavernosi del pene e il corpo spongioso
dell’uretra, circondate e tenute insieme da un complesso di involucri.
Pari e simmetrici, hanno forma cilindrica le estremità sono
Corpi Cavernosi del Pene:
assottigliate, allo stato di flaccidità sono lunghi 15-16 CM e hanno un diametro di 1-1,5
CM. In corrispondenza dela radice del pene sono separati, mentre nel corpo del pene
sono strettamente congiunti. Ciascun corpo cavernoso origina in corrispondenza della
rispettiva branca ischiopubica della pelvi subito al davanti della tuberosità ischiatica.
Prosegue quindi con direzione anterosuperiore, contenuto nella loggia peniena e
applicato contro la faccia interna della branca al cui periostio aderisce intimamente.
Portandosi in avanti i due corpi cavernosi convergono fino a livello dell’arcata
sottopubica dove si mettono in contatto e proseguono appaiati come le canne di un
fucile, separati soltanto dal setto del pene o setto pettiniforme. Dall’accollamento dei
due corpi cavernosi si forma sia dorsalmente che centralmente un solco longitudinale,
nel solco dorsale decorre la vena dorsale profonda del pene, nel solco ventrale si colloca
il corpo spongioso dell’uretra. All’estremità i corpi cavernosi del pene si assottigliano e
terminano con un apice smussato ed incappucciato dal glande. I corpi cavernosi del
pene sono costituiti da tonaca albuginea e da tessuto cavernoso. La tonaca albuginea è
una membrana biancastra scarsamente estensibile che durante l’erezione si assottiglia e
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si tende per l’aumento di volume del tessuto cavernoso. Nel tratto in cui i corpi
cavernosi corrono affiancati i due involucri si saldano costituendo un sepimento
fessurato detto setto del pene o setto pettiniforme. La tonaca albuginea è costituita da
connettivo fibroso denso povero di fibre elastiche, i fasci si dispongono in uno strato
longitudinale esterno ed uno strato circolare interno. Il tessuto cavernoso o erettile è
formato da lacune sanguigne di forma irregolare dette cavernule e separate in maniera
incompleta da trabecole di spessore variabile. Ricevono sangue da particolari arteriole
sinuose dette arterie elicine che sono situate nelle trabecole e fornite in posizione
subendoteliale di cuscinetti di cellule epitelioidi. Durante l’erezione le arterie elicine si
dilatano e riversano una notevole quantità di sangue nelle cavernule. Queste sono
drenate da venule che durante l’erezione risultano compresse e determinano un
ristagno di sangue nelle cavernule. Nelle trabecole, oltre alle arterie elicine, decorrono
alcune arteriole che danno origine ad una rete di capillari le cui vene emulgenti
sboccano nelle cavernule. Quest’ultimo sistema è trofico, mentre il precedente ha
esclusivamente funzione erettile.
È impari e mediano, a forma cilindrica, è percorso dalla
Corpo Spongioso dell’Uretra:
porzione spongiosa dell’uretra. Inizia nella loggia peniena del perineo anteriore, fra la
radice dei corpi cavernosi del pene, con un rigonfiamento detto bulbo dell’uretra che
aderisce alla superficie inferiore del diaframma urogenitale. L’estremità posteriore dista
1-1,5 CM dal canale anale ed è percorsa da un solco verticale più o meno accentuato.
La faccia superiore del bulbo è attraversata dall’uretra che compie una curva
sottopubica e presenta una dilatazione detta fossa del bulbo. Vicino all’estremità distale
del pene il corpo spongioso dell’uretra si espande costituendo una specie di cappuccio
conico corrispondente al glande e detto corpo cavernoso del glande. Da un punto di
vista strutturale il corpo cavernoso dell’uretra presenta un organizzazione simile ai corpi
cavernosi del pene.
Involucri:
In corrispondenza della parte libera del pene i corpi cavernosi sono rivestiti
da una serie di involucri rappresentati da uno strato di cute, uno strato di sottocute
dato dalla tonaca dartos e da uno strato sottodartoico, dalla fascia del pene.
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NOME: Scroto o Borsa Scrotale.
POSIZIONE: La borsa scrotale o scroto è un sacco rivestito da cute e situato sotto la sinfisi
pubica, fra la radice delle cosce, dietro il corpo del pene.
La borsa scrotale è suddivisa da un setto mediano in una cavità destra e
CARATTERISTICHE:
una sinistra che contengono il rispettivo testicolo con l’epididimo e la prima porzione del
funicolo spermatico. Si presenta come una voluminosa sporgenza impari e mediana con un
estremità inferiore, detta fondo, slargata e libera e un estremità superiore, detta radice, più
ristretta e aderente alla regione pubica. Sulla superficie esterna, lungo la linea mediana, è
presente un rafe longitudinale che anteriormente continua sulla faccia inferiore del pene e
posteriormente prosegue sul perineo fino all’orifizio anale; questo rappresenta l’esito della
saldatura delle pieghe genitali e scrotali che ha luogo alla fine del terzo mese intrauterino.
Profondamente al rafe corrisponde il setto scrotale, una lamina posta sul piano sagittale
mediano.
STRUTTURA: La parete dello scroto è formata da vari strati sovrapposti: la cute, il sottocute,
la fascia cremasterica, il muscolo cremastere e la tonaca vaginale comune. Le ultime tre
formazioni non rappresentano altro che la continuazione delle formazioni che rivestono il
funicolo spermatico. Il setto scrotale è composto da tutti gli strati della parete scrotale eccetto
la cute.
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NOME: Ovaie
POSIZIONE: L’ovaia ha una posizione relativamente variabile a causa degli spostamenti
dell’utero, tuttavia la sua posizione abituale è con la faccia laterale corrispondente ad una
depressione della parete posterolaterale della piccola pelvi detta fossetta ovarica di Krause. La
fossetta ovarica è situata 20-25 MM al davanti dell’articolazione sacroiliaca e 15 MM al di sotto
dello stretto superiore della pelvi. Nelle multipare l’ovaia assume una posizione più bassa e più
posteriore andando ad occupare la fossetta sottoovarica di Claudius.
CARATTERISTICHE: Le ovaie sono le gonadi femminili, producono le cellule germinali
femminili e secernono gli ormoni sessuali femminili, oltre una piccola quantità dei maschili. Le
ovaie sono organi pari situati sulla parete laterale del piccolo bacino, hanno forma e grandezza
paragonabili ad una mandorla, ovvero un ovoide appiattito con l’asse maggiore verticale e
sagittale. Presentano una faccia laterale e mediale, un margine anteriore e posteriore un polo
superiore e inferiore. La faccia mediale volge verso la cavità pelvica, la laterale invece verso la
parete. Il margine anteriore, detto mesovarico o ilo dell’ovaia è connesso alla pagina posteriore
del legamento largo ad opera del mesovario, il margine posteriore invece è libero. Il polo
superiore o tubarico è unito per mezzo della fimbria ovarica all’infundibulo della tuba uterina, il
polo inferiore o uterino è più assottigliato ed è unito all’utero dal legamento uteroovarico. Le
ovaie sono alte 3,5 CM, larghe 2 CM, spesse 1 CM, l’ovaia delle pluripare è più grossa delle
nullipare, nell’infanzia e nella vecchiaia si riduce. L’ovaia ha consistenza piuttosto dura, prima
della pubertà è liscia e regolare, durante il periodo fertile è irregolare per la sporgenza di
follicoli e corpi lutei, con il progredire dell’età compaiono cicatrici dovute all’atresia follicolare e
alla regressione dei corpi lutei. L’ovaia non è ricoperta da peritoneo viscerale ma dall’epitelio
ovarico o germinativo. Sulla faccia interna o mediale dell’ovaia si applicano la porzione
ascendente della tromba uterina e il mesosalpinge che formano assieme al peritoneo parietale
della fossetta ovarica la borsa ovarica. Questa è generalmente incompleta, poiché lo sviluppo
del mesosalpinge è scarso, e interrotta in avanti, poiché vi si inserisce il mesovario. L’ovaia
viene così suddivisa in due compartimenti, il mediale è compreso tra la faccia mediale
dell’ovaia e la tuba con il suo mesosalpinge e comunica medialmente e indietro con la cavità
peritoneale, il laterale è più ampio e compreso tra la faccia laterale dell’ovaia e la parete della
fossetta ovarica, anch’esso è aperto in dietro verso la cavità peritoneale.
Mezzi di Fissità : L’ovaia è mantenuta in sede da 4 legamenti il legamento sospensore o
lomboovarico, il legamento uteroovarico, il mesovario e il legamento tuboovarico. Il legamento
sospensore è formato da vasi ovarici, da fibre connettivali e muscolari lisce che sollevano il
peritoneo in una piega ben evidente che incrocia i vasi iliaci esterni a livello dello stretto
superiore della pelvi poco al davanti dell’articolazione sacroiliaca. Questo legamento prosegue
quindi in basso e in dietro formando il tratto più esterno del margine superiore del legamento
largo, nel piccolo spazio fra la tuba uterina e la parete pelvica, terminana all’estremità
superiore del margine mesovarico dell’ovaio. Il legamento uteroovarico unisce il polo inferiore
dell’ovaia all’angolo superolaterale dell’utero, è costituito da connettivo e cellule muscolari lisce
e decorre nello spessore del legamento largo. Il legamento mesovario è un corto legamento
peritoneale che si stacca dalla pagina posteriore del legamento largo dell’utero e raggiunge il
margine anteriore dell’ovaio, è formato da due foglietti peritoneali che si separano a livello
dell’ilo divergendo verso le due facce dell’ovaia finche il mesotelio peritoneale si arresta
bruscamente lungo la linea di Farre-Waldeyer continuando con l’epitelio che riveste la
superficie ovarica. Il legamento tuboovarico non è un vero mezzo di fissità, esso unisce il polo
superiore dell’ovaia alla superficie esterna del padiglione della tuba uterina presso la fimbria
ovarica.
STRUTTURA:
Epitelio Ovarico: Ricopre la corticale ed è formato da uno strato di cellule cubiche, a
volte cilindriche o appiattite. Il termine di epitelio germinativo è erroneo poiché derivato
dall’ipotesi che esso desse direttamente origine ai gameti che in realtà originano al di
fuori della gonade e vi migrano durante lo sviluppo.
Zona Corticale: E’ la parte periferica situata al di sotto dell’epitelio ovarico, è spessa
dai 2 ai 10 MM ed è formata da stroma corticale, un tessuto connettivo particolare,
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dotato di polimorfismo e capacità di adattamento funzionale. Nella compagine dello
stroma corticale vi sono gli organuli ovarici, cioè follicoli oofori e corpi lutei in evoluzione
o regressione. Tra lo stroma corticale e l’epitelio ovarico vi è la falsa albuginea, uno
strato povero di cellule e ricco di fibre collagene utilizzato per distinguerlo dall’involucro
connettivale del testicolo detto vera albuginea. Lo stroma corticale che circonda gli
organuli ovarici è ricco di cellule e povero di fibre collagene. L’aspetto più importante
della capacità evolutiva delle cellule stromali dell’ovaia è il fatto che si trasformino in
elementi endocrini, oltre alle cellule della teca interna dei follicoli, esse possono dare
origine a elementi steroidogenici sparsi nello stroma corticale. Queste ultime cellule
presentano le caratteristiche ultrastrutturali delle cellule che producono ormoni steroidei
dunque si ritiene che siano capaci di produrre ormoni androgeni.
Zona Midollare: E’ la regione profonda e centrale in continuazione con l’ilo, costituita
da tessuto connettivo lasso con fibre elastiche e fasci di fibre muscolari lisce che
accompagnano le ramificazioni dell’arterie. Queste ramificazioni vascolari, arteria
cavaturacciolo, hanno una disposizione a spirale del tutto caratteristica che dà alla zona
profonda della midollare una certa capacità di deformarsi e di modificare la sua
consistenza, si parla perciò di bulbo dell’ovaia. La midollare è molto ricca di fibre
nervose sia colinergiche che adrenergiche, sono pure presenti vasi linfatici e ampie
fessure linfatiche. Inoltre sono presenti frequentemente corpi albicanti vascolari, ovvero
residui della degenerazione della parete dei vasi ovarici. La zona dell’ilo è spesso in
rapporto con fibre nervose amieliniche e vi si trovano cellule simili alle interstiziali di
Leydig del testicolo che mostrano l’ultrastruttura tipica degli elementi steroidogenici e
sono ritenute responsabili della produzione di androgeni e dell’evoluzione di tumori
virilizzanti, sono dette cellule dell’ilo.
Ciclo Ovarico :
Il ciclo ovarico può essere suddiviso a sua volta in tre fasi:
- Fase follicolare
- Ovulazione
- Fase luteinica
Fase follicolare
La fase follicolare va all'incirca dal giorno 1 al giorno 14 del ciclo mestruale, il giorno 1 è
il primo giorno di mestruazione. Durante questa fase ha luogo una sequenza di eventi
che assicura la maturazione del follicolo dominante destinato ad ovulare. L'iniziale
crescita follicolare avviene indipendentemente dall'influenza ormonale. All'inizio la
concentrazione degli estrogeni è bassa e, in risposta a tale valore basso, l'ipotalamo
secerne il GnRH. Ciò induce l'ipofisi a liberare FSH che favorisce la maturazione di
parecchi follicoli. Un solo follicolo però matura perfettamente, follicolo di Graaf, mentre
gli altri degenerano a stadi diversi dello sviluppo. Al contrario, il follicolo dominante,
contenente l'ovulo, si ingrossa, si riempie di liquido e si avvicina alla superficie
dell'ovaio secernendo quantità sempre maggiori di estrogeni e piccole quantità di
progesterone finché, verso il giorno 14, la concentrazione di estrogeni, soprattutto
estradiolo, raggiunge il massimo.
Ovulazione
Il follicolo preovulatorio, attraverso la produzione di estradiolo, fornisce lo stimolo
ovulatorio. Il progressivo aumento di secrezione estrogenica stimola infatti la
produzione di LH che raggiunge un picco intorno alla metà del ciclo. L'ovulazione
avviene approssimativamente 10-12 ore dopo il picco di LH e 24-36 ore dopo il picco di
estradiolo. I livelli di estradiolo precipitano alcune ore dopo che l'LH ha raggiunto il suo
picco. Prima della rottura del follicolo e della liberazione dell'ovulo, le cellule che
rivestono l'interno del follicolo cominciano ad aumentare di dimensioni, assumono un
caratteristico aspetto rigonfio ed iniziano a produrre progesterone (corpo luteo). La
secrezione di progesterone determina un rialzo a metà ciclo dell'FSH, che serve a
liberare l'ovocita dal legame con il follicolo, mentre la parete follicolare va incontro a un
processo di degradazione. L'ovocita viene così espulso. Una volta terminata
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l'ovulazione, la concentrazione di FSH scende sensibilmente, come pure diminuisce
quella di LH.
Fase luteinica
La fase luteinica o luteale dura all'incirca dal giorno 15 al giorno 28 del ciclo mestruale.
Possono essere considerate normali fasi luteali che durano tra gli 11 ed i 17 giorni.
L'incidenza di fasi luteali brevi è del 5-6 per cento circa. Dopo l'ovulazione, il follicolo
aperto si riempie immediatamente di sangue, formando quello che viene chiamato
corpo emorragico. Piccole perdite dal follicolo nella cavità addominale possono
provocare irritazione peritoneale e dolori passeggeri alla base dell'addome. Le cellule del
follicolo cominciano ad ingrandirsi e a proliferare ed il coagulo di sangue è rapidamente
rimpiazzato da cellule luteiniche giallognole ricche di grassi che formano il corpo luteo.
Questa struttura funziona come un organo endocrino ed è la principale fonte del
progesterone, indispensabile per la preparazione dell'endometrio all'annidamento
dell'embrione. Per ottenere una funzione luteale normale è necessario un ottimale
sviluppo follicolare preovulatorio. Con la formazione del corpo luteo aumenta, quindi, la
concentrazione del progesterone. Ciò avviene circa il giorno 16 del ciclo mestruale.
L'aumento è graduale fino al giorno 20-23, quando raggiunge il picco. I valori iniziano
quindi a diminuire, scendendo rapidamente il giorno 27.
Durante lo stadio luteinico sono secreti anche gli estrogeni. Dopo l'ovulazione, all'incirca
il giorno14, la concentrazione degli estrogeni diminuisce leggermente per quattro o
cinque giorni, per poi raggiungere un secondo picco più o meno allo stesso momento in
cui la concentrazione del progesterone raggiunge il massimo. Quindi tra il giorno 20 e il
giorno 23 del ciclo, il progesterone raggiunge valori massimi e gli estrogeni raggiungono
un secondo picco leggermente inferiore. L'alta concentrazione di estrogeni e
progesterone porta all'inibizione della produzione di GnRH, con successiva inibizione
della secrezione di LH e FSH da parte dell'ipofisi. Di conseguenza, dopo questo periodo,
la concentrazione del progesterone e degli estrogeni inizia a calare fino a raggiungere il
punto minimo verso il giorno 27. Se vi è fecondazione e annidamento dell'embrione, il
trofoblasto, la struttura che si differenzierà in seguito in placenta, produce quantità
crescenti di HCG, ormone della gravidanza con azione simile a quella dell'LH, che
mantiene la funzione del corpo luteo per le prime settimane di gravidanza, corpo luteo
gravidico. Se non vi è fecondazione il corpo luteo va incontro a involuzione entro 9-11
giorni dall'ovulazione. La regressione del corpo luteo sembra dipendere dall'azione
luteolitica degli estrogeni che da esso sono prodotti. Il meccanismo di tale processo
luteolitico sembra legato all'aumento delle concentrazioni locali di prostaglandine
indotto dagli estrogeni. Non è da escludere un feedback negativo sull'LH da parte di
estrogeni e progesterone, che porterebbe ad una rapida diminuzione dell'LH e quindi del
suo effetto trofico indispensabile per il mantenimento del corpo luteo.
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NOME: Tube Uterine.
POSIZIONE: Spostamenti della Tuba si verificano spesso in condizioni fisiologiche e
patologiche dunque dati precisi si possono ottenere solo attraverso l’isterosalpingografia.
Le Tube Uterine o Trombe di Falloppio o Ovidutti o Salpingi sono organi
CARATTERISTICHE:
tubulari pari che dal polo superiore dell’ovaia si portano agli angoli superolaterali dell’utero, al
limite tra fondo e corpo sboccando nella cavità uterina. Le tube hanno la funzione di accogliere
l’ovulo al momento dell’ovulazione, di dare passaggio agli spermatozoi, di creare le condizioni
adeguate alla fecondazione, di condurre l’uovo all’utero. La tuba è lunga 12 CM con un calibro
variabile nei vari tratti, vi si distinguono quattro porzioni, l’infundibulare, l’ampollare, l’istmica,
l’uterina o interstiziale o intramurale. La porzione infundibolare si presenta come un imbuto a
parete frastagliata poiché è formata da una serie di linguette di 1 CM nel numero di 10-15
dette fimbrie, una di queste è fissata all’ovaia per mezzo del legamento tuboovarico ed è detta
fimbria ovarica. L’infundibolo presenta una certa mobilità e le fimbrie in movimento sono in
grado di raccogliere l’uovo quando espulso dal follicolo. In corrispondenza della superficie
interna della fimbria ovarica si trova un solco longitudinale diretto verso l’ostio addominale
della tuba che apre nella cavità peritoneale. L’ostio addominale corrisponde alla parte più
profonda dell’infundibolo e si presenta come un orifizio di 2-3 MM che immette nella cavità
dell’ampolla. Alla porzione infundibulare fa seguito la porzione ampollare, questa rappresenta il
tratto più lungo, circa 7-8 CM, e tortuoso. All’inizio forma l’ansa tubarica aperta in basso e
medialmente che corrisponde al polo superiore dell’ovaia, si porta poi verso il basso
decorrendo sulla faccia mediale dell’ovaia, parallela al margine mesovarico. Questo tratto della
tuba è pressoché verticale e forma con il mesosalpinge la parete mediale ed incompleta della
borsa ovarica. Al limite tra pelvi e pavimento pelvico la porzione ampollare cambia direzione
formando quasi un angolo retto aperto medialmente, quindi decorre verso l’utero lungo il
margine superiore del legamento largo. La porzione istmica è lunga 3-4 CM, decorre in modo
rettilineo, diminuisce di calibro ed aumenta di consistenza. Termina al margine laterale
dell’utero presso l’angolo superiore al limite tra corpo e fondo. La porzione uterina o
interstiziale o intramurale è molto breve, attraversa la parete dell’utero e sbocca nella cavità
uterina attraverso l’ostio uterino di circa 1 CM. Considerando la tuba nel suo insieme si nota
che è formata da due tratti semi rettilinei uniti da un’ansa che le conferisce una struttura ad
“L”, il suo diametro diminuisce progressivamente. Lungo tutto il decorso la tuba è rivestita da
peritoneo ed è sottesa dal mesosalpinge, un meso peritoneale proveniente dalla pagina
posteriore del legamento largo. Il mesosalpinge è formato da due foglietti peritoneali tra i quali
decorrono vasi e nervi, questo permette una certa mobilità della tuba particolarmente
accentuata nelle porzioni ampollare e infundibolare. La configurazione interna è molto
irregolare per la presenza di pieghe tubariche formate dalla tonaca mucosa e a decorso
parallelo all’asse maggiore dell’organo. Queste pieghe iniziano come 2-3 creste appiattite
nell’intramurale e si fanno più alte e ramificate nell’istmica e nell’ampollare, continuano anche
nell’infundibulo.
STRUTTURA: La parete tubarica è costituita da tonaca mucosa, tonaca muscolare, tonaca
sottosierosa e sierosa peritoneale. La tonaca mucosa è costituita da epitelio di rivestimento e
lamina propria, si solleva in pliche che conferiscono un aspetto labirintico al lume. L’epitelio di
rivestimento è cilindrico semplice e formato da diversi tipi di cellule, la cui prevalenza varia a
seconda delle fasi del ciclo mestruale, si distinguono cellule ciliate, cellule secernenti, cellule a
clava o bastoncello e cellule basali di rimpiazzo. Le cellule ciliate sono numerose nella porzione
infundiboloampollare e nella fase estrogenica. Nelle porzioni intramurale ed istmica il
movimento ciliare è sia verso l’ovaia che verso l’utero, per facilitare sia il movimento degli
spermatozoi che dell’uovo. Le cellule secernenti prevalgono nella fase progesteronica del ciclo.
Nella fase post-progesteronica tra le cellule secernenti si rinvengono numerose cellule sottili il
cui apice è slargato e sporge nel lume, sono dette cellule a clava o bastoncello, alcune possono
essere espulse nel lume rappresentando una secrezione olocrina. Le cellule basali sono
elementi di rimpiazzo, numerose all’inizio della fase proliferativa. L’epitelio tubarico è
caratterizzato da modificazioni strutturali influenzate da ormoni secreti dall’ovaia. La lamina
propria connette la tonaca mucosa con la muscolare senza interposizione della tonaca
sottomucosa, è formata da connettivo denso con scarse fibre elastiche. La tonaca muscolare è
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costituita da due strati poco distinti, l’interno ad andamento a spirale e l’esterno ad andamento
longitudinale. Lo spessore della tonaca muscolare aumenta in direzione dell’utero e la
contrazione peristaltica contribuisce ai movimenti degli spermatozoi e dell’uovo, dunque è
massima durante l’ovulazione poiché stimolata dagli estrogeni ed inibita dal progesterone. Lo
strato sottosieroso connette la muscolatura al rivestimento peritoneale ed è formato da
connettivo lasso molto vascolarizzato. La tonaca sierosa è formata da peritoneo e consiste di
un mesotelio e di uno strato sotto mesoteliale di natura connettivale.
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NOME: Utero
POSIZIONE: Situato al centro della piccola pelvi, al di dietro della vescica e al davanti delle
anse ileali del cavo di Douglas. Nella norma l’orifizio uterino esterno si trova all’altezza del
margine superiore della sinfisi pubica, in un piano frontale passante per le spine ischiatiche,
all’altezza della 1^-2^ vertebra coccigea. Spostamenti in toto dell’utero da questa posizione
sono definiti: anteposizione, retroposizione, lateroposizione, abbassamento ed elevazione.
CARATTERISTICHE: L’utero è l’organo della gestazione, è impari e cavo, in alto riceve lo
sbocco delle tube uterine e in basso si apre nella cavità vaginale. Le sue pareti sono spesse e
contengono muscolatura liscia che al termine della gravidanza si contrae per espellere il
neonato. Ha forma di una pera leggermente appiattita in senso craniocaudale con il corpo in
alto e il collo in basso che si inserisce nella vagina. Tra corpo e collo vi è un leggero
restringimento più evidente nelle nullipare detto istmo, la parte superiore e arrotondata del
corpo è detta fondo. Nella nullipara l’utero è lungo 6-7 CM, largo 3,5-4 CM, spesso 2,5 CM e
pesante 40-50 G, questi valori aumentano nelle multipare. Nel corpo dell’utero si distinguono
una faccia anteriore o vescicale, guarda in basso e riposa sulla volta della vescica per
l’interposizione del cavo virtuale peritoneale vescicouterino, una faccia posteriore o intestinale,
guarda in dietro e in alto ed è rivestita da peritoneo. I margini laterali destro e sinistro sono
arrotondati ed ospitano i legamenti larghi, il margine superiore delimita il fondo ed è rettilineo
e sottile nelle nullipare, grosso e convesso nelle multipare. I due angoli superolaterali o tubarici
danno sbocco alle tube uterine e subito al di sotto e al davanti originano i legamenti rotondi
dell’utero mentre in dietro originano i legamenti uteroovarici. Il collo ha forma cilindrica, prima
della pubertà è notevolmente sviluppato rispetto al corpo ed è lungo circa metà dell’utero, in
seguito, soprattutto nelle multipare, esso corrisponde ad un terzo dell’organo poiché si
sviluppa notevolmente il corpo. Vi si distinguono una porzione sopravaginale e una porzione
vaginale separati dall’istmo, la parte che sporge in vagina forma il cosiddetto muso di tinca.
L’inserzione della vagina sul collo avviene obliquamente, in basso ed in avanti in modo che la
porzione sopravaginale sia più estesa anteriormente e quella vaginale sia più estesa
posteriormente, date le modalità di inserzione della vagina tra la parete interna di questa e la
superficie esterna del collo si stabilisce uno spazio circolare detto fornice della vagina. L’asse
del corpo forma con quello del collo un angolo aperto in avanti di 150° che può variare da un
minimo di 120° ad un massimo di 170° ed è detto angolo di flessione. L’asse longitudinale
dell’utero forma con quello della vagina un angolo di 110° detto angolo di versione.
RAPPORTI: La faccia anteriore della parte sopravaginale è in rapporto con la vescica tramite il
cavo vescicouterino. La faccia posteriore della porzione sopravaginale è in rapporto con le anse
ileali del cavo rettouterino di Douglas. I margini laterali della porzione sopravaginale danno
attacco ai legamenti larghi e incrociano l’arteria uterina e l’uretere. Il fondo uterino è in
rapporto con le anse del tenue. In avanti la vagina separa il muso di tinca dagli ureteri e dal
trigono vescicale. Lateralmente il collo uterino con l’interposizione della parete vaginale è in
rapporto con il parametrio, con il muscolo elevatore dell’ano e con i rami vescicovaginali
dell’arteria uterina.
Comportamento del Peritoneo
: L’utero è in gran parte rivestito dal peritoneo denominato
perimetrio, questo provenendo dalla parete addominale anteriore ha rivestito la cupola e la
faccia posteriore della vescica e si riflette da quest’ultima sulla faccia anteriore dell’utero, a
livello dell’istmo, delimitando il cavo vescicouterino. Proseguendo dalla faccia anteriore
dell’utero riveste il fondo, la faccia posteriore del corpo e la parete posteriore della porzione
sopravaginale del collo sino al fornice vaginale posteriore. Passando sul pavimento pelvico
raggiunge l’intestino retto e la parte posteriore della pelvi formando il cavo rettouterino.
Lateralmente il peritoneo è costretto ad un comportamento particolare a causa delle tube
uterine e dei legamenti rotondi, le due pagine peritoneali che hanno rivestito la faccia anteriore
e posteriore dell’utero si uniscono lungo i margini laterali formando il legamento largo
dell’utero che lateralmente raggiunge la parete laterale della pelvi e si risolve nelle pagine che
la costituiscono. Quella anteriore continua con il peritoneo che riveste la porzione anteriore
della parte laterale della pelvi, quella posteriore con il peritoneo della porzione posteriore della
parete laterale della pelvi. Il peritoneo che avvolge la porzione sopravaginale del collo è detto
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parametrio. In alto, a partire dall’angolo superolaterale dell’utero sino al contorno dello stretto
superiore, le due pagine peritoneali del legamento largo sono riunite a formare il margine
superiore o libero, al di sotto del quale decorre la tuba uterina, cui il legamento largo forma il
mesosalpinge. In conclusione il peritoneo avvolge completamente il fondo e il corpo dell’utero
con gran parte della faccia posteriore del collo, sono prive di rivestimento sieroso e dunque
sottoperitoneali la faccia anteriore e le facce laterali del collo. I legamenti larghi non
costituiscono mezzi di fissità ma mantengono l’organo solidale con tube ed ovaie.
STRUTTURA: La parete uterina è costituita da una tonaca mucosa o endometrio, da una
tonaca muscolare o miometrio, da una tonaca sierosa o perimetrio, il tessuto connettivo che
circonda l’utero, al di sotto del peritoneo estendendosi nella base del legamento largo, è detto
parametrio.
Mezzi di Fissità : L’utero è un organo molto mobile specie nella parte corrispondente al corpo,
numerose formazione concorrono a limitarne la mobilità fissando soprattutto il collo nella sua
posizione al centro della pelvi. In primo luogo hanno importanza le connessioni con gli organi
vicini, in particolare con la vagina e con il pavimento pelvico. A limitare la mobilità del corpo
uterino concorrono i legamenti larghi e legamenti rotondi. Il legamento rotondo è un cordone
di tessuto fibroso denso con fibre elastiche e fasci di cellule muscolari lisce, origina dall’angolo
superolaterale dell’utero per portarsi nel canale inguinale che percorre, terminana sfioccandosi
presso la base delle grandi labbra e il tubercolo pubico. Vi si distinguono la porzione uterina,
quella pelvica o intralegamentosa, quella iliaca, quella inguinale e quella preinguinale.
Ciclo Uterino :
Per tutta la durata del ciclo mestruale, anche l'utero è sottoposto a cambiamenti in
risposta alle variazioni delle concentrazioni ematiche degli estrogeni e del progesterone.
Tali cambiamenti possono essere suddivisi in tre stadi:
- Stadio mestruale
- Stadio proliferativo
- Stadio secretivo
Stadio mestruale
Lo stadio mestruale inizia con il 1° giorno di mestruazione, giorno 1 del ciclo mestruale,
e termina generalmente intorno al giorno 5. Durante lo stadio mestruale avviene la
mestruazione, processo consistente nello sfaldamento e nell'espulsione dall'utero di
tessuto endometriale e di sangue. La mestruazione si verifica solo se l'ovulo non è stato
fecondato. Il corpo luteo inizia a degenerare circa quattro giorni prima della
mestruazione, il 24° giorno del ciclo. Mentre la mestruazione è ancora in corso, inizia a
svilupparsi un nuovo follicolo.
Stadio proliferativo
La fase proliferativa, che generalmente va dal 6° al 14° giorno del ciclo, è associata alla
crescita del follicolo ovarico con conseguente aumento della secrezione di estrogeni.
Concentrazioni sempre maggiori di estrogeni circolanti stimolano la crescita del tessuto
endometriale. All'interno dell'endometrio proliferano i vasi sanguigni che provvedono al
nutrimento necessario per la crescita. Si sviluppano inoltre delle piccole ghiandole che,
in caso di gravidanza, secernono sostanze nutritive nella cavità uterina con la funzione
di nutrire l'ovulo fecondato. Entro il 14° giorno, l'endometrio è composto soprattutto di
tessuto ghiandolare produttore di muco, tessuto che sebbene compia gran parte del suo
sviluppo durante lo stadio proliferativo, non può svilupparsi completamente finché nel
sangue non sia presente il progesterone. A tal fine sono necessarie l'ovulazione e la
formazione del corpo luteo. Inoltre l'ovulo non può impiantarsi nella parete
endometriale finché il tessuto ghiandolare non si sia sviluppato interamente. Dopo
l'ovulazione sono necessari tre o quattro giorni affinché l'ovulo scenda lungo la tuba
uterina e raggiunga l'utero. L'ovulazione si verifica di norma il giorno 14 o 15 del ciclo
mestruale e l'ovulo raggiunge in genere l'utero tra i giorni 17 e 19. Nel frattempo, dal
momento dell'ovulazione fino al giorno 27, si forma e si sviluppa il corpo luteo. Tra il
momento dell'ovulazione e quello in cui l'ovulo raggiunge l'utero, deve essere presente
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nel circolo ematico una quantità di progesterone sufficiente a consentire l'inizio della
fase secretiva uterina, e preparare così perfettamente l'endometrio per l'impianto.
Stadio secretivo
Dura dal giorno 17-19 al giorno 28 e coincide grosso modo con lo stadio ovarico
luteinico. L'endometrio in questa fase si ispessisce, le ghiandole divengono allungate e
tortuose e i vasi sanguigni si attorcigliano a spirale. Se durante lo stadio secretivo non
avvengono fecondazione ed impianto dell'ovulo, il corpo luteo inizia a degenerare, per
cui viene a cessare la secrezione ormonale. La rapida diminuzione degli estrogeni e del
progesterone rende l'utero incapace di conservare l'endometrio ispessito, ed esso inizia
a sfaldarsi. Si determina così la mestruazione. In caso di fecondazione e impianto,
l'endometrio ispessito si mantiene tale e serve a nutrire l'ovulo fecondato e consentire
l'annidamento. Anche il corpo luteo si conserva, e continua a secernere ormoni sessuali
per tutto il periodo iniziale della gravidanza. Più avanti invece il mantenimento della
gravidanza diventa opera della placenta.
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NOME: Vagina.
È un muscolo membranoso impari e mediano, fa seguito all’utero,
CARATTERISTICHE:
attraversa il pavimento pelvico, si apre nel vestibolo della vagina. È l’organo della copula che
canalizza lo sperma, dà passaggio al flusso mestruale, ai prodotti di secrezione uterina, al feto
e i suoi annessi. In condizioni di vacuità è schiacciata in senso anteroposteriore, con le due
pareti accollate con una cavità virtuale. Questa forma cambia nell’estremità superiore ed
inferiore, in alto ha forma regolarmente cilindrica inserendosi sul collo dell’utero, in basso
assume forma ellittica a diametro sagittale maggiore ed il suo orifizio esterno può essere
parzialmente chiuso dall’imene. È lunga 7 CM considerando la parete anteriore, 8 CM
considerando la parete posteriore. La vagina è un organo estremamente estensibile e molto
elastico.
POSIZIONE:
Situata nel perineo anteriore.
RAPPORTI: La parete anteriore è in rapporto superiormente con la vescica, il trigono vescicale
e l’uretra. La parete posteriore è in rapporto in alto con il peritoneo e con i fasci mediali dei
muscoli elevatori dell’ano o muscoli pubovaginali, in basso retto e vagina divergono formando
il trigono rettovaginale attraversato da alcuni muscoli del perineo. I margini o pareti laterali
corrispondono alla base del legamento largo.
La superficie interna presenta rilievi e rughe soprattutto nel
CONFIGURAZIONE INTERNA:
terzo inferiore del canale. Sulla linea mediana delle facce anteriore e posteriore si formano due
colonne delle rughe che vanno dall’orifizio vaginale al terzo superiore della vagina riducendosi
gradualmente. Da queste due colonne, dovute a tessuto cavernoso, si dipartono le rughe della
vagina. Nella parte superiore della parete anteriore si riscontra un triangolo liscio ad apice
inferiore corrispondente al trigono vescicale detto triangolo di Pawlik.
STRUTTURA: La parete della vagina è formata da tonaca mucosa, tonaca muscolare e tonaca
avventizia. La tonaca mucosa è formata da epitelio di rivestimento pavimentoso composto e
dalla lamina propria formata da tessuto connettivo denso ricco di fibre elastiche che si solleva
in papille. La tonaca muscolare ha uno spessore ridotto formata da fasci di fibrocellule
muscolari lisce a spirale e separata da connettivo ricco di fibre elastiche. La tonaca avventizia è
sottile ma resistente ed è formata da tessuto connettivo ricco di fasci elastici che tende a
diventare fibroso nella porzione inferiore.
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NOME: Genitali Esterni Femminili.
Grandi Labbra: Due grosse pieghe cutanee a diametro maggiore anteroposteriore che
delimitano l’apertura detta rima vulvare. La faccia laterale, convessa lateromedialmente è
separata dalla faccia mediale della coscia dal solco genitocrurale. Nel portarsi in basso e
medialmente la faccia laterale si arrotonda e continua con il margine inferiore, questo, insieme
al corrispondente del lato opposto, delimita la rima vulvare. La faccia mediale, concava
lateromedialmente, è a contatto con il piccolo labbro corrispondente, separata soltanto dal
solco interlabiale. La base prende attacco alle branche ischiopubiche tramite fasci di fibre
connettivali. L’estremità anteriore continua superiormente con il monte del pube o di venere,
portandosi medialmente si unisce alla corrispondente del lato opposto formando la
commessura vulvare anteriore. L’estremità posteriore o si perde nella cute del perineo o
incontra medialmente la corrispondente del lato opposto formando la commessura vulvare
posteriore.
Piccole labbra o ninfe: Due pieghe cutanee appiattite e comprese tra le grandi labbra,
delimitano il vestibolo della vagina. La faccia laterale, piana e glabra, è separata dal solco
interlabiale dalla faccia mediale del grande labbro, forma anche la parete laterale del vestibolo
della vagina. La base continua con le grandi labbra e le parti molli. Il margine inferiore o libero,
è sottile e limita assieme al corrispondente del lato opposto l’apertura vulvare interna.
L’estremità anteriore si divarica formando due lamine. La lamina superiore, assieme alla
corrispondente del lato opposto, forma il prepuzio del clitoride. L’inferiore, assieme alla
corrispondente del lato opposto, si porta alla faccia posteriore del glande del clitoride,
formando il frenulo del clitoride. L’estremità posteriore o si perde nella faccia mediale del
grande labbro corrispondente o, assieme alla corrispondente del lato opposto, forma il frenulo
delle piccole labbra. Fra quest’ultimo e l’imene, rimane compresa la fossa navicolare del
vestibolo.
Vestibolo della vagina: Lo spazio compreso tra le piccole labbra e comunicante con l’esterno
attraverso la rima vulvare. La parte superiore è occupata dal clitoride cui seguono l’orifizio
dell’uretra e l’orifizio vaginale. Quest’ultimo nelle vergini è ristretto dall’imene, una membrana
che si porta orizzontalmente in avanti separando la vagina dal vestibolo. Con i primi atti
sessuali l’imene si lacera lasciando lembi irregolari detti caruncole imenali. Il vestibolo della
vagina è ricoperto da cute che prosegue nella mucosa vaginale e uretrale.
Bulbi del vestibolo: Due formazioni erettili ovoidali poste ai lati del vestibolo vaginale.
Posteriormente e lateralmente sono ricoperti dal muscolo bulbocavernoso, nella porzione
clitoridea sono in contatto tra loro. Sono formati da tessuto cavernoso a larghe maglie il cui
stroma è povero di elementi contrattili.
Clitoride: Si può dividere in tre parti. Le radici del clitoride, omologhe dei corpi cavernosi del
pene, sono formazioni cilindriche simmetriche situate nel perineo anteriore, aderenti alle
branche ischiopubiche e accollate al trigono urogenitale. Sono ricoperte, sulla faccia mediale,
dai muscoli ischiocavernosi e, portandosi medialmente in alto, si uniscono al davanti della
sinfisi pubica formando il corpo del clitoride. Il corpo del clitoride si porta in alto e in avanti fino
piegare bruscamente in basso ed in dietro attraverso l’angolo del clitoride per terminare
formando il glande del clitoride. Superiormente e lateralmente corpo e glande del clitoride sono
ricoperti dal prepuzio che non aderisce al glande ma lascia una fessura in cui si può trovare il
prodotto della desquamazione epiteliale detto smegma clitorideo. I corpi cavernosi che
costituiscono il clitoride hanno struttura analoga a quelli del pene, mentre il glande è rivestito
da un sottile strato cutaneo.
Apparato ghiandolare: Annesse al vestibolo della vagina si trovano le ghiandole vestibolari
maggiori di Bartolino e le ghiandole vestibolari minori. Le ghiandole vestibolari maggiori sono
analoghe alla ghiandole bulbouretrali di Cowper, sono poste lateralmente e posteriormente
all’orifizio vaginale. Hanno la forma di una piccola mandorla con diametro di 12-15 mm e peso
di 5 g. Il loro dotto escretore parte dalla porzione anteromediale della ghiandola e finisce ai lati
dell’orifizio vaginale. Sono piccole nelle giovani e atrofiche dopo la menopausa, raggiungono il
massimo sviluppo nella donna matura. Le ghiandole sono di tipo tubulo-alveolare a secrezione
mucosa e sono divise in lobi e lobuli da sepimenti connettivali.
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NOME: Ipofisi.
POSIZIONE:
Situata nella sella turcica dello sfenoide.
CARATTERISTICHE:
Un corpicciolo di colore rosso-grigiastro di forma ovale. Il suo diametro è
di 15 MM, il suo peso di 0,6 G. Una ghiandola molto protetta poiché si trova tra lo sfenoide e il
diaframma della sella. L’ipofisi è formata da due lobi con origine e funzione differenti, il lobo
anteriore o adenoipofisi e il lobo posteriore o neuroipofisi, strettamente avvolti ed uniti da una
capsula connettivale derivata dalla dura madre. Il lobo anteriore è più grande e ricorda un
fagiolo, è costituito da una parte maggiore o distale e da una parte minore o tuberale. Il lobo
posteriore è più piccolo e rotondeggiante, collegato al pavimento del diencefalo per mezzo del
peduncolo ipofisario.
RAPPORTI: La faccia anteriore corrisponde alla parete superiore del seno sfenoidale. La faccia
posteriore corrisponde alla lamina quadrilatera dello sfenoide. La faccia superiore con il
diaframma della sella e con la faccia inferiore dell’encefalo tramite il peduncolo ipofisario. Il
tubercolo ipofisario continua con la regione infundibolare dell’ipotalamo, al davanti si trova il
chiasma ottico, all’indietro si trova il tuber cinereum. La faccia inferiore con il seno sfenoidale.
Le facce laterali con il seno cavernoso.
L’ipofisi è irrorata da due gruppi di arterie ipofisarie dette superiori ed
VASI E NERVI:
inferiori. Le arterie ipofisarie superiori nascono dal circolo di Willis e penetrano nel peduncolo
ipofisario dove si capillarizzano. I capillari si aprono in venule che sboccano nei sinusoidi della
parte distale, realizzando la circolazione portale ipofisaria, questa porta le sostanze secrete
dall’ipotalamo all’adenoipofisi. Le arterie ipofisarie inferiori derivano dalla carotide interna e si
distribuiscono al lobo anteriore e posteriore, senza entrare nella circolazione portale. Non vi
sono vasi linfatici e l’innervazione è povera.
STRUTTURA:
Somatotropo (GH) ->
Adenoipofisi
La sua produzione è aumentata dall'esercizio fisico, dal sonno profondo, dall'ipoglicemia
e da una dieta proteica. Livelli troppo elevati o troppo bassi di GH nei primi anni di vita
danno luogo a gigantismo o nanismo. Nell'età adulta un eccesso di GH dovuto alla
presenza di adenoma ipofisario determina acromegalia. Ha come bersagli il tessuto
muscolare, le ossa lunghe e il fegato, durante l’infanzia e l’adolescenza accresce le
masse muscolari, successivamente è responsabile del mantenimento trofico dei muscoli.
Adenoipofisi
Prolattina (PRL) ->
La prolattina è un ormone polipeptidico di 198 amminoacidi del peso di 21500 kDa
prodotto dalle cellule lattotrope dell'ipofisi anteriore che, nella donna, dà inizio e
mantiene la produzione di latte dopo il parto e durante tutto il periodo dell'allattamento,
anche per alcuni anni. La prolattina risulta raggiungere dei picchi di presenza nel corpo
della donna durante le ore notturne. È presente in piccole quantità anche nell'uomo. Ha
un effetto anche su altri organi dell'apparato genitale femminile trasmettendo un
segnale inducente refrattarietà alla fecondazione. Questo determina una naturale
infertilità, non garantita, nelle donne che allattano, che spesso presentano
un'amenorrea lattazionale anche per molti mesi, perfino anni, dopo il parto.
Neuroipofisi
Antidiuretico (ADH) ->
Aumenta il riassorbimento di acqua dai tubuli renali, con diminuzione di urina formata.
Il volume ematico aumenta e questo aiuta a mantenere normale la pressione arteriosa.
Lo stimolo di secrezione di ADH è la diminuzione della quantità di acqua corporea, come
nella diarrea o a causa di una sudorazione profusa. In caso di grave emorragia, l’ADH
viene rilasciato in grande quantità provocando anche vasocostrizione, per mantenere la
pressione sanguigna normale. L’ingestione di alcol ed il freddo inibiscono la secrezione
di ADH. A dosi elevate contrae la muscolatura liscia delle piccole arterie inducendo
aumento della pressione sanguigna. La mancanza di secrezione provoca la malattia
detta diabete insipido.
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Adenoipofisi
Luteinizzante (LH) ->
Ormone, detto anche luteostimolante o luteotropo, a struttura glicoproteica, prodotto
dall’ipofisi anteriore. La sua secrezione, stimolata da un "releasing hormone" cioè un
"ormone di rilascio" prodotto dall' ipotalamo, varia per quantità nelle diverse età della
vita, analogamente a quella dell’FSH, ed è regolata dalla concentrazione periferica degli
ormoni sessuali attraverso un meccanismo di feed-back sull'ipotalamo. Insieme all'FSH,
l’ormone luteinizzante regola l’attività delle gonadi sia sotto l’aspetto della secrezione
ormonale, sia per quanto riguarda la funzionalità delle cellule germinali, ovociti o
spermatozoi. Nel sesso maschile è anche denominato ICSH, Interstice Cells Stimulating
Hormone, per la sua azione di stimolo sulle cellule del testicolo producenti androgeni.
Adenoipofisi
Follicolostimolante (FSH) ->
Ormone glicoproteico di origine ipofisaria che stimola, nella donna, la crescita dei
follicoli ovarici e favorisce, nell'uomo, la spermatogenesi. L'azione principale si esplica a
livello dei follicoli ovarici che, maturando, producono estrogeni. L'FSH è elaborato dalle
cellule gonadotrope dell'adenoipofisi con un meccanismo stimolatorio esercitato dal
GnRH (gonadotropin releasing hormone) ipotalamico con controllo a feed-back svolto
dagli estrogeni. La produzione di FSH, che aumenta al menarca, continua per tutto il
periodo fecondo fino alla fase post-menopausale, in cui si ha un aumento notevole del
tasso ematico di FSH, non essendoci più il controllo svolto dagli estrogeni. Durante l'età
feconda, si osserva un aumento dell'increzione dell'FSH durante la fase mestruale,
quella proliferativa iniziale e quella ovulatoria; durante la gravidanza, invece, i tassi di
FSH sono bassi. In relazione alle funzioni svolte, l'FSH con l'LH appartiene al gruppo
delle gonadotropine.
Tireotropo (TSH) ->
Adenoipofisi
Ormone ipofisario, detto anche tireotropina, il cui effetto fondamentale è stimolare la
funzione tiroidea. Il TSH, che è una glicoproteina, aumenta l’incorporazione dello iodio
nella tiroide e la sintesi degli ormoni tiroidei, provoca l’idrolisi della tireoglobulina e
l’immissione in circolo degli ormoni tiroidei, causa infine modificazioni morfologiche nelle
cellule dei follicoli tiroidei. La secrezione di TSH è regolata dall’ ipotalamo attraverso un
fattore polipeptidico stimolante (TRH), la cui produzione è a sua volta controllata dal
tasso delle iodotironine plasmatiche che, a basse concentrazioni stimolano, ad alte
concentrazioni inibiscono la secrezione di TRH e quindi di TSH.
Adrenocorticotropo (ACTH) ->
Adenoipofisi
Ormone adrenocorticotropo (Adreno Cortico Tropic Hormone - ACTH), conosciuto anche
come corticotropina, è un ormone proteico prodotto dalle cellule dell'ipofisi anteriore o
adenoipofisi. Viene sintetizzato, previo distacco di amminoacidi, a partire dalla proteina
Pro-opiomelanocitina (POCM). L'ACTH stimola la secrezione di cortisolo da parte della
corticale del surrene ed è collegato alla zona cerebrale e alla ghiandola pineale dove
regola i metabolismi, il riposo e la sonnolenza. Questo ormone non è presente in nessun
prodotto farmaceutico sia per l'indisponibilità sia per i suoi effetti, allucinogeni e mortali,
se assunto per via orale.
Ossitocina -> Neuroipofisi
L'ossitocina è un ormone prodotto dai nuclei ipotalamici e secreto dalla neuroipofisi.
L'azione principale dell'ossitocina è quella di stimolo delle cellule dei dotti mammari. In
tal modo l'ossitocina provoca, nelle mammelle in stato di allattamento, una contrazione
di queste cellule e l'eiezione del latte. L'ossitocina ha un importante ruolo anche nello
stimolare le contrazioni della muscolatura liscia dell'utero. Nell'ultimo periodo della
gravidanza la responsività dell'utero all'ossitocina aumenta notevolmente e l'ormone
esercita un ruolo importante nell'inizio e nel mantenimento del travaglio e del parto.
Nelle relazioni amorose sembra che la produzione di ossitocina sia coinvolta nel
processo di formazione di legami stabili e duraturi. Infatti per questo viene chiamata
l'ormone dell'attaccamento. In seguito alla stimolazione tattile del capezzolo vi è
l’attivazione della corteccia somestesica della madre e delle vie ascendenti sensitive
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che, tramite la sostanza reticolare, informano l’ipotalamo. L’ipotalamo induce il
rilasciamento di ulteriore ossitocina che, sia fa disporre le cellule intorno agli adenomeri
della ghiandola mammaria a formare dei canestri, sia induce piccole contrazioni del
miometrio che danno una sensazione piacevole alla madre che allatta.
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NOME: Ghiandole Surrenali.
POSIZIONE: Nell’addome, in corrispondenza della sua parete posterosuperiore, a lato della
colonna vertebrale, a contatto inferiormente con il polo superiore dei reni, superiormente con il
diaframma. Situate dietro il peritoneo parietale posteriore e accolte entro la loggia renale
delimitata dalla fascia renale.
Sono costituite da due parti differenti per struttura e funzione, la
CARATTERISTICHE:
corticale che secerne ormoni steroidei, la midollare che secerne catecolamine. Hanno forma
piramidale con la base inferiore, dimensioni e peso variano a seconda del sesso e dell’età. Si
considerano una base, una faccia anteriore ed una posteriore, un margine mediale ed uno
laterale. La base è concava, diretta obliquamente in alto, in dietro e lateralmente. La faccia
anteriore presenta un solco diretto obliquamente in cui penetra qualche ramo arterioso ed
emerge qualche ramo venoso, questo è detto solco principale. La corticale è periferica,
consistente e giallastra. La midollare è centrale, molle o colliquata e brunastra.
RAPPORTI: La base con il polo superiore del rene. La surrenale di destra anteriormente con la
faccia viscerale del fegato, posteriormente con il pilastro laterale del diaframma e la 12^
vertebra toracica, medialmente con la vena cava inferiore. La surrenale di sinistra per mezzo
del peritoneo con la faccia posteriore dello stomaco, posteriormente con il pilastro laterale del
diaframma, la 12^ vertebra toracica e la 1^ vertebra lombare, medialmente con l’aorta.
VASI E NERVI:
Irrorata dall’arteria surrenale superiore, ramo della frenica inferiore che si
distribuisce alla parte apicale con rami anteriori e posteriori, dall’arteria surrenale media, ramo
dell’aorta che si distribuisce lungo il margine mediale dell’organo, dall’arteria surrenale
inferiore, ramo della renale omolaterale che si distribuisce alla parte inferiore. I rami di queste
arterie formano una rete capsulare che dà origine a due sotto-gruppi di arterie. Le arterie brevi
si risolvono in una rete di sinusoidi che decorre nella corticale e finisce in delle venule. Le
arterie lunghe attraversano tutta la corticale ed irrorano la midollare. I vasi linfatici sono
presenti solo nelle zone ricche di connettivo, in corrispondenza della capsula e delle venule, e
fanno capo ai linfonodi paraaortici. I nervi sono rappresentanti in gran parte da fibre
ortosimpatiche del plesso surrenale.
STRUTTURA:
Il surrene secerne vari tipi di ormoni:
- ormoni androgeni , per esempio deidroepiandrosterone, svolgono azione
prevalentemente sessuale e sono secreti nella zona reticolare della corticale;
- ormoni glicoattivi , per esempio cortisolo e corticosterone, influenzano il ricambio dei
carboidrati e sono prodotti nella zona fascicolata della corticale;
- ormoni mineralcorticoidi
, per esempio aldosterone e desossicorticosterone, sono
attivi sul ricambio idrosalino e vengono secreti nella zona glomerulare della corticale;
- catecolamine , per esempio l’adrenalina e la noradrenalina, importanti
neurotrasmettitori e regolatori della risposta dell’organismo all’ambiente, prodotti dalla
midollare del surrene.
Aldosterone
L'aldosterone è un ormone prodotto dalla zona corticale della ghiandola surrenale nella
zona glomerulare. L'effetto dell'aldosterone si esplica a livello del tubulo contorto distale
e del dotto collettore del rene aumentando la permeabilità della membrana apicale delle
cellule cosiddette "principali" allo ione sodio, permettendone il riassorbimento
combinato con acqua. Pertanto la ritenzione idrosalina aumenta, di conseguenza si
verifica un innalzamento del volume ematico e l'aumento dei valori di pressione
arteriosa. La liberazione di aldosterone nell'organismo dipende da diversi fattori, uno dei
più importanti è l'attivazione del sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone.
Cortisolo
Il cortisolo è un importantissimo ormone prodotto dalla corticale della ghiandola
surrenale nella zona fascicolata. È un ormone di tipo steroideo, derivante cioè dal
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colesterolo, in particolare appartiene alla categoria dei glucocorticoidi, di cui fa parte
anche il corticosterone (meno attivo). Il cortisolo viene sintetizzato su stimolazione
dell'ormone adrenocorticotropo (ACTH), prodotto dall'ipofisi. La sua azione principale
consiste nell'indurre un aumento della glicemia. Questo aumento viene ottenuto
stimolando la gluconeogenesi epatica, che in questo caso viene sostenuta dagli
amminoacidi derivanti da un accentuato catabolismo proteico, soprattutto a livello dei
muscoli scheletrici. Una ulteriore funzione, non meno importante, è quella di
contrastare le infiammazioni, in quanto il cortisolo ha una azione anti-immunitaria:
questo è il motivo per cui molti farmaci anti-infiammatori si basano sull'utilizzo di
questo ormone.
Adrenalina
L'adrenalina o epinefrina, insieme alla noradrenalina, è un ormone e un
neurotrasmettitore rilasciato dal corpo in situazioni di stress, viene prodotto nella
midollare del surrene. Appartiene a una classe di sostanze attive farmacologicamente di
nome catecolamine, contenendo nella propria struttura sia un gruppo amminico che un
orto-diidrossi-benzene, il cui nome chimico è catecolo. L'adrenalina è stata ritenuta per
anni il neurotrasmettitore principale del sistema nervoso simpatico, nonostante fosse
noto che gli effetti della sua somministrazione erano differenti da quelli ottenuti tramite
stimolazione diretta del simpatico. Solitamente, la stimolazione del sistema nervoso
simpatico causa una preparazione dell'organismo a una situazione detta di "Attacco o
fuga".
Effetti:
- Aumento del consumo di ossigeno
- Diminuzione della fatica nelle parti periferiche del corpo
- Aumento del rendimento metabolico
- Aumento del consumo di sostanze nutritive
- Dilatazione delle pupille
- Aumento della frequenza cardiaca
Noradrenalina
La noradrenalina o norepinefrina è un ormone simile all'adrenalina con effetti opposti,
ma sempre prodotta nella midollare del surrene. Utilizzata dal sistema parasimpatico ha
i seguenti compiti:
Effetti:
- Restringe la pupilla
- Rallenta il battito cardiaco
- Restringe i bronchi
- Dilata i vasi sanguigni
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NOME: Tiroide.
POSIZIONE: Situata nella regione anteriore del collo, davanti e lateralmente al laringe e ai
primi anelli tracheali.
Ghiandola endocrina a struttura follicolare. È formata da due lobi
CARATTERISTICHE:
piriformi con apici in alto, questi sono uniti da una parte trasversale a livello del 1°-2° anello
tracheale detta istmo. Spesso il margine superiore dell’istmo si prolunga andando a formare il
lobo piramidale o piramide di Morgagni che rappresenta un residuo del dotto tireoglosso e ne
riprende il percorso. La tiroide ha colorito rosso-bruno, superficie liscia e consistenza molle, è
larga 7 CM e alta 3 CM. La tiroide è circondata dalla guaina peritiroidea che la fissa alla
cartilagine cricoide, tiroide e tracheale, questa viene considerata, o un ispessimento del
connettivo delle arterie tiroidee, o una dipendenza delle fasce del collo. Tra la guaina
peritiroidea e la capsula fibrosa è presente un interstizio in cui decorrono i vasi afferenti ed
efferenti detto spazio pericoloso.
RAPPORTI: In avanti con i muscoli sottoioidei e la fascia cervicale media. Lateralmente con i
muscoli sternocleidomastoidei. Posteriormente con il laringofaringe e il condotto
laringotracheale.
La tiroide è irrorata dalle arterie tiroidee superiori, derivate dalla carotide
VASI E NERVI:
esterna, e dalle arterie tiroidee inferiori, derivate dalla succlavia. Una arteria tiroidea può
nascere dal tronco brachiocefalico o dalla carotide comune. I linfatici provengono da reti
perifollicolari e formano una rete in corrispondenza della capsula. L’innervazione è fornita
dall’ortosimpatico cervicale e dal nervo vago.
STRUTTURA:
Dal punto di vista anatomo-microscopico l’unità fondamentale è il "follicolo", di circa 300
micron di diametro, di forma cubica che delimitano la cavità follicolare, ripiena di sostanza
colloide, costituita dalla tireoglobulina, che comprende residui tirosinici iodinati e rappresenta
la forma di deposito degli ormoni tiroidei. Sono costituiti dalla tiroxina, T4 e dalla
triodotironina, T3. Essi per il 65% sono costituiti da iodio. L’assunzione dello iodio giornaliera è
fondamentale perciò per la costituzione degli ormoni e varia da 20 a 600-1000
microgrammi/die, nelle zone dove lo iodio è insufficiente avremo pertanto patologie che vanno
sotto il nome di gozzo endemico, dovute all’ipertrofia della ghiandola per carenza di iodio e per
stimolazione da TSH. La tiroide è, infatti, avida di iodio e capta tutto lo iodio a disposizione in
circolo, trappola degli ioduri, in virtù di un meccanismo a pompa di trasporto attivo energiadipendente. La captazione dello iodio (I) dipende da un ormone dell’ipotalamo, lo TSH od
ormone di stimolazione della tiroide. Lo I captato viene, a sua volta, inglobato nei radicali
tirosinici della tireoglobulina, tramite un processo di ossidazione, catalizzato da un sistema
perossidasico. Anche questa tappa metabolica appare modulabile da agenti fisiologici ed è
sotto lo stimolo del TSH. Lo I verrà così depositato come tiroxina o T4, con 4 molecole di I, o
triiodotironina o T3, nell’ambito della molecola di tireoglobulina. La liberazione degli ormoni
tiroidei, invece, avverrà tramite la proteolisi della tireoglobulina ad opera di proteasi e
peptidasi, con T3 e T4 liberi, ma è la T3 il vero ormone attivo. Due proteine sieriche, la TbG o
"thyroid-hormone binding globulin" e l’altra la TbPA, o "thiroid binding prealbumin" sono
deputate alla veicolazione. La principale trasformazione metabolica degli ormoni tiroidei si
attua attraverso consecutive rimozioni di singoli atomi, monodeiodinazioni, che conducono in
ultimo alla perdita totale del contenuto iodico e dell’attività biologica della molecola. La
regolazione dell’attività della tiroide è volta al mantenimento di livelli circolanti adeguati di T3 e
T4 ed è affidata a 3 sistemi di controllo, il primo è costituito dalla liberazione ipofisaria di TSH,
"thyroid stimulating hormone", il secondo intratiroideo consiste nella possibilità di
autoregolazione della liberazione di T3 e T4 in funzione dei livelli di iodio organico
intracellulare; il terzo è periferico e rappresentato dall’attività delle monodeiodinasi
microsomiali e dalla conseguente trasformazione della T4 in T3, biologicamente più attiva.
L’azione da più tempo nota è l’aumento del consumo di ossigeno e la produzione di calore. Tali
effetti dipendono dal fatto che T3 e T4 attivano la respirazione cellulare ed il metabolismo. A
livello metabolico gli ormoni tiroidei stimolano la glicogenolisi, la neoglucogenesi ed hanno
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azione iperglicemizzante, sul metabolismo dei lipidi hanno un’azione lipolitica, attraverso
l’attività delle catecolamine. Infine a basse dosi hanno azione protidoanabolica. Sul cuore T4 e
T3 determinano azione tachicardizzante e di incremento di pompa, sul tubo digerente un
aumento della motilità ma una riduzione dell’assorbimento. Sul sistema scheletrico, l’azione
sarà di attivazione degli osteoclasti e, quindi, di riassorbimento osseo. Azioni dirette sui
mitocondri, centrali energetiche della cellula, determinano un rialzo della produzione di ATP e
del consumo di ossigeno. Sembrerebbe, pertanto, che gli ormoni tiroidei piuttosto che un
singolo sito di azione abbiano multiple e coordinate sedi d’aggancio.
Tiroxina:
Il T4, tiroxina, è il principale ormone prodotto dalla ghiandola tiroidea. Nel sangue
periferico, attraverso un meccanismo di monodeiodinazione la T4 si trasforma in
triiodotironina, T3, e composti metabolicamente inattivi come la rT3. La maggior parte
della tiroxina presente in circolo è legata alle proteine sieriche, in particolare alla
thyroxine binding globulin o TBG, alla thyroxine binding prealbumin o TBPA e
all'albumina. La tiroxina è l'ormone tiroideo che risulta più sensibile ad alterazioni legate
a patologie tiroidee. Valori elevati di T4 sono riscontrati nell'ipertiroidismo e nelle
tiroiditi acute. Basse concentrazioni nell'ipotiroidismo, mixedema, cretinismo, tiroiditi
croniche e talora subacute. I livelli di T4 aumentano nella gravidanza, durante terapia
estrogenica, in corso di patologia tumorale estrogeno-secernente, assunzione di eroina
e metadone. E' possibile riscontrare un diminuito livello di T4 in corso di terapia con
androgeni, glucocorticoidi, eparina, salicilati, anticonvulsivanti. La T3, triiodotironina, è
un ormone prodotto dalla tiroide, attivo nella sua forma levogira. I suoi livelli circolanti
sono in rapporto di 1:60 con quelli della T4. La T3 circola legata alla TBG (Tiroxine
binding globuline). In condizioni di ipertiroidismo solitamente risultano elevati sia i livelli
di T3 che di T4 circolanti, ad eccezione della tossicosi T3, in cui si eleva solo la
concentrazione del T3. Nell'ipotiroidismo si riscontrano valori al di sotto della norma
anche se l'indice più sensibile per una corretta diagnosi risulta essere il T4.
Calcitonina:
La determinazione dei livelli di Calcitonina è di fondamentale importanza nella diagnosi
e nel monitoraggio del carcinoma midollare della tiroide. Il dosaggio della Calcitonina è
utilizzato anche nel follow-up delle neoplasie endocrine multiple. Ormone polipeptidico
sintetizzato e secreto dalle cellule parafollicolari o cellule C della tiroide. I suoi effetti
fisiologici e le possibili applicazioni terapeutiche sono ancora in corso di studio. L’azione
meglio conosciuta è la regolazione del metabolismo del calcio, in antagonismo con il
paratormone prodotto dalle ghiandole paratiroidi. La calcitonina è ipocalcemizzante
poiché inibisce il riassorbimento osseo bloccando l’attività degli osteoclasti, cellule
deputate all’erosione e al rimaneggiamento della sostanza ossea. In tal modo
diminuisce il passaggio di calcio dall’osso al sangue e di conseguenza i livelli ematici del
calcio stesso. Sembra anche agire a livello renale, aumentando l’eliminazione di calcio e
fosforo. Il principale elemento regolatore della secrezione di calcitonina è la
concentrazione degli ioni calcio nei liquidi organici: se essa è elevata, stimola la
secrezione dell’ormone, se è bassa la inibisce. La misura dei livelli ematici di calcitonina
è essenziale per la diagnosi di carcinoma midollare della tiroide, tumore che secerne
calcitonina in quantità elevate. La calcitonina viene attualmente utilizzata nella terapia
del morbo di Paget e delle metastasi osteolitiche di molti carcinomi; è controversa la
sua efficacia nella terapia dell’osteoporosi.
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NOME: Paratiroidi.
POSIZIONE: Sono poste a contatto con la faccia posteriore dei lobi laterali della tiroide e sono
comprese entra la guaina peritiroidea.
Piccoli organi endocrini di forma ovale, colore bruno, peso e dimensioni
CARATTERISTICHE:
variabili. Nel numero di quattro, due superiori e due inferiori, ma non è rara la
sovranumerarietà. Accade che una paratiroide sia contenuta nel contesto della tiroide, si dice
paratiroide interna.
RAPPORTI: Le inferiori con un ramo dell’arteria tiroidea inferiore e si trovano a breve distanza
dal nervo laringeo inferiore. Le superiori con la faccia posteriore dei lobi tiroidei, tra il terzo
superiore e medio.
Irrorate da rami della arteria tiroidea inferiore, raramente anche dalla arteria
VASI E NERVI:
tiroidea superiore, queste penetrano nella faccia profonda in corrispondenza dell’ilo e
capillarizzano. I nervi seguono gli altri vasi e hanno origine tiroidea.
STRUTTURA:
Paratormone (PTH):
Ormone polipeptidico prodotto dalle ghiandole paratiroidi. La sua principale funzione è
di mantenere entro limiti fisiologici la concentrazione di calcio nei liquidi dell’organismo.
A questo fine il paratormone esercita un controllo del bilancio dello ione calcio a tre
livelli: renale, intestinale e osseo, attraverso complessi meccanismi. A sua volta il livello
della calcemia, cioè della quantità di calcio nel sangue, influenza la quantità di
paratormone secreto. In sintesi, in situazioni di ipocalcemia si osserva un aumento della
produzione di paratormone, il contrario avviene in caso di ipercalcemia. Nella
regolazione del metabolismo del calcio intervengono altri fattori ormonali, per esempio
la calcitonina con azione antagonista al paratormone, e metabolici, quali i livelli ematici
di altre sostanze inorganiche, in particolare del magnesio e dei fosfati.
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NOME: Isole di Langerhans o Isolotti Pancreatici.
POSIZIONE:
All’interno del parenchima pancreatico.
CARATTERISTICHE:
Costituiscono la parte endocrina del pancreas, sono piccole formazioni
rotondeggianti sparse nel contesto del tessuto endocrino, particolarmente numerose nella
coda.
VASI E NERVI:
Sono irrorati da rami delle arterie che capillarizzano tra i cordoni cellulari.
Fibre nervose amieliniche accompagnano i vasi e penetrano negli isolotti.
STRUTTURA:
Insulina -> Cellule β
L'insulina è un ormone proteico prodotto nelle isole di Langerhans all'interno del
pancreas. Queste due catene derivano da un unico polipeptide da cui viene escisso il
Peptide C, corto frammento proteico, apparentemente privo di funzioni fisiologiche che,
in quanto secreto insieme all'insulina, è un utile indicatore della funzionalità insulare.
Effetti:
- Promuove l'accumulo di glicogeno, zucchero di riserva, nel fegato e nei muscoli
- Deprime il consumo di grassi e proteine in favore dei carboidrati, ovvero spinge le
cellule a bruciare carboidrati piuttosto che proteine e grassi
- Promuove la formazione di trigliceridi, grassi, a partire da carboidrati e proteine
- Promuove l'immagazzinamento di grassi nel tessuto adiposo
Glucagone -> Cellule α
Il glucagone è un ormone secreto dal pancreas che ha come bersaglio alcune cellule del
fegato, esso permette il controllo dei livelli di glucosio nel sangue, affinché rimangano
entro certi limiti. Quando i livelli di glucosio scendono al di sotto di un valore minimo, il
glucagone dà un segnale al fegato che dà inizio alla gluconeogenesi, ovvero la sintesi di
glucosio. Al contrario, quando i livelli di glucosio sono elevati, la concentrazione di
glucagone diminuisce e quindi viene attivata la glicolisi, ovvero il processo catabolico del
glucosio.
Effetti:
- Promuove la liberazione del glicogeno dal fegato, che viene riversato sottoforma di
glucosio nel sangue
- Promuove il consumo di grassi e proteine a sfavore dei carboidrati, ovvero spinge le
cellule a bruciare le proteine e i grassi piuttosto che i carboidrati
- Promuove la mobilizzazione dei grassi dai tessuti adiposi, che vengono resi disponibili
ai tessuti per essere bruciati
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NOME: Epifisi.
POSIZIONE: Sporge dalla estremità posteriore della volta del 3° ventricolo, al di sotto dello
splenio del corpo calloso.
Ghiandola piccola e di forma conica, larga 1 CM, lunga 5 MM, pesante
CARATTERISTICHE:
0,5 G. Il 3° ventricolo si insinua sulla base dell’epifisi formando il recesso epifisario, limitato
centralmente dalla commessura posteriore e dorsalmente dalla commessura superiore. Tra
epifisi e volta del ventricolo si forma il recesso sovraepifisario. La commessura superiore
continua lateralmente con un sottile cordone di sostanza bianca detto abenula, questa
rappresenta il peduncolo anteriore dell’epifisi e forma il trigono dell’abenula, questa poi
continua con la stria midollare o tenia del talamo. L’epifisi e le sue formazioni costituiscono
l’epitalamo, coperto dalla pia madre che sporge nello spazio subaracnoidale.
RAPPORTI: La faccia inferiore con il mesencefalo, il tratto verticale del solco crociato e i
tubercoli quadrigemini superiori.
VASI E NERVI:
Irrorata da rami delle arterie corioidee posteriori. Riceve fibre nervose
afferenti provenienti dal ganglio cervicale superiore del simpatico.
STRUTTURA:
Melatonina:
La melatonina è un ormone prodotto da una ghiandola posta alla base del cervello, la
ghiandola pineale o epifisi. La scoperta di questo ormone risale alla fine degli anni '50.
La sua presenza in quasi tutti gli esseri viventi, dai protozoi, che sono alla base della
scala evolutiva, sino all'uomo, ha fatto pensare ad un possibile ruolo di “regolatore
biologico” dei ritmi stagionali; in alcuni uccelli, infatti, la produzione di melatonina è
legata alle migrazioni e in alcuni mammiferi alla stagione degli amori e al letargo. La
secrezione di melatonina segue un ritmo giornaliero: inizia verso sera, raggiunge il
culmine durante la notte, scende al minimo la mattina e rimane molto bassa durante il
giorno. In condizioni di oscurità, quando le cellule nervose della retina non vengono più
colpite dalla luce, l'epifisi viene stimolata a produrre melatonina. Grazie dunque alla
secrezione di questo ormone, sulla base dell'alternarsi della luce e del buio, l'organismo
si è organizzato su ritmi di sonno e di veglia. La produzione dell'ormone, inoltre, è
massima nella prima infanzia, rallenta dopo i 20 anni e comincia a decrescere dai 45
anni in poi, sino a scomparire quasi del tutto in tarda età. Inizialmente quest'ormone è
stato impiegato nelle persone non vedenti, le quali, non avendo percezione
dell'alternarsi del giorno o della notte, possono manifestare disturbi legati allo
sfasamento dell'orologio biologico quali malessere generale, stanchezza, diminuzione
dell'appetito e disturbi del sonno. Simili problemi possono comparire anche in alcune
condizioni, come ad esempio in coloro che compiono lunghi viaggi intercontinentali
attraversando diversi fusi orari; il termine ''jet-lag'' indica l'insieme di disturbi che si
presentano in seguito all'attraversamento rapido di più fusi orari e sono la conseguenza
dello sfasamento del nostro orologio biologico. Questo ''sfasamento'' è stato appunto
messo in relazione ad una alterata produzione di melatonina. Infine, un'ipotesi tutta da
dimostrare è che l'esposizione a campi elettromagnetici possa in qualche modo alterare
la produzione endogena di melatonina.
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NOME: Cranio.
Il cranio è una struttura scheletrica, cartilaginea ed ossea, che assieme alla colonna vertebrale
e alle coste forma lo scheletro assiale che viene distinto da quello appendicolare, cinti ed arti.
Il cranio, ha lo scopo di contenere e offrire protezione all'encefalo e agli apparati di senso.
Anatomicamente è costituito da:
* scatola cranica o neurocranio - composta da elementi articolati fra loro a
protezione dell'encefalo e dei più importanti organi di senso.
* massiccio frontale o splancnocranio - fornisce sostegno e protezione alla bocca e
all'apparato branchiale.
Con l'avanzamento dei processi evolutivi le relazioni fra neurocranio e splancnocranio
realizzate tramite articolazioni dette sospensioni, si fanno via via più strette.
La scatola cranica o neurocranio è la regione scheletrica che, insieme allo splancnocranio,
costituisce il cranio. È composta prevalentemente da ossa piatte, delimitanti una cavità che
contiene l'encefalo e i principali organi sensoriali (vista, olfatto e sensibilità stato-acustica). Lo
sviluppo del neurocranio inizia con la formazione di 3 coppie di capsule cartilaginee (olfattive,
ottiche ed otiche) che inglobano gli organi sensoriali in formazione nella testa.
Contemporaneamente, si formano due coppie di listerelle cartilaginee: le trabecole o
precordali, nella regione anteriore alla notocorda, e le paracordali, parallele all'estremità
anteriore della notocorda. Queste si fondono nella linea mediana a costituire il pavimento del
neurocranio, dalla fusione delle precordali si origina la placca etmoidale che ingloba le capsule
olfattive e presenta al centro una finestra ipofisaria, dalla fusione delle paracordali si forma la
placca basale che circonda le capsule ottiche. Le capsule ottiche, invece, rimangono libere per
permettere il movimento degli occhi. Successivamente le placche etmoidali e basali si
espandono lateralmente per costruire le pareti e chiudere il tetto del neurocranio.
La fossa cranica corrisponde alla base della faccia interna del cranio ed è convenzionalmente
divisa in tre parti:
1. La fossa cranica anteriore
2. La fossa cranica media
3. La fossa cranica posteriore
Fossa cranica anteriore
È la parte anteriore della base della faccia interna del cranio. È delimitata anteriormente dalla
squama o porzione verticale dell'osso frontale e indietro dal margine posteriore delle piccole ali
dello sfenoide e dal solco del chiasma ottico. È costituita da: faccia endocranica e bozze
orbitarie del frontale, la lamina cribrosa dell'etmoide, parte del corpo e le piccole ali dello
sfenoide. Nell'etmoide appare parte della lamina cribrosa, la crista galli e i fori etmoidali. Il
frontale presenta, come punti caratterizzanti, la cresta frontale e il foro cieco che dà passaggio
alla vena emissaria e al seno sagittale superiore. Entrambi sono posti lateralmente. Lo sfenoide
è caratterizzato dalla presenza del solco del chiasma ottico per il nervo ottico, il foro ottico per
il nervo ottico stesso e l'arteria oftalmica, le docce olfattive per i tratti olfattivi.
Fossa cranica media
È la parte media della base della faccia interna del cranio. E’ delimitata in avanti dal margine
posteriore delle piccole ali dello sfenoide e dal solco del chiasma ottico, in dietro dal margine
superiore della lamina quadrilatera dello sfenoide e dal margine superiore della piramide del
temporale. Quindi il suo limite anteriore coincide con il limite posteriore della fossa cranica
anteriore. È costituita dal corpo dello sfenoide, dove risiede la sella turcica con la fossetta
ipofisaria. La fossa è inoltre formata dalle grandi ali dello sfenoide e dalla piramide del
temporale. Quest’ultima accoglie le fosse sfenotemporali dove si trovano i lobi temporali del
telencefalo. La fossa presenta molti orifizi di grande importanza quali:
- quelli della fossa infratemporale : l'orifizio ovale che dà passaggio al ramo mandibolare
del trigemino, all'arteria piccola meningea e alla collaterale dell'arteria mascellare;
l'orifizio spinoso che dà passaggio all'arteria meningea media e al nervo spinoso del
trigemino;
- quelli della fossa pterigopalatina: l'orifizio lacero o vidiano che dà passaggio al nervo
vidiano; l'orifizio rotondo che dà passaggio al ramo mascellare del trigemino;
- quelli della piramide: lo hiatus, canale facciale per il nervo petroso superficiale e
profondo, l'orifizio interno o canale carotico, la fessura orbitaria superiore dà passaggio
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al nervo oculare comune, trocleare e abducente, al ramo oftalmico del trigemino e ai
rami dell'arteria meningea media.
Fossa cranica posteriore
Si trova sulla base della faccia interna del cranio. E’ delimitata in avanti dal margine superiore
della lamina quadrilatera dello sfenoide, dal margine superiore della piramide del temporale e
in dietro è separata dalla volta per mezzo di una linea che corrisponde, esternamente, alla
linea nucale superiore fino alle protuberanze occipitale esterne. Quindi il suo limite anteriore
coincide con il limite posteriore della fossa cranica media. È costituita dalla faccia posteriore
della lamina quadrilatera dello sfenoide, dalla faccia posteriore della piramide del temporale e
dalla squama dell'occipitale. La faccia posteriore della lamina quadrilatera dello sfenoide
delimita con l'occipitale il solco giugulare dividendolo in:
- una porzione anteromediale per il nervo glossofaringeo;
- una porzione posterolaterale per il nervo vago, il nervo accessorio ed il nervo della
giugulare interna;
La faccia posteriore della piramide del temporale presenta:
- i solchi petrosi, superiore e inferiore, in sincondrosi con l'occipitale, entrambi danno
passaggio ad un seno venoso omonimo;
- il meato acustico interno, dà passaggio al nervo statoacustico, al nervo intermedio e al
nervo facciale propriamente detto. Lateralmente a quest’ultimo si trova l'acquedotto del
vestibolo nel quale passa il sacco endolinfatico;
- il foro mastoideo, si trova nel solco segnoideo e dà passaggio ad una vena.
Infine la squama dell'occipitale presenta:
- il grande foro occipitale che contiene il midollo allungato, l'arteria vertebrale, il nervo
accessorio spinale, la radice del nervo ipoglosso;
- la cresta e la protuberanza occipitali interne che dividono in due le fosse cerebellari;
- il canale ipoglosso per il nervo omonimo;
- il solco del seno trasverso.
Il neurocranio può assumere tre forme tipiche distintive:
* dolicocefalo o allungato
* mesocefalo o di forma intermedia
* brachicefalo o rotondeggiante.
Lo splancnocranio, detto anche viscerocranio, è un gruppo osseo facente parte del cranio:
laddove il neurocranio, con funzione esoscheletrica, si configura come gruppo osseo con
funzione protettiva dell'encefalo, lo splancnocranio ha funzione prettamente endoscheletrica,
configurandosi come architettura di sostegno dei visceri cranici, ovverosia della faccia. Lo
splancnocranio si colloca nella parte anteroinferiore o ventraleinferiore del cranio.
Per studiare lo splancnocranio si dovranno considerare le varie prospettive, dette "norme", da
cui è possibile osservarlo.
1) Norma frontale : Si tratta della prospettiva di visione frontale del cranio; in tale
prospettiva lo splancnocranio ha dimensioni pressoché uguali a quelle del neurocranio, che lo
sovrasta. Possiamo vedere, partendo dal basso:
- Mandibola: si tratta dell'unico osso mobile del cranio, grazie alla articolazione sinoviale
temporomandibolare. In questa norma si vede molto bene il corpo della mandibola ove sono
collocati, superiormente, gli alveoli che danno alloggiamento all'arcata dentale inferiore.
Lateralmente sia a destra che a sinistra si vede, benché non interamente, il processo verticale
della mandibola, detto ramo della mandibola, la cui parte più inferiore, ben visibile, è detta
angolo della mandibola o gonion. Il ramo medialmente è percorso dal solco buccinatorio per il
muscolo omonimo. Di notevole importanza è invece il foro mentale o mentoniero, che si ripete
simmetricamente da ambo i lati della mandibola collocandosi in posizione pressoché mediana.
Infine nella parte centrale appena sotto l'arcata dentale si nota la sinfisi mandibolare,
corrispondente alla fusione dei due abbozzi primitivi dell'osso, che si continua in basso nella
protuberanza mentale a sua volta distinta in due tubercoli laterali.
- Mascella: si tratta in realtà di due ossa pneumatiche, saldate tuttavia tanto strettamente da
risultare un osso unico. Posizionata centralmente rispetto alla norma, superiormente rispetto al
solo splancnocranio. Confina ai due lati con le ossa zigomatiche o malari, superiormente si
produce in due processi simmetrici che giungono fino all'osso frontale, componente integrante
del neurocranio, e confinano ai lati con le due piccole ossa nasali, inferiormente troviamo gli
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alveoli per l'arcata dentale superiore. In tal modo la mascella circoscrive la cavità nasale,
immediatamente sotto alla quale è presente la spina nasale anteriore. La mascella inoltre
costituisce, insieme all'osso zigomatico, parte del pavimento della cavità orbitaria, all'interno di
questa confina posteriormente con le cosiddette grandi ali dello sfenoide, con le quali definisce
la fessura orbitaria superiore, lateralmente con la cosiddetta lamina papiracea dell'osso
etmoide e con le piccole ossa lacrimali, con le quali concorre a formare la fossa o doccia del
sacco lacrimale, inizio del corrispondente canale delle lacrime. Infine è importante segnalare la
presenza ai due lati di due fori simmetrici detti fori infraorbitari.
- Zigomo: detto anche osso malare, si tratta di due ossa simmetriche poste ai lati della
mascella, più lateralmente e posteriormente lo zigomo presenta un processo diretto all'osso
temporale, parte del neurocranio, che si lega ad un analogo processo del temporale per
formare l'arcata zigomatica. Lo zigomo forma insieme alla mascella il pavimento della cavità
orbitaria nonché la sua parete laterale, qui confina posteriormente con la grande ala dello
sfenoide, contribuendo a definire la fessura orbitaria inferiore. Superiormente lo zigomo
presenta un processo verticale verso l'osso frontale, con cui confina. Appena sotto alla cavità
orbitaria presenta un piccolissimo forellino detto foro zigomaticomascellare.
- Sfenoide: osso pneumatico impari e mediano a forma di farfalla in posizione di raccordo fra
splancnocranio e neurocranio. In questa norma è possibile vedere solamente la faccia orbitaria
delle grandi ali e delle piccole ali, nel congiungersi alle altre ossa che compongono la cavità
orbitaria le grandi ali definiscono la fessura orbitaria inferiore, insieme all'osso mascellare, allo
zigomo e al processo orbitario del palatino, e quella superiore, insieme alla lamina papiracea
dell'etmoide, mentre nelle piccole ali troviamo il foro ottico.
- Vomere: osso impari e mediano che costituisce la parte inferiore del setto nasale, saldandosi
in basso col mascellare e il palatino.
- Etmoide: osso pneumatico impari e mediano, si salda inferiormente con il vomere per
completare il setto nasale. Va inoltre a costituire le pareti laterali delle cosiddette coane o fosse
nasali, lo si può immaginare come una "M", dividendolo peraltro in tre zone distinte,
denominate meati, mediante delle protuberanze dette conche nasali o cornetti o turbinati.
Avremo in alto la conca nasale superiore, che insieme alla conca nasale media delineerà il
meato nasale superiore, la conca nasale media, a sua volta insieme alla conca nasale inferiore,
un osso indipendente, delimita il meato nasale medio. Infine l'etmoide va a costituire la parete
mediale dell'orbita mediante la cosiddetta lamina papiracea, saldandosi anteriormente con
l'osso lacrimale, posteriormente con la grande ala dello sfenoide e superiormente con il
frontale, insieme al quale delimita i due minuscoli fori etmoidali posteriore e anteriore.
- Conca nasale inferiore: detto anche cornetto o turbinato nasale inferiore, quest'ossicino
delimita all'interno delle coane nasali il meato superiore, in collaborazione con la conca nasale
media, ed il meato inferiore, spazio fra la conca stessa e la parte orizzontale della mascella
detta processo palatino.
- Lamina orizzontale del palatino: continuazione dell'omonimo processo.
- Osso nasale: coppia di ossicini posti supero-medialmente rispetto allo splancnocranio, le
ossa nasali si saldano fra di loro mediante la sutura internasale, lateralmente con il mascellare
e superiormente con il frontale, insieme alle cartilagini nasali contribuiscono a formare la volta
nasale.
- Osso lacrimale: coppia di ossicini collocati a completamento della parete mediale della
cavità orbitaria, si saldano superiormente al frontale, posteriormente alla lamina papiracea
dell'etmoide, inferiormente e anteriormente al mascellare, in particolare verso quest'ultimo
l'osso lacrimale protende il minuscolo uncino lacrimale che fa da parete laterale per la fossa o
doccia del sacco lacrimale, costituita da un solchetto sul lacrimale che si completa con un
analogo solchetto del mascellare.
- Osso palatino: di questa complessa coppia di ossa si vede dalla norma frontale
esclusivamente una minuscola parte, che va a completare il pavimento della cavità orbitaria,
fra etmoide, grande ala dello sfenoide e mascellare.
2) Norma laterale : Si tratta della prospettiva di visione laterale del cranio, in tale proiezione
è palese la sproporzione fra splancnocranio e neurocranio a favore di quest'ultimo. Ovviamente
ci si limiterà ad aggiungere le nozioni anatomiche non desumibili dalla norma frontale.
- Mandibola: in tale norma è possibile osservare il ramo della mandibola quasi interamente, si
nota in particolare, posteriormente, il processo condiloideo, la cui testa irregolarmente sferica
di forma condiloidale si inserisce nella corrispondente fossa mandibolare, sita alla radice del
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processo zigomatico dell'osso temporale, costituendo l'articolazione temporomandibolare. Per
osservare interamente la faccia laterale del ramo della mandibola, si resecherà l'arcata
zigomatica, si potrà pertanto osservare, anteriormente rispetto al processo condiloideo e da
esso separato mediante l'incisura della mandibola, il cosiddetto processo coronoideo che dà
inserzione al muscolo temporale.
- Fossa infratemporale: si tratta di una zona piuttosto complessa, osservabile mediante
asportazione della mandibola e dell'arcata zigomatica. La fossa intratemporale è delimitata
superiormente dalla grande ala dello sfenoide e dalla squama del temporale, ossia la parete del
temporale che costituisce un frammento della calotta cranica, anteriormente dalla lamina
laterale del processo pterigoideo dello sfenoide, una estroflessione verticale diretta verso il
basso dello sfenoide che ne costituisce la parete interna, dall'osso mascellare, che ne
costituisce la parete esterna, e dall'osso palatino, che s'inserziona fra queste due ossa. Tra
sfenoide e mascellare si delinea pertanto una profonda depressione, detta fessura
pterigomascellare, al cui interno è possibile isolare ulteriormente la fossa pterigopalatina.
L'importanza di questo incavo risiede essenzialmente nel fatto che in esso si aprono alcuni fori
che mettono in comunicazione la fossa infratemporale con le coane nasali e la cavità orbitaria,
si tratta del foro sfeno-palatino, del foro rotondo e del foro vidiano, tratto finale del canale
pterigoideo scavato all'interno dello sfenoide.
3) Norma Basale : Si tratta della proiezione del cranio dal basso, senza l'osso mandibolare.
- Mascella: nella norma basale è possibile vedere la parte inferiore del palato duro, costituita
dalle due parti del mascellare saldate tra loro al centro, subito dietro l'arcata dentale, si apre il
foro incisivo.
- Osso palatino: prosegue posteriormente il palato duro saldandosi anteriormente al
mascellare, le due ossa palatine si saldano al centro proseguendo la saldatura fra le due
mascellari e, al limite posteriore della saldatura, formano la spina nasale posteriore. A questa
altezza, ma lateralmente, l'osso palatino estroflette la cosiddetta piramide del palatino che si
inserziona fra mascellare e lamina laterale del processo pterigoideo dello sfenoide, qui si
aprono due piccoli forellini detti fori palatini minori, mentre più anteriormente si trova il foro
palatino maggiore disegnato in parte dal mascellare.
- Vomere: possiamo vedere la parte terminale del vomere che si salda posteriormente e verso
l'alto con il corpo dello sfenoide coprendolo alla vista.
- Sfenoide: dal mediale al laterale possiamo osservare la lamina mediale del processo
pterigoideo, che prosegue posteriormente le coane e in prossimità della giunzione col palatino
presenta l'uncino pterigoideo, oltre troviamo la lamina laterale del processo pterigoideo e la
grande ala, sulla quale sono visibili il foro ovale e il foro spinoso diretti al ramo della
mandibola.
4) Norma posteriore : Lo splancnocranio è ovviamente invisibile da tale proiezione, tuttavia
da essa è possibile osservare la parte posteriore della mandibola, l'operazione risulta più
semplice e completa sganciando la mandibola dal resto del cranio. Dal mediale al laterale
potremo osservare un rilevatura verticale e centrale, detta spina mentale, ai lati di questa è
visibile un'altra sporgenza lineare che si dirige prima verso il gonion e poi piega verso l'alto,
detta linea miloidea, al termine di essa troviamo l'importante foro mandibolare delimitato
anteriormente da una piccola punta ossea, detta lingula o spina di Sphinx, su cui s'inserziona il
legamento sfenomandibolare coinvolto nel direzionamento dei movimenti della mandibola.
Seni paranasali: Oltre alle coane nasali, lo splancnocranio presenta numerose altre cavità
aeree, tutte in connessione e atte ad aumentare la superficie di contatto per l’aria inspirata, in
modo da poterne efficientemente regolare vari parametri, quali temperatura, umidità e
purezza. Ossa pneumatiche sono la mascella, lo sfenoide, l’etmoide e l’osso frontale, di cui si
parlerà benché non appartenga propriamente allo splancnocranio.
- Nella mascella troviamo i due seni mascellari, posti simmetricamente in ambi i corpi
delle due porzioni del mascellare. Essi comunicano con le coane nasali mediante
l’orifizio del seno mascellare, che si apre nel meato nasale medio nella parte più
inferiore di un solco, detto hiatus o iato semilunare, di cui si dirà per il frontale.
L’infiammazione delle mucose che rivestono il seno mascellare può determinare sinusite
mascellare, essa può tuttavia derivare dal riversarsi di materiale infetto proveniente da
ascessi dentali, collocandosi i denti ad una distanza assai esigua dai seni.
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- Nello sfenoide, precisamente nel suo corpo, troviamo due seni comunicanti ciascuno
con una coana mediante l’orifizio del seno sfenoidale che si apre in una zona
sovrastante il meato nasale superiore detta recesso sfeno-etmoidale.
- L’osso frontale presenta anch’esso due seni simmetrici, posti poco sopra e ai due lati
del naso, questi, attraverso un canalicolo detto complessivamente orifizio naso-frontale,
raggiungeranno il meato medio dopo aver attraversato l’etmoide nell’infundibulo
etmoidale per riversarsi infine nello hiatus semilunare in cui già s’apriva l’orifizio del
seno mascellare.
- L’etmoide presenta nei suoi due labirinti etmoidali i corpi laterali, posti fra la lamina
orbitaria e le coane, una serie di piccole cavità comunicanti fra di loro dette cellule
etmoidali distinguibili in anteriori, medie e posteriori. Le cellule etmoidali comunicano
inoltre con le coane nasali mediante una serie di minuscoli orifizi, in particolare le cellule
anteriori si apriranno nello hiatus semilunare, le cellule medie in un rigonfiamento
dell’etmoide presente nel meato medio detto bolla etmoidale, le cellule posteriori nel
meato superiore. Infine va aggiunto che superiormente le cellule etmoidali sono
incomplete, ma vengono completate mediante la giustapposizione di analoghe strutture,
perfettamente combacianti, presenti al fondo della parte orizzontale del frontale, lo
stesso avviene anteriormente con l’osso lacrimale.
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NOME: Colonna Vertebrale.
La colonna vertebrale è l'insieme costituito dalle vertebre. Le vertebre si articolano fra di loro
formando un asse osseo che dalla base cranica si estende fino alla fine del tronco; forma un
canale che al suo interno contiene il midollo spinale. La colonna vertebrale si divide in 5
porzioni:
* cervicale
* dorsale o toracica
* lombare
* sacrale
* caudale o coccigea.
La colonna sostiene le ossa della testa superiormente, mentre lateralmente sostiene le coste e
le ossa del bacino. Serve anche come appoggio alla maggior parte dei visceri. La colonna
vertebrale umana è composta da 24 vertebre libere ed altre 9-10 saldate fra loro in due gruppi
distinti, l'osso sacro e il coccige.
In un individuo adulto di media statura misura 73-75 cm.
Può essere suddivisa in gruppi, dall'alto in basso:
* vertebre cervicali (7)
* vertebre toraciche o dorsali (12) a cui sono unite le dodici paia di coste
* vertebre lombari (5)
* vertebre sacrali (5)
* vertebre coccigee (3-4)
La colonna vertebrale mostra una serie di curve:
* le curve antero-posteriori, sul piano sagittale
o curva cervicale, convessa in avanti (lordosi)
o curva dorsale, convessa in dietro (cifosi)
o curva lombare, convessa in avanti (lordosi)
o curva sacro-coccigea, convessa in dietro (cifosi)
* le curve laterali, sul piano frontale.
Queste curve servono ad aumentare la resistenza della colonna vertebrale.
Le curve laterali sono molto meno pronunciate e più incostanti. Generalmente esiste una curva
nella regione cervicale con convessità a sinistra, una nella regione dorsale con convessità a
destra e una nella regione lombare con convessità a sinistra.
Le vertebre sono connesse tra loro per mezzo di fibrocartilagini dette dischi intervertebrali.
Le vertebre sono allineate e articolate fra loro, in modo da costituire la colonna vertebrale,
costituiscono il carattere distintivo dei Vertebrati e presentano sensibili variazioni numeriche
nelle varie specie, pur avendo caratteristiche morfologiche costanti.
Le vertebre hanno una forma leggermente diversa tra loro a seconda del gruppo al quale
appartengono.
Ogni vertebra è costituita da:
* una parte anteriore più grossa detta corpo vertebrale, di forma cilindrica con due facce,
superiore e inferiore, posteriormente, dove si affaccia nel foro centrale, risulta schiacciata.
* un arco osseo a concavità rivolta in avanti.
L'arco osseo e la faccia posteriore del corpo vertebrale circoscrivono il foro vertebrale, che è
attraversato il midollo spinale.
L'arco osseo è formato ai lati da due peduncoli o radici, che presentano due incisure: una
inferiore molto apprezzabile ed una superiore poco marcata. Ai peduncoli seguono le masse
laterali che si continuano nelle lamine e vanno a fondersi sulla linea mediana, originando
l'apofisi spinosa. Le masse laterali recano le apofisi traverse e le apofisi articolari superiore e
inferiore. Queste ultime entrano in rapporto con quelle delle vertebre vicine.
La sovrapposizione delle incisure delle vertebre vicine, determinano un piccolo orifizio, il foro di
coniugazione, attraverso cui passano i nervi spinali.
Vertebre cervicali:
Le vertebre cervicali hanno un foro molto ampio, il corpo è relativamente piccolo e piatto,
hanno un arco grande. L'apofisi reca un foro trasverso, l'apofisi spinosa è breve e spesso
bifida. Fanno in parte eccezione la prima vertebra cervicale (atlante) e la seconda (epistrofeo).
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La seconda vertebra cervicale costituisce il corpo della prima grazie al "Dente dell'epistrofeo", il
quale costituisce anche il perno di rotazione del capo. La settima vertebra cervicale presenta
un processo spinoso uguale al quello delle seguenti toraciche, cioè unico e rivolto verso il
basso, e non come le precedenti cervicali nelle quali è bifido.
Vertebre toraciche
Le vertebre toraciche hanno un corpo più alto, le lamine dell'arco sono alte. L'apofisi traversa è
molto sviluppata, l'apofisi spinosa è appuntita e rivolta verso il basso, in modo da sovrapporsi
a quella sottostante. Esse hanno la particolarità di avere rapporto con le coste, le quali si
articolano sulle vertebre toraciche grazie ad una coppia di faccette articolare per costola.
Vertebre lombari
Le vertebre lombari sono le più grandi. Le apofisi sono talmente sporgenti da ricevere il nome
di costiformi.
Osso Sacro
Forma la chiave del bacino, facendo da legame fisso alle ossa iliache. È costituito dalla fusione
delle cinque vertebre sacrali, che formano un corpo unico a tre facce, posteriore, anteriore e
superiore, e due margini laterali.
La faccia anteriore è concava e presenta evidenti le vertebre da cui è composto, circoscritte da
due file di fori, sacrali anteriori. La faccia posteriore è leggermente convessa, porta due file di
fori, sacrali posteriori, che medialmente sono delimitati da due creste sacrali laterali. I margini
laterali hanno, nella parte posteriore della superficie, forma di orecchio che serve da
attaccatura alle ossa iliache.
Inferiormente si attacca il coccige, mentre superiormente si attaccano le vertebre lombari.
Osso Coccige
Il coccige è un osso impari e simmetrico, appartenente alla colonna vertebrale.
Deriva il suo nome dal greco ΚΟΚΚΥΧ, cuculo, per via della somiglianza con il becco di tale
uccello. È costituito dalla fusione delle vertebre caudali. Ha una forma triangolare ed è
articolato con l'osso sacro. Da ogni lato presenta due prolungamenti: il piccolo corno
(verticale) e il corno laterale (trasversale).
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NOME: Gabbia Toracica.
CARATTERISTICHE:
• 12 vertebre toraciche , ciascuna delle quali si articola con una coppia di coste che
descrivendo una sezione di ellisse si dirige anteriormente verso lo sterno. La distanza T1- T12
è 35-40 cm.
• 12 coppie di coste , delle ossa piatte, le prime dieci delle quali raggiungono lo sterno, a
differenza delle ultime due, chiamate fluttuanti o libere o asternali. Più precisamente le prime
sette coste raggiungono lo sterno individualmente e separatamente l’una dall’altra e sono dette
per questo coste vere o sternali. Mentre dall’ottava alla decima, denominate false coste
propriamente dette, convergono anteriormente formando dei gradini nella cartilagine della
settima che raggiungerà lo sterno. La maggior parte del loro tessuto è osseo, la parte anteriore
è cartilaginea fibrosa. Tra una costa e l’altra c’è uno spazio intercostale, 11 spazi a destra a
sinistra riempiti da muscolatura. Testa e collo di ciascuna vertebra si dirigono indietro e
lateralmente, 2-3 cm dopo deviano lateralmente in maniera piuttosto brusca in direzione
anteriore in corrispondenza di un punto detto flesso. Sommando i 12 angoli costali formiamo la
doccia paravetebrale o costovertebrale. Le docce servono per contenere parte di ciascun
polmone e le formazioni toraciche. Le coste più caudali devono risalire verso l’alto per la
differenza di lunghezza tra sterno e vertebre toraciche. Questa struttura permette all’utero
nell’addome di accrescersi durante la gestazione e consente una maggiore mobilità allo
spostamento del tronco.
Ogni costa ha un'estremità vertebrale (testa), un corpo intermedio e una estremità sternale.
La testa è rotondeggiante e presenta due facce per l'articolazione con i corpi e con i processi
vertebrali. Il corpo della costa si porta all'indietro e quindi in avanti, formando un angolo
(angolo costale). Questa zone dell'osso è alquanto appiattita, formando una faccia superoanteriore, una faccia infero-ventrale e due margini di passaggio. Nella parte anteriore è
presente una infossatura destinata a ricevere la cartilagine costale, che si articola allo sterno.
L'estremità sternale si articola con lo sterno direttamente o indirettamente (tramite le
cartilagini), chiudendo la gabbia toracica. Ogni costa ha caratteristiche particolari. Le coste
possono essere considerate le ossa proporzionalmente più resistenti di tutto il corpo,
escludendo quelle craniche, perché le loro fibre ruotano di più che in qualsiasi altro osso.
Prima costa: È la più larga e la più corta, contrae rapporti con la cupola pleurica e con gli
organi alla base del collo. Sulla faccia superiore è presente il tubercolo di Lisfranc, su cui si
inserisce il muscolo scaleno inferiore, compreso tra due solchi, uno per l'arteria succlavia e
l'altro per la vena succlavia.
Seconda costa: Le due facce non sono verticali ma oblique, non possiede il solco costale;
sulla faccia supero-esterna presenta una rugosità per l'inserimento del muscolo grande
dentato.
• Sterno , un osso piatto, impari, simmetrico e mediano, lungo circa 20 cm, costituito da tre
parti: - Manubrio dello sterno.
- Corpo dello sterno.
- Appendice dello sterno o processo xifoideo.
La giunzione tra manubrio e corpo forma un angolo ottuso che guarda indietro, detto angolo
sternale di Louis, importantissimo per l’auscultazione del cuore. A livello dell’angolo sternale si
connette la seconda coppia di coste. Sullo sterno si trova un’incisura mediana detta incisura
giugulare o giugulo. Sull’estremità superiore, ai lati del giugulo, vi sono due fossette dette
incisure clavicolari dello sterno, su cui si articolano le clavicole. Il processo xifoideo è quasi
sempre cartilagineo, può presentare varie configurazioni e incurvarsi indietro, avanti, a destra
o a sinistra. Su ciascun margine laterale troviamo sette incisure articolari o costali, su cui si
articolano le prima sette coppie di coste, coste con frapposte sei incisure non articolari o
intercostali. Il midollo presente all'interno dello sterno ha una funzione emopoietica fino all'età
adulta. A causa della sua posizione e della sua struttura, dallo sterno possono essere prelevati
campioni di midollo per analisi a scopo diagnostico.
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• Cingolo Scapolare , si trova in alto. La testa dell’omero si articola con la scapola, un osso
triangolare che è mantenuto in situ dalla clavicola, osso corto a forma di S, che a sua volta si
articola con un osso impari, unico e mediano: lo sterno. Anche le due clavicole e le due
scapole, viste dall’alto, formano una specie di ellisse.
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NOME: Bacino.
CARATTERISTICHE:
L’osso sacro è l’osso dorsale principale della piccola pelvi. Questo si
articola in un osso molto grande, piatto, pari e simmetrico: l’osso dell’anca, che ha forma di 8
un po’ contorto, con la parte superiore molto più larga dell’inferiore. Sotto c’è un foro, chiuso
dalla membrana otturatoria. Sopra non è presente il buco. Nasce dalla fusione di 3 ossa:
• Ileo , l’aggettivo corrispondente è iliaco, la parte superiore, a ventaglio, che fa parte
della cavità addominale. Di profilo vediamo che non è pianeggiante. È delimitato
superiormente dalla cresta iliaca, molto rugosa ad indicare l’inserzione di muscoli usati
molto frequentemente, che termina anteriormente con una protuberanza detta spina
iliaca anteriore superiore che con fantasia ricorda la spina di una rosa. In posizione
caudale troviamo la spina iliaca anteriore inferiore. La cresta iliaca ha la forma di una S,
non è rettilinea perché la superficie anteromediale dell’osso è concava, tanto che si
parla di fossa iliaca destra e sinistra, la superficie posteriore è invece concava
lateralmente.
L'osso iliaco è un osso pari e simmetrico, che costituisce lo scheletro del bacino.
L'osso iliaco è composto da tre ossa: ileo, ischio e pube. Nell'infanzia, sono entità
distinte, ma si fondono successivamente.
La saldatura ha luogo:
* a dieci-dodici anni, tra ischio e pube
* a dodici-tredici anni, tra ischio e ileo
* a quindici-sedici anni, tra ileo e pube.
La saldatura ha luogo nella zona detta acetabolo, un'ampia cavità destinata a accogliere
la testa del femore.
La superficie esterna presenta, dall'alto in basso:
* la fossa iliaca esterna, con le tre linee glutee (posteriore, anteriore, inferiore) per
l'inserzione dei muscoli glutei
* l'acetabolo
* il foro otturato, in quanto normalmente chiuso da una membrana e da due muscoli.
La superficie interna presenta, dall'alto in basso:
* la fossa iliaca interna, delimitata in basso da una linea obliqua (linea innominata)
* la tuberosità iliaca
* la faccetta articolare, per l'articolazione sacro-iliaca
* la faccetta articolare del pube, per l'articolazione del pube del lato opposto.
I margini sono caratterizzati da:
* prominenze
o cresta iliaca
o cresta pettinea
o spina ischiatica
o spina iliaca anteriore inferiore
o spina iliaca anteriore superiore
o tuberosità ischiatica
* incisure
o grande incisura ischiatica
o piccola incisura ischiatica
o incisura dell'acetabolo.
• Pube , l’aggettivo corrispondente è pubico, è la parte anteromediale, ha una
componente superiore e una inferiore, che dapprima è verticale, poi gira obliqua e si
continua con la branca dell’ischio. Seguendo la branca superiore del pube, prima di
arrivare alla sinfisi, si incontra una protuberanza, sia a destra sia a sinistra, detta
tubercolo pubico.
• Ischio , l’aggettivo corrispondente è ischiatico, la parte posterolaterale che appartiene
alla piccola pelvi. Inferiormente forma una L. La parte più dorsale, più laterale e più
caudale dell’ischio è la tuberosità ischiatica, su di essa ci appoggiamo sedendoci.
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Le ossa dell’anca posteriormente chiudono l’addome connettendosi con l’osso sacro, poi
compiono un mezzo giro in avanti e finiscono per articolarsi tra loro nella sinfisi pubica.
L’articolazione è generalmente immobile, con interposto un disco fibroso. L’angolo pubico è
molto minore di 90° nel maschio, maggiore di 90°, a volte anche di 100° nella femmina. Si
genera il cingolo pelvico o bacino, cavità deputata a contenere organi e formata dalle 2 ossa
dell’anca, l’osso sacro ed il coccige. Le 2 ossa iliache di destra e di sinistra formano una cavità
in avanti verso l’alto che è la fossa iliaca di destra e di sinistra. La parete addominale molle è
fatta da muscoli che si attaccano al pube che partecipa con la sua parte superiore a costituire
lo scheletro dell’addome. Le ossa dell’anca inferiormente partecipano alla costituzione della
piccola pelvi, esiste una linea di demarcazione tra la piccola e la grande pelvi, metto la mano
sul promontorio del sacro dove l’ultima vertebra lombare si articola con la prima sacrale, poi
vado indietro e lateralmente, lungo l’ala del sacro, se continuo passo per l’articolazione sacro
iliaca seguendo la linea arcuata, confine tra ileo e pube, fino alla sinfisi pubica. Disegna un
cerchio nei maschi e un’ellisse nelle femmine: stretto superiore della pelvi o del bacino, che è il
piano di passaggio dall’addome alla piccola pelvi. Il resto della parete è molle per garantire le
inclinazioni in avanti e laterali. Se si contrae la parete essa si può appiattire con un aumento
della pressione intraddominale, per facilitare la diuresi e la defecazione. La parete molle è
importante nella donna, che deve portare avanti la gravidanza.
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MUSCOLATURA COLLO
I muscoli del collo sono distinti in anteriori, posteriori e laterali.
MUSCOLI SOPRAIOIDEI
Muscolo Digastrico
Un muscolo nastriforme che si diparte dal versante posteriore del mento detto incisura
digastrica, si dirige in dietro fino all’osso ioide, presso cui è situato il tendine intermedio del
muscolo, poi ancora più in dietro arrivando alla parte inferiore della mandibola formando così il
triangolo digastrico. È costituito da due ventri, uno anteriore ed uno posteriore tra i quali si
frappone il tendine intermedio. Nell’insieme il muscolo forma un’arcata a concavità volta in
alto. Il ventre posteriore lungo e sottile, origina dall’incisura mastoidea e si porta in avanti, in
basso e medialmente fino al tendine intermedio. Il ventre anteriore segue il tendine intermedio
e si dirige in avanti, in alto e medialmente per inserirsi nella fossetta digastrica della
mandibola. Il tendine intermedio è fissato all’estremità laterale del corpo dell’osso ioide
mediante un anello fibroso. Contraendosi innalza l’osso ioide, abbassa la mandibola ed estende
la testa.
Muscolo Stiloioideo
Si trova al di sopra e innanzi al ventre posteriore del digastrico. Origina dalla radice del
processo stiloideo e si porta in avanti, in basso e medialmente per inserirsi al corpo dell’osso
ioide. Sposta l’osso ioide in alto e in dietro.
Muscolo Miloioideo
È una lamina quadrilatera formata da due parti e posta al di sopra del ventre anteriore del
digastrico, origina dalla mandibola, lungo una linea che inizia sotto la spina mentale, circonda il
margine superiore della fossetta digastrica e prosegue nella linea miloioidea fino alla faccia
interna del ramo mandibolare. Un lato del muscolo miloioideo si inserisce presso il rafe, un lato
si inserisce all’osso ioide, un altro lato, il laterale, si inserisce lungo una linea rilevata detta
miloioidea situata sulla faccia interna del corpo della mandibola e un altro lato è libero. Il
muscolo miloioideo è l’elemento più importante del pavimento della cavità buccale. L’azione del
muscolo miloioideo consiste nello spostare in alto e in avanti l’osso ioide e nel sollevare la
lingua, cooperando nella deglutizione.
Muscolo Genioioideo
Si trova al di sopra del muscolo miloioideo, origina dalla parte inferiore della spina mentale e si
inserisce alla faccia anteriore del corpo dell’osso ioide. Con la sua contrazione sposta in alto
l’osso ioide ed abbassa la mandibola.
MUSCOLI SOTTOIOIDEI
Muscolo Sternoioideo
È un muscolo nastriforme che origina dall’estremità sternale della clavicola, dalla faccia
posteriore del manubrio sternale e della capsula dell’articolazione sternoclavicolare. I suoi fasci
si portano in alto e medialmente. Si inserisce nella metà interna del margine inferiore dell’osso
ioide. Contraendosi abbassa l’osso ioide.
Muscolo Omoioideo
È un muscolo digastrico con un ventre inferiore e posteriore uniti da un tendine intermedio. Il
ventre inferiore origina all’interno dell’incisura del margine superiore della scapola e si porta in
alto, in avanti e medialmente per unirsi al tendine intermedio. Il ventre superiore origina dal
tendine intermedio e continua in alto, in avanti e medialmente per fissarsi al margine inferiore
dell’osso ioide a lato del muscolo sternoioideo. Tra i due muscoli omoioidei è tesa la fascia
cervicale media. Agiscono abbassando l’osso ioide e tendendo la fascia cervicale media.
Muscolo Sternotiroideo
È posto profondamente allo sternoioideo, origina dalla faccia posteriore del manubrio dello
sterno e dalla prima cartilagine costale, termina alla linea obliqua della cartilagine tiroidea del
laringe. Contraendosi abbassa la cartilagine tiroidea collegata al laringe.
Muscolo Tiroioideo
Fa seguito allo sternotiroideo, ricopre la cartilagine tiroidea e la membrana tiroioidea, è situato
profondamente ai muscoli sternoioideo e omoioideo. Origina dalla linea obliqua della cartilagine
tiroidea, termina al margine inferiore del corpo e del grande corno dell’osso ioide. Contraendosi
abbassa l’osso ioide e innalza il laringe.
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MUSCOLI LATERALI
Platisma
È accolto in uno sdoppiamento della fascia superficiale del collo tra due strati del pannicolo
adiposo sottocutaneo. Ha inizio a livello della 2^ costa e della superficie anteriore della spalla.
I suoi fasci si dirigono in alto e medialmente. Si inserisce alla faccia esterna del corpo della
mandibola, alla cute della regione masseterina e della commessura labiale.
Muscolo Sternocleidomastoideo
Si trova nella parte anterolaterale del collo e presenta inferiormente due distinti capi di origine,
lo sternale e il clavicolare, che si fondono in un unico ventre, il tutto è accolto in uno
sdoppiamento della fascia cervicale superficiale. Il capo sternale origina dalla parte alta della
faccia anteriore del manubrio sternale, il capo clavicolare si distacca dal quarto mediale della
faccia superiore della clavicola, il ventre muscolare derivato dalla fusione dei due capi si
inserisce sul processo mastoideo e sul terzo laterale della linea nucale superiore. Contraendosi
flette e inclina lateralmente la testa facendola ruotare dal lato opposto, se prende come punto
fisso la testa eleva il torace.
FASCE DEL COLLO
Sono la fascia cervicale superficiale, media e profonda.
La fascia cervicale superficiale si trova al di sotto del tegumento e non va confusa con la fascia
superficiale del collo che è posta tra due strati del sottocutaneo. Questa fascia si ispessisce
medialmente formando la linea alba cervicale e lateralmente si sdoppia per avvolgere i muscoli
sternocleidomastoidei, una volta superati si riunisce in un unico foglietto che attraversa la
regione sopraclavicolare e si risdoppia per avvolgere i muscoli trapezi e fissarsi sulle loro linee
di origine. Il margine superiore si fissa, dall’interno all’esterno, sul margine inferiore del corpo
della mandibola, continua nelle fasce masseterina e parotidea, prende attacco sulla faccia
esterna del processo mastoideo, sulla linea nucale superiore e sulla protuberanza occipitale
esterna. Il margine inferiore si connette all’incisura giugulare dello sterno, al margine anteriore
della clavicola, al margine laterale dell’acromion, al margine posteriore della spina della
scapola dalla quale passa sulla faccia posteriore del muscolo trapezio. Al di sopra dell’incisura
dello sterno la fascia cervicale si sdoppia in due foglietti che si fissano ai labbri anteriore e
posteriore dell’incisura stessa andando a delimitare lo spazio sovrasternale.
La fascia cervicale media è una lamina triangolare a base inferiore e apice superiore tronco. È
tesa trasversalmente tra i muscoli omoioidei e verticalmente tra l’osso ioide in alto, lo sterno e
le ossa del cingolo toracico in basso. Il suo margine inferiore va dal manubrio dello sterno fino
all’origine dei ventri inferiori dei muscoli omoioidei. Lateralmente la fascia cervicale media
termina avvolgendo i muscoli omoioidei, al contrario della superficiale la media si estende al
mediastino anteriore.
La fascia cervicale profonda ha forma quadrilatera, si pone sui muscoli prevertebrali e sui corpi
delle vertebre cervicali e toraciche. Il margine superiore si fissa alla parte basilare dell’osso
occipitale. Il margine inferiore si perde nel connettivo del mediastino posteriore. I margini
laterali si fissano ai tubercoli anteriori dei processi trasversali delle vertebre cervicali, dove si
continua con le aponeurosi che avvolgono i muscoli scaleni.
Tra la fascia cervicale superficiale e media si trova la loggia interfasciale anteriore che è chiusa
inferiormente a livello dell’incisura dello sterno, tra la fascia cervicale media e profonda si trova
la loggia interfasciale posteriore che non è chiusa inferiormente e prosegue nel mediastino.
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MUSCOLATURA TORACICA
Muscoli Intercostali
Riempiono gli spazi intercostali, sono muscoli essenziali alla vita. Ce ne sono di esterni e di
interni. In generale l’andamento delle fibre muscolari scheletriche è quello per cui ogni fibra fa
capo a due tendini, dall’andamento dipende la direzione della contrazione. Le fibre dei muscoli
intercostali, sempre oblique dall’alto in basso, possono anche essere inclinate: dal dietro al
davanti, dal medio al lato e viceversa.
Intercostali Esterni: Contraendo i muscoli di destra e di sinistra sposto le coste verso
l’alto facendole ruotare, se sommiamo le rotazioni delle 12 coste ottengo un aumento
del diametro antero-posteriore e laterale del torace. La variazione volumetrica è uguale
alla terza potenza del numero di centimetri di cui si è spostata ogni costa.
Intercostali Medi: Hanno fibre disposte verticalmente. Contraendosi sollevano in alto la
parte cartilaginea delle coste, con un aumento del diametro antero-posteriore.
Intercostali Interni: Hanno andamento perpendicolare a quelli esterni. Sono gli unici
muscoli espiratori. Inducono una rotazione verso il basso delle coste, comprimendo i
polmoni. La diminuzione del volume è ovviamente limitata, poiché la gabbia è scheletro.
Li utilizziamo solo nell’espirazione forzata, nella respirazione tranquilla ci limitiamo a
rilassare gli inspiratori.
Muscolo Diaframma Addominale
È un muscolo sottile, grossolanamente cupuliforme, che separa le cavità toracica e addominale
prendendo attacco alle ultime 6 coste, al processo xifoideo e a T12. La parte superiore,
convessa, costituisce il pavimento del torace, quella concava il tetto dell’addome.
Anteriormente, scendendo, si conforma a V. Le fibre muscolari sono disposte a raggiera e
convergono verso l’apice in un punto detto centro tendineo o centro frenico. Il diaframma,
contraendosi, tira le coste verso il basso, con un conseguente ampliamento della cavità
toracica.
Muscoli Scaleni della Colonna Vertebrale
In numero di tre, anteriore, medio e posteriore, tirano su la prima costa e la seconda costa. Si
inseriscono due alla prima e uno alla seconda, in prossimità dello sterno. Li usiamo solo in caso
di sforzo muscolare intenso, per aumentare l’escursione. Sono usati continuamente in caso di
insufficienza respiratoria, infatti il collo taurino è uno dei segni dell’insufficienza respiratoria
cronica.
Muscoli Respiratori Accessori
Sono il muscolo quadrato dei lombi e lo sternocleidomastoideo. Non servono precipuamente a
respirare, ma li usiamo in tal senso in caso di elevato sforzo muscolare, per aumentare le
escursioni.
Muscolo Quadrato dei Lombi
Si trova ai lati della colonna lombare, le sue fibre, verticali, vanno dalla dodicesima costa alla
cresta iliaca. È un muscolo rettangolare. La sua funzione principale è quella di mantenere la
stazione eretta, può essere usato sia come inspiratorio sia come espiratorio, favorendo o
contrastando l’abbassamento dell’ultima costa.
Muscolo Sternocleidomastoideo
Si inserisce a livello del manubrio dello sterno, delle clavicole e del processo mastoideo, una
protuberanza ossea sita dietro l’orecchio. Serve principalmente per ruotare il capo.
Muscolo diaframma addominale, muscoli scaleni e muscolo quadrato dei lombi
collaborano nell’aumentare il diametro verticale del torace. C’è una differenza
sessuale: le donne respirano con il diaframma molto più che con i muscoli
intercostali. Si parla di respirazione di pancia, mentre per gli uomini di respirazione
di petto.
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Fascia Endotoracica e Pleure Polmonari
È un involucro connettivale che avvolge in parte o del tutto i muscoli scheletrici. Non è
contrattile, ha solo funzione di contenimento, sorregge la parete, evita che sporga e riduce la
forza di contrazione, così che i muscoli scheletrici siano facilitati nella loro contrazione
esplosiva. Ha anche la funzione secondaria di costituire parete. I polmoni aderiscono alla
parete tramite la pleura, una doppia membrana che fa anche da sistema di trasduzione grazie
al quale la forza che viene impressa al primo strato viene trasmessa fino al polmone.
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MUSCOLATURA ADDOMINALE
Muscolo Retto dell’Addome
Entra nella costituzione della parete addominale anteriore e ha la forma di un grosso nastro al
lato della linea mediana. Ha origine superiormente da un fascio laterale, intermedio e mediale,
i primi due si distaccano dalla faccia esterna e dal margine inferiore della quinta e sesta
cartilagine costale, il terzo nasce dalla faccia esterna della settima cartilagine costale e dal
processo xifoideo. Il muscolo si inserisce, mediante un corto e robusto tendine, sul margine
superiore del pube tra il tubercolo e la sinfisi pubica. Nella parte mediale davanti alla sinfisi i
fasci fibrosi si incrociano tra loro. Il ventre muscolare presenta cinque inscrizioni tendinee
trasversali, una a livello dell’ombelico, due al di sopra e due al di sotto. Il muscolo retto
dell’addome è in rapporto anteriormente con il foglietto anteriore della guaina del retto,
posteriormente con le cartilagini costai dalla quinta alla nona, il foglietto posteriore della
guaina e la fascia trasversale. La sua azione consiste nell’abbassare le coste, flettere il torace
sulla pelvi o viceversa, aumentare la pressione addominale.
Muscolo Obliquo Esterno dell’Addome
Si trova nella parete anteriore e laterale dell’addome risalendo sulla parete toracica laterale. Si
presenta come una larga lamina quadrilatera appiattita, i cui fasci decorrono in avanti,
medialmente ed in basso. Prende origine dalla faccia esterna delle ultime otto coste per mezzo
di digitazioni, le prime cinque o sei si incrociano con quelle del muscolo dentato anteriore, le
ultime tre con quelle del muscolo grande dorsale. I fasci sorti dall’undicesima e dodicesima
costa si portano quasi verticalmente in basso inserendosi sul labbro esterno della cresta iliaca,
tutti gli altri fasci proseguono in un’aponeurosi che si porta medialmente in basso estendendosi
dal processo xifoideo al pube. Medialmente l’aponeurosi dell’obliquo esterno partecipa alla
formazione della guaina del muscolo retto dell’addome e giunge fino alla linea alba.
Inferiormente l’aponeurosi si inserisce su pube e sinfisi pubica tramite fasci che delimitano
l’anello inguinale sottocutaneo. Tra il tubercolo pubico e la spina iliaca anteriore superiore
l’aponeurosi costituisce il legamento inguinale. La faccia superficiale del muscolo è in rapporto
anteriormente con lo strato sottocutaneo e posteriormente con il muscolo grande dorsale. La
faccia profonda ricopre le ultime otto coste. Fra il margine posteriore dell’obliquo esterno e il
margine anteriore del muscolo grande dorsale esiste uno spazio triangolare a base inferiore
corrispondente alla cresta iliaca denominato triangolo lombare. La sua azione consiste
nell’abbassare le coste, flettere e ruotare il torace, aumentare la pressione addominale.
Muscolo Obliquo Interno dell’Addome
Si trova nella parete antero-laterale dell’addome, dietro al muscolo obliquo esterno, ha origine
dal terzo laterale del legamento inguinale, dalla spina iliaca antero-superiore, dai tre quarti
anteriori della cresta iliaca e dalla faccia posteriore della fascia lombo-dorsale. I fasci del
muscolo si portano in alto e medialmente, mentre i più posteriori si inseriscono al margine
inferiore delle ultime tre cartilagini costali, tutti gli altri si inseriscono nella aponeurosi
dell’obliquo interno dell’addome che partecipa alla formazione della guaina del retto e della
linea alba. La parte inferiore dell’aponeurosi dell’obliquo interno dell’addome e quella del
muscolo trasverso si fondono a formare il tendine congiunto che si inserisce al margine
superiore del pube, al tubercolo pubico e alla parte mediale della cresta pettinea. La faccia
superficiale è in rapporto, anteriormente con l’obliquo esterno e posteriormente con il grande
dorsale, la faccia profonda è in rapporto con il muscolo trasverso. Il margine inferiore entra a
far parte della parte superiore del canale inguinale. La sua azione è analoga a quella del
muscolo obliquo esterno dell’addome.
Muscolo Trasverso dell’Addome
È posto profondamente al muscolo retto dell’addome e presenta fasci a decorso trasversale.
Origina dalla faccia interna delle ultime sei cartilagini costali, con digitazioni che si alternano a
quelle del diaframma, dalla fascia lombo-dorsale, dal labbro interno dei tre quarti anteriori
della cresta iliaca e dalla metà laterale del legamento inguinale. I suoi fasci mediali continuano
nell’aponeurosi del trasverso che partecipa alla formazione della guaina del retto e della linea
alba. Le fibre carnose trapassano nella aponeurosi secondo una linea curva a concavità
mediale detta linea semilunare. La parte inferiore dell’aponeurosi del trasverso si fonde con
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quella dell’obliquo interno a formare il tendine congiunto. La faccia superficiale è in rapporto
con l’obliquo interno, la faccia profonda è rivestita dalla fascia trasversale che la separa dal
peritoneo. Il margine inferiore del muscolo trasverso dell’addome entra a far parte della parete
superiore del canale inguinale. Contraendosi porta in dentro le coste e aumenta la pressione
addominale.
Muscolo Quadrato dei Lombi
Si trova nella parete addominale posteriore, tra la cresta iliaca e l’ultima costa. È formato da
uno strato anteriore ed uno posteriore. Il primo ha origine all’apice dei processi costiformi delle
ultime quattro vertebre lombari e si inserisce al margine inferiore della dodicesima costa. Il
secondo nasce dal labbro interno della cresta iliaca e dal margine superiore del legamento ileolombare e si inserisce al margine inferiore della dodicesima costa e all’apice dei processi
costiformi delle prime quattro vertebre lombari. In avanti il muscolo è rivestito da una fascia
che in alto si ispessisce a formare l’arco diaframmatico laterale del pilastro laterale del
diaframma. In dietro è in rapporto con il foglietto anteriore della fascia lombo-dorsale.
Contraendosi abbassa la dodicesima costa e inclina lateralmente la colonna vertebrale.
Fascia Trasversale
Si trova profondamente al muscolo trasverso dell’addome, ha forma quadrangolare, con un
margine superiore, uno inferiore, uno posteriore ed uno anteriore. La fascia ha una superficie
interna ed una esterna, è sottile al di sopra della cicatrice ombelicale e si ispessisce via via che
discende. Il margine superiore continua nella fascia di rivestimento inferiore del diaframma. Il
margine inferiore si fissa al tubercolo pubico, alla cresta pettinea, al margine posteriore del
legamento inguinale, alla fascia iliaca, alla spina iliaca anteriore superiore ed al labbro interno
della cresta iliaca. Il tratto di fascia trasversale che si attacca alla cresta pettinea chiude la
lacuna tra la vena femorale e il legamento lacunare prendendo il nome di setto femorale. Il
margine posteriore raggiunge il margine posteriore del muscolo trasverso. Il margine anteriore
corrisponde alla linea mediana ove si continua con il lato opposto. La fascia trasversale per la
discesa dei testicoli viene sospinta attraverso il canale inguinale entro la borsa scrotale ove
costituisce la tonaca vaginale comune. Nella regione inguinale la fascia trasversale presenta
due ispessimenti, il legamento interfoveolare di Hasselbach e la benderella ileopubica di Henle.
Il primo è posto tra le fossette inguinali mediale e laterale ed ha forma di un triangolo con la
base in basso che si unisce al legamento inguinale e l’apice in alto che giunge all’estremità
laterale della linea semicircolare di Douglass. Mentre i margini formano il contorno mediale
dell’anello inguinale addominale detto piega falciforme. La seconda è un fascio fibroso che
origina dal tubercolo pubico e dalla cresta pettinea, si porta in alto e in fuori, fino alla spina
iliaca anterosuperiore.
Guaina dei Muscoli Retti dell’Addome
È formata dalle aponeurosi dei muscoli obliqui esterno, interno e trasverso. La guaina è
incompleta nella parte toracica del muscolo che si mette direttamente in contatto con le ultime
cartilagini costali. L’aponeurosi del muscolo obliquo esterno passa al davanti del muscolo retto,
e contribuisce a formare il foglietto anteriore della guaina. L’aponeurosi del muscolo obliquo
interno si divide in due lamine a livello del margine laterale del muscolo retto. Una lamina
passa davanti al muscolo retto e si unisce all’aponeurosi dell’obliquo esterno contribuendo a
formare il foglietto anteriore della guaina. L’altra lamina decorre dietro al muscolo retto
contribuendo a formare il foglietto posteriore della guaina. Tale dispositivo bilaminarie si
osserva nei 3/5 superiori del muscolo retto, nella parte inferiore tutta l’aponeurosi si pone
davanti al muscolo retto. L’aponeurosi del muscolo trasverso nei 3/5 superiori passa dietro al
muscolo retto e si unisce alla lamina posteriore dell’aponeurosi dell’obliquo interno
contribuendo a formare il foglietto posteriore della guaina, nei 2/5 inferiori passa davanti al
muscolo retto confluendo nel foglietto anteriore della guaina.
Linea Alba
È un rafe tendineo che si trova nella parte di mezzo della parete addominale anteriore tra i
margini dei due muscoli retti. Si estende dal processo xifoideo fino al pube, aumentando di
larghezza fino all’ombelico, si restringe al di sotto di questo. È formata dall’aponeurosi dei
muscoli obliqui e trasverso che incrociano i loro fasci sulla linea mediana.
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Legamento Inguinale
È un nastro tendineo che decorre dall’alto in basso, dall’esterno all’interno e corrisponde alla
piega dell’inguine tra la spina iliaca anteriore superiore e il tubercolo pubico. È formato per la
maggior parte da fibre dell’aponeurosi dell’obliquo esterno, di cui può essere considerato la
parte terminale. Ha un margine anteriore che prosegue in alto nell’aponeurosi dell’obliquo
esterno ed dà inferiormente attacco alla fascia lata, un margine posteriore dove si fissa la
fascia trasversale, una faccia superiore che lateralmente dà attacco a fasci dell’obliquo interno
e del trasverso, medialmente forma la parete inferiore del canale inguinale, una faccia inferiore
che lateralmente si unisce alla fascia iliaca e medialmente forma il margine superiore della
lacuna dei vasi. Il legamento inguinale si fissa superiormente e lateralmente alla spina iliaca
anterosuperiore, medialmente ha due inserzioni, una diretta che va al tubercolo pubico, una
riflessa che va in dietro e si fissa alla cresta pettinea prendendo il nome di legamento lacunare.
Canale Inguinale
È un tragitto attraverso la parete addominale anteriore, subito al di sopra della metà mediale
del legamento inguinale, dà passaggio al funicolo spermatico nel maschio e al legamento
rotondo dell’utero nella femmina. Il suo decorso è obliquo, dall’alto in basso, dall’esterno
all’interno, dal dietro all’avanti. È un canale appiattito in senso anteroposteriore e lungo circa 5
CM. Il canale inguinale presenta un orifizio di sbocco superficiale detto anello inguinale
sottocutaneo o superficiale e un orifizio di entrata profondo detto anello inguinale addominale o
profondo. Presenta una parete anteriore, una parete posteriore, una parete superiore e una
parete inferiore. L’anello inguinale sottocutaneo è un orifizio delimitato da due fasci
dell’aponeurosi dell’obliquo esterno che si inseriscono al pube, chiamati pilastro superiore o
mediale e pilastro inferiore o laterale. Il primo si fissa alla faccia anteriore della sinfisi pubica
dove le sue fibre si incrociano con quelle del lato opposto, il secondo si attacca al tubercolo
pubico dello stesso lato. È presente un terzo fascio, detto legamento inguinale riflesso del
Colles o pilastro posteriore, proveniente dall’aponeurosi dell’obliquo esterno del lato opposto e
si va ad inserire su un margine superiore del ramo superiore del pube e sulla cresta pettinea,
sul margine superiore e concavo del legamento poggia il funicolo spermatico. L’anello inguinale
addominale è 15 MM al di sopra del punto medio del legamento inguinale, corrisponde ad una
depressione visibile sulla faccia posteriore della parete addominale anteriore e denominata
fossetta inguinale laterale, si presenta come una fessura verticale alta 12-15 MM con un
margine laterale piatto e un margine mediale rilevato, costituito dal margine laterale del
legamento di Hasselbach che prende il nome di piega falciforme. Dietro a questa passa l’arteria
epigastrica inferiore. La parete anteriore del canale inguinale è costituita dall’aponeurosi
dell’obliquo esterno. La parete posteriore è costituita dalla fascia trasversale rinforzata
lateralmente dalla parte terminale del legamento di Hasselbach e medialmente presso il
legamento Henle detto anche falce inguinale. Tra il legamento di Henle e di Hasselbach si trova
la fossetta inguinale mediale, corrispondente ad un punto debole della parete posteriore del
canale inguinale. La parete superiore del canale inguinale è formata dal margine inferiore
dell’obliquo interno e del trasverso. La parete inferiore è data dalla metà mediale del
legamento inguinale.
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MUSCOLATURA PERINEALE
PERINEO: Rappresenta l’insieme di parti molli coperte da cute che si dispongono a chiudere
inferiormente il piccolo bacino. È situato in posizione mediana tra la radice delle cosce ed ha
forma romboide con l’asse maggiore anteroposteriore. È delimitato in superficie dalla
congiunzione della sinfisi pubica alle tuberosità ischiatiche e dell’apice del coccige alle
tuberosità ischiatiche. In profondità, ai lati anteriori corrispondono le branche ischiopubiche, ai
lati posteriori corrispondono i legamenti sacrotuberosi. Una linea trasversale passante per le
tuberosità ischiatiche divide il perineo nel triangolo anteriore o urogenitale, caratterizzato dalla
presenza dei genitali esterni, dell’uretra nel maschio e della vagina nella femmina, e il triangolo
posteriore o anale, caratterizzato dalla presenza dell’orifizio anale.
Diaframma Pelvico: Una lamina muscolare incompleta medialmente che chiude parzialmente
in basso il piccolo bacino inserendosi vicino allo stretto inferiore. Appare come una cupola
rovesciata con la faccia superiore concava e la faccia inferiore convessa, è costituito dai
muscoli ischiococcigei ed elevatori dell’ano. Il muscolo ischiococcigeo, pari e triangolare, è la
porzione posterosuperiore del diaframma pelvico. Origina dal margine laterale degli ultimi
segmenti sacrali e coccigei, termina con un’estremità assottigliata sulla spina iliaca e sulla
porzione limitrofa del legamento sacrospinoso. Il muscolo elevatore dell’ano, pari e
quadrangolare, costituisce la porzione principale del diaframma pelvico. Ha origine
lateralmente dalla superficie interna del pube, a lato della sinfisi pubica, fino alla spina
ischiatica. Fra questi due punti trova attacco sulla fascia del muscolo otturatorio interno
formando l’arco tendineo del muscolo elevatore dell’ano, un robusto cordone fibroso che
contorna anterosuperiormente e posteroinferiormente il forame otturatorio. Da questa linea di
origine i fasci muscolari si portano in dietro e medialmente formando il muscolo pubococcigeo
e il muscolo ileococcigeo. Il muscolo pubococcigeo origina dai fasci più anteriori che hanno
direzione quasi sagittale, nel maschio costeggiano la faccia laterale di prostata e retto, nella
femmina la superficie laterale di vagina, uretra e retto. Alcuni fasci del muscolo pubococcigeo
femminile, circondando la parete posteriore della vagina, si frammettono a quelli controlaterali
costituendo il muscolo costrittore della vagina o pubovaginale. Nell’intervallo fra retto e coccige
le fibre mediali dei due lati si intrecciano formando un rafe fibroso detto legamento
anococcigeo. Il muscolo ileococcigeo origina dai fasci più posteriori che hanno direzione quasi
trasversale. Si dipartono dall’arco tendineo del muscolo elevatore dell’ano e dalla spina
ischiatica, si inseriscono sul margine laterale del coccige e sul legamento anococcigeo. Il
diaframma pelvico è rivestito nella faccia superiore dalla fascia superiore del diaframma pelvico
che sostiene gli organi del piccolo bacino, nella faccia inferiore dalla fascia inferiore del
diaframma pelvico. Tra quest’ultima e la parete laterale della piccola pelvi, occupata dal
muscolo otturatorio interno, rimane uno spazio triangolare con base inferiore detto fossa
ischiorettale e occupato da tessuto adiposo. La fossa ischiorettale, anteriormente si spinge tra
l’elevatore dell’ano e il trigono urogenitale a formare il recesso anteriore o pubico,
posteriormente continua nello spazio compreso tra l’elevatore dell’ano e il muscolo grande
gluteo.
Diaframma o trigono urogenitale: Situato inferiormente al diaframma pelvico è una lamina
muscoloaponeurotica triangolare sottesa fra le due branche ischiopubiche in modo da chiudere
la porzione anteriore dello stretto inferiore della piccola pelvi. In questa zona il diaframma
pelvico presenta una fessura mediana delimitata dai muscoli pubococcigei, pertanto il trigono
urogenitale non solo raddoppia in avanti il diaframma pelvico, ma ne chiude anche l’apertura.
Nel maschio è attraversato dall’uretra e contiene le ghiandole bulbouretrali di Cowper, nella
femmina è attraversato da uretra e vagina e accoglie le ghiandole vestibolari maggiori di
Bartolino. È costituito dai muscoli trasversi profondi del perineo e dal muscolo sfintere striato
dell’uretra, coperti dalla fascia perineale media che si divide in superiore e inferiore.
Muscoli ischiocavernosi e bulbocavernosi: Sono muscoli pari, situati inferiormente al
trigono urogenitale nel perineo anteriore coperti dalla fascia superficiale del perineo e dal piano
cutaneo. I muscoli ischiocavernosi coprono o la radice dei corpi cavernosi del pene o la radice
dei corpi cavernosi del clitoride. Posteriormente si fissano sulla superficie interna della
tuberosità ischiatica e decorrono paralleli alla rispettiva branca ischiopubica, assumendo una
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forma a doccia. Anteriormente divengono tendinei e si perdono al di sotto della sinfisi pubica
sulla tonaca albuginea dei corpi cavernosi di pene o clitoride. I muscoli bulbocavernosi
occupano una posizione mediale e sono differenziati nei due sessi. Nel maschio sono situati
vicini ed uniti da un sottile rafe mediano a costituire una doccia nella quale sono accolti il bulbo
e il corpo cavernoso dell’uretra. Posteriormente si inseriscono al rafe anobulbare e al centro
tendineo del perineo. Contraendosi determinano una compressione sull’uretra favorendo la
fuoriuscita del suo contenuto o l’erezione. Nella femmina i due muscoli bulbocavernosi sono
separati e circondano l’orifizio vaginale e la porzione terminale dell’uretra. Originano dal centro
tendineo del perineo, coprono le facce laterali dei bulbi del vestibolo e raggiungono le radici del
clitoride. Contraendosi determinano il restringimento dell’orifizio vaginale e la compressione
dei bulbi del vestibolo contribuendo all’erezione del clitoride.
Muscolo trasverso superficiale del perineo: Un sottile nastro muscolare teso
trasversalmente nel perineo in corrispondenza del suo asse minore subito al di sotto della
fascia perineale superficiale. Origina dalla faccia interna della tuberosità ischiatica e termina
nel centro tendineo del perineo. Contraendosi mette in tensione il centro tendineo del perineo.
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NOME: Arto Superiore
AVVERTENZE GENERALI:
- Preparare solo le strutture muscolari; i rami vascolari e nervosi di cui si è trattato a lezione.
- Si consiglia l'uso frequente di un atlante di anatomia umana.
- Per quanto riguarda lo studio dei vari muscoli trattati è necessario sapere per ciascuno:
a) la propria origine ed inserzione ossea (senza particolari dettagli sulla zona ossea);
b) il tipo di movimento prodotto;
c) vascolarizzazione ed innervazione.
- Conoscere le radici nervose dei vari nervi trattati con in generale anche la loro zona di
innervazione cutanea.
PRINCIPI GENERALI DI MIOLOGIA
1. La maggioranza dei muscoli si estende da un osso all'altro ed incrocia almeno una
articolazione.
2. I punti di connessione muscolo-osso sono chiamati Origine (attacco all'osso più stazionario)
ed Inserzione (attacco all'osso che ha maggior movimento); la porzione più ampia del muscolo
è detta Ventre.
3. I muscoli si comportano come membri di un gruppo che compie movimenti specifici (muscoli
Sinergici), mentre i muscoli che compiono movimenti opposti tra di loro sono detti Antagonisti.
4. I muscoli hanno una grande varietà di forme:
Pennati (unipennati, bipennati, multipennati)
Paralleli
Convergenti
Circolari
5. Quando un muscolo si contrae di solito applica una Forza a delle Leve (come le ossa) che di
conseguenza si muovono. Le articolazioni funzionano da Fulcro.
6. In base al tipo le contrazioni muscolari vengono dette:
Isometriche: la lunghezza dei muscoli non cambia, mentre ne aumenta la tensione (es.:
muscoli posturali);
Isotoniche: la tensione dei muscoli è costante mentre cambia la loro lunghezza (es.:
movimenti delle braccia).
La maggior parte delle contrazioni muscolari risulta dalla combinazione di entrambi i tipi.
7. Le fibre muscolari possono dividersi in due gruppi:
FIBRE A CONTRAZIONE LENTA: metabolismo aerobio, ben vascolarizzati, grandi quantità di
mioglobina. Si contraggono più lentamente ma sono più resistenti alla fatica;
FIBRE A CONTRAZIONE RAPIDA: metabolismo anaerobio, meno vascolarizzati, grandi quantità
di glicogeno. Si contraggono più rapidamente ma non sono resistenti alla fatica. La
maggioranza dei muscoli umani è composta da entrambe le fibre con differente proporzione tra
i due tipi: i muscoli posturali hanno più fibre lente mentre i muscoli degli arti superiori hanno
più fibre rapide.
FASCE
FASCIA SUPERFICIALE
E' uno strato di connettivo lasso che si trova sotto la cute e contiene tessuto adiposo ed una
rete di arterie e vene superficiali, linfatici e nervi sensitivi (cutanei). Lo spessore del tessuto
adiposo può variare considerevolmente da regione a regione (es.: regione glutea vs. dorso
della mano).
FASCIA PROFONDA
E' sotto la fascia superficiale e consiste di uno strato di tessuto connettivo denso. Ha uno
spessore limitato a livello del torace e dell'addome che diventa però più spesso a livello degli
arti e del collo.
A livello del polso e della caviglia forma uno spesso strato (retinacula) che mantiene i tendini in
posizione. Questa fascia, inoltre, fornisce un attacco per i setti intermuscolari che separano i
muscoli in compartimenti.
ARTO SUPERIORE
Comprende diverse regioni contenenti fasce, muscoli, vasi e nervi:
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* Spalla
* Braccio
* Avambraccio
* Carpo
* Mano
- E' la struttura per l'attività manuale;
- Possiede una grande libertà di movimento;
- Non dovendo sopportare il peso del corpo, la sua stabilità è stata sacrificata in favore della
sua mobilità.
VISIONE GENERALE
La scapola con i suoi muscoli forma la regione scapolare mentre i muscoli che si trovano tra la
parte frontale della parete toracica e l'arto superiore (insieme con la ghiandola mammaria)
formano la regione pettorale. La scapola e la clavicola, che insieme formano il cingolo
scapolare, si articolano con l'articolazione acromioclavicolare. La clavicola si articola con il
tronco con l'articolazione sternoclavicolare e la scapola con l'omero con l'articolazione glenoomerale. Tra la parte prossimale dell'arto e la parete toracica c'è la regione ascellare dove
passano i principali vasi e nervi per l'arto. I MUSCOLI DEL BRACCIO sono disposti in due
compartimenti: anteriore (flessore) e posteriore (estensore) separati dall'omero e da setti
intermuscolari. Nella parte anteriore dell'articolazione del gomito si trova la fossa cubitale, una
regione attraversata da vasi e nervi che passano tra il braccio e l'avambraccio. I MUSCOLI
DELL' AVAMBRACCIO sono disposti in due compartimenti anteriore (flessore) e posteriore
(estensore) separati da radio, ulna e membrana interossea. L'avambraccio si articola con il
carpo a livello del polso (articolazione radiocarpale). Insieme con il retinaculum dei flessori, le
ossa del carpo formano anteriormente il tunnel carpale che unisce il compartimento anteriore
dell'avambraccio con il palmo della mano.
IL CINGOLO SCAPOLARE è formato da:
CLAVICOLA
SCAPOLA
- Funzione: connettere l'arto superiore allo scheletro assiale;
- E' incompleta posteriormente e completa anteriormente con l'attacco al manubrio dello
sterno;
- E' supportata e stabilizzata dai muscoli pettorali.
La principale funzione della clavicola è trasmettere forze dall'arto superiore allo scheletro
assiale. E' quindi sede frequente di fratture. Ricorda che la clavicola è il primo osso del corpo
che si ossifica (7^ settimana).
MUSCOLI CHE UNISCONO L'ARTO SUPERIORE AL TRONCO
Possiamo distinguere due gruppi muscolari:
ANTERIORI (mm. grande e piccolo pettorale, serrato anteriore)
POSTERIORI (mm. trapezio, grande dorsale, elevatore della scapola e romboidi)
GRUPPO ANTERIORE:
I MUSCOLI PETTORALI
GRANDE PETTORALE: forma la parete anteriore dell'ascella. Presenta due capi:
clavicolare e sternocostale che ORIGINANO rispettivamente dalla metà mediale della clavicola
e dallo sterno (corpo e manubrio) più le prime sei cartilagini costali. Si INSERISCONO nel solco
intertubercolare dell'omero. FUNZIONALMENTE è un potente adduttore e flessore del braccio
alla spalla ed anche produce una rotazione mediale dell'omero. Può anche agire come muscolo
respiratorio accessorio nella inspirazione elevando le coste. E' INNERVATO dai nervi pettorali.
E' diviso dal deltoide dalla Fossetta Infraclavicolare (Triangolo Deltopettorale) dove decorre la
vena cefalica, una delle vene superficiali del braccio.
PICCOLO PETTORALE: ORIGINA dalla 3^, 4^ e 5^ costa e si INSERISCE al processo
coracoideo della scapola. FUNZIONALMENTE stabilizza la scapola tirandola inferiormente e
anteriormente contro la gabbia toracica. E' INNERVATO dai nervi pettorali. Forma un arco sotto
cui passano i vasi ed i nervi per l'arto superiore. E' circondato dalla Fascia Clavipettorale che è
connessa e sospende la Fascia Ascellare che rappresenta il pavimento della cavità ascellare.
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SERRATO o DENTATO ANTERIORE: ORIGINA dalla 1^ alla 9^ costa e si INSERISCE al bordo
vertebrale (mediale) della scapola. Forma la parete mediale della cavità ascellare.
FUNZIONALMENTE fissa, protrae la scapola (cioè uno slittamento supero-anteriore sopra la
gabbia toracica) e la ruota durante l'abduzione dell'arto superiore. E' INNERVATO dal nervo
toracico lungo ( C5-C7).
GRUPPO POSTERIORE:
I MUSCOLI ESTRINSECI DEL DORSO
Connettono l'arto superiore alla colonna vertebrale.
TRAPEZIO: ha una lunga ORIGINE: dalla linea nucale (osso occipitale) scendendo giù sui
processi spinosi vertebrali fino a T12. Si INSERISCE nel terzo laterale della clavicola,
nell'acromion e nella spina della scapola. FUNZIONALMENTE può essere diviso in tre parti,
superiore, media ed inferiore, con diverse azioni sulla scapola: le fibre superiori elevano, quelle
medie ritraggono e quelle inferiori abbassano la scapola e la spalla. E' INNERVATO dal nervo
accessorio. Nota clinica: il nervo accessorio passa accanto ad un pacchetto di linfonodi posti
dietro il muscolo sternocleidomastoideo. Una biopsia di questi linfonodi può portare ad una
accidentale lesione del nervo con paresi del muscolo trapezio.
GRANDE DORSALE: ha una lunga ORIGINE con diversi siti di attacco: i processi spinosi di T6L5 fino al sacro, la porzione posteriore della cresta iliaca, le ultime 4 coste e l'angolo inferiore
della scapola. Tutte le fibre convergono in uno stretto tendine che si INSERISCE nel solco
intertubercolare dell'omero. FUNZIONALMENTE è un potente adduttore ed estensore dell'omero
alla spalla, particolarmente quando l'arto superiore è abdotto e flesso (ricorda il movimento di
quando ci si alza da una sedia con i braccioli: entrambi i muscoli si contraggono alzando il
tronco). Produce anche una rotazione mediale dell'omero. E' INNERVATO del nervo
toracodorsale.
ELEVATORE DELLA SCAPOLA: ha ORIGINE dai processi trasversi di C1-C4 e si INSERISCE
all'angolo superiore del bordo vertebrale della scapola. FUNZIONE: vedi muscoli romboidi.
ROMBOIDI (MAGGIORE E MINORE): prendono ORIGINE dai processi spinosi da C7 a T5 e si
INSERISCONO sul bordo vertebrale della scapola. FUNZIONALMENTE tutti e due i muscoli,
insieme all'elevatore, elevano la scapola e la fissano alla gabbia toracica. Ricorda, quindi, che
al bordo vertebrale della scapola si inseriscono con una sequenza craniocaudale l'elevatore, il
romboide minore, poi il maggiore ed infine, all'angolo inferiore, anche il grande dorsale.
MUSCOLI SCAPOLARI
E' possibile dividerli in due gruppi:
DELTOIDE: responsabile del contorno rotondo della spalla. Il suo ventre muscolare ricopre
l'articolazione della spalla e l'attacco dei muscoli scapolari brevi.
MUSCOLI SCAPOLARI BREVI: comprendono i muscoli che formano la cosiddetta cuffia dei
rotatori ed il muscolo grande rotondo. Avvolgono l'articolazione gleno-omerale della spalla.
DELTOIDE: ha una ORIGINE che parte dal terzo laterale della clavicola, passa sul processo
acromiale della scapola per poi finire posteriormente sulla spina della scapola. E' quindi
divisibile in tre parti: anteriore, laterale e posteriore. Le tre parti si INSERISCONO insieme in
una tuberosità dell'omero detta tuberosità deltoidea. FUNZIONALMENTE agisce solo
sull'articolazione della spalla dove è il principale abduttore ad opera delle fibre della parte
laterale. Agendo da sole le fibre della parte anteriore producono una flessione e rotazione
mediana dell'articolazione della spalla mentre quelle della parte posteriore producono una
estensione e rotazione laterale. E' INNERVATO dal nervo ascellare (C5-C6).
GRANDE ROTONDO: ORIGINA dall'angolo inferiore della scapola e si INSERISCE nel solco
bicipitale dell'omero. Funzionalmente abduce e ruota medialmente il braccio all'articolazione
della spalla.
CUFFIA DEI ROTATORI: è formata da quattro muscoli che costituiscono un complesso muscolotendineo che ruota l'omero e protegge l'articolazione della spalla dandole stabilità. Tutti i
muscoli si INSERISCONO nei tubercoli (maggiore e minore) dell'omero. Sono innervati da rami
del plesso brachiale. I muscoli sono:
SOPRASPINATO: inizia l'abduzione dell'arto alla spalla;
SOTTOSPINATO: ruota lateralmente l'omero;
SOTTOSCAPOLARE: ruota medialmente l'omero;
PICCOLO ROTONDO: ruota lateralmente l'omero;
Ricorda che il nervo ascellare passa insieme all'arteria circonflessa posteriore dell'omero, ramo
dell'arteria ascellare, in uno spazio quadrangolare, quadrilatero del Velpeau, tra il piccolo
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ed il grande rotondo, lateralmente al capo lungo del muscolo tricipite.
LA CAVITA' ASCELLARE
E' lo spazio tra la radice dell'arto superiore e la parete toracica. E' attraversato dai principali
vasi e nervi che forniscono l'arto superiore. La sua forma e dimensione varia a secondo della
posizione dell'articolazione della spalla. Con l'arto in posizione anatomica la sua forma può
essere paragonata ad una piramide tronca con uno stretto apice, una larga base tre pareti,
anteriore, posteriore e mediale, ed un bordo laterale.
In particolare:
-APICE: diretto medialmente, è formato dalla convergenza della clavicola (anteriormente),
scapola (posteriormente) e la 1^ costa (medialmente). Nell'intervallo fra queste strutture
passano i vasi ed i nervi per l'arto superiore;
-BASE: formata dalla fascia ascellare e dalla cute soprastante; la fascia ascellare è sospesa
dalla fascia clavipettorale che origina al di sotto della clavicola ed ingloba il muscolo pettorale
minore.
-PARETE ANTERIORE: formata dai mm. pettorali;
-PARETE POSTERIORE: formata dai muscoli sottoscapolare, grande rotondo e grande dorsale. I
muscoli della parete anteriore e posteriore convergono entrambi sull'omero
-PARETE MEDIALE: formata dalle coste ed i mm. Intercostali coperti dal muscolo serrato
anteriore;
- BORDOLATERALE: formato dal pavimento della doccia intertubercolare dell'omero in cui c'è il
tendine del capo lungo del muscolo bicipite;
CONTENUTO:
-PLESSO BRACHIALE
-VASI ASCELLARI
-LINFONODI ASCELLARI
Parte del plesso nervoso brachiale ed i vasi ascellari sono tenuti insieme da una GUAINA
ASCELLARE. Nella donna adulta in alcuni casi parte della ghiandola mammaria può entrare
nella cavità ascellare. Tutto il contenuto della cavità è immerso in un connettivo lasso con
grasso.
COMPARTIMENTO ANTERIORE DEL BRACCIO
Questo compartimento CONTIENE:
- 3 MUSCOLI: bicipite brachiale, coracobrachiale e brachiale (tutti e tre innervati dal nervo
muscolocutaneo);
- ARTERIA E VENA BRACHIALE;
- 3 NERVI: mediano, ulnare e muscolocutaneo; i primi due lo attraversano senza dare rami.
BICIPITE BRACHIALE: presenta due capi, il corto origina dal processo coracoideo della scapola,
il lungo al di sopra della cavità glenoidea, e si INSERISCONO con un unico tendine alla
tuberosità del radio. Insieme a questo tendine troviamo anche una aponeurosi bicipitale che si
fonde con la fascia profonda della parte mediale dell'avambraccio. FUNZIONALMENTE è un
flessore e supinatore dell'avambraccio (n. muscolocutaneo).
CORACOBRACHIALE: ha una ORIGINE, insieme al capo corto del muscolo bicipite, nel processo
coracoideo della scapola e si INSERISCE nella parte mediale del corpo dell'omero. E' perforato
dal nervo muscolocutaneo. FUNZIONALMENTE è un debole flessore ed adduttore del braccio
all'articolazione della spalla (n. muscolocutaneo).
BRACHIALE: è situato più profondamente rispetto ai due precedenti. Ha una ORIGINE nella
superficie anteriore della metà distale del corpo dell'omero e si INSERISCE nel processo
coronoideo dell’ulna. FUNZIONALMENTE è il principale flessore dell'avambraccio (n.
muscolocutaneo).
COMPARTIMENTO POSTERIORE DEL BRACCIO
Questo compartimento principalmente CONTIENE:
- 1 MUSCOLO: tricipite brachiale;
- ARTERIA PROFONDA DEL BRACCIO CON LA SUA VENA: l'arteria è il ramo prossimale
dell'arteria brachiale.
- 2 NERVI: radiale ed ulnare; quest'ultimo non dà rami nel braccio.
TRICIPITE BRACHIALE: presenta tre capi, lungo, laterale e mediale, che hanno ORIGINE nella
scapola, capo lungo, e nella faccia posteriore dell'omero, capi laterale e mediale. Tutti i capi
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convergono in un unico tendine che si INSERISCE nel processo olecrano dell'ulna.
FUNZIONALMENTE è il principale estensore dell'avambraccio. I tre capi sono INNERVATI da
rami del nervo radiale.
FOSSA CUBITALE
E' un'area triangolare sulla superficie anteriore del gomito. E' circondata LATERALMENTE dal
muscolo brachioradiale e MEDIALMENTE dal muscolo pronatore rotondo o teres. Per
convenzione il suo LIMITE PROSSIMALE è rappresentato da una linea immaginaria che passa
tra i due epicondili dell'omero. Il suo TETTO è formato dalla fascia profonda rinforzata dalla
aponeurosi del muscolo bicipite brachiale. Tra la fascia profonda e quella superficiale
ritroviamo:
a) rami dei nervi cutanei laterale e mediale dell'avambraccio;
b) vene superficiali, tra cui la vena mediana cubitale che unisce le due vene superficiali più
importanti, la cefalica e la basilica. Spesso la vena mediana viene scelta per il prelievo di
sangue o l'infusione endovenosa.
Il suo PAVIMENTO è formato dai muscoli brachiale e supinatore dell'avambraccio. La fossa è
attraversata da nervi e vasi che passano tra il braccio e l'avambraccio. E' un' area clinicamente
importante in quanto CONTIENE da mediale a laterale:
- Nervo Mediano
- Arteria Brachiale ed i suoi rami terminali (a. radiale e ulnare) e le vene concomitanti
- Tendine del Bicipite
- Nervo Radiale
MUSCOLI DELIMITANTI LA FOSSA CUBITALE
- SUPINATORE: forma il pavimento della regione cubitale, supina l'avambraccio (n. Radiale);
- BRACHIORADIALE: forma il confine laterale della regione cubitale, flette l'avambraccio (n.
Radiale);
- PRONATORE ROTONDO: forma il confine mediale della regione cubitale, prona l'avambraccio
e lo flette (n. Mediano).
SISTEMA MUSCOLARE DELL' AVAMBRACCIO:
ASPETTI GENERALI
L'avambraccio comprende DUE compartimenti muscolari:
ANTERIORE: Flessore-Pronatore
POSTERIORE: Estensore-Supinatore
Ciascun compartimento contiene diversi muscoli sistemati in due strati, superficiale e profondo.
COMPARTIMENTO ANTERIORE
Tutti i muscoli superficiali hanno la loro principale ORIGINE con un tendine comune
sull'epicondilo mediale dell'omero mentre la loro principale INSERZIONE distale è a livello delle
ossa del metacarpo. I muscoli profondi hanno la loro principale ORIGINE nell'ulna o nel radio e
si INSERISCONO distalmente nelle falangi. Il compartimento è VASCOLARIZZATO dalle arterie
radiale ed ulnare ed è INNERVATO dal nervo mediano, con l'eccezione il muscolo flessore
ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle dita che sono innervati dal nervo
ulnare.
COMPARTIMENTO POSTERIORE
Tutti i muscoli superficiali hanno la loro principale ORIGINE con un tendine comune
sull'epicondilo laterale dell'omero mentre la loro principale INSERZIONE distale è a livello delle
ossa del metacarpo o a livello delle falangi. I muscoli profondi hanno la loro principale ORIGINE
nell'ulna o nel radio e si INSERISCONO distalmente nelle falangi. E' un compartimento di
muscoli estensori e supinatori, ma si ritrova anche un muscolo flessore (m. brachioradiale). Il
compartimento è VASCOLARIZZATO dall'arteria interossea posteriore (ramo dell'art. ulnare) ed
è INNERVATO dal nervo radiale e dai suoi rami. Il nervo radiale innerva anche l'unico muscolo
flessore del compartimento (m. brachioradiale) ed è questa la maggiore eccezione alla regola
che il nervo radiale innerva solo muscoli estensori. L'estensione del pollice crea una
depressione nell'aspetto posterolaterale del polso chiamata "Tabacchiera Anatomica". In
questa zona nasce la vena cefalica superficialmente e passa l'arteria radiale.
COMPARTIMENTO ANTERIORE DELL'AVAMBRACCIO
VISIONE GENERALE
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Il compartimento anteriore dell'avambraccio comprende due gruppi muscolari, superficiale e
profondo, che comprendono:
- vari muscoli FLESSORI per il polso, le dita e il pollice;
- due muscoli che agiscono come PRONATORI.
Il compartimento è attraversato dai nervi ulnare e mediano e dalle arterie radiale ed ulnare
con le loro vene concomitanti che lo vascolarizzano. Tutto il compartimento è avvolto dalla
fascia profonda che a livello del polso si ispessisce a formare il retinaculum dei flessori che
forma il tetto del TUNNEL CARPALE, nel cui interno passano i tendini dei flessori ed il nervo
mediano prima di entrare nel palmo della mano. La fascia superficiale contiene nervi cutanei ed
i tributari alle vene cefalica e basilica.
MUSCOLI SUPERFICIALI
Sono, da laterale a mediale: pronatore rotondo, flessore radiale del carpo, palmare lungo che
può essere anche assente e flessore ulnare del carpo. Possiamo includere in questo gruppo
anche il muscolo flessore superficiale delle dita che, però, è coperto dagli altri muscoli
superficiali. Tutti i muscoli superficiali hanno la loro principale ORIGINE prossimale con un
tendine comune sull'epicondilo mediale dell'omero. La loro INSERZIONE distale è a livello delle
ossa del metacarpo con l'eccezione del m. pronatore rotondo, che si inserisce sul corpo del
radio, e del m. palmare lungo, che si inserisce sulla aponeurosi palmare. Il flessore superficiale
delle dita, inoltre, dà distalmente 4 tendini che passano nel tunnel carpale e si inseriscono alle
falangi intermedie dal 2° al 5° dito.
FUNZIONALMENTE sono principalmente dei muscoli flessori. In particolare:
- Pronatore Rotondo: prona l'avambraccio e lo flette;
- Flessore Radiale del Carpo: flette la mano e la abduce;
- Palmare Lungo: debole flessore della mano;
- Flessore Ulnare del Carpo: flette la mano e la adduce;
- Flessore Superficiale delle Dita: flette le falangi intermedie delle 4 dita.
MUSCOLI PROFONDI
Sono i muscoli flessore lungo del pollice, flessore profondo delle dita ed il pronatore quadrato.
Hanno ORIGINE dall'ulna o dal radio e dalla membrana interossea, si INSERISCONO
distalmente nelle falangi distali delle dita.
IMPORTANTE:
Tutti i muscoli anteriori dell'avambraccio sono innervati dal NERVO MEDIANO, ECCETTO il
muscolo flessore ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle dita che sono
innervati dal NERVO ULNARE.
COMPARTIMENTO POSTERIORE DELL'AVAMBRACCIO
VISIONE GENERALE
Il compartimento posteriore dell'avambraccio si viene a trovare dietro il radio, l'ulna e la loro
membrana interossea. Anche per il compartimento posteriore ritroviamo due gruppi muscolari,
superficiale e profondo, che comprendono principalmente MUSCOLI ESTENSORI e
SUPINATORI. Contiene, cioè, i muscoli estensori del polso e delle dita, gli estensori e
l'abduttore lungo del pollice, i muscoli brachioradiale e supinatore. Si ritrova anche un muscolo
flessore (m. brachioradiale). Il compartimento è VASCOLARIZZATO dall'arteria interossea
posteriore (ramo dell'art. ulnare) ed INNERVATO dal nervo radiale e da i suoi rami. Tutto il
compartimento è avvolto dalla fascia profonda che a livello del polso si inspessisce a formare il
retinaculum degli estensori.
MUSCOLI SUPERFICIALI
I quattro muscoli estensori superficiali hanno la loro principale ORIGINE prossimale con un
tendine comune sull'epicondilo laterale dell'omero (ricorda che sull'epicondilo mediale, invece,
si inseriscono i flessori del compartimento anteriore!). La loro INSERZIONE distale è a livello
delle ossa del metacarpo o a livello delle falangi (l'estensore delle dita si sfiocca in 4 tendini
interconnessi da una banda fibrosa). Il muscolo brachioradiale, inoltre, ha una propria origine a
livello della superficie laterale distale dell'omero ed una inserzione nel processo stiloideo del
radio. FUNZIONALMENTE sono principalmente dei muscoli estensori. In particolare:
ESTENSORI LUNGO E BREVE RADIALI DEL CARPO: estendono ed abducono la mano al polso;
ESTENSORE DELLE DITA E DEL 5° DITO
ESTENSORE ULNARE DEL CARPO: estende ed abduce la mano al polso;
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BRACHIORADIALE: flette l'avambraccio e lo ruota da una posizione di completa pronazione o
supinazione ad una posizione intermedia fra le due. Ricorda che questo muscolo forma il
confine laterale della regione cubitale ed è innervato dal nervo radiale. IMPORTANTE: questa è
la maggiore eccezione alla regola che il nervo radiale innerva solo muscoli estensori.
NOTA BENE:
1) in aggiunta al loro ruolo primario, i tre estensori del carpo danno un importante contributo
nel determinare una potenza di presa della mano fissando il polso in una posizione ottimale,
mentre i flessori lunghi agiscono sulle dita. Osserva, infatti, che con il polso e le articolazioni
metacarpofalangee ed interfalangee flesse, i muscoli flessori sono accorciati e meno stirati e
quindi più deboli, mentre con il polso ed il metacarpo esteso i muscoli flessori sono più
allungati, più stirati e quindi più forti. Questo produce una maggiore forza di presa per la
mano.
2) osserva come i muscoli Radiali del carpo (estensori o flessori) oltre alla loro principale
azione portano ad una Abduzione, mentre i muscoli Ulnari del carpo (estensori o flessori) oltre
alla loro principale azione portano ad una Adduzione.
MUSCOLI PROFONDI
E' una serie di 5 muscoli, tutti INNERVATI dal nervo radiale:
- 3 MUSCOLI sono principalmente estensori ed agiscono sulle articolazioni della mano
(estensore breve e lungo del pollice ed estensore dell'indice);
-1 MUSCOLO (abduttore lungo del pollice) che produce principalmente una abduzione del
pollice;
- 1 MUSCOLO (supinatore) che porta alla supinazione dell'avambraccio. Forma il pavimento
della regione cubitale.
L'estensione del pollice crea una depressione nell'aspetto posterolaterale del polso chiamata
"Tabacchiera Anatomica". Questa zona anatomica è limitata dai tendini anteriormente
dell'abduttore lungo del pollice e dell'estensore breve del pollice e posteriormente
dall'estensore lungo del pollice. In questa zona nasce la vena cefalica superficialmente e passa
l'arteria radiale.
SISTEMA VASCOLARE DELL'ARTO SUPERIORE
VISIONE GENERALE
A livello della radice del collo l'arteria ascellare è continuazione dell'arteria succlavia che deriva
dal tronco brachiocefalico a destra o direttamente dall'arco dell'aorta a sinistra. Nel BRACCIO
l'arteria ascellare si continua in un unico tronco che prende il nome di arteria brachiale che a
sua volta si divide a livello dell'AVAMBRACCIO in una arteria radiale ed in una arteria ulnare.
Queste due ultime arterie forniscono anche la vascolarizzazione alla MANO e si anastomizzano
tra di loro attraverso un arco palmare profondo ed uno superficiale. Si ricorda che l'arteria
succlavia passa, prima di diventare ascellare, in una zona anatomica importante detta LOGGIA
DEGLI SCALENI. Questa area è delimitata posteriormente dal muscolo scaleno medio,
anteriormente dal muscolo scaleno anteriore ed in basso dalla prima costa. All'interno di
questo spazio passa il plesso brachiale e, più anteriormente, l'arteria succlavia. La vena
succlavia, invece, passa al davanti del muscolo scaleno anteriore e quindi non è compresa nella
loggia degli scaleni. L'importanza anatomica della zona deriva dal fatto che in uno spazio così
ristretto passano strutture nervose e vascolari rilevanti che, quindi, possono essere compresse.
Questo riguarda soprattutto l'arteria succlavia. Vi sono varie possibilità per cui l'arteria
succlavia può essere compressa in questa zona: presenza di una costa cervicale, abnorme
inserzione del muscolo scaleno medio, etc... Inoltre queste stesse strutture passano
successivamente attraverso un'altra zona ristretta: lo spazio costoclavicolare, cioè tra la prima
costa e la clavicola. Come nell'arto inferiore, nell'arto superiore abbiamo un sistema venoso
superficiale ed uno profondo. Le VENE PROFONDE accompagnano le arterie della mano e
dell'avambraccio e consistono di un sistema anastomotico di più vene. L'arteria brachiale può
essere accompagnata da una o più vene, ma c'è normalmente una singola vena ascellare che
drena, attraverso la vena succlavia, nella vena brachiocefalica. Le VENE SUPERFICIALI sono
spesso visibili attraverso la cute e quelle situate nell'avambraccio e nel dorso della mano sono
usate per prelievi di sangue ed infusioni. Le principali vene superficiali sono la vena basilica,
più mediale e che si getta nella vena brachiale, e la vena cefalica, più laterale e che si getta
nella vena succlavia a livello della fossetta infraclavicolare (triangolo
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deltopettorale, tra i muscoli deltoide e grande pettorale). Le due vene, basilica e cefalica, sono
interconnesse a livello del tetto della fossa cubitale da una vena mediana cubitale. I sistemi
venosi profondo e superficiale sono interconnessi da vene che presentano valvole che
indirizzano il flusso dal sistema profondo a quello superficiale, al contrario di quanto accade
nell'arto inferiore.
SISTEMA ARTERIOSO
ARTERIA ASCELLARE
L'arteria succlavia si continua come arteria ascellare dietro il bordo laterale della prima costa.
All'inizio l'arteria ascellare è posteriore alla vena ascellare poi, più distalmente vicino all'omero,
diventa laterale alla vena. L'arteria ascellare e le parti del plesso brachiale che la circondano
sono uniti insieme dalla GUAINA ASCELLARE. Per convenzione il decorso dell'arteria ascellare si
può dividere in tre parti:
a) PRIMA, b) DIETRO e c) DOPO il muscolo piccolo pettorale. La sua pulsazione può essere
sentita nella porzione laterale-inferiore dell'ascella. Insieme all'arteria poplitea è
particolarmente suscettibile alla rottura (movimenti violenti, traumi). Distalmente al bordo
inferiore del muscolo grande rotondo l'arteria si continua come arteria brachiale. I RAMI DELLA
ARTERIA ASCELLARE vascolarizzano le pareti della cavità ascellare e le strutture adiacenti:
Arteria toracica superiore: è nel primo tratto; vascolarizza la parete mediale dell'ascella e si
anastomizza con le arterie mammaria interna ed intercostali.
Arteria toracoacromiale: è nel secondo tratto; vascolarizza la parete anteriore dell'ascella e
parte della ghiandola mammaria; perfora la fascia clavipettorale e si divide in 4 rami:pettorale,
acromiale, clavicolare e deltoideo.
Arteria toracica laterale: vascolarizza la parete anteriore dell'ascella e parte della ghiandola
mammaria; nella donna è più grossa e dà importanti rami mammari laterali. E' anastomizzata
con l'arteria mammaria interna e sottoscapolare.
Arteria sottoscapolare: è il ramo più grosso; vascolarizza la parete posteriore dell'ascella; poco
dopo la sua origine emette una grossa arteria circonflessa della scapola.
Arterie omerali circonflesse anteriore e posteriore: passano lateralmente e circondano il collo
chirurgico dell'omero. Vascolarizzano l'articolazione della spalla e la parte superiore del
braccio. Esiste un importante CIRCOLO ANASTOMOTICO formato dalla comunicazione tra la
branca scapolare circonflessa, ramo dell'arteria sottoscapolare, e la branca soprascapolare del
tronco tireocervicale, ramo dell'arteria succlavia.
ARTERIA BRACHIALE (OMERALE)
E' la continuazione dell'arteria ascellare distalmente al muscolo grande rotondo e vascolarizza
il compartimento anteriore del braccio. Nella parte superiore del braccio l'arteria brachiale con
le sue vene è accompagnata dai nervi mediano ed ulnare. Prosegue poi distalmente ponendosi
medialmente al muscolo bicipite ed anteriormente ai muscoli coracobrachiale e brachiale.
L'arteria brachiale termina normalmente più in profondità nella fossa cubitale dividendosi in
due rami: l'arteria radiale ed ulnare. Dà importanti rami:
Arteria profonda del braccio: origina dalla superficie posteriore dell'arteria brachiale e
vascolarizza il compartimento posteriore del braccio dove si accompagna con il nervo radiale.
Dà origine a diversi altri rami: un ramo ascendente deltoideo (che si anastomizza con l'arteria
omerale circonflessa posteriore); due rami discendenti detti collaterale media e radiale che
contribuiscono al circolo anastomotico attorno al gomito.
Arterie collaterali ulnari superiore ed inferiore: sono due rami discendenti. Il primo (superiore)
si anastomizza con l'arteria ricorrente ulnare posteriore; il secondo (inferiore) si anastomizza
con l'arteria ricorrente ulnare anteriore. Entrambe, quindi, concorrono al circolo anastomotico
attorno al gomito.
ARTERIA RADIALE
Nella parte laterale del compartimento anteriore dell'avambraccio l'arteria radiale passa tra il
muscolo brachioradiale ed i muscoli flessori. Poco dopo l'origine dà un ramo ascendente,
l'arteria ricorrente radiale, che si anastomizza con la collaterale radiale dell'arteria brachiale
profonda. Nella porzione inferiore dell'avambraccio l'arteria si accompagna con i rami
superficiali del nervo radiale. A livello del polso è molto superficiale ed è palpabile contro la
superficie anteriore del radio. L'arteria passa più dorsalmente nella tabacchiera anatomica per
poi passare, dal dorso della mano, nel palmo della mano dove forma l'arco palmare profondo.
Questo arco palmare profondo ha dei rami perforanti che lo anastomizzano con l'arco palmare
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superficiale. Nell'avambraccio vascolarizza principalmente i muscoli flessori e contribuisce alla
rete anastomotica attorno alle articolazioni del gomito e del polso.
ARTERIA ULNARE
L'arteria ulnare, il ramo più grosso dell'arteria brachiale, passa profondamente fra i muscoli
flessori superficiali e profondi. Nella parte distale dell'avambraccio l'arteria si accompagna sul
suo lato mediale con il nervo ulnare e si trova sotto il muscolo flessore ulnare del carpo. A
livello del polso emerge insieme all' omonimo nervo lateralmente al tendine del flessore ulnare
del carpo, passa poi al di sopra del retinacolo dei flessori (tetto del tunnel carpale) e passa
nella mano dove si continua come arco palmare superficiale. Nella faccia anteriore
dell'avambraccio vascolarizza principalmente i muscoli flessori e contribuisce alla rete
anastomotica attorno alle articolazioni del gomito e del polso. E' inoltre anche responsabile
della vascolarizzazione della faccia posteriore dell'avambraccio attraverso il suo ramo più
importante che è l'arteria interossea comune. Questo ramo nasce subito dopo l'origine
dell'arteria ulnare e immediatamente si divide in un ramo interosseo anteriore ed uno
posteriore. L' arteria interossea posteriore entra nel compartimento posteriore
dell'avambraccio passando al di sopra della membrana interossea e si pone tra i muscoli
superficiali e profondi di questo compartimento vascolarizzandoli. Dà anche un ramo ricorrente
che sale posteriormente. L'arteria interossea anteriore, più larga, rimane invece nel
compartimento anteriore al di sopra della membrana interossea vascolarizzando i muscoli
flessori profondi. Inoltre due rami ricorrenti nascono subito dopo l'origine dell'arteria ulnare:
l'arteria ricorrente ulnare anteriore (che si anastomizza con l'arteria collaterale ulnare inferiore)
e l'arteria ricorrente ulnare posteriore (che si anastomizza con l'arteria collaterale ulnare
inferiore).
ANASTOMOSI DELL'ARTO SUPERIORE
SPALLA
1) a. succlavia ---> tronco tireo-cervicale ---> a. soprascapolare, anastomosi con a.
sottoscapolare, ramo dell'arteria ascellare
2) a. succlavia ---> a. cervicale trasversa profonda, anastomosi con a. circonflessa della
scapola, ramo della a. sottoscapolare, ramo dell'a. ascellare
3) a. ascellare ---> a. acromio-toracica ---> a. toracica superiore, anastomosi con a.
mammaria interna, ramo dell'a. succlavia, e con a. mammaria esterna, ramo dell'a. ascellare
4) a. ascellare ---> a. circonflessa anteriore dell'omero, anastomosi con a. circonflessa
posteriore dell'omero, ramo dell'a. ascellare
BRACCIO
1) a. omerale ---> a. omerale profonda ---> a. collaterale radiale, anastomosi con a. ricorrente
radiale, ramo dell'a. radiale
2) a. omerale ---> a. collaterale ulnare ---> ramo superiore e inferiore, anastomosi con,
rispettivamente, a. ricorrente ulnare posteriore e anteriore, rami dell'a. ulnare
MANO
I) a. ulnare ---> a. carpico-palmare ulnare, anastomosi con a. carpico-palmare radiale, ramo
dell'a. radiale
2) a. ulnare ---> a. carpico-dorsale ulnare, anastomosi con a. carpico-dorsale radiale, ramo
dell'a. radiale
3) a. ulnare ---> a. palmare profonda ulnare, anastomosi con a. palmare profonda radiale,
ramo dell'a. radiale
4) a. ulnare ---> a. palmare superficiale ulnare, anastomosi con a. palmare superficiale
radiale, ramo dell'a. radiale
SISTEMA VENOSO
Le vene dell'arto superiore sono divise in due gruppi: superficiali e profonde. E' importante
ricordare che, come per l'arto inferiore, i due gruppi sono in comunicazione tra di loro
attraverso dei rami perforanti. Al contrario dell'arto inferiore, però, le valvole all'interno di
questi rami perforanti sono disposte in modo che il sangue refluo possa andare dalla profondità
in superficie. Le principali vene superficiali sono la vena basilica, più mediale, che si getta nella
vena brachiale, e la vena cefalica, più laterale, che si getta nella vena succlavia a livello della
fossetta infraclavicolare. Le due vene, basilica e cefalica, sono interconnesse a livello del tetto
della fossa cubitale da una vena mediana cubitale.
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VENA ASCELLARE
Le vene brachiali che accompagnano l'arteria brachiale si uniscono con la vena basilica nella
parte superiore del braccio e si continuano come vena ascellare sopra il bordo inferiore del
muscolo grande rotondo. La vena sale medialmente alla arteria ascellare passando dietro il
muscolo grande pettorale ed incrocia il margine laterale della prima costa per continuarsi come
VENA SUCCLAVIA. La vena succlavia passa al davanti del muscolo scaleno anteriore (ricorda
che l'arteria succlavia con il plesso brachiale passa dietro al muscolo scaleno anteriore nella
loggia degli scaleni, questo quindi contiene l'arteria ma non la vena succlavia). Si ricorda che la
vena succlavia ha una grande importanza clinica in quanto è una vena che viene spesso
cateterizzata in caso di urgenze o di alimentazione parenterale. I rapporti anatomici di questa
vena hanno quindi una grande importanza pratica. La vena succlavia viene generalmente
cateterizzata per via percutanea sottoclavicolare.
SISTEMA NERVOSO DELL'ARTO SUPERIORE
VISIONE GENERALE
L'innervazione dell'arto superiore deriva dal PLESSO BRACHIALE che è formato da una rete di
strutture nervose derivanti dalle ultime 4 radici spinali cervicali e dalla prima toracica (quindi,
da C5 a T1). Le 5 radici spinali formano tre tronchi che emergono, con l'arteria succlavia, tra i
muscoli scaleno medio e scaleno anteriore, e cioè nella "loggia degli scaleni". Le strutture
nervose poi passano dietro la clavicola (spazio costoclavicolare) ed entrano nell'ascella dove,
dopo essersi anastomizzate fra di loro, danno origine dietro al muscolo piccolo pettorale a 5
branche nervose terminali: 3 più ANTERIORI (nervi muscolocutaneo, mediano ed ulnare che
forniscono l'innervazione ai muscoli flessori del braccio, avambraccio e mano e alla cute sopra
il compartimento dei flessori); 2 più POSTERIORI (nervi ascellare e radiale che forniscono
l'innervazione ai muscoli estensori della spalla, braccio e avambraccio alla cute della faccia
posteriore dell'arto superiore). Nel cavo ascellare tra le branche nervose anteriori e quelle
posteriori ritroviamo l'arteria ascellare. A livello più periferico alcuni di questi nervi
contraggono un rapporto con strutture ossee: il nervo ascellare con il collo dell'omero; il nervo
radiale con il corpo del terzo mediale dell'omero; il nervo ulnare con l'epicondilo mediale
dell'omero; il nervo radiale, con il suo ramo interosseo posteriore, con il collo del radio.
Ovviamente un danno a queste strutture ossee può danneggiare l'adiacente nervo periferico.
NERVO ASCELLARE (C5-C6)
Il nervo ascellare e l'arteria circonflessa posteriore dell'omero passano attraverso i muscoli
grande e piccolo rotondo nello "spazio quadrangolare". Nel suo decorso è strettamente
correlato al collo del omero e alla capsula dell'articolazione della spalla. Innerva i muscoli
deltoide e piccolo rotondo, l'articolazione della spalla e la cute sopra la parte inferiore del
deltoide. Una dislocazione dell'articolazione della spalla può danneggiare questo nervo
producendo una debolezza nella abduzione.
NERVO MUSCOLOCUTANEO (C5-C6)
Questo nervo in maniera caratteristica perfora il muscolo coracobrachiale e si pone tra i
muscoli bicipite e brachiale. Innerva in senso motorio tutti e tre questi muscoli. Il nervo si
continua distalmente come nervo cutaneo laterale dell'avambraccio il quale perfora la fascia
profonda tra il bicipite ed il brachioradiale per disporsi superficialmente sopra la fossa cubitale.
Questo ramo sensitivo innerva la cute del margine radiale dell'avambraccio.
NERVO MEDIANO (C6-T1)
Il nervo mediano ed il nervo ulnare percorrono l'intera lunghezza del braccio senza mai dare
rami al di sopra dell'articolazione del gomito. Nella parte superiore del braccio il nervo mediano
si pone lateralmente all'arteria brachiale mentre a metà del braccio passa al di sopra
dell'arteria e si pone medialmente ad essa, una posizione che mantiene anche nella fossa
cubitale. Il nervo entra nell'avambraccio attraverso la fossa cubitale tra i due capi del muscolo
pronatore rotondo. Successivamente passa sopra l'arteria ulnare e discende verso il carpo tra i
muscoli flessori superficiali e profondi. A livello del polso il nervo è piuttosto superficiale
ponendosi medialmente al tendine del flessore radiale del carpo. Passa, quindi, nella mano
attraverso il tunnel carpale dove in particolari situazioni può essere compresso. Il nervo
mediano innerva in senso motorio tutti i muscoli del compartimento anteriore dell'avambraccio,
eccetto il flessore ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle dita che sono
invece innervate dal nervo ulnare. Per una lesione del nervo mediano non si riesce a flettere
l'indice ed il medio ed ad opporre il pollice (mano "benedicente"). Nell'avambraccio dà un ramo
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(sensitivo) cutaneo palmare che innerva la cute del palmo della mano, escluso il margine
ulnare: regioni palmari del pollice, indice, medio e la metà laterale dell'anulare. Per queste
stesse dita innerva inoltre la cute della parte dorsale della sola falange distale.
NERVO ULNARE (C7-T1)
Come per il nervo mediano anche l'ulnare non dà rami a livello del braccio. Inizialmente si
pone medialmente all'arteria brachiale per poi, a metà del braccio, allontanarsi e perforare il
setto intermuscolare ed entrare nel compartimento posteriore del braccio dove si pone vicino al
capo mediale del muscolo tricipite. Passa, quindi, dietro l'epicondilo mediale ed entra nel
compartimento anteriore dell'avambraccio tra i due capi del muscolo flessore ulnare del carpo.
Attraversa il compartimento anteriore dell'avambraccio lungo il suo lato mediale
accompagnandosi con l'arteria ulnare che gli sta lateralmente. In prossimità del polso il nervo
si porta più superficialmente emergendo lateralmente al tendine del flessore ulnare del carpo.
Passa, quindi, al di sopra del retinacolo dei flessori (tetto del tunnel carpale dentro cui invece
passa il nervo mediano) insieme all'arteria ulnare. Il nervo termina nella mano dividendosi in
rami superficiali e profondi. Innerva l'articolazione del gomito ed i muscoli flessore ulnare del
carpo e la parte mediale del flessore profondo delle dita. Dà, inoltre, rami sensitivi cutaneo
palmare e dorsale che innervano rispettivamente la cute del lato ulnare del palmo della mano,
della metà mediale dell'anulare e del mignolo e la parte dorsale delle stesse zone.
NERVO RADIALE (C5-C8)
Il nervo radiale, ramo posteriore del plesso brachiale, passa al di sotto del muscolo grande
rotondo e tra l'omero ed il capo lungo del tricipite. Innerva tipicamente i muscoli estensori
dell'arto con una eccezione, il brachioradiale che è un flessore. Nel compartimento posteriore
del braccio passa tra i capi mediale e laterale del tricipite e contrae rapporto con il corpo
dell'omero. Lascia poi il compartimento posteriore perforando il setto intermuscolare laterale e
raggiungendo la parte laterale della fossa cubitale. Nel braccio il nervo radiale dà rami
muscolari per i capi del tricipite e rami cutanei sensitivi per la parte laterale del braccio e la
parte posteriore dell'avambraccio. Anteriormente al gomito il nervo si pone tra il brachiale ed il
brachioradiale e si divide in un ramo superficiale ed in uno profondo. Il RAMO SUPERFICIALE si
continua distalmente attraverso l'avambraccio coperto dal muscolo brachioradiale. Poi diventa
più superficiale vicino al polso ed attraversa la tabacchiera anatomica. Questo ramo termina
con rami sensitivi per il lato laterale del dorso della mano. Il RAMO PROFONDO o nervo
interosseo posteriore, più grosso, entra nel compartimento posteriore dell'avambraccio
passando attraverso i due capi del muscolo supinatore. Questo ramo profondo dà rami per le
articolazioni del gomito, radio-ulna e polso ed innerva la maggioranza dei muscoli del
compartimento posteriore dell'avambraccio (estensori). I muscoli brachioradiale, flessore
dell'avambraccio, ed estensore radiale lungo del carpo sono direttamente innervati da rami del
radiale che provengono dal braccio.
LINFONODI DELL'ARTO SUPERIORE
VISIONE GENERALE
La maggioranza dei linfatici superficiali dell'arto superiore drena nei linfonodi ascellari, benché
della linfa dalla parte mediale dell'avambraccio prima di raggiungere questa stazione viene
raccolta in un piccolo gruppo di linfonodi presenti vicino alla parte mediale della fossa cubitale.
Nella regione della spalla della linfa può passare attraverso i linfonodi sopra o sotto clavicolari.
Anche i vasi linfatici profondi drenano nei linfonodi ascellari. Dai linfonodi ascellari la linfa viene
drenata nel tronco linfatico succlavio e da qui, a destra nel dotto linfatico o a sinistra nel dotto
toracico.
LINFONODI ASCELLARI
Nella cavità ascellare sono presenti da 20 a 30 linfonodi. Sono organizzati in 5 gruppi
principali;
1) GRUPPO PETTORALE: da 3 a 5 linfonodi situati lungo la parete mediale dell'ascella attorno ai
vasi toracici laterali. Ricevono linfa dalla parete toracica anteriore, inclusa la mammella.
2) GRUPPO LATERALE: da 4 a 6 linfonodi situati nella parete laterale dell'ascella, medialmente
e posteriormente alla vena ascellare. Ricevono linfa dall'arto superiore.
3) GRUPPO SOTTOSCAPOLARE: da 6-7 linfonodi situati nella parete posteriore dell'ascella.
Riceve linfa dalla regione scapolare e parte della parete toracica posteriore.
4) GRUPPO CENTRALE: 3-4 grossi linfonodi che ricevono linfa dai tre gruppi precedenti. I vasi
efferenti vanno nel gruppo apicale.
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5) GRUPPO APICALE; linfonodi situati all'apice della cavità ascellare, lungo il lato mediale della
vena ascellare. Riceve linfa da tutti i gruppi precedenti ed i suoi vasi efferenti vanno nel tronco
linfatico succlavio.
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NOME: Arto inferiore.
AVVERTENZE GENERALI:
- Preparare solo le strutture muscolari; i rami vascolari e nervosi di cui si è trattato a lezione.
- Si consiglia l'uso frequente di un atlante di anatomia umana.
- Per quanto riguarda lo studio dei vari muscoli trattati è necessario sapere per ciascuno:
a) la propria origine ed inserzione ossea (senza particolari dettagli sulla zona ossea);
b) il tipo di movimento prodotto;
c) vascolarizzazione ed innervazione.
- Conoscere le radici nervose dei vari nervi trattati con in generale anche la loro zona di
innervazione cutanea.
PRINCIPI GENERALI DI MIOLOGIA
1. La maggioranza dei muscoli si estende da un osso all'altro ed incrocia almeno una
articolazione.
2. I punti di connessione muscolo-osso sono chiamati Origine (attacco all'osso più stazionario)
ed Inserzione (attacco all'osso che ha maggior movimento); la porzione più ampia del muscolo
è detta Ventre.
3. I muscoli si comportano come membri di un gruppo che compie movimenti specifici (muscoli
Sinergici), mentre i muscoli che compiono movimenti opposti tra di loro sono detti Antagonisti.
4. I muscoli hanno una grande varietà di forme:
Pennati (unipennati, bipennati, multipennati)
Paralleli
Convergenti
Circolari
5. Quando un muscolo si contrae di solito applica una Forza a delle Leve (come le ossa) che di
conseguenza si muovono. Le articolazioni funzionano da Fulcro.
6. In base al tipo le contrazioni muscolari vengono dette:
Isometriche: la lunghezza dei muscoli non cambia, mentre ne aumenta la tensione (es.:
muscoli posturali);
Isotoniche: la tensione dei muscoli è costante mentre cambia la loro lunghezza (es.:
movimenti delle braccia).
La maggior parte delle contrazioni muscolari risulta dalla combinazione di entrambi i tipi.
7. Le fibre muscolari possono dividersi in due gruppi:
FIBRE A CONTRAZIONE LENTA: metabolismo aerobio, ben vascolarizzati, grandi quantità di
mioglobina. Si contraggono più lentamente ma sono più resistenti alla fatica;
FIBRE A CONTRAZIONE RAPIDA: metabolismo anaerobio, meno vascolarizzati, grandi quantità
di glicogeno. Si contraggono più rapidamente ma non sono resistenti alla fatica. La
maggioranza dei muscoli umani è composta da entrambe le fibre con differente proporzione tra
i due tipi: i muscoli posturali hanno più fibre lente mentre i muscoli degli arti superiori hanno
più fibre rapide.
FASCE
FASCIA SUPERFICIALE
E' uno strato di connettivo lasso che si trova sotto la cute e contiene tessuto adiposo ed una
rete di arterie e vene superficiali, linfatici e nervi sensitivi (cutanei). Lo spessore del tessuto
adiposo può variare considerevolmente da regione a regione (es.: regione glutea vs. dorso
della mano).
FASCIA PROFONDA
E' sotto la fascia superficiale e consiste di uno strato di tessuto connettivo denso. Ha uno
spessore limitato a livello del torace e dell'addome che diventa però più spesso a livello degli
arti e del collo.
A livello del polso e della caviglia forma uno spesso strato (retinacula) che mantiene i tendini in
posizione. Questa fascia, inoltre, fornisce un attacco per i setti intermuscolari che separano i
muscoli in compartimenti.
ARTO INFERIORE
Funzioni:
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Locomozione
Sopportare il peso del corpo
Mantenere l'equilibrio
Divisibile:
Anca (Ilio, Ischio e Pube)
Coscia (Femore)
Gamba (Tibia e Fibula)
Piede (Tarso, Metatarso e Falangi)
I COMPARTIMENTI MUSCOLARI DELL'ARTO INFERIORE
L'arto inferiore è coperto dalla cute, dalla fascia superficiale con nervi e vasi, e da una spessa
fascia profonda detta "Fascia Lata". I setti intermuscolari separano i muscoli in precisi
compartimenti. Ciascun compartimento contiene muscoli con una comune azione ed, in
genere, un comune fascio neurovascolare.
COSCIA: 3 compartimenti
Anteriore
Posteriore
Mediale
GAMBA: 3 compartimenti
Anteriore
Posteriore
Laterale
PIEDE: 2 compartimenti
Dorsale
Plantare
ORIGINI ED INSERZIONI DEI MUSCOLI NEI VARI COMPARTIMENTI REGIONE GLUTEA
Comprende mm. che hanno origine a vari livelli nell'ileo e si inseriscono a vari livelli nella parte
prossimale del femore.
COSCIA
COMP. ANTERIORE: comprende muscoli che hanno origine sia a livello del femore, i tre mm.
Vasti, che più rostrale, ileo o vertebre lombari, mm. ileopsoas, sartorio, tensore della fascia
lata, retto. L'ileopsoas si inserisce nella porzione prossimale del femore, tutti i muscoli del
quadricipite convergono in un unico tendine che contiene la patella e si inserisce sulla tibia, il
sartorio nella porzione mediale della testa della tibia, il tensore nel tratto ileo-tibiale, che si
inserisce poi lateralmente nella testa della tibia.
COMP. MEDIALE: comprende muscoli che danno tutti una origine ischio-pubica e che si
inseriscono tutti a vari livelli della superficie posteriore del femore con l'eccezione del m.
gracile che termina nella porzione mediale della testa della tibia.
COMP. POSTERIORE: comprende muscoli che hanno tutti una comune origine nella tuberosità
ischiatica ed una inserzione nella porzione mediale-posteriore della testa della tibia, mm.
semitendinoso e semimembranoso, o lateralmente nella testa della fibula, m. bicipite
femorale.
GAMBA
COMP. ANTERIORE: comprende mm. che hanno una origine nella testa della tibia o nella
porzione prossimale della fibula e si inseriscono nelle ossa del piede.
COMP. LATERALE: comprende mm. che hanno una origine a vario livello nella fibula e si
inseriscono nelle ossa del piede.
COMP. POSTERIORE: comprende mm. che hanno una origine nei condili del femore (m.
gastrocnemio) o a vari livelli della tibia e fibula (m. soleo, tibiale posteriore, flessore lungo) e
una inserzione nelle ossa del piede.
MUSCOLI DELLA REGIONE GLUTEA
GRANDE GLUTEO: estende la coscia (n. gluteo inf.)
GLUTEO MEDIO E MINIMO: abducono e ruotano medialmente la coscia (n. gluteo sup.)
PIRIFORME, OTTURATORE INT., GEMELLI: ruotano lateralmente la coscia estesa e la abducono
quando è flessa.
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MUSCOLI DELLA COSCIA
Organizzati in tre grandi gruppi:
ANTERIORE (ileopsoas, tensor fasciae latae, sartorio e quadricipite)
MEDIALE (pettineo, gracile e gli adduttori grande, breve e lungo)
POSTERIORE (semitendinoso, semimembranoso e bicipite femorale)
Questi gruppi sono separati tra loro da tre setti fasciali intermuscolari che derivano dalla Fascia
Lata.
Gruppo Anteriore
ILEOPSOAS: è il più forte flessore della coscia sull'anca. Agisce anche nella flessione del tronco
(n. Femorale e nn. Lombari).
TENSOR FASCIAE LATAE: abduce, ruota medialmente e flette la coscia. Tende la fascia lata (n.
Gluteo Sup.).
SARTORIO: Flette e ruota lateralmente la coscia all' anca e flette la gamba al ginocchio (n.
Femorale).
QUADRICIPITE: estende la gamba. Il retto aiuta l'iliopsoas a flettere la coscia (n. Femorale).
Gruppo Mediale
PETTINEO: adduce e flette la coscia (n. femorale)
ADDUTTORI LUNGO, BREVE E GRANDE, E GRACILE: adduttori della coscia (n. otturatorio)
Gruppo Posteriore
SEMITENDINOSO E SEMIMEMBRANOSO: estendono la coscia, flettono la gamba e la ruotano
medialmente (n. tibiale).
BICIPITE FEMORALE: flette la gamba e la ruota lateralmente (n. tibiale e n. peroneo comune)
FASCE DELLA COSCIA
FASCIA SUPERFICIALE: sotto il derma con tessuto connettivo lasso. Vi passano nervi cutanei e
vasi, vene grande e piccola safena.
FASCIA PROFONDA: è detta Fascia Lata con tessuto connettivo denso. Avvolge come una
calzamaglia i muscoli della coscia. Inizia alla radice della coscia ed è molto spessa lateralmente
dove forma il Tratto ileotibiale che finisce nel condilo laterale della tibia. Questo tratto include il
muscolo tensore della fascia lata. In alto presenta una apertura dove la grande vena safena
passa nella vena femorale. Il margine mediale di questa apertura è liscio e smusso, mentre i
bordi superiore laterale e inferiore sono un margine a falce, margine falciforme. Questo
margine è unito a quello mediale da un tessuto fibroadiposo detto Fascia Cribrosa.
TRIANGOLO FEMORALE DI SCARPA
Appare come una depressione nel terzo medio della coscia al di sotto del legamento inguinale
quando la coscia è flessa attivamente sull'anca.
Contiene: i vasi femorali ed il nervo femorale con le sue branche.
E' delimitato:
- medialmente dal m. adduttore lungo;
- superiormente dal legamento inguinale;
- interamente dal m. sartorio;
- posteriormente dai mm. adduttore lungo, pettineo e iliopsoas.
E' coperto superiormente dalla fascia lata che include la fascia cribrosa.
I vasi femorali ed il nervo femorale arrivano nel triangolo femorale attraverso due vie distinte:
la Lacuna dei Muscoli, che contiene il nervo femorale, e la Lacuna dei Vasi, che contiene i vasi
femorali. La lacuna dei muscoli non è niente altro che il muscolo iliaco con la sua fascia (iliaca)
sotto la quale si trova il nervo femorale. La lacuna dei vasi è lo spazio più antero-mediale
rispetto alla lacuna dei muscoli e comprende la Guaina Femorale nel cui interno troviamo i vasi
femorali.
LA GUAINA FEMORALE
Le parti prossimali dei vasi femorali vengono fasciate da una fascia a forma di imbuto detta
Guaina Femorale che NON include il nervo femorale. Questa guaina è un prolungamento
inferiore delle fasce dell'addome, la fascia trasversale anteriormente e quella iliaca
posteriormente, ed è coperta superiormente dalla fascia lata. La guaina femorale presenta due
setti che la suddividono in tre compartimenti: laterale, con l'art. femorale; intermedio, con la
vena femorale; mediale, uno spazio con qualche linfonodo detto CANALE FEMORALE.
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Il Canale Femorale ha una sua apertura addominale detta ANELLO FEMORALE ed una più
distale a livello dello sbocco della safena. L'anello femorale è largo circa 1 cm ed è chiuso da
grasso extraperitoneale. E' un'area di debolezza della parete addominale anteriore, parti di
piccolo intestino possono entrare all'interno provocando una ernia femorale.
CANALE DEGLI ADDUTTORI o DI HUN'IER
E' un tunnel fasciale che provvede un passaggio intermuscolare attraverso cui i vasi femorali
passano nella fossa poplitea diventando vasi poplitei. Inizia dove il m. sartorio passa sopra al
m. adduttore lungo e finisce come iato adduttorio nel tendine del m. grande adduttore. E'
delimitato:
- anteriormente dal m. sartorio
- posteromedialmente dai mm. adduttore lungo e grande
- lateralmente dal m. vasto mediale
Contiene i vasi femorali ed il nervo safeno
FOSSA POPLITEA
E' uno spazio a forma di losanga dietro al ginocchio. Contiene i principali vasi e nervi che
passano tra la coscia ed i compartimenti posteriore e laterale della gamba. Vi si può
riconoscere un tetto, 4 pareti ed un pavimento.
Tetto: posteriore, è formato dalle fasce superficiale e profonda. Nella fascia superficiale
troviamo il nervo cutaneo della coscia che si continua nella gamba e la piccola vena safena che
perfora la fascia profonda e si getta nella vena poplitea.
Pavimento: anteriore, è formato dalla superficie poplitea del femore, dal lig. popliteo obliquo e
da una spessa fascia fibrosa.
Pareti: circondano tutta la fossa. Le pareti superiori sono formate dai tendini divergenti del m.
semimembranoso e semitendinoso, medialmente, e del m. bicipite femorale, lateralmente. Le
pareti inferiori sono formate dai capi laterale e mediale del m. gastrocnemio.
CONTENUTO: i principali componenti, immersi in tessuto adiposo, comprendono l'arteria e la
vena poplitea e le due branche terminali del nervo sciatico: il n. peroneo comune ed il n.
tibiale. Questi componenti sono responsabili della vascolarizzazione e della innervazione della
gamba e del piede.
MUSCOLI DELLA GAMBA
La gamba è divisa in tre compartimenti:
Anteriore (estensore, inversione)
Laterale (eversione)
Posteriore (flessore)
Gruppo Anteriore
TIBIALE ANTERIORE: estensione dorsale ed inversione del piede (n. peroneo profondo)
ESTENSORE LUNGO DELLE DITA E DELL'ALLUCE (n. peroneo profondo)
Gruppo Laterale
PERONEO o FIBULARE LUNGO E BREVE: eversione del piede (n. peroneo superficiale)
Gruppo Posteriore divisibile in due gruppi tutti innervati dal n. tibiale:
SUPERFICIALE:
GASTROCNEMIO
SOLEO, flessione plantare del piede
PROFONDO:
FLESSORE LUNGO DELLE DITA E DELL'ALLUCE
TIBIALE POSTERIORE
SISTEMA VASCOLARE DELL'ARTO INFERIORE
VISIONE GENERALE
Le ARTERIE GLUTEE SUPERIORI ED INFERIORI, rami della iliaca interna, vascolarizzano la
regione glutea. Un altro ramo della arteria iliaca interna, ARTERIA OTTURATORIA, contribuisce
a vascolarizzare il compartimento mediale della coscia. Il principale vaso arterioso che
vascolarizza tutto l'arto inferiore è, però, una continuazione dell'arteria iliaca esterna:
l'ARTERIA FEMORALE. Poco dopo il triangolo femorale, l'arteria femorale dà un grosso ramo
collaterale, L'ARTERIA FEMORALE PROFONDA, che con i suoi rami perforanti si porta nel
compartimento posteriore della coscia. L'arteria femorale attraversa e vascolarizza tutto il
compartimento anteriore e mediale della coscia per poi passare posteriormente dietro il
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ginocchio nella fossa poplitea, dove diventa arteria poplitea. Abbandonata questa fossa si
divide in una arteria tibiale anteriore, che passa nel compartimento anteriore della gamba e
continua sul dorso del piede come arteria pedidia, ed in una arteria tibiale posteriore, che
attraversa il compartimento posteriore della gamba per poi dividersi nelle arterie plantari
mediali e laterali che vascolarizzano la zona plantare. L'arteria tibiale posteriore dà un ramo,
arteria peroneale, che si occupa della vascolarizzazione del compartimento laterale della
gamba. Abbiamo delle importanti reti anastomofiche a livello del collo del femore, del
ginocchio, della caviglia e tra il compartimento dorsale e plantare del piede.
Esistono due sistemi venosi anastomizzati tra di loro: un sistema superficiale (vena grande e
piccola safena) ed uno profondo che segue il decorso delle arterie. Il sistema superficiale
confluisce nel sistema profondo. La vena femorale si continua come vena iliaca esterna. Le
vene glutee accompagnano e confluiscono nella vena iliaca interna.
SISTEMA ARTERIOSO
ARTERIA OTTURATORIA
E' un ramo dell'arteria iliaca interna. Attraversa il canale otturatorio dividendosi in un ramo
anteriore ed uno posteriore. Il ramo anteriore contribuisce alla vascolarizzazione dei muscoli
adduttori.
ARTERIA FEMORALE
E' la continuazione della art. iliaca esterna. Passa nella coscia sotto il ligamento inguinale
attraverso la "lacuna dei vasi" e si ritrova nel triangolo femorale dove è laterale alla vena
femorale. Al di sotto del ligamento inguinale dà i seguenti rami:
art. epigastrica superficiale: mediale, si anastomizza con i rami dell'art. epigastrica inferiore.
art. circonflessa superficiale: laterale, si anastomizza con la circonflessa iliaca profonda.
art. pudende esterne superficiale e profonda: mediali, si anastomizzano con l'art. pudenda
interna.
Nel triangolo femorale l'art. femorale dà origine nella sua parte laterale alla arteria femorale
profonda che è la principale arteria della coscia. Quest'ultima corre lateralmente alla arteria
femorale, poi passa posteriormente discendendo dietro al muscolo adduttore lungo. E' il più
importante affluente ai muscoli adduttori, estensori e flessori. Dà i seguenti rami:
art. circonflessa laterale
art. circonflessa mediale: che vascolarizza la testa del femore;
art. perforanti: sono tre e perforano l'inserzione del grande adduttore per raggiungere la
regione posteriore della coscia. L'arteria femorale, prima di passare posteriormente attraverso
il canale e lo iato degli adduttori e diventare arteria poplitea, lascia un ramo che rimane
anteriore: l'arteria discendente o suprema del ginocchio, che successivamente si divide in un
ramo articolare ed uno safeno.
ARTERIA POPLITEA
Percorre la fossa poplitea per poi dividersi in un ramo che passa anteriormente, art. tibiale
anteriore, ed uno che rimane posteriore, art tibiale posteriore. Nella fossa poplitea dà degli
importanti rami che formano un plesso anastomotico attorno al ginocchio. I rami principali
sono:
art. articolare superiore laterale e mediale: girano sopra i condili articolari del femore e si
portano anteriormente dove si anastomizzano. L'art. mediale si anastomizza anche con l'art.
discendente del ginocchio.
art. articolare inferiore laterale e mediale: come quelle superiori si portano anteriormente dopo
aver girato attorno ai condili della tibia. Si anastomizza inoltre con l'art. ricorrente tibiale
anteriore e l'art. discendente del ginocchio.
ARTERIA TIBIALE ANTERIORE
Origina dall'art. poplitea al margine inferiore del cavo popliteo, attraversa la parte alta della
membrana interossea tra tibia e fibula e si porta anteriormente. Scende già nella gamba prima
davanti alla membrana interossea per poi spostarsi più medialmente sopra la tibia nella parte
inferiore della gamba. Si continua sopra il dorso del piede come art. dorsale del piede o
pedidea. I suoi rami principali sono:
art. ricorrente tibiale posteriore ed anteriore : originano prima, la posteriore, o dopo,
l'anteriore, dal passaggio dell'art. tibiale anteriore attraverso la membrana interossea. Come
indicato dal nome entrambe risalgono anastomizzandosi con la rete vascolare attorno al
ginocchio.
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art. malleolare anteriore mediale e laterale: originano a livello della caviglia distribuendosi
attorno all'articolazione ed anastomizzandosi con i rami della art. tibiale posteriore. Si forma
così un plesso attorno alla caviglia.
ARTERIA PEDIDEA
Segue il lato tibiale del dorso del piede e si dirige nel primo spazio intermetatarsale dove
termina come art. metatarsale dorsale. I suoi rami principali sono:
art. tarsale mediale e laterale: il ramo laterale si anastomizza con l'art. arcuata;
art. arcuata: si dirige lateralmente sopra le ossa metatarsali formando un arco da cui nascono
le altre arterie metatarsali dorsali. Ciascuna di queste arterie ha dei rami perforanti che si
dirigono verso la pianta del piede.
art. plantare profonda: origina più distalmente dalla art. arcuata. E' un ramo perforante che si
dirige nella pianta del piede.
ARTERIA TIBIALE POSTERIORE
E' la diretta continuazione dell'arteria poplitea. Scende posteriormente nella gamba e si porta
dietro il malleolo mediale dando origine alle arterie plantari mediale e laterale. Il suo ramo
principale è l' art. peroneale o peroniera. Questo ramo origina più in basso della fossa poplitea
e si dirige obliquamente verso la fibula e scende nella gamba. A livello della caviglia dà rami
malleolari laterali. L'arteria peroneale è il principale vaso del compartimento laterale della
gamba. I suoi rami terminali sono le arterie plantari mediale e laterale situate nella pianta del
piede. Quella laterale dà una arcata plantare che a sua volta dà origine ad arterie metatarsali
plantari. Esistono importanti rami perforanti che mettono in comunicazione l'arco dorsale con
quello plantare.
SISTEMA VENOSO
Le vene dell'arto inferiore sono divise in due gruppi: superficiali e profonde. E' importante
ricordare che i due gruppi sono in comunicazione tra di loro attraverso dei rami perforanti. Le
valvole all'interno di questi rami perforanti sono disposte in modo che il sangue refluo possa
andare dalla superficie in profondità e NON viceversa. In particolare: quando i muscoli si
contraggono le valvole impediscono al sangue di andare in superficie ma solo verso l'alto;
quando i muscoli si rilassano si produce una vera aspirazione di sangue dalle vene superficiali a
quelle profonde. Questo fenomeno riguarda tutto l'arto inferiore con l'esclusione del piede dove
il flusso è diretto in senso contrario, dalla profondità in superficie. Il cattivo funzionamento di
queste valvole venose porta ad un afflusso di sangue dalla profondità in superficie con
ingrossamento della rete superficiale dette vene varicose.
RETE PROFONDA : le vene profonde sono satelliti delle omonime arterie e ne seguono il
decorso.
RETE SUPERFICIALE
: è formata dalle vene grande e piccola safena che si trovano sopra la
fascia profonda o lata.
Vena Grande Safena: origina dalla arcata venosa dorsale, passa al davanti del malleolo
mediale (Ricorda che posteriormente a questo malleolo mediale passa invece l'art. tibiale
posteriore) e poi sale in alto, postero-medialmente al condilo mediale della tibia e del femore,
nella superficie mediale della coscia fino ad arrivare sul tetto del triangolo femorale che buca
per gettarsi nella vena femorale.
Vena Piccola Safena: inizia dietro il malleolo laterale e poi sale nella regione posteriore della
gamba. Arrivata sul tetto della fossa popiltea, lo perfora e si getta nella sottostante vena
poplitea a 3-5 cm. sopra l'articolazione del ginocchio. Ha rami anastomotici con la vena grande
safena.
RICORDA:
Grande vena Safena: inizia anteriormente al malleolo mediano
Piccola vena Safena: inizia posteriormente al malleolo laterale
POLSI FEMORALI DELL'ARTO INFERIORE
POLSO FEMORALE: Si palpa al centro dell'arcata crurale
POLSO POPLITEO: Si palpa con le due mani, lateralmente alla linea mediana, nella fossa
poplitea
POLSO TIBIALE POSTERIORE: Si palpa con l'indice e il medio dietro il malleolo interno
POLSO PEDIDIO: Due o tre dita dell'esaminatore sono poste sulla superficie dorsale del piede,
al punto medio dell'articolazione tibio-tarsica.
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SEMEIOTICA VENOSA DELL'ARTO INFERIORE
Manovra di Rima-Trendelenburg:
Stabilisce la piena funzionalitàdella vena grande safena
-la gamba in esame viene sollevata per fare collabire le vene superficiali
-si applica un laccio emostatico alla radice della coscia
-si fa assumere al paziente la posizione eretta
-normalmente la vena presenta una lieve ectasia
-si toglie il laccio: se le valvole sono insufficienti le vene tenderanno a riempirsi rapidamente
dall'alto verso il basso
Rileva l'esistenza di occlusioni venose profonde
Prova di Perthes:
-viene applicato un laccio alla radice della coscia
-si fa camminare il paziente
-in caso di normalità le vene superficiali si svuotano perchè vie venose profonde assicurano il
ritorno venoso in modo sufficiente
-in caso di occlusione della rete venosa profonda, il deflusso delle vene superficiali è bloccato,
le vene vanno incontro ad ectasia per cui il paziente lamenta una tensione dolorosa al
polpaccio
ANASTOMOSI VASCOLARI
Chiusura dell'arteria iliaca comune:
Dall'arteria sacrale media anastomosi con le arterie sacrali laterali, rami dell'arteria iliaca
interna ---> arteria iliaca interna ---> controcorrente ---> arteria iliaca esterna ---> arteria
femorale
Chiusura dell'arteria iliaca esterna:
Dai rami terminali dell'arteria glutea inferiore o ischiatica, ramo infero mediale e ramo intero
laterale, anastomosi ---> arteria circonflessa laterale del femore e arterie perforanti, rami
dell'arteria femorale profonda ---> arteria femorale profonda
Anastomosi dell'anca:
Arteria femorale profonda ---> arterie circonflesse mediale e laterale del femore, anastomosi
tra loro, arteria circonflessa laterale del femore anastomosi ---> arteria otturatoria ---> arteria
iliaca interna o ipogastrica
Arteria epigastrica inferiore ---> arteria otturatoria ---> arteria ipogastrica o iliaca interna
Anastomosi del ginocchio:
Dall'arteria femorale parte l'arteria discendente o suprema del ginocchio che vascolarizza il
ginocchio insieme alle arterie articolari superiori, inferiori, media e tibiale anteriore con i suoi
rami ricorrenti, tutti rami dell'arteria poplitea.
SISTEMA NERVOSO DELL'ARTO INFERIORE
VISIONE GENERALE
I nervi dell'arto inferiore derivano dai plessi lombare e sacrale. Il nervo femorale fornisce
l'innervazione al compartimento anteriore della coscia mentre il nervo otturatorio ne innerva il
compatimento mediale. Il nervo sciatico con le sue branche (n. tibiale e n. peroneo comune)
innerva il compartimento posteriore della coscia e tutti i compartimenti della gamba e del
piede. La distribuzione delle aree sensitive nel soggetto in posizione anatomica è diversa
dall'ordine presente nell'arto superiore in quanto l'arto inferiore è un arto stabilmente pronato.
NERVO GLUTEO SUPERIORE (L4-S1)
E' motore per i muscoli medio e piccolo gluteo e tensore fasciae latae. Dà rami sensitivi per la
regione glutea.
NERVO GLUTEO INFERIORE (L5-S2)
E' motore per il muscolo grande gluteo e dà rami sensitivi per la regione glutea.
NERVO FEMORALE (L2-L4)
Entra nella coscia sotto il ligamento inguinale nella "lacuna dei muscoli" sopra il muscolo
ileopsoas e lateralmente alla guaina femorale. Dopo un breve percorso nel triangolo femorale
si sfiocca subito in diversi rami superficiale, n. cutanei della coscia che innervano gran parte
della faccia anteriore della coscia, e rami profondi, rami per il m. quadricipite. Si continua
verso la gamba come nervo safeno che entra nel canale degli adduttori. Il nervo safeno si
porta superficialmente ed accompagna la vena grande safena innervando la cute della parte
mediale della gamba.
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NERVO OTTURATORIO (L2-L4)
Entra nel compartimento mediale della coscia attraverso il canale otturatorio e subito si divide
in due rami: anteriore e posteriore. Dà principalmente l'innervazione motoria per il gruppo
degli adduttori, tranne per la porzione posteriore del m. grande adduttore che è innervata dal
n. tibiale. Dà rami sensitivi per l'articolazione dell'anca e del ginocchio.
NERVO SCIATICO (L4-S3)
Entra posteriormente nella coscia attraverso il grande forame ischiatico ed emerge a livello del
bordo inferiore del m. grande gluteo. Discende posteriormente nella coscia innervando i
muscoli di questo compartimento. Nel terzo distale della coscia si divide in due rami:
n. tibiale, che continua nel compartimento posteriore della gamba e dà rami motori per quei
muscoli e rami sensitivi (n. surale) per la porzione laterale della gamba.
n. peroneo comune, che discende lateralmente sotto il m. bicipite femorale ed entra nel
compartimento laterale della gamba passando attorno alla testa della fibula. Poi si divide in
altri due rami:
a) N. peroneo profondo, che entra nel compartimento anteriore della gamba innervando i suoi
muscoli. Seguendo il decorso dei vasi tibiali anteriori entra nel compartimento dorsale del
piede;
b) N. peroneo superficiale, che dopo aver innervato i muscoli del compartimento laterale della
gamba passa nel compartimento anteriore lateralmente al ramo profondo. In prossimità del
piede buca la fascia profonda e si fa superficiale dando rami sensitivi per la parte anterolaterale della gamba e del piede.
MUSCOLARI/INNERVAZIONE PRINCIPALE
COSCIA
Comp. Anteriore n. Femorale
Comp. Mediale n. Otturatorio
Comp Posteriore n. Tibiale e Peroneo comune
GAMBA
Comp. Anteriore n. Peroneo Profondo
Comp. Laterale n. Peroneo Superficiale
Comp. Posteriore n. Tibiale
1: eccezione il m. Tensore Fascia Lata: n. Gluteo sup.
2: eccezione il m. Pettineo: n. Femorale
LINFONODI INGUINALI
Drenano linfa dall'arto inferiore, perineo, parte della parete addominale anteriore fino
all'ombelico, regione glutea e parte del canale anale. Divisi in: superficiali e profondi
SUPERFICIALI
Gruppo Prossimale: situati nella fascia superficiale, 1 cm inferiormente al ligamento inguinale;
Gruppo Distale: situati lungo i due lati della grande vena safena, i vasi efferenti da questo
gruppo passano la fascia cribrosa, drenano nei linfonodi iliaci esterni e nei linfonodi inguinali
profondi.
PROFONDI
Situati sotto il tetto del triangolo femorale, Linfonodo di Cloquet. Drenano nei linfonodi iliaci
esterni.
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NOME: Occhio.
POSIZIONE: Si trova nella regione anteriore della testa, al di sotto della fronte ed ai lati della
radice del naso.
Pesa 7 G ed ha forma sferoidale. Il segmento sferico anteriore ha raggio
CARATTERISTICHE:
di curvatura pari a 8 MM, il segmento sferico posteriore ha raggio di curvatura pari a 12 MM. Il
diametro anteroposteriore del bulbo oculare è l’asse anatomico che unisce il centro della
cornea a quello della sclera, l’asse ottico è quel tratto dell’asse anatomico compreso fra cornea
e retina, l’asse visivo o linea della visione corrisponde al percorso dei raggi luminosi che dal
centro della cornea passano dal punto nodale e raggiungono la fovea centralis. L’asse visivo
non coincide con l’asse ottico ma diverge lateralmente e indietro di 7°. L’equatore è una
circonferenza giacente sul piano perpendicolare all’asse anatomico ed equidistante dai poli.
L’occhio è formato dalla tonaca fibrosa, dalla tonaca vascolare e dalla tonaca nervosa o retina.
All’interno dell’occhio si trovano la camera anteriore, la camera posteriore e la camera vitreale.
La camera anteriore è delimitata anteriormente dalla faccia posteriore della cornea e
posteriormente dalla superficie anteriore dell’iride. La camera posteriore è un piccolo spazio
anelliforme a sezione triangolare, delimitato perifericamente dai processi ciliari, anteriormente
dalla faccia posteriore dell’iride, posteriormente dalle fibre zonulari. La camera vitreale occupa
lo spazio compreso fra il cristallino e la retina. Nella camera anteriore e posteriore circola
l’humor acqueo, nella camera vitreale vi è il corpo vitreo, questi materiali agiscono quali mezzi
diottrici.
-
TONACA FIBROSA : è l’involucro più esterno del bulbo oculare, comprende la sclera,
opaca, e la cornea, trasparente, il confine tra cornea e sclera prende il nome di orlo
sclerocorneale o limbus.
o SCLERA: Una membrana molto resistente, di natura connettivale, ha funzione di
protezione e di sostegno delle altre membrane oculari, su di essa si inseriscono i
tendini dei muscoli estrinseci dell’occhio. Ha un colorito bianco esternamente,
bruno internamente a causa della lamina fusca. Ha uno spessore di circa 2 MM la
zona di minor spessore è a livello del punto di uscita delle fibre del nervo ottico e
prende il nome di lamina cribrosa della sclera. Attorno a questa si trovano altri
piccoli fori per il passaggio dei vasi e dei nervi. La superficie esterna della sclera
è a contatto con la fascia del bulbo o capsula di Tenone, una lamina connettivale
connessa con la base dell’orbita. Nella sua porzione più anteriore la sclera è
rivestita esternamente dalla congiuntiva che inizia a livello dell’orlo
sclerocorneale e termina in corrispondenza del fornice congiuntivale. La sclera è
formata, superficialmente, da fascetti di tessuto connettivo lasso con qualche
fibra elastica, profondamente, da fasci connettivali più compatti e disposti in
strati incrociati perpendicolarmente. Nel complesso il connettivo che forma la
sclera è fibroso denso.
o CORNEA: Continua posteriormente con la sclera. La superficie anteriore,
convessa, è direttamente in rapporto con l’ambiente esterno. La superficie
posteriore, concava, limita in avanti la camera anteriore dell’occhio. La
caratteristica della cornea è quella di essere perfettamente trasparente,
costituendo uno dei più importanti mezzi diottrici. Sclera e cornea si affrontano
secondo un piano obliquo per cui la superficie anteriore della cornea è meno
estesa della posteriore, mentre avviene l’inverso per la sclera. La cornea è
particolarmente robusta contribuendo alla protezione delle parti interne
dell’occhio. La cornea è priva di vasi sanguigni, le sostanze nutritizie pervengono
dall’ humor acqueo. La cornea si divide in 5 strati, l’epitelio corneale, la
membrana limitante anteriore, lo stroma corneale, la membrana limitante
posteriore e l’endotelio.
-
TONACA VASCOLARE : La tonaca vascolare dell’occhio o uvea è una membrana
connettivale ricca di vasi la cui funzione è nutrire la retina. Si suddivide in corioidea,
corpo ciliare e iride.
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o
o
o
-
CORIOIDEA: Ha colorito brunastro per la presenza di cellule pigmentate e vasi
sanguigni. La sua superficie esterna è connessa alla sclera tramite la lamina
sovracorioidea, ricca di lacune linfatiche dette spazio pericorioidale.
Internamente è a contatto con la parete ottica della retina, posteriormente
presenta un foro per il passaggio del nervo ottico. Dal punto di vista strutturale
si distinguono la lamina sovracorioidea, formata da sottili lamelle collagene con
cellule pigmentate, lo strato vascolare, con vasi di grosso e medio calibro, lo
strato coriocapillare, costituito da una fitta rete di capillari frammisti a fibrille
collagene, la lamina vitrea o membrana di Bruch, formata da uno strato di fibre
elastiche e collagene.
CORPO CILIARE : è la continuazione anteriore della corioidea, inizia a livello
dell’ora serrata, linea sinuosa di confine fra la parte ottica e ciliare della retina. È
suddiviso in una zona posteriore, detta orticolo ciliare, la cui superficie interna
appare del tutto simile alla corioidea tranne per la presenza di sottili pieghe
radiali, una zona anteriore, detta corona ciliare, caratterizzata da piccoli rilievi
radiali detti processi ciliari. Questi hanno forma di clava con la parte espansa
rivolta verso il margine ciliare dell’iride e la parte assottigliata verso l’orbicolo
ciliare. Sono separati da piccole depressioni dette vallecole, lungo le quali si
dispone l’apparato sospensore del cristallino o zonula ciliare di Zinn. La faccia
esterna del corpo ciliare è costituita dal muscolo ciliare, i cui fasci esterni sono
longitudinali, muscolo di Brucke, i fasci interni sono anulari, muscolo di Muller, i
fasci intermedi sono obliqui, fibre radiali. La contrazione del muscolo ciliare
sposta in avanti il corpo ciliare e determina un allentamento delle fibre della
zonula, aumentando la convessità del cristallino. Il rilasciamento del muscolo
ciliare sposta in dietro il corpo ciliare e mette in tensione le fibre della zonula,
provocando una diminuzione della convessità del cristallino. La superficie interna
del corpo ciliare è rivestita dalla parte ciliare della retina, risulta costituita da uno
strato più esterno di cellule pigmentate e da uno strato più interno di cellule
cilindriche. Queste cellule sono secernenti e a stretto contatto fra di loro.
IRIDE : è la porzione più anteriore della tonaca vascolare e si presenta come un
diaframma di confine tra la camera anteriore e posteriore. Il centro dell’iride è
occupato da un foro, la pupilla. Si considerano una faccia anteriore, volta verso
la camera anteriore e visibile attraverso la cornea, una faccia posteriore, guarda
verso la camera posteriore e poggia sul cristallino, un margine ciliare ed un
margine pupillare. La faccia anteriore ha colore variabile a seconda della
pigmentazione delle cellule dello stroma. La faccia posteriore ha aspetto
vellutato e colore nero. Per quello che concerne la struttura nell’iride si
susseguono l’endotelio, lo stroma e la parte iridea della retina.
TONACA NERVOSA : la tonaca nervosa o retina è la membrana più interna del bulbo
oculare, applicata su tutta la superficie interna dell’uvea fino al margine pupillare
dell’iride. L’ora serrata divide la retina in una parte posteriore o ottica e in una parte
anteriore o cieca. In ambedue le parti è costituita da due foglietti sovrapposti, il
foglietto esterno o epitelio pigmentato, che riposa sulla faccia interna della tonaca
vascolare ed è formato da uno strato semplice di cellule epiteliali pigmentate, e il
foglietto interno, che nella parte ottica ha struttura nervosa e nella parte cieca ha
struttura epiteliale. Il foglietto interno della parte ottica della retina propriamente detta
si presenta come una sottile membrana trasparente, all’esame oftalmoscopico ha
colorito rosso bruno per il trasparire dello strato pigmentato dei vasi corioidei. La papilla
del nervo ottico si trova nel settore nasale della retina medialmente al polo posteriore
dell’occhio, spostata leggermente in basso, è una regione biancastra, rotondeggiante,
dalla quale emergono i vasi retinici e convergono le fibre nervose retiniche. La macula
lutea si trova lateralmente al polo posteriore dell’occhio, ha forma ellittica e colorito
giallastro. Presenta al centro una piccola depressione, la fovea centralis, sulla quale si
trovano solamente i coni. La retina propriamente detta è formata dallo strato dei
fotorecettori, coni e bastoncelli, lo strato delle cellule bipolari e lo strato delle cellule
multipolari. Questi vengono ulteriormente suddivisi in epitelio pigmentato, strato dei
coni e dei bastoncelli, membrana limitane esterna, strato dei granuli esterni, strato
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plessiforme esterno, strato dei granuli interni, strato plessiforme interno, strato delle
cellule multipolari, strato delle fibre nervose, membrana limitante interna.
I fotorecettori svolgono l'importante funzione di trasduzione, sono cioè cellule sensibili
alla luce in grado di trasformare il segnale luminoso in informazione chimica e quindi
elettrica. Si distinguono due tipi di fotorecettori: i coni e i bastoncelli, in entrambi è
possibile distinguere al microscopio il segmento esterno, che contiene le membrane
specializzate in cui ha sede il pigmento fotosensibile, il segmento interno, ricco di
mitocondri, il nucleo. Fra nucleo e mitocondri c'è una continua collaborazione per
produrre nuove molecole di pigmento mano mano che queste vengono scisse, i
fotorecettori sono collegati alle cellule bipolari attraverso il piede sinaptico. Fra coni e
bastoncelli non ci sono differenze sostanziali, ma solo differenze che riguardano la
forma del segmento esterno, nel caso dei bastoncelli questo è costituito da un
"sacchettino" che contiene impilati i dischi contenenti il pigmento, nel caso dei coni la
membrana plasmatica si ripiega a fisarmonica. In entrambi si ha un'enorme espansione
delle membrane che accolgono il pigmento. Tranne che nella fovea in cui prevalgono i
coni, che sono in tutto circa 6-7 milioni, nel resto della retina i bastoncelli sono assai più
numerosi, 120 milioni.
Qui di seguito vengono forniti i caratteri distintivi dal punto di vista funzionale:
Bastoncello: Maggior quantità di pigmento, Risposta lenta, Tempo di
integrazione lungo in grado di rilevare singoli quanti, Risposta che tende a
saturarsi, Non selettivo rispetto alla direzione dello stimolo, Vie retiniche ad alta
convergenza, Sensibilità elevata, Bassa acuità visiva, Un solo tipo di pigmento
per cui la visione è acromatica
Cono: Minor quantità di pigmento, Risposta rapida tempo di integrazione breve,
Non in grado di rilevare singoli quanti, Risposta che non tende a saturarsi,
Selettivo rispetto alla direzione dello stimolo, Vie retiniche a bassa convergenza,
Sensibilità bassa, Acuità visiva elevata, 3 tipi di pigmenti per cui la visione è
cromatica
I coni sono più abbondanti nelle specie diurne, mentre i bastoncelli predominano nelle
specie notturne. Sia i coni che i bastoncelli contengono nei loro segmenti esterni dei
fotopigmenti, i bastoncelli, tutti fra loro funzionalmente identici, possiedono la
rodopsina, mentre i coni dell'uomo sono di tre tipi e possiedono fotopigmenti diversi, sia
i segmenti esterni dei coni che quelli dei bastoncelli sono comunque orientati in modo
tale da consentire un'intercettazione ottimale dei quanti di luce che li attraversino. Le
ripiegature a dischi sovrapposti della membrana esterna sono un espediente che
consente a fotoni, eventualmente sfuggiti alla "cattura", di essere recuperati dai
segmenti successivi. L'assorbimento della luce avviene attraverso una complessa serie
di reazioni, scoperte da George Wald, premio Nobel 1967. La rodopsina è una proteina
inserita nel doppio strato lipidico della membrana dei dischi di cui costituisce oltre
l'80%, si tratta di una proteina coniugata, costituita da una parte proteica, opina, e da
un gruppo prostetico, retinale che deriva dalla vitamina A. L'assorbimento della luce
provoca una variazione della struttura tridimensionale della molecola, che a sua volta
provoca una iperpolarizzazione nel potenziale di membrana del fotorecettore, è
importante notare che sia i coni che i bastoncelli rispondono alla luce con
un'iperpolarizzazione, a differenza di quanto accade per la maggior parte dei recettori
che rispondono allo stimolo emettendo un segnale, i fotorecettori, invece sono attivi in
sua assenza e inattivi in sua presenza. La loro risposta, inoltre, è graduata e la loro
durata dipende da quella dello stimolo, potenziali analoghi si trovano anche in altre
cellule della retina.
NERVO OTTICO : è formato dall’unione delle fibre nervose delle cellule multipolari della retina
che convergono nella papilla ottica. Questa si presenta come un piccolo disco biancorosato
leggermente ovalare. Il nervo ottico è lungo circa 50 MM ed è suddiviso a seconda dei rapporti
che contrae, ha una parte intrabulbare, una orbitaria, una canalicolare ed una intracranica. La
porzione intrabulbare è costituita dalle fibre che seguono la papilla ottica, sono amieliniche e si
raccolgono in fascetti che passano per l’orifizio della corioidea e per la lamina cribrosa della
sclera. Qui acquistano la guaina mielinica ed emergono avvolte dalla durale, dall’aracnoide e
dalla piale, tutte continuazioni delle meningi. La porzione orbitaria ha una prima curva a
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convessità mediale e una seconda curva a convessità laterale per evitare lo stiramentento del
nervo in seguito ai movimenti oculari. In questo tratto contrae rapporto con il ganglio ciliare e i
vasi centrali della retina. La porzione canalicolare attraversa il canale ottico contraendo
rapporto con le radici della piccola ala dello sfenoide, alle quali è fissato dalla dura madre, e
con l’arteria oftalmica. Nella parte intracranica il nervo raggiunge il chiasma ottico al davanti
della sella turcica, qui perde il rivestimento durale e rimane circondato dall’aracnoide e dalla
pia madre.
SISTEMA DIOTTRICO
: è costituito dall’insieme dei mezzi rifrangenti che i raggi luminosi
attraversano per raggiungere la retina.
- CRISTALLINO : è un piccolo organo di derivazione ectodermica, privo di vasi sanguiferi,
trasparente, con forma di lente biconvessa e di diametro di 10 MM. La faccia posteriore
è assai più convessa di quella anteriore, il margine anulare del cristallino, detto
equatore, dà inserzione alle fibre dell’apparato sospensore del cristallino o zonula ciliare
di Zinn. Il cristallino ha rapporto anteriormente con la faccia posteriore dell’iride ed il
foro pupillare, posteriormente è accolto nella fossa ialoidea del corpo vitreo. È l’unico
organo del sistema diottrico in grado di modificare il proprio raggio di curvatura ed
adattare la propria capacità rifrattiva al variare della distanza dell’oggetto osservato.
Questo meccanismo, detto accomodazione, è reso possibile dal rilasciamento o dalla
tensione delle fibre della zonula ciliare, la contrazione determina un appiattimento delle
facce del cristallino, il rilasciamento aumenta la curvatura delle facce. Il cristallino è
costituito da una capsula o cristalloide dalla quale è interamente avvolto, al di sotto si
trova l’epitelio del cristallino al quale segue la sostanza del cristallino. Il cristalloide è
una membrana continua di aspetto omogeneo e struttura lamellare, è costituita in larga
parte da collagene. L’epitelio del cristallino è monostratificato con cellule basse e
poligonali che aumentano di volume a livello dell’equatore. Le fibre del cristallino si
organizzano a formare lamelle concentriche saldate da una sostanza cementante di
natura mucoprotidica. Con le loro estremità si riuniscono ai raggi di due figure stellari
costituite dalla sostanza cementante e determinate dal suo modo di disporsi. La parte
centrale o nucleo è formata da fibre anucleate e ricca di sostanza cementante anista.
- HUMOR ACQUEO: è un liquido trasparente contenuto nella camera anteriore e
posteriore dell’occhio, circonda dunque: la cornea, il foro pupillare, il cristallino ed il
corpo vitreo. Ha una pressione osmotica superiore a quella del sangue e una
concentrazione di anioni nettamente superiore, mentre le proteine ed il glucosio sono
presenti in quantità assai più bassa. Vi si trovano rarissimi elementi figurati del sangue
per lo più linfociti durante i processi infiammatori. La produzione dell’humor acqueo si
compie sia per diffusione ed osmosi attraverso i vasi sanguigni, sia per secrezione delle
cellule epiteliali dei processi ciliari. Il liquido si riversa nella camera posteriore
dell’occhio, circola fino alla camera anteriore, qui penetra nel sistema trabecolare
sclerocorneale, filtra nel canale di Schlemm e prende la via delle vene episclerali e
ciliari. La produzione ed il riassorbimento dell’humor acqueo si compie in modo da
determinare una pressione costante pari a 18-20 mmHg. Oltre ad essere un mezzo
diottrico la sua funzione è trofica nei riguardi di cristallino e cornea.
- CORPO VITREO : è un gel chiaro e trasparente ad alto grado di idratazione, nella parte
periferica presenta un addensamento denominato membrana ialoidea, tramite questa si
mette in rapporto con la retina, il corpo ciliare, la faccia posteriore del cristallino che
viene accolta in un infossamento detto fossa ialoidea. Il corpo vitreo è attraversato dal
canale ialoideo che parte dalla pupilla del nervo ottico e raggiunge il centro della fossa
ialoidea. La struttura appare realizzata da una trama reticolare di fibrille similcollagene
contenenti un gel ricco di acido ialuronico. Presenta anche cellule dislocate, dette
ialociti, con significato di leucociti modificati.
La circolazione sanguigna è assicurata da due sistemi, quello retinico
VASCOLARIZZAZIONE:
e quello ciliare, dipendenti dall’arteria oftalmica, ramo della carotide interna. La circolazione
retinica, limitata alla parte ottica della retina è dipendente dall’arteria centrale della retina. Il
sistema dei vasi ciliari è alimentato dall’arteria oftalmica, mediante le arterie ciliari posteriori
ed anteriori. Le arterie ciliari posteriori, mediale e laterale, danno origine ad un certo numero
di rami brevi, arterie ciliari posteriori brevi, e ad un solo ramo lungo, arteria ciliare posteriore
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lunga. Le prime perforano la sclera intorno al nervo ottico e costituiscono un cerchio arterioso
attorno alla parte intrabulbare del nervo, anello di Haller. Le seconde, mediale e laterale, dopo
aver perforato la sclera si portano avanti decorrendo nella lamina sovracorioidea. In prossimità
del margine ciliare dell’iride si risolvono in rami che si anastomizzano fra di loro e con le arterie
ciliari anteriori, formando il grande cerchio arterioso dell’iride. Da questo partono rami ciliari
per il corpo ciliare e rami iridei per il piccolo cerchio arterioso dell’iride. Le arterie ciliari
anteriori hanno origine dai rami muscolari dell’arteria oftalmica e raggiungono la sclera in
prossimità dell’inserzione dei muscoli retti dopo aver dato origine ai rami episclerali. Il sistema
dei vasi venosi presenta differenze rispetto al sistema dei vasi arteriosi. Esso, attraverso le
vene ciliari anteriori, drena il sangue proveniente dalla parte anteriore del corpo ciliare e
l’humor acqueo proveniente dal seno venoso della sclera. Il sangue che proviene dalla parte
posteriore della parte posteriore della sclera prende la via delle vene ciliari posteriori. Il sangue
proveniente dalla corioidea, dal corpo ciliare e dall’iride viene convogliato nelle 4 vene
vorticose, una per quadrante del globo oculare e tributarie della vena oftalmica.
Cavità Orbitaria: Il bulbo oculare e le sue formazioni sono accolti nella cavità orbitaria o
orbita, una profonda cavità ossea pari, situata nel massiccio faciale, lateralmente alla radice
del naso al confine dello splancnocranio e il neurocranio. Ha la forma di una piramide
quadrangolare con base anteriore corrispondente all’apertura della cavità orbitaria e apice
posteriore corrispondente al foro ottico. Gli spazi della cavità orbitaria, posti fra il periostio che
riveste la superficie interna, periorbita, e le formazioni contenute, sono riempiti dal corpo
adiposo dell’orbita. Questo svolge un importante funzione di sostegno e viene mantenuto
costante anche in caso di forte dimagrimento e digiuno prolungato.
Fascia del Bulbo: La fascia del bulbo o capsula del Tenone è una lamina di tessuto connettivo
che si applica sulla superficie esterna del bulbo oculare fino all’orlo sclerocorneale. All’equatore
del bulbo raggiunge il massimo spessore e dà passaggio ai tendini dei muscoli oculari. La
capsula è aderente al bulbo oculare soltanto a livello della sua inserzione anteriore e
dell’inserzione del nervo ottico, per il resto ha connessioni lasse e non costituisce un ostacolo
ai movimenti. La funzione complessiva del sistema consiste nell’assicurare una loggia al bulbo
oculare con il quale il sistema appare solidale nel corso dei movimenti.
Guaine Muscolari: Sono lamine di tessuto connettivo fibroso che circondano le parti carnose
dei muscoli estrinseci dell’occhio. Le guaine dei quattro muscoli retti sono connesse per mezzo
di lamine connettivali, membrane intermuscolari, che si fanno più consistenti procedendo in
direzione anteriore e prendono attacco alla fascia del bulbo.
Tendini di Arresto:
Fasci legamentosi che si dipartono dalle guaine dei muscoli oculari e
passano al connettivo della formazione laminare della fascia del bulbo. A questi spetta
l’importante funzione di moderare la trazione esercitata dai muscoli oculari sul bulbo e di
impedire il loro eccessivo accorciamento. Il legamento sospensore di Lockwood contribuisce
anche a mantenere il bulbo oculare nella sua posizione.
Composto dai muscoli estrinseci e dal muscolo elevatore della palpebra
APPARATO MOTORE:
superiore. I muscoli estrinseci sono rappresentati da 4 muscoli retti, superiore, inferiore,
mediale e laterale, 2 muscoli obliqui, superiore ed inferiore, il muscolo elevatore della palpebra
superiore. I 4 muscoli retti nascono nel fondo della cavità orbitaria, da un tendine anelliforme
comune che circonda il nervo ottico, dirigendosi avanti divergono fra loro e terminano
inserendosi sulla sclera al davanti dell’equatore dell’occhio. Il muscolo obliquo superiore ed
elevatore della palpebra superiore nascono dal fondo della cavità orbitaria, prendendo origine
dal contorno del foro ottico anziché dall’anello tendineo. Il muscolo obliquo inferiore è l’unico
ad avere il punto di origine situato nella parte inferomediale dell’apertura anteriore dell’orbita
oculare. I due muscoli obliqui si inseriscono sulla sclera al di dietro dell’equatore del bulbo, il
muscolo elevatore della palpebra superiore termina sul tarso della palpebra superiore e non
sulla sclera.
- MUSCOLO RETTO MEDIALE : è il più sviluppato dei muscoli retti, origina dal segmento
mediale dell’anello tendineo di Zinn, si porta in avanti costeggiando la parete mediale
dell’orbita e termina inserendosi con un corto tendine sulla superficie mediale della
sclera. La sua contrazione determina una rotazione sul piano orizzontale con
spostamento del polo anteriore in senso mediale.
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MUSCOLO RETTO LATERALE: Origina con un capo dal segmento laterale dell’anello
tendineo e con un capo dal margine inferiore della flessura orbitaria superiore. Decorre
in vicinanza della parete laterale dell’orbita e si inserisce sulla superficie laterale della
sclera. La sua contrazione ruota il bulbo oculare sul piano orizzontale spostando il polo
anteriore in senso laterale.
MUSCOLO RETTO SUPERIORE : Origina dalla parte superiore dell’anello tendineo, si
porta in avanti decorrendo al di sotto del muscolo elevatore della palpebra superiore e
si fissa obliquamente sulla superficie superiore della sclera. La sua contrazione innalza il
polo anteriore dell’occhio.
MUSCOLO RETTO INFERIORE: Prende origine dal segmento inferiore dell’anello
tendineo, si porta in avanti decorrendo al di sopra della parete inferiore dell’orbita ed
incrocia superiormente il muscolo obliquo inferiore. Termina sulla faccia inferiore della
sclera con un’inserzione obliqua. Contraendosi abbassa il polo anteriore dell’occhio.
MUSCOLO OBLIQUO SUPERIORE: Nasce dal contorno mediale del canale ottico, si porta
in avanti decorrendo tra la parete mediale e il tetto dell’orbita, passa sotto il muscolo
retto superiore e raggiunge l’emisfero posteriore del bulbo oculare inserendosi nel
quadrante superolaterale della sclera, dietro al muscolo retto superiore. La sua
contrazione sposta il polo posteriore del bulbo in alto e medialmente ruotando il polo
anteriore dell’occhio in basso e lateralmente.
MUSCOLO OBLIQUO INFERIORE : Origina a livello dell’angolo inferomediale dell’orbita,
dall’osso mascellare immediatamente sotto la fossa del sacco lacrimale. Si dirige
lateralmente e in dietro, incrociando inferiormente il muscolo retto inferiore. Si inserisce
nell’emisfero posteriore del bulbo oculare sul quadrante inferolaterale della sclera.
Contraendosi sposta il polo posteriore del bulbo in basso e medialmente ruotando il polo
anteriore dell’occhio in alto e lateralmente.
MUSCOLO ELEVATORE DELLA PALPEBRA SUPERIORE: Prende origine dal margine
superiore del foro ottico, si dirige in avanti decorrendo sotto al tetto dell’orbita e sopra
al muscolo retto superiore. Termina con una espansione fibrosa che si inserisce sul
tarso della palpebra superiore. La sua contrazione determina il sollevamento della
palpebra superiore.
è formato dal sopracciglio, dalle palpebre e dalla congiuntiva.
APPARATO PROTETTORE:
- SOPRACCIGLIO : è un rilievo cutaneo foggiato ad arco a concavità inferiore, è ricoperto
di peli diretti lateralmente e separa la fronte dalla palpebra superiore.
- PALPEBRE: sono due formazioni laminari disposte al davanti del bulbo oculare e
costituite da un’impalcatura fibromuscolare, rivestita dalla pelle anteriormente e dalla
congiuntiva posteriormente. Si distinguono in palpebra superiore ed inferiore, si
considerano una faccia anteriore o cutanea e una faccia posteriore o congiuntivale. Con
i loro margini liberi delimitano un’apertura, la rima palpebrale, la cui altezza è variabile.
La palpebra superiore continua con il sopracciglio, la palpebra inferiore continua con la
guancia, il margine libero di ciascuna si può dividere in una parte laterale più lunga
detta parte ciliare ed in una parte mediale più breve detta parte lacrimale, il limite fra le
due porzioni è segnato dalla papilla lacrimale sulla quale si trova il punto lacrimale. Le
ciglia sono grossi e lunghi peli, più numerosi nella superiore e meno nella inferiore,
hanno lo stesso colore dei capelli e si rinnovano ogni 150 giorni. La caruncola lacrimale
è una piccola escrescenza determinata da una masserella adiposa e rivestita da mucosa
congiuntivale. La palpebra superiore riceve sangue dall’arteria palpebrale mediale
superiore e dall’arteria palpebrale laterale superiore, la palpebra inferiore riceve sangue
dall’arteria palpebrale mediale inferiore e all’arteria palpebrale laterale inferiore. Le
vene formano una rete sottocutanea, drenata dalla vena temporale superficiale, faciale
e oftalmica, una rete profonda, drenata dalla vena oftalmica superiore ed inferiore. La
palpebra è formata da uno strato cutaneo, uno strato sottocutaneo, uno strato
muscolare, uno strato intermedio, uno strato muscolare liscio e la congiuntiva
palpebrale. Tra gli strati si trovano delle ghiandole alveolari ramificate allungate e
rettilinee, dette ghiandole tarsali del Meibomio, hanno la struttura delle ghiandole
sebacee ed il loro prodotto di secrezione è il sebo palpebrale.
- CONGIUNTIVA: una membrana con caratteristiche mucose che tappezza la faccia
posteriore delle palpebre, congiuntiva palpebrale, e la superficie interna della sclera,
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congiuntiva bulbare. La zona di riflessione delle due congiuntive prende il nome di
fornice congiuntivale, se ne distinguono uno superiore ed uno inferiore. La congiuntiva
forma una sorta di sacco appiattito, sacco congiuntivale, che risulta completamente
chiuso, la congiuntiva appare liscia con pieghe soltanto in prossimità dei fornici. Le
arterie che irrorano la congiuntiva sono le arterie palpebrali e le arterie ciliari anteriori.
Le vene che drenano la congiuntiva sono la rete venosa profonda delle palpebre e le
vene ciliari anteriori. La congiuntiva ha un epitelio di rivestimento pavimentoso o
batiprismatico composto che poggia su una tonaca propria costituita da connettivo
fibrillare lasso infiltrato da cellule linfoidi.
è costituito dalla ghiandola lacrimale, che versa il secreto nel
APPARATO LACRIMALE:
sacco congiuntivale e dalle vie lacrimali, che drenano il secreto dal sacco congiuntivale e lo
versano nelle fosse nasali.
- GHIANDOLA LACRIMALE : è una ghiandola tubulare o tubulo acinosa composta che
versa il proprio secreto nella parte laterale del fornice congiuntivale superiore, è divisa
in due parti dal tendine del muscolo elevatore della palpebra superiore, la parte
orbitaria e la parte palpebrale. La seconda può anche mancare. Le arterie sono rami
dell’arteria lacrimale, le vene si raccolgono nella vena lacrimale.
- CONDOTTI LACRIMALI : si distinguono in superiore ed inferiore, decorrono prima
verticalmente per poi piegare a gomito e dirigersi orizzontalmente fino al sacco
lacrimale.
- SACCO LACRIMALE : è un condotto pressoché verticale accolto nella fossa lacrimale, è
incrociato anteriormente dal legamento palpebrale mediale, lateralmente riceve i
condotti lacrimali e inferiormente continua nel condotto nasolacrimale.
- CONDOTTO NASOLACRIMALE : fa seguito al sacco lacrimale ed è contenuto nel canale
osseo nasolacrimale. Si dirige in basso e medialmente aprendosi nel meato inferiore
delle cavità nasali.
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ORECCHIO ESTERNO
Padiglione Auricolare:
Ha forma di lamina irregolare, costituito da uno scheletro fibrocartilagineo rivestito da cute,
situato nella parte laterale della testa, anteriormente alla regione mastoidea ed in rapporto con
la regione temporale, l’articolazione temporomandibolare e la regione parotidea. Ha forma
ovale con asse maggiore di 60 MM, leggermente obliquo in basso ed in avanti, l’asse minore di
30 MM approssimativamente orizzontale. Raggiunge le dimensioni definitive a circa 7 anni, si
considerano due facce, mediale e laterale, che presenta numerosi rilievi e depressioni di cui la
maggiore è la conca, è posta al centro e si continua con il meato acustico esterno. L’elice è il
rilievo più periferico del padiglione e con la sua radice suddivide la conca in superiore ed
inferiore. In avanti, in alto ed in dietro costituisce il contorno della metà superiore, si prolunga
in basso fino a raggiungere il lobulo. L’antelice è un secondo rilievo situato tra conca ed elice,
da questo è separato dal solco dell’elice, nasce in alto dalle due branche che delimitano la
fossa triangolare. Al davanti della conca e al di sotto della radice dell’elice è presente il trago,
una sporgenza laminare di forma triangolare, l’antitrago è un rilievo che delimita la parte
posteriore della conca, situato dietro al trago e separato dall’incisura intertragica. Il lobulo
dell’orecchio è una plica cutanea priva di scheletro cartilagineo. La faccia mediale del
padiglione auricolare è libera posteriormente e adesa alla superficie laterale della testa
anteriormente. Un solco cefaloauricolare divide la testa dall’orecchio. Le arterie del padiglione
sono rami delle arterie auricolare posteriore e temporale superficiale, rami della carotide
esterna. Le vene del padiglione confluiscono in avanti nella vena temporale superficiale e in
dietro nelle vene auricolari posteriore, tributarie della giugulare esterna.
Meato Acustico Esterno:
È un condotto fornito di uno scheletro fibrocartilagineo nel terzo laterale e di uno scheletro
osseo nei due terzi mediali. Si estende dalla conca all’orecchio medio, termina a livello della
membrana del timpano. Presenta un decorso ad S, la lunghezza è di circa 25 MM. Nel punto di
passaggio tra la parte cartilaginea e la parte ossea presenta un restringimento denominato
istmo, è in rapporto anteriormente con l’articolazione temporomandibolare, posteriormente con
le cellule mastoidee, superiormente con la fossa cranica media, inferiormente con la ghiandola
parotide. Le arterie della parte fibrocartilaginea sono rami delle arterie auricolare posteriore,
temporale superficiale e parotidee, tutte rami della carotide esterna, della parte ossea sono
rami delle arterie timpanica anteriore e auricolare profonda, rami della mascellare interna. Le
vene sono affluenti della temporale superficiale, del plesso venoso periarticolare
temporomandibolare e delle vene articolari posteriori. Tra gli annessi cutanei sono presenti
peli, ghiandole sebacee e ceruminose, queste ultime sono ghiandole sudoripare apocrine,
tubulari semplici di tipo glomerulare, che si aprono sulla superficie cutanea del meato.
ORECCHIO MEDIO
Cavo del Timpano:
Una cavità ossea contenuta nella rocca petrosa del temporale, posta tra orecchio esterno ed
interno. Accoglie la catena degli ossicini e comunica attraverso la tuba uditiva con il faringe,
mediante l’aditus ad antrum con l’apparato mastoideo. Ha la forma di una lente biconcava e vi
si considerano due pareti ed una circonferenza che può essere suddivisa in quattro pareti,
anteriore, posteriore, superiore ed inferiore. La parete laterale è costituita per 3/5 dalla
membrana del timpano e per 2/5 da una cornicetta ossea che circonda la membrana, in alto
diviene assai alta e prende il nome di muro della loggetta. La parete mediale o labirintica
presenta nella sua parte centrale un rilievo denominato promontorio e determinato dalla parte
iniziale del giro basale della chiocciola. Al di dietro del promontorio si trova la finestra rotonda
che comunica con l’estremità inferiore della scala timpanica della chiocciola ed è chiusa dalla
membrana secondaria del timpano. Al di sopra della finestra rotonda è presente la finestra
ovale, di forma ellittica, in cui si fissa con il legamento anulare la base della staffa. Tra le due
finestre si trova una depressione, seno del timpano, in rapporto con la parte ampollare del
canale semicircolare posteriore. Al davanti e al di sopra della finestra ovale si trova l’orifizio del
canale del muscolo tensore del timpano. La parete labirintica separa il cavo del timpano dalle
parti del labirinto osseo, infatti la finestra ovale comunica con il vestibolo, nel quale sono
disposti il sacculo e l’utricolo. Il promontorio corrisponde alla parte iniziale del giro basale della
chiocciola ossea, nella quale è contenuta la parte corrispondente della chiocciola membranosa
o condotto cocleare. La parete anteriore o carotidea presenta nel terzo superiore l’ostio
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timpanico della tuba uditiva, nella restante parte vi è una lamina ossea che la separa dal tratto
ascendente del canale carotico nel quale decorre l’arteria carotide interna. La parete posteriore
o mastoidea è occupata superiormente dall’aditus ad antrum, un ampio orifizio che conduce
all’antro timpanico, nella parte inferiore si trova la fossa dell’incudine e, lateralmente
all’eminenza piramidale, si trova il foro di ingresso della corda del timpano. La parete superiore
è formata al tegmen tympani, una lamina ossea che separa il cavo del timpano dalla fossa
media della base del cranio. La parete inferiore o giugulare ha la forma di doccia, recesso
ipotimpanico, il cui fondo si presenta cribrato, vi si trova l’orifizio di sbocco del canale
timpanico. Diverse arterie concorrono alla formazione della rete arteriosa, l’arteria
carotimpanica, nata dal tratto intrapetroso della carotide interna, l’arteria timpanica inferiore,
nata dalla faringea ascendente, l’arteria stilomastoidea, nata dall’arteria auricolare posteriore,
l’arteria timpanica superiore, nata dalla meningea media, il ramo petroso superficiale, nato
dall’arteria meningea media, l’arteria timpanica anteriore, nata dalla mascellare interna, e rami
tubarici che originano dall’arteria faringea ascendente. Il sistema venoso immette,
superiormente nelle vene meningee medie e nel seno petroso superiore, inferiormente nel
bulbo della vena giugulare interna e nei plessi pterigoideo, faringeo e carotideo interno.
Membrana del Timpano:
la membrana del timpano chiude il fondo del meato acustico esterno e divide il cavo del
timpano. Giace su un piano con la faccia laterale volta in basso ed in avanti, ha forma ellittica
con l’asse maggiore obliquo dall’alto al basso e dal davanti all’indietro. È foggiata ad imbuto, la
faccia laterale è concava e la faccia mediale è convessa, il punto più infossato si chiama
ombelico o umbo. La superficie laterale, rivolta verso il meato acustico esterno, fa trasparire il
manico del martello come una linea chiara detta stria malleolare, la superficie mediale, rivolta
verso il cavo del timpano, aderisce al manico del martello e prende rapporto con la corda del
timpano. Il margine della membrana si fissa mediante un anello fibrocartilagineo, orletto
anulare, al solco del timpano. Nella membrana del timpano si distinguono una parte estesa e
mobile, pars tensa, e una parte piccola e superiore, pars flaccida, tra le due parti vi sono due
fascetti fibrosi, legamenti timpano malleolari, anteriore e posteriore, che formano due pieghe
sulla faccia laterale della membrana del timpano. Le arterie sottocutanee provengono dai rami
arteriosi che vascolarizzano il meato acustico esterno, le arterie sottomucose derivano dalla
timpanica anteriore e dalla stilomastoidea, inoltre è presente l’arteria del manico del martello,
talvolta duplice, data da un ramo radiale. Il sistema venoso si divide in sottocutaneo, tributario
della vena giugulare esterna, e in sottomucoso, tributario della vena giugulare interna.
Catena degli Ossicini:
La catena degli ossicini dell’udito è formata da martello, incudine e staffa, tre piccole ossa
articolate per diartrosi e mantenute da un apparato legamentoso. La catena è contenuta nel
cavo del timpano che stabilisce un collegamento tra la membrana e la finestra ovale. Il
martello, il più laterale degli ossicini, è formato da testa, collo e manico. La testa è situata nel
recesso epitimpanico ha forma ovoidale e nella parte posteriore si articola con l’incudine. Il
collo collega la testa al manico e corrisponde alla pars flaccida della membrana del timpano. Il
manico è contenuto nella membrana del timpano e si dirige verso l’umbo. L’incudine ha forma
simile ad un molare e vi si distinguono un corpo e due processi. Il corpo è accolto nel recesso
epitimpanico e si articola con la testa del martello. Il processo breve o superiore si dirige verso
la parete posteriore del cavo del timpano, andandosi a fissare alla fossa dell’incudine. Il
processo lungo o inferiore si porta in basso e termina con il processo lenticolare per mezzo del
quale si articola con la staffa. La staffa è situata medialmente all’incudine ed è composta da
una testa, due archi ed una base. La testa si articola con il processo lenticolare dell’incudine e
dà inserzione al muscolo stapedio. I due archi, anteriore e posteriore, terminano sulla base che
occupa la finestra ovale, a questa è connessa tramite il legamento anulare. La catena degli
ossicini dell’udito è mantenuta in situ dalle connessioni del manico del martello con la
membrana timpanica, dal legamento anulare della staffa, dal legamento del martello e dal
legamento dell’incudine. I muscoli della catena degli ossicini sono il muscolo tensore del
timpano o del martello e il muscolo stapedio o della staffa. Il muscolo tensore è accolto in un
canale osseo situato al di sopra della tuba uditiva, nella parte anteriore della parete mediale
del cavo del timpano. Con la sua contrazione provoca uno spostamento in senso mediale del
manico del martello, questo determina un aumento della tensione della membrana del timpano
e uno spostamento mediale dell’incudine e della staffa. Il muscolo stapedio origina ed è
contenuto nell’eminenza piramidale, piccolo rilievo osseo situato nella parte posteriore della
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parete mediale del cavo del timpano. Contraendosi tira in dietro la testa della staffa
determinando un leggero spostamento della sua base verso il cavo del timpano. I due muscoli
agiscono sinergicamente ed automaticamente in base alle richieste funzionali, si contraggono
fortemente in risposta a stimolazioni sonore molto intense così da irrigidire la catena degli
ossicini e smorzare la trasmissione delle vibrazioni. In caso di suoni acuti prevale il muscolo
tensore del timpano che ne facilita la trasmissione, in caso di suoni gravi prevale il muscolo
stapedio che ne facilita la trasmissione. Ad ogni modo un malfunzionamento della catena degli
ossicini dell’udito determina una grave ipoacusia ma non abolisce del tutto la percezione dei
suoni, infatti le onde sonore possono propagarsi all’orecchio interno sia per vibrazione dell’aria
contenuta nel cavo del timpano, sia per vibrazione in toto delle formazioni ossee dell’orecchio.
Cavità Mastoidee:
Sono alcune cavità comunicanti con il cavo del timpano e contenenti aria, sono principalmente
accolte nell’apofisi mastoidea dell’osso temporale, questo è infatti un osso spugnoso che
presenta numerose cavità dette cellule mastoidee. Le cellule mastoidee comunicano tra di loro
e sono formate da cellule squamose, processo mastoideo squamoso, e da cellule petrose,
processo mastoideo periotico. Tutte, direttamente o indirettamente, comunicano con l’antro
timpanico, sono irrorate dalle stesse arterie dell’apofisi mastoidea e drenate dalle vene
affluenti del seno petroso superiore e trasverso.
Tuba Uditiva:
È un condotto di 35-45 MM che collega la cavità timpanica al rinofaringe. Si divide in parte
ossea, 10 MM scavata nell’osso temporale, e parte fibrocartilaginea, 25-35 MM facente seguito
alla parte ossea. La tuba uditiva è diretta in avanti, medialmente e in basso, nella parte
centrale presenta un restringimento, denominato istmo, che separa le due parti. La parte
ossea inizia con l’ostio timpanico della tuba uditiva, termina all’istmo continuando con la parte
fibrocartilaginea, questa possiede uno scheletro cartilagineo a forma di doccia ristretta. Sul
margine infero-laterale prende inserzione il muscolo tensore del velo del palato, sul margine
infero-mediale prende inserzione il muscolo elevatore del velo del palato. Grazie a questi due
muscoli i movimenti del palato molle sono in grado di determinare la pervietà della tuba
uditiva. L’orifizio faringeo della tuba uditiva si apre nel rinofaringe, ha forma triangolare con
base inferiore, è delimitato posteriormente dal tortus tubarius e anteriormente dalla piega
salpingofaringea. Le arterie tubariche provengono dall’arteria faringea ascendente, dall’arteria
del canale pterigoideo e dall’arteria meningea media. Le vene tubariche sfociano nel plesso
pterigoideo tributario della vena giugulare interna.
ORECCHIO INTERNO
Labirinto Osseo:
Il labirinto osseo risulta costituito da una parte posteriore o vestibolare e da una parte
anteriore o acustica. Il labirinto posteriore comprende il vestibolo, i canali semicircolari ossei e
l’acquedotto del vestibolo. Il labirinto anteriore è costituito dalla chiocciola o coclea ossea e
dall’acquedotto della chiocciola o coclea.
- Vestibolo : Si presenta come una piccola cavità di forma ovoidale, posta fra il cavo
del timpano e il meato acustico interno, qui si aprono i canali semicircolari ossei, la
finestra ovale, la chiocciola ossea e l’acquedotto del vestibolo. Nella parete laterale,
verso il cavo del timpano, si apre la finestra ovale. Nella parete superiore si aprono
quattro orifizi, il laterale anteriore è lo sbocco del braccio ampollare del canale
semicircolare laterale, il laterale posteriore è lo sbocco del braccio semplice del
canale semicircolare laterale, il mediale anteriore è lo sbocco del braccio ampollare
del canale semicircolare superiore, il mediale posteriore è lo sbocco del braccio
comune di canali semicircolari posteriore e superiore. Nella parete mediale si
osservano in alto il recesso ellittico il cui fondo è la macula cribrosa utricolare, in
basso il recesso sferico il cui fondo è la macula cribrosa sacculare, tra i due recessi
vi è la cresta del vestibolo. In prossimità del pavimento si trova il recesso cocleare
che accoglie il cieco vestibolare, la parte iniziale della chiocciola membranosa e
l’orifizio interno dell’acquedotto del vestibolo. La parete posteriore presenta l’orifizio
di sbocco del braccio ampollare del canale semicircolare posteriore. La parete
anteriore è occupata da un foro ellittico che conduce nella scala vestibolare della
chiocciola. La parete inferiore o pavimento è percorsa longitudinalmente dalla
fessura vestibolotimpanica che conduce nella cavità sottovestibolare.
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Canali Semicircolari Ossei: In numero di 3, laterale, superiore e posteriore, con
forma di condotti ricurvi nei quali si distinguono un braccio semplice ed uno
ampollare, il secondo è così detto perché presenta all’estremità una dilatazione
chiamata ampolla ossea. I bracci semplici del canale semicircolare superiore e
posteriore si fondono a formare il braccio comune, i bracci ampollari si aprono
isolatamente nel vestibolo. I 3 canali sono orientati nei tre piani dello spazio, questo
stimola in tutte le modalità i recettori ampollari.
- Acquedotto del Vestibolo
: Uno stretto canale che mette in comunicazione le
cavità vestibolare e cranica, ha inizio dalla parte mediale del vestibolo e sbocca a
livello della fossetta ungueale nella faccia posteromediale della piramide del
temporale.
- Chiocciola Ossea: Deve il nome alla sua caratteristica forma, è costituta da un
canale osseo, canale spirale, ed è avvolta da un nucleo osseo, modiolo o columella.
Medialmente la chiocciola corrisponde al fondo del meato acustico interno,
lateralmente corrisponde alla parete mediale del cavo del timpano. Il modiolo forma
il nucleo centrale della chiocciola, il canale spirale compie un giro basale, un giro
medio e un giro apicale, terminando a fondo cieco. Il canale spirale viene suddiviso
in scala timpanica e scala vestibolare per la presenza della lamina spirale ossea,
questa segue l’andamento del canale aderendo con un margine al modiolo e
terminando libera, l’intervallo fra il margine libero della lamina spirale e la superficie
interna del canale cocleare è colmato dalla membrana basilare della chiocciola, così
da dividere la scala vestibolare e timpanica.
- Acquedotto della Chiocciola
: Un esile canale osseo che mette in comunicazione lo
spazio perilinfatico della chiocciola con lo spazio subaracnoidale della fossa
cerebellare permettendo il deflusso della perilinfa. Prende origine dalla parte iniziale
della rampa timpanica, si dirige in basso e medialmente, termina a livello della
faccia inferiore della piramide del temporale nella fossetta piramidale.
Labirinto Membranoso:
È formato dai 3 canali semicircolari membranosi, dall’utricolo, dal sacculo, dal condotto
endolinfatico e cocleare. Si presenta come un insieme di organi cavi comunicanti e contenenti
liquido, endolinfa. Il labirinto membranoso è contenuto all’interno del labirinto osseo e
separato da questo mediante lo spazio perilinfatico, occupato dalla perilinfa. Funzionalmente il
labirinto membranoso viene distinto in posteriore, che opera nell’informazione propriocettiva
statocinetica, e anteriore, che presiede alla ricezione dei messaggi sonori.
- Canali Semicircolari Membranosi
: Sono in numero di 3, posteriore, superiore e
laterale. Si trovano nella cavità dei corrispondenti canali semicircolari ossei, dei quali
riprendono la forma e occupano 1/6 della parete eccentrica del labirinto osseo. Le
estremità dei canali si aprono nella cavità dell’utricolo mediante 5 orifizi.
- Utricolo e Sacculo: L’utricolo è un organo vescicolare, di forma ovoidale, lungo 3-4
MM, situato nella parete superiore del vestibolo a contatto con il recesso ellittico.
Riceve i 5 sbocchi dei canali semicircolari membranosi e presenta medialmente
l’orifizio di imbocco del ramo utricolare del dotto endolinfatico. I recettori
neurosensoriali si trovano nella macula dell’utricolo, una zona discoidale situata nella
parete mediale dell’organo, in cui l’epitelio di rivestimento si differenzia in cellule
recettrici e di sostegno. Il sacculo è più piccolo dell’utricolo e situato al di sotto di
questo, a contatto con il recesso sferico. Presenta medialmente l’orifizio di imbocco
del ramo sacculare del condotto endolinfatico e inferiormente l’orifizio del canale
reuniente che lo collega al condotto cocleare. Sulla superficie interna del sacculo vi è
la macula sacculare in cui l’epitelio di rivestimento si differenzia in cellule recettrici e
di sostegno.
- Condotto Endolinfatico : Il ramo sacculare del condotto endolinfatico continua
direttamente nel dotto, il ramo utricolare è più sottile e nella parte iniziale presenta
la valvola utricoloendolinfatica. Questa consiste in una piega epiteliale provvista di
un esile impalcatura connettivale, ha la funzione di escludere i recettori utricolari
dall’effetto delle vibrazioni endolinfatiche. Il condotto endolinfatico è molto sottile e
percorre l’acquedotto del vestibolo per terminare nel sacco endolinfatico situato
nella fossetta ungueale sulla faccia posteromediale della rocca petrosa. Il sacco
endolinfatico è un prolungamento intracranico del labirinto membranoso, è
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contenuto in una gabbia connettivale molto vascolarizzata e circondata dalla dura
madre. Questo serve a riassorbire l’endolinfa che viene prodotta dalla stria vascolare
della chiocciola membranosa.
Condotto Cocleare : Un canale delimitato da pareti connettivali e contenuto nella
scala vestibolare del canale spirale della chiocciola. Soltanto la sua parte iniziale,
chiusa a fondo cieco è contenuta nel vestibolo in cui occupa la fessura vestibolo
timpanica. Nel canale spirale occupa una posizione eccentrica interponendosi fra il
margine libero della lamina spirale ossea e la parete laterale del canale spirale,
concorrendo alla separazione di scala timpanica e vestibolare. Delle due scale la
vestibolare comunica con la cavità del vestibolo e con gli spazi perilinfatici
vestibolari, la timpanica comunica con la cavità sottovestibolare. Il condotto cocleare
membranoso ha forma di prisma triangolare e decorre nella cavità della scala
vestibolare.
Vascolarizzazione : La vascolarizzazione arteriosa del labirinto membranoso è data
dall’arteria uditiva interna, ramo del tronco basilare, che percorre il meato acustico
interno e si suddivide in arteria vestibolare, arteria vestibolococleare e arteria
cocleare. L’arteria vestibolare vascolarizza l’utricolo, le ampolle dei canali
semicircolari superiore e laterale, parte del sacculo. L’arteria vestibolococleare
vascolarizza il sacculo, l’utricolo, la prima parte del giro basale della coclea, i canali
semicircolari posteriore e laterale. L’arteria cocleare si suddivide in 15-20 rami che
penetrano nel modiolo attraverso i fori del tractus spiralis foraminosus e si dividono
in rami anteriori, medi e posteriori. I rami anteriori irrorano la stria vascolare e
forniscono arcate anastomotiche per la rete venosa della scala timpanica, i rami
medi sono destinati alla lamina spirale e al lembo spirale, i rami posteriori
vascolarizzano il ganglio spirale all’interno del canale spirale. Il sangue venoso del
labirinto membranoso segue tre vie di deflusso, attraverso la vena uditiva interna, la
vena dell’acquedotto della chiocciola e le vene dell’acquedotto del vestibolo. La vena
uditiva interna drena parte del sangue della chiocciola, le reti venose della parete
del canale cocleare osseo e della lamina spirale si riuniscono nelle vene della lamina
spirale, escono attraverso i fori del tractus spiralis foraminosus e confluiscono nella
vena uditiva interna. La vena dell’acquedotto della chiocciola riceve sangue dal
sacculo e dall’utricolo, mentre il labirinto membranoso è drenate dalla vene spirali
anteriore e posteriore tributarie della prima. La vena dell’acquedotto del vestibolo
drena il labirinto posteriore e riceve il plesso venoso che circonda il sacco
endolinfatico e sbocca nel seno petroso superiore.
FUNZIONAMENTO ORECCHIO
L'orecchio interno è costituito da tre cavità che formano un unico complesso che prende il
nome di labirinto. Le tre porzioni del labirinto sono il vestibolo, i canali semicircolari e la
chiocciola. All'interno del labirinto c'è una sostanza liquida, perilinfa, ricca di ioni potassio,
sospeso nel labirinto c'è il labirinto membranoso contenente un altro fluido, endolinfa, un
liquido più denso della perilinfa ad elevata concentrazione di ioni sodio. Il vestibolo si estende
fra i canali semicircolari e la coclea composta da tre canali divisi da due membrane che si
estendono longitudinalmente: la membrana basilare e la membrana vestibolare. Il canale
mediano è il dotto cocleare pieno di endolinfa, ai suoi lati ci sono il canale vestibolare e il
canale timpanico pieno di perilinfa. Sulla membrana basale si estende il vero e proprio organo
uditivo: l'organo del Corti che possiede una grande varietà cellulare fra cui delle particolari
cellule ciliate che posseggono dalle 100-200 stereociglia ed un unico tirociglio, che entrano in
comunicazione sinaptica con le fibre del VIII° nervo cranico o nervo acustico. Sulla membrana
di queste cellule vi sono dei canali per il K+ chiusi in condizione di riposo. Le onde sonore
vengono convogliate attraverso il padiglione auricolare al canale uditivo che funge da
risonatore acustico. Attraverso il canale uditivo il suono giunge alla membrana timpanica che
per effetto delle onde sonore vibra, a questo punto tale energia meccanica viene propagata,
attraverso i tre ossicini dell'orecchio medio, martello, incudine e staffa, alla finestra ovale che
si apre nell'orecchio interno. Il timpano ha un'estensione di superficie 30 volte maggiore di
quella della finestra ovale quindi ciò rappresenta un fattore di amplificazione che deve essere
moltiplicato per due e si riferisce all' amplificazione dovuta alla meccanica delle leve che gli
ossicini rappresentano, il fulcro è nel punto di giunzione fra la staffa e l'incudine, il primo
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braccio a è due volte più lungo del secondo braccio b se si considera il complesso osseo una
leva di primo grado, quindi il suono arriva all'orecchio interno con un'amplificazione di un
fattore prossimo a sessanta. Il gradiente pressorio che si forma induce la vibrazione della
membrana basale che fa oscillare le ciglia delle cellule dell'organo del Corti. Lo stimolo
meccanico induce l'apertura dei canali per il K+, le cellule del Corti sono bagnate da endolinfa
quindi per gradiente chimico il K+ entra nelle cellule generando una depolarizzazione che
induce un cambio di carica intracellulare che apre i canali per il Ca++, questo viene liberato nel
citoplasma inducendo l'apertura delle vescicole contenenti neurotrasmettitori che vengono
riversate per esocitosi all'esterno. Le cellule sono in comunicazione sinaptica con l'VIII° paio di
nervi cranici. L'impulso giunge così al sistema nervoso centrale.
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NOME: Midollo Spinale
POSIZIONE:
vertebrale
Il midollo spinale è la porzione più caudale del nevrasse ed occupa il canale
In superficie è rivestito dalle meningi spinali, involucri connettivali
CARATTERISTICHE:
riccamente vascolarizzati, è connesso alla periferia da 33 paia di nervi spinali. È un cilindro
appiattito lievemente anteroposteriormente di colore bianco, lungo 42 CM circa ed ha un
diametro di circa 1 CM. È flessibile, elastico e più consistente dell’encefalo a causa della
disposizione periferica della sostanza bianca. È protetto dalle meningi spinali e dal liquido
cefalorachidiano, grazie ai mezzi di fissità segue la colonna vertebrale in tutti i suoi movimenti
senza entrarne mai in contatto.
Radici dei Nervi: Nel numero di 33 per lato sono costituite dalla radice anteriore o
motrice e dalla radice posteriore o sensitiva. All’interno del canale vertebrale sono
separate e decorrono convergendo. Le radici anteriori emergono dal solco laterale
anteriore e le radici posteriori penetrano nel solco laterale posteriore. Le due radici si
riuniscono in corrispondenza di un rigonfiamento detto ganglio spinale.
Il midollo spinale viene diviso in tratto cervicale, tratto toracico, tratto lombare, tratto sacrale
e tratto coccigeo. Ogni tratto è composto da diversi segmenti o neuromeri che corrispondono
all’emergenza bilaterale delle radici motrici e alla penetrazione bilaterale delle radici sensitive.
I neuromeri ricevono gli stimoli provenienti da determinati territori periferici del corpo a cui
inviano impulsi motori. Costituiscono quindi la sede di riflessi nervosi segmentali che si
svolgono attraverso un metamero midollare a cui corrispondono aree sensoriali cutanee,
dermatomeri, e aree effettrici muscolari, miomeri.
CONFIGURAZIONE:
Esterna : A livello lombare si restringe nel cono terminale o midollare e continua con il
filamento terminale che termina sulla faccia dorsale del coccige ed è avvolto dalla guaina
terminale. Prende il nome di cauda equina l’insieme delle ultime radici dei nervi spinali con
lungo decorso verticale che si portano ai fori intervertebrali d’emergenza decorrendo ai lati del
filamento terminale. Presenta 2 rigonfiamenti fusiformi detti cervicale e lombare, dovuti ad un
aumento di spessore anteroposteriore, a causa di punti di emergenza del plesso brachiale
diretto agli arti superiori e del plesso lombosacrale diretto agli arti inferiori. Sulla superficie si
osservano solchi longitudinali che delimitano cordoni. Nel mezzo delle superfici ventrale e
dorsale vi sono la fessura ventromediana o mediana anteriore e il solco dorsomediano o
mediano posteriore che suddividono il midollo simmetricamente. Vi sono inoltre un solco
intermedio anteriore, un solco ventrolaterale o laterale anteriore, un solco dorsolaterale o
laterale posteriore e un solco intermedio posteriore. La fessura ventromediana percorre tutto il
midollo spinale dal bulbo al cono. Il solco dorsomediano decorre anch’esso dal bulbo al cono,
da questo si diparte il setto posteriore, un insieme di glia che si porta nella compagine del
midollo spinale. Il solco intermedio anteriore si localizza tra la fessura mediana anteriore e il
solco anterolaterale, discendendo si avvicina progressivamente alla fessura ventromediana fino
a confluire in essa assieme al controlaterale. Il solco ventrolaterale si estende per tutta la
lunghezza del midollo, corrisponde all’emergenza delle radici anteriori dei nervi spinali e si
presenta come una doccia cribrata. Il solco dorsolaterale corrisponde al punto di ingresso delle
radici posteriori e nervi spinali nel midollo spinale. Il solco intermedio posteriore si trova a
livello cervicale e toracico tra il solco dorsolaterale e il solco ventrolaterale. Queste linee
delimitano dei cordoni, rilievi superficiali determinati dal raggruppamento di fibre mieliniche e
sono 3 per ciascun antimero. Il cordone anteriore è compreso tra la fessura ventromediana e il
solco dorsomediano, prosegue in alto nelle piramidi bulbari e termina in basso nel cono
midollare. Il cordone laterale è compreso tra il solco dorsolaterale ed il solco ventrolaterale, dà
attacco a delle dipendenze meningee detti legamenti denticolati. Il cordone posteriore è
compreso tra il solco dorsolaterale e il solco dorsomediano.
Interna : Presenta la sostanza bianca, disposta alla periferia, la sostanza grigia, occupa la
parte centrale, e il canale centrale che si estende per tutta la lunghezza del midollo spinale.
Canale Centrale: Rappresenta il residuo del primitivo tubo o canale neurale ed è
riempito di liquido cefalorachidiano. In alto continua con la cavità del 4° ventricolo
encefalico. A livello del rigonfiamento cervicale il lume si riduce ad una fessura
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anteroposteriore, a livello del rigonfiamento lombare presenta un profilo ovoidale. A
livello del cono midollare può presentare una dilatazione fusiforme detta ventricolo
terminale, generalmente viene sostituito dalla sostanza gelatinosa centrale con il
passare degli anni. Lo si può chiamare anche ependimale perché tappezzato da uno
strato di cellule chiamate ependima.
Sostanza Bianca: Formata da fasci di fibre mieliniche a decorso prevalentemente
longitudinale che circondano la sostanza grigia e sono circondati dalla parte più interna
delle meningi, la pia madre. Le suddivisioni descritte si portano anche sulla sostanza
bianca suddividendola in tre cordoni, anteriore, laterale e posteriore.
Il cordone anteriore è compreso tra la fessura ventromediana e il solco ventrolaterale.
Viene diviso da un setto gliale che si approfonda medialmente in parte una mediale,
dove decorre il fascio piramidale diretto, e una parte laterale, dove ha sede il fascio
fondamentale del cordone anteriore. Questo setto gliale è l’emanazione di uno strato di
nevroglia che forma lo strato gelatinoso corticale o strato subpiale di Waldeyer. Una
lamina riunisce le due parti del cordone ed è detta commessura bianca anteriore.
Il cordone laterale è situato tra il solco ventrolaterale e dorsolaterale.
Il cordone posteriore compreso tra il solco dorsomediano e dorsolaterale. A livello
cervicale e toracico viene suddiviso in una porzione mediale detta fascicolo gracile ed
una porzione laterale detta fascicolo cuneato da un setto di glia che si approfonda. La
zona di congiunzione tra le due porzioni è detta zona cornucommissurale.
Sostanza Grigia: È formata da due porzioni simmetriche riunite da un tratto
trasversale detto commessura grigia nel quale si trova il canale centrale. Nel complesso
presenta una conformazione ad H o a farfalla, nella quale si distinguono una porzione
anteriore o colonna anteriore e una porzione posteriore o colonna posteriore, nelle
sezioni trasversali prendono il nome di corno anteriore e posteriore. I due corni sono in
continuità tramite la massa intermedia. Il corno anteriore è una zona o quadrangolare o
arrotondata che si porta in avanti e all’esterno, vi si distinguono una testa e una base.
La testa ha contorno irregolare dal quale sporge un rilievo laterale detto processo
laterale, molto sviluppato a livello dei rigonfiamenti. Dal contorno festonato della testa
del corno anteriore fuoriescono fascetti di fibre nervose emergenti dal solco laterale
anteriore come radicole che confluiscono nelle radici anteriori dei nervi spinali. La base
del corno anteriore continua nella massa intermedia. Dalla superficie laterale della base
del corno anteriore si staccano prolungamenti che formano la colonna laterale. La
massa intermedia si trova fra il corno anteriore e posteriore, sporgendo verso l’esterno.
Il corno posteriore si dirige in dietro e in fuori fino quasi a raggiungere la superficie
dorsale del midollo spinale, restandone separato solo dalla zona marginale di Lissauer.
Appare più lungo ed assottigliato dell’anteriore, vi si distinguono una base, un collo ed
una testa che termina con un apice. Qui vi si addossa una sostanza gelatinosa detta di
Rolando. Tra la zona marginale di Lissauer e la sostanza gelatinosa di Rolando si
frappone la zona spongiosa formata da fibre nervose a cellule sparse. La commessura
grigia è un tratto mediano teso fra le due formazioni simmetriche. Al suo interno ospita
il canale centrale.
La sostanza bianca aumenta a partire dal cono midollare per arrivare alla zona cervicale, il
massimo spessore è raggiunto nei rigonfiamenti lombare e cervicale. Il tutto è dovuto al
numero crescente di fibre che penetrano nel midollo in senso caudocraniale e alla riduzione
progressiva delle fibre che originano dall’encefalo in senso craniocaudale.
La sostanza grigia presenta diverso sviluppo e conformazione a seconda dei neuromeri.
Aumenta dal cono midollare al rigonfiamento lombare, diminuisce a livello toracico, riaumenta
di nuovo a livello del rigonfiamento cervicale per poi diminuire gradualmente. Queste variazioni
sono dovute al rapporto tra la sostanza grigia e l’area da innervare, le maggiori quantità si
registrano a livello dei rigonfiamenti lombare e cervicale che devono servire gli arti inferiori e
superiori, in particolare a livello delle mani il rapporto di innervazione è molto basso per
garantire una fine sensibilità ed un complesso movimento.
RAPPORTI:
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Prenatali: Inizialmente cresce nella stessa misura della colonna vertebrale ed occupa
l’intero canale vertebrale. Il limite superiore corrisponde al primo nervo spinale e
l’inferiore al coccige. In questo periodo tutti i nervi spinali emergono ad angolo retto dai
vari neuromeri per portarsi ai rispettivi fori intervertebrali. A partire dal quarto mese la
colonna vertebrale si sviluppa più rapidamente rispetto al midollo vertebrale facendolo
risalire nel canale vertebrale e causando l’ascesa del midollo spinale. Il punto
emergenza delle radici spinali si sposta più in alto rispetto al corrispondente foro
intervertebrale causandone un tragitto obliquo in basso ed in fuori. Le ultime radici,
lunghissime e semiverticali, formano la cauda equina e l’abbozzo midollare fissato al
coccige si stira a formare il filamento terminale.
Postnatali: Nell’adulto il midollo spinale termina a livello di L1-L2 nel maschio e di L2
nella femmina, il limite superiore corrisponde al margine alto dell’atlante. Il filamento
terminale con la cauda equina e le terminazioni dei vasi spinali anteriori attraversano il
sacco durale a livello di S2 dividendosi in filamento terminale interno e esterno, il
secondo è avvolto dalla guaina terminale e discende con il nome di legamento coccigeo
espandendosi a ventaglio sulla prima vertebra coccigea. In senso trasversale il midollo
spinale riempie solo i 3/5 del canale vertebrale, tra la superficie esterna del midollo
spinale e la superficie interna del canale vertebrale si delimita lo spazio perimidollare.
Qui è presente la dura madre che viene divisa nella porzione epidurale, con plessi
venosi e depositi adiposi, e nella porzione subdurale, seguita subito dall’aracnoide che
dà sepimenti simili ad una rete immersi nel liquido cefalorachidiano, infine vi è la pia
madre che aderisce strettamente alla superficie esterna del midollo spinale.
Mezzi di Fissità: È mantenuto in sede dalla sua continuità con il bulbo, dalle radici dei nervi
spinali e dal filamento terminale, dai legamenti denticolati che si portano dai due cordoni
laterali del midollo alla dura madre nella quale si inseriscono mediante sistemi di arcate
fibrose.
STRUTTURA:
Sostanza Bianca: Formata da fibre con guaina mielinica per lo più a decorso
longitudinale e raggruppate in fasci. Si dividono in fasci di proiezione ascendenti e
discendenti, nel caso in cui i due tipi coesistano si dicono fasci di associazione.
I fasci di associazione sono costituiti da fibre che discendono o salgono per pochi
neuromeri, assicurando la connessione tra i segmenti midollari e rivestendo un ruolo
fondamentale nel riflessi spinali plurisegmentali o propriospinali. Si considerano fasci di
associazione solo quelli che originano da neuroni funicolari e connettono i neuromeri
midollari vicini, fasci di associazione intersegmentale, e i neuromeri midollari craniali
con il tronco dell’encefalo, fasci di associazione interassiale.
I fasci di proiezione ascendenti sono vie della sensibilità generale che si articolano con
varie stazioni e terminano con la corteccia telencefalica, vi sono tre sistemi a significato
filogenetico e funzionale differente. Il primo sistema è filogeneticamente più antico e
caratterizzato da numerose stazioni di arresto intramidollari. Veicola sensazioni
incoscienti o coscienti mal localizzabili e poco discriminate, dolore profondo, che
arrivano ai nuclei del tronco dell’encefalo e del talamo, dai quali si proiettano alla
corteccia telencefalica. In questo sistema rientrano i fasci spino-talamico, spino-tettale,
spino-olivare, spino-reticolare e spino-vestibolare. Un secondo sistema è quello delle vie
spino-cerebellari che comprendono i fasci spino-cerebellare dorsale, diretto o di Flechsig
e spino-cerebellare ventrale, crociato o di Gowser. Trasportano stimoli propriocettivi
incoscienti provenienti dagli organi periferici dell’apparato locomotore. Un terzo sistema
è filogeneticamente più recente, compare solo nei mammiferi, è composto da fasci del
cordone posteriore che trasportano diversi tipi di sensazioni esterocettive e
propriocettive coscienti, quali la tattile epicritica, termica e dolorifica superficiale. Tutte
sensazioni ben discriminabili, localizzabili con precisione e contraddistinte da una
rappresentazione ordinata o somatotopica tanto a livello delle via di conduzione che dei
centri intercalati con localizzazione bulbare e diencefalica. Appartengono a questo
sistema il fascicolo gracile di Golgi e il fascicolo cuneato di Burdach.
I fasci di proiezione discendenti percorrono il midollo in direzione craniocaudale e si
ritrovano solo nel cordone anterolaterale. Il primo sistema è di origine corticale,
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compare nella filogenesi con la corteccia motrice, comprende il fascio piramidale
crociato e diretto o ventrale. L’altro sistema origina a livello corticale e sottocorticale e
vengono distinti i fasci extrapiramidali dai piramidali per origine e decorso. Accanto a
questi due sistemi esistono vie discendenti vegetative che terminano ai neuroni visceroeffettori del tronco encefalico e del midollo spinale.
Sostanza Grigia: I neuroni della sostanza grigia si distinguono per comportamento
dell’assone, per modalità di collegamento e per significato funzionale. Le cellule
funicolari prendono il nome dal loro assone che decorre nella sostanza bianca in sistemi
detti funicoli o fasci. L’assone si mantiene per tutto il decorso nel nevrasse, hanno
forma e dimensioni variabili, non si riuniscono in gruppi e occupano in prevalenza il
corno posteriore, la massa intermedia, la commessura grigia e il corno anteriore. I
neuroni funicolari ricevono stimoli periferici, le modalità del collegamento efferente
risultano invece distinte in gruppi funzionali, le cellule di associazione realizzano un
collegamento intersegmentale o interassiale a livello del midollo spinale, le cellule di
proiezione inviano impulsi al tronco dell’encefalo o alle formazioni soprassiali. Le cellule
del II tipo di Golgi sono localizzate diffusamente e il loro assone non abbandona mai la
sostanza grigia, ma ha funzione associativa a breve distanza. Le cellule radicolari hanno
l’assone che fuoriesce dal nevrasse e si porta alle radici anteriori dei nervi spinali, si
distinguono in visceroeffettrici e somatomotrici. Le prime, prevalentemente localizzate
nella base delle corna anteriori, sono più piccole e hanno un assone provvisto di guaina
mielinica che esce dal midollo con le radici anteriori e raggiunge i gangli
ortoparasimpatici. Le seconde, poste nella testa del corno anteriore, sono la via finale
comune per impulsi nervosi provenienti al midollo sia dalla periferia sensitiva sia dai
centri superiori. Nell’ambito dei neuroni somatomotori si distinguono motoneuroni α e
motoneuroni γ . I motoneuroni γ innervano le fibre muscolari intrafusali dei fusi
neuromuscolari, sono più piccoli dei motoneuroni α tra i quali sono sparsi. I
motoneuroni α sono circa 100.000 per ciascun antimero, hanno il pirenoforo di forma di
variabile ricco di sostanza tigroide e terminano in giunzione con le fibre muscolari
principali dei muscoli striati. I neuroni dell’asse grigio del midollo spinale, specialmente
quelli di tipo funicolare e radicolare, possono formare raggruppamenti in cui tutti gli
elementi hanno le stesse connessioni nervose, detti nuclei o colonne a seconda della
sezione trasversale o longitudinale. Un’organizzazione laminare è presente, con
variazioni locali, per tutta l’estensione del midollo spinale. Nelle lamine si possono
localizzare i principali nuclei o colonne. In ciascun antimero si possono quindi
riconoscere 9 lamine cellulari, a cui va aggiunta una piccola zona intorno al canale
centrale detta lamina 10. Nel corno posteriore vi sono le prime lamine da 1 a 6. La
lamina 7 occupa il corno anteriore, spingendosi anche nella zona intermedia, occupando
uno spazio compreso tra la lamina 8, che si localizza in gran parte della parte mediale
del corno anteriore, e la lamina 9, che occupa la regione ventrolaterale del corno
anteriore, in corrispondenza dei rigonfiamenti c’è un pezzo di lamina 9 nella zona
mediale del corno anteriore.
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NOME: Nervi Frenici.
Sono una coppia di nervi che serve a contrarre il diaframma, ne
CARATTERISTICHE:
innervano ciascuno una metà. Originano nel midollo spinale del collo sul nucleo frenico e
scendono in modo simmetrico. Sono fino in parte paralleli rispetto ai vaghi, più anteriori e più
laterali. Scendendo nel mediastino decorrono accollati alla faccia mediastinica del polmone.
Entrambi passano davanti all’arteria e dietro alla vena succlavia di destra e sinistra, dietro
l’articolazione sternoclaveale. Il destro va a collocarsi a ridosso della cava superiore schiacciato
tra la pleura e il pericardio dell’atrio destro, passando al davanti del peduncolo polmonare. Il
sinistro non è perfettamente simmetrico: passa inizialmente a sinistra del cuore, finendo dietro
al ventricolo sinistro quando il cuore ruota, durante l’organogenesi. Per il resto i rapporti sono
gli stessi che a destra.
NOME: Nervi Vaghi.
I nervi vaghi di destra e di sinistra si originano dal sistema nervoso
CARATTERISTICHE:
centrale infracranico e si distribuiscono a un’immensa vastità di strutture, innervando organi
toracici e addominali. Le fibre sono simmetriche e distinguibili fino al collo, entrando nel torace
diventano indistinguibili e perdono la loro simmetria, mentre il nervo vago di destra affianca
l’esofago già nella parte alta del mediastino, collocandosi nell’angolo diedro tra esofago e
trachea, quello di sinistra resta più distaccato dall’esofago per l’interposizione dell’arco
dell’aorta e della succlavia di sinistra delle quali resta a sinistra. Sotto l’arco dell’aorta il nervo
vago di sinistra riesce ad arrivare all’esofago, parte delle anastomosi vagali sono al davanti
dell’esofago e parte dietro. Al di sotto della biforcazione tracheale il vago di sinistra scambia
fibre con quello di destra, tanto che attorno all’esofago si trovano dei plessi nervosi che
nascono dallo scambio di fibre dei due nervi. Quando l’esofago ruota di 90° la rete di fibre
ruota con lui, non sono più due catene laterali, ma una catena anteriore, ex sinistra, e una
catena posteriore, ex destra. Il nervo vago conduce fibre del sistema nervoso autonomo con
funzione parasimpatica su cuore, bronchi e polmoni. I vaghi si servono dell’esofago per andare
nell’addome a innervare i visceri, in particolare ghiandole esocrine, endocrine e muscolatura
liscia. Sotto l’arco dell’aorta il vago di sinistra si biforca dando origine al nervo ricorrente
vagale o laringeo inferiore di sinistra, che innerva i muscoli intrinseci del laringe. Il nervo
ricorrente vagale di sinistra passa nell’angolo diedro di sinistra che si forma dalla
giust’apposizione della trachea in avanti e dell’esofago in dietro. Il nervo ricorrente di destra
nasce nel collo, all’origine dell’arteria succlavia, sulla biforcazione del tronco anonimo, nel collo
è simmetrico al nervo di sinistra, il vago di destra, prima di entrare nel mediastino, passa al
davanti della succlavia di destra e scende giù, il ricorrente vagale di destra non è un organo
mediastinico, al contrario di quello di sinistra. Attraverso la precisa e coordinata contrazione
dei muscoli intrinseci del laringe emettiamo suoni, pronunciando le vocali, senza di essi
perdiamo l’uso della voce, se uno dei due nervi non funziona ne consegue una specie di
raucedine. È importante conoscere il rapporto tra il nervo laringeo inferiore e la zona
sottostante, infatti in presenza di masse occupanti spazio coinvolgenti il bronco di sinistra si ha
una compressione della zona circostante con la possibilità di perdita del funzionamento del
laringeo inferiore.
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Il sistema nervoso (S.N.) è il sistema più nobile che abbiamo in quanto senza questo
sistema non riusciremmo a percepire la realtà esterna, a programmare ed eseguire
movimenti, ad avere una vita di relazione, né a regolare la funzione dei visceri.
Da un punto di vista anatomico possiamo dividere il S.N. in due parti topografiche.
-IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE (S.N.C.)
-IL SISTEMA NERVOSO PERFIERICO (S.N.P.)
Il SNC è posto dentro una teca ossea costituita da neurocranio e canale vertebrale,
mentre il SNP è quella parte di SN che si trova al di fuori della teca. Queste due parti sono
in ogni modo connesse sia anatomicamente sia funzionalmente.
Da un punto di vista funzionale possiamo ancora dividere il SN in due parti:
-IL SISTEMA NERVOSO SOMATICO
-IL SISTEMA NERVOSO VEGETATIVO O AUTONOMO
Il SN somatico è quella parte di SN (centrale o periferico) che ha a che fare con il soma in
senso lato, dove per soma intendiamo i muscoli scheletrici, la cute e la mucosa vicino alla
cute.
Il SN vegetativo è quella parte di SN (centrale o periferico) che ha la funzione di regolare
e controllare la funzione dei visceri.Tale sistema è autonomo fino ad un certo punto in
quanto studieremo strutture centrali in grado di controllare tale sistema.
Se volessimo rappresentare il meccanismo alla base dell’anatomia e fisiologia del SN
somatico potremmo pensare ad un circuito costituito da un interruttore collegato ad una
lampadina: ogni volta che pigiamo l’interruttore la lampadina si accende in modo
stereotipo ossia costante possiamo schematizzare tale circuito come segue:
dove l’elemento nero e’ l’interruttore e il rosso
la lampadina
Nel SN l’interruttore , per convenzione internazionale viene rappresentato come segue:
1
PERIFERIA
dendrite
assone
2
direzione dell’impulso---->
3
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SNC
2
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dove l’1 è il pirenoforo o corpo cellulare di un neurone a cui segue un prolungamento (che
non è ne assone ne dendrite) il quale, dopo un brevissimo tragitto si divide a “T” per dare
due branche:
la branca 2 va in periferia e tale branca e’ un dendrite in quanto l’impulso elettrico viaggi
verso “verso” il soma, cioè in direzione centripeta;
La branca 3 che va verso il SNC e tale branca è un assone perché porta l’impulso lontano
dal pirenoforo.
Fin’ora abbiamo descritto l’interruttore e la lampadina, tale circuito monosinaptico ossia
con una sola sinapsi tra neurone sensitivo e neurone motore (cioè tra interruttore e
lampadina) si chiama anche BASE ANATOMICA DELL’ARCO RIFLESSO SEMPLICE.E’
detto “base anatomica” perché possiamo apprezzarlo con il microscopio, misurare le
proprietà elettriche, “arco” perché è un arco; “semplice” perché è coinvolta solo una
sinapsi; “riflesso” in neuroanatomia significa che ad una cosa (stimolo) consegue un
effetto in maniera stereotipa.
Noi uomini abbiamo gli archi riflessi semplici ma in genere abbiamo circuiti più complessi
Sempre rifacendoci all’esempio della lampadina è possibile modulare l’intensità di luce
introducendo nel circuito un reostato. Allo stesso modo è possibile modulare una risposta
introducendo tra neurone sensitivo e neurone motore uno o più neuroni.
MUSCOLO
Moltiplicato all’ennesima potenza questo è quello che abbiamo nel nostro SNC, un
sistema complicato ma che regola il rapporto tra neurone sensitivo e neurone
effettore,tale per cui noi siamo caratterizzati da una gamma vastissima di movimenti
possibili.
Quindi la possibilità di modulare risposte è proporzionale alla complessità del sistema che
regola il passaggio dell’ informazione dal neurone sensitivo al neurone motore, ossia dal
sensore all’effettore.
Questo modulo si ripete dovunque nel SN e raggiunge la massima complessità
nell’encefalo.
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COSTITUZIONE ANATOMICA DEL SNC
Il SNC è costituito dall’encefalo che è contenuto nel neurocranio e, in continuazione nel
canale vertebrale, il Midollo Spinale.
A sua volta l’Encefalo è costituito da:
TRONCO DELL’ENCEFALO
DIENCEFALO
TELENCEFALO
CERVELLETTO
Il tronco dell’encefalo è posto cranialmente al midollo spinale.
Esso si continua ancora più cranialmente e verso l’avanti con il
diencefalo.
Quest’ultimo è nascosto quasi totalmente trovandosi dentro al
telencefalo. Dietro al tronco è posizionato il cervelletto.
Tutte queste strutture sono pari, ossia sono costituite da due
metà simmetriche. Nel telencefalo è presente una scissione
molto profonda che va dal davanti all’indietro, detta scissura
INTEREMISFERICA, la quale separa il telencefalo in due
emisferi; un emisfero di destra e uno di sinistra.
Il Tronco dell’encefalo è a sua volta suddivisibile in tre parti:
- BULBO (o midollo allungato) che rappresenta la continuazione
craniale del midollo spinale
- PONTE
- MESENCEFALO
Il midollo spinale è unito al tronco il quale è unito al diencefalo, il quale è unito al
telencefalo. Ma anche il cervelletto è strettamente connesso al tronco dell’encefali.
Altro punto importante è che il telencefalo ha una “buccia” detta corteccia.In particolare
corteccia degli emisferi cerebrali si chiama
CORTECCIA CEREBRALE, mentre quella del
cervelletto è detta CORTECCIA CEREBELLARE.
Se osserviamo il telencefalo alla sua superficie,
durante il suo sviluppo,vediamo che, passando
dalla ventunesima settimana di vita intrauterina alla
quarantesima settimana (termine della
gravidanza), il telencefalo aumenta
progressivamente di massa e che nella superficie
telencefalica vengono via via a crearsi solchi
profondi e solchi meno profondi che assumono un
ben determinato ordine.
I solchi più profondi sono delle SCISSURE mentre
quelli meno profondi sono dette semplicemente
SOLCHI.
Lo spazio di corteccia compreso tra due solchi o tra un solco e una scissura prende il
nome di CIRCONVOLUZIONE o GIRO.
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La Corteccia Cerebrale cioè la parte esterna del telencefalo rappresenta il livello
gerarchico più alto del sistema nervoso.
Questo perché essa in maniera geneticamente predeterminata per ogni specie ma, in
qualche modo, modulabile dall’esperienza, è il luogo deputato a:
1-PERCEPIRE INFORMAZIONI CHE VENGONO DALLA PERIFERIA
2-CODIFICARE E SUCCESSIVAMENTE DECODIFICARE
3-PROGRAMMARE UNA RISPOSTA
4-DARE L’ORDINE DI ESECUZIONE DELLA RISPOSTA
5-CREARE LA MEMORIA E CONSERVARLA
6-ELABORARE LE RISPOSTE EMOTIVE SIA ISTINTIVE CHE NON ISTINTIVE
1)CORTECCIA COME LUOGO DI PERCEZIONE: percezione significa che se tengo un
oggetto nella mano non ho bisogno degli occhi per capire che sto tenendo l’oggetto nella
mano destra ma comunque lo percepisco: questo significa che i sensori che ho a livello
della cute assumono una certa informazione (tattile) che mi arriva ad un certa area della
corteccia.
2)CHE COSA SIGNIFICA CODIFICAZIONE: se sono un neonato e mi è messo in bocca
per la prima volta un ciucciotto allora il mio cervello comincia a memorizzare la forma, la
dimensione e la consistenza del ciucciotto ossia comincia a codificare l’informazione. Una
volta che questo processo è avvenuto, le successiva volte che mi si mette il ciucciotto in
bocca, non devo fare più l’operazione di codificare ma quella inversa ossia di
DECODIFICARE delle sensazioni.
Quindi DECODIFICARE SIGNIFICA ATTRIBUIRE UN SIGNIFICATO ALLA
SENSAZIONE.
3-4)PROGRAMMARE E DARE L’ORDINE DI ESECUZIONE: se consideriamo ad
esempio il movimento, esso è il risultato di due attività distinte, in sequenza, ma
distinte:una è la programmazione del movimento e l’altra è l’esecuzione del movimento.
5)LA CORTECCIA E’ LA SEDE DELLA MEMORIA: Noi abbiamo una forma di memoria
detta MEMORIA GENETICA, la quale ci viene trasmessa con i geni ed entro certi limiti sta
alla base di alcuni istinti:come ad esempio l’istinto di fuggire dal pericolo.
Poi abbiamo un’altro tipo di memoria che è LA MEMORIA DICHIARATIVA O ESPLICITA
O DA APPRENDIMENTO che si riferisce ai fatti e agli eventi.
Ciò vuol dire che ho memoria di un evento solo se lo ho sperimentato. Sono memorie
dichiarative la memoria di un luogo, di una persona, di una data ecc.
Ci sono zone della corteccia importanti per fabbricare e conservare tale memoria e
questo porta con se’ il concetto di sentimento:non c’è sentimento senza memoria.
Un malato di alzaimer che ha perso la memoria non ha più sentimenti verso il figlio o la
figlia e questo perché non ha più memoria di loro.
6)ELABORARE LE RISPOSTE ISTINTIVE E NON ISTINTIVE: Alcune delle nostre
risposte sono istintive. Se io sento puzza di “cacca” sono fabbricato per allontanarmi
(odori avversi).Però se la puzza di “cacca” viene dal pannolino di mio figlio allora non mi
allontano, anzi lo pulisco. Uno stesso stimolo ha innescato due comportamenti diversi.la
corteccia è anche quindi la sede di emozioni che poi si traducono in comportamenti più
elaborati (attività corticale superiore).
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Infine la corteccia è il luogo dove si fabbrica il pensiero e si formula il giudizio che ci
permette di fare scelte. Questa è una attività mentale superiore ed è appannaggio della
corteccia cerebrale.
La corteccia, per poter funzionare , ha bisogno di strutture poste nel telencefalo, che sono
fatte di neuroni immersi in sostanza bianca sottocorticale. Tali strutture sono chiamate
NUCLEI DELLA BASE: essi partecipano, essendo connessi alla corteccia, ad alcune
attività della corteccia e quindi fanno parte del 1° livello gerarchico del sistema nervoso.
ORGANIZZAZIONE GERARCHICA DEL SISTEMA NERVSO
1° LIVELLO GERARCHICO: LA CORTECCIA CEREBRALE; NUCLEI DELLA BASE E
CERVELLETTO
Il Cervelletto appartiene al primo livello gerarchico perché è l’organo che presiede alla
coordinazione del movimento, attività fondamentale per lo svolgimento delle normali
funzioni della vita. Se ho una lesione al cervelletto non riesco a stare in piedi, non riesco
più a seguire una traiettoria di movimento in maniera fluida. Infatti, siccome sono
cosciente di tale mia incapacità, spezzetto il movimento in tanti piccoli movimenti
alternando un movimento complessivo a ruota dentata.
2° LIVELLO GERARCHICO: DIENCEFALO
Il secondo livello gerarchico è costituito dal diencefalo. Il diencefalo è il secondo livello
perché partecipa ad alcune attività della corteccia come la capacità di percepire, la
capacità di elaborare programmi di movimento ecc.
Sta ad un livello inferiore rispetto alla corteccia. Se prendiamo un cervello umano e
analizziamo le dimensioni del diencefalo rispetto a quelle del telencefalo facendo un
rapporto tra il peso (o il volume) di queste due parti, vediamo che questo rapporto è
minore di 1.Se ripetiamo questo esperimento in un ratto, vediamo che otteniamo sempre
un rapporto minore di 1 ma più vicino all’unità rispetto al valore ottenuto per l’uomo.
Questo perché negli animali più bassi della scala zoologica, molte attività che nell’uomo
sono attività corticali sono appannaggio del diencefalo. Ciò significa che nel corso
dell’evoluzione alcune funzioni che erano appannaggio del diencefalo sono state
“corticalizzate” cioè sono state assunte dalla corteccia che si è ingrandita.
Il diencefalo rappresenta quella parte del SNC da cui si dipartono gli ordini per regolare
l’attività secretiva e peristaltica del tratto gastroenterico, per regolare il calibro dei bronc
e le secrezioni bronchiali, per provocare l’erezione o al contrario la non erezione. Da ciò s
capisce che il diencefalo ha un ruolo molto importante e nella vita vegetativa e nella vita
relazione.
3° LIVELLO GERARCHICO: TRONCO DELL’ENCEFALO
Il terzo livello gerarchico è costituito dal tronco dell’encefalo il quale rappresenta il luogo
di passaggio di tutte le vie di comunicazione che dalla periferia vanno verso la corteccia
viceversa.
Il secondo motivo d’importanza del tronco dell’encefalo è che in tale sede abbiamo il
CENTRO CARDIO RESPIRATORIO vale a dire un gruppo di neuroni che regolano la
frequenza e la forza di contrazione del cuore e la frequenza e la profondità del respiro.
Se si rompono le vertebre cervicali (il collo) di una persona essa muore istantaneamente
sia perché si lesiona il midollo spinale ma soprattutto perché si interrompe la
comunicazione tra centro cardio-respiratorio e centri sottostanti.
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Il terzo motivo dell’importanza del tronco dell’encefalo è che da questo si dipartono delle
vie dirette verso il basso dette VIE DI MOVIMENTO o DI MOTO.
Alcune parti del tronco dell’encefalo hanno delle comunicazioni privilegiate con il
cervelletto.
4° LIVELLO GERARCHICO: IL MIDOLLO SPINALE
Il quarto ed ultimo livello gerarchico è il midollo spinale. Tale struttura è abbastanza
primitiva per certi aspetti ma è strategica in quanto è percorsa da fibre che salgono dalla
periferia e che scendono dal cervello. E’ il luogo attraverso cui le informazioni salgono
verso la corteccia e attraverso cui scendono le vie di movimento.
Il midollo spinale è anche il luogo dove avvengono molti riflessi talora monosinaptici e
quindi stereotipi che rappresentano una sorta di minibase del movimento, che noi
utilizziamo poi integrandoli con altre informazioni che vengono dalla corteccia per fare un
movimento complesso. Se però non ci fossero questi riflessi la nostra corteccia dovrebbe
perdere tempo ad organizzare i più semplici movimenti e non avrebbe tempo di fare altro
LOBI CEREBRALI
Abbiamo già visto come la corteccia cerebrale sia sollevata in circonvoluzioni e giri al fine
di aumentare la superficie. Osservando un emisfero lateralmente possiamo osservare
DUE SCISSURE: una scissura va dall’alto in basso e un po’ in avanti ed è detta
SCISSURA CENTRALE O DI ROLANDO.
La seconda scissura è quasi perpendicolare alla prima ed è detta SCISSURA LATERALE
DI SILVIO.
La massa di cervello posta al davanti della scissura di Rolando prende il nome di LOBO
FRONTALE. La massa di cervello posta dietro la scissura di Rolando e sopra la scissura
di Silvio ma anche al di sotto della scissura di Silvio viene divisa in tre lobi mediante un
piccolo artificio:prolunghiamo idealmente la scissura di Silvio(posteriormente) con una
specie di ipsilon “ ----< “ e otteniamo:
un LOBO PARIETALE, che è quella parte di telencefalo posta dietro la scissura centrale,
sopra la scissura laterale di Silvio e al davanti del prolungamento ideale superiore della
scissura di Silvio.
Un LOBO OCCIPITALE che è quella parte di telencefalo compreso tra le due branche
immaginarie della ispsilon costituita.
Un LOBO TEMPORALE che è quella parte di telencefalo che si trova sotto la scissura di
Silvio e al davanti del prolungamento ideale inferiore della scissura di Silvio.
Questi aggettivi (frontale, parietale, occipitale e temporale) derivano dal rapporto
anatomico e topografico che esiste tra questi lobi e le varie ossa del neurocranio.
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La neurologia e la neurochirurgia ci hanno insegnato che un danno in un certo punto della
corteccia provoca un danno neurologico preciso.
Così la distruzione della corteccia occipitale produce un individuo cieco. E’ per questo che
il lobo occipitale è definito LOBO VISIVO.
La corteccia occipitale ha a che fare con la codificazione e decodificazione delle immagini
che noi vediamo.
Il lobo parietale è invece definito LOBO SOMESTESICO (dal greco SOMA = corpo ed
ESTETICA = sentire) perché è il lobo che ci permette di AVVERTIRE IL CORPO.
Il lobo parietale è infatti il lobo dove arrivano tutte le informazioni sensitive (tattili, termic
e dolorifiche) e la sensibilità PROPRIOCETTIVA la quale ci permette di sapere in ogni
istante come siamo disposti nello spazio (seduti, supini, in piedi ecc.) e come le singole
parti del nostro soma sono disposte rispetto alle altre parti e rispetto allo spazio.
Il lobo temporale è il lobo della sensibilità uditiva e quindi ipersemplificando si può dire il
lobo dell’UDITO.
Il lobo temporale è importante anche perché nella
profondità di tale lobo è posto l’ippocampo
struttura importante ai fini della memoria recente e
dichiarativa (che si riferisce ai fatti e agli
eventi).L’alzaimer comincia proprio colpendo i
neuroni dell’ippocampo.
Il lobo FRONTALE è il lobo del movimento, è il
lobo dove si programma il movimento e da dove
partono gli ordini per il movimento.
Ma il lobo frontale è anche il lobo dei sentimenti
ed in particolare dei sentimenti ragionati in quanto
è il lobo delle attività del pensiero e delle attività
cognitive e quindi ci permette di giudicare e di
operare scelte.
E’ per questo che tale lobo è il più grande e quello
FILOGENETICAMENTE più nuovo.
IL MIDOLLO SPINALE
Il midollo Spinale (MS) da un punto di vista
anatomico macroscopico appare come una
struttura cilindrica, leggermente appiattita in senso
antero-posteriore, lunga, nell’adulto, circa 42cm.
L’estremo caudale è detto CONO MIDOLLARE in
quanto finisce a punta.
Il MS presenta lungo la faccia posteriore un solco
longitudinale detto SOLCO DORSO-MEDIALE
che presenta davanti un corrispondente più
profondo detto SCISSURA VENTRO-MEDIANA.
Tali solchi ci permettono di dividere il MS in due metà simmetriche o ANTIMERI:
l’antimero di destra e l’antimero di sinistra.
L’ANTIMERO DI DESTRA RICEVE INFORMAZIONI DA L’EMISOMA DESTRO E
MANDA INFOMAZIONI DI MOVIMENTO ALLO STESSO EMISOMA, MENTRE
L’ANTIMERO DI SINISTRA HA A CHE FARE CON L’EMISOMA DI SINISTRA.
Se guardiamo da dietro un MS vediamo che da esso spuntano delle RADICI o
RADICOLE, fatte esclusivamente di assoni, che a gruppi convergono in una specie di
nodo detto GANGLIO.
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Se seguiamo un gruppo di queste radicole che fanno capo allo stesso ganglio spinale
capiamo che vanno a finire ad un pezzo ben preciso di MS che prende il nome di
NEUROMERO.
Quindi IL MS E’ LA SUCCESSIONE DI UNA SERIE DI NEUROMERI. OGNI
NEUROMERO E’ UN SEGMENTO DI MS CUI FANNO CAPO GRUPPI BEN DEFINITI DI
RADICOLE CHE A LORO VOLTA FANNO CAPO AD UNA COPPIA DI GANGLI SPINALI
(UNO DI DX E L’ALTRO DI SIN).
In realtà LE RADICOLE POSTERIORI SONO COSTITUITE DA FIBRE CHE ENTRANO
NEL MS e siccome tutto ciò che entra nel MS è sensitivo allora queste radici sono dette
RADICI SENSITIVE.
Tagliando queste radici si ottiene una paralisi sensitiva per cui il soggetto non prova
alcun tipo di sensazione tattile, dolorifica, termica e propriocettiva.
Anche dal davanti del MS emergono delle radici che però non fanno capo ad alcun
ganglio.
Il taglio di queste radici provoca una paralisi motoria.
Le radici anteriori sono dette radici motorie.
Dall’unione, al di fuori del canale vertebrale (teca ossea), delle radici motorie (o anteriori)
e delle radici sensitive (o posteriori) si hanno i NERVI SPINALI che sono quindi NERVI
MISTI ad eccezione del primo nervo spinale, ESCLUSIVAMENTE MOTORIO, in quanto il
primo neuromero ha solo radici anteriori.
Alcuni nervi spinali convergono a formare PLESSI (es: plesso brachiale) mentre altri
rimangono singoli (es: nervi intercostali).
Ogni neuromero dovrebbe corrispondere ad una vertebra, questo è vero con una
eccezione:I NEUROMERI CERVICALI SONO 8 A FRONTE DI SETTE VERTEBRE
CERVICALI. Il nervo C1 esce dall’alto tra l’osso OCCIPITALE e la prima vertebra
cervicale o Atlante.
Un’altra cosa che possiamo vedere dalla FIG1 è che il MS finisce tra L1 e L2 mentre il suo
numero di neuromeri è pari al numero delle vertebre + uno e si può inoltre osservare la
presenza di coppie di gangli per ogni vertebra.
Il fatto che andando da C1 in giù l’asse centrale delle radici si inclina tanto che, verso L2,
tale asse diventa verticale. Ciò significa che le radici (anteriore e posteriore) devono
percorrere un certo tragitto verticali dentro il canale vertebrale prima di arrivare al propri
ganglio.
Al di sotto di L1 il canale vertebrale contiene solo RADICI ANTERIORI E POSTERIORI.
La matassa di fibre sotto L1 è definita CAUDA EQUINA. La conseguenza pratica
dell’’esistenza della cauda equina è che sotto L1 non ho più midollo spinale e questo
permette di fare la PUNTURA LOMBARE che viene fatta tra L2-L3 o tra L3 ed L4.
Inoltre non c’è rischio di ledere la cauda equina perché le radici di destra sono separate
da quelle di sinistra per cui in mezzo c’è una zona deserta.
I GANGLI SPINALI CONTENGONO ANCHE I CORPI CELLUALRI O PIRENOFORI DEI
NEURONI GANGLIARI SPINALI O SENSITIVI OLTRE CHE ALLE FIBRE.
I NEURONI GANGLIARI SPINALI SONO NEURONI PSEUDOUNIPOLARI in quanto
sembrano neuroni ad un unico polo ma in verità non lo sono.
Il loro corpo dà infatti origine ad un unico prolungamento che, dopo un breve tragitto, si
divide a “T” con una branca che va in periferia ed una branca che va al centro, ossia al
MS ossia con una branca centrifuga ed una branca centripeta.
DENDRITE
ASSONE
Corrente
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Dato però che la corrente percorre un assone a senso unico ed obbligato, allora avremo
che, essendo il flusso unidirezionale le due branche non sono omologhe comportandosi
l’una da dendrite e l’altra da assone.
Un’altra conseguenza dell’organizzazione del ganglio è che il pirenoforo non viene
innervato da niente ( secondo alcuni autori ci sarebbero in verità degli interneuroni).
Se osserviamo una sezione trasversale vediamo che il MS non occupa tutto lo spazio che
ha a disposizione. Questo dipende dal fatto che la teca ossea è rivestita da una
membrana di tessuto connettivo detta DURA MADRE. Alla dura madre si applica un’altra
membrana detta ARACNOIDE (dal
greco ARACNOS = RAGNO)
Il MS è a sua volta avvolto da una
terza membrana detta PIA MADRE.
L’insieme di DURA MADRE,
ARACNOIDE E PIA MADRE
costituisce le MENINGI ossia UN
INVOLUCRO CHE AVVOLGE IL MS
E L’ENCEFALO E CHE PROTEGGE
IL MS E L’ENCEFALO.
Mentre l’aracnoide è incollata alla
dura madre, non lo è la pia madre.
Lo spazio tra aracnoide e pia madre
è detto SPAZIO SUB-ARACNOIDEO
e contiene:
• Tralci fibrosi che vanno dall’aracnoide alla pia madre.
• Vasi che hanno il compito di portare sangue al MS.
• Un liquido chiaro e limpido come l’acqua e della stessa composizione del liquido
interstiziale (acqua, ioni, glucosio, aminoacidi) che è chiamato LIQUOR o LIQUIDO
CEREBROSPINALE o LIQUIDO CEFALO-RACHIDIANO.
Tale liquido forma una specie di CUSCINETTO IDRICO posto intorno al MS che
impedisce al MS stesso di venire a contatto con le superfici ossee, fungendo da
AMMORTIZZATORE.
Quindi il liquor ha la funzione di proteggere il MS e l’encefalo dai mini traumi.
Abbiamo detto che con la puntura lombare non c’è rischio di ledere qualche elemento
della cauda equina. Questo perché per tutto il canale vertebrale esistono dei legamenti
disposti frontalmente che vanno dalla parete laterale alla faccia laterale del MS a destra e
a sinistra e che si chiamano LEGAMENTI DENTICOLATI perché sono come i denti di un
pettine.
Questi legamenti, che sono dipendenze della dura e dell’aracnoide, fissano laterolateralmente il MS ed inoltre rappresentano una barriera per cui le radici posteriori sono
separate fisicamente da quelle anteriori ed inoltre fissano tali radici nel luogo in cui stann
impedendo loro di spostarsi verso il centro.
Il risultato è che gli elementi della cauda equina sono tutti spostati lateralmente e quindi
non si trovano nel mezzo dove viene fatta la puntura.
Se facciamo una sezione trasversa di MS vediamo, oltre alle radici posteriori e a quelle
anteriori, due solchi dai quali entrano le radici posteriori e dai quali escono le radici
anteriori. Chiameremo SOLCO VENTRO LATERALE il solco da cui esce la radice
anteriore e SOLCO DORSO LATERALE quello da cui entra la radice posteriore. In oltre
osservando la sezione trasversa vediamo una parte centrale più scura che ha la forma di
“H” o di farfalla, circondata da una massa di sostanza bianca detta SOSTANZA BIANCA.
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La sostanza grigia è tale, ossia è grigia, perché vi si concentrano i corpi cellulari dei
neuroni spinali ossia i pirenofori che sono relativamente grandi. Le fibre che si hanno
dentro la sostanza grigia sono amieliniche in quanto sono costituite da dendriti che per
definizione sono amielinici e da assoni amielinici.
La sostanza bianca è tale perché non contiene pirenofori ma contiene fibre che per la
maggioranza sono mieliniche.
La sostanza grigia si organizza macroscopicamente in DUE CORNA ANTERIORI CORTE
E LARGHE e/in DUE CORNA POSTERIORI LUNGHE E SOTTILI (raggiungono il solco
dorso laterale).
Queste 4 corna sono unite dalla COMMESSURA GRIGIA (la barretta dell’H).
La COMMESSURA GRIGIA presenta centralmente un canalino detto CANALE
CENTRALE O EPENDIMALE che contiene il LIQUOR.
La sostanza bianca è organizzata in CORDONI (O FUNICOLI) e precisamente da 6
cordoni, 3 a dx e 3 a sn:
2 CORDONI POSTERIORI che sono le due regioni cuneiformi di sostanza bianca che
sono comprese tra il solco dorso mediano e i solchi dorso laterali
2 CORDONI ANTERIORI che si estendono dalla scissura ventro-mediana ai solchi
ventro-laterali
2 CORDONI LATERALI compresi tra i solchi ventro-laterali e quelli dorso-laterali, che
sono i più grandi.
La stragrande maggioranza delle fibre mieliniche che formano la sostanza bianca
decorrono longitudinalmente ossia sono fibre che salgono dalla periferia ai centri nervosi
superiori o che scendono dai centri nervosi superiori alla periferia.
Se confrontiamo le sezioni trasversali fatte a vari livelli del MS vediamo che la sostanza
bianca è più abbondante a livello cervicale e lo è meno a livello sacrale.
Questo è logico se pensiamo che una radice sensitiva a livello di S1, per esempio, deve
salire per tutto il MS per arrivare ai centri superiori dove deve essere programmata una
risposta a tale sensazione.
Quindi a livello di C1 troveremo anche le fibre che salgono dai neuromeri inferiori.
Lo stesso discorso vale per le vie discendenti di moto: al livello di C1 passeranno sia le
vie che si fermano a C1 che quelle che vanno a S5.
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Se osserviamo la sostanza grigia invece vediamo che il massimo di sostanza grigia si ha
a livello LOMBO SACRALE, la minima quantità si ha a livello toracico e una quantità
intermedia si ha a livello cervicale.
Per capire il perché diciamo molto schematicamente che le corna anteriori sono CORNA
MOTRICI in quanto contengono i pirenofori di neuroni motor-somatici i cui assoni escono
dalle radici anteriori e che le CORNA POSTERIORI sono CORNA SENSITIVE in quanto
sono costituite dai pirenofori di neuroni i cui assoni raccolgono le sensazioni alla periferia
ed entrano nelle radici posteriori.
NEL TRATTO LOMBO SACRALE ABBIAMO IL MASSIMO NUMERO DI NEURONI SIA
SENSITIVI CHE MOTORI PERCHE’ LA QUANTITA’ DI MUSCOLO CHE DEVE ESSERE
INNERVATA DALLE FIBRE MOTORIE (muscoli dei glutei, della coscia, della gamba e del
piede) E’ NETTAMENTE SUPERIORE ALLA QUANTITA’ DI MUSCOLO CHE DEVE
ESSERE INNERVATA NEL TORACE.
Lo stesso discorso vale per la superficie cutanea dalla quale raccogliere le sensibilità che
è molto maggiore nel tratto lombo-sacrale rispetto a quello toracico, ragione per cui le
corna posteriori sono maggiori nel tratto lombo sacrale rispetto a quello toracico.
I conti però non tornano se confrontiamo il tratto cervicale con il tratto toracico: la quanti
di muscolo dell’arto superiore non è sicuramente maggiore rispetto a quella toracica e la
superficie cutanea del braccio è addirittura minore rispetto a quella dell’EMITORACE e
questo non è in accordo con il fatto che le corna anteriori e posteriori cervicali sono più
grandi delle corna toraciche.
In realtà però con l’arto superiore noi siamo in grado di fare movimenti particolarmente fi
(scrivere, dipingere accarezzare ecc.) particolarmente rapidi e che richiedono particolare
attività motoria. Analogamente se devo sentire la qualità di una stoffa uso le dita e non
certo il torace.
2
Questo perché la densità (per mm
) dei recettori sensitivi che abbiamo nei polpastrelli
delle dita della mano è nettamente superiore rispetto alla densità dello stesso tipo di
recettori a livello del torace. E’ per questo che il numero di neuroni a livello delle corna
posteriori dei neuromeri cervicali è molto maggiore rispetto a quello che abbiamo a livello
toracico.
Questo per quanto riguarda la sensibilità.
Per il movimento è la stessa cosa: con i muscoli toracici noi non riusciamo a fare né
movimenti fini né rapidi né che richiedono particolare abilità motoria.
Anche se il peso dei muscoli dell’arto superiore non si discosta dal peso dei muscoli del
torace quello che varia è, il RAPPORTO DI INNERVAZIONE che è dato dal numero di
fibre muscolari scheletriche innervate da una singola fibra motrice, ossia
n° fibre_muscolari
R.I.=
.
1_assone
TANTO PIU’ BASSO E’ IL NUMERATORE, TANTO PIU’ FINE E’ IL MOVIMENTO.
Per le fibre muscolari scheletriche del braccio il rapporto di innervazione è basso mentre
tale rapporto è alto per le fibre dei muscoli del torace.
TIPI DI NEURONI E SINAPSI CHIMICHE
Morfologicamente esistono 3 tipi di Neuroni:
1. NEURONI PSEUDOUNIPOLARI (che abbiamo già descritto)
2. NEURONI BIPOLARI caratterizzati da un pirenoforo dal quale, dai poli opposti, si
dipartono un dendrite ed un assone.Questo tipo di neurone, non è particolarmente
diffuso.
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3. NEURONI MULTIPOLARI dal cui pirenoforo si diparte un solo assone ma, dal polo
opposto a questo si dipartono molti dendriti che si ramificano. Questo tipo è il più
diffuso.
Inoltre sappiamo che da un neurone origina un solo assone ma ciò non significa che un
neurone innerva una sola cellula effettrice in quanto l’assone, ad una certa distanza dal
pirenoforo da cui origina, può ramificarsi.
QUESTO CI PERMETTE DI INTRODURRE IL CONCETTO DELLA CONCENTRAZIONE
DELL’INFORMAZIONE E DELL’AMPLIFICAZIONE DEL MESSAGGIO.
Per quanto riguarda il concetto della concentrazione dell’informazione, dobbiamo tener
presente che un neurone può avere un numero elevato di dendriti che possono ricevere
informazioni da un altrettanto elevato numero di altri neuroni (sinapsi asso-dendritica) e
quindi può rappresentare un LUOGO DI CONVERGENZA DI IMPULSI.
Dall’altra parte dello stesso neurone parte un solo assone che però può dare vari rami ch
vanno a reclutare altrettanti neuroni amplificando l’informazione (DIVERGENZA
DELL’INFORMAZIONE).
Quindi abbiamo 2 piramidi simmetriche, speculari, unite per l’apice nel quale è posto il
neurone, che rappresentano da un lato la convergenza dell’impulso che dalla base va
verso l’apice della piramide e la divergenza dello stesso dall’apice alla base della seconda
piramide.
CONVERGENZA
DIVERGENZA
Bisogna anche sottolineare che NON ESISTONO NEURONI CHE NON INNERVINO
QUALCHE COSA. GLI STESSI NEURONI SECRETORI VANNO A CONTATTARE, CON
IL LORO ASSONE, UN CAPILLARE.
Il bersaglio di un neurone può essere un altro neurone, una fibra muscolare striata, una
fibrocellula muscolare liscia, una ghiandola endocrina oppure una ghiandola esocrina.
Per prendere contatto con la cellula bersaglio, l’assone finisce con un bottone sinaptico a
valle e ad una certa distanza dal quale si trova il bersaglio.
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La membrana del bottone è detta membrana pre-sinaptica mentre quella del bersaglio è
detta membrana post-sinaptica.
Lo spazio tra queste due membrane è lo spazio sinaptico.La membrana presinaptica ha
un macchinario, enzimatico e non, che permette di far fondere le vescicole presinaptiche,
ognuna delle quali contiene un quanto di neurotrasmettitore, con la membrana
presinaptica e di rilasciare il neurotrasmettitore nello spazio sinaptico.
D’altro canto la membrana post sinaptica possiede specifici recettori per il
neurotrasmettitore rilasciato ed un corredo enzimatico in grado di distruggere il
neurotrasmettitore una volta che ha agito.
La trasmissione dell’eccitazione dall’elemento pre sinaptico a quello post sinaptico
avviene quindi mediante una sostanza chimica ed è per questo detta SINAPSI CHIMICA.
Esistono anche sinapsi elettriche che sono state trovate però solo negli invertebrati e nei
pesci.
La nostra specie proprio perché ha sinapsi chimiche, si è evoluta per introdurre una
CERTA LATENZA nel passaggio dell’informazione dall’elemento presinaptico a quello
post sinaptico: ESISTONO LATENZE MISURABILI NEGLI EVENTI DEL SISTEMA
NERVOSO.
Il motivo per cui è stata introdotta tale latenza è il seguente: benché il passaggio di
informazione all’interno del SN possa essere sufficientemente veloce (va da 20cm/sec a
circa 200cm/sec), gli effettori, come ad esempio i muscoli scheletrici che devono compier
i movimenti, per come sono istologicamente fabbricati, non possono rispondere alle
sollecitazioni nervose altrettanto velocemente: LA LATENZA DEGLI EVENTI
CONTRATTILI E’ DI GRAN LUNGA SUPERIORE RISPETTO ALLA VELOCITA’ DI
PASSAGGIO DELLO STIMOLO DALLA CORTECCIA AL MUSCOLO.
Questo perché gli eventi biochimici alla base dell’accorciamento del sarcomero sono più
lenti rispetto agli eventi elettrici alla base della trasmissione dell’impulso. Nonostante la
presenza delle sinapsi chimiche si ha disuguaglianza tra conduzione dell’impulso e
contrazione, figuriamoci se le sinapsi fossero state elettriche.
TIPI DI SINAPSI CHIMICHE ECCITATORE ED INIBITORIE
L’interazione tra neurotrasmettitore e recettori bersaglio a livello postsinaptico può dar
luogo a due tipi diversi di risposte: la membrana postsinaptica si depolarizza facilitando la
trasmissione del messaggio oppure la membrana postsinaptica si iperpolarizza per un
certo periodo impedendo la trasmissione del messaggio. Nel primo caso si ha una
SINAPSI ECCITATORIA e nel secondo una SINAPSI INIBITORIA.
Dato un dendrite, su di esso possono fare sinapsi molti assoni e quindi può ricevere
contemporaneamente sinapsi inibitorie e sinapsi eccitatorie.
Il nostro sistema nervoso è fatto di catene di neuroni disposte in serie ed anche in
parallelo.
Tali “circuiti” nervosi sono GENETICAMENTE DETERMINATI E QUINDI TUTTI GLI
INDIVIDUI DELLA STESSA SPECIE HANNO GLI STESSI CIRCUITI MA PUO’ ESSERE
DIVERSO L’USO CHE NE VIENE FATTO (PLASTICITA’ DEL NEURONE).
Quindi ogni dendrite riceve un numero di sinapsi che è geneticamente predeterminato m
la risposta in ogni momento, dipende dalla somma algebrica delle sinapsi che vengono
attivate.
I circuiti che abbiamo possono essere eccitatori o inibitori.
Molto importante è la tipologia dei circuiti inibitori in quanto la stragrande maggioranza
delle nostre sinapsi è di tipo inibitorio per cui molti eventi nervosi sono dovuti al blocco
dell’attività inibitoria di un certo numero di neuroni.
Abbiamo 4 tipologie di circuiti inibitori:
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1)INIBIZIONE ANTEROGRADA o DIRETTA
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2)INIBIZIONE RETROGRADA
3)INIBIZIONE PRESINAPTICA
In questo tipo di inibizione l’assone del neurone inibitore prende contatto con il bottone
presinaptico di un neurone eccitatorio.
Tale contatto fa si che il bottone presinaptico non si depolarizzi, anzi si iperpolarizzi: non
si ha trasmissione del segnale perché non si liberano le vescicole del neurotrasmettitore
dal bottone presinaptico.
4) CIRCUITO DISINIBITORIO
Questo tipo di inibizione consiste nell’inibizione di un neurone inibitore. Per avere un
circuito disinibitorio sono necessari almeno quattro neuroni in serie ed è indispensabile
che il primo ed il quarto neurone siano eccitatori, mentre il secondo ed il terzo inibitori. Se
il neurone “1” eccita il “2” questo, essendo inibitorio, va ad inibire “3” che essendo
inibitorio non viene attivato e quindi non va ad inibire 4 che così può scaricare.
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Questo meccanismo è alla base dei circuiti di connessione tra corteccia e nuclei della
base i quali sono indispensabili per l’apprendimento motorio (come ad esempio,
l’imparare ad andare in bicicletta) e per riportare alla mente lo schema motorio appreso
ogni qualvolta è necessario (ad esempio, anche dopo 10 anni che non vado più in
bicicletta sono in grado di rifarlo in quanto ho memorizzato lo schema motorio dell’andare
in bicicletta).
TIPI DI INIBIZIONE
Il bottone presinaptico di un neurone inibitorio rilascia un neurotrasmettitore inibitorio ne
senso che questo, legandosi ai propri recettori presenti nella membrana post sinaptica,
produce una transitoria IPERPOLARIZZAZIONE, dell’elemento post sinaptico che non è
in grado, per un certo periodo (qualche msec), di rispondere ad uno stimolo che gli può
derivare per sinapsi con un secondo neurone che è disposto in parallelo.
Così se il neurone “C” è inibito da “B” esso non può rispondere allo stimolo eccitatorio ch
gli deriva da “D” che è posto in parallelo con “C” perché tale stimolo trova una membran
iperpolarizzata.
SENSIBILITA’
In un ganglio spinale si hanno diversi tipi di neuroni, sempre pseudounipoalri gangliari,
che possono essere diversi per dimensioni, i cui dendriti fanno capo a diversi recettori
periferici. Questi recettori possono trovarsi nel derma della cute, nelle tonache proprie
delle mucose (specialmente le mucose vicino alla cute come la mucosa orale,nasale,
anale) oppure a livello di articolazioni (es. le capsule articolari) o a livello dei tendini ( o
meglio alle giunzioni tra tendine e muscolo).I recettori che abbiamo nominato sono
variamente diffusi e non sono recettori di sensibilità speciale.
La morfologia di questi recettori varia: alcuni non sono dei veri e propri recettori in quanto
è il dendrite che si sfiocca e non fa capo a nessun recettore ma è la stessa terminazione
dendritica a fungere da recettore.
In tal caso è sufficiente uno stimolo fisico (caldo, freddo, dolore) per eccitare il terminale
dendritico. Altri invece sono dei recettori molto complessi: questo è il caso del FUSO
NEUROMUSCOLARE.
Quindi DATO UN NEURONE SENSITIVO SPINALE, IL DENDRITE FA CAPO AD UN
RECETTORE STRUTTURATO O NON STRUTTURATO ED E’ IL RECETTORE CHE
VIENE STIMOLATO DALL’EVENTO CHIMICO O FISICO CHE POI CI DARA’ IL
PARTICOLARE TIPO DI SENSIBILITA’.
Prima di proseguire dobbiamo fare un distinguo tra SENSIBILITA’ GENERALE e
SENSIBILITA’ SPECIALE.
Noi abbiamo 4 FORME DI SENSIBILITA’ SPECIALE CHE SONO VISTA, UDITO,
OLFATTO E GUSTO. Tali sensibilità sono dette SPECIALI perché I RECETTORI SONO
TUTTI LOCALIZZATI NEL CRANIO (occhi, lingua, naso, orecchie).
La SENSIBILITA’ GENERALE è così chiamata perché I RECETTORI SONO SPARSI
OVUNQUE (cute, mucose ecc.) DALLA TESTA ALLA PIANTA DEI PIEDI.
Tale sensibilità corrisponde alla:
• SENSIBILITA’ TATTILE
• SENSIBILITA’ TERMICO-DOLORIFICA
• SENSIBILITA’ PROPRIOCETTIVA
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I recettori per le prime due sensibilità NON SONO UNIFORMEMENTE DISTRIBUITI
(densità = n° dei recettori x2)cm
ma la loro densità varia: quelli per la sensibilità termicodolorifica sono più sviluppati sul dorso (e quindi anche sul gomito e sul dorso della mano)
e questo perché il nostro progenitore a 4 zampe esponeva il dorso al sole e alla pioggia.
I recettori per la sensibilità tattile, detti CORPUSCOLI DEL PACINI, sono invece più
concentrati nella PARTE VENTRALE DEL SOMA (polpastrelli delle dita)
La SENSIBILITA’ PROPRIOCETTIVA è un particolare tipo di sensibilità che si origina
invece a livello delle articolazioni, dei tendini, delle giunzioni miotendinose (dove la carne
diventa tendine). E’ una forma di sensibilità di cui non ci rendiamo conto a meno che non
facciamo l’esperienza di raccontare, ad occhi chiusi, come siamo disposti nello spazio.
La SENSIBILITA’ ESTEROCETTIVA è L’INSIEME DELLE SENSIBILITÀ TATTILE e
TERMICO-DOLORIFICA in quanto tali sensibilità ci permettono di sentire il mondo
esterno a noi.
La SENSIBILITA’ SOMATICA invece è L’INSIEME DELLE SENSIBILITA’
ESTEROCETTIVA E PROPRIOCETTIVA in quanto ci permette di sentire il soma nel suo
complesso.
A queste forme di sensibilità dobbiamo aggiungere la SENSIBILITA’ INTROCETTIVA che
si genera nei visceri. I visceri non hanno un’abbondante innervazione sensitiva che, poi, è
di tipo dolorifico.
Normalmente non sentiamo il cuore battere, lo stomaco macinare e rimescolare il bolo pe
trasformarlo in chimo ecc. Questo, comunque dipende oltre che dalla scarsità dei
recettori, anche e soprattutto dalla ELEVATA SOGLIA DI SENSIBILITA’, ossia dalla
bassa sensibilità.
La soglia di sensibilità è l’intensità minima dello stimolo alla quale si avverte una
sensazione. La soglia di sensibilità è invece bassa a livello della sensibilità propriocettiva.
Soprattutto a livello dei visceri la soglia di sensibilità è alta e questo ci permette di stare
tranquilli.
Un’altra forma di sensibilità è la SENSIBILITÀ CINESTESICA (che ci fa avvertire il
movimento) che si origina esclusivamente nell’orecchio interno. Lo stimolo che genera
tale sensibilità è rappresentato dal movimento attivo o passivo del capo.
Tutte queste forme di sensibilità ci servono per creare nella nostra mente
rappresentazioni spaziali di noi stessi e del mondo, percepire gli oggetti con cui veniamo
contatto, dare un significato agli oggetti che vediamo, tocchiamo, sentiamo ecc. Ci
servono per organizzare e programmare delle risposte motorie ed infine dare il via a tali
risposte motorie.
Infatti noi non siamo in grado di programmare ed eseguire risposte motorie in assenza di
informazioni sensitive.
SENSIBILITA’ ESTEROCETTIVA
Per capire che fine fa l’informazione (afferente) che entra nel MS, dobbiamo per prima
cosa descrivere come è organizzata la sostanza grigia del MS. I neuroni non sono infatti
dislocati a caso: TUTTA LA SOSTANZA GRIGIA DEL MS E’ ORGANIZZATA IN LAMINE
VERTICALI NELLE QUALI, FATTE ALCUNE ECCEZIONI, INDIPENDENTEMENTE DAL
NEUROMERO DOVE CI TROVIAMO, SI HA CHE OGNI LAMINA CONTIENE UN
CERTO NUMERO DI NEURONI CHE SONO IMPLICATI IN UNA BEN DEFINITA
ATTIVITA’. OGNI ANTIMERO (META’ NERUOMERO) CONTIENE 10 LAMINE CHE SI
ENUMERANO CON I NUMERI ROMANI (DA I A X).
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Il corno posteriore è diviso in 6 lamine disposte
una davanti all’altra. L almina X si trova davanti al
canale ependimale ma la sua funzione non è
nota.
La parte antero-laterale del corno anteriore
contiene neuroni che costituiscono la lamina IX
mentre la parte antero-mediale del corno
anteriore contiene neuroni che costituiscono la
lamina VIII.
La restante parte del corno anteriore costituisce
la lamina VII che è la lamina piu’ grande ed
anche la più eterogenea.
Le prime VI lamine (corno posteriore) sono fatte
di neuroni implicati direttamente o indirettamente
nella ricezione della sensibilità generale somatica
sia esterocettiva che propriocettiva.
In particolare la sensibilità propriocettiva si scarica esclusivamente a neuroni delle lamine
VI, ossia la lamia VI è fatta di neuroni che accolgono assoni di neuroni pseudounipolari i
cui dendriti vanno a finire alle articolazioni, alle giunzioni miotendinose ecc.
In realtà anche in neuroni della lamina VII ricevono neuroni della sensibilità propiocettiva.
La sensibilità tattile o meglio una forma di essa si scarica sui neuroni delle lamine IV e V.
Anche un certo tipo di sensibilità termico-dolorifica scarica su neuroni della lamina V.
Noi abbiamo due tipi di sensibilità dolorifica:
• SENSIBILITA’ DOLORIFICA PROTOPATICA che si riferisce al dolore diffuso e mal
localizzabile. Tale dolore è solitamente cronico ossia dura da tanto tempo (LAMINA V).
• SENSIBILITA’ DOLORIFICA ACUTA o EPICRITICA che si riferisce al dolore acuto e
puntiforme che è ben localizzabile (es. taglio, puntura di spillo, di insetto). Questa
sensibilità scarica su neuroni che si trovano sulla LAMINA I.
Le lamine II e III sono costituite da interneuroni, la maggior parte dei quali sono inibitori,
che scaricano sulla lamina I o sulla V ossia sui neuroni che mediano la sensibilità
dolorifica.
Nella lamina IX sono contenuti esclusivamente MOTONEURONI SOMATICI ossia neuroni
i cui assoni innervano uno o più muscoli scheletrici.
La lamina VIII è molto complessa e sarà esaminata in seguito.
La lamina VII possiede oltre a neuroni che accolgono la sensibilità propriocettiva, un tipo
di motoneurone che fa parte del SN autonomo (che regola le attività viscerali) il cui
assone va a regolare l’attività della muscolatura liscia o l’attività secretiva di una ghiando
endocrina o esocrina.
Tale motoneurone è detto quindi viscerale ed è localizzato nella regione laterale del corno
anteriore.
Nella lamina VII abbiamo anche un terzo tipo di neurone che in realtà è un interneurone,
solitamente inibitorio che va a scaricarsi sul motoneurone somatico (lamina IX), questo è
un esempio di inibizione retrograda. E’ il tipo di neurone più abbondante nella lamina VII.
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VIA SPINO TALAMICA
Una volta che l’informazione sensitiva è arrivata a tali neuroni della sostanza grigia, ques
la trasmettono ai centri gerarchicamente superiori.
Per capire come questo avviene scegliamo un qualsiasi neuromero del midollo spinale ad
esempio S5. Osserviamo tale neuromero, vediamo un neurone pseudounipolare sensitivo
che manda il suo dendrite alla cute, in questo esempio è la cute perianale. Se ho prurito
all’ano (il prurito è una forma di sensibilità dolorifica protopatica) i miei recettori dolorifici
raccolgono tale stimolo e lo inviano al neurone pseudounipolare S5. Da tale neurone
parte un assone S5 che scarica alla lamina V a livello di un neurone dolorifico posto in
questa lamina.
Avviene che tale neurone manda il suo assone al corno anteriore controlaterale al confine
tra cordone anteriore e cordone laterale attraversando la commissura grigia.
L’incorciamento si fa davanti al canale ependimale, per cui al davanti di questo canale
abbiamo per tutta la lunghezza fibre che si incrociano e questo riveste una notevole
importanza nelle malattie di tale canale.
Quando tale assone è arrivato al limite tra
cordone anteriore e laterale
improvvisamente piega ad “L” e sale
percorrendo tutti i neuromeri da S5 a C1
senza interruzioni.
Si forma così una via la quale origina dal
MS (nell’esempio a sinistra) incrocia
controlateralmente (va a destra) e sale fino
a percorrere tutto il tronco dell’encefalo per
andare a finire al talamo (PARTE DEL
DIENCEFALO). Tale via è detta SPINO
TALAMICA perché un neurone del MS fa
sinapsi con un neurone talamico: LA
LAMINA DI SINISTRA ARRIVA AL
TALAMO DI DESTRA. I NEURONI
TALAMICI INVIANO POI I LORO ASSONI
ALLA CORTECCIA DX.
Da questo si deduce che:
1) IL DOLORE APPLICATO ALLA PARTE
SINISTRA DEL CORPO VIENE
SENTITO CON IL CERVELLO DESTRO
E VICEVERSA (LEGGE DELLA
CONTROLATERALITA’)
2) SE SUBISCO UN TRAUMA ALLA
COLONNA VERTEBRALE CHE TAGLIA
LA META’ DESTRA DEL MS, AD UN
CERTO LIVELLO AD ES. T9,ESSO
INTERROMPE TUTTA LA
COMUNICAZIONE TRA CERVELLO E
MS AL DI SOTTO DI T9.
Ciò significa che non avrò sensibilità nelle
zone innervate dai neuroni sotto a T9 (da
coccigeo 3 a T9 incluso) e quindi non
sentirò sensibilità dolorifica all’arto di
sinistra, al gluteo di sinistra, all’emitorace di
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sinistra fino all’altezza dello spazio intercostale di T9.
AVRO’ UN’ ANESTESIA CONTROLATERALE ALLA LESIONE DAL LIVELLO DELLA
LESIONE IN GIU’.
Il discorso fatto per la conduzione del dolore protopatico vale anche per il dolore acuto m
anche per la conduzione della sensibilità tattile protopatica mentre non vale per la
sensibilità tattile epicritica.
Per sensibilità tattile epicritica si intende la possibilità di sentire come separati due stimo
tattili di uguale intensità e di uguale qualità (es fatti con due punte di matita) applicati su
punti vicini della cute (ad es ad 1 cm).
Per quanto riguarda la sensibilità tattile protopatica è importante dire che questo tipo di
sensibilità si associa ad una elevata componente emozionale come, ad esempio, quella
che proviamo con una carezza.
La componente affettiva della sensibilità protopatica non dipende dal recettore periferico
(e quindi non nasce a livello della cute) ne dalla via che porta tale informazione ma
dall’elaborazione che di tale stimolo fanno in centri superiori (talamo e corteccia): tale
informazione è modificata a livello di ogni sinapsi e quindi l’informazione viene modificata
sia a livello talamico che a livello corticale.
In generale: OGNI SINAPSI IN UNA VIA MULTISINAPTICA MODIFICA
L’INFORMAZIONE CHE TRASPORTA.
Va in fine detto che la via SPINO TALAMICA è in verità considerata come il complesso di
due vie (due a dx e due a sinistra) che nel loro insieme costituiscono il complesso SPINO
TALAMICO: una via, detta SPINOTALAMICA ANTERIORE, viaggia nel cordone anteriore
e la seconda, detta SPINOTALAMICA LATERALE, viaggia nel cordone laterale.
Per molto tempo si è pensato che le vie anteriori portasseo sensibilità tattile e quella
laterale la sensibilità dolorifica. In realtà tutte e due portano entrambi i tipi di sensibilità.
SENSIBILITA’ TATTILE EPICRITICA
Abbiamo già accennato che la via spino talamica non è utilizzata dalla sensibilità tattile
epicritica. Abbiamo già detto che per sensibilità tattile epicritica (o discriminata) si intend
la possibilità di sentire come separati due stimoli tattili uguali, applicati su due punti vicin
della cute.
Se tocchiamo il dorso della persona con la punta delle due matite distanti circa 1cm,
contemporaneamente, a quella distanza sono in grado di distinguere i due stimoli. Se
uniamo le due punte (distanza max tra le punte 2-3 mm) allora non sono più in grado di
distinguere i due stimoli ma sento uno stimolo tattile unico. Se ora ripeto tale esperiment
a livello della guancia, delle labbra, della lingua o dei polpastrelli, allora sarò comunque in
grado di distinguere lo stimolo come duplice.
COME VIAGGIANO LA SENSIBILITÀ EPICRITICA E QUELLA PROPRIOCETTIVA
COSCIENTE ALLA CORTECCIA?
Se stimolo un recettore tattile strutturato (es. corpuscolo di Maisner) esso farà capo ad un
neurone gangliare il cui assone entra nel MS per le radici posteriori ed immediatamente s
biforca ad “L”:
1) La branca corta entra nel corno posteriore e fa sinapsi con un neurone nella lamina 4
e 5 da cui si diparte la via spino talamica descritta (sensibilità protopatica);
2) La branca lunga va a finire nel cordone posteriore dello stesso lato, piega ad “L” e sale
su per arrivare al tronco dell’encefalo. Tale via veicola la sensibilità epicritica.
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Se taglio quindi il cordone posteriore in un certo punto l’individuo perderà la sensibilità
epicritica dallo stesso lato in cui c’è stata la lesione in giù mentre la sensibilità tattile
protopatica rimante intatta.
In realtà se distruggo il cordone posteriore non perdo solo la sensibilità tattile epicritica
ipsilaterale, ma perdo, nella stessa zona, anche la sensibilità PRIOPRIOCETTIVA
COSCIENTE.
Questo vuol dire che le fibre che costituiscono il cordone posteriore portano due tipi di
informazioni:
l’informazione per la sensibilità tattile epicritica e per la sensibilità propriocettiva coscien
dello stesso lato. Ovviamente variano i recettori che raccolgono tali due sensibilità:
recettori cutanei per la sensibilità tattile mentre sono tendinei, articolari, muscolari per la
sensibilità propriocettiva cosciente.
Si può compensare in parte la perdita della sensibilità propriocettiva con la vista.
Comunque se perdo sensibilità propriocettiva, ad esempio nell’arto di sinistra, anche ad
occhi aperti cammino come se dovessi scansare delle uova. Questo avviene perché in
ogni momento non riesco a “sentire” di quanto è variata la posizione del mio arto in quel
momento e quindi non riesco a coordinare il movimento successivo che faccio in modo
strano utilizzando la vista. (ATASSIA).
Ad occhi chiusi non riesco e cado perché non “sento” ne vedo la disposizione del mio arto
nello spazio.
Il cordone posteriore si può rompere non solo come conseguenza di un trauma ma anche
ad esempio, come conseguenza di una carenza di vit. B12 o di malattie degenerative del
S.N. quali la sclerosi multipla.
In realtà nel cordone posteriore si trovano DUE VIE CHE PORTANO LA SENSIBILITA’
TATTILE EPICRITICA E QUELLA PROPRIOCETTIVA COSCIENTE, che però si
riferiscono a distretti corporei diversi.
Una via, che è più vicina alla linea di mezzo, si chiama FASCICOLO GRACILE perché è
sottile. La seconda via è più laterale (più vicina al corno posteriore) e si chiama
FASCICOLO CUNEATO; è più corta e più grossa.
Il fascicolo gracile è costituito dalle fibre che provengono dai gangli da T5 in giù mentre le
fibre da T5 in su costituiscono il fascicolo cuneato, cosi detto perché in sezione frontale
assume la forma di un cuneo. Ovviamente i due fascicoli hanno la massima dimensione a
livello di C1.
Si può osservare come, pur interessando un minor numero di gangli il fascicolo cuneato
sia più grosso. Questo è dovuto al fatto che questo è composto da più fibre e quindi
raccoglie la sensibilità da un maggior numero di recettori di sensibilità tattile epicritica e
propriocettiva. Infatti il fascicolo cuneato raccoglie sensibilità al di sopra di T5 dove
abbiamo neuromeri che innervano l’arto superiore ed il collo dove massima è la sensibilit
tattile epicritica ed anche propriocettiva ( il rapporto di innervazione è molto basso e
questo consente di fare movimenti finissimi che dobbiamo essere in grado di “sentire”
mediante la sensibilità propriocettiva) .
VIA DEL LEMNISCO MEDIALE
È importante notare che il fascicolo gracile ed il fascicolo cuneato sono vie ipsilaterali. Ma
questo è vero fino ad un certo punto.
Tali vie salgono su fino a C1 e poi entrano nel tronco dell’encefalo. Nella parte PIU’
CAUDALE DEL TRONCO DELL’ENCEFALO OSSIA A LIVELLO DEL BULBO e
precisamenteNELLA PARTE PIU’ DORSALE DEL BULBO , A DESTRA ED A
SINISTRA DELLA LINEA DI MEZZO ABBIAMO DUE GRUPPI DI NEURONI VICINI TRA
LORO (due a destra e due a sinistra) CHE COSTITUISCONO IL NUCLEO GRACILE ED
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IL NUCLEO CUNEATO.
Per nucleo si intende un
raggruppamento di neuroni
implicati nella stessa
funzione.
Il nucleo gracile è più
mediale di quello cuneato.
Le fibre del fascicolo gracile
fanno sinapsi con i neuroni
del nucleo gracile, quelle
del fascicolo cuneato con i
neuroni del nucleo cuneato.
Però i neuroni di tali nuclei
danno origine ad assoni che
portano l’informazione a
livello del TALAMO
CONTROLATERALE. Infatti
OGNI ASSONE CHE
PARTE DA TALI NUCELI
PRIMA SI DIRIGE IN
REGIONE VENTRALE, POI
SI INCROCIA E QUINDI
SALE
CONTROLATERALEMENT
E.
Il tratto di fibra che si sposta
da regione dorsale a
regione ventrale è detta
FIBRA ARCIFORME
INTERNA.
Le fibre che dopo aver
incrociato salgono
controlateralmente vanno a
costituire un fascio che dal
bulbo va al talamo e che è
detto LEMNISCO
MEDIALE. Il termine
LEMNISCO (dal greco =
nastro) deriva dall’aspetto
nastriforme di tale fascio,
mentre il termine mediale si
riferisce sia al fatto che tale
fascio sale medialmente, sia al fatto che esiste un lemnisco laterale e trigeminale.
Quindi LE FIBRE DELLA SENSIBILITA’ TATTILE EPICRITICA E PROPRIOCETTIVA
COSCIENTE VANNO SEMPRE AL TALAMO CONTROLATERALE E QUINDI ALLA
CORTECCIA CONTROLATERALE.
L’incrocio però non avviene neuromero per neuromero ma sono le fibre del lemnisco
mediale che si incrociano. I neuorni talamici, a loro volta, mandano le informazioni, alla
corteccia cerebrale.
Per capire quale parte di corteccia è coinvolta bisogna sapere che la corteccia è stata
mappata da un medico tedesco (Brodmann) il quale, circa 70 anni fa, bsandosi su criteri
esclusivamente istologici, ha diviso la corteccia in circa 58 aree (a partire dal Vertex).
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Successivamente è stato dimostrato che ciascuna di queste aree è implicata in una
funzione.
Subito dietro alla scissura di Rolando si ha una CIRCONVOLUZIONE DETTA POST
CENTRALE O POST ROLANDICA che riguarda sia la faccia laterale che quella mediale
dell’emisfero. A livello di tale circonvoluzione troviamo da davanti a dietro tre aree:
la 3, la 1 e la 2 in questo ordine. L’insieme di queste 3 aree costituisce la CORTECCIA
SOMESTESICA PRIMARIA: se distruggo queste aree, ad esempio la sinistra, non avrò
più sensibilità esterocettiva e
propriocettiva cosciente
nell’emisoma di destra e
viceversa.
Tale corteccia si chiama
primaria perché in tale regione
percepiamo lo stimolo ( fattore
basilare) e questo è
fondamentale per poi
decodificare lo stimolo stesso.
In anatomia il termine “primario
” non significa il più importante
ma di importanza basilare.
Ai piedi della circonvoluzione
post rolandica abbiamo una
piccola area, l’area 43, che
rappresenta L’AREA
SOMESTESICA SECONDARIA la quale serve ad interpretare lo stimolo, ossia a dare un
significato alla sensazione (codificare e poi decodificare).
In realtà le aree 3, 1 e 2 e l’area 43 trasferiscono parte della loro informazione alle aree
5,7a e 7b le quali servono a creare MEMORIA SPAZIALE di un certo oggetto ossia
memoria della forma, della consistenza e delle dimensioni dello stesso oggetto. Questo in
modo da fare esperienza dello stesso così che una seconda volta già sappiamo che tipo
di oggetto abbiamo in mano.
Senza queste capacità di creare memorie spaziali avremmo grosse difficoltà a
rappresentarci come strutture tridimensionali.
Infatti, ad esempio, se qualcuno mi fa una lesione delle aree 5, 7a e 7b di destra, io
trascurerò il mio emisoma di sinistra e quindi non mi allaccerò la scarpa di sinistra, non m
abbottonerò il polsino di sinistra; se mi guardo alla specchio avrò una rappresentazione
asimmetrica del mio volto e così via.
ORGANIZZAZIONE SOMATOTOPICA DELLA REGIONE POST-CENTRALE
A livello delle aree 3, 1 e 2 (area somestesica primaria) i neuroni sono distribuiti in
maniera ordinatissima. Se guardiamo la sezione frontale dell'emisfero cerebrale di destra
passante per la circonvoluzione post-rolandica (rappresentata in figura dove è riportata
l'organizzazione somatotopica a livello di tale area di corteccia), notiamo come ci siano
organi rappresentati da ampie aree della
corteccia (es. l'emifaccia, la mano, il piede, i
genitali) ed altre da aree limitate (es.
avambraccio, braccio, gamba, coscia). Tale
rappresentazione è detta emiomunculus
sensitivus e ci dice che se faccio, ad esempio,
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una lesione alle aree 3, 2, 1 al passaggio tra faccia laterale e faccia mediale
dell'emisfero, quel soggetto non avrà più sensibilità cosciente a livello della gamba
sinistra. Se faccio una lesione della stessa ampiezza (es. mezzo centimetro di diametro)
a livello della zona di corteccia corrispondente all'emifaccia in corrispondenza delle
labbra, l'individuo perderà la sensibilità dell'emilabbra di sinistra. Allora capiamo che NON
SOLO LA CORTECCIA CEREBRALE E' MAPPATA NEL SENSO CHE OGNI AREA
PRESIEDE AD UNA CERTA ATTIVITA' CEREBRALE MA ANCHE CHE NELL'AMBITO
DELLE AREE 3,2 E 1 (MA ANCHE DI ALTRE AREE COME VEDREMO) POSSIAMO
MAPPARE MEZZO SOMA IN MANIERA CHE UNA CERTA ZONA DI QUELL'AREA
RICEVA SENSIBILITA' DA UNA CERTA REGIONE DELL'EMISOMA
CONTROLATERALE ED UN'ALTRA ZONA DA UNA ALTRA REGIONE DELL'EMISOMA.
Una prima osservazione su tale distribuzione somatotopica è che c'è una sproporzione
enorme tra ciò che viene rappresentato in centro e ciò che è in periferia, ossia la
superficie cutanea della emifaccia è di gran lunga inferiore rispetto alla superficie cutane
della mia coscia. In ciascuno di noi la superficie cutanea della coscia è rappresentata da
un cm² di corteccia mentre quella dell'emifaccia è rappresentata da molti cm² di corteccia
ciò significa che NELLA CORTECCIA C'E' UN NUMERO RELATIVAMENTE PICCOLO
DI NEURONI CHE RICEVONO SENSIBILITA' DALLA COSCIA E UN NUMERO MOLTO
GRANDE DI NEURONI CORTICALI CHE RICEVE SENSIBILITA' DALL'EMIFACCIA.
Lo stesso discorso si applica alla mano, al piede, alla lingua, agli organi genitali. Questo
è un'altra dimostrazione del fatto che ALCUNE REGIONI DEL NOSTRO SOMA HANNO
UNA MAGGIOR SENSIBILITA' DI ALTRE. I motivi per cui il max di sensibilità l'abbiamo a
livello del polpastrello delle dita dipenda da:
1. MAGGIOR DENSITA' DI RECETTORI
2. MAGGIOR NUMERO DI FIBRE (per esempio del fascicolo cuneato rispetto al
fascicolo gracile) IL CHE E' IN ACCORDO CON IL MAGGIOR NUMERO DI
RECETTORI
3. MAGGIOR NUMERO DI NEURONI DELLE AREE 3,1, 2 CHE RICEVONO
SENSIBILITA' DA UNA CERTA PARTE DEL NOSTRO SOMA.
Questo spiega il perché noi sentiamo gli oggetti con la mano da adulti, ma da neonati li
sentiamo con le labbra e la bocca (fino a circa 8-9 mesi) in quanto, delle zone delle aree
3, 2, 1, sono più sviluppate quelle che riguardano le labbra e la lingua che vengono
utilizzate dal bambino per memorizzare il mondo che gli sta attorno ancor prima di
memorizzare la propria tridimensionalità. Il bambino succhia (memoria genetica) già nella
pancia (si tratta di un riflesso).
Altro corollario è che UNA LESIONE PUNTIFORME (mezzo cm di diametro) DELLA
CORTECCIA DELLE AREE 3,2,1
nella zona dove è rappresentata la gamba,
provocherà un danno esteso della sensibilità della gamba.
Una lesione della stessa grandezza che riguarda la zona corticale dell'emifaccia provoca
solo un piccolo danno a livello della sensibilità della faccia.
VIA SPINO RETICOLARE, VIA SPINO ACQUEDUTTALE e VIA RETICOLO-SPINALE
Nell'ambito delle vie SPINO TALAMICHE CHE SALGONO, abbiamo delle fibre che
arrivano al talamo in maniera diversa da quelle della via spinotalamica. Tali fibre mentre
salgono vanno a scaricarsi su neuroni del tronco dell'encefalo (bulbo e ponte) che sono
neuroni sparsi (non raggruppati a formare un nucleo) che nell'insieme formano la
SOSTANZA RETICOLARE.
Si formano FIBRE SPINO-RETICOLARI. Anche tali neuroni reticolari poi proiettano nel
talamo ma in REGIONI DIVERSE rispetto alle vie SPINO TALAMICHE. Da tali regioni del
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talamo, l'informazione si distribuisce ad un'area della corteccia cerebrale molto estesa co
lo scopo di attivare la corteccia ossia di metterla in guardia.
Lo sculaccione al bimbo al momento della nascita serve proprio ad attivare questa via.
Per lo stesso motivo, se un individuo non cosciente non risponde allo stimolo dolorifico,
allora è impedita l'attivazione della corteccia e quindi l'individuo sta molto male. Lo stimo
dolorifico è, nella scala degli stimoli, l'ultimo degli stimoli da utilizzare, ma anche
nell'ambito dello stimolo dolorifico ci sono zone che se stimolate provocano più dolore: ne
maschio il massimo dolore si ottiene strizzando il testicolo e nella femmina il capezzolo.
Oltre alla via spino-reticolare che proietta alla corteccia si ha un'altra via spino-reticolare
che però si esaurisce prima di arrivare al talamo, scaricando a livello di un gruppo di
neuroni che si trovano attorno all'ACQUEDOTTO di SILVIO (canale che attraversa il
mesencefalo longitudinalmente) e che costituiscono la SOSTANZA GRIGIA
PERIACQUEDUTTALE. Abbiamo quindi una VIA SPINO-ACQUEDUTTALE.
I neuroni grigio-acqueduttali danno origine a degli assoni che trasmettono l'informazione
al midollo spinale attraverso una via discendente che fa stazione, in genere nella
sostanza reticolare del bulbo e da questa, attraverso la via RETCOLO-SPINALE, va a
finire nel corno POSTERIORE formando una specie di cortocircuito, in cui la corteccia è
by-passata.
Che cosa succede a livello del corno posteriore? Tali fibre vanno a stimolare interneuroni
delle lamie II e III (soprattutto la II) che sono per la maggior parte inibitorie che scaricano
nelle lamine I e V. Tali interneuroni vanno ad inibire a livello presinaptico la fibra del
neurone gangliare pseudo-unipolare bloccando la trasmissione della sensibilità dolorifica
e quindi il dolore.
Se fosse esattamente così non avrei più dolore dopo una frazione di secondo dallo
stimolo nocicettivo. In verità noi
normalmente non attiviamo questa via
che è geneticamente predeterminata ma
che, per la nostra salvaguardia, non deve
essere utilizzata. Ci sono però delle
circostanze in cui attiviamo questa via
perché è necessario che non sentiamo
dolore. Se ad esempio ricevo una
pistolettata alla mia gamba, cado a terra
dal dolore in condizioni normali. Se però
la pistolettata la ricevo mentre sto
salvando la vita di una persona, allora
non sento dolore fino a quando non ho
portato a termine il mio compito. Lo
stesso vale per i soldati che sono allenati
a non sentire il dolore in modo molto più
semplice vale anche per un calciatore
che è concentrato e motivato a giocare
nel momento in cui riceve un calcio e
quindi sente molto meno dolore. Ci
chiediamo allora quale struttura nervosa
va ad attivare questa via.
In realtà i NEURONI DEL GRIGIO
PERIACQUEDUTTALE RICEVONO
ANCHE IMPULSI DALL'IPOTALAMO
(che è una parte del diencefalo) CHE HA
L'IMPORTANTISSIMO RUOLO DI
REGOLARE E CONTROLLARE
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L'ATTIVITA' DI TUTTI I VISCERI O ATTRAVERSO VIE NERVOSE O ATTRAVERSO
ORMONI, MA ANCHE QUELLO DI FARE DA MEDIATORE TRA I VISCERI E LA
REALTA' IN CUI CI TROVIAMO LA QUALE VIENE INTERPRETATA DALLA
CORTECCIA.
Per esempio: IL MIO CUORE BATTE FORTE SE VEDO PASSARE LA MIA
INNAMORATA. La mia corteccia vede passare quella persona con quelle caratteristiche
fisiche e la riconosce come "mia innamorata" ma, quasi a consolidare tale memoria, la
mia corteccia scarica, attraverso particolari vie dell'ipotalamo, il quale attraverso altre vi
mi fa battere il cuore.
E' QUINDI LA CORTECCIA CHE DECIDE SE ATTIVARE LA VIA RETICOLO-SPINALE,
TRAMITE L'IPOTALAMO, E QUINDI CHE DECIDE SE MI DEVE BATTERE IL CUORE O
SE, NELL'ESEMPIO PRECEDENTE, POSSO DEDICARMI AL MIO DOLORE.
Però MADRE NATURA HA ANCHE CREATO UNA VIA DISCENDENTE CHE
AMPLIFICA IL DOLORE.
Ormai si comincia a capire la biochimica molecolare (particolari canali Ca++), particolari
recettori per alcune sostanza responsabili delle iperalgie.
Per completare il percorso del controllo del dolore bisogna notare 2 cose:
1) la prima è squisitamente anatomica. La via reticolospinale è un primo esempio di via discendente che
regola l'informazione a livello del midollo spinale e,
quindi, quello che si verifica in periferia, controllando
l'afflusso di informazione che arriva dalla periferia.
(ossia l'afferenza di informazione)
2) L'interneurone che blocca presinapticamente
l'informazione dolorifica rilascia encefaline che sono
mediatori chimici dell'impulso di alcuni interneuroni,
tipicamente neuroni inibitori.
Ci sono neuroni encefalinergici sia a livello del corno
posteriore che in altre sedi del tronco dell'encefalo e tutti
questi neuroni sono inibitori e hanno a che fare con il
dolore sia fisico sia psichico.
Il dolore psichico e fisico è anche in relazione alla
concentrazione di un ormone dell'adenoipofisi detto
endorfina. Se diminuisce la concentrazione di tale sostanza
si perde il benessere sia fisico che psichico, dove per
benessere si intende l'assenza sia di dolore fisico che
psichico. Le endorfine sono sostanze morfino simili
(endorfine = morfina endogena) e come una iniezione di
morfina anche una iniezione di endorfine ci rende
resistente al dolore fisico e psichico.
Endorfine ed encefaline sono sostanze strutturalmente
simili ma le encefaline sono neurotrasmettitori e le
endorfine sono ormoni.
Noi produciamo endorfine dopo un'intensa attività fisica, dopo il sesso, dopo aver
mangiato e questo allo scopo di fare nuovamente queste azioni che ci fanno sempre
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bene: mangiare è necessario alla sopravvivenza e questa è necessaria alla riproduzione
che serve a perpetuare la specie .
In realtà dopo un pasto produciamo serotonina la quale ci fa anche interrompere il
comportamento (i bulimici hanno meno serotonina).
Chi si fa di eroina non riesce a secernere una giusta quantità di endorfina e quindi è una
persona con un problema mentale. Il farsi di eroina non sarebbe così grave se tale droga
non procurasse assuefazione che mi porta ad aumentare progressivamente la dose.
La tolleranza farmacologica è data dalla riduzione del numero di recettori (down
regulation) che una cellula mette in atto quando è troppo bersagliata: per ottenere lo
stesso effetto è necessario aumentare la dose.
Se non possiamo assumerla accade che un qualsiasi stimolo dolorifico trovi un
bassissimo numero di recettori per le endorfine e quindi si ha una ipersensibilità a tali
stimoli dolorifici.
TEORIA DEL CONTROLLO A CANCELLO
Esiste una via locale di controllo della via del dolore tutta centrata a livello del MS, nota
come teoria del controllo a cancello.
Sperimentalmente possiamo osservare che se sbattiamo un gomito, istintivamente lo
massaggiamo. Il massaggio, che significa applicazione di uno stimolo tattile, in qualche
modo fa diminuire il dolore. Per spiegare questo evento empirico è stata elaborata tale
teoria: quando stimoliamo un recettore dolorifico la fibra afferente arriva al neurone
pseudounipolare gangliare
che emette una fibra che
entra nel corno posteriore del
MS e fa sinapsi con un
NEURONE DI PROIEZIONE
(della lamina I e della lamina
V) da cui partono le vie
spino-talamiche. É presente
però anche un'altra fibra
(mielinica) di calibro piuttosto
alto, che va a finire ad un
suo neurone di proiezione.
Il punto importante è che il
neurone di proiezione (della lamina I e V) viene innervato anche da un INTERNEURONE
INIBITORE ENCEFALINERGICO.
A sua volta questo interneurone viene eccitato, ad inibire, da una collaterale della fibra
che porta sensibilità tattile. Quindi se a seguito di uno stimolo dolorifico applico uno
stimolo tattile alla stessa regione, attraverso questa collaterale vado ad eccitare
l'interneurone inibitore che inibisce il neurone di proiezione che dovrebbe raccogliere il
dolore e trasportalo al talamo e farcelo sentire.
In realtà anche la fibra che veicola il dolore ha una collaterale la quale inibisce
tonicamente l'interneurone inibitorio il quale quindi non inibisce più il neurone di
proiezione che può scaricare dolore.
Madre natura ha fatto le cose in modo tale che ad ogni costo io debba sentire dolore. Il
dolore è fondamentale perchè ci dice che qualcosa non va. Anche in clinica il dolore è
fondamentale per capire la causa del dolore e quindi un antidolorifico deve essere usato
solo dopo che si è capito qual'è la causa del dolore.
Però il sistema di controllo a cancello ha il sopravvento perché lo stimolo tattile viaggia ad
una velocità di gran lunga superiore a quello dolorifico (almeno un ordine di grandezza) e
quindi la via del dolore è inibita dallo stimolo tattile che si applica.
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SENSIBILITA' PROPRIOCETTIVA NON COSCIENTE
Abbiamo già detto che le vie del fascicolo gracile e del fascicolo cuneato portano non solo
la sensibilità tattile discriminata epicritica ma anche la sensibilità propriocettiva coscient
Esiste anche una sensibilità propriocettiva non cosciente che arriva al cervelletto (grande
coordinatore del movimento). Noi abbiamo fondamentalmente 2 vie (almeno così diciamo
per ora) che dal midollo spinale portano sensibilità propriocettiva non cosciente al
cervelletto: la via spino cerebellare dorsale e la via spinocerebellare ventrale. La
sensibilità propriocettiva non cosciente si origina a livello degli stessi recettori periferici d
dove si origina la s. propriocettiva cosciente (vale a dire terminazioni nelle capsule
articolari, fuso neuromuscolare e organo muscolo tendineo di Golgi).
L'assone che veicola tale sensibilità propriocettiva entra per la radice posteriore e scarica
su un neurone della lamina VI e VII (neuroni della sensibilità propriocettiva). Tale neurone
dà origine ad un assone che fa una di queste due cose:
1) Si dirige verso la parte più dorsale del cordone laterale (dello stesso neuromero) e a
tale livello piega ad L salendo al cervelletto che raggiunge tramite il PEDUNCOLO
CEREBELLARE INFERIORE. Tale via è detta appunto SPINOCEREBELLARE
DORSALE perché occupa la parte più dorsale del cordone laterale.
2) Si scarica controlaterlamente (nello stesso neuromero), piega ad L, sale su e incrocia
nuovamente a livello del PEDUNCOLO CEREBELLARE SUPERIORE, tramite il quale
giunge al cervelletto ipsi laterale. Tale via non percorre solo il midollo spinale ma
anche quasi tutto il tronco dell'encefalo (bulbo e ponte), arriva nel mesencefalo e poi
piega per andare al cervelletto. Prende il nome di via SPINOCEREBELLARE
VENTRALE (o crociata) perché decorre centralmente nel cordone laterale.
Queste due vie sostanzialmente portano lo stesso tipo di sensibilità propriocettiva
incosciente (anche se in verità portano anche una forma di sensibilità tattile incosciente).
Mentre la sensibilità propriocettiva cosciente viaggia esclusivamente con il fascicolo
gracile e cuneato e va al cervello controlaterale, la sensibilità propriocettiva incosciente v
al cervelletto ipsilaterale.
Le vie spinocerebellari ventrale e dorsale non nascono dai neuroni della lamina VI e VII d
tutto il midollo: queste 2 vie portano sensibilità propriocettiva incosciente dal torace in gi
(arti inferiori, bacino, addome, tronco) e non dagli arti superiori e non dal collo.
Infatti la sensibilità propriocettiva incosciente che nasce dall'arto superiore e dal collo
(ossia da C8 a C2) segue una via detta CUNEO CEREBELLARE: l'assone afferente non
entra nelle corna posteriori ma nel cordone posteriore e qui piega ad L diventando parte
del fascicolo cuneato, arriva al bulbo, dove fa sinapsi con neuroni di un piccolo nucleo
detto NUCLEO CUNEATO ACCESSORIO (perché vicino al nucleo cuneato) e da qui va
al cervelletto.
L'esistenza di due vie spino cerebellari è forse un esempio di ridondanza ossia di
eccesso? NO. Tali vie sono state messe entrambe per un motivo importantissimo e per
capirlo dobbiamo aprire una parentesi.
Per programmare risposte motorie (ed anche comportamentali) abbiamo bisogno della
informazione sensibile la quale ci permette di creare memorie. Noi possiamo contare su
due tipi di memorie: le memorie genetiche che ereditiamo con i geni e le memorie spazia
che creiamo con l'esperienza e quindi attraverso tutte le forme di sensibilità. Tali memori
ci servono per programmare risposte motorie e per eseguire quindi i movimenti allo
scopo di poterci spostare nello spazio e di relazionarci con il prossimo (anche il parlare, lo
stringere, etc. sono tutti movimenti).
E' quindi gioco forza pensare che ci siano vie di ritorno dalla corteccia al MS le quali mi
permettano l'esecuzione del movimento.
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VIE DISCENDENTI
Infatti disponiamo di tante vie di moto le quali, per definizione, sono discendenti. Tra
queste vie ne abbiamo una (una a dx ed una a sn) che è la principale via di movimento e
che chiameremo per ora CORTICO SPINALE perché nasce da neuroni della corteccia e
senza interrompersi viaggia nel MS e, neuromero per neuromero, va a scaricarsi
fondamentalmente ma non esclusivamente, ai motoneuroni della lamina IX dai quali
partono assoni che innervano i muscoli. Tale via è caratterizzata da una sola sinapsi ed è
tanto importante che se la tagliamo, nei giorni successivi al taglio, perdiamo
completamente la capacità di contrarre i muscoli (è la via piramidale).
Sulla base di quanto è stato detto sembrerebbe che l'unico significato della via cortico
spinale sia quello di andare a portare un ordine di movimento ad un motoneurone che
innerva un determinato muscolo, in realtà una frazione di tale via non si scarica su
motoneuroni della lamina IX ma su neuroni delle lamine IV, V (tatto e dolore) e VI e VII
(sensibilità propriocettiva). Abbiamo quindi un altro esempio di una via discendente (ossia
che viene dalla corteccia) la quale si scarica su neuroni sensitivi per regolare l'attività d
scarica di tali neuroni. Questa via è detta cortico-spino-cerebellare. Si tratta di una
specie di cortocircuito: la corteccia attraverso la stessa via che dovrebbe portare l'ordine
di movimento, fa in modo che arrivino le informazioni tattili più utili in quel momento ai fi
dell'esecuzione di quel movimento. Oppure, ed è la stessa cosa, la corteccia per far
arrivare al cervelletto le informazioni propriocettive più utili, in quel momento, ai fini del
movimento.
Notiamo che attraverso la via spinocerebellare dorsale arrivano al cervelletto le
informazioni propriocettive generate immediatamente un attimo prima del movimento
compiuto: il cervelletto deve essere informato della conseguenza dell'atto motorio appen
eseguito. Tale via non arriva alla corteccia e quindi le informazioni che veicola non sono
processate dalla corteccia.
La via spino cerebellare ventrale, invece, porta al cervelletto informazioni, dallo stesso
pezzo di soma, che hanno subito il vaglio della corteccia attraverso la via cortico spinale,
ossia quella che contestualmente porta l'ordine di movimento.
Ogni movimento che facciamo è inserito in una sequenza motoria, ad esempio il
camminare è una sequenza di passi. Per fare il passo successivo la corteccia e
soprattutto il cervelletto devono sapere quale è stata la conseguenza del passo
precedente. Inoltre il cervelletto deve sapere anche, in anticipo, quale è il programma di
movimento ideato dalla corteccia. É per questo che l'informazione che proviene dal
muscolo e che viaggia attraverso la via spino cerebellare ventrale è modificata dalla via
cortico spinale e si crea così un circuito cortico spino cerebellare. Questo spiega perchè
le due vie spino cerebellari non sono uguali e quindi non c'è ridondanza: la via spino
cerebellare dorsale veicola al cervelletto informazioni propriocettive non coscienti che no
vengono processate dalla corteccia, mentre la spino cerebellare ventrale veicola
informazioni propriocettive incoscienti che però sono processate dalla corteccia attravers
il circuito cortico spino cerebellare.
La via cortico spinale non è l'unica via discendente che controlla le lamine IV, V, VI e VII.
Un'altra via discendente che svolge tale funzione di controllo parte dalla corteccia e fa
stazione in un nucleo del mesencefalo detto nucleo rosso da cui diparte la via RUBRO
SPINALE per cui è detta via cortico rubro spinale che scarica come quella cortico spinale.
Anche in tal caso non si tratta di ridondanza. Quindi in sintesi abbiamo 2 vie discendenti l
quali hanno il compito di regolare il flusso di informazioni che devono tornare alla
corteccia o al cervelletto.
RISPOSTE MOTORIE RIFLESSE
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Comunque l'informazione propriocettiva (raccolta a livello delle articolazioni, muscoli e
giunzioni muscolo scheletriche) non è destinata esclusivamente alla corteccia e al
cervelletto. Infatti noi utilizziamo tale informazione per attuare risposte motorie riflesse.
Facciamo un esempio: se do un colpetto sul tendine del quadricipite femorale di un
individuo che sta a gambe accavallate ed è rilassato, ottengo il riflesso miotatico o da
stiramento: la gamba si estende sulla coscia per poi ritornare giù ( l'escursione è di pochi
gradi).
Tale riflesso è indipendente dalla volontà ed è dovuto alla stimolazione di particolari
recettori che si trovano in prossimità dei tendini dei muscoli antigravitari (natica, coscia,
gamba, dorso, collo) ma anche in prossimità di muscoli con cui noi siamo capaci di fare
movimenti fini (muscoli delle dita delle mani, muscoli che ci fanno spostare gli occhi), alla
giunzione tra muscolo e tendine troviamo un organulo, lungo da 10mm a 12mm, chiamat
fuso neuromuscolare che è un vero e proprio propriocettore che viene attivato tutte le
volte che un muscolo si allunga rispetto alla posizione immediatamente precedente.
A causa di ciò diciamo che il fuso neuromuscolare ci serve a registrare lo stiramento
(allungamento) del muscolo.
L'informazione che parte dal fuso neuromuscolare viaggia in una fibra che scarica nel
ganglio pseudounipolare da cui si diparte una fibra che entra nel midollo spinale e da
origine a 5 rami (collaterali):
1. in parte diventa fascicolo gracile o cuneato (e quindi va alla corteccia controlaterale
mediante il lemnisco mediale);
2. una collaterale entra nel corno posteriore e scarica alle lamine VI e VII (e quindi va
al cervelletto mediante la via spinocerebellare);
3. la collaterale numero 3 si scarica direttamente nel motoneurone che innerva il
muscolo il cui fuso è stato stirato il quale quindi per riflesso si contrae.
Questo è quello che si verifica o che si può verificare ad ogni sollecitazione del fuso
neuromuscolare. Tale contrazione è stereotipa (ossia sempre uguale, di intensità
costante) Noi siamo fabbricati per rispondere ad ogni sollecitazione del muscolo con una
risposta motoria atta a riportare il muscolo alla sua lunghezza. Il motoneurone attivato è
detto motoneurone alfa. In linea di principio è possibile che un soggetto in coma,
venendo sottoposto a stimoli che si succedono nel tempo secondo uno schema ben
preciso, resti in piedi e si sposti nello spazio con dei movimenti meccanici che sembrano
dei robot.
Per descrivere le altre due collaterali della prima afferente propriocettiva bisogna aprire
una parentesi per chiarire due concetti:
• il fuso neuromuscolare è disposto in parallelo al muscolo che lo contiene. Questo
fuso viene attivato meccanicamente allo stiramento del muscolo il quale stira
anche il fuso il quale da origine al riflesso di stiramento o miotatico (che è mediato
dal motoneurone alfa)
• é importante anche sapere che i nostri muscoli a riposo sono caratterizzati da uno
stato minimo di contrazione chiamato tono muscolare. Questo tono è assicurato da
un certo numero di fibre del muscolo che sono costantemente in contrazione. Tale
tono è assicurato da un motoneurone alfa che scarica con frequenza lenta ma
costante su un certo numero di fibre di un dato muscolo. Tale tipo di motoneurone
alfa è detto "motoneurone alfa tonico" per distinguerlo dal tipo "alfa fasico" che
interviene nella contrazione fasica dei muscoli.
Ad ogni articolazione abbiamo muscoli antagonisti tra loro (ad esempio gli adduttori e gli
abduttori) che vengono attivati in modo opposto ( se contraggo gli abduttori dovrò
rilasciare gli adduttori che sono gli antagonisti nel movimento di abduzione).
Fatte queste premesse abbiamo che affinché un riflesso miotatico vada a buon fine con
la contrazione di un dato muscolo allora non deve essere antagonizzato dai muscoli
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antagonisti per cui madre natura ha inventato un meccanismo che serve a spegnere
momentaneamente l'attività del motoneurone alfa tonico dei muscoli antagonisti ai fini d
facilitare l'azione del muscolo agonista il quale deve vincere la forza di gravità.
4. Questo meccanismo è innescato proprio dalla 4° collaterale la quale scarica su un
interneurone inibitore della lamina VII il quale è eccitato ad inibire gli alfa
motoneuroni (tonici) che innervano il muscolo antagonista. In definitiva viene
momentaneamente azzerato il tono del muscolo antagonista.
5. Infine, la 5° collaterale della fibra propriocettiva si incrocia controlateralmente a
livello del corno anteriore e va ad attivare una serie di eventi che sono ad esempio:
se decido di stare su un solo arto recluto i muscoli di quell'arto ma anche quelli dell'altro
arto che dovranno avere il comportamento opposto: se fletto il quadricipite di destra sul
bacino devo estendere quello di sinistra (sistema dei pesi e dei contrappesi).
Esempio dell'importanza del riflesso miotatico.
Dentro alla pancia un bambino ha una posizione flessa che tende a mantenere per alcun
mesi come conseguenza dell'adattamento dei recettori propriocettivi.
Crescendo, l'evento importante che rappresenta un evento spartiacque è quello di
passare da una posizione flessoria ad una posizione estensoria che, invero, riguarda solo
l’arto inferiore in quanto quello superiore mantiene sempre una posizione flessoria.
La posizione che un arto mantiene è la conseguenza del tono muscolare dei suoi muscoli
così mentre nell'arto superiore prevale il tono dei muscoli flessori (prevalenza degli alfa
motomeuroni tonici flessori), nel dorso e negli arti inferiori prevale il tono dei muscoli
estensori o meglio dei muscoli antigravitari.
Il passaggio tra la posizione flessoria e quella estensoria è graduale ( si passa per il
gattonamento) e richiede 10 -12 mesi. Per tale passaggio è fondamentale il riflesso
miotatico. Tale riflesso è infatti sempre controllato dai pediatri nei primissimi mesi di vita
pediatra, per controllare i riflessi del bimbo, lo prende per le ascelle, lo solleva e poi gli fa
appoggiare i piedi su un lettino: appena le dita dei piedi toccano il lettino il bimbo estend
le gambe sulle cosce (raddrizza gli arti). Questo riflesso passivo è dovuto al fatto che
quando i piedi poggiano diminuisce l'angolo del ginocchio e ciò causa lo stiramento dei
quadricipiti che a loro volta causano lo stiramento dei loro fusi neuromuscolari che
attivano la via riflessa descritta.
Quindi: il riflesso dello stiramento passivo dei fusi neuromuscolari serve
fondamentalmente per ripristinare la postura normale che nell'uomo è quella eretta.
La risposta che un fuso neuromuscolare attiva serve anche per capire se la forza con cui
sto contraendo un muscolo è adatta o non adatta alla resistenza.
Se ad esempio vado a sollevare una valigia di cui non conosco il contenuto posso
all'inizio esercitare una forza insufficiente ai fini del sollevamento della valigia stessa,
comunque nell'atto di sollevarla stiro i fusi muscolari, come conseguenza dello stirament
dei muscoli, ed i fusi mandano l'informazione che la forza esercitata è insufficiente.
STIRAMENTO ATTIVO DEL FUSO NEUROMUSCOLARE
Fino ad ora abbiamo parlato della sollecitazione passiva del fuso ma in realtà siamo
dotati di un meccanismo e di una struttura che ci permette di stirare attivamente il fuso.
Per capire tale meccanismo bisogna conoscere la struttura del fuso neuromuscolare. Il
fuso neuromuscolare è una struttura fusiforme di 1, 2 mm di lunghezza costituita da una
membrana esterna (perimisio) che delimita un fascio di 10- 20 mini fibre muscolari striat
(fibre intrafusali) che sono parallele tra loro e alle fibre del muscolo (fibre extrafusali). Le
fibre intrafusali si inseriscono o al tendine del muscolo o ai poli della capsula connettivale
Nel fuso si distinguono due poli e un equatore.
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Si può osservare che :
1. le 10-20 fibre intrafusali presentano sarcomeri solo verso e non a livello
dell'equatore del fuso;
2. nella parte equatoriale delle fibre (e quindi all'equatore del fuso) sono invece
concentrati i nuclei;
3. nelle porzioni distali del fuso , dove ci sono i sarcomeri, si possono osservare una
serie di placche che derivano da sottili fibre motrici (fibre gamma). Le fibre gamma
derivano da motoneuroni gamma della lamina IX, i cui impulsi provocano la
contrazione delle porzioni distali delle fibre intrafusali con stiramento del fuso (i po
si allontanano ).
Tale stiramento è pero attivo perché attivato da una fibra e quindi con impiego di energia
ma il risultato dello stiramento è uguale a quello dello stiramento passivo.
É importante sottolineare che: gli alfa motoneuroni innervano le fibre extrafusali e i
gamma motoneuroni le fibre intrafusali. Risultato: è possibile contrarre un muscolo che
abbia dei fusi neuromuscolari in due modi:
a) inviando un ordine da un alfa motoneurone che, a sua volta lo ha ricevuto dalla
corteccia (contrazione volontaria);
b) stimolando un gamma motoneurone a stirare attivamente il fuso, generare
l'informazione propriocettiva con i soliti 5 destini: uno di questi stimola l'alfa
motoneurone il cui fuso è stato attivamente stimolato, con contrazione in via riflessa
del muscolo.
Allora noi abbiamo un doppio sistema di contrarre i muscoli, uno che parte dalla corteccia
e che contrae una sola sinapsi (due in realtà: all'alfa e alla placca motrice); un altro che è
multisinapsi che però è incentrato sul gamma motoneurone e che rappresenta una sorta
di servomeccanismo (amplificazione)
MA COME FA LO STIRAMENTO DEL FUSO A GENERARE L'INFORMAZIONE
PROPRIOCETTIVA?
All'equatore del fuso o meglio all'equatore di ogni singola fibra arriva il dendrite di una
grossa fibra nervosa propriocettiva, il quale dendrite circonda la fibra muscolare
formandole attorno una spirale, formando la così detta terminazione anulospirale.
Accade che quando il fuso si stira l'equatore collassa ossia diminuisce di diametro e
questo funge da stimolo meccanico che viene raccolto dalle terminazioni anulospirali
innescando tutti i meccanismi descritti.
Ora passiamo a rispondere alla domanda: PERCHE' MADRE NATURA HA INVENTATO
UN SISTEMA COSI COMPLESSO?
La risposta è duplice:
1) In realtà noi non possediamo soltanto la via cortico spinale (Piramidale) per muoverci
ma possediamo almeno altre sei vie discendenti di moto che provengono da nuclei
che si trovano nel tronco dell'encefalo che, a loro volta, sono eccitati da vie che
vengono, in genere, dalla corteccia cerebrale o dal cervelletto. Tali vie nel loro insieme
costituiscono il sistema extrapiramidale. Quindi noi abbiamo 2 sistemi discendenti di
moto: la via principale di moto, la via piramidale, ed il sistema extrapiramidale. Sia la
via piramidale che quelle extrapiramidali si scaricano sia ad alfa motoneuroni che a
gamma motoneuroni. In genere c'è una prevalenza delle vie extrapiramidali a
scaricarsi sui gamma motoneuroni e una prevalenza delle vie piramidali a scaricarsi su
alfa motoneuroni fermo restando che ogni tipo di motoneurone riceve entrambe le vie
Questo è importante perchè grazie al fatto che i gamma motoneuroni ricevono fibre
che sono soprattutto extrapiramidali noi organizziamo sequenze motorie complesse
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se devono essere STEREOTIPE, scomodando soprattutto i gamma che danno
risposte riflesse. Se invece abbiamo una necessità di fare un movimento
particolarmente fine, oppure rapido, oppure che richiede particolare abilità motoria,
allora useremo la via cortico spinale primariamente. Quindi usiamo primariamente la
via piramidale per movimenti fini e rapidi e le vie extrapiramidali per azioni riflesse
automatiche quali il camminare.
2) un altro motivo per cui c'è un gamma, è che la via piramidale si scarica anche sul
gamma oltre che sull'alfa. Il risultato è che l'attivazione dell'alfa fa contrarre il muscol
extrafusale, il quale si accorcia ma la contemporanea stimolazione del gamma fa
stirare il fuso neuromuscolare nello stesso istante: varia la proporzione tra le
lunghezze dei 2 elementi (muscolo e fuso).
Lo stiramento del fuso tra i vari effetti va a stimolare anche l'alfa, che era stato
precedentemente stimolato dalla via piramidale e quindi fa contrarre il muscolo per via
riflessa (è questo il servo meccanismo ossia l'amplificazione).
Se però registriamo l'attività del fuso, noi notiamo che esso scarica immediatamente
dopo arrivato l'ordine del gamma, ma dopo un po’ non scarica più, per cui la
contrazione riflessa si ha per un attimo e poi non c'è più.
La probabile ragione del fatto che tale meccanismo riflesso si spegne sembra sia
dovuta al grado di stiramento raggiunto dal fuso stesso. Raggiunto un certo grado di
stiramento, se aumenta la resistenza applicata al muscolo, la quale mi fa allungare
passivamente il muscolo che si sta contraendo, tale allungamento si aggiunge al
prestiramento del fuso ed io ho una risposta motoria riflessa più grossa. Ossia la
capacità di oppormi alla resistenza di peso è maggiore di quella che avrei se non
avessi tale sistema.
RIASSUNTO DELLA ATTIVAZIONE DEL FUSO NEUROMUSCOLARE.
Lo stiramento del fuso è registrato dalle terminazioni anulospirali della fibra sensitiva
che fa capo ad un neurone pseudounipolare di un ganglio spinale il cui assone entra
nel midollo spinale dove si divide in 5 branche.
1) Una sale sotto forma di fascicolo gracile o cuneato che va alla corteccia
controlaterale ( via del LEMNISCO MEDIALE)
2) Una va a neuroni della lamina VI e VII per dare origine alle vie cerebellari
(l'informazione va al cervelletto ipsi laterale)
3) Una scarica ad alfa motoneuroni della lamina IX che innervano il muscolo il cui
fuso è stato stirato (riflesso miotatico). Tale riflesso serve a mantenere il tono
normale dei muscoli che è estensivo per l'arto inferiore e flessorio per l'arto
superiore. Serve anche a rendere possibili contrazioni riflesse del muscolo allorché
venga aumentata la resistenza.
4) Una collaterale si scarica su un interneurone inibitore della lamina VII che va ad
inibire l'alfa motoneurone del muscolo antagonista a quello il cui fuso è stato stirato
.
5) La quinta collaterale va dall'altra parte del midollo, e va a scaricare sugli alfa della
lamina IX producendo gli effetti opposti: viene eccitato l'antagonista ed inibito
l'agonista. Ciò consente il mantenimento della postura e quindi dell'equilibrio.
Quindi le funzioni del fuso sono:
1) avvisare la corteccia ed il cervelletto che un muscolo è più lungo di prima e che quindi
è aumentata la resistenza;
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2) adeguare la forza di contrazione del muscolo alla resistenza applicata (valigia più
pesante di quello che avevamo pensato all'inizio);
3) capire che un certo peso non riuscirò mai a tirarlo su, ossia se siamo in grado di
sollevare un certo peso. Questo è importante ai fini di comportamenti in quanto se una
persona si ostina a voler tirare su un peso enorme questo ci fa capire che la sua
personalità è alterata.
ORGANO MUSCOLO TENDINEO DI GOLGI
Un secondo organulo, l'organo muscolo tendineo del golgi, è invece posto in serie rispetto
al muscolo, ossia alla giunzione miotendinosa.
Tale organulo è sensibile all'aumento di tensione che si sviluppa in un muscolo che si sta
contraendo. Esso registra le variazioni di potenza nella contrazione muscolare dicendo
che il muscolo si è accorciato rispetto a prima (il muscolo sviluppa potenza se si accorcia)
Quindi la contrazione del muscolo mette in tensione l'organulo del golgi. Tale tensione è
registrata dalla fibra afferente propriocettiva la quale entra nel midollo e si divide in quat
rami:
1) un ramo prende la via del fascicolo gracile o cuneato ( al cervello)
2) un secondo da origine alla vie spino cerebellari (al cervelletto)
3-4) il terzo ed il quarto si scaricano a livello degli alfa motoneuroni (il terzo attiva un
interneurone inibitore mentre il quarto attiva il motoneurone attraverso una catena di
disinibizioni) creando però l'effetto opposto rispetto a quello creato dalla fibra afferente
che deriva dal fuso neuromuscolare nei confronti del muscolo agonista ed antagonista.
Il risultato è che se si eccita l'organulo di Golgi in un muscolo che si sta contraendo, tale
muscolo si rilascia mentre si contrae il suo antagonista.
I neurofisiologi hanno pensato che tale meccanismo servisse ad impedire un eccesso di
contrazione di un muscolo ai fini di evitare la lacerazione ossia lo strappo del muscolo
stesso.
È probabile che l'organo di Golgi serva anche a questo ma sicuramente serve ad un
qualcosa di più banale. Per capirlo facciamo un esempio. Immaginiamo di alzare una
valigia che pensiamo essere piena che in verità è vuota. La forza che imprimiamo
inizialmente è troppo grande rispetto al peso che effettivamente devo alzare; una tale
forza viene subito riaggiustata in base al carico che effettivamente sto alzando. Questo
aggiustamento è il risultato della messa in tensione dell'organulo di Golgi il quale (con i
rami ascendenti della fibra sensitiva) avvisa la corteccia ed il cervelletto che la resistenza
è troppo bassa rispetto alla potenza ed inoltre (con gli altri 2 rami) mette in atto un rifless
che rilascia il muscolo che si sta contraendo e contrae l'antagonista di questo. Quindi:
mentre il fuso neuromuscolare ci indica se la potenza è adeguata alla resistenza, l'organo
muscolo tendineo del Golgi ci dice se la resistenza è adeguata alla potenza, ma in
particolare ci dice che la potenza è troppo rispetto alla resistenza.
Dobbiamo infine fare 2 puntualizzazioni:
1) la prima riguarda i neuroni delle lamine VI e VII dai quali si dipartono le vie
spinocerebellari dorsale e ventrale. Abbiamo detto che i neuroni della lamina VI e VII
che danno origine alla spino cerebellare ventrale subiscono il controllo di vie
discendenti: la via cortico spinale e la via cortico rubro spinale. In realtà il midollo
spinale è un centro di riflessi: la circuiteria degli interneuroni configura dei minicircuiti
locali del tipo interruttore lampadina. Lungo il midollo abbiamo quindi vie di riflesso le
quali quando vengono attivate, danno sempre risposte stereotipe. Tali risposte
stereotipe sono però regolate dalla corteccia direttamente attraverso la via cortico
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spinale od indirettamente attraverso la via cortico rubro spinale. La corteccia modula l
scarica di informazioni che dalla periferia sono dirette al cervelletto. In questo modo il
cervelletto confronta ( interfaccia) l'informazione pura che gli viene dalla periferia (via
spino cerebellare dorsale), con quello che in quell'istante la corteccia vuole che si
faccia. Questo deve avvenire perché un qualsiasi movimento fa parte di una
sequenza di movimento programmata dalla corteccia.
Le vie discendenti hanno la funzione di dire al cervelletto quale circuiteria del midollo
spinale, ossia quale neuromero del midollo deve entrare in funzione un attimo dopo.
2) Significato della lamina VIII.
I neuroni di tale lamina non ricevono informazioni sensitive dalla periferia direttamente
ed i loro assoni non lasciano il midollo spinale. Ciò significa che non sono né neuroni
sensitivi, né neuroni di proiezione. Se osserviamo uno di questi neuroni, ad esempio
un neurone della lamina VIII appartenente al neuromero C7 vediamo che l'assone di
tale neurone esce dalla sostanza grigia ma, appena uscito si divide in T con una
branca che scende ed una che sale. Tali branche, salendo e scendendo, danno
origine a collaterali ciascuna delle quali rientra nella sostanza grigia del midollo e si
scarica su alfa motoneuroni (lamina IX) e su interneuroni della lamina VII i quali, a loro
volta, scaricano su motoneuroni della lamina IX. Queste fibre sono quindi dette fibre
associative in quanto associano un certo neuromero.
Questo significa che se stimolo un neurone della lamina VIII questo andrà a reclutare
una serie di alfa motoneuroni in neuromeri che precedono e seguono il neuromero a
cui il neurone stimolato appartiene. Ogni neurone della lamina VIII di un certo
neuromero avrà connessioni diverse da quelle di un altro neurone della stessa lamina
e dello stesso neuromero. Ogni neurone ha connessioni geneticamente
predeterminate che quindi si instaurano durante l'organogenesi e l'embriogenesi.
Ovviamente gli alfa motoneuroni dei neuromeri che ricevono le fibre associative
saranno raggiunti dallo stimolo (che viaggia a 2 millisecondi) tanto più tardi quanto più
distanti sono i neuromeri dal neuromero che contiene il neurone della lamina VIII che è
stato eccitato. Come conseguenza della stimolazione di un neurone della lamina VIII
avrò quindi una serie di movimenti stereotipi che si succederanno nello spazio e nel
tempo i quali, nel loro insieme, configureranno un comportamento motorio stereotipo;
ad esempio, se con una puntina pungo una mano, come comportamento stereotipo
faccio un movimento che è la successione di una serie di azioni stereotipe in
sequenza:
-
estendo la mano per allontanarla dalla puntina
fletto l'avambraccio sul braccio (lo allontano dalla puntina)
estendo il braccio (lo porto indietro)
talvolta faccio anche un salto indietro
Il tutto sembra avvenire contemporaneamente ma in verità avviene in sequenza perchè i
neuromenri vengono raggiunti dall'impulso in tempi successivi: prima viene raggiunto il
neuromero più vicino e poi via via quelli successivi. Tale meccanismo è molto importante
perchè rende possibile una risposta motoria stereotipa scomodando solo all'inizio una via
centrale del movimento per dare inizio al movimento che poi continua grazie all'attivazion
della circuiteria incentrata sulla lamina VIII.
Dato che però anche i neuroni reclutati mediante il circuito della lamina VIII costituiscono
dei circuiti e siccome la risposta motoria che si genera genererà altra informazione
propriocettiva ed esterocettiva destinata alla corteccia ed al cervelletto, si capisce ancor
più l'importanza di vie discendenti che scaricano nella lamina VI e VII per andare a dire al
cervelletto quello che esso deve coordinare durante il movimento successivo.
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Quindi il midollo non è soltanto un punto di arrivo e di partenza, ma è una circuiteria
importante. Da questa si dipartono informazioni che vanno ai centri superiori
raggiungendo la corteccia che è la sola a poter fare l'esame della realtà e a prendere
delle decisioni.
TRONCO DELL'ENCEFALO
È costituito da tre parti: il bulbo o midollo allungato, il ponte di Varolio ed il mesencefalo.
bulbo visto dal davanti sembra veramente la continuazione del midollo spinale. In realtà l
apparenti continuazioni dei cordoni anteriori del midollo sono dette piramidi bulbari e son
fatte quasi esclusivamente di fibre discendenti. Qui troviamo tutta la via cortico spinale
che, costituendo le piramidi bulbari, è detta via piramidale. Ai lati dei 2 terzi superiori d
bulbo sono visibili 2 formazioni ovolari relativamente grandi dette olive inferiori. Tra la
piramide e l'oliva c'è un solco detto solco pre-olivare (pre=davanti) che è in linea con il
solco ventro laterale del midollo spinale. Dal solco pre-olivare emerge un certo numero di
radicole le quali convergono tutte in un unico ramo, il XII nervo cranico o nervo ipoglosso
(innerva la lingua da sotto). Dal solco retro olivare (o solco dei nervi misti) emergono altr
radicole che convergono a formare 3 nervi: L'XI (accessorio), il X (vago) ed il IX
(glossofaringeo). Il bulbo finisce in maniera netta con un solco bulbo pontino. In
corrispondenza di tale solco,sopra le piramidi del bulbo, vediamo emergere il VI o nervo
abducente, che innerva un solo muscolo, il muscolo laterale o retto esterno dell'occhio, il
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quale fa girare il polo anteriore dell'occhio verso l'esterno. Se ci spostiamo un pò più
lateralmente ci troviamo in una zona delimitata dal ponte, dal bulbo, dall'oliva e dal
cervelletto. Tale zona, critica in clinica, si chiama angolo ponto cerebellare,dal quale
emergono tre nervi. Il primo è il VII (nervo faciale) , il secondo è il nervo intermedio che
con il terzo, lo statoacustico, forma l’VIII nervo cranico (i nervi cranici che emergono da
questa zona sono pertanto 2: VII e VIII, quest’ultimo formato dall’unione dei nervi
intermedio e statoacustico). Tumori che si sviluppano in questa regione (delle meniningi o
delle cellule di SHAWN di tali nervi) possono dare segno di se comprimendo uno di
questi tre nervi.
Il ponte del VAROLIO ha una morfologia apparentemente del tutto diversa da quella del
bulbo. Il ponte è percorso medialmente dal solco basilare che separa 2 metà simmetriche
e convesse sul davanti fatte fondamentalmente di sostanza bianca. All'estremità laterale
di queste superfici vediamo emergere il più grosso nervo cranico, il V o nervo trigemino.
Dall'immagine si vede anche come fibre del ponte entrano nel cervelletto.
Spostandosi più in su vediamo che il ponte si continua con il mesencefalo che è una
struttura corta e larga costituita da 2 formazioni convesse separate da una fossa. Le 2
superfici convesse sono dette peduncoli cerebrali e la fossa che le divide è detta fossa
interpeduncolare. Dalla fossa interpeduncolare emerge il terzo nervo cranico o
oculomotore comune che innerva i muscoli estrinseci ed intrinseci dell'occhio.
L'unico nervo che emerge dalla superficie dorsale è il IV o nervo trocleare o patetico
(perché esso innerva il muscolo obliquo superiore dell'occhio che quando è contratto
sposta in basso ed in avanti il polo anteriore dell'occhio dando lo sguardo "patetico"). Il IV
nervo emerge dalla superficie dorsale del mesencefalo e ha la particolarità di essere
l'unico nervo cranico ad incrociarsi all'origine (innerva il muscolo controlaterale). Per
guardare da dietro il tronco dell'encefalo bisogna eliminare il cervelletto che è
strettamente connesso a tutto il tronco dell'encefalo mediante i peduncoli cerebellari oss
grossi fasci di sostanza bianca che connettono il tronco al cervelletto.
Abbiamo 3 peduncoli cerebellari per lato: superiore, medio ed inferiore.
• Il peduncolo cerebellare superiore è il più piccolo ed è costituito da fibre a doppio
senso di circolazione che uniscono il cervelletto al mesencefalo.
• Il peduncolo cerebellare medio, che è il più grande, è costituito da fibre a senso
unico ed obbligato che vanno dal ponte al cervelletto e che costituiscono la via
principale di collegamento tra corteccia e cervelletto.
• Il peduncolo cerebellare inferiore, di dimensioni intermedie, unisce il cervelletto al
bulbo ed il bulbo al cervelletto.
Asportando il cervelletto e guardando il tronco dell'encefalo a partire dal bulbo, vediamo
che i 2 terzi inferiori del bulbo sono simili alla metà posteriore del midollo spinale ma son
diverse le dimensioni: è come se il fascicolo gracile e il cuneato crescessero di dimension
ma in verità la crescita di dimensione è dovuta alla presenza di nuclei di sostanza grigia
che sono destinati a ricevere tali fibre. Tali 2 formazioni sono dette CLAVA (dal fascicolo
gracile) e TUBERCOLO CUNEATO (dal fascicolo cuneato). Sopra al tubercolo cuneato
c'è un'altra formazione detta tuber cinereum di cui diremo.
La cosa che risulta guardando tale immagine è che tutte queste formazioni posteriori del
bulbo, via via che si sale, si ingrandiscono e si spostano lateralmente, tanto che tra le
formazioni di destra e quelle di sinistra si forma uno spazio. Lo spazio romboidale che si
forma è dovuto in parte al bulbo ed in parte al ponte ed è posto in profondità rispetto al
piano delle strutture appena menzionate. In realtà quello che accade è che il canale
ependimale che fino a C1 è in posizione centrale, presente due variazioni di decorso
importanti:
1) il canale si dorsalizza, ossia devia indietro
2) mentre si posteriorizza, tale canale si allarga come l'affluente (immissario) che va a
finire in un lago.
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Allargandosi e dorsalizzandosi, tale canale fa si che vengano a ridursi a zero tutte le
strutture che stanno dietro al canale ependimale nel midollo spinale (corna posteriori,
cordoni posteriori ed un pezzo di commessura grigia). Il risultato è quindi che il terzo
superiore del bulbo non ha più il tetto, ossia non c'è più né sostanza grigia né bianca. Il
lago che viene a formarsi prende il nome di quarto ventricolo. Se osserviamo un'immagin
laterale del tronco ci sembra che il tetto di questo lago sia costituito dal cervelletto ma in
verità il tetto è costituito da 2 veli midollari: il velo midollare anteriore superiore ed il velo
midollare posteriore inferiore che sono disposti come una tendina canadese ruotata di 90
gradi. Il fondo ti tale lago è detto pavimento del quarto ventricolo. Il quarto ventricolo
contiene LIQUOR. Dall'immagine vediamo anche che il canale nel dorso del ponte si
restringe e quindi, all'estremo superiore del ponte, si ricostituisce una specie di tetto.
Infatti dal quarto ventricolo emerge un condotto che percorre assialmente il mesencefalo
ma in posizione eccentrica. Tale condotto è il già nominato acquedotto di Silvio. Nel
mesencefalo viene quindi ricostituito un tetto vero è proprio di strutture nervose detto
TETTO DEL MESENCEFALO che è costituito da una lamina di sostanza bianca detta
lamina dei corpi quadrigemini (che è tipo un vassoio che sostiene quattro tazze capovolte
appunto i corpi quadrigemini) che sostiene quattro corpi quadrigemini.
I corpi quadrigemini si chiamano anche collicoli (da collina) e ne abbiamo 2 superiori
(destro e sinistro) e 2 inferiori (destro e sinistro).
I collicoli inferiori sono una stazione cruciale nella via uditiva (se distruggiamo i collicoli
inferiori di una persona questa diventa sorda) mentre i collicoli superiori sono importanti
centri di riflessi visivi (se li distruggiamo la persona non diventa cieca ma perde la
possibilità di eseguire alcuni riflessi visivi).
ORGANIZZAZIONE DELLA SOSTANZA GRIGIA DEL TRONCO
Una conseguenza molto importante della dorsalizzazione ed ampliamento del canale
ependimale è quella della deformazione della geometria esistente nel midollo spinale: la
sostanza grigia che era compatta al centro del midollo spinale viene frammentata in tante
isole di sostanza grigia in un mare di sostanza bianca. Ognuna di queste isole va a
costituire un nucleo, ossia un insieme di neuroni implicati nella stessa funzione.
Nel midollo spinale la sostanza grigia è organizzata in lamine (da I a VI sensitive, la VII
mista, la IX degli alfa e gamma motoneuroni, e l'VIII è costituita da neuroni associativi
intraspinali).
Questa tipologia di neuroni si ritrova anche nel tronco dell'encefalo dove avremo:
• nuclei sensitivi (ossia gruppi di neuroni che ricevono, tramite i nervi cranici,
informazioni sensitive: dolorifiche, tattili e propriocettive);
• nuclei motori somatici (che contengono alfa e gamma motoneuroni come quelli
della lamina IX);
• nuclei motori viscerali (che stavano nella lamina VII del midollo);
• nuclei associativi (che contengono neuroni uguali a quelli della lamina VIII che però
qui assumono un significato profondamente diverso).
Tale ordine può essere capito se si pensa a cosa avviene alla sostanza bianca e grigia
dorsale quando il canale ependimale si amplia e si dorsalizza: le corna posteriori vengono
spinte lateralemente e verso l'avanti ed i cordoni posteriori lateralmente. Ma nelle corna
posteriori c'erano i neuroni sensitivi per cui i nuclei sensitivi ce li dobbiamo aspettare nel
tronco dell'encefalo in posizione dorso laterale. I cordoni posteriori ( che nel tronco sono
detti clava e tubercolo cuneato) si spostano, via via, dorso lateralmente. I cordoni lateral
del midollo, a causa di questa spinta, si spingono in posizione ventro mediale (e
diventano piramidi del bulbo). Le corna anteriori vengono prima avvicinate e poi spinte
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dorsalmente ( cioè indietro) e quindi dobbiamo aspettarci i nuclei motori somatici in
posizione dorso mediale.
Ora analizziamo i nuclei del tronco. Nell'immagine sono rappresentati a sinistra i nuclei
motori ed a destra i nuclei sensitivi, fermo restando che i nuclei sono tutti simmetrici ossi
sono presenti sia a destra che a sinistra. Nell'immagine vediamo come in posizione dorso
mediale abbiamo, nel tronco dell'encefalo, 4 nuclei: uno molto lungo che si trova a caval
tra bulbo e ponte, uno nel ponte e due nel mesencefalo.
Tutti questi nuclei sono costituiti da motoneuroni alfa e gamma (lamina IX) e sono i nucle
di alcuni nervi cranici. Ciò significa che le loro fibre abbandoneranno il tronco dell'encefal
per diventare nervi cranici.
Il nucleo che è allungato tra bulbo e ponte è il nucleo del nervo ipoglosso (XII) che innerva
i muscoli della lingua. Il nucleo che si trova sul ponte è il nucleo del nervo abducente (VI)
che andrà ad innervare il muscolo retto esterno dell'occhio.
Nel mesencefalo abbiamo un nucleo davanti al collicolo inferiore esso è il nucleo del
nervo trocleare o patetico (IV) che innerva il muscolo obliquo superiore dell'occhio. Il
nucleo che si trova davanti al collicolo superiore è il nucleo dell'oculomotore comune (III)
che innerva i muscoli dell'occhio.
Sempre in posizione dorsale ma un po’ più lateralmente rispetto ai nuclei sin qui descritt
abbiamo tre nuclei: uno nel bulbo e 2 nel ponte che sono sempre costituiti da motoneuron
alfa e gamma soltanto che sono fisicamente separati da quelli descritti ( per un motivo
embriologico). Il nucleo che si trova nel bulbo è il nucleo ambiguo. Qui abbiamo alfa e
gamma motoneuroni che appartengono al X ed al IX nervo cranico ossia al vago ed al
glossofaringeo: abbiamo i motoneuroni del vago che diventeranno nervi laringei ed i
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motoneuroni che diventeranno nervo glossofaringeo, importante per l'innervazione della
muscolatura dell'istmo delle fauci e dei muscoli costrittori della faringe (superiore e metà
del medio).
Il nucleo più caudale del ponte è il nucleo del nervo facciale (VII), le cui fibre innervano i
muscoli mimici del volto ma anche partecipano all'innervazione dei muscoli del palato. Il
nucleo più craniale è il nucleo del nervo masticatorio o nucleo motore del nervo trigemino
(V) le cui fibre vanno ad innervare i muscoli masticatori, i muscoli fonatori, quasi tutti i
muscoli sopra ioidei ed il muscolo tensore del palato. Nella regione dorsale del tronco
compreso tra i primi 2 gruppi di nuclei sono presenti 4 nuclei che sono costituiti da
motoneuroni viscerali ossia da motoneuroni tipo quelli che, nel midollo spinale, abbiamo
posizionato nella lamina VII, nella regione laterale del corno anteriore.
Prima di parlare di questi nuclei bisogna parlare del sistema nervoso autonomo che è
quella parte del sistema nervoso che innerva la muscolatura liscia, le ghiandole esocrine
e le ghiandole endocrine, regolandone l'attività. Il sistema nervoso autonomo (SNA) è
costituito da motoneuroni viscerali che sono di 2 tipi: un tipo costituisce il SNA
ortosimpatico, un secondo tipo il SNA parasimpatico.
Tali tipi di motoneuroni viscerali fanno cose opposte nel senso che dove l'uno eccita,
l'altro inibisce e questo viene fatto in maniera concertata al fine dello svolgimento ottima
di una determinata funzione. Tutti i neuroni ortosimpatici sono localizzati (nella lamina VI
in un tratto di midollo spinale compreso tra C8 ed L3 anche se la maggior quantità di
neuroni si trova da T1 a L2.
I neuroni parasimpatici si trovano in parte nel tronco dell'encefalo (sopra a C1) ed in parte
nella lamina VII dei neuroni sacrali da S2 a S4.
A livello dell'apparato gastroenterico il parasimpatico è sempre uno stimolatore ossia
favorisce le secrezioni ed aumenta la motilità, viceversa l'ortosimpatico è un inibitore oss
diminuisce l'attività secretoria e diminuisce la contrazione della muscolatura dell'apparato
gastroenterico tranne quella degli sfinteri (il piloro, lo sfintere liscio dell'ano) che sono
sotto il tono ortosimpatico che li mantiene contratti, ossia chiusi. Quindi, a livello
dell'apparato gastroenterico, il parasimpatico è deputato alla digestione ed
all'assorbimento, mentre l'ortosimpatico fa il contrario. Lo stesso accade a livello
bronchiale: il para stimola le secrezioni tracheobronchiali e stimola la contrazione della
muscolatura liscia (tanto da poter dare crisi d'asma) vice versa l'orto causa una inibizione
delle secrezioni tracheobronchiali ed un rilassamento della muscolatura dei bronchi.
Le ghiandole salivari sono stimolate dal para ed inibite dall'orto.
Un altro concetto importante da fissare è che, mentre nel midollo spinale
l'alfamotoneurone ha un assone che va direttamente al muscolo scheletrico, nel SNA i
motoneuroni viscerali sono 2 e sono posti in serie: un primo motoneurone è quello che si
trova nel sistema nervoso centrale ossia da C8 ad L3 per l'ortosimpatico, sopra C1 e da
S2 a S4 per il parasimpatico. Un secondo motoneurone è quello che va ad innervare la
ghiandola o la muscolatura liscia. Questo è situato in gangli motorviscerali che hanno un
sede diversa nell'ortosimpatico e nel parasimpatico ma che comunque sono posti al di
fuori del SNC. Dato che il numero di questi secondi neuroni motorviscerali è maggiore del
numero dei neuroni motorviscerali centrali, si capisce come queste sinapsi abbiano in più
lo scopo di amplificare il segnale. Nel sistema ortosimpatico il neurone motorviscerale
centrale dà origine ad una fibra pregangliare corta che fa sinapsi con un neurone
gangliare posto nei gangli che si trovano vicino alla colonna vertebrale a destra ed a
sinistra (mediastino ma anche addome) a formare le catene dei gangli ortosimpatici. Da
questi neuroni si dipartono fibre postgangliari che sono lunghe in quanto i visceri che
innervano possono trovarsi a grande distanza (arteriole del dorso del piede). Vice versa,
nel sistema parasimpatico, il neurone centrale dà una fibra pregangliare lunga (es. nervo
vago) ed una postgangliare corta. Questo perché i neuroni gangliari parasimpatici, ossia i
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gangli parasimpatici, sono disposti o in prossimità dell'organo da innervare o nello
spessore della parete dell'organo da innervare (ad es. plesso mioenterico di Auerbach).
NUCLEI MOTORI VISCERALI
Ritornando ai nuclei motori viscerali abbiamo che quello più caudale,disposto in parte nel
bulbo ed in parte nel ponte, è il nucleo MOTORE DORSALE DEL VAGO.
Tale nucleo è detto motore perché costituito da neuroni motori viscerali,dorsale perché si
trova in posizione dorsomediale,del vago perchè le fibre pregangliari che emergono da
tale nucleo diventano una parte importante del X nervo cranico.
Sempre nel bulbo,in posizione più craniale abbiamo un piccolo nucleo detto NUCLEO
SALIVATORIO INFERIORE.
Le fibre pregangliari di tale nucleo diventano parte integrante del IX nervo
cranico(“glossofaringeo”)ed innervano la parotide(da qui “salivatorio”).
A seguire, nella parte più caudale del ponte, abbiamo il NUCLEO SALIVATORIO
SUPERIORE. Se stimoliamo questo nucleo otteniamo una varietà di effetti:
-secrezione delle ghiandole sottomascellari,sottolinguale e salivari minori (ossia
scialorrea).
-abbondante secrezione nasale(rinorrea)
-abbondante lacrimazione.
A causa di ciò, tale nucleo può essere diviso in 2 parti:
-NUCLEO SALIVATORIO propriamente detto,le cui fibre diventeranno parte del VII
nervo cranico;
-NUCLEO NASO-MUCO-LACRIMALE, le cui fibre diventeranno anch’esse parte del VII
nervo cranico ma avranno diversi neuroni gangliari (parasimpatici);
Nel mesencefalo abbiamo un ultimo nucleo motor viscerale,situato all’altezza del colllicol
superiore,molto vicino al nucleo del III nervo cranico: il NUCLEO DI EDINGERWESTPHAL o oculomotore accessorio. Le fibre innervano,con l’interposizione di un
ganglio il muscolo sfintere della pupilla ed il muscolo ciliare, intervenendo
nell’adattamento dell’occhio alla visione da vicino.
NUCLEI SENSITIVI
Il più grande nucleo sensitivo che attraversa tutto il tronco dell’encefalo è il NUCLEO DEL
TRIGEMINO (V), dove abbiamo neuroni che corrispondono alle lamine I,II,III,IV,V,VI,VII.
Esso può essere,a sua volta,suddiviso in 3 nuclei:
-il tratto più craniale prende il nome di NUCLEO MESENCEFALICO DEL V; riceve le
informazioni propriocettive non coscienti dirette al cervelletto che provengono dai musco
e dall’unica articolazione che abbiamo a livello craniale.
-a seguire abbiamo quella parte di nucleo che si trova nel ponte:NUCLEO SENSITIVO
PRINCIPALE DEL V,esso riceve la sensibilità propriocettiva cosciente e tattile epicritica
che si origina nello splancnocranio.
- l’ultima parte di tale nucleo che percorre tutto il bulbo è detta NUCLEO DEL TRATTO
SPINALE DEL V; i neuroni di tale nucleo ricevono tutta la sensibilità termico-dolorifica
(protopatica ed epicritica) e la sensibilità tattile protopatica che si genera a livello dello
splancnocranio.
Più medialmente abbiamo un’ampia area(che comprende grossa parte del bulbo ed una
parte del ponte)costituita da 4 nuclei a destra e 4 nuclei a sinistra detti NUCLEI
VESTIBOLARI:essi ricevono la sensibilità cinestesica proveniente dal nervo vestibolare,la
quale viene percepita dall’orecchio interno,ma si genera con gli spostamenti attivi e
passivi del capo.
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Noi utilizziamo tale sensibilità per aggiustare il tono dei muscoli antigravitari al fine di
ottenere l’equilibrio e la postura quando ruotiamo il capo.
Al confine tra bulbo e ponte ,ma più nel ponte che nel bulbo,abbiamo 2 nuclei COCLEARI:
quello dorsale e quello ventrale(2 a dx e 2 a sn)i quali ricevono l’informazione uditiva da
parte della componente acustica del VIII.
Infine abbiamo,nel bulbo,un altro nucleo piuttosto grosso e lungo: il NUCLEO DEL
TRATTO SOLITARIO, esso riceve fondamentalmente tutta la sensibilità gustativa che è
veicolata dal 3 nervi:il VII, il IX ed il X.
Noi utilizziamo tale sensibilità gustativa in parte per i riflessi salivatori ed in parte per dar
informazione al talamo controlaterale ed alla corteccia.
Il nucleo del tratto solitario è, però, importante anche perché riceve informazioni dai
visceri, soprattutto da quelli cavi del tratto gastroenterico, ed innesca delle risposte
riflesse che servono a regolare l’attività di tali visceri (sensibilità introcettiva).
I nuclei qui descritti “hanno a che fare” con i nervi cranici ma non esauriscono tutta la
sostanza grigia del tronco dell’encefalo;infatti ci sono anche nuclei che non hanno a che
fare con i nervi cranici e che,a causa di ciò,sono chiamati NUCLEI PROPRI DEL
TRONCO DELL’ENCEFALO.
Alcuni già li abbiamo “incontrati”: il nucleo gracile,il nucleo cuneato ed il nucleo cuneato
accessorio,altro esempio è l’oliva inferiore del bulbo (NUCLEI PROPRI DEL BULBO).
SEZIONI TRASVERSALI A LIVELLO DEL BULBO
Prendiamo in esame due sezioni trasversali del bulbo:una eseguita nel terzo inferiore
(A)ed una nel terzo superiore(B).
Se consideriamo la sezione traversa (A) notiamo che:
(DISEGNO)
• il canale ependimale è centrale
• dorsalmente a questo canale,da medio a lato, abbiamo una prima coppia di
protuberanze che sono i 2 tubercoli gracili(clave),
• più lateralmente abbiamo i 2 tubercoli cuneati
• ancora più lateralmente abbiamo i 2 TUBER CINEREUM: questi sono i rilievi
formati dal nucleo del tratto spinale del V che sta attraversando il bulbo.
• ventralmente abbiamo 2 piramidi
• dietro le piramidi ci sono i 2 lemnischi mediali, l’uno accanto all’altro, formati dalle
fibre che derivano dal tubercolo gracile e cuneato (FIBRE ARCIFORMI) che dopo
essersi incrociate salgono al talamo controlaterale.
Lo spazio che rimane sarà riempito in parte da altre fibre ascendenti come quelle spinocerebellari.
Se ora consideriamo una sezione trasversale in (B):
(DISEGNO)
• non c’è più il tetto ma il pavimento del IV ventricolo
• ventralmente troviamo sempre le piramidi
• lateralmente a queste troviamo le OLIVE INFERIORI(DI DX E SN)
• dorsalmente troviamo il pavimento del 4° ventricolo ed il peduncolo cerebellare
inferiore che va al cervelletto
• medialmente i 2 lemnischi.
L’oliva è, in realtà, un complesso di nuclei e di fibre che arrivano e che partono da un
nucleo i cui neuroni sono disposti in maniera dentellata: per immaginare l’oliva nelle 3
dimensioni dello spazio possiamo pensare a quelle lamiere ondulate con cui si
costruiscono i tetti delle baracche.
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Una sezione traversa ci da’ l’immagine di un foglio di lamiera ondulata piegata a ferro di
cavallo.
• Dorsalmente, da medio a lato, troviamo i nuclei dell’ipoglosso, il nucleo dorsale del
vago ed il nucleo del tratto solitario;
• in posizione dorso-laterale,tra l’oliva e le fibre del peduncolo cerebellare inferiore,
troviamo i NUCLEI VESTIBOLARI.
• Dal solco preolivare emerge il XII n.c., le cui fibre originano dal nucleo
dell’ipoglosso e passano lateralmente rispetto al lemnisco mediale, tra la piramide
e l’oliva. Questo è un rapporto anatomico importante perchè la stragrande
maggioranza dei malati neurologici lo sono per i per problemi di vascolarizzazione
che può essere comune nella zona della piramide.
• Altri nervi quali il IX,X e XI hanno fibre che emergono dal solco retroolivare.
NERVO IPOGLOSSO(XII)
È un nervo motorsomatico puro,si occupa della innervazione della muscolatura intrinseca
ed estrinseca della lingua e lo fa con un rapporto di innervazione molto basso cosi’ da
permettere una estrema mobilità della lingua.
NERVO VAGO(X)
Il X n.c.(VAGO) provvede non soltanto alla innervazione di regioni della testa ma discende
fino ai visceri per formare dei plessi intorno a questi: è il più importante nervo
parasimpatico.
Questo nervo è misto in quanto contiene sia fibre motrici che fibre sensitive ed, in
particolare, ha 2 componenti motrici:
-fibre motor-somatiche
-fibre motor-viscerali
e 2 componenti sensitive:
-sensibilità generale
-sensibilità gustativa speciale
COMPONENTI MOTRICI DEL VAGO
1. La componente motor-somatica proviene tutta dal NUCLEO AMBIGUO, dove
abbiamo motoneuroni alfa e gamma i quali si occupano della innervazione di:
- tutto il “palato molle”:costrittore medio ed inferiore del faringe, muscolo elevatore
del palato e muscoli degli archi palatini;
- tutti i muscoli intrinseci del laringe tramite i rami laringei inferiore o ricorrenti ed i
laringei superiori
Se noi distruggiamo bilateralmente i 2 nuclei ambigui,il soggetto ha grossi problemi nella
fase tardiva della deglutizione,ma soprattutto non riesce più a parlare (non emette suoni)
2. La componente motor-viscerale proviene dal nucleo motore dorsale del vago
dove abbiamo neuroni parasimpatici pregangliari che danno origine a fibre
pregangliari molto lunghe in quanto arrivano fino al colon traverso.
I gangli parasimpatici associati al vago, nel tratto gastroenterico, sono presenti nel pless
di Meissner ed in quello di Auerbach.
Le fibre del vago vanno anche alla muscolatura bronchiale ed alle ghiandole bronchiali,
stimolando entrambe; la stimolazione dei nuclei dorsali del vago, quindi, produce un
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aumento delle secrezioni gastroenteriche, un aumento della peristalsi intestinale fino alla
diarrea, ma anche una intensa broncocostrizione (crisi asmatiche) ed una intensa
secrezione bronchiale.
Il vago innerva anche ganglietti presenti nel plesso cardiaco che, con fibre postgangliari,
vanno a modulare la frequenza di contrazione cardiaca.
La stimolazione del nucleo dorsale del vago produce bradicardia(diminuisce sia la
frequenza che la forza di contrazione cardiaca).
La frequenza cardiaca può diminuire al punto tale da portare a svenimento il soggetto.
La componente motor-viscerale del vago è detta, pertanto, NERVO CARDIO-PNEUMOENTERICO.
L’ipertono vagale è una situazione al limite con l’organico ed è funzionale: non è una
malattia ma un comportamento del soggetto che utilizza più del dovuto questa
componente vagale. Il soggetto sta apparentemente molto male: ha una respirazione
superficiale perché “ha fame d’aria”, sente le gambe deboli a causa della bradicardia, fin
allo svenimento, ed inoltre ha disturbi gastroenterici.
Tali disturbi sono “nervosi”, in realtà è una malattia mentale perché in qualche modo la
corteccia riesce ad influire sull’attività del SNA.
COMPONENTI SENSITIVE DEL VAGO
3. Una prima componente è di sensibilità speciale: le fibre sensitive speciali
provengono dalla radice della lingua (a livello dell’ipoglottide) dove abbiamo calici
gustativi, ossia recettori della sensibilità gustativa. Queste fibre viaggiano con il
nervo vago ed entrano nel bulbo per finire al nucleo del tratto solitario, ma vanno
anche ad innescare il RIFLESSO DELLA SALIVAZIONE.
4. La seconda componente sensitiva è di sensibilità generale, una forma di
sensibilità che deriva dai visceri cavi e che, nella stragrande maggioranza dei casi,
è di tipo termico-dolorifico (“sensibilità introcettiva”). Esempi di ciò sono il dolore
allo stomaco, lo spasmo intestinale, quello dell’uretere e la contorsione dolorosa
della cistifellea.
Tale forma di sensibilità introcettiva va a scaricarsi al nucleo del V,ed in particolare al
nucleo del tratto spinale del V, che è quello deputato a raccogliere la sensibilità termicodolorifica e tattile protopatica;da tale nucleo partono fibre che vanno al talamo
controlaterale e quindi alla corteccia.
Lungo il vago,comunque viaggiano anche informazioni che non raggiungono il livello di
coscienza e che provengono da vari apparati innervati dal vago(es l’app.GE).Tali
informazioni non raggiungono la coscienza perché questa sensibilità non si scarica a
livello del nucleo del tratto spinale del V ma va a finire al nucleo del tratto solitario; da qu
neuroni mandano fibre pregangliari che raggiungono i gangli ortosimpatici andando a
regolare i neuroni viscerali ortosimpatici. Un esempio di RIFLESSO VISCERALE è
rappresentato dallo sfintere pilorico che è innervato dall’ortosimpatico (ma anche dal
parasimpatico) il quale ne mantiene un tono costante per cui è solitamente chiuso.
Quando, però, si sta digerendo, il chimo deve passare un po’ per volta nel duodeno e
quindi tali fibre vagali vanno a regolare i neuroni ortosimpatici da cui dipende il tono dello
sfintere pilorico .
5. Infine il vago contiene anche una piccolissima componente di sensibilità
esterocettiva che proviene, in genere, dal padiglione auricolare, ma soprattutto
dalla cute del meato acustico esterno. Tale quota di sensibilità è capace di
innescare un riflesso: IL RIFLESSO DELLA TOSSE.
NERVO GLOSSOFARINGEO(IX)
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Il IX n.c. raccoglie la sensibilità dell’orecchio medio, della lingua e del faringe e provvede
alla motilità dei muscoli del faringe.
(DISEGNO)
Anche questo è un nervo misto:
contiene 2 componenti motrici: somatica e viscerale,
e due componenti sensitive: viscerosensitiva e gustativa.
1. Come per il vago anche per il glossofaringeo la componente motorsomatica si
trova nel NUCLEO AMBIGUO e le fibre provenienti dagli alfa motoneuroni vanno
ad innervare:
-il muscolo costrittore del superiore e medio del faringe e lo stilojoideo;
-i muscoli dell’istmo delle fauci.
2. La componente motor-viscerale parasimpatica si identifica con il NUCLEO
SALIVATORIO INFERIORE,le cui fibre pregangliari vanno a finire in un ganglio
parasimpatico detto GANGLIO OTICO, perché è vicino all’orecchio, posto subito
all’esterno delle loggia parotidea. Con le sue fibre postgangliari, tale ganglio
innerva sia gli acini della parotide sia le cellule mioepiteliali a canestro che
circondano l’acino e lo “spremono” (sono cellule stellate).
3. Una prima componente sensitiva è speciale ed è una sensibilità gustativa che fa
capo a papille gustative che si trovano nel terzo posteriore del dorso della lingua.
Anche in tal caso l’informazione gustativa va al nucleo del tratto solitario e quindi al
talamo controlaterale.
4. La componente di sensibilità generale portata dal IX proviene dal meato uditivo
esterno(come per il X), ma soprattutto dalla mucosa dell’istmo delle fauci e questo
è importante per la genesi del riflesso del cosiddetto ”conato di vomito”.
Quest’ ultimo è un riflesso motorio irrefrenabile perché è protettivo e porta alla chiusura
improvvisa dell’istmo delle fauci ed alla contrazione dei muscoli costrittori del faringe con
conseguente conato che respinge verso l’uscita il materiale estraneo che è
momentaneamente entrato.
Tale riflesso è utilizzato in clinica per essere sicuri di aver eseguito correttamente un
tampone faringeo.
NERVO VESTIBOLO-COCLEARE(VIII)
L’VIII n.c. è un nervo sensitivo puro che ha
2 componenti:
• la radice coclearie per l’organo
dell’udito;
• la radice vestibolare per l’organo
dell’equilibrio.
RADICE VESTIBOLARE
Le fibre della radice vestibolare non
vengono da un ganglio organizzato ma da
neuroni disseminati nel fondo del meato
acustico interno( vestibolo dell’orecchio
interno)che nel loro insieme costituiscono il
GANGLIO VESTIBOLARE DI SCARPA.
L’azione di tali neuroni diventa
componente vestibolare dell’VIII che entra
nell’angolo ponto cerebellare del bulbo,
parte craniale, e va a scaricarsi nei nuclei
vestibolari che sono 4 a dx e 4 a sn.
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L’informazione raccolta è di tipo cinestesico(categoria generale:sensibilità propriocettiva)
che si origina come conseguenza degli spostamenti attivi e passivi del capo,i quali
determinano,per riflesso,la contrazione dei muscoli del collo,soprattutto degli estensori,
ma non solo, per mantenere il capo eretto.
I nuclei vestibolari scaricano in maniera tonica o fasica per mantenere il capo in una
posizione intermedia tra quella flessoria e quella estensoria, ossia in posizione eretta.
L’informazione generata dall’orecchio interno arriva ai nuclei vestibolari che smistano tale
informazione in 5 direzioni:
1. mediante una via ascendente,i nuclei proiettano al talamo e da qui alla corteccia
temporale:qui percepiamo la posizione del capo e gli spostamenti che il capo ha
subito,anche se minimi;
2. da tali nuclei una via discendente,chiamataVIA VESTIBOLO SPINALE
LATERALE(laterale perché si trova nel cordone laterale del M.S.), va a finire
praticamente a livello di quasi tutti i neuromeri, ma soprattutto dei neuromeri
cervicali e lombari, per scaricarsi in parte a livello di alfa-motoneuroni, in parte a
livello di gamma-motoneuroni in parte ad interneuroni della lamina VII ed in parte a
neuroni della laminaVIII.
Bisogna fare un distinguo: per quanto riguarda i neuromeri lombo-sacrali che hanno a
che fare con l’arto inferiore, tale via innerva i motoneuroni alfa e gamma dei muscoli
antigravitari (gli estensori della gamba sulla coscia, i muscoli posteriori della coscia, i
glutei).
A livello del tronco sono innervati i motoneuroni che innervano muscoli del dorso che son
molto importanti per il mantenimento della stazione eretta,per il mantenimento del
normale tono estensorio degli arti inferiori e del tronco.
A livello degli arti superiori dove il tono normale è flessorio ,allora la componente di tale
via che va a livello cervicale, tra C6 e T1(plesso brachiale) va ad innervare i motoneuroni
alfa e gamma dei muscoli flessori.
A livello del collo sono interessati tutti i muscoli sia flessori che estensori perché il capo
eretto è una situazione intermedia tra flessione ed estensione.
Questa informazione vestibolo spinale laterale non ci serve solo a mantenere l’equilibrio
quando siamo fermi,ma anche a stare in equilibrio quando camminiamo .
Questa via può scaricare fasicamente (ossia quando ce n’è bisogno) su gruppi di alfa e
gamma motoneuroni per reclutare muscoli e ,attraverso questi,farci compiere movimenti
riflessi che ci fanno mantenere in equilibrio.
Se ,ad esempio,siamo in autobus e questo parte all’improvviso, noi siamo scaraventati
indietro;se,al contrario l’autobus frena noi cadiamo in avanti:in entrambi i casi
intervengono movimenti riflessi che si oppongono alla direzione del moto.
Le attività motorie riflesse sono innescate dalla via vestibolo-spinale laterale che va a
scaricarsi sia direttamente su alfa e gamma motoneuroni dei muscoli interessati a tale
spostamento,sia alla lamina VIII che è quella che permette movimenti stereotipi non
molto fini,ma molto efficaci come quello di riadattare la posizione nello spazio per
mantenere l’equilibrio.
Lo stimolo reale che innesca tale riflesso è una variazione dell’accelerazione subita dal
corpo e registrata da un sensibilissimo sistema meccanico posto nell’orecchio interno: un
complesso di strutture particolari, gli OTOLITI, si spostano a seconda del movimento del
capo eccitando strutture ciliari (IL CHINOCIGLIO) componenti dell’organo del Corti.
La deformazione del chinociglio produce informazioni elettriche recepite dal dendrite
accettore.
Se tali otoliti non riacquistano la giusta posizione di partenza,allo spostamento del capo s
ha perdita di equilibrio e sensazione di vertigine (gli occhi girano irrefrenabilmente).
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3. Dai nuclei vestibolari si dipartono degli assoni che si spingono verso la linea di
mezzo e si dividono a T con una branca che sale ed una che scende.
-La branca discendente prende il nome di VIA VESTIBOLO SPINALE MEDIALE ed è una
via bilaterale.Tale via è mediale a quella laterale e decorre nel corno anteriore.
Questa via bilaterale si ferma a livello dei neuroni cervicali, in realtà dei primi neuromeri
toracici, e quindi ha a che fare con i movimenti dell’arto superiore e del collo (in minima
parte del tronco) e serve per l’aggiustamento del tono ed il ripristino della postura
(l’equilibrista necessita dell’uso delle braccia per tenersi in equilibrio e camminare sulla
fune).
-La branca ascendente è diretta al ponte e prende il nome di fascicolo longitudinale
mediale: essa è deputata alla regolazione del movimento coniugato degli occhi sul piano
orizzontale e verticale.
4. L’informazione vestibolare viene proiettata anche al cervelletto che così viene
informato su quello che sta succedendo.
Il cervelletto, dopo averla processata, riverbera l’informazione ai nuclei vestibolari al fine
di regolare l’attività di scarica verso il M.S. e rendere ottimale la risposta muscolare .
Il cervelletto usa una parte dell’informazione per scaricarla direttamente ai nuclei dei ner
oculomotori (soprattutto al nucleo del III) per regolare il tono dei muscoli innervati.
La via discendente vestibolo spinale (mediale e laterale) non passa per le piramidi del
bulbo,pur essendo una via di moto:siamo di fronte al primo esempio di VIA
EXTRAPIRAMIDALE .
La via extrapiramidale è diversa anche a livello funzionale rispetto alla piramidale che è
importante per i movimenti fini, rapidi e che richiedono particolare abilità motoria anche
per iniziare il movimento; la via extrapiramidale permette movimenti grossolani e
stereotipi, tipo l’aggiustamento della postura.
Tornando alla branca ascendente dell’assone che si diparte dai nuclei vestibolari e che va
a scaricarsi sui nuclei dei nervi oculomotori: il III (oculomotore comune), il IV(trocleare)ed
il VI (abducente), questa dà luogo alla via chiamata fascicolo longitudinale mediale.
Tutti sappiamo che gli occhi sono organi della vista, ma anche dell’equilibrio: ad occhi
chiusi ci spostiamo molto più lentamente che ad occhi aperti, inoltre necessitiamo della
memorie della stanza in cui ci muoviamo e, comunque, abbiamo poco equilibrio negli
spostamenti al buio.
In quanto organi della vista gli occhi ci consentono la tridimensionalità dello spazio e degl
oggetti che ci stanno intorno, ci permettono di creare nella nostra testa delle coordinate
spaziali (destra,sinistra,avanti,dietro…..), ma ci consentono anche di avere punti di
riferimento nello spazio per poterci muovere.
Gli occhi ci consentono anche di mantenere una traiettoria nel movimento.
Succede che l’informazione vestibolare è diretta verso l’alto tramite il fascicolo
longitudinale mediale ai nuclei oculomotori ed in particolare al nucleo del VI controlateral
Così, se l’informazione vestibolare è stata suscitata a destra, allora viene reclutato il
nucleo del VI di sinistra: il risultato è che entrambi gli occhi si spostano sul piano
orizzontale verso sinistra.
Si ha quindi un moto coniugato in quanto gli occhi si muovono in modo congiunto nella
stessa direzione.
Nessuno è in grado di divergere gli occhi.
Spostamenti coniugati degli occhi possono essere volontari o riflessi soprattutto quando c
sono spostamenti del capo che generano una variazione di accelerazione.
Il dato sperimentale ci dice che, stimolando opportunamente questi nuclei, gli occhi si
spostano sul piano orizzontale omolaterale allo stimolo e poi tornano alla posizione di
partenza.
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Questo movimento coniugato presuppone l’intervento del muscolo retto laterale
dell’occhio controlaterale allo stimolo e del muscolo retto mediale omolaterale allo stimol
contemporaneamente sono inibiti gli antagonisti.
Questa è una risposta riflessa regolata dall’attività di scarica del cervelletto che controlla
che il movimento avvenga lentamente verso la direzione stabilita e velocemente verso il
punto di partenza. Ad esempio,quando leggiamo i nostri occhi si spostano lentamente da
sinistra a destra ma velocemente da destra a sinistra.
Una parte del movimento di andata e ritorno degli occhi è regolata dai nuclei vestibolari
perché noi spostiamo gli occhi mantenendo fisso il capo ed è tale movimento che innesca
la risposta vestibolare la quale servirà a stimolare,rafforzare e sostenere gli occhi in
quella posizione.
Tali connessioni anatomiche spiegano il perché il mancato ritorno degli otoliti alla
posizione di partenza sia legata alla sensazione di vertigine posizionale.
5. Il nucleo vestibolare scarica l’informazione anche alla SOSTANZA RETICOLARE
DEL BULBO (c’è alternanza di sost. grigia e bianca, da qui l’immagine di un
reticolo) implicata, come abbiamo già visto, nel controllo del dolore; alcuni neuroni
reticolari reclutati dal nucleo vestibolare mediale hanno diverse funzioni:
si scaricano a livello di 3 nuclei parasimpatici:
- nucleo salivatorio superiore,
- nucleo salivatorio inferiore,
-nucleo dorsale del vago.
Questa via è attivata solo in caso di iperstimolazione del nucleo vestibolare mediale e
quindi di iperstimolazione dell’apparecchio vestibolare.
Un esempio valido ci è fornito dal MAL D’AUTO, causato dall’iperstimolazione
dell’apparato vestibolare: l’attivazione dei tre nuclei porta ad un aumento delle secrezion
gastriche e della motilità intestinale (nucleo dorsale del vago); inoltre,dalla sost. reticolar
attraverso la VIA RETICOLO-SPINALE LATERALE giunge informazione sino alla colonna
dell’ortosimpatico (da C8 a L2-L3) che provoca ipertono ortosimpatico con conseguenze
come:
a) aumento della frequenza e della forza di contrazione cardiaca (effetto cronotropo e
ionotropo positivo) e questo porta ad un aumento della velocità di circolo;
b) broncodilatazione e riduzione delle secrezioni bronchiali e questo porta ad un
aumento di aria a livello polmonare;
c) diminuzione delle secrezioni gastriche e della motilità intestinale(conflitto con lo
stimolo vagale).L’ortosimpatico è responsabile del tono dello sfintere pilorico che
quindi rimane chiuso anche se lo stomaco è attivato dall’innervazione
vagale:questo genera un inversione del flusso e quindi il riflesso del vomito;
d) vasocostrizione arteriolare cutanea e del distretto sottodiaframmatico (addome e
pelvi) allo scopo di far convogliare più massa sanguigna verso muscoli, cuore ed
anche polmoni (anche se in piccola parte perché le arterie polmonari sono poco
sensibili allo stimolo del SNA);
e) stimolazione delle ghiandole sudoripare il sudore è freddo perché è la cute ad
essere fredda, sintomo che la situazione stà diventando grave.
Altro sintomo è l’IPERPNEA che,però ,non dipende dal tono ortosimpatico:il più
importante muscolo respiratorio è il diaframma innervato dal nervo frenico che origina
dal centro frenico situato a livello dei neuromeri C2,C3,C4 nel M.S.
Per vomitare è necessario aumentare la pressione addominale in modo tale che lo
stomaco venga “schiacciato” (come il cartone del latte) e questo è possibile flettendo
tronco sul bacino: vengono, quindi, interessati i muscoli ileo-psoas, il muscolo
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quadrato dei lombi e tutta la parete addominale. Possiamo immaginare che sia la via
reticolo spinale ad attivare questo complesso muscolare.
Questa lunga sequela di sintomi sono tipici dell’iperattività del sistema ortosimpatico
che viene attivato in molte occasioni: paura, emozione,…..
Probabilmente è un meccanismo di difesa volto a tenere il self-control, che ci protegge
da dannosi stress e sollecitazioni. Naturalmente ci si può adattare anche a questa
reazione che non sarà più un deterrente.
A soffrire il mal d’auto non sono i bambini piccolissimi perché i nuclei vestibolari non
sono ancora sviluppati, ma quelli che sanno già camminare e stare in piedi.
Anche la lettura in macchina facilita il mal d’auto: gli occhi perdono i riferimenti
spaziali.
RIFLESSO SALIVATORIO
È centrato nel bulbo ed in parte nel ponte:ogni qualvolta ci mettiamo una sostanza,
sapida o non, in bocca, iniziamo a salivare per via riflessa. Nella lingua ci sono sia
recettori gustativi che esterocettivi(tattili e dolorifici);la sensibilità gustativa è raccolta
da 3 nervi:il VII, il IX ed il X n.c.
La sensibilità gustativa va al nucleo del tratto solitario mentre la sensibilità
esterocettiva che viene dalla lingua va al nucleo del V; una parte di sensibilità
gustativa ed esterocettiva raggiunge la sost. reticolare che recluta soprattutto il
NUCLEO SALIVATORIO INFERIORE che innerva la parotide, a secrezione totalmente
sierosa (la saliva è liquida, per poter “impastare”), ma stimola anche il nucleo dorsale
del vago al fine di aumentare la secrezione gastrica.
IL PONTE: sezione traversa
-ventralmente abbiamo una
formazione enorme: IL PIEDE DEL
PONTE;
-dorsalmente il pavimento del 4°
ventricolo con dei rilievi
corrispondenti ai nuclei di origine
del 12° paio di nervi encefalici
(trigono dell’ipoglosso);
-dorsolateralmente abbiamo
l’enorme peduncolo cerebellare
medio che contiene solo fibre che
vanno dal ponte al cervelletto e
non viceversa.
Troviamo anche i nuclei che hanno a che fare con la via acustica.
-Dorsomedialmente vediamo 3 nuclei motori:
a)nucleo motorsomatico del VII
b)nucleo del VI
c)nucleo masticatorio del V
-nella metà ventrale del ponte abbiamo un mare di sost.grigia che costituisce i
cosiddetti NUCLEI BASILARI DEL PONTE, che sono NUCLEI PROPRI del ponte.
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Tale mare di sost. grigia è attraversata da sost. bianca e precisamente da 2 formazion
simmetriche, una a dx ed una a sn: VIA CORTICO-SPINALE, CHE NON E’
SUPERFICIALE COME NEL BULBO, DOVE FORMA LE PIRAMIDI.
NUCLEI BASILARI DEL PONTE
I nuclei pontini rappresentano una grande percentuale del piede del ponte,ossia
comprendono molti neuroni che ricevono ed inviano molte fibre.
I nuclei pontini rappresentano la stazione obbligata di una grande via di
comunicazione tra corteccia e cervelletto: LA VIA CORTICO-PONTO-CEREBELLARE
(di dx e di sn).
Questo fa sì che la corteccia informi il cervelletto su:
a) cosa ha intenzione di fare sul piano motorio(VIA FRONTO-PONTOCEREBELLARE);
b) che informazioni esterocettive, propriocettive e speciali ha assunto ed elaborato (in
questo modo il cervelletto può coordinare più efficacemente il movimento nello spazio
e nel tempo).
Tale via parte dalla corteccia parietale, dalla corteccia temporale ed in parte da quella
occipitale, per comunicare al cervelletto controlaterale quale è la situazione
spaziotemporale in cui deve verificarsi il movimento che il cervelletto deve coordinare
come è disposto il soma in qualsiasi sua parte e quali sono gli stimoli tattili ricevuti in
quel momento.
VII NERVO CRANICO
E’ un nervo misto come il nono e il decimo, ossia ha quattro componenti:
Componente motrice somatica
Componente motrice viscerale
Componente sensitiva speciale
Componente sensitiva generale
1) Componente motor somatica: dal punto di vista motor somatico, il settimo va ad
innervare tutti i muscoli mimici del volto dello stesso lato, e quindi si occupa della
espressione del volto: è importante durante la fonazione e durante la masticazione (per
parlare usiamo le labbra, innervate da tale nervo).
2) Componente motor viscerale: il nucleo motor viscerale del settimo (che è un nucleo
parasimpatico) è rappresentato dal nucleo salivatorio superiore. In verità si tratta di due
nuclei in uno in quanto uno è propriamente salivatorio, e da esso partono fibre
pregangliari che vanno a scaricarsi su piccoli gangli posti vicino alla ghiandola
sottomandibolare, sottolinguale e a qualche neurone gangliare in prossimità delle
ghiandole intrinseche della lingua, delle labbra e del palato; l’altra parte di questo nucleo
invece, si occupa di innescare una risposta in secrezione da parte del naso e
lacrimazione. Tale parte di nucleo è detto nucleo naso-lacrimale, e da questo si dipartono
fibre pregangliari che vanno a finire in un unico ganglio detto sfenopalatino (per cui ogni
volta che stimoliamo questa parte di nucleo salivatorio superiore o il ganglio sfenopalatin
abbiamo entrambe le secrezioni).
3) Componente sensitiva speciale: il settimo raccoglie la sensibilità gustativa dei due
terzi anteriori del dorso della lingua. Il ganglio coinvolto è il genicolato, e gli assoni che
entrano vanno al nucleo del tratto solitario, poi al talamo controlaterale, e da qui alla
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corteccia sensitiva somestesica primaria, dove c’è la rappresentazione somatotopica dell
lingua. Però, tale informazione gustativa va anche alla sostanza reticolare, che va a
reclutare i nuclei salivatori e anche il nucleo dorsale del vago per delle risposte riflesse.
4) Componente sensitiva generale: riguarda il condotto uditivo esterno, dove abbiamo
fibre del X, del IX, del VII e, come vedremo, anche del V. Il VII va ad innervare in
particolare il meato acustico esterno.
V NERVO CRANICO (TRIGEMINO)
Il quinto nervo cranico trasporta fibre sensitive per la cute e la mucosa della faccia e fibre
motrici per i muscoli masticatori, il muscolo miloioideo, il ventre anteriore del digastrico,
per il muscolo tensore del velo palatino e il muscolo tensore del timpano; si tratta quindi
un nervo misto.
Nucleo masticatorio del V: nel ponte è situato il nucleo masticatorio del V. Si tratta di
gruppetto di motoneuroni le cui fibre vanno ad innervare i muscoli masticatori-fonatori, m
anche i muscoli della regione sopraioidea e il tensorio del palato.
(I muscoli masticatori fonatori sono il massetere, i due pterigoidei e il temporale).
Grande nucleo sensitivo del V: nel ponte abbiamo anche un parte del grande nucleo
sensitivo che nel suo insieme riceve tutta la sensibilità somatica estero e propriocettiva
che si origina a livello dello splancocranio. Questo è un nucleo molto importante sia dal
punto di vista della vita vegetativa che dal punto di vista della vita di relazione; è il più
grosso nucleo che abbiamo. Le grandi dimensioni stanno a significare che ci sono molti
neuroni: siccome c’è una proporzione diretta fra il numero di neuroni di un nucleo e la
densità di recettori a livello periferico, fra numero di neuroni e rapporto di innervazione, s
capisce l’importanza di questo nucleo.
Si ha quindi un unico e grosso ganglio sensitivo detto ganglio semilunare di Gasser, il
quale ha la particolarità di essere l’unico ganglio che si trova dentro la scatola cranica.
Al nucleo principale del V arriva la sensibilità tattile discriminata e propriocettiva coscient
che poi va al talamo controlaterale e alla corteccia. Al nucleo del tratto spinale del V va la
sensibilità tattile protopatica e tutta la termico dolorifica; questo nucleo si chiama così
perché il V nervo entra apparentemente a metà della faccia laterale del ponte (a destra e
a sinistra): mentre le fibre destinate al nucleo principale trovano tale nucleo alla stessa
altezza, le fibre dirette al tratto bulbare-spinale del quinto devono percorre tutto un tratto
discendente per andare a finire sui neuroni del nucleo del tratto spinale del V; queste fibr
si chiamano “tratto spinale del V”.
Nucleo mesencefalico del V: è fatto di neuroni
pseudounipolari, ossia è un ganglio sensitivo che si
trova dentro il sistema nervoso centrale. Le fibre del
V nervo passano per il ganglio di Gasser, lo
attraversano e vanno a finire a livello dei neuroni del
nucleo mesencefalico; da qui l’informazione va al
cervelletto.
Tratto spinale del V: la cute e le mucose dello
splancocranio sono suddivise in tre zone
concentriche (A, B e C).
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A: zona periorale, che comprende le due labbra ma anche le narici;
B: zona che comprende naso, palpebre, congiuntiva dell’occhio, un pezzo di fronte, la
zona zigomatica, la guancia e un pezzetto di mento;
C: zona che comprende il cuoio capelluto della regione parieto-parietale, ma anche tutta
la cute che copre il ramo della mandibola, il corpo della mandibola, un po’ di regione
sopraioidea e il condotto uditivo esterno.
Le fibre che provengono dalla zona A vanno a finire nella parte bulbare di tale nucleo; le
fibre della zona B vanno a finire nel terzo medio a livello del primo e secondo neuromero
spinale cervicale; quelle dalla zona C vanno a finire nella parte più caudale del nucleo del
tratto spinale del V, a livello del secondo e terzo neuromero cervicale.
Questo significa che c’è una distribuzione somatotopica diversa rispetto alla distribuzione
periferica del V.
L’informazione termico dolorifica e tattile protopatica viene indirizzata:
A) al talamo controlaterale e corteccia (dove c’è la rappresentazione somatotopica della
emifaccia corrispondente)
B) viene utilizzata per innescare dei riflessi, quello della retrazione e quello
dell’ammiccamento.
Riflesso della retrazione: se ci arriva qualcosa sul volto di cui non conosciamo la natur
noi retraiamo il capo e mettiamo in atto una sequenza motoria che avviene nello spazio e
nel tempo: l’informazione arriva alla sostanza reticolare che recluta i muscoli estensori de
capo (neuromeri cervicali); se lo stimolo supera un livello soglia sono reclutati anche i
neuromeri che stimolano i muscoli dell’arto inferiore, e il riflesso comporta anche
l’esecuzione di un passo indietro. Tutto questo avviene infatti grazie al fatto che la lamina
VIII è una lamina associativa.
Riflesso dell’ammiccamento: consiste nel serrare le palpebre momentaneamente per
proteggere la congiuntiva (mucosa dell’occhio) e la cornea (mezzo diottrico più
importante). Si testa in clinica per valutare lo stato di coscienza e il livello di una lesione
cerebrale (se è alta o abbastanza bassa da interessare anche il nucleo del VII o
eventualmente anche il centro cardiorespiratorio) con uno stimolo breve e improvviso in
prossimità delle palpebre. Il paziente serra il muscolo costrittore della palpebra in manier
bilaterale perché l’informazione va a reclutare i due nuclei motori del settimo.
E’ estremamente importante sapere l’altezza della lesione perché al centro del bulbo
esiste il centro cardiorespiratorio bulbare; se viene compresso il soggetto muore in pochi
minuti (traumi cranici anche banali, con emorragie lievi che comprimono il tronco verso il
basso); se non si decomprime con una manovra chirurgica il soggetto è destinato a
morire: l’assenza del riflesso di ammiccamento può indicare una lesione bassa che rischia
di interessare questa zona.
CERVELLETTO
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Il cervelletto è una massa encefalica posta dietro il tronco dell’encefalo, sotto ai lobi
occipitali dei due emisferi cerebrali, nella fossa cranica posteriore.
E’ un organo molto importante (allo stesso livello gerarchico dei nuclei della base) perché
controlla l’equilibrio, la postura e la coordinazione fine dei movimenti.
E’ costituito da due metà simmetriche e, nel complesso, ha una forma ovoidale; presenta
in superficie numerosi solchi e qualche scissura (due o tre). Due solchi adiacenti
delimitano una lamella o folia.
Come nel telencefalo la parte più estrema del cervelletto è detta corteccia cerebellare: al
di sotto di essa c’è un’asse di sostanza bianca, immersi nella quale si trovano i nuclei
profondi. Se guardiamo il cervelletto dal davanti e dal basso vediamo che la faccia
ventrale è concava, tanto è vero che prede il nome di ilo del cervelletto, perché essa si
adatta ai due veli midollari del quarto ventricolo.
Dalla stessa angolazione si nota che il cervelletto è costituito da una struttura mediana a
forma di “C” che prende il nome di verme del cervelletto. Tale struttura si continua neg
emisferi cerebellari, i quali sono uniti fra di loro dal verme. Il verme, come tutto il
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cervelletto, presenta in sezione mediana delle lamelle, ognuna delle quali fatta da una
superficie esterna di corteccia cerebellare, regolarmente ripiegata (come il bavero di una
giacca) e l’asse della lamella è un ramo di sostanza bianca che viene dalla parte profonda
del cervelletto.
Tale immagine e’ anche detta ”arbor vitae” perché somiglia ad un tronco con i rami. La
lamella è l’insieme del ramo di seconda-terza generazione con la sua corteccia.
E’ possibile anche vedere delle scissure che dividono il verme in una serie di lobuli (circa
10); il lobulo dietro al velo midollare inferiore (parte anteriore del verme, versante inferio
vicino all’ilo) si chiama nodulo. Il lobulo dietro al nodulo si chiama uvula, mentre il
piccolissimo lobulo dietro al velo midollare superiore è detto lingula. Tutti e tre sono in
prossimità dell’ilo e del quarto ventricolo. Sembra che dal nodulo venga fuori una parte d
emisfero cerebellare che somiglia alla pianta del papiro: queste due formazioni (una per
lato) sono chiamate flocculi.
• Sul piano funzionale l’archicerebellum ha a che fare con l’attività vestibolare: vale a
dire che ci serve per regolare grossolanamente il tono dei muscoli antigravitari, ci
permette di mantenere la postura, il movimento coniugato degli occhi sul piano
orizzontale, eccetera.
• Il paleocerebellum, invece, coordina l’attività dei muscoli degli arti, del tronco e del
collo, ossia fa in modo che, durante una sequenza motoria, i muscoli si
contraggano nella giusta sequenza.
Il neocerebellum, invece, è implicato nella coordinazione dei movimenti fini, dovunque
essi accadano.
Struttura della corteccia cerebellare.
Tutta la corteccia cerebellare ha la stessa organizzazione modulare; è costituita da tre
strati concentrici:
• molecolare (più esterno), che è formato da due tipi di neuroni. La cellula stellata
che ha tanti dendriti filiformi, è disposta parallelamente alla superficie della lamella
la cellula dei canestri ha un pirenoforo piuttosto piccolo ma un albero dendridico
sviluppato che si trova tutto nello strato molecolare. Il suo assone si sposta
parallelamente alla curvatura della lamella e da questo si dipartono 12-20
collaterali, ognuna delle quali si ramifica intorno al corpo di una cellula dello strato
intermedio o ganglionari; quindi ognuna di queste cellule dei canestri contatta un
certo numero di cellule ganglionari (divergenza del segnale);
• intermedio, è il più sottile essendo un monostrato di un singolo tipo di neuroni ed è
detto strato ganglionare. La cellula ganglionare è anche detta del Purkinje; questa
è la più grossa cellula che abbiamo nel nostro corpo, nucleo di circa 80 µm. Il suo
enorme soma dà origine ad un albero dendritico fittissimo che pervade e riempie lo
strato molecolare ed ha un numero enorme di sinapsi: ogni cellula di Purkinje
riceve 250000 sinapsi che possono venire da cellule diverse (convergenza del
segnale).
L’assone abbandona lo strato ganglionare attraverso lo strato granulare e va a scaricarsi
a livello dei nuclei profondi del cervelletto. E’ una cellula piatta, e assomiglia molto ad un
mano dove le dita sono i dendriti, e si trova su un piano perpendicolare all’asse della
lamella, con una disposizione detta “a spalliera”.
• Granulare (più interno) ha due tipi di neuroni. Uno è una cellula chiamata dei
piccoli granuli. Ha un corpo molto piccolo da cui si dipartono quattro o cinque
dendriti ed un assone che sale nello strato molecolare e qui si divide a T. Ogni
branca si dispone parallelamente all’asse della lamella, per cui nello strato
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molecolare avremo una serie di fibre tutte parallele fra loro (da cui il nome di fibre
parallele) e all’asse della lamella.
Una sezione perpendicolare dell’asse della lamella ci permette di vedere le cellule di
Purkinje, e una serie di puntini che sono le sezioni trasverse di tali fibre parallele, che
fanno sinapsi sia sulla cellula stellata, che dei canestri, che sulla cellula del Purkinje.
La cellula dei piccoli granuli, con tale organizzazione, recluta tutte le altre cellule.
• Si capisce che la disposizione a spalliera della cellula di Purkinje rappresenta la
distribuzione ideale per ricevere queste fibre. Di tutti questi quattro neuroni solo la
cellula a piccoli granuli è eccitatoria, tutte le altre sono inibitorie. La stessa Purkinje
è inibitoria e inibisce i neuroni dei nuclei profondi su cui si scarica. La cellula dei
piccoli granuli, a sua volta, riceve delle sinapsi.
Tutte le fibre in entrata al cervelletto si dividono in due categorie, indipendentemente da
loro origine.
La prima va a scaricare direttamente alla cellula di Purkinje eccitandola (fibra rampicante
Tutte le fibre rampicanti provengono da un unico nucleo, il NUCLEO OLIVARE
INFERIORE che per grossa parte scarica a tutto il cervelletto (archi, paleo e neo
cerbellum), a livello delle cellule di Purkinje.
Tali fibre rampicanti, però, prima di scaricarsi a livello delle cellule di Purkinje, danno una
collaterale che si scarica sui nuclei profondi.
L'altro tipo di fibra che troviamo nel cervelletto si chiama fibra muscoide. Questa va
direttamente alla cellula dei piccoli granuli e la eccita. Tale cellula, a sua volta, ecciterà u
certo numero di Purkinje, un certo numero di stellate ed un certo numero di cellule dei
canestri. Anche la fibra muscoide, prima di scaricarsi sulle cellule dei piccoli granuli, dà
una collaterale che si scarica sui nuclei profondi. Le fibre muscoidi vengono da tutti i
nuclei che scaricano nel cervelletto, tranne l'oliva inferiore.
Facciamo allora l'elenco delle vie nervose che scaricano nel cervelletto:
• spino cerebellari ventrale e dorsale;
• cuneo cerebellare;
• nuclei vestibolari;
• trigemino cerebellare;
• reticolo cerebellari;
• vie che vengono dal tetto del mesencefalo;
• vie cortico ponto cerebellari.
Il quinto ed ultimo neurone si trova anch'esso nello strato granulare e prende il nome di
cellula dei grandi granuli. É una cellula piuttosto grossa con un notevole albero
dendritico, il quale si spinge anch'esso nello strato molecolare e un corto assone, il quale
si ramifica e fa sinapsi con le cellule dei piccoli granuli.
Anche questa cellula è inibitoria.
Quindi, in conclusione, nella corteccia cerebellare abbiamo un'unica cellula eccitatoria: la
cellula a piccoli granuli.
La cellula dei piccoli granuli innerva, eccitandole, tutte le altre cellule ( stellate, canestro,
grandi granuli e purkinje). L'unico assone che lascia la corteccia cerebellare è quello dell
cellula del purkinje il quale, però, non abbandona il cervelletto. Le cellule dei grandi
granuli (o di Golgi) hanno come bersaglio la stessa cellula dei granuli da cui è stata
eccitata. Questo significa che se nella cellula dei grandi granuli c'è una lampada che si
accende se arriva uno stimolo tramite la fibra muscoide, questa si accende ma dopo un
attimo si spegne nonostante che la fibra muscoide stia scaricando perchè il granulo
eccita, tra le altre cose, la cellula di golgi che spegne subito per un attimo, la cellula dei
piccoli granuli che quindi funziona ad intermittenza se viene stimolata costantemente (è
un modo di produrre pause).
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NUCLEI PROFONDI
Si trovano nella sostanza bianca del cervelletto ( nell'asse midollare). Essi ricevono dalla
periferia sia collaterali delle fibre rampicanti sia collaterali delle fibre muscoidi e quindi, s
il cervelletto non avesse la corteccia cerebellare, l'attivazione di una rampicante o di una
muscoide si tradurebbe in un'eccitazione del nucleo profondo.
Gli assoni dei nuclei profondi del cervelletto sono gli unici che abbandonano il cervelletto
e quindi mandano informazioni fuori. Se il cervelletto non avesse questi nuclei sarebbe
inutile, poiché l'informazione non uscirebbe fuori dal cervelletto stesso. Questi nuclei
profondi sono quattro per lato: il nucleo profondo proprio dell'archicerebellum, ossia
quello che si trova nel nodulo cerebellare, prende il nome di NUCLEO DEL TETTO (o
fastigium). Esso riceve esclusivamente dalle cellule di purkinje dell'archicerebellum e
dalle fibre muscoidi che vengono dai nuclei vestibolari, ma anche dalle fibre rampicanti
che vengono dall'oliva, la quale si scarica a tutto il cervelletto.
Nel paleocerebellum abbiamo 2 nuclei profondi per lato che prendono il nome di
NUCLEO GLOBOSO e NUCLEO EMBOLIFORME. Anche questi nuclei ricevono
esclusivamente dalle cellule del purkinje della corteccia del paleocerebellum, ricevono
fibre rampicanti dall'oliva e ricevono fibre muscoidi che provengono, per esempio, dalle
vie spinocerebellari ( ventrale e dorsale e cuneocerebellare), dalla formazione reticolare,
dal nucleo mesencefalico del quinto, e anche una parte di informazione direttamente dall
corteccia, che non fa stazioni nei nuclei basilari del ponte, ma fa stazione in quei piccoli
nuclei che abbiamo sistemato tra le 2 piramidi del bulbo.
Infine, nel neocerebellum c'è un unico grande nucleo che si chiama NUCLEO DENTATO
(perché somiglia molto all'architettura dell'oliva inferiore, tipo lamiera ondulata), il quale
riceve soltanto da Purkinje del neocerebellum, riceve ovviamente le fibre rampicanti che
provengono dall'oliva e riceve fondamentalmente la via cortico ponto cerebellare. Esso
non riceve nulla direttamente dalla periferia, quello che sa lo sa perchè glielo dice la
corteccia cerebellare.
Ora abbiamo tutti gli elementi per trarre una serie di informazioni: l’organizzazione
modulare della corteccia cerebellare e questa compartimentalizzazione delle afferenze, c
deve far pensare che ogni pezzettino di corteccia cerebellare e del nucleo profondo
corrispondente, ha a che fare con un certa parte del soma (distribuzione somatotopica de
neuroni). Ad esempio, la corteccia della regione periferica inferiore e caudale dell'emisfer
cerebellare di destra, ha a che fare con i movimenti delle dita del piede, mentre la region
laterale, intermedia tra caudale e rostrale, ha a che fare con i movimenti della mano.
Allora capiamo perché è modulare, visto che ogni parte del cervelletto ha un suo territorio
di competenza (riceve da e invia a).
Ogni cellula di Purkinje ha un numero enorme di sinapsi, ma non tutte queste vie vengono
attivate contemporaneamente: avrà un certo numero di fibre dalle cellule dei canestri e d
quelle stellate (inibitorie) e un certo numero da quelle dei piccoli granuli (eccitatorie). Il
risultato è che quella cellula in un dato istante verrà inibita o eccitata a seconda della
somma algebrica che riceve in quell’istante. Se la somma è positiva, allora la cellula di
Purkinje verrà eccitata ad inibire i neuroni dei nuclei profondi di sua competenza, i quali
non scaricheranno in uscita.
Viceversa se la somma è negativa.
Il risultato è che la corteccia cerebellare ha l’unica e importante funzione di modulare
l’attività di scarica dei nuclei profondi. Se aggiungiamo questo alla distribuzione
somatotopica di questo circuito modulare, si capisce come fa il cervelletto a regolare il
tono muscolare e la coordinazione dei movimenti.
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Le fibre rampicanti dell’oliva inferiore vanno al cervelletto controlaterale e lo fanno con
una distribuzione somatotopica: il nucleo principale più grosso del complesso olivare va a
neocerebellum.
Abbiamo un unico grande nucleo, così da emergere vistosamente dal bulbo, che scarica
fondamentalmente al cervelletto, ed ha una funzione nella regolazione dell’attività delle
cellule del Purkinje.
Questi neuroni olivari scaricano al cervelletto con una frequenza bassa e costante
(scarica di tipo tonico).
Dalle aree corticali frontali, parietali, temporali e una piccola area occipitale, partono dei
fasci discendenti che fanno sinapsi a livello dei nuclei basilari del ponte, ma anche dei
gruppetti di neuroni fra le piramidi bulbari, costituendo quindi i fasci cortico-pontini, che
sono due per lato. Il fascio che proviene dalle aree frontali è un unico fascio
topograficamente distinto, e si chiama fascio frontopontino o di Arnold. Quello che
proviene invece da tutte le altre aree corticali è un unico fascio chiamato fascio parietooccipito-temporo-pontino o di Türk.
Questi sono dei fasci enormi. I nuclei pontini scaricano poi al cervelletto controlaterale
(neo e in parte anche paleocerebellum, ma non all’archicerebellum); le fibre viaggiano
attraverso il peduncolo cerebellare medio (fibre a senso unico e obbligato).
Allora capiamo che questi due fasci (vie cortico-ponto-cerebellari) rappresentano la
principale via di comunicazione fra corteccia e cervelletto.
Attraverso queste vie, la corteccia comunica istante per istante con il cervelletto, al quale
fornisce le seguenti informazioni:
Il fascio di Arnold che viene dalla corteccia frontale invia al cervelletto due cose:
1. Copia del progetto di movimento
2. L’insieme di ordini motori che la corteccia s’appresta a dare tramite la via piramidale e
le vie extrapiramidali
Per questo, con tale fascio, il cervelletto viene a sapere quali sono le intenzioni della
corteccia da un punto di vista motorio (se così non fosse non potrebbe coordinare il
movimento).
Con il fascio di Türk la corteccia manda al cervelletto informazioni sulla
TRIDIMENSIONALITA’ DELLO SPAZIO (componente parietale) NEL QUALE DEVE
AVVENIRE IL MOVIMENTO.
Il lobo occipitale dà un’informazione visiva decodificata dalla corteccia che la corteccia
invia al cervelletto.
Anche una parte del lobo temporale è importante: ad esempio il significato dei suoni in
ciascuna lingua ma anche il significato dei suoni in assoluto (es: porta che sbatte; rumore
dell’acqua che scorre…) sono attività basate sull’udito ma sono attività superiori che
hanno a che fare con l’udito e che sono passate al cervelletto. Con tutto questo sistema d
comunicazione, il cervelletto viene a sapere in quale contesto spaziale deve avvenire il
movimento che esso dovrà coordinare.
Quindi, nello stesso istante, il cervelletto riceve informazioni dalla corteccia ed
informazioni esterocettive e propriocettive dalla periferia. Il cervelletto interfaccia
informazioni corticali con informazioni periferiche che gli dicono cosa è successo un
attimo prima per poter dare immediatamente una risposta.
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Il cervelletto in realtà confronta diverse cose: il progetto del movimento programmato da
lui stesso, mediante la via spino-cerebellare dorsale, e ciò che la corteccia vuole usare,
nell’ambito dei circuiti propri del midollo spinale, per il movimento successivo (via spinocerebellare ventrale).
A questo punto la corteccia cerebellare interfaccia tutti questi dati e poi dà o non dà il via
libera ai nuclei profondi per scaricare.
I nuclei profondi scaricano ad una parte del diencefalo, un nucleo talamico il quale, a sua
volta, scarica all’area 6 ma soprattutto all’area 4. L’aria 6 è detta AREA PREMOTORIA
mentre l’area 4 è l’AREA MOTORIA PRIMARIA, da cui si diparte la via cortico-spinale.
Se misuriamo il numero di fibre in entrata nel cervelletto e le paragoniamo con quelle in
uscita, osserviamo che c’è una sproporzione enorme: entrano molte più fibre di quante ne
escono. Tutte le fibre in entrata servono affinché il cervelletto faccia tutte le sue
elucubrazioni ma poi a questo basta un numero relativamente piccolo di fibre in uscita pe
fare il suo mestiere: SCARICARE AL TALAMO E DA QUI ALLA CORTECCIA MOTORIA
(e non a tutta la corteccia), ossia all’area 4 e all’area 6. Quindi, il cervelletto scarica solo
su quei neuroni corticali da cui poi si dipartiranno le vie motorie discendenti.
Anche l’area 4 ha una distribuzione somatotopica dei neuroni e il cervelletto va a reclutar
nel tempo i neuroni che devono entrare in funzione in quella sequenza motoria e poi nella
successiva e così via.
In aggiunta a questa VIA CEREBELLO-TALAMO-CORTICO, ne esiste un’altra, in
parallelo, che ha una stazione in più: VIA CEREBELLO-RUBRO-TALAMO-CORTICO, con
una stazione sinaptica in più a livello del nucleo rosso del mesencefalo. Questa è una via
parallela.
A questo punto è chiaro perché si dice che il cervelletto ha il ruolo di coordinare, di fare in
modo che il movimento sia fluido e che avvenga secondo la traiettoria prestabilita, in
modo che si possa arrivare all’oggetto spostandosi nello spazio.
Quando il cervelletto si ammala, abbiamo il tremore intenzionale: il cerebellare ha
mancanza del tono, non si regge in piedi ed ha problemi di epilessia, ma l’enorme
handicap è nell’esecuzione del movimento (dismetria: sbaglio traiettoria).
Dicevamo prima che l’oliva inferiore ha un ruolo molto importante, tramite le fibre
rampicanti, come regolatore della funzione del cervelletto, scaricando con una frequenza
bassa e costante su questo.
Possono tuttavia esserci dei momenti in cui tale frequenza varia: le variazioni di frequenz
di scarica si hanno al fine di correggere l’attività cerebellare.
Il cervelletto ha un suo particolare circuito di autocontrollo: una parte di informazione che
dai nuclei profondi va al nucleo rosso, non va al talamo e alla corteccia, ma va all’oliva
inferiore che scarica di nuovo sulla corteccia cerebellare. Si ha una specie di cortocircuito
CEREBELLO-RUBRO-OLIVO-CEREBELLO, che avrebbe la funzione di resettare il
cervelletto, ossia di controllo delle funzioni. Questo circuito di auto controllo serve affinch
il cervelletto possa correggere errori di interpretazione o di scarica alla corteccia.
Il cervelletto, però, non regola il movimento esclusivamente proiettando alla corteccia, m
ha anche una sua capacità, proprio grazie al fatto che scarica ad una certa parte del
nucleo rosso (soprattutto il paleocerebellum), di regolare gruppi di neuroni del tronco
dell’encefalo, da cui si dipartono vie discendenti che noi abbiamo chiamato VIE
EXTRAPIRAMIDALI, come per esempio la stessa VIA RUBRO-SPINALE e le VIE
RETICOLO-SPINALI, che provengono dalla sostanza reticolare del bulbo e del ponte.
Qui, però, il cervelletto coordina l’attività di scarica di tali neuroni in maniera stereotipa.
Tali vie determinano un tipo di movimento base, ossia stereotipo, che è molto importante
affinché l’eventuale ordine che poi dovesse arrivare dalla corteccia con la via corticospinale possa essere eseguito in maniera corretta.
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Noi abbiamo, quindi, una base del movimento assicurata dalle vie extrapiramidali, ma
anche dal movimento riflesso, dopo stimolazione del fuso neuromuscolare, dalle vie
vestibolo-spinali, che vanno a reclutare particolari motoneuroni (alfa o gamma).
Noi possiamo arricchire tale movimento stereotipo con ordini di movimento ben precisi e
focali che abbiamo elaborato attraverso la corteccia e che mandiamo giù attraverso la via
principale del movimento (piramidale).
MESENCEFALO
Cranialmente al ponte abbiamo il mesencefalo.
Se facciamo una sezione trasversale vediamo che a livello del mesencefalo si è
ricostituito il canale detto ACQUEDOTTO DEL SILVIO e quindi si è anche ricostituito il
tetto del mesencefalo, lamina dei corpi quadrigemini, dove abbiamo i collicoli superiori ed
inferiori, mentre chiamiamo PIEDE DEL MESENCEFALO tutto il resto.
Nella parte ventrale (detta piede) dobbiamo sistemare il grigio periacqueduttale, i nuclei
del III e del IV a seconda di dove siamo: se siamo a livello del collicolo inferiore dobbiamo
mettere i nuclei del IV, mentre all’altezza dei collicoli superiori dobbiamo mettere il III,
compreso l’Edinger Westphal.
Poi dobbiamo sistemare un grosso nucleo, lungo più o meno tanto quanto il mesencefalo
che è il NUCLEO ROSSO. Si chiama così perché al taglio del pezzo fresco si colora di un
rosa molto pallido.
Ai lati del nucleo rosso dobbiamo mettere una regione, che è quasi sostanza reticolare,
ma dove i neuroni sono un po’ più impacchettati, che prende il nome di GRIGIO
TEGMENTALE PROFONDO (il nucleo rosso e il grigio tegmentale profondo sono nuclei
propri), così chiamato dalla regione del mesencefalo che occupa: TEGMENTO DEL
MESENCEFALO.
Infine, ventralmente al nucleo rosso c’è un nucleo detto SOSTANZA NERA (o
SUBSTANZIA NIGRA) DI SOMERING, che è un nucleo mesencefalico che prenderemo
in considerazione con i nuclei della base perché è funzionalmente uno di questi (la sua
distruzione dà luogo al Parkinson).
Tale nucleo è detto sostanza nera perché, quando si taglia il pezzo fresco, tale zona
diventa più scura a causa dell’ossidazione della dopamina (una catecolamina).
Ventralmente alla sostanza nera abbiamo 2 formazioni simmetriche fatte di sostanza
bianca (fibre discendenti) dette PEDUNCOLI CEREBRALI (di dx e di sn) che sono
separati da una fossa interpeduncolare. Se dividiamo tale peduncolo in 5 parti abbiamo
che i 3\5 intermedi di tale peduncolo rappresentano la via cortico-spinale che sta
scendendo. Il quinto mediale è costituito dal fascio di Arnold, il quinto laterale dal fascio d
Türk. Se distruggo il peduncolo cerebrale bilateralmente produco una paralisi motoria
completa e bilaterale e, anche se è possibile un modesto recupero, resteranno sempre
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delle dismetrie a causa dell’interruzione della principale via di comunicazione tra cortecci
e cervelletto (fasci di Arnold e Türk).
Dalla parte più caudale del mesencefalo (dorso) emerge il 4° nervo cranico che si incrocia
con il controlaterale; dalla faccia ventrale del mesencefalo (dalla profondità della fossa
interpeduncolare) emerge il 3° nervo cranico o oculomotore comune.
Il mesencefalo, nella sua parte più craniale, è abbracciato da ventre a dorso, dal TRATTO
OTTICO, che contiene una parte della via ottica.
Infine, annesse alla parte dorsale del mesencefalo, ai lati della lamina dei corpi
quadrigemini, abbiamo una coppia di formazioni piuttosto grosse chiamate CORPI
GENICOLATI (che significa inginocchiati), uno LATERALE e uno MEDIALE, i quali non
sono formazioni mesencefaliche bensì diencefaliche.
Il corpo genicolato mediale è un nucleo importante della via acustica (sordità se distrutto
mentre il corpo genicolato laterale è un nucleo importante della via ottica. Questi corpi
genicolati, insieme, costituiscono il METATALAMO (meta = al di là).
NUCLEO ROSSO : è un nucleo che ha un ruolo abbastanza strategico nell’economia
generale delle vie di moto per il fatto che viene a trovarsi in una specie di crocevia tra
telencefalo e cervelletto.
Esso è composto di due parti:
1. la parte più craniale, filogeneticamente più nuova, è detta parvicellulare (perché i
neuroni sono piccoli);
2. quella più caudale, filogeneticamente più antica, è chiamata magnicellulare (perché i
neuroni sono un po’ più grandi).
Abbiamo detto che il nucleo rosso è implicato nella via di risposte dal cervelletto alla
corteccia (cerebello-rubro-talamo-cortico). In realtà il cervelletto scarica al nucleo rosso
“parvi” (quello più nuovo). Sta di fatto però che il cervelletto scarica anche alla parte
filogeneticamenta più vecchia, ossia alla magnicellulare del n. rosso. Quindi il cervelletto
manda al n. rosso due categorie di fibre: una è destinata a fare stazione con la parte
craniale del n. rosso e da qui al talamo e quindi alla corteccia (serve a far sì che il
cervelletto possa comunicare con la corteccia); l’altra va alla parte magnicellulare, da qui
si dipartono VIE RUBRO-SPINALI, attraverso le quali il cervelletto regola ciò che accade
a livello del midollo spinale (attività motorie stereotipe). Una di queste è la VIA
CEREBELLO-RUBRO-SPINALE.
Il nucleo rosso scarica però anche al COMPLESSO OLIVARE INFERIORE (via cerebellorubro-olivo). Abbiamo parlato dell’importanza della VIA CEREBELLO-RUBRO-OLIVOCEREBELLO e abbiamo detto che questa è un sistema anatomico che serve a resettare
e a controllare le pulsazioni base del cervelletto.
Ma da tale nucleo partono anche fibre che scendono a livelli più bassi (VIA CEREBELLORUBRO-OLIVO-SPINALE). Il risultato è che il nucleo rosso non si trova soltanto come
stazione intermedia della via di proiezione dal cervelletto alla corteccia, ma anche nella
via di proiezione dal cervelletto ai distretti più bassi (leggasi midollo spinale, tronco
dell’encefalo, etc.). Il cervelletto può essere visto come regolatore di attività
extrapiramidali. Il nucleo rosso, ma soprattutto la parte magnicellulare (più vecchia) ricev
DIRETTAMENTE DALLA CORTECCIA e quindi abbiamo una VIA CORTICO-RUBRO e
da qui RUBRO-SPINALE. Quindi il nucleo rosso si configura come un vero e proprio
nucleo extrapiramidale: riceve dalla corteccia e scarica al midollo spinale.
Infine il nucleo rosso riceve anche in piccolissima parte dai NUCLEI DELLA BASE e da
qui l’informazione viene riverberata all’oliva e al cervelletto.
Ricapitolando
:
SI TROVA LUNGO LA VIA CHE DAL CERVELLETTO VA ALLA CORTECCIA (unica
via in salita);
SI TROVA SOPRATTUTTO LUNGO VIE DISCENDENTI (cerebello-rubro-olivospinale, cerebello-rubro-spinale);
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SI TROVA NEL CORTOCIRCUITO CEREBELLO-RUBRO-OLIVO-CEREBELLO che
serve a resettare il cervelletto;
SI TROVA LUNGO UNA VIA DISCENDENTE CHE SI DIPARTE DAI NUCLEI DELLA
BASE, DIRETTA AL COMPLESSO OLIVARE E DA QUI AL CERVELLETTO;
SI TROVA LUNGO LA VIA CORTICO-RUBRO-SPINALE.
TETTO DEL MESENCEFALO: esso contiene i collicoli.
I collicoli superiori hanno a che fare con la via ottica e quelli inferiori con la via acustica,
con un distinguo però.
Iniziamo dai collicoli superiori: da questi si dipartono due VIE DISCENDENTI PER LATO
CHE VANNO FINO AL MIDOLLO SPINALE. Una prende il nome di VIA TETTO-SPINALE
MEDIALE (perché viaggia nel cordone mediale del midollo spinale) e l’altra quello di
TETTO-SPINALE LATERALE (cordone laterale del midollo spinale).
La via tetto spinale mediale è usata soprattutto per regolare l’ATTIVITA’ MOTORIA di
motoneuroni alfa, gamma (etc.) diretti ai muscoli del collo ed in parte agli arti superiori.
Tale via si esaurisce a T2.
Quando i neuroni dei nuclei dei collicoli superiori sono attivati (in genere dalla corteccia),
usiamo questa via per CONTRARRE IN MANIERA RIFLESSA I MUSCOLI ROTATORI
DEL CAPO che sono lo STERNOCLEIDOMASTOIDEO ed il TRAPEZIO.
Questo è un riflesso somatico, un riflesso protettivo che proviene dalla memoria genetica
ma che possiamo controllare.
Per capire qual è lo stimolo che mette in moto tale riflesso dobbiamo tener conto che una
quota dell’informazione visiva va a finire al collicolo superiore. Questa informazione visiva
attraverso la via tetto-spinale mediale, ci permette di ruotare il capo nella direzione dello
stimolo. Facciamo un esempio: se io guardo un oggetto davanti a me, metto a fuoco
quell’oggetto ma questo non mi impedisce di vedere (ma non a fuoco) tutta una serie di
oggetti nello spazio intorno a me per un angolo solido (cioè in tutte le direzioni) di circa
180° (campo visivo). Se all’interno di questo campo un qualcosa che non è a fuoco si
muove, io ruoto la mia testa in quella direzione per mettere a fuoco l’oggetto che si è
mosso.
Ruotiamo più spesso il capo di quanto ruotiamo gli occhi. Questo perché i muscoli
estrinseci degli occhi, che ci permettono di ruotare gli occhi, sono innervati da fibre rapid
e con un bassissimo rapporto di innervazione: poco resistenti alla fatica. I muscoli rotator
del capo, al contrario, sono innervati da fibre lente e quindi resistenti alla fatica.
Comunque, per vedere in dettaglio un oggetto che non abbiamo a fuoco, dobbiamo agire
con i muscoli estrinseci degli occhi, perché questo ci permette di avere sulla retina
l’immagine.
Per capire si può pensare alla vite macrometrica (muscoli rotatori del collo) ed a quella
micrometrica (muscoli estrinseci degli occhi) di un microscopio.
Quindi: QUESTO RIFLESSO SI INNESCA QUANDO UN OGGETTO CHE NON HO A
FUOCO ATTRAE LA MIA ATTENZIONE (colpisce la mia retina).
Parallelamente abbiamo la VIA TETTO SPINALE LATERALE.
Questa via contiene, in parte, fibre che si comportano come quelle della via tetto-spinale
mediale, ossia scaricano ad alfa e gamma motoneuroni della regione sopra a T1 (il collo).
In tale via abbiamo però anche fibre discendenti che vanno a scaricare a
MOTONEURONI VISCERALI del midollo spinale localizzati nella LAMINA VII, a livello di
C8 e T1. A tale livello abbiamo motoneuroni viscerali ortosimpatici che nel loro insieme
costituiscono un centro anatomico chiamato CENTRO CILIOSPINALE. Tali neuroni danno
origine a fibre pregangliari che vanno a scaricarsi ad uno dei gangli ortosimpatici chiamat
GANGLIO CERVICALE SUPERIORE (all’altezza di C4), da cui si dipartono fibre
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postgangliari dirette ad un muscolo liscio che abbiamo nel polo anteriore dell’occhio, il
muscolo DILATATORE DELLA PUPILLA. Questo, contraendosi, aumenta il calibro della
pupilla: entra più luce. La pupilla è un foro scavato nell’iride dell’occhio, il cui diametro pu
variare (da zero a qualche millimetro), permettendo la regolazione della quantità di luce
che entra. Nell’iride abbiamo due muscoli:
1. il dilatatore della pupilla, con fibre disposte come i raggi di una ruota di bicicletta
2. il costrittore della pupilla, con fibre circolari.
Il muscolo dilatatore della pupilla è innervato dal ganglio cervicale superiore, il quale vien
attivato dalle fibre del centro ciliospinale, le quali a loro volta sono attivate, quasi sempre
ma non sempre, dal collicolo superiore. Questo è un RIFLESSO VISCERALE che NON
POSSIAMO CONTROLLARE E CHE SI INNESCA TUTTE LE VOLTE CHE C’E’ UN
ABBASSAMENTO DI INTENSITA’ DI LUCE.
Tale informazione di diminuzione di intensità di luce è presa dalla retina (diminuzione
della quantità di energia luminosa), portata ai collicoli superiori e da qui la via discendent
tetto-spinale laterale attiva il centro ciliospinale, innescando la risposta della dilatazione
della pupilla.
Sulla pupilla sono centrati, per ora, due riflessi:
1. uno somatico, la rotazione del capo in direzione dello stimolo visivo;
2. l’altro viscerale, la dilatazione della pupilla.
La dilatazione della pupilla noi l’abbiamo certamente allorché diminuisce la quantità di
luce ma possiamo averla anche, indipendentemente dall’intensità di luce, se stiamo
facendo esperienza di un ipertono ortosimpatico come, per esempio, se siamo impauriti o
particolarmente emozionati. Il significato di tale dilatazione è che deve entrare più luce
perché dobbiamo vederci meglio per poterci difendere.
Ci sono altri due riflessi incentrati sul collicolo superiore.
Osservando una sezione sagittale del mesencefalo possiamo vedere che al collicolo
superiore arrivano le fibre che derivano dalla retina e che innescano il riflesso di
dilatazione pupillare quando si abbassa la luce, ma la stessa via porta, direttamente alla
regione del tetto del mesencefalo, fibre che provengono dalla retina e che vengono
utilizzate per il riflesso opposto: al passaggio da un ambiente poco illuminato ad uno
molto illuminato, dobbiamo ridurre il calibro della pupilla, altrimenti restiamo abbagliati
dalla luce. Tali fibre vanno a finire ad un piccolo nucleo che si trova nel tetto del
mesencefalo, al davanti del collicolo superiore, chiamato NUCLEO PRE-TETTALE (pre =
al davanti). Ovviamente ne abbiamo uno a dx e uno a sn.
Tale nucleo pre-tettale va a scaricarsi al NUCLEO PARASIMPATICO ASSOCIATO AL III
NERVO CRANICO (NUCLEO DI EDINGER-WESTPHAL), il quale dà origine a fibre
pregangliari lunghe, le quali viaggiano nel III nervo cranico e vanno a scaricarsi ad un
piccolo ganglio parasimpatico posto nel cavo orbitario, vicino al polo anteriore dell’occhio
chiamato GANGLIO CILIARE, da cui si dipartono fibre postgangliari corte che vanno a
scaricarsi al muscolo costrittore della pupilla. Anche questo è un riflesso che non
possiamo controllare (non passa per la corteccia), è un riflesso che avviene anche se
siamo decorticati.
La via è: retina - (nervo ottico) - nucleo pretettale - nucleo di Edingher-Westphal - (III
nervo cranico) - ganglio ciliare - (nervi ciliari brevi) - muscolo costrittore della pupilla.
Un 4° riflesso visivo è centrato sulla corteccia cerebrale visiva ma l’informazione arriva al
collicolo superiore per innescare il RIFLESSO DI ACCOMODAZIONE DEL
CRISTALLINO.
Per mettere a fuoco gli oggetti disponiamo del cristallino, il quale è una lente biconvessa
che noi deformiamo allo scopo di avvicinare o allontanare il fuoco anteriore (il fuoco
posteriore rispetto a questa lente è fisso e si trova sulla retina). Tale dispositivo è azionat
da un muscolo controllato indirettamente dal collicolo superiore: muscolo ciliare.
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PEDUNCOLO CEREBRALE
Abbiamo già detto che esso contiene esclusivamente fibre discendenti: la via corticospinale, il fascio di Arnold ed il fascio di Türk.
Concentriamoci sulla via cortico-spinale.
È intuitivo pensare che, come ci sono fibre discendenti che dalla corteccia vanno ai
motoneuroni spinali, ci devono essere fibre che dalla corteccia vanno ai nuclei
motorsomatici dei nervi cranici. Dobbiamo quindi parlare correttamente di una VIA
CORTICO-SPINALE e di una CORTICO-NUCLEARE.
Ciò significa che nella parte più craniale del tronco dell’encefalo, a dx e a sn, le vie che
vengono dalla corteccia motrice ci sono tutte e sono tutte entrate nel mesencefalo dove
abbiamo, nella parte più craniale, il 100% delle fibre. Appena però questa via entra nel
peduncolo abbiamo che il 100% delle fibre cortico-spinali vanno giù fino al bulbo senza
interrompersi mentre delle fibre cortico-nucleari, le prime cominciano a staccarsi perché
arrivano a destinazione (nucleo del III e nucleo del IV che sono i due nuclei motorsomatici
del mesencefalo). Quindi, nel peduncolo cerebrale del mesencefalo, parte caudale, non
abbiamo più il 100% delle fibre cortico-nucleari. Nel ponte abbiamo il nucleo masticatorio
del V, il nucleo abducente (VI) e il motore del VII. L’ultimo contingente di fibre si
interrompe al nucleo del XII nervo cranico. A questo punto le fibre cortico-nucleari sono
state tutte impegnate per cui, al di sotto del nucleo dell’ipoglosso, abbiamo solo fibre
cortico-spinali.
La via cortico-spinale la troviamo nelle piramidi bulbari di dx e di sn: a livello della parte
più craniale di ciascuna piramide il 70 – 80 % delle fibre si incrocia con l’altro. Il luogo
della piramide dove avviene l’incrocio del 70 – 80 % delle fibre cortico-spinali prende il
nome di DECUSSATIO PIRAMIDUM. Quindi la CORTECCIA MOTORIA DI DX
CONTROLLA L’EMISOMA DI SN E VICEVERSA.
Quindi la LEGGE DELLA CONTROLATERALITA’ RIGUARDA SIA LA SENSIBILITA’
ESTEROCETTIVA E PROPRIOCETTIVA COSCIENTE, SIA LA CAPACITA’ MOTORIA.
Il 20 – 30 % di fibre cortico-spinali che non si incrocia a livello della decussatio piramidum
si incrociano neuromero per neuromero.
Il fascio di fibre cortico-spinali che si incrociano a livello della decussatio è chiamato VIA
CORTICO-SPINALE LATERALE perché nel midollo spinale, già a C1, si ritrovano nel
cordone laterale. È chiaro che la via cortico-spinale di dx proviene dal cervello di sn e
viceversa.
Invece il fascio di fibre cortico-spinali che non incrociano a tale livello lo chiamiamo VIA
CORTICO-SPINALE ANTERIORE o VENTRALE perché nel midollo spinale si trova nel
cordone anteriore.
Vediamo cosa accade alle fibre della VIA CORTICO-NUCLEARE.
Per tutti i nuclei motor-somatici, tranne l’ipoglosso e una parte del nucleo del VII, che ha a
che fare con i muscoli al di sotto della rima labiale (labbro inferiore, mento, etc.), VALE LA
LEGGE DELLA BILATERALITA’ DELL’INNERVAZIONE, ossia i nuclei III, IV, V, VI, parte
del VII hanno una DOPPIA INNERVAZIONE ossia RICEVONO FIBRE SIA DALLA VIA
CORTICO NUCLEARE DI DX CHE DA QUELLA DI SN.
Per il XII e la parte del VII che innerva i muscoli al di sotto della rima labiale vale la
LEGGE DELLA CONTROLATERALITA’, ossia ognuno di questi nuclei è innervato dal
fascio controlaterale, per cui un danno a tale fascio dà un segno neurologico
controlaterale. Ad esempio se si ha un danno al fascio cortico-nucleare che innerva il XII
nucleo di dx allora, nel tirar fuori la lingua, questa guarderà a sinistra, ossia verso il luogo
della lesione.
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VIA ACUSTICA
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COLLICOLI INFERIORI
Immaginiamo di applicare uno stimolo acustico all’orecchio di destra. Tale stimolo
sensitivo è raccolto dal dendrite di un neurone gangliare il cui assone va a scaricarsi a
livello dei nuclei cocleari (in questo caso di dx). La maggior parte delle fibre che si
dipartono dai nuclei cocleari si incrocia controlateralmente, sempre a livello del ponte, pe
andare a scaricare ad uno dei due piccoli nuclei:
1. nucleo olivare superiore;
2. nucleo del corpo trapezoidale;
entrambi nuclei propri del ponte.
Da questi nuclei si diparte una via che sale e che è diretta fondamentalmente al collicolo
inferiore (nel tetto del mesencefalo). Una piccola percentuale di fibre che si dipartono dai
nuclei cocleari di dx, però, rimane ipsilaterale e sale su al proprio collicolo inferiore (quell
di destra).
La via che va dai nuclei olivare superiore e del corpo trapezoidale al collicolo inferiore si
chiama LEMNISCO LATERALE (perché sta ai lati).
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È chiaro che tale lemnisco laterale conterrà anche fibre dai nuclei cocleari oltre che dai
nuclei olivare superiore e del corpo trapezoide.
Lungo il lemnisco laterale c’è un gruppetto di neuroni che costituiscono il NUCLEO DEL
LEMNISCO LATERALE che rappresenta una stazione intermedia delle fibre del lemnisco
laterale. Senonché, neuroni del nucleo del lemnisco laterale di dx e di sn, si scambiano
fibre. Quindi se applico uno stimolo uditivo a dx, tale informazione mi va a sn (al collicolo
inferiore) ma anche a dx. E mi va a sn e a dx non soltanto per via delle connessioni
principali, ma anche a causa di questa commesura che unisce i due nuclei dei lemnischi
laterali (ulteriore amplificazione).
Anche i neuroni dei due collicoli si scambiano fibre e quindi di nuovo l’impulso viaggia a d
e a sn e viene ulteriormente amplificato.
Dopo di che, le fibre del collicolo inferiore vanno a scaricarsi al CORPO GENICOLATO
MEDIALE (ai lati del tetto del mesencefalo). Da qui l’informazione arriva all’area corticale
41 – 42 che è l’AREA UDITIVA PRIMARIA DEL LOBO TEMPORALE.
Il dato di fatto fondamentale è che lo stimolo uditivo applicato a dx viene sentito da tutte
due le cortecce e così lo stimolo uditivo applicato a sn. E siccome c’è uno scambio di fibre
a livello di tutte le stazioni (a livello dei nuclei cocleari, a livello dei nuclei del lemnisco
laterale, a livello dei nuclei olivare superiore e del corpo trapezoidale ed a livello dei
collicoli), questo evento, associato al fatto che entrambe le cortecce sentono il suono, ci
permette la cosiddetta STEREOACUSIA, ossia la CAPACITA’ DI SENTIRE IN 3
DIMENSIONI. Riusciamo in questo modo a distinguere da dove viene il suono.
I collicoli inferiori non sono soltanto un luogo essenziale della via acustica, sono anche un
luogo di RIFLESSI UDITIVI.
Noi siamo fabbricati per spostare il capo e gli occhi nella direzione dell’origine di un suono
in via riflessa. Nel senso che l’informazione che arriva all’orecchio di dx (e dopo un po’
anche all’orecchio di sn) arriverà un po’ prima alla corteccia di sn, un po’ dopo alla
corteccia di dx, ma comunque arriva ai collicoli, i quali sono in grado di indurre un riflesso
motore di rotazione del capo verso la fonte del suono. Affinché questo avvenga è
necessario che ci sia una VIA TETTO-SPINALE che si diparta dai collicoli inferiori, la
quale vada a reclutare i motoneuroni dei nervi che si occuperanno della rotazione del
capo (sternocleidomastoideo e trapezio). Anche tale riflesso ha una funzione di protezione
perché il suono può essere quello di un banale bicchiere che cade e si rompe, ma anche
quello dello scoppio di una bombola di gas.
Alla rotazione del capo si aggiunge quella degli occhi, la quale presuppone l’intervento de
collicoli superiori; in effetti esistono fibre che connettono il collicolo inferiore a quello
superiore.
Come se non bastasse, succede che l’informazione che è arrivata alle aree 41 e 42
(uditive primarie), viene proiettata in basso seguendo la via a ritroso (corteccia – corpo
genicolato mediale – collicoli inferiori – nuclei più bassi) con il significato di VIA DI
CONTROLLO che permette di controllare due cose:
1. con tale via riusciamo, volendo, a bloccare il riflesso uditivo. Se ad esempio sentiamo
un suono che ci è familiare, non necessariamente giriamo il capo in direzione di
questo, ma continuiamo a fare quello che stiamo facendo;
2. l’informazione giunge ai nuclei cocleari e da questi all’organo dell’udito. In tal modo
tale via riesce anche a controllare il flusso di informazioni uditive che sta arrivando in
quel momento, agendo direttamente sulle cellule cappellute dell’organo di Corti, che
sono i recettori veri.
Ad esempio, se siamo immersi nella lettura, siamo così presi che possiamo non sentire
una persona che ci chiama: in tal caso blocchiamo l’afflusso di informazioni uditive
attraverso questa via discendente.
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SOSTANZA RETICOLARE DEL TRONCO DELL’ENCEFALO
Abbiamo già detto che nel mesencefalo c’è una quota di sostanza reticolare che è quella
che usiamo per “STARE SVEGLI”. Tale sostanza è stata scoperta dal neurofisiologo
MORUZZI negli anni ’50.
La condizione di veglia non è un fenomeno passivo, cioè “sto sveglio perché non dormo”:
il dormire e lo “stare sveglio” sono due attività separate e distinte e tutte e due vanno
innescate, ossia, vi è sostanza reticolare apposita ed in più anche ipotalamo e talamo si
occupano di questo.
Se la sostanza reticolare di Moruzzi viene distrutta, si perde la condizione di veglia: non s
dorme ma si va in coma.
IL TELENCEFALO
Abbiamo già detto che ciascun emisfero ha un mantello a corteccia
che forma una serie di
circonvoluzioni (sostanza grigia) e avvolge un mare sottostante di sostanza bianca che si
chiama CENTRO SEMIOVALE. In questo mare di sostanza bianca sottocorticale abbiamo
delle isole di sostanza grigia e abbiamo anche una parte di diencefalo. Infatti, più o meno
al centro di ciascun emisfero cerebrale, abbiamo il Talamo.
I nuclei di sostanza grigia sottocorticale sono chiamati NUCLEI DELLA BASE. Questi
nuclei sono separati e distanti ma, tranne uno, funzionalmente interconnessi. Essi hanno
un ruolo strategico nel movimento e in particolare sono indispensabili per:
1. IMPARARE AD ESEGUIRE NUOVE SEQUENZE MOTORIE (es: andare in bicicletta);
2. RIESEGUIRE UNA SEQUENZA MOTORIA UNA VOLTA CHE L’ABBIAMO
IMPARATA.
Dalla figura possiamo vedere un grosso nucleo profondo della base che è chiamato
NUCLEO LENTICOLARE in quanto ha la forma di una lente biconvessa nelle tre
dimensioni dello spazio. Ne abbiamo uno a dx e uno a sn.
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Il nucleo lenticolare è il più grosso dei nuclei della base ma in verità esso è costituito da 3
nuclei:
1. Putamen (parte più laterale)
2. globo pallido esterno (medio)
3. globo pallido interno (mediale)
Abbiamo poi un 4° nucleo chiamato NUCLEO CAUDATO: in questa sezione vediamo solo
la testa del nucleo caudato che si trova avanti e medialmente rispetto al nucleo
lenticolare. Questo nucleo si chiama caudato perché ha la forma di una “C” aperta in
avanti, distribuita sul piano sagittale: la parte anteriore della “C” si chiama testa del
caudato. In realtà questa “C” si trova tutt’intorno al talamo, ossia il talamo è incastrato
nella “C” del nucleo caudato. Tale “C” va indietro ed in alto, gira intorno al talamo e poi g
passa sotto; durante questo decorso diviene sempre più sottile in modo che si parla di
testa del caudato (parte davanti al talamo), corpo del caudato (sopra il talamo), coda del
caudato (sotto il talamo).
C’è un altro nucleo più piccolo, ma anch’esso visibile ad occhio nudo, che viene a trovarsi
sotto al talamo e che per questo è chiamato NUCLEO SUBTALAMICO DI LEWIS.
Tra i nuclei della base dobbiamo anche considerare sostanza grigia collocata in
prossimità del nucleo subtalamico e che prende il nome di ZONA INCERTA e anche un
altro gruppetto di neuroni chiamati CAMPI DI FOREL
.
Un ultimo nucleo si trova all’esterno del nucleo lenticolare, tra questo e la corteccia,
chiamato CLAUSTRO, di cui si sa molto poco.
La SOSTANZA BIANCA che viene a trovarsi tra i nuclei prende diversi nomi a seconda
della sua posizione.
È detta CAPSULA INTERNA la parte che viene a trovarsi tra testa del caudato e
lenticolare e tra talamo e lenticolare. Possiamo dividerla in un braccio anteriore (tra
caudato e lenticolare) ed in un braccio posteriore (tra talamo e lenticolare). Entrambi
questi bracci si prolungano verso la corteccia. Dato che questi due bracci tra loro formano
un angolo ottuso aperto all’esterno, chiameremo il passaggio tra i due bracci GINOCCHIO
DELLA CAPSULA INTERNA.
È detta CAPSULA ESTERNA la sostanza bianca posta tra PUTAMEN e CLAUSTRO.
Infine è detta CAPSULA ESTREMA
la parte di sostanza bianca che si trova
immediatamente sotto la corteccia, ossia la SOSTANZA BIANCA SOTTOCORTICALE
.
La capsula estrema è composta soprattutto di fibre mieliniche che vanno da un’area
corticale ad un’altra vicina.
La capsula esterna è in genere costituita da fibre che collegano aree corticali lontane
tra loro (es: l’area occipitale con quella frontale).
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La capsula interna è invece composta quasi esclusivamente da fibre che stanno
andando alle varie cortecce sensitive o stanno scendendo dalla corteccia cerebrale
verso, per esempio, gli stessi nuclei della base, verso il talamo e soprattutto verso il
tronco dell’encefalo.
La testa del caudato in realtà si continua con il putamen: se osserviamo una sezione
fronto-parieto-occipitale inferiore (ossia bassa) possiamo vedere il braccio anteriore della
capsula interna interrotto da strisce di sostanza grigia che vanno dalla testa del caudato a
putamen.
A causa di ciò, dato che vediamo un’alternanza di grigio e bianco (come le strisce
pedonali), l’insieme di TESTA DEL CAUDATO e PUTAMEN prende il nome di CORPO
STRIATO.
Possiamo osservare come il caudato è presente in quasi tutti i lobi: con la testa nel
frontale, con il corpo nel parietale per poi terminare nel temporale.
I NUCLEI DELLA BASE NON RICEVONO NULLA DIRETTAMENTE DALLA PERIFERIA,
TUTTO CIO’ CHE VENGONO A SAPERE PROVIENE DALLA CORTECCIA
(l’informazione è quindi di seconda mano).
In particolare il CORPO STRIATO RICEVE MOLTE INFORMAZIONI DA VARIE AREE
CORTICALI.
È stato calcolato che nell’uomo 1 miliardo (10^9) di neuroni corticali proiettano al corpo
striato, il quale è costituito da 10 milioni (10^7) di neuroni per cui si ha la CONVERGENZA
DELL’INFORMAZIONE tra corteccia e corpo striato.
Le aree corticali che proiettano al corpo striato sono in parte AREE CORTICALI
SECONDARIE: sensibilità somestesica secondaria, visiva secondaria, uditiva secondaria,
ma anche cortecce motorie secondarie.
Questo significa che a questi due nuclei arrivano informazioni che sono state già
codificate e decodificate dalla corteccia. Facciamo un esempio. Se in questo momento
tengo la canna in mano (cosa che faccio abitualmente a lezione), la mia corteccia
somestesica la sta decodificando in quanto non è la prima volta che la tengo in mano. Se
però con la canna voglio indicare qualcosa, devo fare un movimento che faccio con la
corteccia motoria che viene regolato e coordinato dal cervelletto, ma anche dai nuclei
della base (il movimento che faccio è quasi automatico).
Questi nuclei intervengono per regolare il movimento di una grande articolazione (quella
della spalla in questo caso, ed in parte il gomito), affinché si possa affinare il movimento
raggiungere il bersaglio (rappresentato dal punto preciso che vado ad indicare con la
canna).
Per fare questo i nuclei della base devono avere informazioni dalla corteccia.
La corteccia somestesica secondaria dice allo striato che io sto tenendo in mano una
canna, sono posto nello spazio in una certa posizione e che normalmente io uso la
canna per indicare qualcosa (decodificazione).
La corteccia visiva secondaria dà ai nuclei della base le coordinate spaziali e fa vedere
loro l’ambiente in cui mi trovo in questo momento. Essa serve anche ad interpretare
sul piano visivo l’immagine canna, oltre all’immagine da indicare con tutte le sue
singole parti.
La corteccia uditiva scarica suoni ma anche il significato delle parole.
La corteccia frontale che comunica coi nuclei della base non è motoria, ma ci permette
le attività cognitive: è la corteccia prefrontale che fa l’esame della realtà, e quindi ci
permette di scegliere e giudicare, ma è anche quella che PROGRAMMA LE
SEQUENZE MOTORIE.
Ciò significa che la corteccia invia COPIA FOTOSTATICA DEL PROGRAMMA DI
MOVIMENTO non soltanto al cervelletto, ma anche ai nuclei della base ed in particolare
al corpo striato (testa del caudato e putamen).
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Dalle varie aree
corticali quindi
arrivano informazioni
che vanno al corpo
striato con una
convergenza di
informazioni (10^9
neuroni corticali
scaricano su 10^7
neuroni del corpo
striato).
A sua volta lo striato
invia, per
competenza,
l’informazione al
PALLIDO ESTERNO,
al PALLIDO
INTERNO ed anche
alla SOSTANZA
NERA DEL
SOMMERING (che si
trova nel mesencefalo
ma che in realtà è un
pezzo di pallido rimasto indietro), passando da 10^7 a 10^5 neuroni (100.000). A questo
punto, attraverso un complesso circuito schematizzato nella figura che segue, costituito
da 4 circuiti fondamentali e da alcuni sottocircuiti, succede che l’informazione arriva al
talamo, in particolare ad un paio di nuclei talamici i quali riproiettano tale informazione al
CORTECCIA PREFRONTALE e alla CORTECCIA PREMOTORIA.
La corteccia prefrontale è quella che elabora il programma di movimento. Abbiamo quind
un cortocircuito CORTECCIA-NUCLEI DELLA BASE-TALAMO-CORTECCIA nel quale
molte aree corticali arrivano a scaricare ad una zona ben precisa della corteccia
(corteccia prefrontale e premotoria).
Succede poi che la corteccia prefrontale e quella premotoria vanno a reclutare la
CORTECCIA MOTORIA . Dalla CORTECCIA MOTORIA SI DIPARTE LA VIA
PRINCIPALE DEL MOVIMENTO: VIA CORTICO-SPINALE.
Dalla corteccia motoria e premotoria si dipartono vie discendenti, parallele alla via cortico
spinale, ma che si fermano ai nuclei del tronco dell’encefalo (nucleo rosso, nucleo
tegmentale profondo, sostanza reticolare…) da cui si dipartono vie discendenti
extrapiramidali.
Il risultato è che l’informazione che ritorna al lobo frontale viene usata per attivare le vie
moto cortico-spinale, cortico-nucleare e l’insieme delle vie extrapiramidali che ci
permettono di compiere, nella maniera più corretta, tutti i movimenti che conosciamo, o d
imparare una nuova sequenza motoria.
Eseguendo inizialmente una sequenza motoria nuova (es: imparare a scrivere) mandiamo
informazioni tattili (teniamo la matita), propriocettive (posizioniamo il corpo in modo da
poter scrivere), uditive (sentiamo i suoni che corrispondono ad una lettera e diamo un
significato al segno grafico), visive, per cui mettiamo in moto il circuito di cui abbiamo
appena parlato: la corteccia memorizza tutte le informazioni che le arrivano.
All’inizio scriviamo molto lentamente, utilizzando la via principale di movimento, quella ch
ci permette di fare movimenti fini, rapidi e che richiedono un’attività motoria particolare;
scrivere la richiede.
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Ad ogni movimento si genera nuova informazione sensitiva, esterocettiva, propriocettiva,
ecc. che arriva a colpire la corteccia; questa codifica tali informazioni ma, nello stesso
tempo, le invia, per competenza, alle aree secondarie che iniziano a dare un significato a
tali informazioni. Inoltre la corteccia comincia a mandare informazioni anche al corpo
striato.
Dopo aver ripetuto la sequenza motoria una serie di volte che servono a confermare le
varie informazioni (tattile, propriocettiva…), la velocità con cui la eseguiamo aumenta.
Giorno dopo giorno aumenta, fino al punto che il movimento avverrà in MODO
AUTOMATICO; QUESTO MOVIMENTO CI RESTERA’ PER LA VITA.
La sequenza motoria viene automatizzata grazie anche all’utilizzo delle vie
extrapiramidali, oltre che a quello della cortico-spinale, vale a dire della piramidale.
Lo schema che segue mette a confronto le connessioni fra la corteccia, i nuclei della base
e di nuovo la corteccia.
Dalla corteccia, tutto torna alla corteccia via talamo; poi dalla corteccia le vie si dirigono i
basso.
Le stesse informazioni vanno quindi ai nuclei della base ed al cervelletto: NUCLEI
PONTINI-CERVELLETTO-TALAMO-CORTECCIA. La corteccia, però, non è quella che
ottiene l’informazione riverberata dai nuclei della base (ossia la corteccia prefrontale ed i
parte la premotoria); infatti, il cervelletto manda un po’ all’area 6 e molto alla 4 (quella da
cui si dipartono la via principale di moto e le vie extrapiramidali).
Non solo, il cervelletto riceve dal midollo spinale e dal tronco dell’encefalo, i nuclei della
base no.
Allora il cervelletto, a differenza dei nuclei della base, riesce a proiettare al tronco
dell’encefalo (nucleo rosso, sostanza reticolare, oliva inferiore).
Quindi: MENTRE I NUCLEI DELLA BASE CI SERVONO PER MEMORIZZARE
SEQUENZE MOTORIE, RIPRODURLE AL BISOGNO E QUINDI, IN QUALCHE MODO,
PARTECIPANO ALLA PROGRAMMAZIONE DEL MOVIMENTO, IL CERVELLETTO
INTERVIENE SOPRATTUTTO NELL’ESECUZIONE DEL MOVIMENTO.
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SCHEMA RIASSUNTIVO DEL MOVIMENTO
La parte inferiore dello schema rappresenta il midollo spinale (e tronco dell’encefalo),
dove abbiamo informazioni sensitive che arrivano neuromero per neuromero al M.S. il
quale può andare a reclutare muscoli per via riflessa oppure, attraverso la lamina VIII, pu
andare a reclutare altri neuromeri sopra e sotto ma, alla fine, abbiamo sempre un
movimento che genera informazione propriocettiva che ritorna al M.S.
Tale circuito può andare
all’infinito, fintanto che
c’è uno stimolo.
Se, per esempio, ho una
paralisi motoria perché
ho un disturbo della via
piramidale, non riesco a
muovermi in maniera
volontaria, ma i miei
riflessi propriocettivi sono
aumentati (iperreflessia
profonda) perché è come
se avessi solo il M.S.
L’informazione che
raggiunge il M.S. va
anche ai centri superiori,
va al cervelletto e ad
aree sensitive primarie e
secondarie. Tali aree
rispondono con le vie
principali di moto
(cortico-spinale e corticonucleare) ma anche con
vie che dalla corteccia
vanno ai nuclei che si
trovano nel tronco dell’encefalo da cui hanno origine le vie extrapiramidali. Queste hanno
il ruolo di:
1. controllare quello che succede in periferia;
2. dare dei comandi secchi ai neuroni del M.S.;
che servono ad innescare il movimento e a far fare quello che la corteccia ha deciso di
fare.
Le vie discendenti di moto non hanno soltanto la funzione di stimolare alfa e gamma
motoneuroni, anzi questa sembra essere la funzione minore, hanno anche la funzione di
controllare e regolare le risposte a livello dei vari neuromeri del M.S. che insorgono in
base all’informazione di ritorno al midollo spinale dopo che un muscolo si è contratto.
Comunque, tali vie portano anche ordini secchi dalla corteccia e, soprattutto la via cortico
spinale, è indispensabile per iniziare un movimento e anche per l’esecuzione di movimen
fini.
Parallelamente alla via cortico-spinale abbiamo tutta una serie di vie che si dipartono dai
nuclei del tronco dell’encefalo (nucleo rosso, grigio tegmentale profondo, tetto del
mesencefalo, ecc.) le quali agiscono parallelamente, e non in conflitto, con la via corticospinale (in maniera concertata) e sono implicate nell’esecuzione dei movimenti.
La storia che le vie extrapiramidali sono implicate nell’esecuzione dei movimenti
automatici è nata da un equivoco che si perpetua, specialmente in clinica.
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Tale equivoco nasce dal fatto che il dato della clinica mi dice che ce faccio una lesione
alla via CORTICO-SPINALE, nell’immediato (ore o giorni) ho sicuramente una paralisi
motoria controlaterale mentre, se ho una lesione delle vie extrapiramidali, non ho paralis
motoria ma problemi nella esecuzione. In base a questi due quadri clinici diversi si dice
che la via piramidale serve per iniziare il movimento ecc. e le vie extrapiramidali per
rendere possibili gli automatismi del movimento.
Questi due sistemi discendenti agiscono invece in maniera concertata.
I nuclei della base sono necessari per apprendere nuove sequenze motorie e per
ripeterle. Noi passiamo la nostra vita a memorizzare schemi motori ed a riprodurli, a
creare circuiti funzionali che ci permettano di semplificare una sequenza motoria e, quind
di automatizzarla e poi riprodurla. I nuclei della base sono a tal fine assolutamente
indispensabili.
Come abbiamo visto nell’immagine precedente, quando l’informazione è passata per i
nuclei della base, da qui va al talamo e dal talamo va alla corteccia; essa risponde con
tutte le vie discendenti a sua disposizione e non soltanto con la cortico-spinale.
Qualsiasi nostro movimento complesso ha bisogno dell’integrità di tutti e due i sistemi
discendenti.
RUOLO DEI SINGOLI NUCLEI DELLA BASE
SOSTANZA NERA
Se distruggo la sostanza nera, soprattutto la parte compatta di questa, ho una malattia
invalidante che si chiama MORBO DI PARKINSON o paralisis agitans.
Questa dizione spiega i due segni clinici fondamentali del Morbo di Parkinson: la rigidità
del movimento (che non è paralisi) ed il tremore a riposo. Il parkinsoniano ha grosse
difficoltà sia ad iniziare il movimento che ad arrestarlo.
La rigidità (che solitamente inizia da una parte del soma ma poi progredisce) riguarda tut
i muscoli per cui il parkinsoniano ha un atteggiamento tipico.
Se sta in piedi ha un atteggiamento curvo e poi trema: gli tremano la testa, le braccia, le
mani e le dita (come se contasse dei soldi). Il tremore è un eccesso di movimento ed è
irreprensibile, smette di tremare allorché compie un movimento. Il parkinsoniano non
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riesce però a compiere un movimento in maniera fluida e veloce come fa una persona
sana. Questo dipende dalla rigidità motoria.
Tale rigidità riguarda anche i muscoli mimici: il parkinsoniano ha sempre la stessa
espressione, triste, depressa; questo avviene un po’ perché è realmente depresso, ma
soprattutto perché ha difficoltà a sorridere, data la rigidità dei muscoli facciali.
Possiamo quindi affermare che LA LESIONE DELLA SOSTANZA NERA CAUSA
FONDAMENTALMENTE IPOCINESIA, CIOE’ MINORE QUANTITA’ TOTALE DI
MOVIMENTO.
SE QUESTO E’ VERO ALLORA IN CONDIZIONI NORMALI LA SOSTANZA NERA
AGISCE COME ACCELERATORE DEL MOVIMENTO.
NUCLEO SUBTALAMICO DI LEWIS
Se distruggo tale nucleo, ad esempio da una parte, ho una sindrome chiamata
SINDROME EMIBALLICA, emi perché ho segni solo su metà del soma (quella
controlaterale alla lesione); ballica è un termine che viene dal greco e significa lanciare,
questo perché il soggetto COMPIE DEGLI ATTI MOTORI COME SE DOVESSE
LANCIARE QUALCOSA. Il soggetto, in maniera imprevedibile, irreprensibile e non
finalizzata (sostanzialmente in maniera automatica) compie un movimento che riguarda
l’articolazione della spalla e l’arto, ma anche il collo, come se volesse lanciare una pietra.
Questa sindrome denota un eccesso di movimento ed infatti si classifica tra le ipercinesie
Da questo deriva che il NUCLEO SUBTALAMICO DI LEWIS E’ UN FRENO.
NUCLEO CAUDATO
Un’altra ipercinesia è il cosiddetto Ballo di San Vito che, in termini medici, è detto Coréa
Minor (corea in greco significa ballo) in cui, in maniera imprevedibile, irrefrenabile e non
finalizzata, il soggetto muove l’arto superiore e quello inferiore, quasi a mimare il passo d
una danza.
La Coréa Minor consegue ad una lesione del n. caudato per cui in condizioni normali
anche il n. caudato appartiene alla CATEGORIA DEI FRENATORI.
Possiamo quindi affermare che NUCLEO SUBTALAMICO e NUCLEO CAUDATO SONO
FRENATORI DEL MOVIMENTO mentre LA SOSTANZA NERA COMPATTA ed, entro
certi limiti, IL PALLIDO INTERNO SONO ACCELERATORI DEL MOVIMENTO
.
Quindi i nostri movimenti automatici, ma anche quelli che hanno una componente di
volontarietà, dipendono dall’equilibrio delle attività del freno e dell’acceleratore, che
devono essere perfettamente regolati.
POSSIBILE SCHEMA INTERPRETATIVO DEL FUNZIONAMENTO DEI
NUCLEI DELLA BASE
Lo schema che segue ci fa vedere una rappresentazione della corteccia cerebrale o
meglio dei luoghi della corteccia che scaricano allo striato.
La corteccia scarica al corpo striato il quale è fatto fondamentalmente di neuroni inibitori
quali si scaricano al pallido esterno (Pe) ma anche al pallido interno (Pi) e alla sostanza
nera (SNr e SNc).
Ciò significa che la corteccia stimola lo striato ad inibire il pallido esterno, il pallido interno
e la sostanza nera. A loro volta, il pallido interno e la sostanza nera reticolata, sono degli
inibitori, quindi abbiamo due neuroni inibitori in sequenza che configurano una
disinibizione. Questi vanno a scaricarsi al talamo ed anche essi sono inibitori.
Senonché, e qui è il punto, una parte dello striato scarica anche alla sostanza nera
compatta (SNc) inibendola. La SNc scarica allo striato con due vie: una di tipo inibitorio
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(D2) e l’altra di tipo eccitatorio (D1). Il fatto è che la sostanza nera (in particolare quella
compatta), scarica in maniera tonica sui suoi bersagli (ossia inibisce il talamo con una
frequenza costante). Il talamo può scaricare al corpo striato oppure scaricare alla
corteccia prefrontale e anche premotoria.
Anche la corteccia è connessa direttamente con il nucleo subtalamico (il quale è fatto di
neuroni eccitatori) il quale riceve dal pallido esterno e proietta al pallido interno.
È chiaro che abbiamo un flusso di informazione che ha la funzione di interrompere
l’azione inibitoria del pallido interno e della sostanza nera sul talamo, il quale è sempre
tenuto sotto freno dai due nuclei e, quindi, non può scaricare e dare via libera alla
corteccia.
Il circuito che dalla corteccia va a finire al pallido interno ed alla sostanza nera ha la
funzione di ridurre, ogni tanto, l’attività frenante. Questo si verifica ogni volta che
dobbiamo iniziare un’azione o compiere un atto motorio.
Nel parkinson succede che viene distrutta la sostanza nera ed in particolare è interrotta la
via inibitoria allo striato (D2). Con la distruzione della sostanza nera compatta (che è
quella maggiormente compromessa) viene soprattutto ad interrompersi la via di inibizion
del nucleo subtalamico (via pallido esterno) il quale è eccitato ad eccitare i nuclei pallido
interno e SNr (i nuclei inibitori) che aumenteranno la loro scarica inibitoria al talamo il
quale non risponde più, causando la rigidità.
Il nucleo subtalamico è un nucleo eccitatorio ma eccita dei nuclei che sono inibitori, per
questo la sua azione è frenante.
Viceversa, nel caso di distruzione del nucleo subtalamico, viene a mancare l’azione
eccitatoria sui nuclei inibitori (Pi e SNr) e quindi la frequenza di scarica inibitoria
diminuisce al di sotto di un valore soglia, tanto da avere un eccesso di movimento.
VIE DISCENDENTI CHE ORIGINANO DAI NUCLEI DELLA BASE
Abbiamo detto che il 95% dell’informazione che giunge ai nuclei della base dalla
corteccia, poi ritorna alla corteccia via talamo. In realtà, soprattutto il nucleo subtalamico
ha una piccola quota di efferenza che va a finire al nucleo tegmentale profondo
(mesencefalo) e si sa che alcune fibre del pallido interno si scaricano al nucleo rosso.
Questi due nuclei sono nuclei propri del mesencefalo da cui si dipartono vie discendenti
extrapiramidali.
Questo significa che una piccola parte dell’informazione in uscita dal globo pallido non va
al talamo, ma va direttamente a livello dei nuclei “extrapiramidali” per innescare risposte
stereotipe.
Una piccola quota di informazione in uscita dal nucleo subtalamico va a finire al
complesso olivare inferiore, il quale, non solo dà origine ad una via extrapiramidale ma,
soprattutto, scarica al cervelletto.
Possiamo allora immaginare una via CORTICO-STRIATO-PALLIDO-SUBTALAMOOLIVO-CEREBELLARE che rappresenta una terza via attraverso cui la corteccia
comunica con il cervelletto (le altre sono la CORTICO-PONTO-CEREBELLARE e la
CORTICO-SPINO-CEREBELLARE). Attraverso questa via il cervelletto viene in qualche
modo informato del programma motorio base, che la corteccia vuole utilizzare per
compiere i movimenti successivi.
LOCALIZZAZIONE A LIVELLO DELLA CORTECCIA DELLE AREE DA CUI SI
DIPARTONO LE VIE PIRAMIDALI ED EXTRAPIRAMIDALI.
A livello della circonvoluzione precentrale (che appartiene al lobo frontale) abbiamo l’Area
4 o Area Motrice Primaria e al davanti di questa abbiamo l’Area 6 o Area Premotoria.
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Se facciamo un taglio frontale a livello dell’Area 4 possiamo rappresentare la distribuzion
somatotopica dei neuroni che daranno luogo alla via principale di moto. Tale distribuzione
somatotopica è molto simile a quella vista per l’area somestesica primaria ossia, partend
da medio a lato,abbiamo, il piede, la gamba, la coscia, il tronco, il braccio, la mano, la
faccia, la lingua con il faringe.
Lungo questa direttrice sono localizzati i neuroni detti Piramidali di Betz da cui si diparton
fibre che in parte danno la via cortico-spinale ( neuroni che si dipartono dalla regione
somatotopica del piede fino alla mano) e in parte la via cortico-nucleare (neuroni che si
dipartono dalla regione somatotopica della faccia fino alla lingua).
Abbiamo una specie di raggera di fibre che converge per andare in giù. Le fibre,
scendendo, diventano parte del centro semiovale, dopodiché scendendo troviamo:
• la via corticonucleare, nel ginocchio della capsula interna;
• la via corticospinale, nel braccio posteriore della capsula interna.
Scendendo le troviamo nei 3/5 intermedi del peduncolo cerebrale, affiancate dal fascio di
Arnold e di Türk per quanto riguarda il tratto mesencefalico.
Nelle piramidi abbiamo ancora il 100% delle fibre cortico-spinali che ammontano a circa 1
milione (1 a dx e 1 a sx) mentre, nel bulbo, abbiamo meno fibre corticonucleari in quanto
molte sono già arrivate a destinazione. All’estremo inferiore del bulbo non abbiamo più
fibre corticonucleari ma solo fibre corticospinali: l’80% di queste, a tale livello, si
incrociano e vanno giù nel m.s. occupando il cordone laterale, da cui il nome di via
corticospinale laterale; il restante 20% non si incrocia e rimane nello stesso lato formand
la via corticospinale anteriore, perché occupa il cordone spinale anteriore del m.s.. Anche
questa si incrocerà, neuromero per neuromero.
Conseguenza di ciò è che, se provoco una lesione a livello della capsula interna, ad
esempio di sx, o a livello del peduncolo cerebrale di sx, o a livello della piramide di sx
ossia prima dell’incrociamento, avrò una paralisi motoria controlaterale, perché ancora le
vie motorie non si sono incrociate.
Nel braccio posteriore, parallele alla via corticospinale, abbiamo anche vie che dalla
corteccia vanno al nucleo rosso (via cortico-rubro), al nucleo tegmentale profondo (via
cortico-tegmentale), alla sostanza reticolare (via cortico-reticolare).
Nel braccio posteriore abbiamo, in più, vie ascendenti che salgono dal talamo alla
corteccia, in particolare quelle vie della sensibilità esterocettiva e propriocettiva coscient
che, dal talamo, vanno alla corteccia somestesica primaria. Queste vie le chiamiamo
talamo-corticali ma anche radiazioni talamiche posteriori, perché si trovano nel braccio
posteriore della capsula interna.
Quindi, nel braccio posteriore della capsula interna, ad esempio di sx, abbiamo sia la via
discendente di moto che mi controlla l’emisoma di dx, sia le fibre che mi portano
l’informazione propriocettiva ed esterocettiva cosciente da destra.
Di fronte ad un malato che non può muovere il braccio e su tale braccio non ha sensibilità
esterocettiva, il problema, di natura quasi sempre vascolare, è alla capsula interna.
Il braccio anteriore è fatto di fibre dirette dal talamo alla corteccia e di fibre dirette dalla
corteccia al talamo e, soprattutto, al tronco dell’encefalo.
Nel braccio anteriore abbiamo, tra le vie discendenti, il fascio di Arnold (fronto-pontino)
che nasce dai neuroni frontali, percorre il braccio anteriore della capsula interna, e poi lo
ritroviamo ancora nel peduncolo cerebrale, per poi finire ai nuclei pontini. Tra le vie
ascendenti, nel braccio anteriore, dobbiamo mettere le radiazioni talamiche anteriori che
sono fibre che dal talamo vanno alla corteccia frontale.
Il braccio posteriore si continua in parte andando indietro, al di dietro del nucleo
lenticolare (verso il lobo occipitale), ma in parte si continua in giù per percorrere il lobo
temporale). La parte che va nell’occipitale si chiama prolungamento retrolenticolare del
braccio posteriore mentre, la parte che scende nel temporale, la chiamiamo
sottolenticolare. Questi 2 prolungamenti sono importanti perché, nel prolungamento
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sottolenticolare, abbiamo soprattutto la via acustica e una parte della via ottica mentre, n
prolungamento retrolenticolare, abbiamo la grossa parte della via ottica. In entrambi i
prolungamenti abbiamo tutto il fascio di Türk (fascio parieto-temporo-occipito-pontino). S
facciamo una lesione a livello retrolenticolare abbiamo dismetrie ( cervelletto e corteccia
non comunicano), ma anche problemi visivi (riduzione del campo visivo e talora
allucinazioni visive).
TALAMO
Ciascun talamo è una formazione del diencefalo che somiglia ad un ovoidale. Possiamo
immaginare due uova coricate con i due assi che convergono in un punto anteriore. È
una massa grigia molto grossa costituita da un numero elevato di nuclei che stanno
insieme. Tale massa grigia è attraversata da una lamina midollare di sostanza bianca,
detta lamina midollare interna, la quale va da dietro in avanti ma, verso l’avanti, si biforc
disegnando una “y”. A causa di ciò, distinguiamo i nuclei talamici in tre gruppi
fondamentali:
-gruppo anteriore;
-gruppo mediale;
-gruppo laterale.
In aggiunta abbiamo che i
nuclei mediali si continuano
medialmente a formare una
specie di commessura grigia
che si unisce a quella del
talamo controlaterale. Tale
parte di talamo prende il nome
di nuclei mediani o della linea
di mezzo.
Inoltre i nuclei laterali vanno
distinti in dorsali e ventrali.
Il polo posteriore del talamo,
che filogeneticamente è la parte più nuova, è un grosso nucleo chiamato Pulvinar.
Abbiamo poi un gruppetto di nuclei nella faccia laterale del talamo a livello della lamina
midollare esterna che avvolge la superficie laterale del talamo.
I vari nuclei talamici hanno connessioni in va e vieni con precise regioni della corteccia
cerebrale.
I nuclei talamici anteriori sono collegati, in va e vieni, con una regione della corteccia
cerebrale che sta tutt’intorno al corpo calloso (e quindi lungo le faccie mediali di ciascun
emisfero). Tale corteccia pericallosa è molto importante al fine delle nostre risposte
emotive istintuali.
Al di là della lamina midollare
interna abbiamo i nuclei
mediali, i quali sono tutti
connessi con il lobo frontale
ed in particolare con la
corteccia prefrontale.
Ancora più medialmente
abbiamo i nuclei della linea
mediana che proiettano a
livello del polo anteriore.
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Si tratta di regioni importanti che hanno a che fare con la memoria genetica.
Poi abbiamo i nuclei laterali (distinti in dorsali e ventrali) ed in aggiunta abbiamo il Pulvina
che è connesso ad un’ampia regione della corteccia, in parte temporale, in parte
occipitale ed in parte parietale, la quale viene a trovarsi tutt’intorno al punto in cui finisc
la scissura di Silvio. Questa regione si chiama Area associativa sensitiva. Essendo il
pulvinar la parte di talamo filogeneticamente più nuova, tale area, essendo connessa con
questo, è implicata in attività filogeneticamente nuove quali il linguaggio.
La zona dei nuclei lateroventrali proietta sulla regione della corteccia che sta a cavallo
della scissura di Rolando (la corteccia somestesica primaria e l’area 4).
La corteccia somestesica primaria riceve dai nuclei ventro laterali posteriori (ossia le vie
spinotalamiche, lemniscomediale, lemniscotrigeminale).
Poi abbiamo, al davanti, il nucleo ventro laterale intermedio, il quale è connesso quasi
esclusivamente con l’area 4. Questo è quel nucleo talamico che riceve dal cervelletto per
proiettare alla corteccia.
Infine, i nuclei ventro laterali anteriori sono connessi quasi esclusivamente con l’area 6
(area premotoria).
Questi sono quei nuclei talamici che ricevono dai
nuclei della base (soprattutto da Pallido interno e
Sostanza Nera) e proiettano alla corteccia.
I nuclei anteriori proiettano alla circonvoluzione
pericallosa (che fa parte del sistema limbico) che è
quella regione della corteccia, ma anche dei nuclei
subcorticali che si occupa delle nostre reazioni
istintive, ossia quelle non ragionate.
I nuclei anteriori sono anche connessi con l’ipotalamo
e, quindi, intervengono nel controllo del
coordinamento delle attività viscerali.
I nuclei mediali proiettano soprattutto al lobo frontale,
che è il lobo della conoscenza, delle attività cognitive,
del giudizio, della scelta, ma anche il lobo del
comportamento emotivo non istintivo. Quindi, tali
nuclei, sono importanti per generare quei
comportamenti non istintivi che caretterizzano il
vivere sociale e che vengono considerati
comportamenti normali.
Ricapitolando i nuclei talamici:
Si dividono in: anteriori, mediali, laterali
(dorsolaterali,ventrolaterali), intralaminari, della linea
di mezzo e reticolari.
• I nuclei anteriori sono connessi con:
ipotalamo, corpi mammillari, circonvoluzione
pericallosa (sistema limbico). Intervengono nel
controllo delle attività viscerali da parte
dell’ipotalamo e nella memoria recente ( più
precisamente, nell’acquisizione di nuove
risposte comportamentali). Risposte emotive
istintive.
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• I nuclei mediali sono connessi con: lobo frontale, corpo striato, sostanza grigia
periacqueduttale e sostanza reticolare del tronco encefalico. Intervengono
nell’integrazione di informazioni olfattive, viscerali e somatiche (personalità e tono
affettivo).
• I nuclei laterali ventrali si distinguono in anteriori, intermedi e posteriori.
- I posteriori ricevono i lemnischi spinale, mediale, trigeminale e le vie gustative;
proiettano alla corteccia somestesica.
- Gli intermedi ricevono dal cervelletto (nucleo dentato, globoso e emboliforme) e dal
pallido. Proiettano alla corteccia motoria e premotoria. Intervengono nell’esecuzione del
movimento.
- Gli anteriori ricevono dal corpo striato, dalla formazione reticolare ascendente e dai
nuclei talamici non specifici. Proiettano alla corteccia premotoria e motoria. Intervengono
nella programmazione dei movimenti.
• I nuclei talamici laterali dorsali ed il Pulvinar sono filogeneticamente nuovi e sono
connessi, in doppio senso, con la corteccia parietale non-somestesica e con l’area
di Wernicke. Intervengono nel controllo del dolore cronico, del moto degli occhi e
dell’articolazione del linguaggio tramite l’elaborazione dei poli sensitivi.
• I nuclei non specifici si distinguono in reticolari, della linea di mezzo, ed
intralaminari.
- I reticolari ricevono da tutta la corteccia e dalla sostanza reticolare del tronco encefalico
e proiettano alla corteccia (attivazione o allarme).
- I nuclei della linea di mezzo ricevono dalla sostanza reticolare del tronco encefalico, dal
cervelletto, dal corpo striato dell’ipotalamo, e proiettano a parte della corteccia limbica.
Memoria genetica.
- I nuclei intralaminari ricevono da strutture del tronco encefalico (lemnischi e sostanza
reticolare) e proiettano ai nuclei talamici vicini.
IPOTALAMO
Si trova sotto al talamo e rappresenta la parte inferiore ed il pavimento del diencefalo, co
il chiasma ottico, il tuber cinereum che si prolunga ad imbuto nell’infundibolo (peduncolo
ipofisario) e i corpi mammillari.
E’ un insieme di nuclei che rappresentano la struttura nervosa di controllo di tutte le
attività nervose vegetative e di quasi tutte le attività chimiche (ormoni). Attraverso quest
molteplici nuclei l’ipotalamo è implicato nelle seguenti attività di regolazione:
controlla la fame ( si può avere bulimia e anoressia);
controlla la sete: l’ipotalamo detta i tempi, soprattutto per la secrezione dell’ormone
antidiuretico o ADH;
regola la temperatura corporea (è il nostro termostato) un po’ sotto ai 37° C;
controlla una serie di metabolismi (metabolismo energetico);
controlla, tramite l’ipofisi, eventi ciclici: sia il ritmo circadiano, sia cicli più lunghi come il
ciclo ovarico ( o ciclo uterino o ciclo mestruale);
l’ipotalamo, attraverso connessioni con altre strutture, regola anche alcuni aspetti di base
della personalità, ossia l’aggressività o la docilità e, quindi, ha un ruolo nel determinare le
risposte emotive istintive;
infine l’ipotalamo ha un ruolo anche nella memoria recente.
Per le risposte viscerali l’ipotalamo deve poter comunicare con i nuclei parasimpatici
craniali, con la colonna dei neuroni ortosimpatici (da C8 a L3) del m.s. e anche con il
parasimpatico sacrale.
A tal fine, l’ipotalamo si serve di due vie discendenti:
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1. il fascicolo longitudinale dorsale che percorre tutto il tronco dell’encefalo,
viaggiando sotto al pavimento del 4 ventricolo(che è il più dorsale);
2. il fascio ipotalamo spinale .
Il fascicolo longitudinale dorsale si scarica direttamente ai nuclei parasimpatici del tronco
dell’encefalo ( dal nucleo di Edinger Westphal a scendere: salivatorio sup., salivatori inf.,
nucleo dorsale del vago), oppure si collega a questi nuclei scaricandosi alla sostanza
reticolare del tronco dell’encefalo, che poi recluta tali nuclei. Tale fascicolo non controlla
soltanto i nuclei parasimpatici ma, con l’interposizione della sostanza reticolare, va a
controllare il centro cardio respiratorio e, attraverso vie reticolo spinali discendenti latera
l’attività sia dei neuroni ortosimpatici della lamina VII del m.s. sia di quelli parasimpatici
S2,S3 ed S4.
Il fascio ipotalamo spinale è un fascio che si diparte dall’ipotalamo e va a scaricarsi
direttamente all’ortosimpatico spinale e al parasimpatico spinale.
Con tali due sistemi efferenti l’ipotalamo controlla tutto il sistema nervoso vegetativo.
Esempio: se sentiamo freddo è perché il calore che dissipiamo dalla cute non è sufficiente
rispetto a quello che sarebbe necessario per compensare la temperatura esterna. Il
freddo viene sentito con i recettoti del freddo che stanno sulla cute, soprattutto sulla part
dorsale del corpo. L’informazione “freddo” va alla corteccia (via talamo) dove elabora tale
informazione come freddo.
Una quota di tale informazione, che viaggia con la via spinotalamica, si ferma alla
sostanza reticolare e arriva all’ipotalamo, il quale viene informato che sto sentendo
freddo.
L’ipotalamo, attraverso una o entrambe le vie di cui dispone, attiva l’ortosimpatico per
innescare la risposta al freddo: viene ridotto l’afflusso di sangue alla cute mediante la
vasocostrizione periferica. Inoltre si ha l’orripilazione (pelle d’oca): la contrazione del
muscolo piloerettore fa si che vengano spremute le ghiandole sebacee che si trovano fra
bulbo pilifero e muscolo, così il grasso si stratifica sopra la cute e funge da isolante
termico.
Nell’animale, quando i peli sono dritti, tra l’uno e l’altro si dispone l’aria, che è un buon
isolante. Nella nostra specie la piloerezione ha un significato di “comunicazione non
verbale”. Se vediamo una persona orripilata e non è freddo, allora pensiamo che è sotto
un’emozione particolarmente intensa (intensa risposta ortosimpatica) e se questa person
sta male, allora tale risposta ortosimpatica può essere la conseguenza o di un’emorragia
intensa, o di un infarto, o di un’edema polmonare acuto ecc. ossia ha una situazione di
emergenza.
VIA OTTICA
Se osserviamo un encefalo dal basso, la
regione che sta cranialmente rispetto al
mesencefalo, appartiene al diencefalo ed in
particolare all’ipotalamo.
Laddove finisce questa regione
dell’ipotalamo, cranialmente, vediamo
spuntare un peduncolo il quale altro non è
che parte del peduncolo ipofisario che è
stato tagliato.
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Proprio al davanti del peduncolo ipofisario abbiamo una struttura ad “H” che è una parte
della via ottica. Questa parte della via ottica viene a trovarsi alla base del telencefalo, al
davanti del peduncolo ipofisario e quindi all’altezza più o meno della sella turcica.
Dalla parte posteriore dell’occhio si diparte il nervo ottico (II nervo cranico).
L’occhio è sostanzialmente un recettore speciale: la retina è costituita, tra l’altro, di
fotorecettori sensibili alle onde elettromagnetiche di una certa lunghezza d’onda (da 400
800 nm.).
L’occhio si trova nel cavo orbitario che è una fossa piramidale, con la base in avanti e
l’apice indietro. All’apice di questo cavo orbitario abbiamo il foro ottico attraverso cui il
nervo ottico abbandona il cavo orbitario ed entra nella scatola cranica. Proprio al davanti
del peduncolo ipofisario sembra che i due nervi ottici si avvicinino così tanto tra di loro d
fondersi (barretta orizzontale dell’ “H”).
In realtà accade che una quota delle fibre del nervo ottico di dx si incrocia con una quota
delle fibre del nervo ottico di sx.
Le fibre che si incrociano provengono da una precisa regione della retina: si incrociano le
fibre che derivano dalla regione più mediale della retina. Il risultato è che abbiamo una
regione anatomica, dove avviene l’incrociamento parziale dei nervi ottici, chiamata
Chiasma dei nervi ottici. Al di là del chiasma abbiamo una struttura nervosa (una a dx e
una a sx) che è fatta per metà di fibre ipsilaterali e per metà di fibre controlaterali. Tale
struttura si chiama Tratto ottico ( di dx e di sx) perché, dal punto di vista della
composizione, abbiamo fibre ipsilaterali e controlaterali.
Le fibre del tratto ottico, per grossa parte, circondano il mesencefalo dal davanti
all’indietro, e vanno a finire al corpo genicolato laterale ( di dx e di sx), un nucleo
metatalamico che si trova ai lati del mesencefalo. Dai corpi genicolati laterali si dipartono
fibre che vanno ad un’area della corteccia occipitale che si chiama Area calcarina. Per cui
queste fibre le chiamiamo genicolo-calcarine, ma anche radiazioni ottiche o visive.
Tali fibre vanno all’area 17, che è l’area visiva primaria, dove abbiamo la percezione della
luce o degli oggetti luminosi.
Una minoranza di fibre che costituisce il tratto ottico, non va al corpo genicolato laterale,
ma si scarica direttamente o al nucleo pretettale o al collicolo superiore . Le fibre che
arrivano al nucleo pretettale vanno ad entrambi i nuclei di Edinger-Westphal: tale via ci
permette la riduzione del calibro della pupilla (riflesso parasimpatico).
Il riflesso di rotazione del capo usa, soprattutto, la via tetto spinale laterale, per andare a
scaricarsi sul centro ciliospinale ortosimpatico per il riflesso di dilatazione della pupilla.
Le fibre che si scaricano al nucleo pretettale non vengono dagli stessi fotorecettori delle
fibre che si scaricano al collicolo superiore infatti, il nucleo pretettale viene attivato quand
c’è un eccesso di luce, mentre il collicolo superiore viene attivato quando c’è un difetto d
luce.
Cerchiamo di capire il significato dell’incrociamento delle fibre del nervo ottico a livello de
chiasma.
Noi possiamo dividere ciascuna delle nostre retine (quella di dx e quella di sx) in una met
temporale, che è quella laterale che guarda verso l’osso temporale, e una metà nasale,
che è quella mediale che guarda verso il naso; avremo: retina temporale e retina nasale.
Ad incrociarsi a livello del chiasma sono le fibre nasali, ossia quelle che vengono dalla
retina nasale.
Quindi, mentre il nervo ottico è fatto di fibre temporali e nasali ipsilaterali, il tratto ottico
fatto di fibre temporali ipsilaterali e nasali controlaterali.
La retina la dobbiamo immaginare come una coppa di champagne ma un po’ più lunga in
quanto rappresenta i 5/7 di una sfera.
Le dimensioni della retina sono minori delle dimensioni dell’occhio, abbiamo infatti tutta
una serie di lenti (responsabili del potere diottrico dell’occhio, che ci permettono la messa
a fuoco), si tratta di strutture trasparenti che devono far passare la luce.
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Nel polo anteriore dell’occhio abbiamo anche la pupilla (è un diaframma che regola la luc
in entrata).
I raggi luminosi che devono colpire la retina devono passare attraverso la pupilla. La luce
che passa per la pupilla (luce riflessa da un certo oggetto) va a colpire una certa regione
della retina.
Se l’oggetto si trova davanti al naso il raggio di luce riflessa va a colpire la Retina
temporale mentre se un oggetto si trova esternamente la luce riflessa dallo stesso
colpisce la Retina nasale.
Allora la retina temporale ci serve per vedere gli oggetti davanti al naso e la retina nasale
per vedere gli oggetti all’esterno.
Se metto l’oggetto all’estremo del campo visivo di dx sarà colpito l’estremo anteriore del
retina nasale di dx mentre, spostando l’oggetto via via più medialmente, saranno colpiti
punti della retina nasale sempre più vicini al polo posteriore dell’occhio.
Se metto un oggetto davanti al naso lo vedo con la retina temporale di entrambi gli occhi
Ricapitolando quindi un oggetto posto nel campo visivo centrale (di 110-120 gradi) viene
visto da entrambe le retine temporali mentre nei campi visivi di dx e di sx un oggetto è
visto da ogni singola retina nasale (quella di dx a dx e quella di sx a sx).
Il risultato è che la possibilità di vedere un oggetto posto nel campo visivo anteriore con
entrambe le retine temporali, mi permette una visione stereoscopica, ossia mi permette d
vedere in tre dimensioni e quindi di calcolare se un soggetto o un oggetto è più vicino a
me di un altro.
La visione stereoscopica è tipica degli animali predatori, mentre gli animali preda non
hanno la visione stereoscopica ma hanno un campo visivo molto più ampio.
C’è una piccolissima regione della retina, che coincide con il polo geometrico posteriore
dell’occhio (che è quindi in asse rispetto al foro pupillare), detta fovea centralis, in cui la
retina, in particolare quella temporale, ha una prevalenza di un tipo particolare di recetto
luminosi che sono i coni, da cui dipende la nostra acuità visiva, la nostra capacità di
vedere i colori e che noi usiamo quando c’è luce. Tutto il resto della retina temporale e
nasale è caratterizzato, per la maggioranza, dalla presenza dei bastoncelli, che noi
utilizziamo per la visione crepuscolare. Questi sono molto più numerosi dei coni.
Ora capiamo perché passiamo la vita a girare il collo e gli occhi: dobbiamo fare in modo
che l’oggetto che ci interessa vedere cada nella fovea centrale degli occhi. La fovea
centrale della macula lutea (cioè fossa centrale della macchia gialla) è la regione dove
abbiamo la massima concentrazione dei coni che ci permettono la visione diurna, la
visione dettagliata e la visione dei colori.
Abbiamo visto come la retina temporale mantiene le sue fibre ipsilaterali mentre la retina
nasale incrocia le sue fibre.
Così il tratto ottico di dx porterà temporali di dx e nasali di sx e il tratto ottico di sx
l’opposto.
Quando l’immagine arriva a stamparsi alla corteccia allora, alla corteccia di dx arrivano
immagini che stavano nell’emicampo visivo di sx (campo temporale di dx e nasale di sx).
Viceversa, le immagini dell’emicampo di dx si stampano sulla corteccia di sx.
Il cervello di dx vede il campo visivo di sx e viceversa.
L’informazione va alla corteccia occipitale che è percorsa dalla scissura calcarina. L’area
visiva primaria (la 17) viene a trovarsi immediatamente sotto e sopra la scissura calcarina
A sandwich rispetto all’area 17 abbiamo l’area 18 o area visiva secondaria. Poi abbiamo
un’altra area visiva l’area 19 ancora a sandwich. Per cui, partendo dalla scissura
calcarina, avremo sopra 17-18-19 e sotto 17-18-19.
Mentre l’area 17 è l’area visiva primaria, le aree 18 e 19 sono aree visive secondarie,
dove noi interpretiamo ciò che vediamo in base all’esperienza.
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RIFLESSI CORTICALI
I riflessi di miosi (max costrizione) e di midriasi (max dilatazione) della pupilla sono rifless
vegetativi che noi non possiamo arrestare.
Mentre il collicolo superiore è sede di riflesso visivo vegetativo (dilatazione della pupilla),
non è il centro di riflesso motorio di rotazione del capo. Infatti la sede di tale riflesso è
l’area 17 della corteccia. Però esistono fibre dell’area 17 (ma anche della 18 e della 19),
fibre cortico tettali, le quali vanno a regolare le attività di scarica dei neuroni del collicolo
superiore(così anche di quelli del collicolo inferiore) ai fini della rotazione del capo. Quest
è importante nell’esame obbiettivo di un soggetto obnubilato nel quale, se non risponde a
stimoli visivi quali lo spostamento di un dito, significa che c’è un danno corticale:
l’informazione non arriva alla corteccia.
Sempre sulla corteccia è centrato un altro riflesso, apparentemente vegetativo, che ci
permette di adattare gli occhi alla visione da vicino.
Abbiamo già detto che, a livello del polo anteriore dell’occhio, esiste una lente naturale
biconvessa, il cristallino, i cui fuochi tendono ad avvicinarsi se aumentiamo la convessità
della lente: una lente più biconvessa diventa più convergente. Il tutto serve a far arrivare
sulla retina un’ immagine puntiforme. Quello che si sposta è il fuoco anteriore. Allora per
poter vedere un oggetto vicino rispetto a prima, considerando che, naturalmente, l’occhio
è adattato alla visione da lontano, con il cristallino sempre biconvesso, non avendo il
minimo spessore, devo aumentare la convessità del cristallino. Questo è la conseguenza
della contrazione del muscolo ciliare, il quale fa collassare l’equatore del cristallino,
aumenta il diametro antero-posteriore e quindi la convessità, soprattutto quella anteriore
Questo dipende dal nucleo di Edinger-Westphal. Noi adattiamo l’occhio alla visione da
vicino quando vogliamo vedere qualcosa da vicino. Questo è sì un riflesso, ma è un
riflesso complesso, in quanto dobbiamo aumentare la biconvessità del cristallino, ma
dobbiamo anche convergere gli occhi (altrimenti vedo un’immagine sdoppiata).
Questo succede grazie ai muscoli scheletrici, per esempio i retti interni, i quali ovviament
non dipendono da Edinger-Westphal ma dal nucleo motore del III, il quale non è reclutato
da fibre del tratto ottico, ma dalla corteccia: in parte corteccia visiva e in parte corteccia
frontale. Allora, mentre io convergo gli occhi (riflesso centrato a livello della corteccia), la
solita area 17, scaricandosi con fibre cortico-tettali sia al nucleo pretettale, sia al collicolo
superiore, riesce a modulare e scatenare il riflesso di accomodazione (far allungare il
diametro antero-posteriore del cristallino). Dobbiamo anche tener conto che, ogni
qualvolta adattiamo la visione da vicino, dobbiamo ridurre la quantità di luce e quindi il
diametro della pupilla, questo perché quello che noi vediamo è luce riflessa e l’intensità d
un fascio di luce costante diminuisce via via che ci allontaniamo dalla fonte secondo il
quadrato della distanza essendo questo un cono. Se l’oggetto si avvicina, la luce riflessa
dall’oggetto che colpisce le mie retine e che entra nel foro pupillare, risulta aumentata, p
cui devo ridurre il calibro della pupilla per non rimanere abbagliato.
Quindi, ogni volta che guardiamo un oggetto da vicino, accadono 3 cose:
1. convergenza dei globi oculari(dipende dalla corteccia);
2. aumento del diametro antero-posteriore del cristallino (dipende dalla corteccia);
3. riduzione del calibro della pupilla (involontario).
Quest’ultimo è assolutamente indipendente dalla volontà essendo solo una questione di
luce mentre gli altri due dipendono dalla corteccia (è il centro di questi riflessi), in
particolare la corteccia visiva.
Tale corteccia va poi a reclutare il collicolo superiore attraverso vie cortico-tettali oppure,
tramite vie cortico-corticali, l’informazione passa dall’area visiva alla corteccia frontale, in
un’area che si chiama 8, la quale poi si occuperà di determinare la vera e propria
convergenza.
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AREE ASSOCIATIVE
Nella nostra specie meno del 50% della superficie corticale è dedicata alle aree
cosiddette primarie e secondarie (sensitive , uditive, visive e motorie).
Questo vuol dire che la più grossa parte della corteccia cerebrale apparentemente non ha
nulla a che fare con aree primarie e secondarie. Essa nell’insieme costituisce le cortecce
associative le quali, dal punto di vista anatomico, hanno questa caratteristica: nulla
ricevono direttamente dalla periferia e nulla mandano direttamente a centri gerarchici pi
bassi.
Sono tre:
1. corteccia associativa sensitiva;
2. corteccia associativa prefrontale;
3. corteccia associativa limbica.
La corteccia associativa sensitiva, in qualche modo, mette insieme le informazioni
sensitive di varia natura, per esempio mette insieme le informazioni somestesiche con
quelle uditive e visive. Noi elaboriamo le informazioni somestesiche nel lobo parietale,
quelle visive nell’occipitale e quelle uditive nel temporale, ossia in un’ampia regione che
possiamo considerare tutt’intorno alla scissura di Silvio. Succede che tutte queste
informazioni, riempite di significato (dalle aree secondarie), vanno a scaricarsi e
convergere in un’ampia regione, rappresentata dalle aree 22, 39, e 40, che costituiscono
l’area associativa sensitiva.
Questa serve a mettere insieme tutte le informazioni sensitive allo scopo di creare
memoria del significato di un oggetto. Ad esempio, se dico tavolo, ho memoria di un
oggetto con un piano, con quattro gambe sul quale si mangia ecc. e la parola tavolo mi
richiama l’immagine di questo oggetto. Sia a sx sia a dx nei due emisferi avviene la
convergenza delle informazioni in quest’area (area associativa sensitiva) ma con due
significati diversi a seconda che siano a sx o a dx. La quasi totalità dei destrimani hanno
come cervello predominante quello a sx e così anche il 70-80% dei mancini, mentre circa
il 20% dei mancini ha come emisfero dominante quello dx (piccola percentuale della
popolazione). Si chiama dominante l’emisfero che è implicato nella strutturazione del
linguaggio interno ed esterno. L’ampia area associativa dell’emisfero dominante è
indispensabile affinchè si crei e si conservi la memoria del significato delle parole che
rappresenta il linguaggio interno. Se distruggiamo l’area 22 a sx il soggetto non capirà più
il linguaggio parlato nella sua lingua, ma sarà in grado di parlare. Quello che però dirà no
avrà nulla a che fare con ciò che avrà detto l’interlocutore. Tenderà a parlare tanto, ossia
sarà logorroico, ma lo farà con una costruzione sintattica strana. Questa si chiama
sindrome di Wernicke o afasia sensitiva. Wernicke era un giovane studioso (23 anni) che
scoprì che tale sindrome dipendeva dalla distruzione dell’area 22 che è stata chiamata
area di Wernicke. Via via che si struttura il linguaggio interno (memoria del significato
delle parole), l’informazione viene trasferita, attraverso una via che si chiama Fascicolo
arcuato, dall’area di Wernicke al lobo frontale, a livello delle aree 42 e 43, che si trovano
davanti all’area 4, molto vicino a dove abbiamo la rappresentazione somatotopica della
lingua e del laringe. Queste due aree, nell’insieme, prendono il nome di Area di Broca.
Una lesione di quest’area provoca una sindrome chiamata afasia motoria (o espressiva):
soggeto capisce il linguaggio ma non riesce ad articolarlo (si eprime con monosillabi,
tende a spezzare le parole, non riesce a mettere insieme parole di senso compiuto, tende
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ad usare verbi all’infinito). Che cosa accade se la lesione è nei posti corrispondenti a dx d
un individuo con emisfero dominante di sx?
Se ho una lesione alla corrispondente area di Wernicke a dx non percepisco la musicalità
nella voce del mio interlocutore(ossia la prosodia). Se ho una lesione alla corrispondente
area di Broca a dx sono io a non avere più musicalità nella voce, ossia sono aprosodico e
quindi parlerò con voce monotonale, fredda, che non esprime sentimento.
Area prefrontale: filogeneticamente è la parte più nuova di tutta la corteccia cerebrale.
Essa si trova proprio al polo frontale ed è un’ampia regione al davanti della corteccia
premotoria tendente ad inglobare l’area di Broca. Tale corteccia comprende le aree 9, 10
e 11 ed è quella che noi utilizziamo per le attività cognitive in senso lato: per la
conoscenza, per l’analisi della realtà, per la formulazione del giudizio, e quindi per la
scelta. Per fare tutto ciò devono arrivare alla corteccia prefrontale non soltanto una
marea di informazioni somestesiche, visive, uditive già elaborate, ma anche informazioni
da parte della corteccia associativa sensitiva e della corteccia associativa limbica. La
corteccia associativa limbica è quella parte di corteccia responsabile dei nostri
comportamenti emotivi non istintivi (ossia ragionati). La serie di informazioni provenienti
dalla periferia vengono riempite di significato, vengono trasferite alla corteccia associativ
sensitiva, ma anche direttamente alla corteccia associativa prefrontale e libica, le quali
comunicano tra di loro. Alla fine è la corteccia associativa prefrontale quella da cui uscirà
l’output, l’uscita dell’informazione, che ci permetterà di programmare ed eseguire una
serie di movimenti che ci permettono di dimostrare i nostri sentimenti.
SISTEMA LIMBICO
Il flusso di informazioni entra attraverso i recettori di sensibilità speciali e non speciali, va
a finire alle aree sensitive primarie che passano per competenza l’informazione alle aree
secondarie che le riempiono di significato. Si può vedere come esiste una comunicazione
tra aree secondarie e la corteccia premotrice (area 6) per dare origine a delle risposte ch
però sono grossolane ed in genere stereotipe. Se vogliamo affinare la risposta sulla base
dell’esame della realtà, è indispensabile che l’informazione, dalle aree secondarie, vada a
finire a tutte e tre le corteccie associative, le quali comunicano tutte tra di loro. Alla fine,
comunque, l’informazione deve andare a finire alla corteccia prefrontale, da cui parte
sempre l’ordine finale di
risposta motoria. Non c’è
risposta motoria motivata se
l’informazione non arriva
alla corteccia prefrontale
che è quella che,
fondamentalmente, decide
come, quando e perché
reclutare la corteccia
motrice in senso lato (area 4
e area 6).
Tutt’intorno al corpo calloso,
a livello della corteccia
frontale, parietale, occipitale
e temporale, e tutt’intorno al
diencefalo, a disegnare una
specie di “C”, abbiamo
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corteccia cerebrale che nell’insieme è corteccia del sistema limbico. Limbico è un termine
che viene dal latino limbus e significa cintura, limite circolare di una città.
Questa corteccia è una parte piuttosto primitiva, ossia ce l’hanno tutti, ed è
particolarmente sviluppata negli animali più bassi della scala zoologica, negli animali
cosiddetti “macrosmatici”, ossia dotati di un apparato olfattorio molto sviluppato. In parte
questa corteccia è più nuova, specialmente la regione frontale. A questa corteccia,
specialmente all’estremo frontale rivolto verso il temporale, va a finire il I nervo cranico
(l’olfattorio) e questa è un’eccezione alla regola che vuole che nulla arrivi alla corteccia
senza essere prima passato per il talamo.
In qualche modo, il nervo olfattorio con il bulbo olfattorio, chiude una specie di circuito (la
“C” formata dalla corteccia limbica) e va a scaricare in prossimità della parte
filogeneticamente più nuova della corteccia limbica, ma anche a strutture del lobo
temporale. Oltre che la corteccia, il sistema limbico possiede anche alcuni nuclei
sottocorticali.
La corteccia limbica ci serve per attuare comportamenti emotivi istintivi e per capire la
situazione di pericolo.
Negli animali quali il gatto, il bulbo olfattorio è in proporzione più grosso di tutta la
corteccia libica; nel gatto è in proporzione maggiore che nella nostra specie.
Questo ha un senso perché tali animali basano tutta la loro vita di relazione sull’olfatto.
Nella nostra specie, invece, l’olfatto ha un minor significato perché noi ci siamo evoluti e
abbiamo costruito altra corteccia, la quale non ha soppiantato la corteccia limbica, ma ha
aggiunto qualcosa che ci permette il discernimento, l’esame della realtà, il giudizio e la
scelta. Questo è un comportamento superiore: questo lo posso fare e questo no, questo
non lo devo fare ecc.
Noi abbiamo anche il sistema limbico che un po’ ci serve, tramite l’olfatto, per riconoscer
gli odori avversi ( quelli che ci spingono ad allontanarci) ma anche i profumi che ci
attraggono.
Non è quindi un caso che il nervo olfattorio vada direttamente alla corteccia frontale
(entorinale) per ridurre ritardi sinaptici, ma anche per evitare modificazioni
dell’informazione a livello del talamo, perché l’informazione deve essere processata
immediatamente. Arriva altrettanto rapidamente alla corteccia temporale perché in tale
corteccia è depositata la memoria genetica (per grossa parte) e anche la memoria
dichiarativa o esplicita che si riferisce alla memoria dei fatti o degli eventi.
Questa parte di corteccia temporale è la circonvoluzione dell’ippocampo che è corteccia
temporale piuttosto in superficie, o circonvoluzione paraippocampica
più l’ippocampo, il
quale è sempre un pezzo di corteccia temporale, verso la faccia mediale del lobo, ma che
è tutta pieghettata ( a mo’ di soffietto di mantice di fisarmonica) a sembrare un nucleo
sottocorticale.
L’ippocampo è il luogo anatomico dove è depositata la memoria genetica, ma anche
quella recente dichiarativa. Senza ippocampo non abbiamo o abbiamo ridotta memoria
istintuale e soprattutto non abbiamo memoria recente. Questo è quello che succede via
via che invecchiamo: si perde la memoria recente, prima la memoria del tempo e poi
anche la memoria spaziale per cui, ad esempio, se esco non riesco a ritrovare la starda d
casa. Ho invece memoria di ricordi antichi in quanto la memoria di fatti e eventi del
passato non si trova nell’ippocampo ma nella corteccia prefrontale.
Se non c’è memoria non possono esserci nemmeno sentimenti, quanto meno i sentiment
strutturati.
Le strutture sottocorticali che fanno parte del sistema limbico si possono osservare
seguendo le fibre che si dipartono dall’ippocampo. Nell’ippocampo abbiamo neuroni i cui
assoni vanno indietro, in alto e poi girano intorno al talamo e vanno a finire in un nucleo
dell’ipotalamo chiamato corpo mammillare
. La massa di fibre che dall’ippocampo vanno al
corpo mammillare prende il nome di fornice (il quale passa a ponte intorno al
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talamo):abbiamo la gamba del fornice, il corpo del fornice e, davanti al talamo, la colonna
del fornice che va a finire al corpo mammillare. I corpi mammillari sono una coppia di
strutture mammellonate poste dietro al chiasma ottico. I due fornici sono paralleli l’uno
all’altro.
In aggiunta abbiamo un altro nucleo sottocorticale che appartiene al sistema limbico, che
sta davanti alla testa dell’ippocampo ( a mo’ di cappello) e che si chiama amigdala. Le
due amigdale (di dx e sx) si trovano nel lobo temporale verso il polo anteriore e sono tra
loro interconnesse (commessura anteriore). Amigdala deriva dal greco e significa
mandorla.
L’amigdala riceve direttamente informazioni olfattorie ma anche, in qualche modo,
informazioni visive ed uditive. Inoltre era noto da tempo il suo fondamentale ruolo nel
complesso generale delle risposte emozionali, ma la conferma definitiva si è avuta sei o
sette anni fa allorché, ad un gruppo di ricercatori americani, è capitato di poter osservare
una donna con una lesione bilaterale dell’amigdala. Questa donna aveva problemi
apparentemente di personalità (sembrava apatica), ma in realtà era incapace di
riconoscere l’espressione di paura sul volto di un interlocutore. Da qui l’ipotesi
dell’importanza dell’amigdala per l’analisi fine dell’espressione del volto che indica
espressione di paura. Riconoscere tale espressione è importante ai fini del mantenimento
della nostra incolumità.
Tornando al corpo mammillare, questo è un nucleo ipotalamico e, quindi, questo spiega
perché, al ricordo di un certo evento abbiamo una variazione dell’attività dei visceri. Infat
anche dal corpo mammillare si dipartono il fascio ipotalamo-spinale oppure il fascicolo
longitudinale dorsale che va a reclutare i nuclei, in parte parasimpatici e in parte
ortosimpatici, per dare le risposte vegetative. Inoltre è sempre ipotalamo quello che rego
l’attività ipofisaria, con tutto quello che ne consegue. Proprio nell’ipotalamo troviamo
quello che è il vero mediatore tra gli eventi che stanno avvenendo ( ossia la realtà che ci
circonda) e l’attività dei nostri visceri, ovviamente con l’interposizione di strutture cortica
o sottocorticali. Lo schema che segue rappresenta la circuiteria anatomica che sta alla
base di quello che abbiamo detto.
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Prima analizziamo il circuito caratterizzato dalle frecce doppie: si chiama circuito di Papez
(leggi Papès). Tale ricercatore messicano, intorno al 1937, formulò l’ipotesi che l’attività
del sistema limbico (questo nome si deve a lui) fosse dovuta ad una sorta di circuito
chiuso della seguente natura: da circonvoluzione pericallosa all’ippocampo, il quale
trasmette al corpo mammillare il quale, oltre che a scaricare all’ipotalamo, scarica anche
ai nuclei talamici anteriori, i quali proiettano a livello del giro del cingolo; abbiamo quindi
un circuito chiuso nel quale gira l’informazione e questo serve per consolidare la memoria
che si riferisce ai fatti e agli eventi.
In realtà però, tale circuito è ampliato in quanto il giro del cingolo è reclutato dalle varie
corteccie associative le quali scaricano alla circonvoluzione pericallosa e quindi innescano
tale processo, ma, dalla circonvoluzione pericallosa, l’informazione torna alla corteccia
associativa, soprattutto alla corteccia prefrontale ed in più, l’informazione che tramite
l’ippocampo è arrivata all’ipotalamo, viene proiettata alla corteccia prefrontale, che è
quella che ci permette il giudizio. Allora, intorno al circuito di Papez, vi è un circuito più
grande che vede l’intervento delle corteccie associative e di altre strutture sottocorticali
che riproiettano alla corteccia prefrontale, da cui si diparte tutta la risposta motoria
ragionata.
A questo punto possiamo concludere affibiando ai due emisferi cerebrali attività comuni e
attività differenziate sulla base di ciò che è stato detto, ossia nel caso che l’emisfero
dominante sia quello di sx.
Sono comuni le attività visive, le attività uditive e l’orientamento spaziale, anche se c’è
una prevalenza del ruolo dell’emisfero di dx nel caso della stereoagnosia (orientamento
spaziale): io conosco me ed il mondo come strutture tridimensionali e riesco a collocare
gli oggetti ciascuno nel proprio spazio. Anche l’autoconsapevolezza è un’attività di
entrambi gli emisferi.
In generale possiamo dire che l’emisfero di sx è analizzatore-catalogatore, mentre quello
di dx è ordinatore, in quanto mette ordine occupandosi dello spazio. Per capire basta
pensare che una lesione della corteccia parietale a dx produce una sindrome detta
stereoagnosia. Io non ho più la percezione della tridimensionalità dello spazio e di me
stesso, per cui trascurerò tutto il mio emisoma di sx ma anche lo spazio che ho davanti a
sx.
SISTEMA LIQUORORIALE
Abbiamo detto come il midollo spinale non è a contatto con la teca ossea in quanto ci
sono tre membrane concentriche che sono le meningi: la dura, applicata al periostio della
parete, l’aracnoide, aderente alla dura e la pia, adesa al midollo spinale ed in mezzo lo
spazio subarocnoideo che contiene il liquor.
Tutto questo si ripropone tale e uguale nel neurocranio dove il liquor svolge la solita
funzione di ammortizzatore idraulico. Dobbiamo ora spiegare:
1. chi produce il liquor;
2. in quale direzione va il liquor;
3. dove va a finire il liquor e da dove esce, in modo da non far aumentare la pressione
endocranica.
Per poter rispondere alla prima domanda dobbiamo prima dire che l’acquedotto di Silvio a
sua volta si apre in un altro ventricolo, il III ventricolo che è a losanga, la quale è posta tra
i due talami, sopra all’ipotalamo (quindi nel diencefalo).
Dal III ventricolo si passa attraverso un forellino , il forame di Monrò, uno a dx e uno a
sx, in un’enorme cavità ventricolare che, in qualche modo, segue il disegno dell’emisfero
cerebrale (ossia ha la forma di una “C”). Questa cavità è detta ventricolo laterale (di dx e
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di sx). Questi ventricoli laterali presentano un corno anteriore o frontale, un corno
posteriore o occipitale ed un corno inferiore o temporale. I tre corni stanno su tre piani
diversi.
Dal velo midollare posteriore o inferiore, pendono dentro al IV ventricolo delle formazioni
di cellule gliali specializzate dette cellule ependimali, che rappresentano il rivestimento d
una specie di villi, i cui assi sono fatti di capillari, che vengono chiamati plessi corioidei. L
cellule ependimeli che rivestono tali plessi hanno la capacità di secernere liquor nella
cavità del IV ventricolo. Le stesse formazioni le troviamo anche a livello del tetto del III
ventricolo e anche lungo il margine concavo interno dei ventricoli laterali.
Se tale liquor venisse solo prodotto, alla fine si accumulerebbe in queste cavità fino a
determinare l’idrocefalo (= cervello con l’acqua), il quale tende a schiacciare in maniera
centrifuga il cervello alla parete ossea con grandissimi problemi neurologici.
In realtà il liquido che viene prodotto dai ventricoli laterali e dal III ventricolo e che poi,
tramite l’acquedotto di Silvio, va al IV ventricolo (dove viene anche prodotto) ha anche il
canale ependimale, dove però circola poco; fuoriesce attraverso un sistema di fori di cui
due pari e laterali, i due forami di Luschka, e uno impari, a livello del velo midollare
inferiore, il forame di Magendie ( leggi maghenti).
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Da questi fori il liquido esce, più o meno, con la stessa velocità con cui viene prodotto (in
verità segue un andamento sinusoidale, come la glicemia tra un minimo ed un massimo)
e va a finire nello spazio subaracnoideo dove causerebbe un aumento di pressione e
quindi una compressione centripeta dell'encefalo (che poi è quello che succede
nell'emorragie subaracnoidee). Questo però non accade perché, a livello un po’ parietale
un po’ frontale abbiamo, proprio in prossimità della linea di mezzo, che le meningi dura
ed aracnoide sono evaginate in una serie di formazioni tipo "villo" chiamate
GRANULAZIONI ARACNOIDEE DI PACCHINI. Qui tali meningi pescano in un grosso
vaso venoso che percorre le meningi dal frontale all'occipitale e che si chiama SENO
SAGITTALE SUPERIORE. Il risultato è che il liquor che è stato formato grazie al plasma,
ritorna nel plasma. Con tale sistema regoliamo un flusso di acqua (liquor), manteniamo
costante la pressione e otteniamo il cuscinetto idraulico. Questo sistema ha dei punti
deboli:
• possibile ostruzione dell'acquedotto di Silvio: idrocefalo;
• possibile ostruzione dei forami di Magenti o di Luska: idrocefalo;
• se aumenta la pressione all'interno dello spazio subaracnoideo si ha il problema
inverso, ossia il collassamento centripeto, con compromissione ancora più veloce
della vita.
IRRORAZIONE SANGUIGNA DEL NEUROCRANIO (ARTERIOSA)
Il SNC endocranico è irrorato da 2 coppie di vasi principali: una coppia anteriore che sono
le 2 CAROTIDI INTERNE ed una coppia posteriore che sono le 2 ARTERIE
VERTEBRALI che, a loro volta, sono rami dell'arteria succlavia.
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L'art. carotide interna, dal punto della biforcazione, sale su senza dare rami nel collo e
attraversa la base del cranio passando in un canale tortuoso, scavato nella rocca petrosa
dell'osso temporale, diretto in avanti e medialmente, detto FORO LACERO (o CANALE
CAROTICO).
Una volta all'interno della scatola cranica (ai lati del corpo dello sfenoide) dà origine ad
una serie di vasi.
L'ART. VERTEBRALE, invece, nasce dall'arteria succlavia, sale su (senza dare vasi nel
collo) percorrendo i primi sei fori trasversi delle vertebre cervicali ed arriva al gran foram
occipitale, gira indietro medialmente e passa dentro al gran forame occipitale, ponendosi
davanti al bulbo. Il circolo posteriore si anastomizza con il circolo anteriore a destra e a
sinistra in un modo del tutto particolare.
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L'ART. CAROTIDE INTERNA, appena entrata nel neurocranio, dà origine ad un vaso
piccolo ma molto importante, ART. OFTALMICA, la quale entra nel cavo orbitario
insieme al nervo ottico e si occupa di irrorare tutto ciò che sta dentro a tale cavo,
compreso l'occhio. Essa non partecipa all'irrorazione dell'encefalo.
L' ART. CEREBRALE ANT. converge con quella controlaterale verso la linea di mezzo,
tanto che le 2 arterie si scambiano un vaso, detto ART. COMUNICANTE ANT., che le
mette in comunicazione. Così, davanti al chiasma, ho 2 vasi molti vicini che si scambiano
un vaso; successivamente queste arterie vanno verso l'alto ed in avanti, quasi a
circondare il corpo calloso (e quindi girano indietro) in maniera incompleta.
L' ART. CEREBRALE MEDIA, più grossa dell'anteriore, si dirige lateralmente ed in alto
per andare ad impegnarsi nella scissura del Silvio.
Le 2 arterie vertebrali si dispongono al davanti delle piramidi bulbari e, appena sono
entrare nel cranio, ciascuna dà origine ad una arteria CEREBELLARE INFERIORE
POSTERIORE (irrora la metà posteriore della metà inferiore del cervelletto). L'acronimo è
PICA.
Le arterie vertebrali di destra e di sinistra si scambiano un ramo e convergono (questa
nell'arterie è un'eccezione) per fare un unico vaso. Si forma un unica arteria che scende
al davanti del bulbo ma anche del midollo spinale e che si chiama ART. SPINALE
ANTERIORE. Dalle art. vertebrali originano anche 2 art. spinali posteriori le quali, però,
non convergono ma rimangono ai lati e, separatamente, scendono, così che il midollo
spinale si trova dentro un tripode costituito da una art. spinale anteriore e 2 art. spinali
laterali o post.
Fatta questa separazione le 2 art. vertebrali convergono a formare un unico vaso
arterioso detto ART. BASILARE (seconda eccezione). L'art. basilare è un grosso vaso
che percorre tutto il solco basilare dal ponte fino alla fossa interpeduncolare. Durante
questo tragitto dà origine ad una serie di vasi:
• la prima coppia di vasi che viene fuori dall'art. basilare è l'AICA, ossia ARTERIA
CEREBELLARE INFERIORE ANTERIORE, la quale irrora la metà anteriore della
metà inferiore del rispettivo cervelletto di destra o di sinistra.
• Poi dà origine ad una coppia di vasi che troviamo proprio all'altezza del solco bulbo
pontino, le ART. UDITIVE INTERNE (di destra e di sinistra). Queste entrano
insieme ai nervi settimo ed ottavo, in un condotto scavato nella rocca petrosa del
temporale per irrorare l'orecchio interno ed annessi.
• Poi, lungo la faccia ventrale del ponte, l'art. basilare dà un certo numero di RAMI
PONTINI (sei o sette) che hanno il compito di irrorare il ponte.
• All'estremo superiore del ponte, l'art. basilare dà origine alle 2 ART.
CEREBELLARI SUPERIORI (a dx e a sn) le quali irrorano la metà superiore del
cervelletto ipsilaterale. Quindi il cervelletto riceve TRE COPPIE DI ARTERIE (tre a
dx e tre a sin) ma, siccome la parte più grossa del cervelletto è quella inferiore,
allora ques'ultima riceve 2 coppie di arterie che sono la PICA e l'AICA. Queste sei
art. vengono dalla basilare che è ventrale e devono abbracciare, dal davanti
all'indietro, il tronco dell'encefalo ed andare a finire al cervelletto.
• Infine l'art. basilare, sulla fossa interpenduncolare, si divide in 2 rami terminali: le 2
ART. CEREBRALI POST., anche queste abbracciano il mesencefalo andando da
davanti a dietro verso il lobo occipitale.
Dall'art. carotide interna origina anche un vaso (uno a dx ed uno a sn) molto corto che va
a finire all'art. cerebrale posteriore: ART. COMUNICANTE POSTERIORE.
→ L’ARTERIA CEREBRALE ANTERIORE irrora la faccia mediale del lobo frontale e del
lobo parietale, irrora la corteccia ed anche un po’ di capsula estrema, sempre dal lato
mediale.
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→ L’ARTERIA CEREBRALE POSTERIORE irrora tutta la faccia mediale del lobo
temporale ma anche il lobo occipitale sia la faccia mediale, sia la faccia inferiore, sia la
faccia laterale, ossia tutto il lobo occipitale. Essa irrora sia la corteccia che la sostanza
bianca sottocorticale che, nell’occipitale, è rappresentata dalla parte retrolenticolare della
capsula interna (nucleo subtalamico).
→ L’ARTERIA CEREBRALE MEDIA irrora tutta la corteccia frontale, parietale e temporale
laterale. E’ il vaso più grande che abbiamo, il quale ha un amplissimo territorio di
distribuzione, anche con strutture sottocorticali. Tali strutture sottocorticali comprendono
quasi tutti i nuclei della base ad eccezione del nucleo subtalamico (che è irrorato dalla
cerebrale posteriore).
→ Il RAMO COMUNICANTE POSTERIORE raccorda il circolo anteriore con quello
posteriore.
Quindi, tutt’intorno al chiasma dei nervi ottici e al peduncolo ipofisario (ossia nella region
della faccia ventrale dell'’potalamo), abbiamo un circolo arterioso che si chiama
POLIGONO DI WILLIS il quale è costituito da 7 lati: i due lati posteriori sono le due art.
cerebrali posteriori, i due lati laterali sono le due art. comunicanti posteriori, i due lati
anteriori sono le due art. cerebrali anteriori e l’unico lato separato è il ramo comunicante
anteriore. Il poligono di Willis è molto importante per due ordini di motivi: il primo di natu
funzionale. Infatti, grazie al poligono di Willis, i circoli anteriore e posteriore sono
anastomizzati e il circolo di dx è anastomizzato con quello di sx. Però tale circolo non
corrisponde ad una anastomosi a pieno canale e questo perché il calibro dei rami
comunicanti è troppo piccolo, rispetto al calibro degli altri, per poter sostenere un grosso
afflusso di sangue in caso di ostruzione di uno dei vasi che fanno capo al circolo
anastomotico.
I vasi comunicanti hanno il compito di equilibrare le pressioni (dx e sx e avanti e dietro);
comunque un qualche compenso di circolo, soprattutto avanti e dietro, i rami possono
darlo. Se chiudiamo per un po’ di minuti un’art. carotide interna per togliere una placca,
vediamo che non c’è ischemia cerebrale per cui, per un po’, tale circolo anastomotico
riesce a compensare.
Una menzione a parte merita un piccolo vaso che nasce dall’art. cerebrale media o dalla
carotide interna, l’ARTERIA CORIOIDEA ANTERIORE, la quale irrora il braccio posteriore
della capsula interna e tutto il nucleo lenticolare. Tale arteria è particolarmente importan
perché è l’arteria che, statisticamente parlando, più frequentemente si occlude mettendo
K.O. il braccio posteriore della capsula interna ( causando sia paralisi motoria che
sensitiva controlaterale, perché nel braccio posteriore passano tutte le vie discendenti di
moto e le radiazioni talamiche posteriori che portano alla corteccia somestesica tutte le
informazioni esterocettive e propriocettive coscienti ).
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CIRCOLO VENOSO
Nel S.N.C. abbiamo tutta una
serie di vasi venosi profondi
che, però, convergono prima
in particolari canali venosi
della dura madre (seni della
dura madre), quindi nelle vene
del collo, nelle vene della
faccia e nelle vene del canale
vertebrale .
Le meningi della linea di
mezzo, danno origine ad una
dipendenza la quale scende
verticalmente, dipendenza
che, vista dall’alto, somiglia
molto alla lama di una falce.
Questa dipendenza si chiama
falx cerebri (falce del cervello)
ed è una dipendenza delle meningi , ovviamente della Dura e della Aracnoide. Essa va
dalla regione frontale all’occipitale e si colloca nella scissura intraemisferica e, quindi,
separa l’emisfero cerebrale di dx da quello di sx, tranne che a livello del corpo calloso.
Tale falce presenta un lato convesso e un lato concavo, ma lungo il lato concavo si
interrompe perché c’è il corpo calloso.
Inoltre, nella regione occipitale, la falx cerebri forma una tenda canadese detta
TENTORIO DEL CERVELLETTO. Quindi il lobo occipitale poggia sul tentorio del
cervelletto e tutte le strutture vascolari sopra il tentorio si chiamano SOPRATENTORIALI.
Così l’arteria cerebrale posteriore è sopratentoriale, mentre le arterie cerebellari superio
che sono vicinissime, sono sottotentoriali.
Il margine superiore convesso della falx cerebri è percorso, proprio lungo la linea di
mezzo, da un grosso vaso venoso che va dall’inizio quasi della falce alla fine. Questo
vaso venoso è detto SENO SAGITTALE SUPERIORE.
Analogamente , lungo il margine concavo della falx, abbiamo un SENO SAGITTALE
INFERIORE. Al suo estremo posteriore, il seno sagittale inferiore si continua percorrendo
lo spartiacque del tentorio del cervelletto e in tal tratto si chiama SENO RETTO, perché è
dritto indietro e va a finire dove finisce il seno sagittale superiore, così che i due seni
sagittali convergono.
A questo punto succede che, a dx e a sx, il seno venoso si continua con un seno laterale,
il SENO TRASVERSO, che descrive un semicerchio con la concavità anteriore, e si dirige
in avanti e lateralmente e poi, dopo aver fatto una specie di “S” ( in tale parte si chiama
seno sigma), esce dal cranio dal foro giugulare, per diventare vena giugulare interna, la
quale non è altro che la continuazione extracranica del seno sigma (o sigmoideo).
Così ogni vena giugulare interna riceve grossissima parte del sangue refluo dal contenuto
del neurocranio.
Oltre questi abbiamo altri seni venosi.
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