NOCE - JUGLANS REGIA fam. Iuglandaceae, FR: noyer commun, ING: walnut, TED: Nussbaum, SPA: nogal Storia Il noce (Juglans regia L.) è una pianta originaria dell'Asia (pendici dell'Himalaya), introdotta in Europa in epoca antichissima per i suoi frutti eduli. Diffusa in tutto il mondo, in Italia la coltura della noce da frutto, in genere promiscua, ha una certa rilevanza solo in Campania. Il noce può essere coltivato anche per la produzione di legno o per entrambi gli scopi. Il noce è un albero vigoroso, caratterizzato da tronco solido, alto, diritto, portamento maestoso; presenta radice robusta e fittonante. La noce è il frutto dell'albero omonimo, conosciuto sin dai tempi più antichi e proveniente dalle regioni dell'Asia Occidentale. Il suo nome scientifico è Juglans regia; "Juglans" è il termine latino che indicava l'albero ed è una contrazione 118 della locuzione "Jovis glans", cioè "ghianda di Giove", così definita appellandosi alla bontà e all'alto valore nutritivo del frutto. Si tratta di una delle più preziose acquisizioni del nostro patrimonio arboreo. Virgilio fa riferimento a un frutto “nuces” ma non abbiamo certezza che sia il frutto da noi oggi conosciuto e apprezzato. Non si conosce esattamente la data in cui le noci furono portate dai Greci ai Romani. Per alcuni studiosi sarebbe originario dei paesi dell’Asia centro-occidentale e per altri invece si tratta di specie che già cresceva spontanea in Grecia e in Ungheria si sono trovati nei tufi quaternari della Provenza dei fossili contenenti foglie di noci. Il naturalista Plinio e il medico Dioscoride la definivano di “ difficile digestione, mal tollerata dallo stomaco e addirittura responsabile del colera” ; si gettava, a quei tempi, ai convitati a un matrimonio per significare le nuove responsabilità assunte dagli sposi, ma pare che gli antichi romani non fossero ghiotti di noci . Nel II sec. d.C. il medico Galeno afferma la validità come tonico e astringente. I Romani ne utilizzavano il legno, molto duro e assai pregiato in ebanisteria: l’albero è molto vigoroso, poiché può arrivare fino a 20 m d’altezza, e longevo, perché esistono esemplari centenari. 119 Per i Greci, l'albero era denominato "Karya basilica", cioè "noce regale", e fu chiamato così perché essi ritenevano che esso fosse stato portato in Europa dai re persiani. Nella vasta e affascinante mitologia greca, la noce ha un posto d'onore in un mito legato al dio Dioniso (il Bacco dei Romani) ed al suo amore per la principessa Caria. Si narra che un giorno il dio, essendo ospite presso Dione, re della Laconia, si innamorasse di una delle sue figlie, la giovane e bella Caria. Le due sorelle maggiori, Orfe e Lico, gelose a causa delle attenzioni che il dio riservava alla loro sorella, avvertirono il padre. Dioniso, adirato con loro, dopo averle redarguite più volte, condusse alla pazzia e le tramutò in rocce. La giovane Caria, colta da un tristezza perenne per la loro sorte, e poco dopo ne morì. Dioniso ebbe pietà di lei e la trasformò in un albero di noce, che diede frutti fecondi. Quando Artemide annunciò la morte di Caria ai Lacooni, essi le eressero un tempio e posero al suo ingresso delle statue scolpite in legno di noce che raffiguravano delle figure femminili: a questo tipo di statue venne poi dato il nome di "Cariatidi”. Questo indissolubile nesso con Artemide/Diana da un lato, e con Dioniso/Bacco, dall'altro, si perpetuarono nei rituali pagani, fino all'avvento del Cristianesimo ed oltre. Nella celebrazione dei Misteri Dionisiaci, ad esempio, le Menadi, ossia le sacerdotesse del dio, chiamate anche Baccanti, danzavano sfrenate 120 attorno ad un albero di noce, sacro al dio, in preda ad esaltazione sempre più sfrenata. Agli osservatori Cristiani, propugnatori di una nuova religione che considerava la donna il simbolo del male e del peccato, questi rituali sembrarono osceni e malefici, si originò quindi la leggenda delle streghe e delle loro riunioni notturne (sabba) sotto un noce, nella notte di San Giovanni. La leggenda ebbe probabilmente origine presso Benevento, sede del "noce stregato" più famoso del mondo. Fu qui che il vescovo Barbato, probabilmente proprio dopo aver assistito a una di queste celebrazioni pagane, fece sradicare l'albero per impedire ulteriori incontri. L'albero, però, ricrebbe e le riunioni continuarono ancora a lungo, anche dopo il 1600, quando il noce originario morì. Ma quello di Benevento non è un caso unico nella storia del folklore italiano: anche a Roma, ad esempio, si narra che la chiesa di Santa Maria del Popolo venne fatta erigere dal papa Pasquale II sul luogo ove precedentemente cresceva un noce, sotto il quale migliaia di diavoli amavano riunirsi e danzare durante la notte. Ancora oggi la superstizione popolare sconsiglia vivamente chiunque di riposare, o peggio, addormentarsi sotto un albero di noce, in quanto tale risveglio si avvertirebbe un forte mal di testa, o peggio con la febbre alta. Inoltre, si evitava di piantare questi albero vicino ai ricoveri per il bestiame perché se le radici fossero penetrate al di sotto gli animali avrebbero 121 cominciato a avvertire sintomi di deperimento. È un dato di fatto che nelle vicinanze degli alberi di noce non crescono altre piante: questa caratteristica detiene una spiegazione scientifica: le radici di questa pianta, come anche le sue foglie, contengono una sostanza tossica, la juglandina, capace di far morire le altre piante. La forma ricorda vagamente il cervello, tanto che nel ’500 il medico Paracelso, inventore della Teoria dei Segni (che abbinava le piante agli organi umani in base alla loro forma o colorazione, reputandole indicate a curare i disturbi dell’organo simile), prescriveva questo frutto per risolvere i disturbi cerebrali: dal semplice mal di testa fino alla pazzia. Il gheriglio pare avere una somiglianza nella forma con il cervello umano. Questa caratteristica ha indotto a legare, nel passato, la noce a un rimedio medicinale contro tutti i problemi legati al cervello. Scriveva, in proposito, Giovan Battista Della Porta (1535–1615), medico e alchimista della Scuola Salernitana, in una delle sue opere (probabilmente la "Phytognomonica", del 1583, nella quale trattava delle proprietà delle piante e dei metodi per scoprirne le virtù in base alla somiglianza con le parti anatomiche): "Il mallo, guscio esterno 122 carnoso, verde, corrisponde ai tegumenti del cranio, il guscio al cranio, l'endocarpo alle meningi, e il gheriglio ai due emisferi cerebrali". 123 Il noce è da sempre legato all'idea di riti ed incantesimi poiché esistono molte leggende che lo indicano come albero delle streghe perché si dice che organizzino i loro sabba proprio intorno al suo tronco robusto nella notte tra il 23 e il 24 giugno! L'albero del noce era considerato sacro per le streghe, ma gli agricoltori lo piantavano a distanza dagli altri alberi da frutto perché a quei tempi era consolidata la credenza che questo albero ermafrodita, che può raggiungere persino i 300 anni di età, fosse velenoso e che la sua influenza negativa si propagasse nel terreno su cui poggiava. Si diffuse l'usanza di piantarlo a distanza dagli altri alberi dell'orto. Alla fine degli anni ‘50 in Italia erano censiti 75.000 ettari, superficie già fortemente discesa a 1.500 ettari alla fine degli anni ‘70. Letteratura Il suo frutto, una pseudo drupa con esocarpo carnoso (detto mallo, come il mandorlo, diffuso soprattutto in Sicilia e nelle regioni meridionali), è da sempre fonte di prezioso nutrimento. Ne offre una circostanziata testimonianza anche il Manzoni, ne I promessi sposi. Nel capitolo terzo, Fra Galdino arriva a casa di Agnese e Lucia per la “cerca delle noci”. Così, mentre la promessa sposa va a prendere le noci, il frate si dilunga nel racconto del miracolo delle noci. Padre Macario, un vecchio e saggio di un convento in Romagna, esortò il proprietario di un vecchio noce affinché non lo abbattesse: l’albero non produceva più frutti da anni, ma il religioso sostenne che quell’anno avrebbe prodotto “più noci che foglie”. Il proprietario conosceva la fama che circondava Padre Macario e fu indotto ad ascoltarlo in ragione della sua autorevolezza. La voce si sparse fra la gente che si recava a ammirare l’abbondante fioritura. E anche la previsione si rivelò corretta; tuttavia il proprietario morì, lasciando i suoi beni ad un figlio che era dedito soprattutto al divertimento. Il frate andò da quest’ultimo a chiedere le noci ma il nuovo proprietario negò ogni aiuto e contributo. Un giorno, poi, il ragazzo raccontò, quasi sbeffeggiandosi della religiosità popolare, la storia ad alcuni amici e insieme andarono a vedere il mucchio di noci che teneva nel granaio: al posto delle noci 124 vi trovarono un mucchio di foglie secche. La notizia di questo esito nefasto si propagò nella regione, tanto che mai come quell’anno la cerca delle noci si rivelò quanto mai abbondante; un benefattore regalò addirittura al convento un asino per il trasporto delle noci che si raccoglievano. Dalle noci il padre produssero così tanto olio che i poveri se ne poterono servire in modo gratuito. Il Manzoni conclude con una delle sue profonde e sagge affermazioni sull’umanità: «Perché noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi». Alessandro Manzoni era un esperto botanico, amava le piante e i fiori. Ne è una concreta testimonianza il parco della sua villa a Brusuglio, Cormano, Milano nord; l’abitazione era di proprietà dei Conti Imbonati. Lo scrittore ci andò a vivere a inizio del XIX secolo e decise di impiantare un giardino con diverse piante, anche rari esemplari poco o per nulla conosciuti in Italia. Fra il 1810 ed il 1820 – testimonia Massimo Urso – Manzoni curò personalmente l’impianto di 570 arbusti nel parco. Pietro Berlingieri, nel suo saggio pubblicato ne Il giardino fiorito, aggiunge che Manzoni vi fece piantare diverse ortensie (Hydrangea hortensis, Hydrangea macrophylla, Hydrangea quercifolia), piante di robinia pseudoacacia, magnolie, liriodendri o alberi dei tulipani, liquidambar, tilia cordata, catalpa o albero dei sigari, aceri giapponesi, ibisco e cedri dell’Himalaya. Introdusse 125 inoltre una novità, rarissima al tempo, un sassafras albinum, , che in Italia era arrivato nel 1630. Piantò anche alberi del cotone. Si racconta che talvolta percorresse a piedi gli otto chilometri di distanza fra Brusuglio e la sua abitazione in città, in Via Morone, oggi casa-museo Manzoni, sede del Centro Studi Manzoniani. Arte Luca Forte (1605-1660) dipinge “Composizione con frutta secca e vaso di fiori”; le noci erano un alimento destinato ai più ricchi. Vi è perizia e virtuosismo coloristico nel rappresentare i singoli tipi di frutta e il vaso. Il vaso è trasparente e luminescente; sullo sfondo si staglia il paesaggio; in primo piano vi è la frutta secca e a destra sono poste delle ciambelle. 126 Botanica Può raggiungere i 20-25 metri di altezza; l’albero ha un portamento maestoso. L’apparato radicale è molto sviluppato. Il fusto è dritto e vigoroso e si divide in poche branche principali. I rami giovani sono grossi e tozzi. I frutti sono di forma diversa a seconda della varietà, ma sono sempre costituiti da una buccia (“epicarpo”) sottilissima e da un mallo (“mesocarpo”) carnoso e verde, dall’odore molto caratteristico, secernente un succo che macchia di marrone – olivastro. Il mallo nel tempo diventa nero perché contiene molti tannini e poi marcisce. Il mallo è formato da due strati: uno esterno verde e molle che si dissecca e uno interno che avvolge il seme. La noce vera e 127 propria è formata dal guscio (“endocarpo”) legnoso separabile in due valve, irregolarmente solcate, contenenti il gheriglio coperto da una pellicola che imbrunisce a maturità. Il gheriglio è diviso in quattro lobi separati da un tramezzo membranoso che nel tempo si secca e s’indurisce. Le foglie sono caduche, composte, alterne (formate da 5-7-9 e, più raramente, 11 foglioline). Sono di colore verde scuro sulla pagina superiore e più chiaro su quella di sotto.È una pianta monoica in cui i fiori maschili sono riuniti in amenti penduli, lunghi 10-15 cm, con numerosi stami, che appaiono sui rami dell'anno precedente prima della comparsa delle foglie. I fiori unisessuali femminili schiudono da gemme miste dopo quelli maschili (proterandria), sono solitari o riuniti in gruppi di 2-3, raramente 4, appaiono sui nuovi germogli dell'anno, contemporaneamente alle foglie. Il frutto è una drupa, composta dal “mallo” carnoso, fibroso, annerisce a maturità e libera l'endocarpo legnoso, cioè la noce vera e propria, costituita da due valve che racchiudono il gheriglio con elevato contenuto in lipidi. Limiti pedoclimatici: sensibile ai ristagni idrici e stress idrici conseguenti a terreni sciolti; non 128 tollera i terreni pesanti, asfittici, mentre resiste anche ad elevato tenore in calcare. Teme gli eccessi termici (caldo e freddo). Il noce è una pianta tipica dei climi temperati, vegeta bene e produce fino a 800-1000 metri di altitudine. Varietà Si conoscono diverse varietà in quanto lo sfruttamento da parte dell’uomo deve essere iniziato presto per le qualità commestibili e l’oleosità di questo frutto. Tra le varietà di interesse generale vi sono: - Sorrento: è la varietà più diffusa in Italia, di vigore elevato, portamento assurgente, a duplice destinazione (frutto e legno), produce frutti medi, di forma ovale, di buona qualità; la maturazione è medio-tardiva (fine settembre al Sud); - Franquette: di vigore elevato, a duplice destinazione (frutto e legno), produce frutti grossi, di forma ovale, di ottima qualità; è consigliabile al Centro-Nord e al Sud nelle zone più fredde per il suo fabbisogno di freddo; 129 -Lara: è un’ottima varietà di origine francese; pianta di medio vigore con portamento eretto. L’entrata in produzione è precoce; - Hartley: di vigore medio, ad una sola destinazione (da frutto), produce frutti grossi, di forma subovale, di buona qualità, è adatta bene sia al Nord che al Sud. - Altre interessanti sono: Malizia, selezione di Sorrento, noce Tardiva o di San Giovanni, Feltrina, Bleggiana, Cerreto e Midland. Tecniche colturali Il noce dimostra poca socievolezza e non cresce in popolazioni addensate. Il noce, pur adattandosi a diversi ambienti, predilige la media collina, esposta a sud o a ovest, protetta dai venti. Mal sopporta i terreni eccessivamente umidi o troppo compatti. Negli impianti specializzati possono essere adottati sesti variabili da m 7 x 7 per cultivar poco vigorose e in terreni con bassa fertilità e non irrigui e per la prevalente produzione di frutti a m 12 x 12 qualora, oltre ai frutti, si voglia produrre legname da opera; in 130 questo caso le piante devono essere impalcate alte (almeno 3,5 m). Si raggiungono densità fra 100/200 piante/ha. Si innestano le piante di 3-4 anni di età e si collocano a dimora le piante ad innesto attecchito. L’irrigazione è comunque necessaria per la produzione. La concimazione solo minerale si somministra dopo l’impianto con azoto, fosforo e potassio, con dosi variabili; orientativamente si può considerare di non impiegare più di un kilo per pianta, spargendo il concime su una superficie di circa 4 metri quadrati. È usuale che il noce non subisca potature dopo quella effettuata per dare alla pianta un’impalcatura. La sua coltivazione è molto facile: ha solo bisogno di molto spazio perché le radici si diffondono molto nel terreno; per il resto resiste bene al caldo (ma non alla salsedine) e al freddo, non ha bisogno di grandi concimazioni perché le radici esplorano un’ampia zona di terreno, non va potato se non per eliminare rami secchi o spezzati. Le piante giovani devono essere mantenute libere dalle piante infestate mediante una leggere lavorazione del terreno (trinciatura, sfalcio o 131 spacciamatura). Si moltiplica da seme o si seminano le noci. I noci seminati sul posto sono più forti di quelli in semenziaio e poi trapiantati. La produzione inizia verso il decimo anno dall’innesto ( 8-12 kg per pianta); produce da 20 a 30 kg dal quindicesimo al ventesimo anno e 30 kg verso il venticinquesimo anno; dal venticinquesimo anno produce dai 50 ai 70 kg di noci secche e comincia poi il periodo della decrescenza. Produzione e raccolta La raccolta dei frutti avviene in settembre: si può procedere a mano, aspettando la naturale caduta a terra delle noci, oppure scuotere le branche con pertiche, stando attenti a non ledere i rami; per facilitare l’operazione è consigliabile stendere reti a maglia fitta sotto gli alberi. Nei noceti industriali, su ampie superfici, è anche possibile meccanizzare completamente la raccolta, tramite l’utilizzo di scuotitori e raccattatrici meccaniche. Una volta raccolte, le noci vanno private dei residui di mallo: per uso familiare si stendono in un solo strato ad asciugare per una - due settimane in un luogo asciutto e ventilato; per impiego commerciale vengono lavate, essiccate e imbianchite utilizzando in genere 132 anidride solforosa oppure una soluzione di ipoclorito di sodio. In locali asciutti e aerati i frutti possono essere conservati anche per 6-7 mesi, sgusciandoli al momento dell’uso, per evitare l’irrancidimento. La produzione è molto variabile e può andare da pochi chilogrammi fino a 50-70 kg/pianta, corrispondenti a 20-25 q/ha. In Italia, la produzione di noci ha subito un drastico ridimensionamento: si è passati dalle oltre 80.000 tonnellate degli anni ’70 del secolo scorso a poco di più 15.000 degli ultimi anni. Avversità Per la pianta vi sono batteriosi tra cui la nebbia del noce o vaiolo, la Maculatura batterica, Xantomonas, crittogame quali Marciume del colletto e radicale, insetti quali Carpocapsa e Rodilegno (giallo e rosso); nematodi, funghi del tronco ( Armillaria), bruco o verme della noce. Per il frutto vi è il baco delle noci Cydia pomonella. 133 Proprietà e elementi nutrizionali In un etto di noci sgusciate, accanto al 16,6% di proteine, si trovano il 12% di zuccheri e addirittura il 63% di grassi, peraltro monoinsaturi (oleico, linoleico, linolenico e arachidonico), quindi benefici per la salute, a patto di non esagerare nelle quantità. Le calorie sono ben 695 per etto. Ma le noci si fanno perdonare grazie al contenuto in minerali, fra i quali si segnalano 450 mg di fosforo, 700 mg di potassio, 130 mg di magnesio, 149 mg di zolfo, 88 mg di calcio e 2,1 mg di ferro. Utile mangiare noci per favorire le funzioni vitali, grazie allo zinco che migliora l’attività delle vitamine; per tonificare il sistema nervoso e rinforzare le ossa, grazie a calcio, potassio e fosforo; per calmare l’intestino, grazie all’olio essenziale, potente disinfettante, antisettico e vermifugo; per combattere l’anemia, in virtù di rame e ferro; per abbassare il 134 colesterolo ldl, grazie all’olio ricco di acidi grassi insaturi; per diminuire la glicemia. 135 Usi vari e utilizzi in cucina Le foglie e i malli servono nell’industria farmaceutica e cosmetica. Per le proprietà toniche ed astringenti vengono sfruttate nel trattamento delle dispepsie e nelle infiammazioni del tubo gastroenterico. Il noce è albero di grande importanza per la qualità del suo legno, a cuore bruno più o meno venato, viene usato in falegnameria e anche per produrre i fucili. Narra la tradizione che, vagando di casa in casa, i preti raccogliessero noci dalle quali ricavavano l’olio che era ritenuto salutare per alcuni acciacchi del corpo (in Piemonte veniva usato anche al posto dell’olio di oliva, che costava molto, per la bagna cauda). Il nocino: dal frutto fresco, con il mallo ancora giovane, si ricava un liquore ottimo e alcolico, il nocino. Leggenda : Il 24 giugno è il giorno dedicato a San Giovanni Battista, predicatore e profeta del primo secolo a.C., più volte ricordato nei Vangeli per aver preannunziato l’ arrivo del Messia. Giovanni trascorse l'infanzia e la giovinezza come nomade nel deserto; aumentò in lui il desiderio della divulgazione della fede al punto da farlo diventare profeta dell’avvento del Messia scagliandosi pesantemente contro i Farisei. Erode Antipa lo fece arrestare per aver denunciato le sue nozze incestuose e adultere con Erodiade, già moglie di suo fratello Erode Filippo. Con Erode Antipa, Erodiade ebbe figlia che fu chiamata Salomè la quale, dopo aver danzato per il padre, fu convinta dalla madre a chiedere come ricompensa la testa di Giovanni che le fu portata, ancora con un alito di vita, su un vassoio. La data era appunto il 24 giugno. La leggenda vuole che durante la notte tra il 23 e il 24 giugno ( che è la notte più breve dell’anno), la donna giudicata più abile nella preparazione del liquore “nocino” raccolga a piedi nudi le noci ancora verdi e immature dal maestoso albero di noce. Il mallo deve essere messo in infusione nell'alcol fino 31 ottobre. L’uso del mallo di noce come ingrediente per medicinali o liquori discende da 136 tempi antichissimi, anche se non si hanno notizie esatte sull’origine di questo specifico utilizzo. Sembra che la ricetta sia giunta in Italia ad opera dei francesi, poiché il culto del noce come albero delle streghe era di origine francese. Giunse ai britannici che, infatti, ritenevano magiche delle pozioni che si preparavano utilizzando noci acerbe. Non si esclude che le varie formule siano derivate da un Liqueur de noix o ratafia di mallo in cui al posto dell’alcol veniva utilizzata l’acquavite. Questo liquore dal gusto corposo e dall’inconfondibile aroma, continua ad essere tra i principali consumati durante i pranzi e le cene in occorrenza delle festività natalizie. Il nocino si presenta come un liquore dal colore scuro e dall’aspetto denso. Può essere servito a fine pasto come digestivo. Può essere usato, inoltre, come tonico e contro i disturbi del fegato. Esistono diverse varianti nella preparazione del nocino a seconda delle tradizioni regionali. Nocino di san Giovanni Ingredienti 24 noci verdi con mallo 1,5 litri di alcol 95% 500 g di zucchero 137 1 pezzetto di stecca di cannella 10 chicchi di caffè 138 10 chiodi di garofano scorza di un limone Preparazione Tagliate le noci a pezzetti e mettetele a macerare in un recipiente di vetro con la cannella, i chiodi di garofano, i chicchi di caffè, la scorza di limone, lo zucchero e l'alcol. Chiudete ermeticamente il recipiente ed esponetelo al sole per 40 giorni, scuotendolo di tanto in tanto e ritirandolo durante la notte. Alla fine del 40° giorno filtrate accuratamente il prodotto, imbottigliatelo e lasciatelo riposare almeno per 12 mesi prima di assaggiare per apprezzare tutte le caratteristiche organolettiche di questo liquore. 139 Tagliatelle di farina di castagne con sugo di noci e cipolle Ingredienti della ricetta:Per le tagliatelle: 160 g di farina di castagne 240 di farina 00 2 cucchiai di latte 4 uova 1 cucchiaio di olio extravergine d'oliva Sale qb Per il sugo: 3 cipolle rosse 80 g di gherigli di noci 6 fette di pancetta Olio e sale qb Mescolate insieme le due farine con un pizzico di sale e disponetele a fontana sul piano di lavoro. Al centro mettete le uova, il latte, l’olio e aiutandovi con una forchetta sbattete le uova incorporando mano a mano la farina dai bordi. Quando il composto diventa corposo lavoratelo con le mani fino ad ottenere un panetto di pasta liscia e compatta. Lasciatela riposare per un quarto d’ora. Dividete la pasta in pezzetti più piccoli e tirate la sfoglia con il mattarello o con la macchina per la pasta fino ad ottenere una sfoglia sottile. Adesso create le tagliatelle arrotolando la sfoglia su se stessa tre o quattro volte e con un coltello tagliatela a strisce larghe 1 cm oppure utilizzate l’apposito attrezzo in dotazione alla macchina per la pasta per ottenere le tagliatelle. Stendete la pasta ottenuta su degli stracci asciutti e puliti e cospargetele con della farina per evitare che si attacchi. 140