Zappitello-cristianesimo e mondo antico

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Cristianesimo e cultu ra antica
La cultura greco-romana interpreta il cristianesimo
a) la posizione degli intellettuali romani verso la religione in generale è ben sintetizzata da
Varrone nell’opera Antiquitates rerum humanarum atque divinarum. Secondo lui la
religione può essere intesa:
• come racconto mitologico, artistico, poetico;
• come fondamento della religio civilis, quindi della politica;
• come problema filosofico. In questo caso le contraddizioni insite nella religione degli
Dei dell’Olimpo (beati, perfetti e contemporaneamente pieni di vizi; diversi e
separati da noi e continuamente coinvolti nelle storie degli uomini, difensori della
pace e violenti, ecc.) la rendevano non credibile.
b) la posizione degli intellettuali verso il cristianesimo partiva dal pre-giudizio che da una
parte stava la ragione (logos) dei filosofi e dall’altra la pazzia (morìa) dei cristiani, che
erano considerati rozzi, incolti, fanatici, ostinati, lontano dalla razionalità.
Esaminiamo ora da vicino le posizioni di alcuni intellettuali del periodo, e cioè di Celso, di
Porfirio e dell’imperatore Giuliano.
Celso scrisse contro i cristiani Il discorso vero, databile intorno al 178 d.C; opera andata
perduta, ma recuperata attraverso il Contro Celso di Origene.
Egli fu uno dei primi a confrontare il cristianesimo con le altre religioni (comparativismo).
Nel suo scritto però se ci sono delle somiglianze, sono sempre gli ebrei e i cristiani ad aver
copiato dagli altri popoli. Gesù ha copiato da Platone. I cristiani dagli Egiziani. Celso
afferma poi che molte delle dottrine dei cristiani non sono originali, ma sono prese dalla
cultura dei popoli circostanti (es. l’incarnazione dalla metempsicosi, la dottrina delle anime
dopo la morte dagli egiziani). Egli poi accetta il racconto ebraico del Toldos Jeschut.
Per Celso i nomi di Dio sono tanti (come le tradizioni religiose dei popoli) e si equivalgono.
I miracoli poi sono frutto di magia; esprimono l’atteggiamento superstizioso dei cristiani;
Gesù era un mago, come Mosè.
Egli fa altre interessanti osservazioni. Ad esempio, afferma che Gesù è un Dio che non ha
saputo aiutare se stesso (se fosse un Dio non sarebbe morto com’è morto!) e aggiunge: cosa
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ha fatto il vostro Dio per punire quelli che lo hanno fatto morire? E il suo padre che lo ha
lasciato morire sulla croce non è il padre più crudele?
E ancora: le previsioni di Gesù (le sue profezie) sono evidenti invenzioni dei suoi discepoli,
perché altrimenti avrebbe fatto di tutto per evitare le sue disgrazie. Sulla resurrezione poi
questa è la sua posizione: è risorto? chi l’ha visto? delle donne isteriche. E il filosofo
aggiunge: perché le altre resurrezioni sono tutte favole, mentre quella del vostro Dio è
l’unica vera? Perché Gesù e non Eracle? A ognuno sembra sempre che le sue tradizioni
siano le migliori.
Infine egli osserva che i cristiani sono un pericolo per l’impero, perché non sono solidali
nella guerra contro i barbari e sono esclusivisti (rifiutano tutti gli altri Dei).
L’opera di Porfirio, Contro i Cristiani in XV libri, andata perduta, è stata scritta dopo il 270
d.C. Essa aprì una polemica a cui risposero Eusebio di Cesarea con l’opera Contro Porfirio, in
XXV libri, anch’essa andata perduta e altri apologisti cristiani. Costantino proibì l’opera di
Porfirio nel 323. Nel 448 gli imperatori Teodosio II e Valentiniano III ordinano la distruzione di
tutti i suoi scritti. Ma dalle opere scritte contro di lui possiamo comunque farci un’idea del
contenuto del suo libro.
Secondo Porfirio il cristianesimo è irrazionale, è manìa (follia), una superstitio orientale, un
mucchio di falsità e fandonie. Egli ripropone la contrapposizione tradizionale fra logos e pistis e
afferma che il cristianesimo è popolare perché è irrazionale.
Secondo Porfirio poi i cristiani sono atei perché rifiutano quella religione che ha fatto la
grandezza e la forza di Roma, e sono contro la tradizione. Essi sono anche la causa della crisi e
della disgregazione morale del mondo. Cristo era un grande uomo, un eroe, un santo; i cristiani
invece sono superstiziosi perché lo hanno fatto Dio.
Egli infine si dichiara favorevole ad un monoteismo sincretico, ma non ad un monoteismo puro.
Giuliano (detto dai cristiani: l’apostata), scrisse un’opera Contro i Galilei (cioè contro i
cristiani). In quest’opera egli affermava la superiorità degli Ellenes, cioè dell’ethos
dell’antichità classica, della sua cultura, della sua filosofia (era un seguace del neoplatonismo),
e quindi in definitiva della civiltà romana, sui cristiani (i Galilei), rozzi, superstiziosi, fanatici.
Ma il suo tentativo di riproporre l’ethos di Roma, all’interno di una interpretazione della
religione di tipo neoplatonico, non ebbe successo.
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La posizione di Paolo, Giustino, Clemente e Origene verso la religione degli antichi
Di Paolo esaminiamo prima di tutto il famoso discorso dell’Areopago (At 17). In
quell’occasione l’apostolo si prefisse di indicare ai suoi ascoltatori (alcuni discepoli delle scuole
filosofiche di Atene) 1) chi è il vero Dio, 2) quali sono le sue caratteristiche, 3) come essi
possono avere una relazione personale con lui. Molto intelligente l’espediente del “Dio ignoto”.
Significativo il sostanziale insuccesso del suo discorso, da cui Paolo trarrà una preziosa lezione:
bisogna contrapporre alla sapienza stupida dei filosofi ciò che essi non potranno mai
comprendere con i loro sottili ragionamenti: la croce di Cristo.
Infatti nella Prima Lettera ai Corinti egli afferma: la sapienza di Dio è la croce, contro i gentili
che vogliono ragionamenti e contro gli ebrei, che vogliono segni. La sapienza di Dio sembra
agli uomini il massimo della stupidità, e invece essa stessa trasforma in stupidità tutta la
sapienza degli uomini (1 Cor 1, 22-25).
Nessuno vi inganni con la sua filosofia (Col 2, 8); contro i sottili ragionatori di questo mondo (1
Cor 1, 20). Sì alla ragione, no ai vizi (Rom 1, 18-23).
Idoli = demoni (1 Cor 7 e 10).
Con Giustino siamo alla prima conversione di tipo filosofico a noi nota. Egli ha scritto un
Dialogo con Trifone, databile intorno al 150 d.C., in cui afferma che Cristo è il traguardo
finale della ricerca razionale e della storia umana: “Cristo (il logos) è la mia filosofia”.
Giustino poi sostiene l’influenza della Bibbia sulla filosofia greca (furta Graecorum), a cui
si deve aggiungere una rivelazione naturale, data da Dio a tutti gli uomini. Tutto ciò che è
vero, è quindi implicitamente cristiano.
Clemente Alessandrino ha scritto un Protrettico (Introduzione) al cristianesimo, databile
alla seconda metà del II sec. d.C. In quest’opera egli afferma che il cristianesimo comporta
il passaggio dall’Elicona e dal Citerone (luoghi della mitologia greca, che ricordano episodi
di violenza) a Sion, cioè a Gerusalemme. Secondo Clemente i riti greci (i sacrifici, gli
oracoli, gli aruspici, la Pizia…) sono stupidi e violenti; i misteri di Dioniso poi sono
assolutamente inumani, sono «uccisioni e seppellimenti» [sul mito di Dioniso v. il cap. XII].
Egli poi condanna la superstizione e l’ateismo (chi non è cristiano, è ateo). La superstizione
produce tanti Dei-demoni, porta alla follia e ai sacrifici umani, fa costruire templi che sono
tombe, è una fede in statue senza vita. Ma gli uomini sono più delle statue.
Rivolgendosi ai pagani, Clemente poi fa altre importanti affermazioni di tipo antropologico,
a dimostrazione di quanto i cristiani di allora fossero consapevoli della natura profonda
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della religione, che il cristianesimo pretendeva di sostituire. Clemente afferma: i vostri Dei
sono le vostre passioni personificate e divinizzate, sono semplici nomi, frutto di favole e di
invenzioni e alcuni dei vostri Dei sono stati uomini. Per questi Dei si uccidono uomini (si
fanno sacrifici umani). E ancora: l’arte è creatrice di frodi, belle solo all’apparenza; la vostra
arte e la vostra religione sono fonti di corruzione: «Quando fiorì l’arte, crebbe l’errore».
Contro gli inganni dell’arte egli consiglia l’uso della ragione.
Rivolgendosi ancora ai pagani, egli li invita a non adorare le creature, ma il creatore, «non il
sole, ma l’autore del sole». Gli astri non sono Dei; l’astronomia pagana è astrologia.
Sui filosofi questa è la sua posizione: i materialisti sono atei; Epicuro è empio perché
afferma che niente sta a cuore agli Dei; per quanto riguarda Platone, egli prende la
geometria dagli egiziani, «ma per le leggi veraci e la credenza riguardo a Dio è stato aiutato
dagli ebrei».
Alla fine egli invoca i pagani ad abbandonare l’ignoranza e la superstizione, ad abbandonare
le consuetudini sbagliate e a scegliere la conoscenza: «A che vi esorto? A salvarvi». La
salvezza è il più grande dei beni. Però la sua posizione rimane aperta anche a contributi
della loro cultura. Egli afferma infatti che si accettano nel cristianesimo tutti coloro che si
sono avvicinati alla verità, sia filosofi che poeti.
Di Origene riportiamo le posizioni espresse nell’opera Contro Celso (prima metà del III
sec.). Egli afferma che gli Dei pagani, a cui sono fatti i sacrifici, sono demoni; i loro
sacerdoti, stregoni; i loro templi, dimore di demoni ingannatori, che hanno bisogno di fumo
e di sangue; e ricorda il recente culto di Antinoo, l’amante di Adriano, che si era diffuso in
Egitto e in altre parti dell’impero.
Origene poi osserva che mentre il tempo ciclico distrugge la libertà dell’uomo, il
cristianesimo afferma la libertà e la responsabilità e rifiuta il concetto di destino.
Per quanto riguarda alcuni passi della Bibbia, che avevano dato spazio a molte critiche da
parte dei pagani per il loro senso “materialista”, Origene afferma che li si deve interpretare
in chiave spirituale.
A chi afferma che i cristiani sono vili, ricorda il coraggio dei martiri. E a chi propone
posizioni di compromesso, ribadisce la sua intransigenza: meglio la morte che giurare per la
fortuna dell’imperatore. Il cristiano deve aiutare tutti, anche l’imperatore, ma il suo compito
primario è la salvezza delle anime.
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Infine la sua constatazione: con tutte le persecuzioni che ha subito, la Chiesa di Cristo non
sarebbe sopravvissuta senza intervento divino. I fatti lo dimostrano.
Anche nell’Inno Akàthistos alla Madre di Dio, in sé molto intellettuale e teologico, la cui
origine si fa risalire proprio a questo periodo, è presente una traccia della polemica portata
avanti dagli apologisti cristiani contro i filosofi-sofisti, che rifiutano la verità dei Vangeli
con ragionamenti raffinati e artificiosi. La riportiamo nella traduzione di R. Calzecchi
Onesti: «Ave, che apparvero folli gli indagatori sottili/ Ave, degli Ateniesi tu sbrogli gli
imbrogli».
La violenza nel mondo greco-romano e il cristianesimo
Nel mondo antico la violenza era diffusa ad ogni livello della società. Fra le vittime c’erano
soprattutto le donne, gli schiavi, i bambini, i malati, gli handicappati. Poi c’erano le lotte
intestine e le guerre civili, che tormentavano sia le polis greche (ricordiamo in particolare la
Guerra del Peloponneso), che Roma (Mario contro Silla; Cesare contro Pompeo, Antonio
contro Ottaviano, ecc.). In queste guerre si infrangevano le regole morali e religiose fino
agli omicidi nei templi. Ricordiamo come emblematici l’episodio dei Meli e quello dei
Plateesi, raccontati da Tucidide.
Nella cultura greca antica è evidente come si passi continuamente dalla violenza sulle
vittime all’arte, alla religione, ai miti, alla perfezione estetica.
Il sapiente greco (il sophòs, ma in seguito anche il sophistés) era sempre sospeso fra
l’essere colui che sa dove dirigere la violenza della comunità, e colui che non riesce a fare
scaricare la violenza verso qualche vittima, e quindi rischia di diventare vittima egli stesso.
I sofisti teorizzarono l’uomo come misura di tutte le cose e quindi insegnavano che nella
lotta politica ciò che conta è il successo, il risultato, la vittoria individuale; cioè che è meglio
essere vittoriosi che sconfitti, meglio carnefice che vittima (cfr. il processo agli strateghi
vincitori della battaglia delle Arginuse, 406 a.C.).
Socrate invece, che si era opposto alla sentenza capitale nei confronti degli strateghi che
avevano combattuto e vinto alle Arginuse, quando venne egli stesso coinvolto in un tipico
processo vittimario, accettò fino in fondo la parte del sophos-vittima. Piuttosto che stare
dalla parte di coloro che compiono ingiustizia, piuttosto che porre i suoi interessi al di sopra
del bene della polis, egli accettò il suo destino di morte.
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Platone si pose il problema di come arginare la crisi; ed elaborò una dottrina politica con pretese
epistemiche, in quanto fondata sulla tripartizione dell’anima (La Repubblica). Ma i suoi
tentativi fallirono miseramente (Settima lettera).
Aristotele invece, forte della scoperta del principio di non contraddizione, si rifugiò
decisamente nell’astrazione filosofica; diventando così il “maestro di color che sanno”.
La filosofia era nata come ricerca di una spiegazione razionale del principio di tutte le cose;
ricerca che aveva portato ad elaborare delle generalizzazioni astratte (il cosmo, l’essere, l’arché,
la phýsis). Queste generalizzazioni avevano comunque un fondamento antropologico, perché
come tutto il linguaggio di allora, provenivano dai sacrifici, e quindi dai riti e dai miti (cfr.
Émile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa). Di ciò vi è traccia anche nei pochi
frammenti dei primi filosofi che ci sono pervenuti. Ad esempio, per Eraclito polemos è il logos
di tutte le cose; polemos è l’origine degli Dei e degli uomini. Secondo Parmenide l’essere è
«costretto nei limiti di vincoli immensi», «la forza immutabile della necessità lo costringe in
catene del limite che intorno lo avvolge».
I filosofi furono comunque costretti ad abbassare lo sguardo sull’uomo e sul male a causa delle
guerre civili, che producevano una crisi profonda dell’intera società greca. Le proposte dei
filosofi in parte esasperarono la crisi (cfr. l’influenza dei sofisti sulla democrazia ateniese) e in
parte si dimostrarono inadeguate e inefficaci (le proposte di Socrate e Platone). I filosofi
comunque guardavano ai processi vittimari dall’esterno, come ad uno spettacolo, e quindi non
ne comprendevano il profondo significato antropologico (cioè che gli uomini sono tutti vittime
e carnefici).
La tragedia invece metteva in scena questa violenza vittimaria. I poeti tragici (da tragos,
capro) ebbero il coraggio e la forza di analizzarla dal di dentro. Particolarmente importanti sono
per noi le tragedie di Euripide, perché maggiormente approfondiscono il meccanismo violento
che è nascosto nel mito sacrificale. Egli lo mostra agli spettatori come brutale e inefficace:
avvengono le uccisioni, ma non il transfert positivo (I Cretesi, Baccanti, Ifigenia in Aulide).
Euripide cercò di aprire la mente agli spettatori, li spinse a porre domande nuove, inquietanti,
sulla violenza e i suoi legami con tutta la religione antica. Arrivato a questo punto però, egli non
aveva risposte alternative, non aveva la soluzione del problema; e quindi l’ultima sua parola fu
il silenzio (cfr. Giuseppe Fornari, Fra Dioniso e Cristo, Pitagora ed., Bologna, 2001).
Ma allora come salvarsi dalla spirale della violenza? Arrivata ad un punto morto, ad un vicolo
cieco, la cultura antica greca e romana era in attesa di una parola nuova, di un messaggio di
liberazione. Il cristianesimo pretese di essere questo messaggio.
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Agostino e la vittoria filosofica del cristianesimo
Nel III-V sec. d.C., mentre la filosofia greca si faceva più religiosa e mistica (teurgia,
divinazione…), la religione cristiana cercò invece di darsi una veste più razionale. Essa si
presentava ormai come la razionalità del monoteismo contro l’irrazionalità del politeismo. È di
questo periodo il grande dibattito sulla dogmatica, che portò alla formulazione del Credo
niceno-costantinopolitano.
Di lì a poco arrivò anche la vittoria filosofica del cristianesimo sul mondo antico. Questa
vittoria trovò l’espressione massima in Agostino. Ricordiamo i punti salienti della sua ricerca
filosofica.
• Si dubito, sum. Confutazione razionale del relativismo e dello scetticismo (De vera
religione). Dubbio, peccato e fede sono sempre presenti nell’anima umana.
• Il circolo ermeneutico agostiniano (fides quaerens intellectum; intellectus quaerens
fidem) in alternativa alla contrapposizione tra fede e ragione.
• La scoperta del tempo come “distensione dell’anima”. L’importanza della memoria del
passato e delle attese del futuro nel condizionare il presente (Confessioni).
• La presenza del male nell’uomo e nel mondo, trasformata in un problema filosofico,
diventa “minus esse”. L’ordo entis e l’ordo amoris (Confessioni).
• Tempo come storia, “luogo” in cui agiscono due differenti civitates, intrecciate fra di
loro e mai del tutto separabili, entrambe desiderose di pace (De civitate Dei). La nuova
concezione della politica. Il superamento della religio civilis.
• Victor quia victima. In queste parole di Agostino è racchiusa tutta l’apparente assurdità
del cristianesimo, la sua verità non umana, tutto il senso rivoluzionario della proposta
cristiana.
• Il grande dibattito sull’antropologia. La polemica di Agostino contro Pelagio, che
affermava l’uomo buono per natura. Agostinismo e pelagianesimo.
Le figure nuove del cristianesimo
La cultura cristiana ha prodotto fin dall’inizio molte figure e fenomeni nuovi nella storia umana.
Ad alcuni di essi siamo ormai abituati da così tanto tempo da non rendercene conto. È quindi
opportuno ricordarli in questo breve elenco:
a. L’organizzazione ecclesiastica.
b. L’impegno nel sociale.
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c. La morigeratezza dei costumi contro la sessualità senza regole ampiamente
praticata nel mondo antico.
d. La figura della vergine contro lo stupro, per la dignità della donna.
e. Il martire/la martire sono coloro che hanno dato la propria vita come
testimonianza, dimostrando che la vita non è tutto e che la libertà dell’uomo è più
grande della religio civilis.
f. Il monaco/la monaca sono il miles Christi, sono figura del nuovo soldato, che
combatte la battaglia spirituale contro il male prima di tutto in se stesso. Eremiti e
cenobiti, conventuali e ordini mendicanti, ordini ospedalieri, ecc. Già nel
Medioevo nei conventi maschili e femminili si votava, si eleggeva e si era eletti.
L’importanza della sala capitolare.
g. Il santo/la santa. Il cristianesimo sostituisce l’eroe antico, ammirato e onorato
perché campione nella lotta per il primato attraverso la vittoria sugli avversari,
con il santo, che invece rifiuta la lotta per il primato e s’impegna per il bene di
tutti, su imitazione di Cristo (chi vuole essere il primo, sia l’ultimo).
h. Il cavaliere medioevale, che s’impegna a volgere la sua spada a difesa della
Chiesa, delle donne e dei deboli; paci e tregue “di Dio” per il controllo della
violenza.
i. Gli ospedali.
j. Le “Misericordie”.
k. Le università.
l. Le scuole pubbliche di ogni tipo, da cui è derivata la scuola moderna.
m. L’attenzione ai poveri attraverso la pratica dell’elemosina e le attività di
beneficenza.
n. Gli istituti per orfani, per ragazze madri, per vedove, ecc.
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