NOCE - JUGLANS REGIA
fam. Iuglandaceae, FR: noyer commun, ING: walnut, TED: Nussbaum, SPA: nogal
Storia
Il noce (Juglans regia L.) è una pianta originaria dell'Asia
(pendici dell'Himalaya), introdotta in Europa in epoca
antichissima per i suoi frutti eduli.
Diffusa in tutto il mondo, in Italia la coltura della noce da
frutto, in genere promiscua, ha una certa rilevanza solo in Campania.
Il noce può essere coltivato anche per la produzione di legno o per entrambi gli scopi. Il noce è un
albero vigoroso, caratterizzato da tronco solido, alto, diritto, portamento maestoso; presenta radice
robusta e fittonante.
La noce è il frutto dell'albero omonimo, conosciuto sin dai tempi più antichi e proveniente dalle regioni dell'Asia
Occidentale. Il suo nome scientifico è Juglans regia; "Juglans" è il termine latino che indicava l'albero ed è una contrazione
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della locuzione "Jovis glans", cioè "ghianda di Giove", così definita appellandosi alla bontà e all'alto valore nutritivo del
frutto. Si tratta di una delle più preziose acquisizioni del nostro patrimonio arboreo. Virgilio fa riferimento a un frutto
“nuces” ma non abbiamo certezza che sia il frutto da noi oggi conosciuto e apprezzato. Non si conosce esattamente la data in
cui le noci furono portate dai Greci ai Romani. Per alcuni studiosi sarebbe originario dei paesi dell’Asia centro-occidentale e
per altri invece si tratta di specie che già cresceva spontanea in Grecia e in Ungheria si sono trovati nei tufi quaternari della
Provenza dei fossili contenenti foglie di noci.
Il naturalista Plinio e il medico Dioscoride la definivano di “ difficile digestione, mal tollerata dallo stomaco
e addirittura responsabile del colera” ; si gettava, a quei tempi, ai convitati a un matrimonio per significare le
nuove responsabilità assunte dagli sposi, ma pare che gli antichi romani non fossero ghiotti di noci .
Nel II sec. d.C. il medico Galeno afferma la validità come tonico e astringente.
I Romani ne utilizzavano il legno, molto duro e assai pregiato in ebanisteria: l’albero è molto vigoroso, poiché può arrivare
fino a 20 m d’altezza, e longevo, perché esistono esemplari centenari.
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Per i Greci, l'albero era denominato "Karya basilica", cioè "noce regale", e fu chiamato così perché essi ritenevano che esso
fosse stato portato in Europa dai re persiani. Nella vasta e affascinante mitologia greca, la noce ha un posto d'onore in un
mito legato al dio Dioniso (il Bacco dei Romani) ed al suo amore per la principessa Caria.
Si narra che un giorno il dio, essendo ospite presso Dione, re della Laconia, si innamorasse di una delle sue figlie, la giovane
e bella Caria. Le due sorelle maggiori, Orfe e Lico, gelose a causa delle attenzioni che il dio riservava alla loro sorella,
avvertirono il padre. Dioniso, adirato con loro, dopo averle redarguite più volte, condusse alla pazzia e le tramutò in rocce.
La giovane Caria, colta da un tristezza perenne per la loro sorte, e poco dopo ne morì. Dioniso
ebbe pietà di lei e la trasformò in un albero di noce, che diede frutti fecondi. Quando Artemide
annunciò la morte di Caria ai Lacooni, essi le eressero un tempio e posero al suo ingresso delle
statue scolpite in legno di noce che raffiguravano delle figure femminili: a questo tipo di statue
venne poi dato il nome di "Cariatidi”.
Questo indissolubile nesso con Artemide/Diana da un lato, e con Dioniso/Bacco, dall'altro, si
perpetuarono nei rituali pagani, fino all'avvento del Cristianesimo ed oltre. Nella celebrazione dei
Misteri Dionisiaci, ad esempio, le Menadi, ossia le sacerdotesse del dio, chiamate anche Baccanti, danzavano sfrenate
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attorno ad un albero di noce, sacro al dio, in preda ad esaltazione sempre più sfrenata. Agli
osservatori Cristiani, propugnatori di una nuova religione che considerava la donna il simbolo
del male e del peccato, questi rituali sembrarono osceni e malefici, si originò quindi la leggenda
delle streghe e delle loro riunioni notturne (sabba) sotto un noce, nella notte di San Giovanni.
La leggenda ebbe probabilmente origine presso Benevento, sede del "noce stregato" più famoso
del mondo. Fu qui che il vescovo Barbato, probabilmente proprio dopo aver assistito a una di
queste celebrazioni pagane, fece sradicare l'albero per impedire ulteriori incontri. L'albero, però, ricrebbe e le riunioni
continuarono ancora a lungo, anche dopo il 1600, quando il noce originario morì. Ma quello di Benevento non è un caso
unico nella storia del folklore italiano: anche a Roma, ad esempio, si narra che la chiesa di Santa Maria del Popolo venne
fatta erigere dal papa Pasquale II sul luogo ove precedentemente cresceva un noce, sotto il quale migliaia di diavoli amavano
riunirsi e danzare durante la notte.
Ancora oggi la superstizione popolare sconsiglia vivamente chiunque di riposare, o peggio, addormentarsi sotto un albero di
noce, in quanto tale risveglio si avvertirebbe un forte mal di testa, o peggio con la febbre alta. Inoltre, si evitava di piantare
questi albero vicino ai ricoveri per il bestiame perché se le radici fossero penetrate al di sotto gli animali avrebbero
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cominciato a avvertire sintomi di deperimento. È un dato di fatto che nelle vicinanze degli alberi di noce non crescono altre
piante: questa caratteristica detiene una spiegazione scientifica: le radici di questa pianta, come anche le sue foglie,
contengono una sostanza tossica, la juglandina, capace di far morire le altre piante.
La forma ricorda vagamente il cervello, tanto che nel ’500 il
medico Paracelso, inventore della Teoria dei Segni (che abbinava
le piante agli organi umani in base alla loro forma o colorazione,
reputandole indicate a curare i disturbi dell’organo simile),
prescriveva questo frutto per risolvere i disturbi cerebrali: dal
semplice mal di testa fino alla pazzia.
Il gheriglio pare avere una somiglianza nella forma
con il
cervello umano. Questa caratteristica ha indotto a legare, nel passato, la noce a un rimedio medicinale contro tutti i
problemi legati al cervello. Scriveva, in proposito, Giovan Battista Della Porta (1535–1615), medico e alchimista della
Scuola Salernitana, in una delle sue opere (probabilmente la "Phytognomonica", del 1583, nella quale trattava delle proprietà
delle piante e dei metodi per scoprirne le virtù in base alla somiglianza con le parti anatomiche): "Il mallo, guscio esterno
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carnoso, verde, corrisponde ai tegumenti del cranio, il guscio al cranio, l'endocarpo alle meningi, e il gheriglio ai due
emisferi cerebrali".
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Il noce è da sempre legato all'idea di riti ed incantesimi poiché esistono molte leggende che lo indicano come albero delle
streghe perché si dice che organizzino i loro sabba proprio intorno al suo tronco robusto nella notte tra il 23 e il 24 giugno!
L'albero del noce era considerato sacro per le streghe, ma gli agricoltori lo piantavano a
distanza dagli altri alberi da frutto perché a quei tempi era consolidata la credenza che
questo albero ermafrodita, che può raggiungere persino i 300 anni di età, fosse velenoso e
che la sua influenza negativa si propagasse nel terreno su cui poggiava. Si diffuse
l'usanza di piantarlo a distanza dagli altri alberi dell'orto. Alla fine degli anni ‘50 in Italia
erano censiti 75.000 ettari, superficie già fortemente discesa a 1.500 ettari alla fine degli anni ‘70.
Letteratura Il suo frutto, una pseudo drupa con esocarpo carnoso (detto mallo, come il
mandorlo, diffuso soprattutto in Sicilia e nelle regioni meridionali), è da sempre fonte di
prezioso nutrimento. Ne offre una circostanziata testimonianza anche il Manzoni, ne I
promessi sposi. Nel capitolo terzo, Fra Galdino arriva a casa di Agnese e Lucia per la
“cerca delle noci”. Così, mentre la promessa sposa va a prendere le noci, il frate si
dilunga nel racconto del miracolo delle noci. Padre Macario, un vecchio e saggio di un
convento in Romagna, esortò il proprietario di un vecchio noce affinché non lo abbattesse: l’albero non produceva più frutti
da anni, ma il religioso sostenne che quell’anno avrebbe prodotto “più noci che foglie”. Il
proprietario conosceva la fama che circondava Padre Macario e fu indotto ad ascoltarlo in ragione
della sua autorevolezza. La voce si sparse fra la gente che si recava a ammirare l’abbondante
fioritura. E anche la previsione si rivelò corretta; tuttavia il proprietario morì, lasciando i suoi beni
ad un figlio che era dedito soprattutto al divertimento. Il frate andò da quest’ultimo a chiedere le noci ma il nuovo
proprietario negò ogni aiuto e contributo. Un giorno, poi, il ragazzo raccontò, quasi sbeffeggiandosi della religiosità
popolare, la storia ad alcuni amici e insieme andarono a vedere il mucchio di noci che teneva nel granaio: al posto delle noci
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vi trovarono un mucchio di foglie secche. La notizia di questo esito nefasto si propagò nella regione, tanto che mai come
quell’anno la cerca delle noci si rivelò quanto mai abbondante; un benefattore regalò addirittura al convento un asino per il
trasporto delle noci che si raccoglievano. Dalle noci il padre produssero così tanto olio che i poveri se ne poterono servire in
modo gratuito. Il Manzoni conclude con una delle sue profonde e sagge affermazioni sull’umanità: «Perché noi siam come
il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi».
Alessandro Manzoni era un esperto botanico, amava le piante e i fiori. Ne è una concreta
testimonianza
il parco della sua villa a Brusuglio, Cormano, Milano nord; l’abitazione
era di proprietà dei Conti Imbonati. Lo scrittore ci andò a vivere a inizio del
XIX secolo e decise di impiantare un giardino con diverse piante, anche rari
esemplari poco o per nulla conosciuti in Italia. Fra il 1810 ed il 1820 –
testimonia Massimo Urso – Manzoni curò personalmente l’impianto di 570 arbusti nel parco. Pietro Berlingieri,
nel suo saggio pubblicato ne Il giardino fiorito, aggiunge che Manzoni vi fece piantare diverse ortensie (Hydrangea
hortensis, Hydrangea macrophylla, Hydrangea quercifolia), piante di robinia pseudoacacia, magnolie, liriodendri o alberi
dei tulipani, liquidambar, tilia cordata, catalpa o albero dei sigari, aceri giapponesi, ibisco e cedri dell’Himalaya. Introdusse
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inoltre una novità, rarissima al tempo, un sassafras albinum, , che in Italia era arrivato nel 1630. Piantò anche alberi del
cotone. Si racconta che talvolta percorresse a piedi gli otto chilometri di distanza fra Brusuglio e la sua abitazione in città, in
Via Morone, oggi casa-museo Manzoni, sede del Centro Studi Manzoniani.
Arte
Luca Forte (1605-1660) dipinge “Composizione con frutta secca e vaso di fiori”; le noci erano un
alimento destinato ai più ricchi. Vi è perizia e virtuosismo coloristico nel rappresentare i singoli
tipi di frutta e il vaso. Il vaso è trasparente e luminescente; sullo sfondo si staglia il paesaggio; in
primo piano vi è la frutta secca e a destra sono poste delle ciambelle.
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Botanica
Può raggiungere i 20-25 metri di altezza; l’albero ha
un portamento maestoso. L’apparato radicale è molto
sviluppato. Il fusto è dritto e vigoroso e si divide in
poche branche principali. I rami giovani sono grossi e
tozzi. I frutti sono di forma diversa a seconda della varietà, ma sono sempre costituiti
da una buccia (“epicarpo”) sottilissima e da un mallo (“mesocarpo”) carnoso e verde,
dall’odore molto caratteristico, secernente un succo che macchia di marrone –
olivastro.
Il mallo nel tempo diventa nero perché contiene
molti tannini e poi marcisce. Il mallo è formato da
due strati: uno esterno verde e molle che si dissecca
e uno interno che avvolge il seme. La noce vera e
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propria è formata dal guscio (“endocarpo”) legnoso separabile in due valve, irregolarmente solcate, contenenti il gheriglio
coperto da una pellicola che imbrunisce a maturità. Il gheriglio è diviso in quattro lobi separati da un tramezzo membranoso
che nel tempo si secca e s’indurisce.
Le foglie sono caduche, composte, alterne (formate da 5-7-9 e, più raramente, 11
foglioline). Sono di colore verde scuro sulla pagina superiore e più chiaro su quella di
sotto.È una pianta monoica in cui i fiori maschili sono riuniti in amenti penduli, lunghi
10-15 cm, con numerosi stami, che appaiono sui rami dell'anno precedente prima della
comparsa
delle
foglie.
I fiori unisessuali femminili schiudono da gemme miste dopo quelli maschili (proterandria), sono
solitari o riuniti in gruppi di 2-3, raramente 4, appaiono sui nuovi germogli dell'anno,
contemporaneamente alle foglie. Il frutto è una drupa, composta dal “mallo” carnoso, fibroso,
annerisce a maturità e libera l'endocarpo legnoso, cioè la noce vera e propria, costituita da due
valve
che
racchiudono
il
gheriglio
con
elevato
contenuto
in
lipidi.
Limiti pedoclimatici: sensibile ai ristagni idrici e stress idrici conseguenti a terreni sciolti; non
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tollera i terreni pesanti, asfittici, mentre resiste anche ad elevato tenore in calcare. Teme gli eccessi termici (caldo e freddo).
Il noce è una pianta tipica dei climi temperati, vegeta bene e produce fino a 800-1000 metri di altitudine.
Varietà
Si conoscono diverse varietà in quanto lo sfruttamento da parte
dell’uomo deve essere iniziato presto per le qualità commestibili
e l’oleosità di questo frutto. Tra le varietà di interesse generale
vi sono:
- Sorrento: è la varietà più diffusa in Italia, di vigore elevato,
portamento assurgente, a duplice destinazione (frutto e legno), produce frutti medi, di
forma ovale, di buona qualità; la maturazione è medio-tardiva (fine settembre al Sud);
- Franquette: di vigore elevato, a duplice destinazione (frutto e legno), produce frutti grossi, di forma ovale, di ottima
qualità; è consigliabile al Centro-Nord e al Sud nelle zone più fredde per il suo fabbisogno di freddo;
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-Lara: è un’ottima varietà di origine francese; pianta di medio vigore con portamento eretto. L’entrata in produzione è
precoce;
- Hartley: di vigore medio, ad una sola destinazione (da frutto), produce frutti grossi, di forma subovale, di buona qualità, è
adatta bene sia al Nord che al Sud.
- Altre interessanti sono: Malizia, selezione di Sorrento, noce Tardiva o di San Giovanni, Feltrina, Bleggiana, Cerreto e
Midland.
Tecniche colturali
Il noce dimostra poca socievolezza e non cresce in popolazioni addensate. Il noce, pur
adattandosi a diversi ambienti, predilige la media collina, esposta a sud o a ovest, protetta dai
venti. Mal sopporta i terreni eccessivamente umidi o troppo compatti. Negli impianti
specializzati possono essere adottati sesti variabili da m 7 x 7 per cultivar poco
vigorose e in terreni con bassa fertilità e non irrigui e per la prevalente produzione di
frutti a m 12 x 12 qualora, oltre ai frutti, si voglia produrre legname da opera; in
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questo caso le piante devono essere impalcate alte (almeno 3,5 m). Si raggiungono densità fra 100/200 piante/ha. Si
innestano le piante di 3-4 anni di età e si collocano a dimora le piante ad innesto attecchito. L’irrigazione è comunque
necessaria per la produzione.
La concimazione solo minerale si somministra dopo l’impianto con azoto, fosforo e potassio,
con dosi variabili; orientativamente si può considerare di non impiegare più di un kilo per
pianta, spargendo il concime su una superficie di circa 4 metri quadrati.
È usuale che il noce non subisca potature dopo quella effettuata per dare alla pianta
un’impalcatura. La sua coltivazione è molto facile: ha solo bisogno di molto spazio perché le radici si diffondono molto nel
terreno; per il resto resiste bene al caldo (ma non alla salsedine) e al freddo, non ha bisogno di
grandi concimazioni perché le radici esplorano un’ampia zona di terreno, non va potato se non
per eliminare rami secchi o spezzati. Le piante giovani devono
essere mantenute libere dalle piante infestate mediante una
leggere lavorazione del terreno (trinciatura, sfalcio o
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spacciamatura). Si moltiplica da seme o si seminano le noci. I noci seminati sul posto sono più forti di quelli in semenziaio e
poi trapiantati. La produzione inizia verso il decimo anno dall’innesto ( 8-12 kg per pianta); produce da 20 a 30 kg dal
quindicesimo al ventesimo anno e 30 kg verso il venticinquesimo anno; dal venticinquesimo anno produce dai 50 ai 70 kg di
noci secche e comincia poi il periodo della decrescenza.
Produzione e raccolta
La raccolta dei frutti avviene in settembre: si può procedere a mano, aspettando la naturale caduta a
terra delle noci, oppure scuotere le branche con pertiche, stando attenti a non ledere i rami; per
facilitare l’operazione è consigliabile stendere reti a maglia fitta sotto gli alberi. Nei noceti
industriali, su ampie superfici, è anche possibile meccanizzare completamente la raccolta, tramite
l’utilizzo di scuotitori e raccattatrici meccaniche. Una volta raccolte, le noci vanno private dei
residui di mallo: per uso familiare si stendono in un solo strato ad asciugare per una - due settimane
in un luogo asciutto e ventilato; per impiego commerciale vengono lavate, essiccate e imbianchite utilizzando in genere
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anidride solforosa oppure una soluzione di ipoclorito di sodio. In locali asciutti e aerati i frutti possono essere conservati
anche per 6-7 mesi, sgusciandoli al momento dell’uso, per evitare l’irrancidimento. La produzione è molto variabile e può
andare da pochi chilogrammi fino a 50-70 kg/pianta, corrispondenti a 20-25 q/ha.
In Italia, la produzione di noci ha subito un drastico ridimensionamento: si è passati dalle oltre 80.000 tonnellate degli anni
’70 del secolo scorso a poco di più 15.000 degli ultimi anni.
Avversità
Per la pianta vi sono batteriosi tra cui la nebbia del noce o vaiolo, la Maculatura
batterica, Xantomonas, crittogame quali Marciume del colletto e radicale, insetti
quali Carpocapsa e Rodilegno (giallo e rosso); nematodi, funghi del tronco (
Armillaria), bruco o verme della noce.
Per il frutto vi è il baco delle noci Cydia pomonella.
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Proprietà e elementi nutrizionali
In un etto di noci sgusciate, accanto al 16,6% di proteine, si trovano il 12% di zuccheri
e addirittura il 63% di grassi, peraltro monoinsaturi (oleico, linoleico, linolenico e
arachidonico), quindi benefici per la salute, a patto di non esagerare nelle quantità. Le
calorie sono ben 695 per etto. Ma le noci si fanno perdonare grazie al contenuto in
minerali, fra i quali si segnalano 450 mg di fosforo, 700 mg di potassio, 130 mg di magnesio, 149 mg di zolfo, 88 mg di
calcio e 2,1 mg di ferro. Utile mangiare noci per favorire le funzioni vitali, grazie allo zinco che migliora l’attività delle
vitamine; per tonificare il sistema nervoso e rinforzare le ossa,
grazie a calcio, potassio e fosforo; per calmare l’intestino, grazie
all’olio essenziale, potente disinfettante, antisettico e vermifugo;
per combattere l’anemia, in virtù di rame e ferro; per abbassare il
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colesterolo ldl, grazie all’olio ricco di acidi grassi insaturi; per diminuire la glicemia.
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Usi vari e utilizzi in cucina
Le foglie e i malli servono nell’industria farmaceutica e cosmetica. Per le proprietà toniche ed astringenti vengono sfruttate
nel trattamento delle dispepsie e nelle infiammazioni del tubo gastroenterico. Il noce è albero di grande importanza per la
qualità del suo legno, a cuore bruno più o meno venato, viene usato in falegnameria e anche per produrre i fucili. Narra la
tradizione che, vagando di casa in casa, i preti raccogliessero noci dalle quali ricavavano l’olio che era ritenuto salutare per
alcuni acciacchi del corpo (in Piemonte veniva usato anche al posto
dell’olio di oliva, che costava molto, per la bagna cauda).
Il nocino: dal frutto fresco, con il mallo ancora giovane, si ricava un
liquore ottimo e alcolico, il nocino.
Leggenda : Il 24 giugno è il giorno dedicato a San Giovanni Battista,
predicatore e profeta del primo secolo a.C., più volte ricordato nei Vangeli per aver preannunziato l’ arrivo del Messia.
Giovanni trascorse l'infanzia e la giovinezza come nomade nel deserto; aumentò in lui il desiderio della divulgazione della
fede al punto da farlo diventare profeta dell’avvento del Messia scagliandosi pesantemente contro i Farisei. Erode Antipa lo
fece arrestare per aver denunciato le sue nozze incestuose e adultere con Erodiade, già moglie di suo fratello Erode Filippo.
Con Erode Antipa, Erodiade ebbe figlia che fu chiamata Salomè la quale, dopo aver danzato per il padre, fu convinta dalla
madre a chiedere come ricompensa la testa di Giovanni che le fu portata, ancora
con un alito di vita, su un vassoio. La data era appunto il 24 giugno.
La leggenda vuole che durante la notte tra il 23 e il 24 giugno ( che è la notte
più breve dell’anno), la donna giudicata più abile nella preparazione del liquore
“nocino” raccolga a piedi nudi le noci ancora verdi e immature dal maestoso
albero di noce.
Il mallo deve essere messo in infusione nell'alcol
fino 31 ottobre.
L’uso del mallo di noce come ingrediente per medicinali o liquori discende da
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tempi antichissimi, anche se non si hanno notizie esatte sull’origine di questo specifico utilizzo. Sembra che la ricetta sia
giunta in Italia ad opera dei francesi, poiché il culto del noce come albero delle streghe era di origine francese. Giunse ai
britannici che, infatti, ritenevano magiche delle pozioni che si preparavano utilizzando noci acerbe. Non si esclude che le
varie formule siano derivate da un Liqueur de noix o ratafia di mallo in cui al posto dell’alcol veniva utilizzata l’acquavite.
Questo liquore dal gusto corposo e dall’inconfondibile aroma, continua ad essere tra i principali consumati durante i pranzi
e le cene in occorrenza delle festività natalizie. Il nocino si presenta come un liquore dal colore scuro e dall’aspetto denso.
Può essere servito a fine pasto come digestivo. Può essere usato, inoltre, come tonico e contro i disturbi del fegato. Esistono
diverse varianti nella preparazione del nocino a seconda delle tradizioni regionali.
Nocino di san Giovanni
Ingredienti
24 noci verdi con mallo
1,5 litri di alcol 95%
500 g di zucchero
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1 pezzetto di stecca di cannella
10 chicchi di caffè
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10 chiodi di garofano
scorza di un limone
Preparazione
Tagliate le noci a pezzetti e mettetele a macerare in un recipiente di vetro con la cannella, i chiodi di garofano, i chicchi di
caffè, la scorza di limone, lo zucchero e l'alcol. Chiudete ermeticamente il recipiente ed esponetelo al sole per 40 giorni,
scuotendolo di tanto in tanto e ritirandolo durante la
notte. Alla fine del 40° giorno filtrate
accuratamente il prodotto,
imbottigliatelo e lasciatelo
riposare
almeno per 12 mesi prima di
assaggiare per apprezzare tutte
le
caratteristiche organolettiche
di questo
liquore.
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Tagliatelle di farina di castagne con sugo di noci e cipolle
Ingredienti della ricetta:Per le tagliatelle:
160 g di farina di castagne
240 di farina 00
2 cucchiai di latte
4 uova
1 cucchiaio di olio extravergine d'oliva
Sale qb
Per il sugo:
3 cipolle rosse
80 g di gherigli di noci
6 fette di pancetta
Olio e sale qb
Mescolate insieme le due farine con un pizzico di sale e disponetele a fontana sul piano di lavoro. Al centro mettete le uova,
il latte, l’olio e aiutandovi con una forchetta sbattete le uova incorporando mano a mano la farina dai bordi. Quando il
composto diventa corposo lavoratelo con le mani fino ad ottenere un panetto di pasta liscia e compatta. Lasciatela riposare
per un quarto d’ora.
Dividete la pasta in pezzetti più piccoli e tirate la sfoglia con il mattarello o con la macchina per la pasta fino ad ottenere una
sfoglia sottile. Adesso create le tagliatelle arrotolando la sfoglia su se stessa tre o quattro volte e con un coltello tagliatela a
strisce larghe 1 cm oppure utilizzate l’apposito attrezzo in dotazione alla macchina per la pasta per ottenere le tagliatelle.
Stendete la pasta ottenuta su degli stracci asciutti e puliti e cospargetele con della farina per evitare che si attacchi.
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